iraq cinque anni dopo: la caduta dell`impero americano

Transcript

iraq cinque anni dopo: la caduta dell`impero americano
IRAQ CINQUE ANNI DOPO: LA CADUTA DELL’IMPERO AMERICANO
Giovedì 20 Marzo 2008 01:05
di Fabrizio Casari
L’Iraq, da cinque anni, non è più l’Iraq. Gli Usa, dopo cinque anni di guerra, non sono più gli
Usa. Cinque anni di guerra possono essere descritti come lunghissimi, ingiusti, feroci, inutili agli
scopi dichiarati, utili invece a quelli non dichiarati. La guerra in Iraq, infatti, è la
rappresentazione per eccellenza di una guerra imperiale venduta come una crociata liberatrice,
una guerra totale venduta politicamente e mediaticamente usando un’immensa menzogna.
Quella che raccontava di guerra al terrorismo e armi di distruzione di massa: inesistenti le
seconde, inventata la prima. Non c’erano armi di distruzione di massa e non c’era il terrorismo,
mentre la sete di accaparramento del petrolio iracheno s’incrociava abilmente con quella delle
compagnie petrolifere e delle aziende di contractors. Ma, soprattutto, cinque anni dopo, ci sono
centomila iracheni uccisi, quattromila statunitensi morti, seimila reduci suicidi, tre trilioni di
dollari di spese militari (ed è una stima per difetto), circa cinquecento miliardi di dollari di spese
previste per l’assistenza psicologica ai reduci. E l’Iraq è anche la vergogna delle Guantanamo
e dei voli segreti, pronti a trasportare i prigionieri verso celle di tortura lontane dalle telecamere
(anche da quelle “embedded”); della fine dell’
habeas corpus
e del diritto alla difesa degli imputati, con il “Patrioct act” che ha sancito la morte del diritto civile
e penale statunitense. Senza dimenticare, poi, il fosforo bianco di Falluja, degno erede,
quaranta anni dopo, del napalm generosamente diffuso dagli Usa sulle montagne e sui villaggi
vietnamiti.
L’Iraq è stato – ed è ancora – la risposta aggressiva e disperata di una superpotenza che
cerca con la forza e con il saccheggio delle risorse energetiche di mantenere a ogni costo una
leadership politica e una governance militare sul pianeta, in un momento in cui la sua definitiva
crisi di ruolo non gli consente di usare altri modi per esercitarla. Ammesso che mai, nella sua
storia, abbia avuto strategie di dominio diverse. L’Iraq, come l’Afghanistan, ha però
rappresentato agli occhi dell’opinione pubblica mondiale il declino definitivo dell’Impero a stelle
e strisce, divenuto ormai l’ostacolo principale a una governance multipolare capace di guidare
un pianeta globalizzato.
L’Iraq ha però rappresentato anche la cerimonia dell’estrema unzione per le Nazioni Unite. La
sceneggiata infamante delle finte prove, le pressioni prima e la noncuranza poi dei rapporti degli
ispettori inviati a Baghdad, i rastrellamenti e i processi-farsa ai capi del regime, la concessione
alle vendette tribali con l’impiccagione di Saddam Hussein e di alcuni dei suoi, hanno ridotto la
comunità internazionale a teatrino della rappresentazione hollywoodiana di una guerra che ha
avuto nella sua finzione mediatica e spettacolare la coperta con la quale coprire la definitiva
uscita di scena del diritto internazionale.
1/2
IRAQ CINQUE ANNI DOPO: LA CADUTA DELL’IMPERO AMERICANO
Giovedì 20 Marzo 2008 01:05
Parallelamente, la guerra all’Iraq ha anche significato la sconfitta storica, epocale, del
pacifismo, nato con il Vietnam e finito con Baghdad. Quella che il New York Times definì “la
seconda superpotenza del mondo”, nulla ha potuto di fronte ai colossali interessi che su quella
guerra si misuravano. La sconfitta del pacifismo ha tracciato la triste linea nera della morte della
ragione, riducendo all’impotenza la speranza ed elevando ad opportunismo politico la
vigliaccheria di chi poteva opporsi e non lo ha fatto, prima tra tutte l’Unione Europea.
Perché per l’Europa, l’Iraq ha sì significato un timido vagito di autonomia, anche se solo in
lingua spagnola e con qualche accento in francese, ma ha confermato però, nella sostanza,
l’inclinazione naturale al nanismo politico del vecchio continente verso Washington. E per
l’Italia, in particolare, oltre a tutto questo, l’Iraq è anche Nassiriya; i suoi, i nostri morti; agnelli
sacrificali sull’altare dell’obbedienza dovuta, mandati a morire dal vergognoso governo
Berlusconi che sull’Iraq e sul coinvolgimento italiano nella guerra della famiglia Bush ha speso
l’ennesima bugia del suo già ampio repertorio.
Sullo sfondo, una regione tormentata e destabilizzata, la penetrazione definitiva di
quell’integralismo islamico che proprio l’Iraq, insieme a Siria e Libia conteneva e respingeva,
con il conseguente rafforzamento di al-Qaeda e la fine di ogni ipotesi di soluzione politica alla
grande babele mediorientale. La famiglia Bush, una monarchia feudale che da oltre
trentacinque anni tiene sotto le sue grinfie cleptomani gli Stati Uniti, ha visto aumentare
smisuratamente le sue ricchezze e la sua fama. È presto per dire se sarà Barack Obama o
Hillary Clinton, o addirittura John McCain a sostituire l’analfabeta inquilino della Casa Bianca.
Ma la sua uscita, chiunque sia ad accomiatarlo, non lenirà i danni causati dagli ultimi otto anni
di guerre, distruzione del diritto, recessione economica e definitivo sfascio morale di quello che
una volta era l’Impero. Impero che, nel suo ultimo scatto di reni, riuscirà comunque ad evitare
che George W. Bush vada nel luogo dove meriterebbe: un tribunale penale internazionale per i
crimini di guerra.
2/2