La comunità di Redona racconta il suo cammino

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La comunità di Redona racconta il suo cammino
ASSEMBLEA PARROCCHIALE
La comunità di Redona
racconta il suo cammino
25 maggio 2014
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Questo piccolo libretto nasce senza pretese di esaustività dall’esperienza bella di
condivisione che ha avuto luogo nel Consiglio pastorale, nella Caritas e in tanti altri
momenti di gruppo a partire dalla morte di don Sergio. Certo avevamo la necessità oltre
che il desiderio di esprimere il nostro grazie e anche di ascoltarci l’un l’altro ma è
successo che tutti si è capito che la cosa si è rivelata anche l’occasione di un
arricchimento e di una conoscenza reciproci. Questo stile della condivisione non è una
novità nei gruppi parrocchiali e l’occasione dell’anno della fede lo aveva già reso ancora più
opportuno sotto la guida di don Sergio. Sarebbe stato un peccato non trovare un momento
per coinvolgere la comunità, soprattutto chi non ha avuto la possibilità di partecipare a
questi momenti, ed è nata l’idea di uno strumento in cui raccontare il percorso della
nostra comunità e chiedere ad alcune persone di offrire una testimonianza. Chiaramente
non sarebbe potuto essere uno strumento troppo elaborato o troppo ben limato e
verificato, visti i tempi a disposizione, però può essere uno dei contributi utili a condurre
un po’ in avanti la nostra riflessione comunitaria. Le persone che poi concretamente
hanno lavorato alla sua realizzazione vi hanno investito non poco tempo ed energie e a loro
va un grazie sincero.
Trovandoci quest’anno in molti contesti diversi ci siamo trovati d’accordo sulla necessità
di risintonizzarci con un quartiere che sta attraversando dei notevoli cambiamenti sociali
e anche sul bisogno di introdurre le nuove generazioni all’interno del lavoro pastorale e
dei servizi offerti dalla comunità per dare continuità. Perché questo avvenga occorre
chiaramente concedere degli spazi al nuovo e non dare per scontato quanto ci pare
acquisito. Si tratta dunque di ritornare a pensare insieme i fondamenti dell’agire
pastorale e le linee-guida che la comunità si è data ma diventando capaci di accogliere, di
‘aspettare’ e di assecondare questa nuova parte del quartiere e della comunità. Qualcuno
ha fatto con noi la stessa cosa in questi anni e certo il suo lavoro non può dirsi concluso.
La ruota delle generazioni e la mobilità sociale degli abitanti però non si fermano e quindi
occorre sapersi rimettere in gioco. Avremo l’occasione di poterlo fare grazie anche
all’arrivo di don Gianangelo: il nostro nuovo parroco. L’esercizio della memoria che in
questo strumento viene prediletto dovrà essere capace di amalgamarsi con altre
ugualmente importanti attenzioni, come l’accoglienza, il dare fiducia, il farsi da parte per
fare posto, il discernimento dei mutamenti sociali e urbanistici, il collegamento con la
Chiesa di Bergamo che la riflessione sulle unità pastorali avviata lo scorso anno aveva già
molto prefigurato.
L’assemblea parrocchiale che conclude questo anno pastorale può allora essere una bella
occasione per un racconto e per uno scambio che devono servire a prepararci oltre che a
ricordare; a prendere coraggio e a disporci, mentalmente e affettivamente, alla messa in
gioco della comunità (e quindi personale di ciascuno) per affrontare nel migliore dei modi i
tempi a venire, senza dimenticare le dimensioni di fondo di ogni lavoro pastorale nelle
parrocchie: la liturgia, i sacramenti, la parola e la carità; le famiglie, i bambini, i ragazzi,
gli adolescenti, i giovani, gli adulti, gli anziani; la malattia, il lutto; il lavoro di rete con le
agenzie del territorio e con le istituzioni e il governo della città; la formazione culturale e
politica; l’educazione del gusto e dell’interpretazione artistica, l’introduzione ai linguaggi
espressivi,… ognuna di queste cose ha bisogno di attenzione, competenza e memoria, ma
anche chiede freschezza e persone capaci di essere vicine e di prestare efficacemente
tempo, risorse e talenti alla Redona e alla parrocchia di domani, cioè dei nostri figli e
soprattutto nipoti.
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Dagli anni ’70 ad oggi: la nostra storia
Non è facile raccontare la storia della nostra comunità a partire dagli anni dopo il Concilio
fino ai giorni nostri, storia intrecciata con quella del quartiere, della città, storia
caratterizzata da un lavoro instancabile di programmazione, di formazione, di
discernimento, di mediazione politica e culturale, alla ricerca di una fedeltà profonda al
Concilio e alle linee della Chiesa di Bergamo e della Chiesa nazionale.
Negli anni ‘70 anche in questa piccola parrocchia di un quartiere periferico in continua
espansione, vengono introdotte le novità del Concilio in maniera vivace e ancora incerta:
un notevole cambiamento nella pastorale, un’apertura al quartiere e alla politica, una
presa di posizione a favore di alcune situazioni lavorative critiche, una
responsabilizzazione della gente che si sente interpellata a prendere posizione, l’apertura
della casa parrocchiale a una forma di convivenza tra preti e laici, l’invito esplicito alla
gente di costituirsi come “comunità”.
Per gravi motivi che scuotono profondamente la comunità, alla fine di giugno del 1981
tutto il presbiterio viene sostituito.
Il 13 settembre del 1981, giornata dell’anziano e del malato, il nuovo presbiterio si presenta
ufficialmente alla comunità; è questa una giornata significativa che sarà per 32 anni segno
dei legami di amore e di carità che uniscono la comunità e sollecitano l’attenzione per i più
deboli e soli.
Subito il presbiterio, che rafforza la vita in comune, dando negli anni una forte
testimonianza di vita “domestica” e di lavoro condiviso per la crescita della comunità,
mette in atto tutta una serie di strutture di partecipazione e di iniziative che saranno le
linee guida che per tanti anni verranno continuamente riprese, approfondite, corrette in
base ai bisogni e alle priorità: la costituzione della commissione per il Consiglio Pastorale
formata dai rappresentanti dei gruppi presenti in parrocchia con il compito di riflettere ed
elaborare un discernimento pastorale sulla vita della comunità, che si arricchirà nel tempo
della commissione famiglia, scuola, lavoro, attenzione al sociale che lavorerà per molti
anni e sarà luogo di riflessione e valutazione dei fatti sociali più rilevanti proponendo a
tutta la comunità convegni sulla politica, sul lavoro, sulla scuola, sull’educazione, sulla
prevenzione…; la costituzione della Caritas che diventerà un elemento decisivo della
sensibilità caritativa di tutta la comunità, del modo di lavorare dei gruppi, delle attenzioni
poste agli ammalati e agli anziani (libretto sulla malattia) e alle nuove povertà come
l’handicap, il disagio psichico, gli stranieri. Negli anni la Caritas modificherà il suo modo
di operare: lavorerà per progetti ai quali possono mensilmente contribuire i fedeli per
creare in comunità cammini di solidarietà e di attenzione ai più deboli sempre più
consapevoli e condivisi e si arricchirà di nuovi servizi come lo “sportello Caritas” che
garantisce un continuo coordinamento delle diverse attività caritative e una risposta più
rapida alle necessità immediate dei malati e delle loro famiglie.
Sempre nei primi mesi di insediamento del nuovo presbiterio (1981) si costituisce
l’Associazione “Le Piane di Redona”,
associazione laica fortemente legata alla
parrocchia, nata con un’attenzione particolare alla persona per gestire prima la Casa
Anziani e in un secondo tempo anche il Qoelet che diventerà, poi, luogo di progettazione e
di coordinamento e di rete con il territorio e la città attivando una serie di servizi e di
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progetti di solidarietà. Si dà nuova veste grafica e nuova impostazione al giornale
Comunità Redona, formidabile strumento di comunicazione e di formazione cristiana,
ricco di riflessioni e di stimoli per la formazione di una coscienza sociale e politica. Si
propone la catechesi per ogni età, dai bambini con la catechesi dell’iniziazione che dà
l’opportunità alla comunità di porre semi di vita cristiana nella coscienza dei piccoli e di
collegarsi alle famiglie per la comune impresa dell’educazione, catechesi per gli anziani e
in particolare per gli adulti, catechesi che negli anni proporrà una riformulazione del
discorso e dello stile cristiano e un quadro interpretativo e critico della società e della
cultura in cui viviamo per riuscire ad entrare in dialogo con essa da cristiani. La giornata
della comunità diventa l’Assemblea Parrocchiale di inizio e fine anno pastorale, luogo
dove si impara e condivide insieme la programmazione del lavoro pastorale e la
collaborazione tra le varie componenti della comunità e ci si impegna a valutare la linea
di rotta della barca della parrocchia. Si organizzano pellegrinaggi annuali che hanno lo
scopo di ricordare alla comunità di essere pellegrina nel mondo in cammino con tante
altre comunità cristiane e in unione di destino con l’intera comunità degli uomini. Il
Triduo dei morti, agli inizi di novembre, diventa un appuntamento molto partecipato,
dove si organizzano momenti celebrativi nei quali viene richiamato il senso cristiano della
morte e momenti di riflessione nei quali i modi e i problemi del soffrire e del morire,
dell’aldilà, vengono indagati nella ricerca di ciò che ogni uomo vive in quei momenti e nel
desiderio di consolare queste angosciose situazioni umane con la luce della fede. Per i
ragazzi dell’Oratorio si imposta tutta l’attività educativa e si organizza il Redonaestate
per venire incontro ai genitori che lavorano e, con la fine della scuola, devono lasciare i
figli soli. Alcuni animatori, con la collaborazione di adulti, si occupano dei più piccoli e li
intrattengono con giochi, laboratori, piscina, gite, mettendosi in gioco e spendendo del
tempo per l’educazione e la socializzazione dei più piccoli.
L’Oratorio ha conosciuto negli anni una grande vitalità dovuta alla strutturazione coerente
di tutto il percorso dell’iniziazione, al legame tra il percorso catechistico e il complessivo
processo educativo e quindi la collaborazione con le famiglie, con la scuola, con il
territorio, un’accoglienza e un accompagnamento particolarmente generosi ed efficienti
del mondo degli adolescenti. In questi ultimi anni gli adolescenti, forse anche per il cambio
del curato, hanno mostrato di non essere più a loro agio nell’Oratorio: è così partita una
riflessione per ridare slancio all’Oratorio e una ricerca di un nuovo stile e di nuove
proposte ben differenziate per accogliere destinatari con esigenze diverse e poterli
interessare.
Il nuovo presbiterio ha puntato, fin dall’inizio, con forza, alla formazione di una comunità
che, in un ambiente che andava rapidamente secolarizzandosi, fosse in grado di
riconoscere e accompagnare l’esperienza cristiana, aiutando ognuno di noi, a rileggere la
vita alla luce del vangelo.
Nell’83 viene inaugurata la Casa Anziani e giovani coppie, casa voluta da don Romano
Breviario (il parroco precedente) e che rispondeva al problema della scarsità di alloggi per
persone anziane e giovani coppie e che sarà motivo di non poche preoccupazioni
finanziarie per il nuovo parroco.
Questa casa diventerà, poi, il centro caritativo della
parrocchia ospitando i vari gruppi caritativi e, negli anni, non essendo più un’emergenza
gli alloggi per anziani, si deciderà di riservare due minialloggi, uno per emergenze
caritative, l’altro per gli Aquiloni, associazione di persone diversamente abili che, grazie
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alla generosa opera di molti volontari, in un appartamento “protetto”, possono fare
esperienze di autonomia e condivisione.
Per la prima volta si celebra la festa degli anniversari di matrimonio e si organizza la Festa
Patronale di San Lorenzo, momento di aggregazione del quartiere per rafforzare l’idea di
una comunità legata a un territorio, per favorire rapporti di collaborazione tra le diverse
forze sociali, per permettere la conoscenza e l’accoglienza di persone nuove.
Si comincia, anche, a dare alla Chiesa un nuovo aspetto per aderire all’idea nuova di
comunità, iniziando con la fabbricazione, da parte di un abile parrocchiano (Giancarlo
Mazzoleni), del nuovo altare, in legno, posto sopra una bella pedana e dell’ambone per
poi continuare, negli anni con l’iconostasi, gli arredi sacri, il battistero, l’evangeliario, il
grande arco, le luci, i quadri sopra la porta di ingresso che fanno entrare nella nostra
chiesa l’uomo di queste nostre società che si affaccia con la sua fatica e il suo desiderio di
credere nel cuore dei misteri cristiani; e ancora, l’organo, il ripristino di alcune finestre, la
“cappella dell’accoglienza” che evidenzia le comunicazioni delle attività della parrocchia,
il sagrato che riacquista il senso di un luogo di rispetto e di transizione, le porte che si
trasformano in piccoli atri che introducono nel luogo sacro carico di mistero che è la
Chiesa.
Tutta la comunità è sempre stata stimolata a riflettere, partecipare, condividere ognuno di
questi progetti che sono il segno di un nuovo modo di celebrare, di muoversi, di
esprimersi e di “governare” la comunità.
Nell’anno 1985-86 la catechesi per gli adulti “costruire oggi una comunità cristiana” segna
un tornante decisivo per la pastorale. E’ un percorso impegnativo che vuole offrire gli
strumenti per comprendere come si costruisce una comunità cristiana e vuole preparare
consapevolmente i laici a diventare operatori pastorali. La proposta dei contenuti doveva
poi essere assimilata e rielaborata nei singoli gruppi e poi verificata.
Il percorso si è soffermato sulla comprensione dell’esistenza dell’uomo, sull’esistenza
concreta di Gesù Cristo, su come invitare gli uomini di oggi a diventare cristiani e a
entrare nell’alleanza. Da qui scaturiscono gli atti pastorali fondamentali con i quali si
costruisce una comunità cristiana: la Parola che dà il senso cristiano alla vita, il
Sacramento che celebra cristianamente l’esistenza, la testimonianza che introduce nella
vita di ogni giorno una pratica cristiana.
Questa pastorale non ha tardato a dare i suoi frutti: la predicazione con al centro Gesù
Cristo rappresenta, nell’assemblea della domenica, il punto di riferimento vivo per il
cammino di fede di tutta la comunità, la liturgia fatta di raccoglimento, di clima di
preghiera e di canto, di profondità della parola, di semplicità dei gesti diviene a poco a
poco il tratto qualificante della comunità. La catechesi degli adulti diventa sempre più il
luogo significativo dell’approfondimento della parola e del suo impatto con la storia degli
uomini, i corsi per fidanzati, l’accompagnamento delle giovani coppie, l’attenzione alla
famiglia diventano i luoghi previlegiati dove i momenti importanti della vita vengono
correlati alla proposta cristiana. La Bibbia, letta sistematicamente in ambito liturgico
meditata e approfondita per molti anni nella catechesi, negli itinerari di Avvento e di
Quaresima e nella lectio ha permesso a molti fedeli di familiarizzare con i Testi Sacri e di
cogliervi la conversazione di Dio con gli uomini. La morale cristiana non più trasmessa
attraverso interdetti e proibizioni ma mediante un invito all’attività, all’iniziativa, alla
responsabilità, diventa il luogo della formazione della coscienza. E’ riflettendo a fondo
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sulle diverse vicende e relazioni che la storia fa vivere, è attraverso i problemi del
significato del lavoro, dell’uso dei soldi, dei legami con gli altri, del modo concreto di
amare, di odiare, della sessualità, della morte che si incontra Dio.
Il 1 ottobre del 1988 si inaugura la sala della comunità, il Qoelet, sala di riunioni e di
convegni, di spettacoli e recite, di dibattiti e incontri culturali aperti a tutta la città, gestita
dalle Piane e da un notevole gruppo di volontari.
Nell’89, dopo una adeguata formazione, partono i gruppi del Vangelo nelle case tra
abitanti dello stesso condominio o della stessa via; in seguito, diventeranno “missione” nei
condomini dove un gruppo di parrocchiani andrà a portare la chiesa e il Vangelo vicino
alla gente ascoltando, condividendo, incontrando gli altri. I bambini, due volte al mese,
vengono iniziati al mondo liturgico e questo laboratorio diventerà un appuntamento
costante in ottobre, in Avvento e in Quaresima. Debutta la rassegna “Il lontano presente”
che costituirà un appuntamento costante nel mese missionario e cercherà di avvicinare a
noi, attraverso dibattiti e proiezioni di filmati, culture di paesi lontani.
Nell’89 arrivano anche i primi senegalesi. Si crea un’emergenza abitativa e la comunità si
attiva per ospitarli in collaborazione con l’ARCI e le Piane avendo il Comune individuato
nella vecchia biblioteca di Redona un luogo per accoglierli; non solo accoglienza ma
tentativo di integrazione. Si stipula con il Comune una convenzione per l’uso della ex
biblioteca come alloggio transitorio, dopo aver costituito un’associazione (Touba M’bake),
gestita dagli stessi senegalesi.
L’Assemblea parrocchiale del ‘90 presenta un documento con il programma pastorale
annuale ritmato sull’anno liturgico con al centro la Pasqua e insieme alla Chiesa di
Bergamo tutta la comunità nella catechesi, nell’itinerario di quaresima, nella
partecipazione al convegno vicariale riflette sul tema: “dare alle comunità cristiane un
volto di Chiesa conciliare”.
L’anno liturgico diventa un percorso sapiente in cui trovano ospitalità i nostri personali
cammini spirituali, i diversi itinerari sacramentali, tutti i percorsi formativi, le ricorrenze
devozionali e pastorali.
Per rendere più consapevole la comunità di questa nuova programmazione verrà
pubblicata per cinque anni un’agenda del cristiano ritmata sull’anno liturgico che, oltre ai
vari appuntamenti, agli schemi sulla struttura della comunità e dei servizi che offre, porta
per ogni giorno brevi commenti alle letture del giorno, piccoli strumenti per accostare la
Bibbia e per pregare.
Nel 1994-95 per il progetto preliminare del Piano regolatore di Bergamo (PRG, ora PGT),
la parrocchia promuove un dibattito nel quartiere, il Consiglio Pastorale lavora su Piano
regolatore e Comunità cristiana; si attiva così tutto un movimento che si farà promotore di
una serie di proposte riguardanti il quartiere che verranno presentate alla commissione
competente del Comune. La cura urbanistica del nostro pezzetto di città sarà sempre
oggetto di riflessione, di mobilitazione e di partecipazione per sostenere e affiancare le
iniziative private e per aiutare le decisioni del Comune con contributi di idee e di volontà
che tengano presenti il bene comune e le condizioni migliori per le generazioni che
verranno.
Per rafforzare la crescita della partecipazione all’interno di un continuo confronto con le
altre forme associative del quartiere e con il Comune nasce nel 2001 il Comitato per
Redona.
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Un’altra intuizione importante è la costituzione dell’”Associazione redonese per
l’educazione sportiva” ARES, nata dall’unione di tre precedenti società e in particolare
della Redonese 70, per offrire un unico riferimento all’attività sportiva del quartiere e per
favorire uno spirito di unità e collaborazione che è il primo segno di una azione educativa.
Negli anni, con un paziente lavoro di formazione per gli addetti ai lavori e con l’aiuto di
tante persone e la partecipazione di tanti ragazzi, diventerà una realtà importante capace
di essere espressione della solidarietà del quartiere.
Nel ‘97, per venire incontro all’esigenza di tanti bambini tra cui molti extracomunitari e
affiancandosi all’iniziativa di alcune mamme che accolgono in casa per i compiti e per un
po’ di compagnia alcuni bambini delle elementari, parte, nei locali delle Suore
Sacramentine in collaborazione con le Piane, il doposcuola per alunni della scuola
elementare: frutto del lavoro del gruppo Osservatorio Scolastico che mette in rete le
agenzie educative del territorio, scuola, circoscrizione, associazione sportiva, oratorio per
fare progetti insieme, per unire gli sforzi e inventare azioni e percorsi nuovi da una parte e
per una azione più culturale di confronto e di dibattito dall’altra. Nel 2003 questo gruppo
si trasformerà in Associazione Osservatorio di Redona che lavorerà su vari fronti:
disagio, integrazione stranieri, formazione dei membri del gruppo e dei genitori, convinti
che è possibile costruire un accordo sociale, una specie di patto intorno all’educare, patto
che va continuamente rinegoziato. Il doposcuola per ragazzi delle medie, in difficoltà,
continua ancora oggi nei locali dell’oratorio.
Nel ‘99, su Comunità Redona, viene offerto alla comunità un corso di politica, politica
vista dal punto di vista antropologico che si sforza, cioè, di mostrare quali poste in gioco e
quali opzioni di fondo si celino al di sotto dei fenomeni sociali e politici. Un giovane della
comunità cercherà di evidenziare i significati e le categorie della politica, di fondarne il
senso in relazione all’uomo e alla sua vita in società. Negli anni verranno organizzati corsi
di riflessione politica soprattutto per giovani, convinti che si tratti di una delle più
rilevanti urgenze culturali ed educative del tempo presente, con tagli diversi:
antropologico, storico e da ultimo amministrativo per fornire gli strumenti per una
partecipazione più attiva e consapevole alla complessità dell’Amministrazione del
Comune di Bergamo.
Nel 2000, con tutta la Chiesa di Bergamo e nazionale la comunità celebra il giubileo. In
armonia con i programmi pastorali diocesani che stanno cercando di rinnovare le
comunità cristiane e il loro annuncio del vangelo, si cerca di vivere il giubileo intorno
all’Eucarestia (Congresso Eucaristico promosso dalla Diocesi) e si rafforza e vivifica il
cammino pastorale ordinario attorno alla Pasqua e all’anno liturgico .
Nel 2004 si apre una nuova esperienza molto significativa ad opera del gruppo di
sobrietà, gruppo nato all’interno delle Piane con lo scopo di sensibilizzare la comunità a
vivere stili di vita più sobri, più attenti ai consumi, all’ambiente, alla solidarietà.
Il 2003, 2004 e il 2005 sono gli anni di preparazione al Sinodo della Chiesa di Bergamo che
sarà celebrato nel 2006 e che è centrato sulla parrocchia, istituzione principale del
cristianesimo bergamasco.
La preparazione del Sinodo inizia con la stesura di un quaderno che propone un racconto
della parrocchia a partire dagli anni ‘50, racconto che cerca di interpretare i vari fatti e
avvenimenti per capire come sia avvenuto l’incontro tra Vangelo e storia, incontro che per
noi cristiani di questo tempo ha preso corpo nel Concilio Vaticano II e al quale ci si deve
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riferire per capire chi siamo e dove vogliamo andare. Il quaderno continua, poi, con
un’analisi della modernità, con l’insegnamento delle quattro costituzioni conciliari, con la
ripresa dei piani pastorali diocesani e con la “barca” della parrocchia che è la parte del
quaderno più ricca di domande perché aspetta di essere scritta insieme da tutti. Tutta la
comunità, ai vari livelli, è impegnata a lavorare sul quaderno e, in Quaresima, per
coinvolgere un maggior numero di fedeli, viene presentata alle persone che vengono a
messa una lettera con le motivazioni della proposta e due domande su come si vive il
proprio essere cristiani e in che cosa la parrocchia ha aiutato nella vita di fede personale.
Nel terzo anno vengono elaborate dal Consiglio Pastorale le risposte alle schede
consegnate alle commissioni che approntano un canovaccio dal quale l’assemblea
sinodale attinge per elaborare un documento e il vescovo promulga i decreti e viene
pubblicato un libro che riflette il lavoro delle parrocchie, contiene discorsi aperti e
intelligenti della teologia ma non affronta valutazioni storiche e non propone una linea che
si ponga in modo coerente rispetto alle sfide.
Nel 2008 viene inaugurato il Polo civico nell’ex municipio di Redona ristrutturato, su
richiesta del quartiere, dall’amministrazione comunale e destinato a casa delle
Associazioni e sede del Centro Terza Età “Negrisoli”. Per gestire la Casa e fare progetti
sull’utilizzo, in risposta ai bisogni del quartiere, si costituisce l’Associazione Polo Civico
di Redona il cui scopo principale è: ”promuovere e sostenere tra le Associazioni presenti e
attive sul territorio, uno scambio, un arricchimento, una visione di insieme, un’attenzione
allargata ai bisogni di tutti e soprattutto alle situazioni di marginalità e di difficoltà.”
Nel 2010 viene inaugurato l’Edoné, associazione giovanile che occupa lo spazio verde
antistante l’ex cimitero di Redona, nato dalla volontà di creare a Redona uno spazio dove i
giovani possano trovare nuove risorse e opportunità, dove possano diventare protagonisti
attraverso la creatività e la voglia di fare. La gestione per i primi tre anni viene affidata al
Mellow Mood, un gruppo di giovani di Redona usciti dall’Oratorio che garantisce uno
stretto legame con la rete sociale del quartiere portando il proprio contributo per la
crescita di adolescenti e giovani.
Al centro dell’attività dell’Edoné ci sono film, incontri, spettacoli, corsi, musica, un
progetto sociale promosso dai giovani per i giovani.
Nel 2012 il parroco si ammala gravemente e subisce una importante operazione che lo
debilita fortemente ma che non mina la sua voglia di essere sempre presente nella sua
comunità e di riprenderne al più presto la guida. Sono mesi di grosse fragilità e di
speranze, ricchi di umanità e dove tutto quello che si è predicato e celebrato viene
testimoniato con verità e profondità.
Il 2013, anno della fede, vede tutta la comunità impegnata in una riflessione di fondo sulla
fede e sul suo destino in queste nostre società, nelle assemblee eucaristiche della
domenica, nell’itinerario di Avvento e di Quaresima, cercando di coinvolgere più persone
possibili in questa riflessione e in questo scambio, si cerca di dare ragione di tutto il
cammino fatto in comunità per annunciare la fede attraverso la testimonianza di una vita
buona che custodisce in profondità l’umano di tutti.
Il 10 ottobre 2013 Don Sergio muore lasciando in tutti tanto smarrimento e tanta nostalgia
e la comunità, profondamente addolorata, facendo tesoro di tutto quello che ha ricevuto, si
impegna ad andare avanti continuando nello stile tracciato in questi 30 anni.
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Il 2014 è un anno difficile nel quale tutti i gruppi, con la guida di Don Marco, cercano di
portare avanti il piano pastorale così come era stato programmato, con slancio e
generosità, tra dubbi e incertezze, riflettendo continuamente per capire cosa salvare del
grande patrimonio umano, religioso, civile che Don Sergio ci ha lasciato e cosa sviluppare
in futuro anche per adeguarci al grande cambiamento che il quartiere in questi ultimi anni
ha subito.
Alla fine di questo panorama, non certo completo, proviamo a chiederci e a verificare quali
sono stati i criteri e gli orientamenti che hanno caratterizzato lo stile della comunità e che
sono alla base di tutto questo lavoro.
Prima di tutto una lettura costante e paziente delle Scritture e dei Vangeli per imparare
come Dio parla nella storia, e in maniera unica in Gesù, e quindi un nuovo modo di
predicare, di proporre il Vangelo, un nuovo modo di celebrare, di essere Chiesa, un nuovo
ruolo dei laici nutrendo la fede della comunità con la Parola, l’Eucaristia e i Sacramenti.
Poi, una costante attenzione antropologica: nel celebrare, nel predicare, nel modo di stare
in comunità, nel giudizio sulle cose della vita, in tutto, si tratta di una costante presenza
dell’uomo, delle sue grandi questioni, un rivolgere ogni affermazione cristiana all’uomo, a
favore dell’uomo, a servizio dell’uomo e di conseguenza un muoversi spontaneo dei
cristiani dentro le realtà del sociale, del politico, dell’arte, della scuola, del lavoro, là dove
l’uomo vive la sua umanità e non da ultimo, un continuo discernimento politico con lo
scopo di rafforzare la fiducia nell’importanza della politica nella costruzione della città
umana e di accompagnare i fatti politici più rilevanti con una lettura attenta e costante. Si è
cercato, quindi, da un lato, di dar figura ad una comunità fraterna, amica, solidale con
tutti, particolarmente attenta ai più deboli e ai più poveri: i piccoli, le famiglie in difficoltà,
i malati, i disabili, gli stranieri, i giovani; dall’altra di sostenere la costruzione della città di
tutti partecipando nel quartiere, nel Comune con le nostre Associazioni alla costruzione di
una socialità e una solidarietà e partecipando attivamente alla “rete di territorio”
lavorando con altri soggetti e associazioni nel favorire legami e sostegni reciproci.
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Nell'ultima assemblea parrocchiale tenuta con don Sergio (20 settembre 2013) e
dove l'aria di un addio ineluttabile si fondeva con il desiderio di avere più vicino,
più in profondità, chi ci lasciava, dopo alcune riflessioni che lui, don Sergio, ancora
una volta generosamente, lucidamente ci regalava per introdurre i lavori sulla
Chiesa, sulle cosiddette "unità pastorali", sui modi diversi di evangelizzare,
qualcuno è intervenuto esprimendo, quasi senza saperlo,in poche parole, un
bilancio del lavoro della nostra comunità: "teniamo vivo il ricordo delle buone cose
fatte insieme, fatte con uno stile singolare e coerente e tutte "catechesi"..."
Ecco: le pagine che seguono sono un modo di tenere vivo quel ricordo. Sono sguardi
diversi, voci diverse tutte tese con semplicità con sincerità a recuperare qualcosa del
molto che si è vissuto. C'è nella parola recuperare una sfumatura di significato che
fa pensare a un salvataggio. Sì, diciamolo sottovoce, ma diciamolo: siamo dei
naufraghi, ma continuiamo a solcare il mare di questa bella e tempestosa vita
grati per la forza e la dolcezza che qualcuno ci ha saputo inscrivere nelle braccia e
nel cuore e che qui testimoniamo.
La vita, la storia, la formazione di qualcuno di noi
Sono arrivata a Redona nell'agosto 1981, quando ci siamo sposati.
Per vivere il nostro matrimonio avevamo pensato che saremmo stati una famiglia aperta,
ci eravamo sposati in Chiesa un po' per tradizione, ma sentivano che Gesù era il nostro
compagno di viaggio. Abbiamo iniziato a frequentare la Messa domenicale, poi dopo
qualche mese mi sono presentata in Casa Parrocchiale ed ho dato la mia disponibilità a
dare una mano, avevo fatto la catechista nella precedente comunità e così a partire dal
1982 ho iniziato la catechesi ai ragazzi. Nel lavoro con i catechisti ero rimasta sorpresa
dall'affermazione di Don Sergio " Il Padre ama ogni uomo senza distinzioni, anche il
cinesino", questa frase così semplice ma profondamente umana ha cambiato il mio modo
di guardare il mondo e gii uomini, ma soprattutto Dio amava anche me, senza guardare i
miei pregi ed i miei difetti. Ed è così che pian piano mi sono inserita sempre più, la Messa
della domenica è diventata un momento vitale, per pregare insieme agli altri, per
condividere. Un momento importante per la mia fede è stato il pellegrinaggio
parrocchiale in Terra Santa, aspettavo Andrea, ero al sesto mese di gravidanza e
nonostante le preoccupazioni familiari, ho deciso di andare da sola, senza Beppe, ma con
tante persone della Comunità. Questo viaggio mi ha permesso di approfondire la
conoscenza di Gesù nei luoghi dove ha vissuto, ascoltare il Vangelo non è stato più la
stessa cosa. Durante l'attesa di Andrea abbiamo partecipato al primo corso dei battesimi
che durava da ottobre ad aprile, il primo battesimo comunitario dopo Pasqua. E' stato in
quell'occasione che ci siamo inseriti nel Gruppo Famiglia. In questi incontri preparatori
Don Sergio ci parlava non solo del Battesimo ma anche del figlio, il rapporto tra mamma e
figlio, lui avrebbe potuto diventare un "re". La voracità di svuotare il seno costituiva un
rischio, se non avessimo saputo tenere la distanza, lui ci avrebbe mangiato. Ed è così che il
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tema dell'essere genitori, dell'educare ci ha toccato e pian piano ci siamo interrogati, ma
anche abbiamo deciso come avremmo educato. L'occasione di frequentare il corso per
fidanzati e delle giovani coppie ci ha permesso di conoscere tante persone, di approfondire
argomenti che rimettevano in gioco il nostro matrimonio e la nostra fede, è stato cosi che
pian piano abbiamo scoperto il valore, la bellezza e la profondità, non ci lasciavano
indifferenti, anzi erano un lavoro continuo dì scavare dentro di noi il senso del nostro
matrimonio, la promessa di essere fedeli sempre, ci arrivava come un regalo, perché siamo
convinti che questi incontri ci hanno aiutato e plasmato. Abbiamo avuto tre figli, ma il
lavoro con la Comunità non si è mai fermato, ed è per questo che l'appuntamento alla
Messa della domenica è diventato il luogo dove prendere le energie per vivere, per dare
senso alla nostra vita, per lasciarci plasmare. L'Eucarestia non è solo un regalo personale
dell'incontro con Gesù, ma un momento comunitario. E' così che la Comunità è diventata
la nostra "CASA", perché è così che ci sentiamo. Abbiamo stretto tanti legami, tanti amici,
tanti momenti di condivisione, tanti argomenti trattati, tante momenti di preghiera, questo
modo di vivere e di frequentare ha lavorato su di noi, ed è per questo che il Vangelo, la
parola annunciata e vissuta è diventato parte integrante della nostra vita. Ci sono stati
momenti di difficoltà, che abbiamo potuto condividere ed affrontare con gli "Amici della
Comunità" anche quando è arrivata la malattia, così inaspettata, prima del Beppe e poi la
mia, non ho avuto paura, mi sono affidata e fidata. Il libretto sulla malattia scritto da Don
Sergio mi ha seguito ogni volta che facevo le chemio. La sorpresa leggendolo è stata che
uno dei salmi finali, quello dell'ultimo viaggio, il salmo del Buon Pastore, è stato quello
che ho iniziato a pregare subito e continuamente, quando mi sono ammalata. Un altro
regalo è stato diventare Ministro dell'Eucarestia, momento che vivo con fede, dove cerco
d'incontrare l'altro, con lo sguardo ma anche con il cuore. Concludo ricordando che dalla
Comunità abbiamo ricevuto tanto, abbiamo anche dato tanto e continuiamo a dare, ma
quello che riceviamo è tanto più grande di quello che diamo, il Signore ci accompagna
sempre, e quegli uomini che Dio ama sono diventati i nostri fratelli.
O. L.
Sono a Redona dal 1972 ed è qui che è iniziato in maniera più impegnata il mio cammino
di fede e di ricerca. Ho seguito, a volte con fatica, le molte iniziative pastorali attente a
costruire una comunità cristiana aperta e solidale. La partecipazione alla messa
quotidiana con l'ascolto della "parola" mi ha permesso di riscoprire l'importanza di
appartenere ad una comunità che sa accogliere e costruire legami di amicizia e
condivisione. In chiesa mi sento "a casa" e uscita di chiesa cerco di mettere in pratica
l'insegnamento che da essa ho ricevuto. Un altro momento per me importante è stato
entrare a far parte della San Vincenzo. L'esperienza del gruppo mi ha aiutata a
confrontarmi con altre persone, a capire le mie fragilità e a costruire legami profondi di
amicizia. A capire inoltre in maniera più forte l'importanza della "carità" gratuita e
disinteressata attraverso la testimonianza di chi prima di me aveva fatto tesoro di questa
esperienza. Don Sergio è stato il faro che ha illuminato la strada da percorrere, ma devo
dire grazie anche agli altri sacerdoti della comunità che in questi anni mi hanno aiutata e
sostenuta nel mio cammino di fede.
A. R.
14
E se fosse proprio la parrocchia il mio cammino di fede? La parrocchia in termini di
frequentazione, di impegno e di servizio. Fino ai 35 anni, neppure mi ero mai chiesta cosa
significasse percorrere un cammino di fede cristiana. A parte quello "obbligato" della
fanciullezza e dell'adolescenza. Poi il vuoto. L'abbandono e la liberazione dalla Chiesa, che
ti viene dall'illusione di avere una vita tutta "tua" con il matrimonio, dovè a scegliere credi
di essere solo tu. E la mia prima scelta è stata proprio: basta Chiesa. A parte piccoli ritorni
sporadici per qualche messa domenicale. Cammino di fede, quindi, per me fino all'età
adulta, ha voluto dire dovere. Poi, il tempo di un "respiro", e ti trovi a 35 anni. Già vedova
da quattro, e con una figlia che dovrebbe fare la prima comunione. A questo punto, il
cammino di fede assume il significato di coerenza. Come si fa a dire a una figlia, da oggi in
poi Vai a messa, quando della messa si ha a mala pena un pesante ricordo. Però vince la
coerenza. Da oggi in poi "SI Va a messa". Il mio cammino di fede comincia con la messa. O
meglio, nella messa scopro un cammino di fede. I gesti e le parole, fino ad allora vissute
come un ricordo di assoluta estraneità alla mia vita, assumono piano piano un nuovo
significato. Poco sapevo del Concilio, se non il dolce e sentimentale discorso della "luna".
Catapultata dal mondo della scuola, ancora giovanissima, a quello del lavoro, dove la
Chiesa non occupava nella mia personale esperienza, nessuno spazio, un discorso così era
già una bella scoperta. Ma, tornando alla messa, punto di partenza di un viaggio senza
fine, non avrei mai immaginato come dalla messa, potessero poi scaturire e prendere
corpo tutte le scelte della mia vita. E non solo in termini di Chiesa. Anzi, e soprattutto, in
termini esistenziali. Come spiegare, che dal peso del dovere, la Messa della domenica sia
divenuta ormai per me, un bisogno, un piacere. Di domenica in domenica, la risonanza
della Parola e dell'Eucarestia, ha permesso al mio corpo di respirare, quindi di vivere.
Ovunque e sempre. In famiglia, al lavoro, in compagnia di amici e conoscenti, in vacanza...
Quella risonanza ha orientato le mie scelte. Ha allargato, con le tante iniziative pastorali, i
miei orizzonti anche culturali. Anche a una come me, che non ha potuto studiare come
avrebbe voluto e come le sarebbe piaciuto. Ho acquisito il piacere di leggere un buon libro.
Ho scoperto di poter gustare la lettura di un quotidiano. Sono stata aiutata a fare scelte
politiche con cognizione di causa e in tutta libertà. Ho preso consapevolezza dell'essere
madre, ma anche dell'essere figlia. La malattia e la morte hanno toccato anche la mia
famiglia. Ho iniziato a guardare a questo aspetto della vita, con occhi diversi, e come cosa
possibile da vivere e non solo da subire. Gli altri, e soprattutto i diversi, hanno avuto nel
tempo, un pò più di visibilità e di attenzione ai miei occhi. Da: basta Chiesa, a grazie
parrocchia. Grazie a questa parrocchia, ho conosciuto Gesù, da vicino. Ho scoperto che
dietro a lui si può e si deve andare per crescere in umanità. Che si può imparare a pregare,
magari all'inizio un po' maldestramente, per poi arrivare a un dialogo con il Signore e con
sé stessi. Ho scoperto il Vangelo come strumento prezioso ai quale accedere, come pane
quotidiano, non estraneo ma parte integrante della mia vita. Ho ricevuto un regalo da
qualcuno che, quotidianamente e fedelmente, con la Parola mi ha aiutato ad essere quella
che sono. Il mio cammino di fede, è stato andare dietro a qualcuno. Che mi ha fatto
conoscere meglio il Signore. Che mi ha aiutato ad amarlo un po'. E ad essere grata per
questo. Anche con piccoli servizi che ho cercato di fare dentro la comunità, e che spero di
poter continuare a fare con i limiti e con le forze che l'età mi consentiranno.
L. M.
15
Nel settembre del 1981 ho partecipato alla prima assemblea nel nuovo presbiterio; dire
partecipato forse è un po' troppo, perché in realtà me ne sono stata sulla soglia dell'aula 5
(più fuori che dentro) a osservare con molto distacco e spirito critico come procedeva la
cosa. A una domanda ingenua e un po' banale di una persona semplice della parrocchia,
don Sergio ha risposto in modo abbastanza dotto e probabilmente non molto
comprensibile per la persona che aveva rivolto la domanda. Al che io ho immediatamente
pensato "questo qui è un bel soggetto tosto - non sarà facile stargli dietro -però sarà
interessante lavorarci insieme". Per tutto il resto dell'anno pastorale non ho frequentato
molto; andavo a Messa qualche volta alla domenica sera e basta. Ero abbastanza incasinata
per problemi miei e cercavo soprattutto di riprendermi in mano; l'intenzione era anche
quella di "prepararmi" con strumenti adatti ad un incontro che mi incuriosiva. Difatti
nell'anno pastorale seguente ho cominciato a frequentare la catechesi adulti, la Messa delle
10, il ritiro mensile dalle suore...e nella tarda primavera ho avuto il primo incontro
personale con don Sergio. Armata di tutte le riletture dei testi che mi avevano formato in
gioventù (Maritain -Bonhoeffer - testi del Concilio - ecc) mi sentivo pronta al confronto
intellettuale...e lì la sorpresa! A parte la sintonia provata immediatamente sulla
condivisione di alcuni autori, il clima del colloquio ha preso una piega assolutamente
imprevista nella sua semplicità e vicinanza umana squisita. Da lì è cominciata la mia attiva
partecipazione al progetto di costruzione della comunità. Non è stata un'esperienza facile.
Don Sergio diceva spesso che "si diventa amici solo facendo qualcosa insieme" e per me
questo era abbastanza incomprensibile; il mio carattere forte e troppo critico mi metteva
qualche volta in difficoltà e non sempre ero d'accordo sulle sue scelte. Il tempo e la vita
hanno però lavorato instancabilmente dentro di me e man mano capivo che si stava
lavorando insieme a un progetto che non era né suo né mio né di altri della comunità, ma
che era necessario abbandonarsi all'azione dello Spirito perché Lui si facesse evidente nella
piccola storia di Redona, allora mi sono pacificata e la mia collaborazione è diventata più
umile. Siamo invecchiati insieme, forse siamo diventati tutti più saggi; abbiamo imparato a
perdonarci di più; l'anno della malattia di don Sergio ce lo ha avvicinato in modo
incredibile e anche se il saluto è stato straziante, mi è rimasta dentro nel cuore la sua
umanità indifesa, sofferente e comunque sempre grata. Di tutto questo ringrazio il
Signore, e spero di essere capace di raccogliere il testimone.
V. G.
Siamo arrivati a Redona appena sposati, 40 anni fa, io da un'altra città e mio marito da
un'altra parrocchia cittadina. All'inizio non abbiamo frequentato molto la chiesa,
preferendo quella di mio marito. Solo con l'arrivo del primo figlio e il battesimo, il
catechismo etc, siamo diventati più assidui di Redona, senza però prendere parte alla vita
della parrocchia. Diciamo che è stato un avvicinamento diluito nel tempo. E'stato con
l'arrivo del 2° figlio, portatore di handicap, che abbiamo trovato grande conforto e aiuto
nell'accettare la prova, nel parroco di allora. Poi è arrivato il 3°figlio e Don Sergio. E' allora
che abbiamo avuto il dono di una guida, un fratello, un amico; e il nostro essere cristiani
tiepidi si è trasformato divenendo più maturo. Le catechesi nel corso degli anni (con l'aiuto
delle registrazioni, non potendo partecipare per ragioni di organizzazione familiare), la
Comunità parrocchiale così vivace, le iniziative culturali, le Piane, hanno contribuito molto
a questa maturazione. Poi Don Sergio ci ha chiesto di far parte del gruppo Commissione
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famiglia e di partecipare come coppia sposata ai corsi di preparazione al matrimonio. Una
esperienza molto bella: rivirere le aspettative del fidanzamento, mettere in discussione un
rapporto consolidato arricchendolo di nuovi spunti e stimoli, analizzare dal punto di vista
della fede e della morale cristiana le problematiche del matrimonio, aiutare le giovani
coppie a guardare con fiducia al futuro, è stato molto arricchente a livello personale e dì
coppia. Quando, poi, Don Sergio ci ha proposto la nomina a Ministri straordinari
dell'Eucarestia abbiamo avuto un momento di smarrimento, un senso di inadeguatezza
per un compito così denso di significato, consapevoli di essere piccoli cristiani ma
fortemente decisi a continuare il processo di formazione avviato. Sono trascorsi tanti anni
dal mio arrivo in questa parte di città e per me adesso pensare alla Chiesa di Redona è
pensare di essere a casa: una casa accogliente, piena di amici, di legami, dove l'ascolto,
l'attenzione verso gli altri, verso le diversità, l'amore per la città, per l'Uomo sono il modo
di essere cristiani oggi e il modo migliore per far emergere il Vangelo.
N. M.
Se penso alla mia esperienza cristiana sin dai tempi in cui per tradizione tutti lo eravamo,
mi sembra di individuare con certezza come la mia convinzione si sia fondata sull'ascolto
della Parola. Era primavera, era appena stata celebrata la Pasqua, io avevo quindici o
sedici anni e avvertii per la prima volta il passo del Vangelo dei “Discepoli di Emmaus”.
Improvvisamente anche a me si aprirono gli occhi e scoprii Gesù risorto che aveva vissuto
da Uomo. Ricordo ancora oggi in modo molto vivo la sensazione di gioia per questa
scoperta e il desiderio di conoscere la storia di Gesù. Avevo più o meno la stessa età ed
era inverno, quando ascoltai per la prima volta il passo di Isaia 42,3 che recitava “ non
spezzare la canna vessa , non spegnere il lumignolo fumigante”. Queste parole diedero
senso agli insegnamenti trasmessi da generazioni e la scoperta come già i miei avi,
attingendo all'Antica Scrittura, consigliavano come accostarsi al prossimo. Anni dopo,
nell'estate della vita, con figli bambini, la percezione di una primavera nella Chiesa con
l'attuazione del Concilio Vaticano Secondo che indicava cammini verso orizzonti nuovi: l'
apertura ad ogni uomo di buona volontà, l'assegnazione di ruoli ai laici nelle comunità e
l'accostamento rinnovato alle Scritture. In particolare poi, in questa comunità, per
decenni, con l'ascolto e l'approfondimento della Parola, insegnata con infinita passione e
competenza, svelata, interpretata ed attualizzata affinché fosse tradotta nelle azioni
quotidiane del nostro vivere. Ed oggi, è ancora la Parola che mi interroga e mi dà risposte,
in particolare quando il senso di responsabilità, l'impegno, il timore lasciano il posto alla
gioia ed all'entusiasmo di annunciare ai piccoli la Buona Notizia.
L. T.
Il corso per i fidanzati, la vicinanza alla vita di coppia: quali
esperienze!
La nostra storia personale si incrocia con la Comunità di Redona all'inizio della storia della
nostra vita di coppia: dopo pochi mesi di fidanzamento ci siamo iscritti al corso per
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fidanzati a Redona non perché avevamo deciso di sposarci, ma perché abbiamo intuito
l'aiuto che ne avremmo potuto ricavare come coppia e perché avevamo sentito il bisogno
di dare una dimensione più spirituale al nostro rapporto. Sia per i temi trattati che per la
modalità di comunicazione all'interno del gruppo, quel corso ci è servito a più livelli:
• riscoprire che la Fede abbraccia tutto e riflettere su cosa c'entrano Dio e la Chiesa nella
nostra storia di coppia e successivamente nella decisione di sposarsi in chiesa;
• per discutere con altre coppie e tra noi due sui vari temi proposti: gli scambi di opinione
e le riflessioni che facevamo al termine di ogni incontro hanno arricchito la conoscenza
dell'altro e hanno posto le basi di quel "linguaggio comune" e dei valori condivisi che
rappresentano l'impronta unica di ogni coppia: noi provenivamo da esperienze e
pratiche religiose diverse e il corso per fidanzati ha rappresentato l'occasione per
tracciare alcuni percorsi comuni;
• per intuire l'importanza che la formazione di una nuova famiglia ha nel contesto più
ampio della società e dei rapporti con gli altri (ad esempio: le famiglie d'origine, i vicini
di casa, il quartiere), cioè il valore sociale del matrimonio.
Dopo il matrimonio abbiamo continuato il cammino con la partecipazione alla catechesi e
agli incontri specifici con le giovani coppie: da questi momenti nascevano scambi e
confronti con gli altri, ma soprattutto fra noi due; il modo di parlare della coppia partendo
dalla Scrittura (per un anno si è lavorato sui cap. 2 e 3 di Genesi) ci dava spunti di
riflessioni e chiavi di lettura, ci aiutava a vedere il senso profondo e religioso della vita
quotidiana. Negli anni successivi è stato naturale rispondere alla richiesta di
collaborazione nell'ambito della pastorale familiare: prima abbiamo portato la nostra
esperienza all'interno del corso per i fidanzati come coppia sposata e in seguito abbiamo
fatto visita alle famiglie che chiedevano il Battesimo. Questo impegno ci è sembrato un
giusto contributo in risposta a quanto sentiamo di avere ricevuto e di ricevere dalla
comunità di Redona, nell'ottica di uno stile pastorale che valorizza e richiede ai laici una
partecipazione attiva nella costruzione della vita cristiana. Queste riflessioni si possono
estendere anche al consiglio pastorale: quando abbiamo iniziato a partecipare siamo
rimasti colpiti dalla concretezza delle tematiche che Don Sergio faceva rientrare nell'
"umanesimo cristiano": per un anno si è affrontato il tema dell'esperienza cristiana nella
professione e l'anno dopo nella scuola.
S. e D. B.
Quando entri nel salone per il primo incontro del corso dei fidanzati sei da un lato curioso
e dall’altro un po’ scettico.. In tanti ti hanno parlato di questa esperienza come una delle
più belle riflessioni condivise prima del matrimonio. Ma cosa avrà mai ancora da dire
questa Chiesa ai giovani di oggi? Conviviamo da anni.. ormai da un po’ abbiamo capito
cosa significhi amare una persona, dividere gli spazi e le fatiche, sacrificarsi per l’altro.. del
resto la scelta di convivere uno la fa proprio per capire se la cosa può funzionare, con tutte
le coppie in crisi che ci sono chi se la sente di prendersi in casa a scatola chiusa uno che
potrebbe poi rivelarsi l’opposto di quello che ti ha fatto credere? E se la Chiesa ancora non
ha capito questo che cosa potrà mai dirmi di così significativo da rendere obbligatoria la
presenza a questo corso? Non sarà l’ultimo tentativo per accalappiarci con le sue teorie
religiose antiquate? Tuttavia all’idea di matrimonio in fondo ci credi davvero e se sei qui è
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perché senti che la tua felice esperienza di coppia è rimasta ancora troppo ancorata
all’ambito personale; manca di un lungo respiro, di un riconoscimento sociale e non è
assolutamente in grado di testimoniare del tutto la sacralità che senti trafilare dalla grande
gioia di essere insieme. E poi vorresti proprio provare a condividere questo tuo sentire con
altre persone che vivono le tue stesse emozioni e credi che questa “malandata” Chiesa sia
ancora uno dei pochissimi luoghi dove ci si preoccupa di offrire un confronto su temi che
riguardano gli aspetti profondi della vita e dell’umano. E così ti riceve un’ospitalità
matura e accogliente, ti lasci condurre in un vasto cammino di riflessione e ti trovi insieme
ad altre coppie portatrici di esperienze tutte differenti e particolari come sono le storie
degli uomini, a condividere un viaggio bellissimo, accumunati dalla voglia di scoprire il
senso ultimo della presenza e veridicità dei sentimenti profondi che ognuno prova per la
propria metà. E nell’indagare le radici antropologiche del matrimonio, la sua valenza
sociale e il legame che l’amore possiede con quell’atmosfera e quelle sensazioni che
generalmente associamo alle cose dello spirito, del sacro e dell’infinito, affiora a poco a
poco una visione, una interpretazione, uno stile cristiano che apre ad un nuovo modo di
vedere la vita e vede nella scelta dell’affidarsi ad un’altra persona, il rimando al mistero di
una sorgente di infinita tenerezza da cui tutto nasce. Le nozioni di catechesi ricevute da
bambino e rimaste nella mente come racconti sbiaditi di favole e ritualità, vengono ora
sostituite da una costruzione ed una visione ontologica illuminante e ricca e ti rendi conto,
forse per la prima volta, di quanto profonda e bella sia la proposta cristiana per il
cammino di vita dell’uomo. Ti accorgi allora di avere molta sete di questo sapere e di
voler ripercorrere un cammino a ritroso che ti illumini sia nella rielaborazione delle
abitudini e dei gesti che vedevi compiere ai tuoi nonni, sia nella costruzione di un
baricentro da cui partire per provare a compiere le scelte di ogni giorno mantenendo fede
e rimanendo coerente allo stile di vita che il Vangelo ti propone. Le serate di incontro delle
giovani coppie in fondo non sono che questo: ritrovarsi tra amici che si scambiano pensieri
ed esperienze sulle cose che accadono loro nella quotidianità, mettendoci dentro un po’ di
Vangelo per provare ad impastare le proprie vite con un lievito buono. E in questi primi
passi che compiamo ancora pieni di luce e di esperienze gioiose sperimentiamo insieme un
senso di fratellanza, di appartenenza ad una comunità che apre le porte, che accoglie con
ospitalità matura, che condivide il viaggio in semplicità e verità, che ti passa il testimone
perché anche tu possa compiere la tua parte verso altri che arrivano.
L. B. e E. T.
Si recupera anche l’inizio della storia della comunità dopo il
Concilio.
Ricordo nel ‘75 circa, quando tramite amici mi avvicinai per la prima volta alla parrocchia
di Redona. Erano da poco arrivati a Redona un parroco (don Romano Breviario) e preti
nuovi che avevano deciso di vivere in comunità e aprire le porte dell’oratorio e della casa
parrocchiale agli adolescenti. Non si trattava di emulare le Comuni sbandierate nel ’68,
quanto di provare a promuovere un nuovo modello di vita insieme condividendo uno
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spirito di unione e fratellanza che avesse il proprio fondamento nella liturgia e cercasse
quindi di mettere in pratica le scelte di vita profonde che il Vangelo proponeva. Abituati a
realtà totalmente diverse questa nuova impostazione diede uno slancio enorme al gruppo
di giovani che si attivò con entusiasmo alla realizzazione di uno stile cristiano più vicino
alla gente ed alle persone più deboli. Nacquero numerosi progetti per le diverse realtà e
fragilità: quali il servizio agli anziani portato avanti anche attraverso il contatto che si
determinava attraverso la consegna del giornale Comunità Redona o l’iniziativa “Il
guardaroba del povero” per i più bisognosi. Senza forzature queste esperienze
consentivano di riscoprire il valore della liturgia come punto di riferimento nelle scelte che
riguardano la propria vita. Giorno per giorno sperimentavamo la forza del messaggio
cristiano diventando protagonisti responsabili di realtà che coinvolgono cose e persone e
promotori di iniziative che possano unire e creare momenti di condivisione. L’oratorio
subì un forte impulso alla creazione di iniziative verso i ragazzi più giovani. Con poche
strutture e mezzi si organizzavano spettacoli, sfilate di carnevale, castagnate, campeggi e
gite. Il coro ufficiale era il Cantallegria che arrivava a contare anche 90 ragazzi, poi c’era il
teatro per i ragazzi che diventò un punto di incontro per formidabili gruppi di attori in
erba dove i più grandi operavano dietro le quinte aiutando a costruire costumi,
scenografie, ed incoraggiando i ragazzini nei loro momenti di sconforto durante il loro
percorso di crescita. Anche la catechesi diventò un momento atteso e vissuto con molto
impegno, perché era la prima volta che i giovani si sentivano ascoltati e potevano parlare
delle loro difficoltà nel vivere la fede. Era anche uno spazio molto utilizzato per trattare ed
approfondire temi importanti che la società ci poneva di fronte: i diritti dei bambini, il
problema casa, lo sfruttamento delle miniere d’oro. La messa dei ragazzi in chiesina venne
istituita per aiutare i più piccoli nella comprensione della Parola. L’uso di un linguaggio
finalmente comprensibile e la scelta di esempi in grado di saper comunicare ai bambini le
verità profonde contenute nel Vangelo consentì a più giovani di sentirsi veramente parte
integrante della Comunità e del progetto di vita che all’interno di essa si stava
proponendo. Siamo cresciuti e diventati adulti e nel frattempo sono cambiati il Parroco e i
preti ma il discorso di Comunità è rimasto. Chi come me era arrivato da esperienze
diverse, può dire di essere stato fortunato, perché abbiamo incontrato, conosciuto,
condiviso con altri sensazioni, scelte e azioni che da soli non avremmo mai scoperto.
A. B.
I fiori in chiesa? Non sono solo una decorazione…
Preparare i fiori in chiesa in modo appropriato e bello è un’arte che non ha regole, ma
nasce da esperienze fatte insieme e trasmesse. E’ una sapienza che nasce dal fare con
amore. C’è una verità, una sincerità, un’intelligenza concreta che bisogna sempre
rispettare e cercare. Trovare alla messa della domenica una composizione di fiori ben
preparata, può far capire il senso di una comunità. Qualcuno è venuto prima di te, ha
preparato il posto e l’incontro con il Signore creando un clima di accoglienza e un po’ di
bellezza. Ha messo in comune la proprie qualità, i propri talenti ricevuti; non li ha tenuti
gelosamente per sé, ma li ha spesi per la casa di tutti. Lo splendore della natura entra in
chiesa, ti dà gioia, ti aiuta all’incontro con Colui che ti ha invitato e ti accoglie per un
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incontro d’amore. I fiori sono una delle cose più belle del mondo; sono una parte della
terra vestita a festa, un regalo che il Signore fa all’uomo. Il fiore ha un centro, un cuore che
è un invito ad entrare, a raccogliersi, e dei petali che vanno in tutte le direzioni verso
l’universo. E’ l‘impronta di Dio nel mondo, è il suo sorriso. Un semplice fiore, da solo,
esprime la sua caducità e la sua vittoria sulla vita, la sua fragile incertezza del domani e la
fecondità del tempo. Il mazzo di fiori deve portare la sua verità, la sua bellezza a servizio
della liturgia. La comunità è riunita dalla parola e dalla presenza misteriosa di Gesù
risorto, perciò i fiori devono entrare in questo clima e imparare l’arte dell’accogliere,
dell’esprimere, del comunicare. Non devono essere al centro, attirare l’attenzione su di sé,
ma essere umili, scomparire di fronte ad altri segni più importanti. Con loro entrano nello
spazio della chiesa le stagioni e la storia. A stagioni diverse, fiori diversi, ad avvenimenti
diversi, diverse composizioni. Il tempo liturgico colora in modo diverso la composizione
floreale. Un sola composizione può avere maggior forza di molti vasi sparsi nella chiesa.
Per questo servizio bisogna sempre far riferimento alla liturgia: il senso dei riti, la
conoscenza dell’anno liturgico, l’amore per la parola di Dio. Alla base c’è anche un lavoro
comunitario in collaborazione con gli altri membri delle équipes liturgiche. La liturgia
infatti è un tutto: luce, musica, colori, decorazioni… Tante espressioni attraverso le quali la
comunità si lascia penetrare dall’infinita ricchezza dell’unica Parola. Niente è di
secondaria importanza. Non dobbiamo mai dimenticare la leggerezza e la semplicità che
la fede ci chiede in ogni cosa che facciamo, perché anche noi, come i fiori, siamo piccola
cosa, chiamati ad entrare in una storia più grande. Un grazie a Don Sergio per averci
permesso di approfittare della sua esperienza spirituale e concreta, perché l’arte della
decorazione floreale al servizio della liturgia unisce incessantemente nella lode Colui che è
inviato dal Padre a coloro che costituiscono il suo corpo, la sua Chiesa.
F. B.
La cura e l’attenzione che la comunità dedicava all’assemblea eucaristica emergeva spesso
anche da piccoli dettagli come la scelta dei fiori: non si trattava solo di offrire in dono un
elemento ornamentale rappresentativo della bellezza del creato, ma di utilizzare il loro
potere simbolico affinché attraverso i loro colori, le loro forme, i loro significati
diventassero anch’essi espressione artistica in grado di mettere in evidenza i vari passaggi
della liturgia. In prossimità del periodo di Quaresima, il gruppo Fiori sentiva ancor più
l’importanza discreta di questo servizio perché la Comunità stava entrando in un periodo
di maggiore sensibilità e ascolto della Parola e questi piccoli dettagli diventavano possibili
strumenti silenziosi atti ad evocare un contesto emotivo favorevole alla preghiera e
riflessione. Ricordo che un anno, a ridosso del Carnevale, Don Sergio ci chiamò con aria
divertita e, come fossimo un gruppo di collezionisti di opere d’arte, organizzammo una
spedizione notturna a casa di uno scultore. Passeggiando tra le stanze ricche di statue e
terrecotte ognuno esprimeva le proprie emozioni e sensazioni che sentiva evocare ed alla
fine si palesava davanti a noi l’opera adatta. Felici ed ancora emozionati ritornavamo in
Chiesa, la posizionavamo e ricominciavamo ad osservarla nel suo nuovo contesto, questa
volta per individuare un possibile fiore che potesse legarsi alla scultura ed alla parola.
Pian piano ognuno vinceva la propria timidezza e si lasciava trasportare dalle sensazioni
che la scultura riusciva a richiamare. Si condividevano i pensieri e maturavano le idee sul
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tipo di composizione floreale più adatta ad esaltare l’opera ed alla fine ci sembrava che la
natura e l’arte prodotta dalla mano dell’uomo si unissero insieme per essere a servizio
della Parola. Era un piccolo gesto di amore che il nostro parroco riservava ai suoi fedeli e
nel partecipare un poco alla sua realizzazione ne coglievamo il senso, lo stile sobrio e la
passione profonda che accompagnava ogni cammino cristiano percorso dalla Comunità di
Redona.
G. R.
…ma il canto e la musica sono le dimensioni essenziali di ogni
liturgia
Ripensare alla mia vita senza riferimento alla comunità parrocchiale mi è impossibile.
All’età di 17 anni l’incontro con il presbiterio di allora (don Sergio, don Giuseppe e don
Angelo) mi ha permesso di iniziare ad assaporare il “clima di comunità” e gli aspetti
della pastorale, della liturgia e del servizio sono entrati a far parte del mio vivere
quotidiano. È con gratitudine che ripercorro la storia, le esperienze vissute e la gente
incontrata in tutti questi anni: una riconoscenza profonda per ciò che ho imparato, per ciò
che mi ha permesso di nutrire la mia fede e per ciò che mi è stato reso possibile offrire.
L’incontro con tante persone e le loro storie sono stati momenti significativi, ricchi di
profondità umana e spirituale che hanno sostenuto e incoraggiato l’esperienza di
dedizione alla mia comunità parrocchiale e mi hanno educato ad intrecciarne il senso
anche con l’attività lavorativa. Tra le tante esperienze vissute in questa comunità il lavoro
con il coro e la dedizione al canto e alla musica nelle nostre liturgie rappresentano uno dei
momenti belli di questi anni. La cura per una liturgia fatta con serietà e sobrietà di gesti,
per una liturgia capace di rendere viva la Parola condivisa e assaporata insieme alla mensa
comunitaria, per una liturgia nella quale il canto, la musica e l’uso degli strumenti
assumono un significato particolare, rappresentano uno dei patrimoni che ci portiamo nel
cuore ed è frutto di passione e insegnamento da parte di chi ha interpretato le indicazioni
del Concilio come un faro prezioso per la vita del cristiano di oggi. La scelta fatta nella
nostra comunità di non creare una Corale dedicata al canto, ma di trovare persone che
sostengono l’esperienza del cantare e del fare musica di una Assemblea comunitaria è
stata, secondo me, una scelta significativa e coraggiosa che ha permesso di fare delle
nostre liturgie un luogo di preghiera per tutti. E di questo dobbiamo essere grati a don
Sergio che ha sostenuto in tutti questi anni anche questo “stile” di essere comunità
alimentandolo con la formazione alla liturgia e attraverso l’educazione al “bello” e al
“profondo”. Quando cantiamo nelle nostre assemblee e il canto riesce a essere preghiera
vissuta da tutta la comunità sento che la fede di ciascuno di noi si sta incontrando e si sta
abbracciando e che il Vangelo sta passando dentro la nostra vita. E questo piccolo miracolo
si ripropone e si amplifica ogni domenica quando il servizio alla liturgia diventa
comunitario, quando il nostro cantare è il cantare dell’assemblea che celebra,
dell’assemblea che si raduna fraternamente per condividere la comunione eucaristica e per
sottolineare, ancora una volta, che l’insegnamento del Vangelo è la fonte della nostra vita
di fede.
M.C.
22
I ragazzi di ieri, i giovani di oggi: quanto impegno, quante attività
Sono nata in una famiglia in cui il concetto di comunità è sempre stato importante. Infatti i
miei genitori, non appena arrivati qui a Redona, non hanno potuto che innamorarsi di ciò
che si stava costruendo 35 anni fa, e hanno provato nel loro piccolo a farne parte. Quindi
fin da quando ero piccola ho imparato a conoscere questa dimensione comunitaria,
rendendola qualcosa di necessario ed ineliminabile per la mia vita, proprio come la
famiglia. Posso dire di aver sempre visto la mia comunità come una ragione di orgoglio, e
di aver assaporato tante volte la fortuna di essere nata qui e non altrove. Ovviamente il
luogo per me più significativo, più carico di ricordi, è in particolare l'oratorio. La vita in
oratorio è stata inizialmente gioco, grazie all'esperienza del Redonestate; in questo gioco
però ho potuto apprendere molte cose, come lo stare a contatto con tante persone diverse
da me, con cui relazionarsi era meno automatico. Ma quel mese passato insieme aveva il
potere di far sparire ogni differenza, per lasciare spazio al "gruppo", un insieme di amici
grandi e piccoli che erano diventati una cosa sola, con l'obiettivo di scalare la classifica ma
soprattutto di divertirsi. Una volta cresciuta ho iniziato a cogliere le occasioni di incontro e
crescita che mi sono state offerte, soprattutto nel percorso dell'atelier che mi ha
accompagnata per tutta l'adolescenza. Quello era per me un momento d'incontro, dove
ridere e ascoltare le storie di amici che magari avevo perso un po' di vista. Ma la forza
dell'atelier sta principalmente in quelle persone, gli animatori, che arrivano con i loro
vissuti e i loro problemi e donano un po' del loro tempo ai ragazzi, diventando loro guide
e amici. E questi sono incontri che non si dimenticano facilmente. Ora le cose sono un po'
cambiate, non tanto perché sono diventata io l'animatrice, ma piuttosto perché soffro nel
non riuscire a trasmettere a tutti i miei ragazzi la bellezza di questi momenti, che loro
ultimamente preferiscono evitare, forse per paura di mettersi in gioco. Altra cosa che devo
alla mia comunità è stata la capacità di mantenere viva la mia fede, come una parte
importante, anche se silenziosa, della mia vita. Ho il ricordo di quando sono diventata
"grande", e ho iniziato a seguire i percorsi della messa domenicale in chiesa maggiore e
non più con i ragazzi. Di questi momenti ho sempre apprezzato il senso di fraternità
percepito non appena entrata in chiesa, ma soprattutto le parole di Don Sergio, che sapeva
trasmettere davvero a tutti -con grande intelligenza, ma nello stesso tempo con la pazienza
e la semplicità di un maestro- certe riflessioni che sarebbero rimaste nella mia mente una
volta uscita da messa. Noi giovani d'oggi possiamo fare quello che vogliamo, andare dove
preferiamo, senza davvero avere limiti. E forse è questa una delle ragioni che ha reso
meno attraente l'idea di comunità così come io la vedevo. Eppure io sento ancora forte
l'esigenza di rimanere legata a quella che è stata la mia casa per tutta l'infanzia e
l'adolescenza.
G. G.
L’incontro con l’adolescenza di quartiere è un’esperienza ricchissima, colorata, intensa e
profonda perché fortemente condivisa. Ognuno di noi ci è arrivato partendo da punti e
momenti della propria vita molto diversi e da questa diversità è nata una collaborazione
nel fare atelier e legami preziosi che vogliamo condividere. Dieci anni fa Don Patrizio mi
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fece una serie di proposte, si trattava di riprendere a fare qualcosa per l'oratorio dopo
l'interruzione della catechesi, tra queste proposte c'era l'atelier, seguire gli adolescenti
come riferimento adulto, gli chiesi cosa gli serviva di più e lui mi disse gli atelier.
Immaginavo che stare con gli adolescenti presupponesse avere una serie di competenze
specialistiche in campo educativo, psicologico, di teatro ed altro ancora, quindi pensavo di
non essere all'altezza. Avevo dalla mia parte alcune capacità: ascolto, organizzazione,
collaborazione, tecniche di formazione, ma soprattutto avevo il vissuto della Comunità, si
trattava di fare il collante tra il mondo degli adulti ed i ragazzi, da genitore avevo vissuto e
stavo vivendo l'adolescenza dei miei figli. La cosa più importante è stato stabilire un
rapporto con gli animatori, alcuni di loro avevano già fatto un primo giro. La partenza è
stato proprio capire i punti deboli della loro esperienza e lavorare affinché non lo fossero
più. C'è voluto del tempo, abbiamo discusso tanto in modo positivo per cercare di capire
quale strada intraprendere, cosa fare, quale attività, quali argomenti, rileggere le attività,
quelle andate bene e quelle che per noi sembravano importanti ma non erano invece
apprezzate dai ragazzi. Avevamo libri da leggere per giochi di animazione, tante letture di
Comunità Redona che si traducevano nelle nostra attività. E poi un grande legame, una
bella amicizia con gli animatori, delle belle serate attorno ad un tavolo, ricco delle tante
belle nostre vite diverse ma con uno sfondo comune, la passione dello stare con i ragazzi.
Ai ragazzi, arrivati in terza media, si proponeva un’occasione per creare anche con loro un
legame, far capire la differenza tra il Cre, l'atelier e la catechesi, tre cose diverse, anche se
con un filo comune: accompagnare i ragazzi nella fase dell'adolescenza. Anche con loro,
inizialmente, la mia figura di adulto assumeva il ruolo dell'autorità, in realtà di
autorevolezza, in quanto era necessario fissare dei limiti, delle regole che permettessero di
stare bene insieme. I primi anni, tanta pazienza perché il caos era di casa, ma poi arrivati
in terza e quarta superiore, il momento delle discussioni, dello scavare su ciò che siamo,
ciò che viviamo, le nostre paure, ciò in cui crediamo, il tutto a confronto, il nostro modo di
vedere ed il loro che diventava il "nostro atelier" ragazzi ed animatori. Abbiamo adattato i
nostri temi a seconda del gruppo di ragazzi, in un primo percorso, ove faticavano a creare
il gruppo, abbiamo fatto tante attività aggregative, giochi di gruppo, cucinato insieme,
proposto film, teatro, ed argomenti dall'amicizia alla solidarietà, per scoprire le diversità
ed accettarle, mentre quando erano già gruppo abbiamo lavorato affinché affiorasse la
singolarità di ognuno, il tema della relazione, la sessualità.... Credo che il ruolo dell'adulto
con un po’ di esperienza del vivere, sia importante per mediare le diverse situazioni, ma
soprattutto per aiutare a creare i legami, perché sia gli animatori che i ragazzi sono
persone diverse ed uniche, vanno accolte. Stare con gli adolescenti richiede serietà nel
senso che non si può improvvisare, il lavoro va preparato con cura, in ogni dettaglio,
perciò richiede tempo e fatica, ma ciò che si riceve è più grande, creare un rapporto sereno
con i ragazzi nell'adolescenza è un bel regalo, per loro ma anche per noi. Lo è anche
quando si arriva alla fine e ti chiedono di restare con loro per riprendere ancora una volta
una nuova avventura con un altro gruppo. Sono convinta che questo stare con loro, sia un
bell'esempio dell'essere cristiano, anche se a volte non si riesce a pregare ma il modo in cui
si vive questa esperienza è essere cristiani perché si ha cura di loro, e questo resta.
O. L.
24
La mia adesione al gruppo di animazione dell'atelier è stata una risposta ad un invito
esplicito da parte di don Sergio a fronte di una candidatura spontanea a partecipare alla
vita della parrocchia. L'attività con gli adolescenti non era proprio il primo ambito nel
quale pensavo di potermi spendere. Tuttavia quello rimaneva uno spazio dove operare e
nel quale veniva richiesto aiuto. Così nel 2010 ho aderito e sono stato inserito nel gruppo
di prima superiore che quest'anno stiamo accompagnando in quarta superiore.
La mia esperienza si può riassumere nella logica del "dai e riceverai sempre più del cento
di quel che hai dato...". Non avevo grande esperienza in fatto di animazione giovanile,
non sapevo bene nemmeno quello che si faceva in queste attività, erano anni che non
frequentavo assiduamente un oratorio. Eppure, la semplice volontà di esserci mi ha
restituito molto, moltissimo. Ecco cosa mi ha "restituito" l'atelier. Anzitutto la conoscenza
di Sara, divenuta tre anni dopo mia moglie. E forse lo scritto potrebbe fermarsi già qui....
Inoltre mi ha fatto conoscere altri "colleghi" animatori con i quali si sono strette relazioni
vere, autentiche, vive; persone che sono state compagne di viaggio e di esperienze in tutti
questi anni. Persone davvero in gamba e motivate a fare qualcosa di buono per gli altri.
Infine mi ha avvicinato al mondo degli adolescenti con un approccio non troppo adulto e
nemmeno troppo "vicino" alla loro età. Partendo dal piacere e dalla fatica di comunicare
vicendevolmente ho dato loro fiducia e ne ho ricevuta, ho provato a raccontare qualcosa
della mia esperienza di crescita ed ho imparato da loro come si può crescere, mi sono
aperto un poco ed ho ricevuto ancora una volta più di quanto potessi sperare. Oggi siamo
al termine di un ciclo nel quale abbiamo accompagnato una classe di ragazzi: nel cuore
porto le immagini di tanti volti incontrati in oratorio e fuori da esso, immagini che
restituiscono il sapore vero delle gioie più semplici condivise. Grazie.
P. S.
La mia esperienza all’atelier nasce ai tempi delle medie quando, adolescente, decisi di
aderire alla proposta che ci veniva fatta dall’oratorio di partecipare a questo laboratorio
pensato proprio per noi giovanissimi con la volontà di accompagnarci nella delicata ed
effervescente età adolescenziale. Ero una ragazzina che con le sue amiche e amici di scuola
e di quartiere aderiva alla proposta, per me iniziale, di stare in compagnia.
Successivamente è divenuto un momento personale, anche se pur sempre in condivisione
con coetanei e animatori, per guardarmi dentro e buttare fuori, per esplorare me stessa e
un modo di stare con gli altri. Sono stati anni ricchissimi di incontri, divertimento,
esplorazioni, gioco e preghiera, anche quest’ultima proposta sotto forma di gesti pensati
per l’età adolescenziale. Al termine dei cinque anni di atelier, in quarta superiore, è stato
naturale, immediato, aderire con entusiasmo alla nuova proposta di diventare animatrice
di un gruppo di ragazzi che partiva dalla terza media. Nessun dubbio sulla volontà di far
parte di questa squadra, solo la curiosità di sperimentarsi. All’inizio era tutto un giocare
con i giovanissimi, del resto la mia età mi spingeva in quella direzione, pur con la
consapevolezza che il ruolo era un altro, dell’animatrice di atelier che mette in gioco le
proprie risorse allineandole a quanto elaborato e progettato con gli altri animatori. Con noi
l’adulto di riferimento a tenere le fila del gruppo. I primi cinque anni di atelier sono
trascorsi nell’allegria di noi amiche che ci ritrovavamo a fare esperienza di progettazione
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pur nella fatica inziale di capire come poterlo fare al meglio cercando di proporre attività
che fossero una mediazione tra animative ed educative. Terminato il primo ciclo di atelier,
a fronte di un nuovo percorso di cinque anni, il gruppo di animatori è cambiato molto, alle
amiche sono subentrate persone nuove con la conduzione del gruppo da parte di un
nuovo adulto e con questo nuovo assetto un nuovo modo di fare atelier con una classe di
adolescenti a sua volta molto diversa dalla precedente. A rimanere costante, nonostante gli
impegni dentro e fuori la parrocchia aumentassero, la volontà di continuare a fare l’atelier,
che era il mio modo di vivere il quartiere. Man mano che passavano gli anni, ormai al mio
terzo giro di boa come animatrice, aumentava la differenza di età con i ragazzi e
conseguentemente il mio modo di stare con loro. La modalità sbarazzina e istintiva
lasciava spazio, senza che lo cercassi, ad una conduzione più mediata e disciplinata che
portava con sé risorse e fatiche, alla fine sempre ricompensate! In questi vent’anni di
atelier, come adolescente e come animatrice, non posso fare a meno di fare un bilancio che
vi anticipo subito è in positivo! Ho costruito poco alla volta il mio modo di stare e vivere
dentro il quartiere, in un’ottica di servizio portando a casa la conoscenza di moltissime
persone, molte delle quali divenute amicizie preziose e punto di riferimento . Questo
modo di vivere il quartiere come una casa da abitare insieme a persone con esperienze così
diverse è diventato anche un modo di stare nel mondo e di viverlo. Con la passione che
porto sempre dentro nell’incontro con l’altro, con quello che è talmente diverso dal mio
modo di fare e vivere che c’è solo da ascoltare e custodire! Porto con me l’incontro
inaspettato e prezioso con Paolo che da pochi mesi è divenuto mio marito e mio splendido
compagno di vita. Porto lo sguardo discreto e affettuoso di Don Sergio che quando vedeva
noi animatori stare con i ragazzi si illuminava e in quel sorriso calmo e accogliente ho
sempre letto il messaggio appassionato di chi ama la vita. Porto lo stile del non sottrarsi e
provare a darsi, sia come animatore che come adolescente. Porto i tanti ragazzi incontrati
con cui ho condiviso esperienze intense pur nella semplicità dei gesti. Gli animatori
susseguitesi negli anni che hanno acceso gli entusiasmi e la vitalità nelle aule dell’oratorio.
Porto l’importanza dello stare con, oltre del fare per, del dare testimonianza di presenza e
coerenza, anche a fronte della fatica di capire se per i ragazzi il lavoro che si sta facendo ha
significato. Porto lo stile dell’accoglienza, che ora che sono “grande”, diviene lo stile con
cui desidero costruire e crescere la mia nuova famiglia e continuare a curare la famiglia
più grande che considero questa parrocchia e le persone che la abitano.
S. C.
Il mio ingresso all'Oratorio delle Grazie è originato dall'attività sportiva ( pallacanestro),
per Antonio era la parrocchia in cui viveva, dove si è cresimato e dove, anche lui, faceva
attività sportiva. Per noi il primo valore nell'ambito parrocchiale sta nella sua capacità di
aggregazione attraverso le iniziative di educazione alla fede, formative, ricreative e
sportive. Sia io sia Antonio ci siamo quindi lasciati coinvolgere, in modo forse
inconsapevole, insieme ad altri amici; dopo aver ricevuto molto dai più grandi, nelle
attività di animazione, a nostra volta siamo diventati animatori. Sono ancora vivi i ricordi
delle nostre settimane ai campi scuola della Parrocchia, dove nella semplicità dello stare
insieme e del pregare insieme si sono creati rapporti di profonda amicizia. Fondamentale
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per la nostra crescita è stato l'incontro con persone di valore che ci hanno trasmesso molto,
ci hanno trasferito un senso forte di Comunità e hanno contribuito a stimolare in noi un
desiderio di restituire quanto avevamo ricevuto. Riteniamo fondamentale nella nostra
esperienza aver incontrato persone che si prendevano cura dell'altro, della crescita e della
formazione di altri in maniera gratuita e disinteressata. Anche l'impegno sociale e la
solidarietà sono valori forti, che abbiamo potuto riscontrare nella nostra esperienza
parrocchiale, in particolare qui a Redona. Questi valori si possono e si devono trasmettere
sin da quando si è "ragazzini". La comprensione di questi valori probabilmente l'abbiamo
maturata in età più adulta. Da giovani si è più trascinati da un senso di amicizia e di
piacere nello stare insieme; per questo motivo pensiamo che sia fondamentale per una
Parrocchia e per un oratorio la capacità di aggregare e di trattenere i giovani che col tempo
possano comprendere ed elaborare il grande dono che si può ricevere da tali esperienze.
Anche oggi da genitori ricerchiamo all'interno della Parrocchia una Comunità, inserita nel
contesto (quindi non fuori dal mondo) in grado di trasmettere ai più piccoli i valori in cui
crediamo. Le varie iniziative formative e di catechesi a diversi livelli d'età contribuiscono a
rafforzare la nostra fede e allacciare rapporti interpersonali che accrescono il nostro senso
di Comunità. Ciò è quindi di aiuto e di stimolo per tutte le iniziative concrete di solidarietà
e di intervento che la Comunità stessa è in grado di esprimere. Nella nostra attuale
esperienza rileviamo l'enorme difficoltà nel trattenere nell'ambito dell'Oratorio i ragazzi
dopo che hanno ricevuto il sacramento della Cresima; bisogna quindi interrogarsi su come
rinnovare (forse) l'offerta formativa e di socialità per le nuove generazioni affinchè
l'Oratorio non si riduca semplicemente ad un luogo ricreativo d'incontro.
L. M . e A. C.
Raccontare di sé stessi è difficile, raccontare delle proprie radici più profonde lo è ancora
di più. Questa è la sensazione che provo nel mettere ordine ai pensieri sulla mia
esperienza di comunità a Redona. Fin dall’infanzia Redona si prende cura di te senza che
tu ne sia pienamente conscio, preso da quell’ingenuità infantile che ti porta a credere che
tutto sia dovuto; ma con il passare degli anni c’è la presa di coscienza degli sforzi di un
gruppo di persone che permettono ai ragazzi di crescere e formarsi. Questo percorso
avviene principalmente all’interno dell’oratorio, vera casa della nostra generazione.
Proprio da lì con un gruppo di amici si è deciso di passare da passivi fruitori a
protagonisti attivi delle attività di formazione, partecipando sia al percorso dell’Atelier sia
al progetto “Cortile”. Non credo di sapere descrivere esattamente in che modo, ma in
questa fase è nata dentro di noi quella scintilla che ci ha portato ad aderire a Mellow
Mood, un’Associazione giovanile, già presente nel quartiere, che aveva come fine quello di
offrire ai ragazzi del quartiere e della città la possibilità di esprimersi in qualunque forma
artistica. La famosa scintilla si è ingrandita sempre più ed il sogno di creare occasioni di
aggregazione giovanile a livello cittadino è spuntato nelle nostre menti come un obiettivo
ambizioso, ma reale. È così che nasce l’esperienza di Edoné, una decina di ragazzi di
Redona che decidono di aprire uno spazio per giovani gestito da giovani, scommettendo
su un nuovo modo di intendere gli spazi giovanili comunali. Nonostante questo viaggio
avrebbe potuto allontanare le nostre strade dalla Comunità, la Comunità stessa è stata la
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spalla fondamentale su cui il nostro gruppo si è appoggiato più volte nel corso di questa
esperienza, trovando sempre quel supporto paterno con cui essa ci ha sempre accolto. Ora
la sfida che stiamo percorrendo è quella di restituire, sapendo bene che difficilmente
arriveremo a pari. I progetti sviluppati con l’oratorio e i continui rapporti con le realtà
associative del quartiere non solo permettono a noi di crescere ancora, ma garantiscono al
nostro sogno quel ricambio generazionale di cui ogni esperienza giovanile, come quella di
Edoné, ha un profondo bisogno. Cercheremo di dare tutto l’affetto possibile a questa
nostra Redona, che merita una cura speciale per garantire alle nuove generazioni di vivere
quello che noi abbiamo avuto, ossia il privilegio di ricevere un regalo dalla Comunità.
T. F.
“Sir Roger Bannister sotto il muro dei 4 minuti”, ovvero come ho vissuto una delle
esperienze giovanili più importanti degli ultimi anni del Quartiere: MELLOW MOOD. Si
celebra nel 2014 il 60esimo anniversario di un record sportivo durato sì solo 46 giorni, ma
in grado di esemplificare l'aprirsi di un mondo nuovo come solo certi eventi sportivi sanno
fare. Il 6 Maggio 1954 Roger Bannister, 25 anni, brillante studente di neurologia presso la
St. Mary's Medical School di Londra e ottimo atleta, corre per la prima volta nella storia
dell'uomo la distanza di un miglio (1609 metri e 36 centimetri) in meno di 4 minuti, 3
minuti 59 secondi e 4 centesimi per l'esattezza, esattezza che è sempre importata poco
visto che i testimoni raccontano come lo speaker della pista di atletica sia riuscito solo a
dire “Signore e Signori, il tempo è di 3 min...” e giù un uragano di grida e applausi.
All'epoca i 4 minuti rappresentavano uno scoglio invalicabile, qualcuno sosteneva fosse
umanamente impossibile scendere sotto tale tempo e che Roger fosse pazzo a pensare di
poter andare così veloce. Recentemente ho letto un'intervista a Roger Bannister, oggi vispo
85enne neurologo in pensione, che, oltre a ripercorrere brevemente la sua vita, racconta
nei dettagli quella fantastica giornata di 60 anni fa: a posteriori uno se la immagina come
una giornata pazzesca, c'hai messo mesi per prepararla, hai sognato ogni minimo
passaggio dalla sveglia alla mattina, l'alimentazione, l'arrivo al palazzetto, fino al colpo di
pistola della partenza, l'hai sognato talmente forte che vuoi che tutto sia perfetto. Invece se
c'è una cosa di cui non ti puoi fidare nella vita è il cielo inglese che quel 6 Maggio ti
accoglie con pioggia e vento, “stormy weather”, e i dettagli pensati vanno a facili signore.
Roger è alla stazione di Londra, sta per prendere il treno che lo porterà ad Oxford dove
dovrà correre, guarda il cielo e gli sale il nervoso, guarda di lato e vede Franz Stampfl
“non l'ho mai chiamato coach, mi dava consigli, tutto qui.” Franz è uno di quelli che crede
nella forza di volontà, che detta così è una frase che non vuol dire niente, ma se pensi che
questo è naufragato nell'Atlantico ed è sopravvissuto per 4 ore nelle acque gelide
dell'Oceano allora ci puoi credere davvero. Roger non sa se correre per via del temporale,
magari è meglio rimandare, un po' di paura, magari hanno ragione loro ed è davvero una
pazzia correre il miglio sotto i 4 minuti...allora Franz lo guarda e gli dice la cosa più facile
del mondo che in quel momento è tutta la verità possibile: “smettila di pensare, a volte è
meglio partire che vivere nel rimpianto”. Il resto è storia: Roger Bannister si convince,
corre, sviene al traguardo, segna il record, infiamma un paese intero (Churchill lo riceve a
Downing Street. Churchill odiava lo sport.) e riscrivere il significato del concetto di
“fisiologicamente impossibile.” Diventa improvvisamente un'icona, uno di quei
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personaggi che sta lì a ricordarci che a pensare in modo troppo comune spesso si fa
peccato. Benvenuto Nuovo Mondo. Mellow Mood: era una follia per un gruppo di 25
ragazzi aprire uno Spazio Giovani senza un soldo, con mille spese e responsabilità, zero
esperienza, spinti solo dall'entusiasmo di una piccola Comunità. Era una follia grande
come una casa. E in tanti non mancavano di ricordarcelo. Così abbiamo smesso di pensare
perchè a volte è meglio partire che vivere nel rimpianto. Benvenuto Nuovo Mondo.
P.B.
Un fiume di riflessioni sul corpo in questi anni e intanto qualcuno
il corpo lo educa allenandolo…
Essere sportiva a Redona significa dal ‘94 essere parte dell' Ares, acronimo dalle basi nella
mitologia romana per Associazione Redonese Educazione allo Sport. L'educazione come
motore associativo applicata alla pratica di più sport, questa è la prima novità portata da
questa società nel panorama bergamasco una ventina d'anni fa. A metà degli anni
novanta, infatti, Redona proliferava di società sportive, tra di loro non vi era legame, anzi
esistevano contrasti per la gestione degli spazi e dei tempi dedicati allo sport. Si decise
pertanto di unire tutte le realtà sotto una sola associazione sportiva, ma anche qui una
peculiarità: non più società, ma Associazione. Il consiglio che noi dirigenti fondatori di
questo progetto ricevemmo dal parroco Don Sergio fu illuminante “lo sport è laico, più
farete bene il lavoro attraverso lo sport più farete chiesa”. La genialità di questo nuovo
progetto aveva le sue basi in uno stile, non sempre facile da portare avanti e non sempre
facile da spiegare ai collaboratori: primo, il fondamento deve essere la relazione tra gli
uomini; secondo: impostare la società sulla trasparenza fiscale, un cardine che già
contraddistingueva la scelta della nostra comunità cristiana e delle sue associazioni. Ares
sceglie quindi, all'atto della creazione, di essere laica, slegarsi dall'oratorio, sceglie di non
essere controllata dal Parroco come accadeva fino a quel momento storico nella
maggioranza dei paesi vicini. Non solo, la polisportiva Ares sceglie di essere slegata
anche da quell'imprenditore di turno appassionato di sport che da solo avrebbe potuto
provvedere al sostentamento economico pubblicizzando i propri marchi. L'Associazione
Ares all'atto costitutivo ha scelto di affiancarsi, di masticare, di applicare le linee proposte
dal Parroco in coscienza come singoli uomini prima e dirigenti poi. Sceglie altresì di
accogliere quegli imprenditori che in silenzio, senza pubblicità, scelgono di affiancarsi alla
società e proporre un sostentamento all'idea di fare sport con un certo stile , lo stile di
Redona. Essere sportiva a Redona significa essere "per tutti", tutti i ragazzi del quartiere
abili o meno nella pratica dello sport in genere diventano attori di un momento ludico
agonistico che in primo luogo li fa legare con i proprio coetanei. La filosofia del "Per tutti"
trova le sue radici in quella divina tenerezza, che deve muovere ogni uomo quando si
relaziona con un altro uomo, sono insite nelle persone che dettano la linea, ma è frutto
dell'ascolto e della traduzione delle linee pastorali proposte nella comunità cristiana nel
mondo laico. L'aggregazione come cardine del momento di sport diviene da subito il
marchio di fabbrica, i ragazzi non si recano ai campi di gioco perché sono vestiti tutti con
gli stessi abiti, ma perché hanno piacere di giocare tra loro. Il lavoro, che ora possiamo
definire sia pastorale sia filosofico, è stato fatto a cascata partendo dai dirigenti agli
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allenatori ai genitori fino ad arrivare ai ragazzi; Questo è stato uno dei motivi d'orgoglio
che ha permesso all'associazione sportiva Redonese di essere una mosca bianca nel
panorama cittadino; ora guardando a ieri si vedono i frutti portati nella crescita dei ragazzi
e poi nei risultati sportivi di prim'ordine ottenuti. Ares è ora una realtà consolidata nata
su uno stile sobrio di vivere la pratica sportiva, si trova in fase di crescita ancora ora
mentre la crisi morde, anzi è diventata un modello che le altre società sportive guardano e
studiano, solo ora che scarseggiano le risorse economiche. La trasparenza fiscale è un
punto fondamentale nella gestione della società, obbliga ad applicare la decantata sobrietà
e lo stile nel concreto. Vivere lo sport a Redona lungo questi anni ha significato creare
legami con le altre realtà associative del quartiere, ascoltare i bisogni delle famiglie,
confrontare le proposte educative dell'osservatorio scolastico, dare un punto di
accoglienza ludico ai ragazzi con difficoltà, senza però perdere il ruolo sportivo. Sono
molteplici gli esempi di ragazzi che hanno trovato sui campi di sport il giusto sfogo alle
pressioni che non permettevano loro di essere protagonisti attivi nelle altre sfere della loro
vita. Il traguardo dei vent'anni di Associazione Sportiva Redonese allo Sport è un risultato
per il quale in tanti, tutti volontari, si sono adoperati e ci rende orgogliosi di essere parte di
“ questo piccolo angolo di mondo che si chiama Redona”
A. Z. e G. B.
I legami stretti con la realtà del quartiere
Quando il nuovo Parroco Don Sergio Colombo giunse a Redona, mi pare verso la metà del
1981, da circa due anni ero segretario della sezione del PCI “Guido Galimberti”. La
sezione aveva sede presso il Circolo ARCI che a sua volta era situato nei locali dell’ex casa
municipale del Comune di Redona, Francamente non ci eravamo accorti dell’arrivo del
nuovo Parroco e nemmeno eravamo molto a conoscenza dei travagli che la Comunità
cristiana stava vivendo dopo la partenza del Parroco Don Romano Breviario. Pur essendo
fisicamente vicine, la realtà cattolica e quella della sinistra storica comunicavano poco,
quando ciò avveniva era piuttosto formale (celebrazioni, festività, ricorrenze). Nei primi
anni ottanta il gruppo dirigente della sezione era composto da diversi giovani (gli anziani
preferivano impegnarsi nella gestione del Circolo Arci) che avevano avviato una fase
particolarmente attiva. C’era voglia di aprirsi di più all’esterno promovendo iniziative
legate ai temi dell’ambiente, della casa, dei servizi sociali. Inoltre c’era la novità del nuovo
processo partecipativo rappresentato dalle Circoscrizioni. L’obiettivo era provare a
“rompere” quella specie di fortino, un po’ ideologico, che caratterizzava la ex casa
municipale e relazionarsi di più con il territorio. Agli inizi degli anni ottanta, con la
chiusura della Carminati prima e della N.F.B. (ex F.O.B.) poi, prendeva avvio il lungo
processo di trasformazione del quartiere da periferia industriale a zona residenzialeterziaria, che si sarebbe concluso nella seconda metà del 2000 con la definitiva chiusura
della Reggiani. In questo contesto di cambiamento, con aspetti talvolta preoccupanti,
anche Don Sergio si troverà, come tutti noi, a vivere, leggere e interpretare i mutamenti in
atto in un territorio che gradualmente si trasforma che prova a immaginare e ridisegnare i
suoi spazi sociali. Molti residenti, in modo trasversale, cominciarono a chiedersi come
salvaguardare l’identità storica di Redona senza rinchiudersi nel localismo. Ma i primi
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contatti scaturirono da dissensi espliciti che manifestammo pubblicamente con un
volantino critico e un po’ provocatorio in merito alla valutazione che il mensile Comunità
Redona fece sulla prossima apertura del Centro Don Orione (un’area di c.a. 23.000 mq e
43.000 mc a ridosso del confine con il Parco dei Colli). Contestavamo l’opera edilizia,
l’ennesimo intervento privato come supplenza alle carenze del servizio pubblico e alle
forme di assistenza. Ricordo che sul numero successivo il giornale rispose in modo
determinato e dettagliato alle nostre critiche. Dietro mandato della sezione scrissi una
lettera di precisazioni. Dopo alcuni giorni incontrai casualmente per strada Don Sergio che
mi comunicò, con il suo stile pacato e amichevole, che la lettera era stata letta e discussa
dalla Redazione. Mi colpì quel modo di rapportarsi. In futuro quello stile avremmo avuto
modo di ritrovarlo più volte. Un’altra occasione di polemica fu verso l’atteggiamento che
la Comunità parrocchiale assunse nei confronti del Comitato per il Centro Sociale a
Redona. Il Comitato, aperto a tutti, nacque da un’esigenza presente tra la popolazione:
quella di uno spazio polifunzionale di aggregazione sociale e culturale. Ma dai cattolici
della Parrocchia non vennero mai una disponibilità e un contributo convinti. Poco tempo
dopo fu inaugurata la Sala della Comunità, il Qoelet. Da alcuni anni, in maniera
artigianale ma appassionata, producevamo un nostro foglio di informazione politica
prevalentemente centrato sui problemi del quartiere, “il Setaccio”. A questo proposito
Don Sergio Colombo ci chiese di fargli recapitare il nostro giornale e, al tempo stesso, la
Parrocchia recapitava Comunità Redona alla nostra sezione (cosa che, credo, continui
tutt’oggi). Ho ricordato questo fatto perché era un passo verso una logica del confronto,
dello scambio di idee, piccole o grandi, finalizzata a migliorare la condizione del vivere a
Redona. E questo passo fu fatto spontaneamente da lui. A Dicembre 1989 la nostra
sezione realizzò una mostra fotografica sulla vecchia Redona e pubblicò un volume
fotografico “Redona, immagini del primo Novecento”. Il materiale fu raccolto tra la
popolazione. Don Sergio dimostrò interesse nei confronti dell’iniziativa e su nostra
richiesta mise a disposizione delle fotografie. Il mensile Comunità Redona pubblicò un
articolo di commento. Sempre in quell’anno “esplose” in città il problema
dell’immigrazione e dei senzatetto: si costituì il Comitato Le Piane-Arci di Redona mirato
all’accoglienza di immigrati. L’ispirazione provenne da Don Sergio, ma penso anche il
taglio progettuale. Ricordo che in Parrocchia si svolsero molti incontri di approfondimento sulle tematiche dell’immigrazione, della multiculturalità, della diversità. Quegli
incontri furono un ulteriore momento di dialogo fecondo e di attività fra cattolici e non
credenti attorno ai valori dell’accoglienza e delle diversità culturali. Tramite una
selezione dell’Albergo Popolare furono accolti 8 senegalesi, a rotazione per 18 mesi, che,
aiutati dal Comitato, costituiranno l’Associazione Touba M’Backe e vivranno in
autogestione presso l’ex ambulatorio in via Grismondi per alcuni anni. La finalità del
Comitato era di avviare un’esperienza che superasse la fase dell’emergenza e attraverso
l’autogestione passare dall’assistenza alla responsabilità. Successivamente la questione
immigrazione assunse dimensioni sempre più difficili da gestire. Per contenere
l’emergenza abitativa, le ex Caserme Corridoni, Galgario e Li Gobbi (tutte nel territorio
della V Circoscrizione) diventarono Centri di accoglienza dove furono “alloggiate” alcune
centinaia di immigrati prevalentemente maghrebini. Il quartiere “cambiò aspetto”, la
domenica mattina via Leone XIII assomigliava quasi alla via di una grande metropoli per
le varie etnie che, mischiate ai Redonesi, la percorrevano. Ma i residenti non reagirono
31
tutti positivamente, c’era turbamento e si manifestarono contestazioni.. La Circoscrizione,
la Parrocchia e anche noi nel nostro piccolo operavamo comunque in direzione
dell’accoglienza. Ma il problema era troppo grande e richiedeva atti concreti in tempi
brevi. Il Centro presso la Corridoni fu chiuso nell’estate 1992. La ex caserma era stata
aperta nel 1990 ospitando 76 marocchini (berberi) e tunisini; nel settembre 1990 si
aggiunsero 155 persone. Si raggiunse una punta massima di 320 persone che determinò
una situazione di emarginazione e di degrado degli extracomunitari nella ex struttura
militare. Fu anche quella un’occasione, anche a sinistra, di riconoscere il forte senso civico
del Parroco di Redona. Con la progressiva chiusura delle fabbriche le aree dismesse e
altre zone furono oggetto di pesanti interventi edilizi P.I.R. (Piani Intervento di Recupero).
Si trattava dell’edificazione di migliaia di mc. che avrebbero stravolto il quartiere. Come
reazione all’aggressivo intervento edilizio previsto, nacque il Gruppo per Redona. La
nascita di questo gruppo vedeva la partecipazione di figure di rilievo di cattolici della
Parrocchia e di esterni alla realtà cristiana, uniti nella condivisione di alcuni problemi
urbanistici e determinati alla loro soluzione. Sono certo che Don Sergio sostenesse questa
iniziativa unitaria perché, a mio parere, rispondeva alla sua idea di partecipazione di una
comunità plurale. In quel periodo l’Amministrazione comunale di Bergamo deliberò di
adottare un Nuovo Piano Regolatore per la città di Bergamo, dando l’incarico agli
architetti Secchi Bernardo e Gandolfi Vittorio. Nel progetto “preliminare” del nuovo
Piano Regolatore di Bergamo del 15/01/1994, al quartiere viene dedicato un capitolo (21)
dal titolo “Gli spazi dell’abitare: Redona” da pag. 202 a pag. 217, con questa motivazione:
“… se, nelle pagine seguenti, l’indagine viene approfondita per Redona è perché questa
zona, particolarmente attiva nel rappresentare le proprie esigenze, propone in modo
esemplare alcuni problemi d’insieme e di dettaglio …..Più in generale il quartiere ha
espresso con forza l’idea di un rallentamento della crescita, del rischio che, superando una
dimensione critica, si modifichi radicalmente l’identità del quartiere”. I fatti e le vicende
che ho appena citato furono motivo, anche per la nostra area, di apprezzamento della
passione civile e della lungimiranza di quest’uomo sulle prospettive di Redona e non solo.
La Parrocchia e le sue articolazioni diventavano, sui temi sociali e della vivibilità nel
quartiere, un punto di riferimento o comunque di osservazione. Nel 2005 pubblicammo
un nuovo volume fotografico “Una Storia per Immagini Redona 1887-1980” e lo
accompagnammo con una mostra fotografica presso la ex scuola materna in via Buratti. Il
lavoro di preparazione durò più di un anno, Don Sergio sapeva dell’iniziativa perché lo
contattai per chiedergli nuovamente del materiale fotografico. Quando passai in casa
parrocchiale per visionare il materiale, capii che l’idea gli piaceva e, con il suo stile
discreto, diede alcuni suggerimenti, ma soprattutto spronò me e il gruppo di ricerca a
portare a termine il lavoro. All’inaugurazione della Mostra lo invitammo insieme ad altre
persone. Don Sergio venne prima dell’inizio perché aveva un impegno. Lo accompagnai
durante la visita della mostra e ricordo ancora quel viso appassionato mentre osservava le
fotografie e le commentava con competenza. Qualche mese dopo fu lui a chiedermi se era
possibile utilizzare il materiale per Comunità Redona e per altre iniziative dell’Oratorio. In
quelle iniziative, che poi furono fatte, compresi quanto lo coinvolgesse il tema della
memoria e tutto ciò che riguardava la storia e le radici di un territorio. I cambiamenti di
una civiltà. Con Don Sergio ci si trovava sulle “cose”, senza strumentalizzazioni e con
rispetto. Nel 2008 terminarono i lavori di ristrutturazione della Casa Civica, che diventa la
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casa delle Associazioni, gestita dal Polo civico, costituitosi in Associazione delle
associazioni. La realizzazione di quest’opera fu fortemente voluta dal Parroco e il
quartiere, tutto, deve essergli grato. Personalmente la interpreto come la volontà di
salvaguardare una funzione pubblica e collettiva al luogo che tanti anni addietro fu la sede
del Comune di Redona. La memoria, appunto, e collegare un progetto per il futuro. La
prematura scomparsa di Don Sergio Colombo è stata una perdita non solo per i cristiani di
Redona e di Bergamo. Don Sergio sapeva ascoltare e rispettare le diverse opinioni e
soprattutto sapeva suscitare interessi e riflessioni oltre i confini della realtà cristiana. Sono
contento di averlo conosciuto.
S. M.
Circa venticinque anni fa sono venuta a lavorare e ad abitare a Redona, un quartiere che
non conoscevo. Forse perché ero ancora giovane e fiduciosa nella vita e nel futuro, forse
perché vedevo le cose anche con gli occhi dei figli, ma mi pareva che a Redona si
respirasse quasi un’aria di paese, le persone si conoscevano e per strada o nei negozi si
salutavano e si fermavano a chiacchierare. I ragazzi si inserirono in oratorio senza
problemi sebbene non fossero battezzati e nessuno in famiglia fosse credente. Nessuno ci
chiese nulla o ci trattò in modo diverso, fummo accolti come tutti gli altri, ci sentimmo
riconosciuti e accettati per quello che eravamo. Erano i tempi di don Giorgio e poi di don
Patrizio, la conoscenza con don Sergio avvenne in seguito e più lentamente. I nostri
incontri non erano frequenti e quasi sempre in occasioni pubbliche, ma quando
inaspettatamente mi chiedeva “e a casa come va?” sentivo da parte sua l’affetto e la
familiarità di un amico che anche da lontano era attento a chi lo circondava, ne seguiva
l’operare e le vicende umane con affetto. In qualche occasione mi ha chiesto di scrivere
delle riflessioni, la sua richiesta mi ha sempre messo un po’ di agitazione: non volevo
tradire la sua fiducia ma non avrei neanche potuto nascondere le mie idee, ero
compiaciuta per la sua stima ma temevo di deluderlo. Era proprio lui a tranquillizzarmi e
a insistere dicendomi di scrivere liberamente quello che pensavo perché sarebbe andato
bene! Non mi ha mai censurato una parola e questa sua fiducia in una persona che sapeva
distante da lui e dalla sua spiritualità è stata il ponte della nostra amicizia.
A. V.
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