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LUIGI
DELLO STESSO AUTORE:
CADORNA
PAGINE
POLEMICHE
La guerra alla fronte italiana (esaurito).
Il generale Raffaele Cadorna nel Risorgimento
italiano.
Con facsimile del testamento
e una carta topografica
G A R Z A N T I
PRIMA EDIZIONE 1950
PROPRIETÀ' LETTERARIA RISERVATA
(Stampato in Italia - Printed in Italy, 1950)
Ogni esemplare di quest'opera che non rechi il timbro a secco della
Società Italiana degli Autori ed Editori deve ritenersi contraffatto.
L'histoire nous prouve que tous les libelles tombent dans le mépris.
Que les libellistes parcourent ces fatras qui exìstent à la bibliothèque nationale contre Henry IV et Louis XIV,
ils seront humiliés de leur impuissance:
ils n'oni laissé aucune trace.
NAPOLEONE
(XIV delle 17 Note sul libro: « Considérations sur l'art de la guerre ».)
Cernusco sul Naviglio - Tip. La Lampada - 1950
P R E F A Z I O N E
Queste memorie furono, nella parte essenziale, scritte dal generale
Cadorna negli anni immediatamente successivi al suo collocamento a riposo d'autorità e di quegli anni conservano la vivacità e l'immediatezza
delle reazioni.
Dovevano nel primo disegno dell'autore far parte del volume La
guerra alla fronte italiana: ne furono poi stralciate e la loro pubblicazione rinviata sine die quando il! generale si persuase che il riaccendersi
di una polemica, già tanto aspra, avrebbe più nociuto che giovato all'interesse del Paese. Impose a se medesimo quella ferrea disciplina che
aveva preteso dai suoi dipendenti.
Il libro La guerra alla fronte italiana riuscì una obiettiva esposizione dell'opera del Comando Supremo 1915-17 ed il tono fu volutamente così pacato che un pubblicista di quel tempo, Aldo Valori, la
contrapponeva alle Erinnerungen di Ludendorfif per concludere che il
generale italiano rivelava la freddezza di carattere di un nordico, mentre il generale germanico aveva scritto con la foga di un meridionale.
Il sacrificio, volontariamente compiuto dal generale Cadorna, non
fu senza inconvenienti. Molte critiche fatte dalla Commissione d'inchiesta è da altri autori più o meno interessati e competenti, per non
essere contraddette, trovarono sanzione nella opinione pubblica e, ciò
che è più grave, presero posto in pubblicazioni di carattere storico, nazionali ed estere. E oggi non è facile smontare giudizi tanto consolidati.
Più tardi il generale Cadorna raccolse il materiale polemico stralciato, vi aggiunse altri capitoli trattando argomenti sui quali riteneva
opportuno un suo ulteriore intervento, ne compose un libro e fece obbligo ai figli di pubblicarlo dopo la sua morte. Le complesse vicende
degli anni passati ed anche la considerazione che un'ulteriore attesa
Vili
PREFAZIONE
avrebbe creato intorno al libro un clima storico hanno consigliato di
attendere sino ad oggi. Né crediamo che, col passare del tempo, sia venuto meno l'interesse del pubblico per quei fortunosi avvenimenti che
rappresentarono un momento culminante nella epopea dell'unità d'Italia: essendo strettamente concatenati con quanto avvenne poi, offrono
ricchi ammaestramenti anche ai giorni nostri e per l'avvenire del Paese.
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La polemica intorno alle cause determinanti del disastro di Caporetto non si acquietò neppure con la morte del generale Cadorna:
essa riecheggia di tanto in tanto anche in pubblicazioni recenti.
Solo che, col passare del tempo, con lo scomparire di molti fra
i principali attori, la polemica tende a perdere il suo tono passionale
per assumere carattere storico.
Così, mentre dapprima gli uni attribuivano il disastro a cause
politiche — il disfattismo e la debolezza del Governo —, e gli altri
negavano ogni influenza di natura politica per addossare ogni responsabilità sul comandante e sul così detto malgoverno degli uomini,
ora una interpretazione tanto semplicistica sembra dai più abbandonata, mentre si parla genericamente dell'influenza di cause di natura politica in confronto delle cause di natura militare.
Cosa questa naturale, ché gli eventi di grande portata possono
essere definiti nella realtà storica solo se contemplati con una certa
prospettiva.
Riteniamo quindi opportuno qui riportare brevemente alcune
delle argomentazioni più frequentemente messe innanzi a sostegno delle
due tesi, nel periodo successivo alla morte del generale.
I
CAUSE DI NATURA POLITICA
Il generale Cadorna assunse la carica di capo di Stato Maggiore
dell'esercito alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale.
Dopo la dichiarazione italiana di neutralità alcune correnti politiche
e lo stesso governo Salandra-Sonnino si orientarono verso l'intervento
contro gli Imperi centrali e al .generale Cadorna spettò di rovesciare
i piani e di apparecchiare l'esercito per il nuovo compito.
Il Paese era profondamente diviso fra patrocinatori dell'interven-
PREFAZIONE
IX
to a fianco degli anglo-francesi e sostenitori di una neutralità più o
meno patteggiata — questi ultimi largamente rappresentati nel Parlamento dal gruppo giolittiano e nel Paese dal partito socialista e dai
elementi conservatori.
E' anche giusto riconoscere che la discordia delle opinioni, più
che dal temperamento degli uomini, derivava da fattori geografici, storici
e sociali di una nazione giunta per ultima nel consesso delle grandi potenze, legata per condizione economica tanto all'Europa centrale che a
quella occidendale, e quindi incerta sulla via da seguire.
Non vi ha dubbio che il Paese affrontò la prova senza la concordia?
necessaria perché i cittadini si sottoponessero volontariamente ai duri
sacrifici che una guerra lunga oltre ogni previsione avrebbe richiesto.
La situazione morale del Paese in quel tempo fu acutamente valutata
da uomini di ogni tendenza. E' interessante riportare i giudizi di due
uomini provenienti dagli opposti estremi, per quanto tali giudizi possano essere ritenuti eccessivi: di Benito Mussolini e dell'on Nitti.
Mussolini nel capitolo XI della sua ultima pubblicazione II tempo
del bastone e della carota, dopo aver fatto una lunga disquisizione sulle
guerre sentite o meno sentite, scrive della guerra 1915-18 che « fu dichiarata in un'atmosfera di vera e propria guerra civile con una lotta
senza quartiere fra neutralisti ed interventisti. Guerra civile che continuò sino a Caporetto, ebbe una tregua nei dieci mesi della riscossa
sul Piave e ricominciò immediatamente dopo, appena firmata la falsa
pace di Versailles».
L'on. Nitti, nel volume Rivelazioni, descrive l'elemento interventista, che impose alla maggioranza della nazione l'entrata in guerra
a fianco degli anglo-francesi, come ispirato dalla massoneria, corrotto
dalle male arti e dal denaro di Barrère, sottoposto alle pressioni del
governo Salandra-Sonnino. « Si giunse al punto che l'Italia non disponeva della sua volontà e nemmeno di se stessa.»
E più oltre: «Non era il pubblico che manifestava, era il governo che voleva che si manifestasse ed imponeva ai funzionari di manifestare. Quelle furono le radiose giornate di maggio, come si diceva
allora dalla stampa gialla in servizio del Ministero, e furono veramente
le più vergognose perché in quei giorni cadde in Italia la Costituzione e
fu uccisa la libertà. Il Paese fu profondamente diviso e tutti gli avvenimenti che seguirono non furono che la conseguenza di quelle giornate
in cui Barrère ebbe molta parte, ma di cui i veri responsabili furono
Sonnino ed il Ministero di cui faceva parte. »
Del Ministero Boselli l'on. Nitti scrive:
X
PREFAZIONE
«Ministero nazionale, cioè di tutti i partiti, voleva dire incapacità
ed inefficienza, paralisi dell'azione. Quel Ministero aveva venti ministri. Tranne casi eccezionali in cui uomini di partiti diversi, ma ritenuti i migliori e i più efficienti ed energici, si uniscano temporaneamente per la comune salvezza, è difficile vi possa essere un Ministero
nazionale numeroso che non sia l'espressione di debolezza, incertezza
e che non abbia per effetto il disordine, lo sperpero, la paralisi nell'azione. Ministero nazionale voleva dire anche inefficienza e mancanza
di senso di responsabilità.
<< Boselli era compiacente e benevolo con tutti e al termine non solo
della sua carriera politica, ma della sua stessa vita. Era facile prevedere che non avrebbe osato con quella banda di ministri di tutti i
colori che egli formò avere un'orientazione decisa in alcun senso. La
formazione del Ministero fu la gara delle vanità, delle debolezze, dell'esibizionismo...
«...Boselli, quando poteva, teneva conto di tutto quello che io
scrivevo, ma solo nella misura che la sua limitata energia e le illimitate esigenze dei suoi associati al Governo e dei suoi collaboratori
consentivano...
« ...La dura lettera che alla vigilia di andare in America io gli
avevo scritto il 25 gennaio 1917 lo turbò vivamente. Gli dicevo fra le
altre cose, parlando del disordine che era in tutti i servizi e del malcontento dei soldati : « Tu hai avuto la cortesia di scrivermi che sei
fondamentalmente d'accordo con me, ma purtroppo la situazione si è
aggravata e nel complesso non si sono eliminati i pericoli e l'inconveniente che deploravo... »
«... Cercavo in ogni modo di evitare agli occhi degli Italiani la vergogna dell'aumento continuo della massa degli imboscati. Il cattivo
esempio veniva soprattutto da coloro che erano preposti alla vigilanza.
I giovani che dovevano essere nelle prime linee erano in gran numero
tenuti lontano dal teatro della guerra...
«... Sui prezzi delle forniture che davano luogo a scandalosi arricchimenti io scrissi più volte. Davo notizie precise sugli errori di metodo che si perpetuavano sia pure in buona fede...
« ...Non vi era tempo da perdere, io ripetevo a tutti gli uomini
di governo. L'avanzata nel Trentino era stata un avvertimento, ma
dopo tale doloroso avvertimento le più grandi sorprese erano sempre
possibili.
« Il nemico, perfettamente informato delle cose nostre e delle nostre deficienze, poteva cercare di approfittarne improvvisamente.»
PREFAZIONE
XI
E più oltre l'on. Nitti, enumerando tutte le sagge previdenze da lui
prese come ministro del Tesoro, dopo Caporetto, a vantaggio dell'esercito, non fa che mettere in evidenza le deficienze dei precedenti governi.
Con quale coerenza può dunque l'on. Nitti ripetutamente affermare nella stessa pubblicazione che le cause del disastro furono» solo
di carattere militare?
Ma vi ha di più.
La battaglia di Caporetto ha molte analogie con la battaglia di
Francia del giugno 1940, salvo il fatto che la depressione delle truppe
francesi non poteva essere attribuita ad eccessivo logorìo e che il disastro si rivelò irreparabile.
Ma, trattando della battaglia di Francia, a pag. 432 dell'altro suo
libro, Meditazioni dell'esilio, l'on. Nitti, riferendosi alla catastrofe subita dall'esercito francese nel giugno 1940, esprime un giudizio tutto
opposto a quello pronunciato per i fatti di Caporetto ed afferma che
(( vi fu da parte dei francesi non resistenza di guerra, ma un vero sciopero militare». Perché dunque tanta differenza di giudizio?
Tutti quelli che hanno esperienza di cose militari sanno che nel
disastro francese le cause di ordine militare furono di primaria importanza e numerose: scarsa era l'aviazione, deficiente l'ordinamento
dell esercito, in particolare delle forze corazzate, incompleto il sistema
fortificatorio, totalmente errato lo schieramento che aveva un'ala sinistra fortissima ed un centro quantitativamente e qualitativamente debole, completa da parte del nemico la sorpresa strategica e tattica.
Malgrado ciò, l'on. Nitti opina, e con lui la maggior parte dell'opinione pubblica, che migliore spirito pubblico e di conseguenza
maggiore combattività dell'esercito avrebbero reso meno facile il passaggio della Mosa alle divisioni corazzate tedesche, e quindi assicurato
il tempo necessario per la manovra delle riserve. Quale ragione, se
non il partito preso, può giustificare giudizi tanto discordanti su fatti
tanto simili?
Una disamina obiettiva deve concludere che gli errori di indole
militare sono inseparabili da qualsiasi campagna di guerra. L'iniziativa di Desaix salvò Napoleone da una disfatta nella giornata di Marengo, così come la passività di Grouchy concorse a determinare la
sua sorte a Waterloo. Ma in questa stessa giornata fu la irremovibile
tenacia delle fanterie britanniche sull'altipiano di Mont Saint-Jean a
determinare l'esito della battaglia, così come recentemente la fermezza
(
XII
PREFAZIONE
PREFAZIONE
delle truppe russe, pur dopo illimitati sacrifici, arrestò lo slancio dei
tedeschi alle porte di Mosca e di Stalingrado.
Se errori vi furono nella preparazione e nella condotta delle operazioni intorno a Caporetto, questi errori sarebbero stati meno
evidenti qualora il nostro esercito fosse allora stato animato dallo spirito eroico che pochi giorni dopo ritrovò sugli altipiani, sul Piave,
sul Grappa.
L'uomo non è infallibile ed in particolare non lo è il capo militare obbligato a risolvere problemi a molte incognite. Il giudizio su
tali uomini non può pertanto basarsi sul successo o sull'insuccesso di
una giornata, ma sulla loro personalità militare, cioè sull'altezza d'animo
mostrata nella prospera fortuna come nell'avversa.
Conseguenza delle condizioni politiche e morali del Paese fu
la debolezza dei governi che si succedettero sino al disastro di Caporetto. Non sostenuti da una reale maggioranza parlamentare e dall'appoggio di una larga opinione pubblica, essi non potevano fare una
forte politica di guerra, tenere in pugno il Paese e ripartire con giustizia gli oneri ed i sacrifizi della guerra. Erano costretti a vegetare;
a sostenersi a furia di abdicazioni e compromessi, tanto più gravi
quanto più la guerra si rivelava lunga e cruenta. Così fu ampiamente
tollerata la propaganda contro la guerra come fu scandalosamente tollerato l'imboscamento, mentre le prime restrizioni alimentari furono
imposte all'esercito anziché al Paese.
Non è quindi meraviglia se i rapporti fra governi tanto malfermi
ed il comandante supremo, preoccupato soltanto di volgere ogni energia allo sforzo di guerra ed alla vittoria, fossero tutt'altro che cordiali. I governi, mancando di ogni autorità per imporre le loro direttive generali sulla condotta di guerra, lasciarono al comandante supremo ogni libertà, sfruttando i successi al fronte per il proprio rafforzamento ed abbandonandolo al suo destino quando sopravvenne la
crisi.
Àl riguardo sono caratteristici due episodi. Nella primavera del
1917 il presidente del Consiglio dell'epoca, on. Boselli, incontrando la
figlia del generale Cadorna le diceva: «Raccomandi al generale che
ci dia una vittoria. » E nel settembre dello stesso anno, dopo la battaglia della Bainsizza, il ministro Bissolati, che più di ogni altro, per
la sua posizione, era in condizione di conoscere gli umori del Paese
e la situazione dell'esercito, incontrando al fronte il capitano Cadorna,
figlio del generale, gli diceva : « Io ho una grande ammirazione per
suo padre : con la vittoria della Bainsizza egli ha salvato il Paese e il
XIII
Governo ». Del resto la lettera che riporto in nota, diretta al tenente
T. Gallami Scotti, ufficiale d'ordinanza del generale Cadorna, illumina
ampiamente sulla visione della situazione e sulle intenzioni del Governo l). Naturalmente non molto tempo dopo, di fronte al disastro
di Caporetto, l'on. Bissolati si guardava dal manifestare gli stessi apprezzamenti!
Si erano così formati due settori ben distinti: il Paese e la zona
della fronte.
Questa, anziché trarre dal Paese le energie morali per alimentare
la lotta, tendeva a rinchiudersi in se stessa e ad inalzare una barriera
per limitare i contatti con il Paese — sforzo evidentemente vano —
come quello di opporsi alla legge dei vasi comunicanti.
Queste considerazioni riportano in onore la vessata ed insoluta
questione dei rapporti fra condotta politica e condotta militare della
guerra. E' bensì vero che una direzione politica deve presiedere alla
condotta delle operazioni, ma con limiti e responsabilità ben definiti.
Oltre questo limite, la strategia risente del dilettantismo tecnico di un
Hitler, di un Mussolini.
1)
Roma, 26-4-1917
Mio caro amico,
Scrivo a voi col cuore aperto, e nell'interesse della nostra Italia. Voi sapete
che, or sono dieci giorni, io ebbi una cara lettera dal nostro generale, in cui rilevando, con molta finezza, il mio modesto contributo alla costituzione fattiva del
fronte unico, mi comunicava la sua fiducia nella saldezza morale e nella forza
materiale dell'esercito, annunziandomi che a lui, nostro capitano, non restava
che « agire ».
Io gli risposi con passione ed entusiasmo, pregandolo di dirmi, approssima
tivamente, il tempo dell'azione, durante il quale intendo trovarmi fra i combattenti. Non ho ricevuto cenno di replica, ma bene intendo ch'egli, attende, per
dirmi l'attesa parola, che il momento sia vicino. Ora di questo appunto voglio
confidenzialmente interessarvi: circa la necessità morale e politica di sapere che
quel momento è prossimo quanto è possibile che sia.
Né a me né ad alcuno del Governo passerebbe pel capo di forzar la mano
al nostro capo al quale si deve lasciar assoluta la libertà di scegliere l'ora della
battaglia. Ma io vorrei avere da voi qualche lume per tenere testa agli impazienti
ed agli ansiosi di dentro e di fuori (da Francia e da Londra vengono interrogazioni: e a quando l'attacco italiano?) ai quali pare che se una occasione propizia
alla nostra offensiva vi può essere, quest'è la presente : ossia mentre la pressione
è così forte sul fronte occidentale e mentre l'inverno prolungato ci assicura le
Alpi e il nemico — sappiamo — è ben lungi dall'aver compiuto grandi apprestamenti sul fronte tridentino. La crisi politica internazionale potrebbe precipitare. Sarebbe augurabile che essa non ci cogliesse prima di aver spiegato una
azione decisiva, decisiva nel senso che possa darci virtualmente Trieste. Voi intendete « me' ch'i non ragiono » : non crediate, per carità, che io voglia anche
indirettamente premere sulle deliberazioni del nostro capo: soltanto invoco da
voi la parola ch'io possa fondatamente adoperare per far tacere le ansie e le
impazienze.
LEONIDA BISSOLATI
* - CADORNA.
XIV
PREFAZIONE
PREFAZIONE
II
Infatti nessuna delle preziose esperienze fatte nella guerra 15-18
fu poi messa a frutto nel periodo corso fra le due guerre, anche se in
quel periodo la direzione delle cose militari fu affidata ad alcuni tra i
migliori collaboratori del generale Cadorna.
Gli inconvenienti verificatisi particolarmente nel 1915 per lo scadente equipaggiamento e le deficienze dell'armamento si ripeterono in
forma ben più grave nel 1940 nelle campagne contro la Francia e
la Grecia. Non fu sostanzialmente migliorato l'indispensabile coordinamento fra le varie armi, soprattutto tra fanteria ed artiglieria, e
tanto meno raggiunta una efficace collaborazione dell'esercito con
l'aviazione. Ma, cosa più grave, il capitale problema dei quadri ufficiali e sottufficiali fu addirittura risolto a rovescio. La guerra moderna impone di inquadrare enormi masse di uomini parzialmente ed
affrettatamente istruiti e di impiegarli frazionati e spesso lontani dal
controllo dell'alta gerarchia. Non mai in passato si è richiesto tanto
coraggio, iniziativa, capacità a un semplice comandante di squadra,
di plotone, di compagnia. Ebbene con la pratica abolizione dei subalterni effettivi, con la cronica deficienza di sottufficiali esperti, si privarono i reparti non solo di comandanti capaci, ma anche di istruttori
idonei ad addestrare il personale chiamato alle armi.
CAUSE DI NATURA MILITARE
Sono molteplici ed ebbero tutte la loro relativa importanza: fu
l'addensarsi casuale di tanti fattori nello stesso tempo che determinò
l'entità del disastro:
a) Cito per prima e perché poteva da sola essere determinante
e perché, a mio modo di vedere, non fu sufficientemente valutata e
dai critici e dallo stesso generale Cadorna, la improvvisa apparizione
sul nostro fronte di stati maggiori e di sceltissime divisioni germaniche le quali impiegarono metodi di rapida penetrazione e sfruttamento
del successo che diedero eccezionali risultati non solo sul nostro fronte
ma nel 1918 sul fronte franco-inglese.
Per contrapporsi a simili metodi che preludevano al Blitz-Krieg
del 1940 occorreva, oltreché saldezza, anche una capacità di difesa elastica che le nostre truppe non potevano avere.
Le offensive austriache, al pari delle nostre, si erano arrestate al limite della preponderanza di materiale: altrettanto si può dire per gli
anglo-francesi. I germanici già allora accennavano a ridare all'offensiva
quella capacità di movimento che le armi automatiche e la fortificazione campale avevano paralizzato, ma che essi poi integralmente realizzarono nel 1940 con l'impiego delle divisioni corazzate in connubio con
l'aviazione di combattimento.
b) Stanchezza, logorio dell'esercito derivante da molteplici fattori, quali: l'affrettata preparazione, le caratteristiche della guerra stabilizzata e la condotta offensiva nel quadro dell'alleanza. Esaminiamo
brevemente questi singoli elementi:
Affrettata preparazione.
Il generale Cadorna ha esaurientemente riferito nel suo libro La
guerra alla fronte italiana su quanto fu fatto nei mesi di neutralità ed in
quelli di guerra per portare l'esercito all'indispensabile efficienza numerica senza diminuirne le qualità, per equipaggiarlo e armarlo secondo le necessità della guerra moderna. Fu certamente una grandiosa opera
di riorganizzazione, la quale non poteva, però, non conservare il suo
carattere di improvvisazione. E la cronica nostra incapacità ad approfondire e risolvere tempestivamente i problemi militari apparve ancora più chiaramente nel periodo successivo.
XV
Né le nostre scuole di reclutamento per ufficiali di complemento
e sottufficiali, prive com'erano di istruttori capaci, di impianti didattici adeguati, di campi di istruzione proporzionati alle esigenze della
guerra moderna, potevano supplire.
Non può quindi far meraviglia la cronica deficienza della nostra
tattica che in entrambe le guerre ci fece mancare molti successi o ci
fece pagare a troppo alto prezzo di sangue quelli che conseguimmo.
In genere si tende a imputare alla deficienza dei materiali i mancati
successi e di conseguenza a trascurare il più grave problema dell'inquadramento. Il più grave perché, se è possibile in determinate circostanze provvedere rapidamente alle deficienze di materiale, occorrono
decenni di lavoro per apprestare buoni quadri. La deficiente qualità dei
quadri ci era stata fatta chiaramente rilevare dagli ufficiali delle missioni francesi venute in Italia nel 1918: lo stesso rilievo fecero i tedeschi e poi gli inglesi durante e dopo l'ultima guerra.
Strategia e tattica si integrano a vicenda. La migliore strategia è
paralizzata da una tattica deficiente, mentre la migliore tattica alla
lunga non può rimediare agli errori strategici.
Nessuno scrittore militare ha potuto fare serie critiche alla con-
PREFAZIONE
PREFAZIONE
dotta strategica della nostra guerra 15-18. Il generale Cadorna si attenne scrupolosamente alle eterne massime napoleoniche: il concentramento degli sforzi nel punto decisivo e l'economia delle forze; massime poi costantemente violate nella guerra '40-43. La grandiosa manovra difensiva, la controffensiva operata nel '16 in seguito all'attacco
austriaco nel Trentino, la non meno grandiosa manovra in ritirata
per la quale l'esercito, battuto sull'Isonzo, fu ricondotto sul Piave in
condizione di riprendere la lotta, bastano ad assicurare la sua fama
di ottimo capitano.
Su tale operazione così si esprime lo Stato Maggiore austriaco
nella «Relazione ufficiale sulla guerra 1914-18», a pag. 443 della traduzione italiana fattane dal generale Bollati per conto dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore:
« Tra il 1° novembre in cui il feldmaresciallo Goiginger rinunziò
al passaggio di Madrisio ed il 4 in cui la XIV Armata potè far
pressioni di là di Cornino e Pinzano era trascorso un tempo prezioso
di cui Cadorna approfittò per iniziare la nuova fase di ritirata al di
là del Piave e sul Grappa: essa si svolse nel modo preventivato e,
salvo l'episodio di Tramonti, senza gravi perdite: le catture avvenute
a Longarone tre giorni dopo sono da porsi a carico dell'operato del
comandante la IV Armata. »
E più oltre, a pag. 447:
((L'offensiva degli alleati si era arrestata davanti alla linea del
Piave: un giudizio equo deve riconoscere che egli (Cadorna) ha fatto
tutto il possibile da sé solo, per salvare l'esercito dalla medesima sorte
toccata alla II Armata con decisioni ed ordini pienamente rispondenti alla scopo. Quando egli cedette il comando le disposizioni fondamentali per la nuova linea di difesa erano già state impartite. Il
raccorciamento del fronte tornò vantaggioso anche all'esercito italiano
che, nonostante il crollo totale della II Armata e se pur sostenuto moralmente dalla prospettiva di aiuti alleati, trovò in se stesso la forza
d'imporre Yak agli eserciti avversari. »
condizione sine qua non per il raggiungimento degli obiettivi da parte
dei singoli e che questa legge vale soprattutto per i più deboli fra i
coalizzati.
Questa ingenua concezione governativa si era formata in base
alla situazione strategica in atto al momento in cui fu firmato il trattato di Londra, quando cioè la Russia vittoriosa premeva ai confini
dell'Ungheria e l'intervento dell'Italia poteva apparire decisivo, e noni
mutò neppure allorquando, in seguito allo sfondamento di Gorlice
ed al conseguente ripiegamento degli eserciti russi, la situazione strategica cambiò radicalmente.
Nessuno allora avrebbe certamente ammesso che, a guerra dichiarata, fossimo rimasti inattivi ad attendere tempi migliori.
Aggiungasi che, inseriti nella coalizione, eravamo tenuti a seguirne la strategia generale che fu, per gli eserciti delle potenze occidentali, offensiva sino al disastro di Caporetto, e coordinare il nostro
sforzo con quello degli alleati, tendenti, con ripetute offensive, ad
alleggerire la pressione nemica sulla Russia. A ciò eravamo tanto più
tenuti in quanto la Russia nel 1916 con l'offensiva del generale Brussilof aveva facilitato la vittoriosa conquista di Gorizia.
Sino a che punto fossimo vincolati alla strategia degli alleati la
dimostra il fatto che questi, dopo l'offensiva della Bainsizza, ritirarono
bruscamente alcune centinaia di bocche da fuoco da essi prestateci,
solo perché il generale Cadorna non ritenne opportuno, data la situazione generale dell'esercito, intraprendere un nuovo sforzo.
La condotta offensiva della nostra guerra importava non pochi
rischi ed un continuo logoramento.
Il generale Cadorna, ha, nel suo libro La guerra alla fronte italiana,
esaurientemente illustrato le caratteristiche negative del nostro fronte
fatto a semicerchio con la convessità all'esterno, minacciato quasi nelle
retrovie dal saliente Trentino, fronte che ogni avanzata a oriente allungava e rendeva più vulnerabile e più sproporzionato all'entità delle
forze disponibili, fronte secondario e mal collegato con quello degli
alleati e quindi praticamente abbandonato a se stesso. Taluni hanno
ritenuto, — fra questi l'on. Nitti — che una migliore, politica avrebbe
facilitato l'attuazione di un concetto attribuito a Lloyd George: quello
di fare del fronte italiano il fronte principale concentrandovi le necessarie forze interalleate per colpire a morte l'avversario più debole:
l'Austria. Ma tale concetto appare irrazionale ed è a ritenere che i
capi francesi ed inglesi non si sarebbero mai lasciati indurre a tradurlo in atto.
XVI
La condotta offensiva della guerra nel quadro dell'alleanza.
La guerra era stata intrapresa per il raggiungimento degli obiettivi nazionali: Trento e Trieste. L'on. Salandra, con la non felice, ma
altrettanto malintesa formula del sacro egoismo, aveva voluto accentuare il concetto dell'indipendenza della nostra guerra, senza sufficientemente considerare il fatto che nelle coalizioni la vittoria comune è
XVII
XVIII
PREFAZIONE
PREFAZIONE
Infatti il trasporto di ingenti forze alleate in Italia non sarebbe
sfuggito all'occhio vigile dei tedeschi, i quali avrebbero potuto, disponendo di linee interne, comodamente contrapporre adeguate misure, mentre la lontananza di obiettivi vitali ed il terreno impervio,
sfavorevole allo spiegamento e alla manovra di grandi mezzi, facevano
escludere un successo decisivo. In ogni caso non fu certo il Comando
Supremo italiano ad opporre ostacoli o anche solo obiezioni ad un
simile proposito degli alleati. Ne è chiara prova la lettera che si trascrive in nota.1)
i tedeschi, con tutta la loro prevalenza tattica, lasciarono centinaia di
migliaia di morti sulle rive della Mosa nel vano attacco a Verdun.
Perché dunque da noi si è tanto diffusa la sensazione che i nostri
sacrifici furono sproporzionati al risultato, quando l'intiera guerra si
risolse con l'esaurimento materiale e morale di uno degli avversari
anziché con una brillante manovra strategica?
Forse perché ai primi 30 duri mesi di guerra che precedettero
Caporetto si vollero contrapporre gli ultimi 12 i quali, con perdite
e disagio assai minori, ci diedero la vittoriosa battaglia del 15 giugno
e la vittoria finale di Vittorio Veneto?
Ma già si è detto che il confronto non regge perché la situazione
era radicalmente cambiata.
Dopo Caporetto il Paese realizzò una temporanea unione sacra è
sostenne con ogni mezzo il morale dei combattenti; il fronte si era
enormemente raccorciato consentendo una più facile sostituzione delle
truppe in linea e inoltre era stato ricondotto su di una linea di nostra
scelta anziché risultare dalle posizioni di arrivo di precedenti offensive; la disponibilità di materiale si era molto accresciuta in grazia di
forniture alleate e della realizzata mobilitazione industriale così che
nel 1918 furono sparati più colpi di artiglieria che non nella somma
degli anni precedenti; l'atteggiamento difensivo degli eserciti dell'Intesa consentì alcuni mesi di tregua che furono preziosi per riorganizzare le nostre forze e rinsaldare la linea della Piave in attesa dell'urto
nemico. Infine, fattore non trascurabile, l'offensiva del 15 giugno ci
oppose le sole forze dell'esercito austriaco. Quale piega avrebbero preso gli eventi se al 15 giugno un'armata germanica avesse attaccato le
posizioni degli Altipiani, o del Grappa, o del Montello?
E anche la decisiva, fulminante battaglia di Vittorio Veneto fu
tale perché l'impero austro-ungarico aveva cessato di esistere e truppe
delle varie nazionalità, comprese quelle ungheresi e tedesche, si ammutinarono nel corso della battaglia, anelanti di rientrare nei rispettivi Paesi.
Questa verità solare, che cioè la vittoria finale fu il risultato della
decomposizione cui la lunga guerra logoratrice e il conseguente movimento centrifugo delle nazionalità avevano condotto l'intelaiatura
dell'impero austro-ungarico, e non di una geniale strategia, come
una interessata propaganda ha tentato di far credere, non può essere
oggi da nessuno negata.
Propaganda che, giustificata con ragioni di malinteso patriottismo,
valse a farci sopravvalutare le nostre forze, a nascondere le nostre man-
Le caratteristiche della guerra stabilizzata.
I successi relativamente limitati e l'alto prezzo di sangue con cui
furono pagati, nei primi trenta mesi di campagna, vanno in parte,
come si è detto, attribuiti alla deficienza dell'armamento ed alla scarsa capacità tattica. In parte, perché la ragione essenziale risiedette
nella forma di guerra stabilizzata che nel '15-18 fu imposta dal prevalere delle armi automatiche e dal trionfo della fortificazione campale.
Tale fenomeno si verificò su tutti i fronti: francesi ed inglesi
pagarono i limitati successi con perdite altrettanto gravi, ed anche
1> Al Sig. Comm. Capel Cure - R. Ambasciata di S. M. Britannica - Roma.
30 maggio 1917
Caro Signore,
La ringrazio della sua lettera e di quanto mi riferisce circa la soddisfazione
dell'on. Lloyd George per l'accoglienza fatta in Italia alle batterie inglesi. Quello
ch'Ella chiama il primo obiettivo, di dare cioè una prova tangibile della nostra
fratellanza d'armi, è stato certamente raggiunto dalla efficace partecipazione alla
nostra grande battaglia delle artiglierie inglesi.
Ma il momento mi sembra giunto perché tutti quelli ai quali la stretta
collaborazione delle forze inglesi ed italiane alla fronte dell'Isonzo è parsa di
sommo interesse per la soluzione della guerra si adoprino per affrettare una
soluzione in questo senso. Gli avvenimenti danno oggi ragione alle previsioni
dell'ori. Lloyd George e mie. Mentre sulla fronte occidentale l'ultima offensiva
mette in evidenza la difficoltà, per non dire l'impossibilità, di uno sfondamento di tale natura da raggiungere gli obiettivi prefissi, sulla fronte Giulia
si fa sempre più manifesto che il toccare punti di sensibilità vitale per la monarchia austro-ungarica è solo questione di mezzi. Unita all'Inghilterra, l'Italia potrebbe entro l'anno portare la lotta a tal punto da costringere forse l'Austria a piegare; giungendo per la via più sicura a quell'isolamento e quindi
assedio della Germania, che è negli intendimenti della politica inglese e nell'interesse di tutti gli alleati.
Confido che Ella si adoprerà, con l'amore per l'Inghilterra e per l'Italia che
ispira tutta l'opera sua affinché l'on. Lloyd George riesamini la questione al più
presto vincendo le difficoltà che si erano dapprima opposte alla giusta intuizione della realtà.
L. CADORNA
XIX
XX
PREFAZIONE
PREFAZIONE
chevolezze, ad avviarci a quello stato d'animo di insoddisfazione e di
irrequietezza che, anche sul terreno delle rivendicazioni nazionali, doveva produrre manifestazioni di indisciplina e di sediziosità di cui
l'impresa d'annunziana fu l'esempio.
I nostri alleati cercarono di svalutare la battaglia di Vittorio Veneto,
che fu veramente decisiva, in quanto, mettendo definitivamente fuori
causa l'Austria, costrinse la Germania alla resa, ma a questa svalutazione diedero per primi pretesto coloro che rappresentarono Vittorio
Veneto come un fatto isolato, improvviso e non come il risultato di
40 mesi di guerra per cui, come è sempre accaduto in tutte le guerre,
si raccolgono in un giorno i frutti degli sforzi lungamente durati e
dei sacrifici senza misura compiuti.
Di questa passività certo non ci furono grati gli alleati e la tardività di Vittorio Veneto fu scontata a Versailles.
Se in quel fatale ottobre 1917 i nostri precedenti successi e restrema prostrazione dell'esercito austro-ungarico non avessero richiamato l'aiuto del potente alleato germanico, le cose sarebbero andate
ben altrimenti. Dopo di avere assestato, con la campagna del '17, un
ben duro colpo alle forze austro-ungariche, il generale Cadorna avrebbe probabilmente potuto giocare la carta decisiva nella primavera del
'18, allorquando gli eserciti germanici erano troppo impegnati nel cercare la decisione sul fronte occidentale per distrarre forze a vantaggio
dei malfermo alleato. E molte cose sarebbero cambiate nella successiva storia dell'Italia.
Si dirà che è futile basare dei ragionamenti sulle ipotesi, ma non
lo è,meno il fondarli sulla scienza del poi.
La mutevole sorte della guerra frustrò questi propositi: l'improvviso apparire di agguerrite divisioni germaniche sull'Isonzo e l'applicazione della nuova tecnica germanica già collaudata nell'attacco di
Riga determinarono un capovolgimento di situazione.
Ben differente — si è detto — la situazione dopo Caporetto. Gli
Stati Maggiori alleati, in vista della defezione della Russia, decisero di
passare temporaneamente alla difesa e, in attesa dell'apporto americano, di raccogliere le loro forze per fronteggiare il prevedibile supremo urto germanico.
Anche l'Italia ricostituì le sue forze sulla linea del Piave, molto
più corta di quella dell'Isonzo e quindi più proporzionata alle forze
disponibili, meglio servita dalle comunicazioni per lo spostamento
delle riserve.
L'on. Nitti, sempre nel volume Rivelazioni, ascrive a titolo di
merito il fatto che il Comando Supremo italiano conservasse tenacemente la difensiva nel 1918, anche quando gli alleati, rintuzzate le
offensive germaniche di Amiens, dello Chemin des Dames e della,
Marna, iniziarono quella offensiva generale che Foch perseguì tenacemente sino alla vittoria.
E' possibile che quella determinazione fosse saggia, ma è da osservare che la passività fu spinta al punto da rinviare ogni preparativo
di attacco al successivo anno 1919, né tale atteggiamento mutò allorquando la vittoria dell'Armata di oriente contro le forze bulgaro-germaniche lasciò prevedere il crollo del nemico nell'annata in corso. Ne
conseguì che l'offensiva di Vittorio Veneto, deliberata dal Governo,
dietro le crescenti pressioni alleate, quando già l'impero austro-ungarico si era ufficialmente dissolto, e accettata a malincuore dal Comando
Supremo italiano, fu iniziata con preparazione più che sommaria come
il maresciallo Giardino ha esaurientemente dimostrato per l'Armata del
Grappa.
XXI
* * *
Di fronte alla situazione politica del Paese, a quella materiale e
morale dell'esercito, brevemente illustrate, che poteva fare il comandante cui era stato affidato il duro compito di condurre una guerra
imprevedibilmente lunga e cruenta, se non imporre all'esercito l'ostinata volontà di combattere e di scongiurare il Governo affinché imponesse al Paese la necessaria disciplina di guerra?
E l'esercito che aveva consentito i generosi sforzi delle 11 battaglie dell'Isonzo non fu sordo al supremo appello lanciato dal capo
prima di lasciare il comando: dopo Caporetto non ci fu « 8 settembre»
e le armate battute, ma non disfatte, si riannodarono sul Piave ove iniziarono, prima che potesse farsi sentire qualunque altro influsso di comando e di governo, quella eroica resistenza che fu una delle più belle
pagine dell'esercito italiano.
Numerosi critici militari e la Commissione di inchiesta rilevarono non pochi errori nell'ordinamento dell'esercito, nella sua tenuta
disciplinare e nella condotta delle operazioni.
Alcune di tali critiche sono giustificate: il generale Cadorna soleva
dire che col senno di poi sarebbe stato capace di sottoporre a critica
serrata la più bella campagna di Napoleone!
XXII
PREFAZIONE
Altre critiche muovevano da presupposti teorici e da interessata
ed unilaterale visione delle cose.
Si fece per esempio grande scalpore sulla frequente eliminazione
di ufficiali di alto grado e si disse che essa era stata causa di demoralizzazione nell'esercito.
Ma si dimenticò che una guerra di quel genere esigeva nei capi
eccezionali qualità fisiche e morali: si dimenticò che, grazie alla severa eliminazione, erano saliti al comando delle grandi unità i migliori, mentre quelli portati in alto con provvedimenti di eccezione nello
stesso più stretto entourage del capo ebbero l'universale riconoscimento
e raggiunsero più tardi le cariche di più alta responsabilità.
Si criticò, nell'ordinamento dell'esercito, lo scarso numero delle
armate e la loro eccessiva pesantezza per condurre la guerra di manovra. Ma era questa una conseguenza della guerra di posizione, mentre la creazione di nuovi comandi di armata avrebbe assorbito altro
personale di Stato Maggiore con la, conseguenza di depauperare le unità
degli scarsi ufficiali effettivi disponibili.
Si parlò molto della non rispettata inscindibilità della divisione,
inconveniente teoricamente indiscutibile, ma si trascurò di aggiungere
che le operazioni in corso esigevano che l'artiglieria, meno provata
della fanteria, restasse in linea durante i turni di riposo per assicurare
la necessaria densità di fuoco e che i comandi venissero lasciati quanto
più possibile sul posto per acquistare la migliore conoscenza del settore.
Necessità non conosce legge e taluni fra coloro che mossero tale
critica non poterono rispettare, durante la recente campagna di Grecia,
neppure l'inscindibilità del reggimento! Dopo il disastro di Caporetto
molto trovarono a ridire sui sistemi disciplinari in uso: eppure non si
tiene insieme un esercito senza una salda disciplina che non è facile imporre in un Paese ove i cittadini si fanno un vanto di violare sistematicamente leggi e regolamenti.
Si scagliarono sassi contro la II Armata ed il suo comandante generale Capello. Dimenticarono che, sino a pochi giorni prima, la II Armata era stata citata ad esempio ed il generale Capello esaltato ed indicato come probabile successore del generale Cadorna dai più autorevoli
parlamentari che visitavano il fronte.
Ragione questa, non ultima, per la quale il generale Cadorna fu purtroppo riluttante a mettere le mani nelle cose della II Armata non volendo in alcun modo sembrare geloso del suo dipendente, delle cui capacità militari aveva del resto grande stima.
PREFAZIONE
XXIII
* **
La letteratura del dopoguerra si è largamente occupata dell'opera,
del generale Cadorna: la discussione si fece tanto aspra da dividere
l'opinione pubblica in cadorniani ed anticadorniani, ed apparvero pubblicazioni di carattere apologetico, critico o addirittura denigratorio.
Ma per la massa dei combattenti il generale Cadorna rimase il
tipico rappresentante di quella guerra, il simbolo dei loro sforzi per
la conquista di un cocuzzolo, di un ridottino, di un trincerone, per la
difesa di un camminamento a colpi di bomba a mano.
Fra il comandante e i suoi soldati si era sviluppato un fluido, una
mutua comprensione che non si estrinsecava in vaniloquio rettorico od
in gesti di popolarità, dai quali il generale rifuggiva, ma risiedeva
nella reciproca stima e fiducia.
Nessuno infatti più del generale Cadorna ha creduto nelle capacità del popolo italiano quando sia guidato con fermezza e con giustizia.
La profonda conoscenza storica gli faceva attribuire gli insuccessi delle
nostre campagne di indipendenza a mancanza di unità di comando e
a errori nella condotta operativa, non a deficienza qualitativa degli
uomini. Per tale ragione poneva a base delle sue concezioni la necessità di una salda disciplina, dell'unità di comando, della piena responsabilità del comandante ed aveva fiducia di essere da tanto da saperla
attuare.
La sua fiducia nel popolo italiano era incrollabile: ogni volta che
si tentava di rappresentargli le difficoltà, la precarietà della situazione,
ci opponeva: «Gli altri non stanno certo meglio, bisogna considerare
le cose con criterio di relatività: in fondo la truppa austriaca non si
è mai battuta meglio della nostra.»
Ed il combattente nutriva verso di lui non solo timore riverenziale,
ma quella stima e fiducia che ispirano gli uomini diritti, sicuri di sé
anche se inflessibili.
Anche il fante scanzonato che soleva cantare : « Il general Cadorna
ha detto alla regina: se vuoi veder Trieste, compera una cartolina»,
od il conducente alpino che chiamava Cadorna il suo mulo per poter liberamente imprecare e sfogare su di lui il malumore per i disagi patiti non avevano in fondo altro animo ed istintivamente comprendevano che i suoi difetti non erano che il riflesso delle sue qualità.
Così gli umili combattenti lo trassero, a dispetto dell'ostilità e
dell'indifferenza dell'Italia ufficiale, dall'isolamento nel quale si era
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volontariamente posto e gli rinnovarono una popolarità che egli non
aveva mai cercata. Ma l'apoteosi avvenne dopo la sua morte.
A Bordighera la sua salma fu avvolta nel tricolore dai fedelissimi
combattenti di Lucchesia, e durante il trasporto alla natia Pallanza
ininterrotte furono le manifestazioni del popolare cordoglio.
Ed infine, capitanati da Carlo Delcroix, furono mutilati e combattenti che gli vollero inalzato il mausoleo di Pallanza, ove tuttora
continuano i pellegrinaggi di combattenti memori e devoti.
Ha fosse venuto, lo sentiva della sua razza e della sua terra. Il generale,
conosciuto il paese natio dell'interlocutore, lo collocava così esattamente
nel suo quadro di monti o di piani, di mare o di lago, da far pensare
che lui stesso vi avesse passato molti anni di vita. Il breve colloquio
terminava con qualche episodio familiare da una parte, e dall'altra con
qualche buon consiglio che non sarà sempre andato perduto.
Tale era la sua arte educativa, lo diceva lui stesso, di « chiaroscuro». Così era stato nell'educare i figli: ora severissimo, ora tenero
fino all'espansione ed alle lagrime, ora, occorrendo, tonante con la sua
robusta voce che non ammetteva resistenza. Così era stato al comando
del 10° Bersaglieri, il comando più soddisfacente di tutta la sua carriera, ora colonnello, ora padre. L'attaccamento che gli conservarono
molti fedeli di quel reggimento dimostra che il subordinato non si ribella all'autorità se congiunta alla giustizia ed all'umanità.
Del resto, quella disciplina, puntualità e coscienziosità richieste agli
altri non le impose sempre a se stesso fino all'ultimo anno della sua
vita? A chi mancava di puntualità ad un impegno preso osservava di
non aver mai fatto aspettare nessuno, neppure il suo cavallo.
Radice di tale autodisciplina e precisione era un sano equilibrio
fisico ed intellettuale, che gli uni non percepivano, forse ingannati dal
temperamento nervoso e vivace e gli altri scambiavano per indifferenza ed insensibilità. Era invece un ordine essenziale dell'intelletto
che informava di sé anche le azioni più comuni della vita quotidiana
e non permetteva alle cose importanti di sopraffare quelle che non lo
erano. Chi nel maggio 1915 assistette alla sua partenza per la guerra
ricorda come rifacesse le scale di casa per spiegare alla moglie un particolare domestico.
Ancor più del quotidiano lavoro in servizio del Paese fu severa
disciplina il silenzio, quando, dopo la catastrofe del '17, la tentazione
di protestare e di recriminare era continuamente aizzata da attacchi in
alto, intemperanze in basso, da astuzie malevole di giornalisti, insulti
e minacce scarabocchiati sui muri che insidiavano anche il modesto
svago della sua passeggiata giornaliera»
Ma tutto ciò, pur amareggiandolo, non toccava la profondità del
suo animo.
Ritornato al tavolo di lavoro, riprendeva la sua battaglia sulla carta,
rievocava la grande impresa con lo stesso ardore e la stessa convinzione
come se la dovesse ricominciare da capo.
L'illusione era tanto più viva in quanto che il generale, per far
fronte al freddo della stagione, scriveva intabarrato e inguantato come
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Poiché, nella solennità della morte, l'uomo, soprattutto l'uomo semplice, che non conosceva o non considerava la critica, sentiva nel generale soltanto l'uomo nel senso più integro della parola. Veramente
monolitico, scolpito come lo cantò il poeta:
<< nel più puro granito del Verbano ».
Le contraddizioni solo apparenti e superficiali del suo carattere
dettero luogo a leggende e giudizi affrettati, sfruttati ad arte dai critici in mala fede.
Chi invece avvicinava il generale nell'intimità poteva osservare
come tali apparenti contraddizioni si conciliavano nell'armonia della
sua personalità: forte, ma non duro, inflessibile e non ostinato, orgoglioso e non vano, ragionevolmente ossequiente all'autorità e non adulatore, parsimonioso per abitudine di ordine e per dovere e spregiatore
del denaro se avesse dovuto sacrificare ad esso anche le parvenze della
propria indipendenza e dignità.
La schiettezza gli splendeva in volto, nello sguardo limpido e nel
riso giovanile, chè di buon umore ne serbò una buona dose anche attraverso le vicende amare della vita. Anzi a questa reazione prendeva un
gusto direi sportivo e soleva ripetere: «Per quante me ne facciano,
non mi faranno mai perdere né il sonno, né l'appetito, né ili buon
umore. » E ancora, alludendo alla vivacità del suo carattere : « Mi par
d'essere come il mare, agitato in superficie, calmo in fondo. »
Perciò chi ha voluto rappresentare il generale sempre burbanzoso
e distante non ha colto nel segno.
Naturalmente quando, non più in servizio, gli capitava d'incontrare;
un militare di qualunque grado, con le mani in tasca, l'uniforme sciatta
o in compagnie poco decorose, sprizzava fiamme e fremeva di non
poterlo redarguire e magari fargli appioppare qualche giorno di rigore; ma se non c'era di mezzo quella benedetta disciplina, era tutt'altro. Il soldato, o l'umile artigiano, da qualunque remoto canto d'Ita-
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in piena campagna. Ad alimentare la sua inesauribile pazienza contribuivano quella tanto fraintesa fiducia in sé e nella giustizia, se non
presente, almeno futura; la giudiziosa considerazione delle grandi proverbiali ingiustizie della storia e delle capricciose alternative della fortuna, onde gli ritornavan spesso a mente il ricordo dell'« osanna » e
del «crucifige» del Campidoglio e della Rupe Tarpea e il manzoniano : « Tre volte nella polvere, tre volte sull'altar »
E ancora un senso di predestinazione alla continuazione di un'impresa lasciata incompiuta dal padre (fermato vittorioso nel '66 al ponte
di Versa) e che neppure lui avrebbe avuto la soddisfazione di compiere. Per tal via il naturale orgoglio era nobilitato dalla fede nella
subordinazione ad un piano divino. Quante volte il visitatore lo sorprendeva nel suo studio intento a leggere o declamare versetti di salmi
o di Vangelo, terzine di Dante, massime di Boezio o di Marco Aurelio,
che più si addicevano ai casi suoi!
Gli parvero pure segno di predestinazione lo studio e la pratica della
montagna a cui speciali incarichi dello Stato Maggiore lo avevano
iniziato. Giovane capitano, aveva percorso con le carte militari (tenute più o meno in evidenza! ) gran parte delle Alpi di frontiera. Così
della montagna gli si era sviluppata anche la passione. L'ampio panorama, il respiro più libero, la solitudine ed il silenzio, tutto gli dava un
benessere fisico e morale, un senso di liberazione dalle bassezze e volgarità della vita. Fisionomista di profili alpini assai più che di volti
umani, riconosceva quei profili così mutevoli, da qualunque parte li
osservasse, mentre la sua quasi infallibile memoria ne ricordava immediatamente i nomi e nelle diverse lingue, secondo i versanti.
Non desta allora meraviglia se, già maturo, il generale ripetesse
coi figli alcune tra le più facili ascensioni nel mese di vacanza delle
scuole. Non era giuoco, era austera conquista della montagna e si può
star certi che i collegiali, affamati, prima di ascoltare una lezione di
topografia sulle carte dello Stato Maggiore, avrebbero preferito addentare
la sobria colazione. Ma non c'era scampo e nessuno avrebbe osato fiatare. Del resto, il futuro avrebbe dimostrato l'utilità di quell'esercizio
istruttivo e sano. Quest'intuito della montagna era nel generale così
potente da sopravvivere al crollo delle altre facoltà mentali. A Bordighera, nella sua ultima passeggiata, volgendosi versoi le montagne del
Nizzardo, col bastone vacillante ma in direzione sicura, indicava le
fortificazioni delia Tète de Chien.
Alla passione della montagna non era inferiore quella del mare,
e più volte lamentava che la vista debole gli avesse impedito di seguire
la carriera marinara. Nuotatore e rematore vigoroso, dimostrava ugual
forza a resistere a qualunque bufera scuotesse il bastimento. Più il
gigante traballava e i passeggeri ad uno ad uno si arrendevano, e più
se la godeva imperterrito sulla tolda come un vecchio lupo di mare
con l'unico effetto di sentire un formidabile appetito.
Senza dubbio alla carriera marinara l'avrebbero preparato la sua
attitudine per le matematiche e gli studi compiuti con particolare
onore alla Accademia Militare. Invece negli studi letterari e filosofici fu autodidatta; lettore appassionato di opere classiche, assimilate
con la prontezza dell'ingegno e ricordate con prodigiosa memoria. Scrivendo ai figli in collegio, citava spesso versi di Dante, del Tasso, dell'Alfieri per spronarli a coltivare le qualità del carattere ed osservare
le regole dello stile.
Chi, per denigrare il generale, lo dipinse intransigente ed in alcune questioni addirittura intrattabile, gli fece, nolente, un elogio,
uno dei pochi a cui teneva moltissimo. Vi erano infatti dei capisaldi
morali a cui il generale mai «piegò sua costai)). Per tal ragione, forse,
la figura dantesca di Farinata gli era particolarmente cara.
Non piegò mai davanti a nessun compromesso della coscienza,
fosse pure a costo di perdere la carriera o di, rinunciare a quel minimo
di agi acquistati con una vita laboriosa e parsimoniosa. A questo senso
altissimo della dignità e della probità, condiviso integralmente dalla
moglie, dovette se, attaccato da tutte le parti per il suo operato di
comandante, non lo fu mai nella sua dignità morale né fu toccato alcun
membro della famiglia. E qui non è il caso di citare episodi che ricordino la probità leggendaria di alcuni padri del nostro Risorgimento che
farebbero per lo meno sorridere molti scanzonati esperti dei giorni nostri! In questa luce va considerato il netto rifiuto del generale alla possibile soluzione del « suo caso », ventilato in casa Albertini qualche
tempo prima della sua riabilitazione.
Tanto Luigi Albertini che Tommaso Gallami Scotti volevano indurlo ad accettare grado ed assegni di Maresciallo senza l'anzianità. Il
generale fu irremovibile. Se riabilitato, doveva esserlo come primo comandante della guerra: rinunciare all'anzianità voleva dire, svalutare,
oltre al comandante, i combattenti della prima durissima parte della
guerra, sarebbe stato accettare un compromesso; il generale non piegò
ed aspettò.
In qualche altro caso, una tale irremovibilità di proposito non
poteva essere effetto di unilateralità di visione? Può darsi! Non perché
dei paraocchi gli impedissero di considerare i vari punti di vista, ma
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perché, puntando all'essenziale, il generale si asteneva istintivamente
dalle divagazioni intellettuali che affievoliscono la volontà d'azione.
Tutti i condottieri di grandi imprese sono stati in questo senso
unilaterali, poiché la troppo minuziosa analisi e l'esagerata autocritica
conducono fatalmente alla filosofia dell'asino di Buridano che, per troppo
considerare, finì per morire di fame. Però il generale non spregiava i
consigli e soleva dire che un buon generale deve ascoltare le opinioni
altrui, ma essere solo a decidere irrevocabilmente.
Suo padre, Raffaele, morendo in piena coscienza, stringeva il pugno a significare la fermezza del carattere e la volontà di vittoria nell'ultima e più tremenda battaglia della vita. Il nostro generale, nella
tormentosa e lunga agonia, in preda al delirio, ad un tratto sì sollevò e
puntando lontano lo sguardo allucinato con parole incomprensibili e
col braccio imperiosamente disteso pareva volesse incitare ancora le
sue genti a lontana, ma certa vittoria. Dopo vent'anni dalla sua morte,
all'infuori di polemiche e brevi pubblicazioni di circostanza, non è
ancora comparsa una testimonianza completa degna dell'uomo che
tenne testa coraggiosamente e cristianamente al suo destino.
Poiché tra le personalità notevoli che, per essere state al suo fianco,
avrebbero potuto farlo con particolare competenza alcuni, come il generale Pintor, sono scomparsi; altri, come Tommaso Gallarati Scotti,
destinati ad alti uffici nel dopoguerra, non hanno avuto né tempo né
tranquillità di scrivere.
Non abbiamo tale dovizia di uomini di carattere da trascurare di
proporre l'esempio dei pochi alle nuove generazioni che hanno l'arduo
compito di rifare, non solo le case e le vie d'Italia, ma soprattutto; di
rinsaldare la volontà e la virtù civica e morale degli Italiani.
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Pallanza, 28 febbraio 1949.
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(Bordighera, 18-12-1927)
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PREMESSA
«
• CADORNA.
Se si trattasse soltanto di coloro i quali, per spìrito partigiano o per rancore personale ringhiano ed abbaiano alle mie calcagna, non mi sarei certamente preso il disturbo di scrivere questo libro. Di costoro non è il caso di occuparsi. Avrei continuato
a seguire il consiglio di Raimondo Montecuccoli il quale, discorrendo delle calunnie e delle mormorazioni cui è esposto il
capitano, dice: « Non deve il generale farne conto »; e in altro
luogo: « Non deve curarsi de' cicalecci del volgo ».
Ma, nel caso mio, si tratta di ben altro. In seguito ai biasimi di una Commissione d'inchiesta, presieduta da un generale
d'esercito, incaricata di indagare sulle cause del disastro di Caporetto e nominata da chi avrebbe dovuto da quella stessa Commissione essere giudicato, ed era il principale interessato alla mia
condanna, io venivo qualificato come il principale responsabile
del disastro di Caporetto, e come misura punitiva mi si collocava a riposo d'autorità, o, in altre più chiare parole, io venivo cacciato dall'esercito.
Alla maggior parte delle accuse di carattere militare-tecnico
ho implicitamente risposto nel mio libro La guerra alla fronte
italiana con la veridica esposizione dei fatti. Ma non potevo rispandere in quel libro, neppure implicitamente, alle accuse di
carattere militare-morale, che sono le più importanti, e per me
le più odiose, come quelle dalle quali si è voluto quasi esclusivamente far derivare lo stato d'animo delle truppe che fu la
precipua causa del disastro.
PREMESSA
4
5
PREMESSA
Ho pertanto, di fronte a quella condanna ufficiale, più ancora che il diritto, il dovere di esporre fatti e ragioni in opposizione alle affermazioni della Commissione d'inchiesta. Lo debbo al mio buon nome, che nessuna interessata malevolenza riuscirà mai ad offuscare. Lo debbo soprattutto al Paese, il quale
mi conferiva il grande onore di guidare l'esercito nella guerra
suprema del suo Risorgimento e che ha diritto di conoscere qual
fondamento abbiano le affermazioni della Commissione d'inchiesta. Né mi lascerò trattenere da questo proposito da pretese
ragioni di inopportunità di questa pubblicazione, le quali darebbero comodamente causa vinta ai calunniatori, soffocando la
voce della difesa e della giustizia. Questa ha pur diritto di
essere ascoltata quando non ne derivi danno agli interessi del
Paese, e io non vedo in che essi potrebbero essere danneggiati.
Ho taciuto durante tanti anni perché il difficile periodo che
l'Italia stava attraversando mi consigliava il silenzio. Continuerò a tacere per tutta la mia vita perché rifuggo dalle polemiche
personali. Ma lascio esplicito incarico a mio figlio Raffaele di
pubblicare il presente volume dopo la mia morte perché intendo che la verità sia francamente affermata e da tutte le persone
oneste riconosciuta.
Taluno potrebbe osservare che la mia nomina a Maresciallo
d'Italia avvenuta il 4 novembre 1924 equivale ad un implicito
riconoscimento morale delle iniquità della Commissione d'inchiesta e, distruggendone gli effetti, rende inutile la mia replica.
Ed è vero. Senonché la relazione della Commissione d'inchiesta
è un documento ufficiale, e come tale può essere invocato dallo
storico futuro. Perciò a fianco del medesimo io reputo necessario che vi sia la mia risposta. Non mancano difatti, specialmente all'estero, persone le quali, in perfetta buona fede, hanno
creduto di citare la relazione della Commissione d'inchiesta attribuendole la massima autorità di documento ufficiale. Ne
darò un esempio convincente. Il generale tedesco Krafft von
Dellmensingen, il quale comandò con distinzione il Corpo Alpino tedesco (Deutschen Alpencorps) e fu poi capo di Stato
Maggiore della XIV Armata tedesca nella battaglia di Capo-
fitto, ha pubblicato una importante opera in due volumi intitolata: Der Durchbruch am Isonzo (Lo sfondamento all'Isonzo). A pag. 161 del volume 1 qualifica la relazione della Commissione d'inchiesta come documento di grande importanza storica (ein einzig-artiges geschichtliches Dokument) e soggiunge
che in esso le cause della nostra disfatta sono chiarite con rara
sincerità! (mit einer seltener Aufrichtigkeit Klargelegt). E su questa base, insieme a molti elogi, mi rivolge le stesse critiche che
mi sono state fatte dalla Commissione d'inchiesta. Posso perciò
io tollerare che la relazione di questa serva ancora di testo a
coloro che mi vogliono in buona fede giudicare?
La mia risposta alla Commissione d'inchiesta formerà oggetto della prima parte di questo volume. Nella seconda parte
risponderò brevemente ai libri dei generali Capello e Nava,
poiché, tenuto conto dell'autorità che loro deriva dall'aver coperto una carica così elevata quale è quella di comandante di
Armata in guerra, non reputo di poter lasciare senza risposta
i loro attacchi. Di tutti i non pochi altri, non mi curo.
LUIGI CADORNA
Pallanza, 15 dicembre 1926.
PARTE PRIMA
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
PER CAPORETTO
CAPITOLO I
OSSERVAZIONI GENERALI
Con R. D. 12 gennaio 1918 veniva istituita una Commissione d'inchiesta « allo scopo di indagare e riferire sulle cause
e le eventuali responsabilità degli avvenimenti militari che
hanno determinato il ripiegamento del nostro esercito sulla Piave,
nonché sul modo come il ripiegamento stesso è avvenuto ».
Nell'agosto del 1919 la Commissione presentava al Governo
la sua relazione.
Questa sollevò polemiche molto aspre, il cui carattere principale fu questo: che essa fu incondizionatamente approvata dai
disfattisti di ogni specie, quelli stessi che, prima di Caporetto,
mi avevano fatto segno a continui attacchi che si erano infranti
contro un'opinione pubblica a me allora favorevole. Invece, per
parte di molti giornali interventisti si manifestarono critiche
molto vivaci sull'opera della Commissione. Delle ampie lodi
dei primi questa non sarà stata davvero lusingata, come non
sarà stata paga di aver dato alla luce un documento del quale
ha fatto tesoro il disfattismo italiano per proseguire nella sua
opera abominevole, tentando di inoculare nel Paese il senso
della disfatta dopo di aver fatto di tutto per provocarla.
Difatti, anche a chi superficialmente scorre la relazione,
chiaro apparisce il continuo sforzo per diminuire l'importanza e
i risultati della prima parte della guerra che fu indubbiamente
la più difficile e la più aspra, e perciò la più gloriosa, allo
scopo di accrescere valore alla seconda parte; senza tener conto
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI GENERALI
del fatto storico indiscutibile che la grandiosa vittoria finale non
fu cosa per sé stante, sbocciata improvvisamente per il felice
concorso di circostanze del momento, ma fu invece l'integrazione di tre anni e mezzo di guerra, che prostrarono l'avversario, come emerge anche dalle dichiarazioni degli stessi generali
nemici; e senza neanche ricordare che la possibilità della vittoria finale emerse dal modo con cui fu effettuata la ritirata alla
Piave e la sistemazione dell'esercito sul fiume: modo che la
Commissione è costretta a lodare altamente ed incondizionatamente.
Quale la ragione di questa tendenza?
La Commissione era stata nominata da quello stesso on. Orlando (salito alla presidenza del Consiglio) il quale, come ministro dell'Interno del precedente gabinetto Boselli, aveva concesso la più larga tolleranza alla propaganda disfattista che fu
la causa principale della depressione degli animi e della indisciplina nell'esercito. Pesava perciò sull'on. Orlando una gravissima responsabilità, della quale egli non poteva alleggerirsi se
non facendo risultare da un'inchiesta che il disastro era dovuto,
almeno in gran parte, a cause militari, tecniche e morali. E
Fon. Orlando, che avrebbe dovuto essere un giudicabile, nominava la Commissione che avrebbe dovuto giudicare anche
lui! Basta rilevare questo fatto per togliere qualsiasi valore all'opera della Commissione d'inchiesta.
Le cose che dico non sono una novità: sono state dette e
ripetute da parecchi fra i più autorevoli giornali.
Si aggiunga che dei sette membri della Commissione cinque provenivano dall'ambiente parlamentare, il quale, dopo Caporetto — e non solo allora — si era dimostrato in non piccola parte a me ostilissimo, tanto nelle sedute segrete quanto
nelle pubbliche, senza possedere nessuna cognizione dei fatti
che, ciò malgrado, venivano giudicati e condannati! Si noti ancora che la Commissione compiva il suo lavoro e presentava la
relazione mentre Fon. Orlando era capo del Governo e rappresentava l'Italia a Parigi nelle laboriose trattative di pace, cioè
mentre gli interessi del Paese richiedevano che fosse mantenuto
ben alto il suo prestigio. Si tenga conto di tutto ciò e si dica
se non è sorprendente che le rispettabili persone che componevano la Commissione abbiano creduto di accettare e di condurre a termine il loro mandato in tali circostanze! 1)
Confesso che, per parte mia, avrei fatto molto bene a rifiutare l'opera di una Commissione che agiva in simili condizioni
e a protestare.
Circa la competenza della Commissione osservo che, dovendo il suo lavoro di indagine avere in gran parte per oggetto
questioni tecnico-militari, avrebbero dovuto in essa prevalere
gli elementi tecnici. Invece non ve n'erano che due, cioè il presidente, generale Caneva, e il generale Ragni. Preponderavano
numericamente i cinque avvocatici quali, naturalmente, per le
questioni tecniche dovevano rimettersi ai due generali. Perciò
una Commissione che avrebbe dovuto essere tecnica per corrispondere al suo mandato non ebbe altri lumi ed altra guida in
materia tecnica all'infuori di quella dei due predetti generali,
dei quali l'uno, il generale Ragni, era stato esonerato dal comando di un Corpo d'Armata appena un mese dopo iniziate le
ostilità, e l'altro non aveva preso parte alcuna a questa guerra,
(nella quale non gli era stato affidato alcun incarico): guerra così differente dalle altre che io solevo dire che, all'infuori
dei principi costanti in tutti i tempi, era d'uopo bruciare i libri
sui quali avevamo studiato e rifarci daccapo una nuova esperienza!
Ma all'infuori della competenza tecnica sono soprattutto i
metodi seguiti dalla Commissione che tolgono valore ai suoi
verdetti.
Essa è addivenuta a formulare accuse di capitale importanza
senza avermi interrogato.
Anche il generale Capello ha più volte protestato sui giornali per accuse che non gli furono contestate.
E il generale Bongiovanni, nel suo opuscolo /l Comando
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1) Debbo fare un'eccezione per l'ammiraglio Canevaro, il quale, un mese
dopo la sua nomina a membro della Commissione, visto di che si trattava, si
dimetteva.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
del VII Corpo d'Armata nella battaglia di Caporetto, così scrive
a ragione a pag. 38 :
Pur senza comminare pene, la Commissione d'inchiesta ha, negli
effetti, funzionato come un tribunale, anzi come un tribunale senz'appello: eppure essa — con procedura che non ha riscontro presso nessun
paese retto da liberi ordinamenti — ha trascurato il primo di tutti i
diritti, quello di difesa. I suoi propositi di inspirarsi ai superiori concetti di verità e di giustizia e di precorrere il giudizio della storia (N. 1)
come la presunzione di inconfutabilità (N. 592) perdono ogni valore
di fronte alla procedura arbitraria che essa ha seguito nell'istruire il
dibattito e nel rendere le sue sentenze.
Per quanto mi riguarda, quando fu pubblicata là relazione
della Commisione ho inviato al Governo la protesta che credo
opportuno di riprodurre:
Villar Pellice, 2 settembre 1919
A S. E. il ministro della Guerra
ROMA
Sintetizzando quanto la Commissione d'inchiesta scrive a pag. 10,
44, 56 e 470 del 2° volume della sua relazione, appare che essa mi
accusa di incredulità, fino all'ultimo giorno, nell'offensiva austriaca del
Trentino, che ebbe inizio il Tc(a) Tj10w-0.160.367 Tw0.009 Tc
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
a S. E. il presidente del Consiglio avvertendo che la memoria da me
trasmessa all'on. Orlando deve trovarsi nell'archivio della presidenza
del Consiglio.
Il tenente generale
L. CADORNA
Questa lettera non ebbe alcuna risposta!
Circa i metodi impiegati dalla Commissione nelle sue indagini, molte ed autorevoli critiche sono state fatte sui giornali
dell'epoca, che io, per amore di brevità, non starò a ripetere.
Mi limiterò a rilevare un fatto molto caratteristico, quello cioè
che delle numerosissime persone delle quali la Commissione
cita la testimonianza a me contraria, essa stessa è costretta a
negare la fondatezza della maggior parte delle affermazioni; il
che è manifesta prova della malevolenza da molti dimostratami
dopo la mia caduta dal Comando: è l'eterna storia del leggendario calcio dell'asino! Tale fenomeno pare che avrebbe dovuto
porre in guardia la Commissione contro le testimonianze relative ai siluramenti ed al regime disciplinare e penale nell'esercito. Ma in questo caso la Commissione nominata dall'on. Orlando doveva tentar di dimostrare « il malgoverno degli uomini » in omaggio alla tesi prestabilita: perciò tutte le testimonianze diventarono degnissime di fede; anche quelle interessate
dei silurati. Poiché è da notare che la Commissione non fa il
nome dei testimoni; quindi, chi legge non è in grado di stabilire
il valore morale delle testimonianze. Inoltre, chiunque potendo
far domanda di essere ascoltato dalla Commissione, è naturale
che sentissero maggior impulso a testimoniare coloro che avevano un rancore da sfogare, di quegli altri che solo eran mossi
da disinteressato amore di verità. Non è quindi da stupire se le
malevole testimonianze superarono le benevole.
Che dire poi di quei testimoni che nel creduto segreto della
Commissione hanno commesso la viltà di produrre alcune mie
lettere private? E che pensare della Commissione, la quale, invece di stigmatizzare, come meritava, questa viltà, pubblica
nella relazione dei brani di quelle mie lettere (pag. 9 e 14),
come se non fosse risaputo che brani staccati dal complesso SÌ-
OSSERVAZIONI GENERALI
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gnificato di uno scritto e dalle particolari circostanze in cui queIto fu concepito assumono tutt'altra significazione?
E che pensare, infine, della Commissione quando in mancanza di precisi argomenti di accusa contro generali che per
tanti titoli si resero benemeriti, anche se non riuscirono a sottrarsi agli inevitabili errori degli uomini, dà corpo contro di loro
ad insinuazioni che gravemente ne offendono il decoro (pagina 278) ed anche l'onore (pag. 300) pur dichiarando che il fatto
addebitato « non è però documentato così ampiamente da potersi ritenere inconfutabile »?!
E sempre riferendomi ai metodi seguiti dalla Commissione
d'inchiesta trascrivo l'ultima parte di un articolo che l'autorevole rivista La vita italiana del 15 settembre 1919 ha pubblicato sulla relazione della Commissione stessa, dove è posto in
rilievo l'interrogatorio tendenzioso fatto ad alcuni testimoni. A
questo riguardo debbo notare che anche il generale Capello, nel
ricorso al Consiglio di Stato contro il suo collocamento a riposo,
espone che « mentre al ricorrente non si dava il mezzo di una
efficace difesa nel suo interesse e nell'interesse superiore della
giustizia e della verità, ai membri della Commissione era consentito rivolgere, con metodi di oscuri tempi, domande insidiose ai
testimoni. Ad alcuni di essi, i cui nomi saranno indicati a suo
tempo, venivano formulate domande con la preventiva indicazione delle risposte che si dovevano fornire, e si contestava
la pressione morale con l'avvertimento al teste che le risposte
richieste erano già state date in precedenza e nel senso richiesto
da autorevoli personaggi ». Di tale grave fatto egli fornisce un
esempio nel suo libro Per la verità.
Ecco ora la fine dell'articolo de La vita italiana:
...Ma la prova evidente che la Commissione aveva la sua tesi
alla quale ha voluto ad ogni costo asservire l'inchiesta è costituita da
questo interrogatorio fatto dalla Commissione orlandiana ad alcuni
testimoni.
Leggete, o lettori, queste domande tenendo presenti le affermazioni che vi si contengono; rileggete poi le conclusioni a cui è pervenuta la Commissione, e vi convincerete che i membri dell'areopago
orlandiano sapevano già dove volevano arrivare.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI GENERALI
I - Quali le risulta fossero le impressioni che i militari nelle
loro corrispondenze o nelle loro venute in famiglia, in occasione delle
licenze, portavano circa la guerra? Era in loro un senso di stanchezza?
Da quali cause essi lo dicevano, o si poteva intuire che fosse originato,
oltre naturalmente all'avversione di molti ai pericoli e ai disagi? Le consta che molti accennassero ai sacrifici di sangue non corrispondenti ai
risultati ottenuti, al governo disciplinare con cui erano retti, alla poca
fiducia nei loro superiori, di cui vedevano la continua esonerazione,
alla poca conoscenza dei compagni degli altri corpi ed armi, con i
quali continuamente si mutavano aggruppamenti?
II - Per contro quali le risultano fossero i sentimenti che, sia per
mezzo della corrispondenza sia nel periodo in cui i militari si trovavano in licenza, venivano inspirati dai parenti e dai conoscenti ai
soldati combattenti? E' stato ripetuto che, tornando all'esercito dal
paese, molti soldati erano per così dire « avvelenati » e per parecchio
tempo avevano lo spirito affievolito. Dato che V. S. riconosca fondata
una tale affermazione, vuol dire alla Commissione quali erano gli elementi che il Paese contribuiva a formare, quali in particolare ritiene
siano state le impressioni nei soldati delle cognizioni delle difficoltà
alimentari in cui molte delle proprie famiglie si trovavano, le impressioni della rivoluzione russa, le impressioni della nota del Papa ecc.?
Non sembrano queste domande le conclusioni della relazione?
E per arrivare a queste conclusioni, per salvare cioè l'on. Orlando,
la Commissione ha dovuto far risalire la responsabilità principalmente
ai militari; ha dovuto distruggere due anni e mezzo di guerra gloriosa; ha dovuto abbassare la gloria di undici battaglie; ha dovuto
mentire spudoratamente affermando di avere esteso l'esame a tutta la
guerra, mentre noi possiamo affermare che ciò non è vero.
Ma se la Commissione, nominata dall'ori. Orlando e che presentò
la relazione ancora imperando l'on. Orlando, crede di essersi sgravata
della propria responsabilità dopo un ringraziamento del mandante
s'illude. La sua opera passerà alla storia come l'esempio più lurido
di degenerazione parlamentare e dirà ai posteri quanto basso era il
livello dei costumi imperanti in Italia negli anni di grazia in cui
l'Italia compiva le sue unità.
Studioso appassionato nei più giovani anni della storia militare
i di recente chiamato, purtroppo, ad ordinare notevoli per quanto incompleti e unilaterali documenti della nostra guerra, per trarne —
sotto l'assillo d'altrui ansiosissima impellente pressione — taluni dati ed
clementi di giudizio, posso, nella mia modesta esperienza, vedere quanto
erri chi ricerchi le ragioni di avvenimenti militari, siano essi fausti o
infausti, nei fattori tattici e strategici immediatamente precedenti, o
peggio esclusivamente le ricerchi nell'azione diretta di comando dei
supremi reggitori degli eserciti.
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Dopo queste parole del suo segretario, non sembra che alla
Commissione occorrano altre condanne. Ma nasce spontanea la
domanda: chi ha assillato la Commissione colla sua ansiosissima impellente pressione? Il colonnello Zugaro non fa nomi,
ma basta esaminare chi aveva il massimo interesse e la potestà
per esercitare tale pressione, perché il nome si presenti spontaneo!
E che dire della Commissione che tali pressioni si adattava
a subire?
Ma perché mi affanno io a dimostrare l'iniquità dei metodi
seguiti dalla Commissione, quando il più efficace giudizio sull'opera della medesima Io ha dato il colonnello Fulvio Zugaro,
che ne era il segretario? Il quale in un suo libro sul costo della
guerra, pubblicato nel 1921, scriveva le seguenti gravissime
parole :
- CADORNA.
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
CAPITOLO II
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Scrive la relazione al principio delle sue conclusioni (pagina 551 - n. 593):
Gli avvenimenti dell'ottobre-novembre 1917, che condussero l'esercito italiano a ripiegare da oltre Ison2o fin dietro il Piave, presentarono
i caratteri di una sconfitta militare 1); e le cause determinanti di natura
militare, sia tecniche che morali, predominarono sicuramente su quegli
altri fattori estranei alla milizia, dalla cui influenza — che la presente
relazione dimostrò esagerata — taluno aveva voluto dedurre che gli avvenimenti fossero da attribuirsi prevalentemente a cagioni politiche.
La sconfitta, oltreché da cause locali ed occasionali, derivò altresì dal
concorso di complessi fattori sempre di ordine militare, da tempo agenti
sull'esercito, ai quali contingenze eccezionali diedero modo di esplicare
Una efficacissima azione depressiva degli spiriti e dissolvente dell'azione
dell'esercito stesso.
Questo concetto è ribadito più volte nel corso delle conclusioni. Esso ne costituisce il nocciolo, il punto fondamentale e
mira ad escludere le responsabilità dell'on. Orlando. F talmente manifesta la preoccupazione di non svelare il suo scopo, che
in tutto il corso della voluminosa relazione non una sola volta
l'on. Orlando vi è nominato e vi si trova un solo appunto, nelle
conclusioni, « al Gabinetto presieduto dall'on. Bosetti » : di non
aver esplicato nella debita misura la sua alta azione di vigilanza
1) Il corsivo è della relazione.
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e di controllo sulle condizioni morali dell'esercito e di non
aver congruamente « provveduto ». Non un accenno di biasimo
per avere con una nefasta politica interna largamente concorso
a peggiorare quelle condizioni morali. Queste, secondo la Commissione, sono state create dal malgoverno che degli uomini
hanno fatto il Comando Supremo e il comandante della II Armata; perciò la Commissione non si stanca di rincarare la dose
ogni qual volta si presenta una questione di ordine morale. A
questo riguardo mi piace di riferire quanto ha scritto un giornale neutrale, l'autorevole Journal de Genève nel numero del
21 agosto 1919, appena apparse le conclusioni della Commissione d'inchiesta:
... Peu à peu, et quoique ils eussent combattu jusqu'alors glorieusement dans des actions très sanglantes, les soldats auraient acquis la
conviction de la stérilité de leurs efforts. La brusque attaque ennemie les
auraient trouvés prèts à la défaite.
J'ai mis mes verbes au conditionnel parce qu'avant de les mettre
à l'indicatif et de faire siennes les conclusions de la Commission il faudrait pouvoir contróler les témoignages sur lesquels elle s'est fondée. On
nous dit bien qu'ils proviennent, entr'autres, de 21 sénateurs et de 35 deputés et que 127 lettres, dont neuf signataires ont été entendus,, ont
dénoncé des faits spéciaux. Il n'en demeure pas moins que la thèse d'une
armée de plusieurs centaines de mille hommes démoralisée par ses seuls
chefs et devenant leur innocente victime, puisque battue sans autres
causes, laisse supposer un état de choses militairement trop exceptionnel
pour étre enregistré autrement qu'à titre provisoir et sans réserve d'un
examen plus compiei que ne l'autorisent des résumés d'agences télégraphiques et des extraits de journaux.
Come si scorge da quanto precede, le conclusioni della
Commissione sono apparse a primo aspetto straordinarie ad uno
dei più autorevoli giornali europei, neutrale e perciò disinteressato. Ma esso non conosceva i movimenti che avevano guidato
la Commissione; e non pensò che se questa avesse esposto chiaramente la verità dei fatti avrebbe dovuto censurare Fazione di
taluni partiti, e questi alzano la voce e talvolta si rivoltano»
mentre i generali taciono, o se parlano lo fanno per loro difesa
senza eccitare le passioni di parte. Ma a me che scrivo per la
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
storia sarà concesso di esporre gli elementi dei quali questa
dovrà tener conto per ristabilire la verità in tanti modi conculcata.
Con tutto ciò non intendo dire che cause militari del disastro non ci siano state e che non abbiano avuto sensibile influenza sulla rotta iniziale. Di alcune di esse, specialmente di
quelle riflettenti il XXVII Corpo dannata, io non sono venuto
a conoscenza che molto più tardi, cioè un anno dopo la fine
della guerra, attraverso agli scritti polemici dei generali Capello
e Cavaciocchi. Di queste cause militari ragionerò a fondo altrove. Dico però e sostengo che queste cause militari non sarebbero state per se stesse decisive se lo spirito delle truppe non
fosse stato avvelenato da un'infame propaganda lasciata liberamente esplicare dal Governo. Sono infiniti i casi in cui la resistenza delle truppe ha dato tempo di rimediare agli errori dei
capi (basti per tutti il classico esempio del III Corpo prussiano
alla battaglia di Vionville il 16 agosto 1870); e nel nostro caso
una lunga resistenza era possibilissima su posizioni formidabili
per natura e per arte.
tere militare-tecnico, in un campo cioè di fatti positivi e precisi,
è nel campo morale che si è tentato di colpirmi e di scagionare
il Governo. Incomincerò perciò in questo capitolo a discorrere
della responsabilità di quest'ultimo, ed esaminerò nei seguenti
ad una ad una tutte le critiche che mi sono state mosse. Ma
per ben valutare la responsabilità del Governo mi è necessario
esaminare tutto il complesso problema delle cause morali del
fenomeno di Caporetto.
Il disastro di Caporetto, al quale siamo andati incontro proprio quando si stava per raccogliere i frutti faticosamente seminati in 29 mesi di guerra, 1) ha avuto conseguenze gravissime
ed assai più ne avrebbe avute se la ritirata dell'esercito non
fosse stata, colla prontezza che il caso richiedeva, ordinata e
se non fosse stata condotta in modo da arrivare sulla predisposta linea del Piave in condizioni da potervi resistere. Il Paese è
stato gettato dal disastro sull'orlo dell'estrema rovina. I frutti
faticosamente conquistati in una guerra combattuta nelle più
Tra le critiche che la Commissione mi ha rivolto, poche e
di secondaria importanza sono quelle di ordine militare-tecnico,
tranne quella relativa agli avvenimenti del Trentino del 1916,
dei quali discorrerò diffusamente nel capitolo IV e che non ha
rapporto alcuno con gli avvenimenti dell'ottobre 1917. Importanti invece sono quelle di ordine militare-morale: ma qui ci
troviamo in un campo molto elastico, nel quale predominano i
fattori imponderabili, come in quello dell'azione morale del
Governo; esso si presta perciò all'ingrandimento e al rimpicciolimento delle responsabilità secondo le volontarie ed involontarie tendenze di chi è chiamato a giudicare. Inoltre la Commissione ha meditatamente trascurato la connessione esistente
tra le responsabilità militari e morali del Comando Supremo e
le responsabilità politiche del Governo: le une riguardanti l'esercito dei combattenti, le altre l'esercito dei depositi e il Paese.
Nell'impossibilità adunque di rivolgermi appunti gravi di carat-
1) Il 26 luglio 1919 il ministro Erzberger comunicava al Parlamento germanico in Weimar una lettera che il gran Cancelliere conte Czernin aveva
indirizzata all'imperatore Carlo I il 13 aprile 1917, dalla quale tolgo le seguenti parole:
« E' assolutamente chiaro che la nostra potenza militare si avvicina alla
fine. Cause principali : la deficienza di munizioni, la completa stanchezza del
materiale umano, e soprattutto la disposizione del popolo che non può sopportare i sacrifici della guerra. Forse riusciremo a resistere nei prossimi mesi ed a
mantenerci efficacemente sulla difensiva; ma so perfettamente che una nuova
campagna invernale è da escludere. In altre parole so che alla fine dell'estate od
in autunno si deve finire a qualunque prezzo...
« Ho però la ferma convinzione che anche la Germania sia allo stremo
delle sue forze, la qual cosa gli uomini politici tedeschi non negano...
« Io ritengo che sia imminente un'offensiva anglo-francese e probabilmente
italiana; però credo e spero che riusciremo a fermare tale attacco. Non appena
saremo riusciti a ciò (la cosa può avvenire fra due o tre mesi) noi dovremo,
prima che l'America abbia capovolto la situazione militare a nostro danno, fare
proposte di pace ben dettagliate, senza aver scrupoli di compiere eventualmente
grandi e gravi sacrifici. »
Questa lettera dimostra ad evidenza che, se il Paese avesse dimostrato costanza e tenacia nella resistenza, sarebbe ben presto caduto il frutto maturo. Gli
avvenimenti di Caporetto servirono invece a galvanizzare la resistenza nemica,
e, senza di essi, la guerra - che si voleva far finire - avrebbe avuto quasi certamente termine un anno prima.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
sfavorevoli condizioni di terreno e con grande penuria, nei primi due anni, di mezzi tecnici sono andati in gran parte miseramente perduti. Più di due provincie sono state calpestate dall'invasore e devastate, e gli abitanti sono stati vittime delle più
brutali torture materiali e morali. Magazzini e materiali di ogni
specie sono andati perduti per un valore di parecchi miliardi.
La storia ha bene il diritto di definire chi sono stati i colpevoli
di tanta rovina; e chi è accusato di avervi colla propria opera
contribuito ha il dovere verso se stesso e verso il Paese di difendersi, come ha l'obbligo verso la storia di fornire gli elementi per la valutazione dei tragici fatti di cui è stato ora per ora
partecipe.
Fra le cause morali del fenomeno di Caporetto ve ne sono
di remote e di prossime.
Le cause remote si possono rintracciare in tutto ciò che ho
scritto nel capitolo I del libro La guerra alla fronte italiana e
io non istarò a ripetermi. Esse si riepilogano in due : la indisciplina del Paese e la debolezza del Governo, molto scaduto perciò di autorità e di prestigio.
Le due cause erano poi tra loro concatenate con reciproca
azione di causa e di effetto, poiché la debolezza del Governo
incoraggiava lo spirito di rivolta e questo vieppiù intimidiva il
Governo, il quale, non essendo sufficientemente appoggiato dalla parte sana, perché amante del quieto vivere, dell'opinione
pubblica, si trovava pressoché disarmato di fronte agli audaci
partiti sovversivi.
In queste condizioni morali l'Italia è stata sorpresa dalla
guerra europea come da un fulmine a del sereno. Il Governo
presieduto dall'on. Salandra ha allora molto saggiamente agito
dichiarando la neutralità, che, del resto, rispondeva rigorosamente alla lettera e allo spirito del trattato del 1902 colla Francia, come ha mostrato la recente pubblicazione del testo dello stesso trattato. Fino a questo punto l'accordo in Italia fu
pressoché completo. Ho detto pressoché completo perché non
mancarono i partigiani della nostra immediata entrata in azione
a fianco degli Imperi Centrali. Ma l'accordo si ruppe quando
si incominciò a discutere sulla convenienza della nostra partecipazione al conflitto, la quale, in seguito alla dichiarazione di
neutralità, non avrebbe più potuto aver luogo che a fianco degli Stati dell'Intesa, oltre che per le ragioni storiche e ideali
della guerra, collo scopo di rivendicare le provincie irredente e
i nostri confini naturali.
Gli spiriti più illuminati e più sereni pensavano che, data
la posizione geografica dell'Italia tra due gruppi di contendenti,
essa non avrebbe potuto mantenere a lungo la sua neutralità;
tanto meno poi le sarebbe convenuto di contrattarla con gli
Imperi Centrali facendosi cedere una parte delle provincie irredente : ea e
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
disgrazia che questo dissidio dovesse acuirsi proprio alla vigilia
della nostra dichiarazione di guerra, in conseguenza dell'infausto intervento dell'on. Giolitti; il quale per poco non rovesciò il Ministero che già aveva contratto impegni colle potenze dell'Intesa e non mandò all'aria ogni cosa! Il colpo fu, fortunatamente, sventato, ma il male fu grandissimo per la disunione degli animi che si acuì e che continuò durante la guerra,
quando si richiedeva per parte di ciascuno rinuncia completa
alle proprie precedenti opinioni e concordanza di sforzi per raggiungere la vittoria.
Tali cause furono aggravate dal lungo sforzo richiesto da
una guerra terribile e sanguinosa, che sembrava interminabile
e stancava le energie della Nazione, dall'aggravio finanziario
prodotto dall'aumento vertiginoso delle spese, dalle gravissime
perdite incontrate nella guerra. Nel 1917, dopo due anni, serpeggiava nel Paese un profondo malcontento, del quale approfittavano i disfattisti per addebitare l'inutilità dello sforzo ed i
sacrifici che ne conseguivano a coloro che avevano provocato
la guerra. In conseguenza di ciò, tra il 23 ed il 27 agosto di
quell'anno torbidi sanguinosi scoppiavano a Torino con carattere di protesta contro la guerra. Tale stato di cose veniva
sfruttato dai disfattisti per compiere presso l'esercito un'infame
propaganda incitante i soldati alla resa delle armi ed alla diserzione — propaganda alla quale il Governo non poneva alcun
ostacolo — malgrado le energiche proteste del Comando Supremo, come si dirà tra poco. Ne conseguì un abbassamento nello
spirito combattivo, prima altissimo, dell'esercito manifestatosi
con numerose diserzioni e con non infrequenti atti di indisciplina, prodotti specialmente fra le truppe di complemento, le quali
portavano dal Paese il cattivo spirito diffondendolo fino alle
prime linee.
tizia esatta che attraverso la gerarchia, non essendo possibile
di averne diretta cognizione, sia pure colle frequenti ma necessariamente fugaci visite che io facevo lungo la estesissima fronte. Pure, per i sintomi esteriori di cui ho precedentemente discorso e pei contatti che cercavo fossero per quanto possibile
frequenti colle autorità dipendenti, specialmente coi comandi di
armata, ebbi, nel 1917, l'esatta sensazione dell'anormalità della
situazione morale dell'esercito e delle sue cause. E soprattutto
compresi che tale situazione morale non era che il riflesso di
quella del Paese. Circa l'influenza dello spirito del Paese sull'esercito, io avevo antiche convinzioni. In un mio scritto pubblicato fin dal dicembre 1898 sulla rivista Armi e Progresso si
leggono le seguenti parole : « Ma intanto la più elementare
prudenza consiglia di tutelare, anzi di rafforzare quella istituzione che sola può salvare la Patria nel giorno del pericolo,
finché pericolo vi può essere. E siccome in essa la forza materiale è cosa morta se va disgiunta dalla forza morale che le
deve infondere la vita, e su questa (data la costituzione degli
eserciti odierni) ha influenza grandissima lo spirito pubblico della nazione da cui emana l'esercito, consegue che fa opera criminosa chi per fini di partito si adopera a vilipendere l'esercito
e a indebolire la considerazione in cui il medesimo deve dal
Paese esser tenuto. » Se ciò era vero nel tempo in cui scrivevo,
lo è maggiormente ora, quando la nazione versa rapidamente nell'esercito in guerra, dopo un'istruzione affrettata, tutti i suoi elementi atti alle armi. Perciò la propaganda disfattista fatta nel
Paese e dal Paese non poteva che trovare un'eco immediata
nelle file dell'esercito.
Anche il generale von Falkenhayn, al principio del capitolo
VIII del suo libro // Comando Supremo dell'esercito germanico
(1914-1916), mette in rilievo l'influsso dello spirito del Paese su
quello dell'esercito. Dopo di aver detto che alla fine del 1915
i tedeschi erano stati costretti a limitarsi a mantenere la linea
conquistata, soggiunge : « Ci si era brillantemente riusciti grazie all'ammirabile resistenza delle truppe germaniche, resistenza
che non ha l'eguale nel passato e che l'avrà difficilmente nel-
Chi sta a capo di un grande esercito, quali sono gli eserciti
moderni, non può indurre lo stato morale del soldato che dalle
manifestazioni esteriori che si producono, e non può averne no-
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
l'avvenire. La potente corrente di forza morale che affluiva all'esercito in guerra, poiché l'entusiasmo animava allora la maggior parte della nazione, ha avuto, a produrre tale effetto, la
parte decisiva. » Lo stesso fenomeno si è prodotto da noi nelle
giornate della Piave del novembre 1917, con questo di ancor
più caratteristico, del passaggio repentino dell'esercito dallo
stato di profonda depressione morale a quello della più ferma
deliberazione di resistenza ad oltranza all'unisono con identica
metamorfosi nello spirito del Paese.
Anche il generale Ludendorff, nel I capitolo del suo libro
I miei ricordi di guerra, scrive : « ... E sempre la Patria soccorse
con nuove energie, rinsanguò, rianimò, rinnovellò; sempre ebbe
cura di mantenere viva la fiducia, alto lo spirito combattivo, di
allontanare il dubbio, lo scoramento, elementi sicuri di sconfitta. E, come tale pericolo aumentava col prolungarsi della
guerra, sempre più alacremente provvedemmo a scongiurarlo,
incitando esercito e marina ad affermarsi degnamente sfruttando fino all'estremo limite le energie individuali e collettive della
popolazione, riunendole, fondendole, indissolubilmente.
« Alla Nazione non avrebbe potuto essere imposto compito
più arduo. Essa non solo costituiva la base di tutta la nostra
forza; doveva essere anche la pura, chiara, inesausta fonte di
vita dei combattenti. Nazione ed esercito: due forze da mantenere ad ogni costo valide e fuse. La combattività delle truppe
era in diretto rapporto colla combattività della popolazione. E
questa, pertanto, venne sottoposta ad un regime di lavoro e di
vita che in altra epoca sarebbe apparso inapplicabile e folle. Il
Governo ed i poteri responsabili assunsero questo compito e con
rigida fermezza procurarono di assolverlo. »
Proprio l'opposto di quanto accadde tra noi, mentre l'onorevole Orlando, ministro dell'Interno, governava il Paese.
morali. Mezzo indiretto era poi quello di agire sul Governo
per ottenere che esso esplicasse la sua azione energica sul Paese,
allo scopo di tenerne alto il morale ed impedire l'opera nefasta
della propaganda disfattista. Questo mezzo indiretto era della
più alta importanza. Difatti, se il Governo fosse venuto meno
al suo compito di tutela alle spalle dei combattenti, non v'ha
chi non veda che sarebbe rimasta compromessa l'efficacia dei
due mezzi diretti di cui poteva disporre il Comando Supremo.
Imperciocché l'azione educativa che fa appello ai sentimenti più
elevati dell'uomo, quali il dovere, il patriottismo, l'onor militare, ha scarso effetto, in chi da lungo tempo sia stato assoggettato ai disagi ed ai pericoli della guerra se, contemporaneamente, facendo leva sugli istinti più bassi, ma più sensibili, dell'uomo incolto, lo si può impunemente incitare alla diserzione
ed al gettito delle armi, lasciandogli credere che con tali mezzi
si fa finire la guerra. Paralizzata, così l'efficacia dell'azione educativa, non rimane che il rigore, il quale dovrebbe essere tanto
maggiore quanto più gli altri mezzi diventano infruttuosi; ma
anch'esso ha dei limiti, oltrepassati i quali perde di efficacia, ed
anzi, data la natura sensibile del nostro soldato, può ottenere
l'effetto opposto a quello a cui si mira. Ecco dunque chiare le
ragioni per cui il Comando Supremo avrebbe finito per trovarsi
disarmato (come si trovò poi di fatto) se gli fosse venuta meno la volonterosa ed energica collaborazione del Governo. Ecco
perché esso si rivolse al Governo colla insistenza e colla energia della quale darò tra poco le prove; ma invano, perché fu
soltanto dopo Caporetto, quando il disastro gli ebbe aperto gli
occhi, che esso si risolse ad efficacemente intervenire.
Il primo mezzo, quello del rigore, fu applicato con energia,
nel modo e nella misura che le circostanze richiedevano. Ma
esso riesce inefficace se scompagnato dall'educazione e dai mezzi
morali atti a tenere alto il morale del soldato. A questo fine
non si trascurò nessun mezzo. Vennero a più riprese emanati
ordini e circolari riflettenti le misure di prevenzione, di sorveglianza, di repressione e di educazione; di queste parlerò nel
capitolo III quando tratterò del regime disciplinare.
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# # #
Ad impedire od almeno ad attenuare la ripercussione dello
spirito del Paese sull'esercito io non avevo che due mezzi diretti a mia disposizione, cioè il rigore ed i mezzi educativi e
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
Accennerò ora alle principali misure preventive prese in zona
di guerra per mettere un freno alla propaganda disfattista e
per tenere alto il morale delle truppe.
Mediante le più severe misure di vigilanza si potè nel marzo 1917 accertare l'esistenza di una vasta rete di propaganda
sovversiva che da parecchi centri del Paese irradiava verso l'esercito. In seguito a tali accertamenti vennero deferiti al tribunale militare del XXIV Corpo d'Armata oltre cinquanta individui, fra i quali parecchi borghesi appartenenti a circoli sovversivi dell'interno del Paese. Il ministro Bissolati si fece dare
dal sottocapo di Stato Maggiore una memoria riassuntiva del
processo per informarne il Governo (il cosiddetto processo di
Pradamano).
Fin dal principio della guerra vennero successivamente
esclusi dalla zona di guerra i giornali nei quali apparivano articoli deprimenti per lo spirito delle truppe. Il numero di questi giornali era, nell'ottobre 1917, di circa 30. In questa esclusione il
Comando Supremo seguì criteri larghi ed assolutamente apolitici: fra i giornali esclusi ve ne erano di tutti i partiti. Del
resto, non sarà fuori luogo a questo riguardo l'osservare che il
Comando Supremo, mentre non cedette alle pressioni dell'on.
Barzilai, allora ministro, per la riammissione dell'Avanti/ in zona di guerra, sospese il giornale cattolico Corriere del Friuli
di Udine e punì coll'internamento il direttore dello stesso e
l'autore di un articolo in esso comparso nel quale si interpretava la nota pontificia dell'agosto in modo deprimente per lo
spirito dei soldati. Da parte del Governo, invece, non furono
prese misure repressive contro i giornali esclusi dalla zona di
guerra, cosicché essi riuscivano a penetrare ugualmente fra le
truppe, per mezzo dei soldati provenienti dall'interno del Paese.
Credo opportuno a questo riguardo ricordare che fin dal 29
luglio 1914, due soli giorni dopo che io avevo assunto l'ufficio
di capo di Stato Maggiore dell'esercito, tra i provvedimenti proposti d'urgenza al Ministero vi era anche questo : « VII - Urge
preparare l'opinione pubblica per mezzo della stampa all'eventualità di una guerra, ed a guerra dichiarata è della massima
importanza imbavagliare la stampa sovversiva ed assicurare ad
ogni costo la tranquillità del Paese. » Si è poi visto come ciò
sia stato fatto, e quali conseguenze abbia portato il non aver
dato attuazione alla mia richiesta, che i fatti hanno dimostrato
anche troppo giustificata!
Contro questi pericoli per la compagine morale dei combattenti il Comando Supremo esercitò costante vigilanza, specialmente per mezzo dell'arma dei carabinieri, facendo eseguire
di frequente inchieste ed indagini. In questo ordine di provvedimenti fece pure eseguire indagini, per mezzo del vescovo da
campo, presso gli ospedali, per assicurarsi che nelle funzioni religiose non si recitassero preghiere inneggianti alla pace, ma
che in esse predominasse sempre l'invocazione a Dio per la vittoria delle nostre armi.
In analogia a quest'ultimo criterio, il Comando Supremo
diede sviluppo a tutte le forme possibili di propaganda ed a
quelle istituzioni che valessero a distrarre il soldato, proporzionatamente ai propri mezzi, poiché il Governo non gli diede mai
né appoggi morali, né contributi finanziari. Esso pensò invece,
nel 1916, a ridurre la razione pane del soldato (suscitando in
esso grave malcontento) da 750 a 600 grammi, prima che fosse
razionato il Paese, mentre l'economia nei consumi avrebbe dovuto incominciare dal Paese e non dal soldato che combatteva,
esponeva la vita, ed andava soggetto a tutti i disagi della guerra.
Dopo Caporetto, il Governo si decise a curare in ogni modo
il morale e il benessere del soldato. Ma io non incontrai che
ostacoli.
Uno dei più efficaci mezzi per la buona propaganda fu
quello delle « Case del Soldato » (delle quali si rese benemerito il rev. don Minozzi che dovette superare molte difficoltà
presso il Ministero della Guerra per poterle istituire). Esse nell'ottobre del 1917 avevano raggiunto il numero di quasi 200
ed erano state spinte sino al rovescio delle prime linee. Ivi si
distribuivano libri e giornali, si tenevano riunioni e rappresentazioni cinematografiche, nonché conferenze di propaganda patriottica. Fra queste si erano iniziate, nella primavera del 1917,
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
con ottimi risultati, le conferenze dei prigionieri restituiti dall'Austria, ma il Ministero della Guerra ne ordinò la sospensione, giudicando l'impiego di tali prigionieri in zona di guerra
contrario agli usi e alle convenzioni internazionali; e ciò avveniva mentre gli Imperi Centrali adoperavano i prigionieri perfino
nella costruzione delle trincee di prima linea! Nell'autunno del
1916 il sottocapo, generale Porro, aveva progettato la compilazione di un libro di propaganda sulla guerra, da distribuirsi
ad ogni soldato partente in licenza invernale, in modo che tale
libro potesse automaticamente diffondersi per tutto il Paese,
portando ovunque la parola eccitatrice per la resistenza e per
la lotta. Non avendo il presidente del Consiglio, dal quale la
propaganda allora dipendeva, concesso i fondi necessari, l'idea
non potè essere attuata. Per la stessa ragione non fu possibile
dare esecuzione al progetto di pubblicazione di un «Giornale
per il soldato » che era stato studiato nei suoi particolari. Né
sarebbe stato possibile organizzare i teatri per il soldato senza
il disinteressato concorso di molti artisti lirici e drammatici e
il generoso contributo finanziario della Società degli autori di
Milano. Mercè tali aiuti vennero nell'estate del 1917 organizzati, dietro alla fronte della II e della III Armata, sette teatri
che diedero complessivamente 150 rappresentazioni.
dai giornali, ebbero eco grandissima, e ne darò qualche esempio.
Il 27 marzo 1917 i giornali pubblicavano una mia intervista coll'on. Barzilar, la quale fu generalmente trovata molto
opportuna, anche dal Governo. In essa sono particolarmente
da notare le seguenti mie parole:
« Perché l'esercito resista fino all'ultimo deve resistere il
Paese, del quale l'esercito, con una straordinaria sensibilità, percepisce tutte le vibrazioni. Dite al Paese che fughi tutte le preoccupazioni pavide, che senta la disciplina dell'ora, che pensi
alla grandezza dei fini per i quali combatte: abbia fede ed
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Dopo di avere esposto l'azione morale diretta del Comando Supremo dell'esercito discorrerò ora di quella indiretta, manifestatasi col rivolgersi al Paese e al Governo.
La mia carica non mi consentiva diretti rapporti col Paese
e non avevo perciò veste per rivolgermi al medesimo. Approfittavo però dell'occasione in cui dovevo rispondere a lettere o
a telegrammi inviatimi da persone di rango elevato o da sodalizi, per introdurre qualche parola adatta a sollevare il depresso spirito del Paese.1) Alcune di tali risposte, pubblicate
1
) Tale depressione mi veniva rappresentata da molte parti. Fin dal 27
dicembre 1916 il ministro della Guerra mi scriveva che le condizioni morali
d'Italia non gli sembravano più, per lo meno in quel momento, quelle dell'inizio della guerra. E' naturale perciò che fin d'allora io mi dovessi molto preoccupare del cattivo influsso che avrebbero portato nell'esercito gli uomini di complemento ed i reduci di licenza.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
glio e di fede, per ripetere, come nelle memorabili giornate del
1915, al nemico che ascolta in agguato: L'Italia non conosce
che la via dell'onore. » Questo telegramma ebbe l'onore di essere pubblicato a lettere cubitali sulle cantonate di molte città
d'Italia! Ma purtroppo, in quel momento, altro che ad una
infrangibile resistenza pensavano molti! Altro che ad armarsi
della suprema volontà di vincere! Basta il fatto di aver sentito
il bisogno di costituire dei partiti interventisti, per dimostrare
quanto poca concordia vi fosse! Il mio telegramma era un incitamento ed uno squillo di allarme. Poco più di un mese dopo,
il fenomeno di Caporetto lasciò in forse se l'Italia non sarebbe
rimasta atterrata e ripiombata per due secoli nelle antiche
sventure!
Queste mie manifestazioni pubbliche dimostrano all'evidenza come da molto tempo io mi preoccupassi dello stato morale
del Paese e delle sue ripercussioni sull'esercito. Ma altre manifestazioni venivano fatte direttamente dal Comando Supremo
al Governo. Fin dalla primavera del 1917 il generale Porro,
sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito, aveva prospettato al
ministro della Guerra l'impressionante aggravarsi del fenomeno
della diserzione e suggeriva i mezzi per attenuarlo. Del resto,
il Comando stesso, per mezzo dell'ufficio informazioni, teneva
periodicamente al corrente tanto il Ministero dell'Interno quanto quello della Guerra circa lo spirito delle truppe mediante
un notiziario compilato con dati desunti dalle corrispondenze
censurate e dalle informazioni dei propri agenti.1}
Ho precedentemente dimostrato che io nel Governo incontravo molti ostacoli e non ne ricevevo alcun aiuto allo scopo
di prevenzione e di propaganda. Ma le mie preoccupazioni aumentavano ogni giorno nel constatare che non solo non si attuava
1) Riguardo allo spirito delle truppe debbo osservare che a pag. 451 la
relazione della Commissione d'inchiesta parla di « elementi debilitanti pressoché comuni a tutti i popoli e a tutti gli eserciti ». Questo giudizio può giovare alla tesi della Commissione, ma esso è lontano dal vero. Oltre alle cause
comuni, il fenomeno fu in Italia particolarmente aggravato dalla indisciplina
del Paese, dalla discordia dei partiti e dal non avere il Paese sentito la guerra,
nella quale era entrato di sua libera elezione, e non per propria difesa come
la Francia.
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
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una politica interna positiva tendente a rinsaldare la resistenza
del Paese e per naturale conseguenza dell'esercito, ma se ne
praticava una compiutamente negativa, lasciando libero corso
alla propaganda disfattista. Le difficoltà interne erano realmente gravi. Ma il ministro dell'Interno, on. Orlando, invece
di dedurre da queste difficoltà la necessità di una ferrea energia per dominare la situazione e paralizzare l'azione degli elementi più pericolosi, cercava di girare gli ostacoli con una
politica fiacca e accomodante, pienamente conforme alla sua
natura, la quale non aveva altro risultato che di incoraggiare
l'azione infame dei nemici della Patria in armi.
Nei primissimi giorni del giugno 1917, durante la controffensiva austriaca sferratasi in quei giorni, si erano verificati, fra
le truppe che erano state attaccate ai piedi dell'Hermada, alcuni
fatti deplorevoli che era lecito attribuire all'azione disfattista
che si andava largamente esercitando. Scrissi allora al presidente del Consiglio la seguente lettera,1} in data 6 giugno 1917
n. 2627 :
Da qualche giorno il nemico rinnova violenti tentativi, insistendo
con un'azione controffensiva sulla fronte del Carso, con la quale — valendosi di truppe trasportate dalla fronte russa — ha potuto raggiungere
non indifferenti risultati nella parte meridionale, dove noi eravamo riusciti a portarci ad immediato contatto delle difese dell'Hermada. Ma
assai più che l'abbandono di talune quote preoccupa altamente il numero
di prigionieri che il nemico ha potuto catturarci, nella giornata special1> Le quattro lettere che seguono furono per la prima volta pubblicate
nella relazione della Commissione d'inchiesta, e, stante la loro importanza,
credo opportuno di riprodurle.
A queste lettere fanno perfetto riscontro la lettera del generale Nivelle del
28 febbraio 1917 e quella del generale Pétain del successivo 29 maggio. Delle,
medesime discorre Léon Daudet nel libro: Le poignard dans le dos (pag. 222223). Egli dice:
« Le rapport du general Nivelle, que vous connaissez, est extrémement
explicite. Il a un caractère réellement prophétique; il nous montre le point de
départ du mal, et il indique la facon dont les choses risquent de se passer...
« Mais un mois aprés, c'est à dire le 23 mai, commencent des troubles militaires. Le general Pétain revient à la charge, et il le fait avec une formule qui
éclaire la situation de lueurs étranges, lorsque l'on sait ce que vous savez. Il dit
que la racine du mal est à l'intérieur. Il aurait été bien plus dans la complèto
vérité s'il avait écri l'intérieur avec un grand i, au lieu de l'écrire avec un petit i, »
3 - CADORNA.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
mente del 4 giugno, e che il bollettino di guerra austriaco del 5 corrente fa ammontare a 6500.
Dalle informazioni che finora ho avuto dal Comando della III Armata risulterebbe che la massima parte dei catturati appartiene a tre
reggimenti di fanteria, composti in gran prevalenza di siciliani, i quali
sarebbero caduti nelle mani del nemico, non per le fatali vicende del
combattimento, ma avrebbero invece defezionato. Tale è l'informazione
che io ho avuto e che deve essere ancora scrupolosamente controllata,
ma che assume particolare carattere di estrema gravità e che debbo
subito segnalare al Governo con riserva di ulteriori accertamenti.
Se l'informazione corrisponde a verità, le defezioni non potrebbero
essere che nuovo frutto della propaganda cóntro la guerra che si svolge
in Sicilia e che ha ridotto l'isola ad un covo pericoloso di renitenti e di
disertori, i quali, secondo le segnalazioni del Ministero della Guerra,
superano i 20.000.
Ma non soltanto la Sicilia è fomite di velenosa propaganda contro
la guerra e contro il dovere militare; anche altrove (in Toscana, nell'Emilia, in Romagna, nella! stessa Lombardia) si seminano con arte malvagia le teorie antipatriottiche, e nelle truppe di complemento che giungono dal Paese, come nei militari che ritornano dalla licenza, si manifestano gravi sintomi di indisciplina che hanno richiesto le più energiche misure di repressione perché il male non dilaghi. Si è perciò dovuto ricorrere a fucilazioni immediate, su vasta scala, e rinunziare alle
forme del procedimento penale, perché occorre troncare il male dalle
sue radici e finché si può sperare di arrivare in tempo.
Così si procede in zona di guerra con inesorabile severità, ma debbo
prevenire che se i sintomi ora rilevati e repressi dovessero permanere,
o peggio si estendessero, sarò costretto a determinare estremi provvedimenti e ricorrere alla ((decimazione» dei reparti infetti dal contagio,
rimettendo in vigore un supremo atto di repressione, che inconsciamente
si volle togliere dal codice penale militare, ma che è arma necessaria,
oggi più che mai, in mano del Comando, data l'improvvisazione, su larga
scala, delle truppe e il veleno che esse attingono dai contatti col Paese.
Poiché è inutile che io dica e provi all'E.V. che l'indisciplina
che minaccia di corrompere la compagine dell'esercito nostro deriva e
dipende dalla tolleranza con cui si lasciano impunemente diffondere nel
Paese le più perverse teorie da parte dei nemici interni; mentre siamo
in guerra il regime disciplinare all'interno non è rispondente alle esigenze del momento, ed i mezzi di repressione attuati in zona di guerra
sono sterili se non trovano rispondenza e tutela in un'azione analogamente energica, svolta con fermezza e costanza nel resto del territorio
dello Stato.
Dico ciò soltanto perché costrettovi dalle prementi e superiori esigenze della guerra (non già per desiderio di intromettermi in questioni
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
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di politica interna che non mi competono), e perché, come responsabile dell'andamento della guerra, ho il dovere di segnalare al Governo
le conseguenze che una debole condotta della politica interna avrà ineluttabilmente sulle sorti della nostra guerra.
Ho già avuto altre precedenti occasioni di accennare esplicitamente
a ciò nelle mie precedenti comunicazioni al Governo; vi ritorno oggi,
perché quanto avviene in questi giorni in alcuni reparti delle nostre
truppe è di così minacciosa gravità che io mancherei al primo dei miei
doveri se non manifestassi con rude franchezza, e con la convinzione
di servire onoratamente ed onestamente gli interessi del Paese e della
monarchia, quello che io ritengo essere la causai precipua del male e
l'unico rimedio possibile.
Due giorni dopo mi perveniva un rapporto di un agente
del servizio d'informazioni del Comando Supremo, al quale un
noto sovversivo aveva rivelato il lavorio di propaganda che il
partito a cui apparteneva stava facendo. Spedivo subito tale rapporto al presidente del Consiglio, accompagnandolo colla seguente lettera (dell'8 giugno, n. 2803) che ha l'accento di chi
sente il pericolo e l'urgenza dei provvedimenti da prendere:
Persona che si ha ragione di ritenere di fiducia, addetta al servizio informazioni, riferisce, in data 6 giugno quanto è trascritto nell'annesso foglio1).
1
) Il foglio allegato diceva:
<< Ho avuto in questi giorni un lungo colloquio con S... e l'ho condotto
sull'argomento della propaganda socialista-pacifista nell'esercito e nel Paese. La
direzione del partito, mi ha detto, è scissa in due frazioni.
« Alcuni avrebbero voluto — pel l° maggio — promuovere un movimento
rivoluzionario; altri — la maggioranza — si sono addimostrati e si addimostrano propensi ad attendere momenti più propizi, quando la guerra sarà finita ed
il Governo non disporrà di un forte nerbo di truppe sotto le armi. I soldati
siciliani, sardi e calabresi — mi ha detto S... — sono monarchici per la pelle;
essi sparerebbero contro di noi socialisti con la medesima facilità e con la medesima voluttà con la quale sparano sugli austriaci, e noi dobbiamo quindi fare
fra loro un'opera di persuasione e di propaganda, cercando di attirarli nella
nostra orbita.
« Intanto abbiamo cominciato a mandare dei propagandisti nel Mezzogiorno
d'Italia; ai fronte sono state diramate in gran copia circolari ad hoc agli organizzati, i quali hanno il compito di istruire le nuove reclute del socialismo e
di condurle alla nostra fede. Noi — ha soggiunto S... — siamo convinti di avere
con noi al momento opportuno tutti gli anarchici ed i repubblicani sedicenti interventisti, perché, se dissentiamo nella scelta dei mezzi, le nostre idealità finali
collimano perfettamente. Se i dirigenti tipo D., M. e P. non ci seguiranno, tanto
meglio. I gregari sono stati nutriti di idee rivoluzionarie e li getteranno a mare
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Pur senza dare carattere di assoluta attendibilità a tutto ciò che è
detto nel foglio che allego, tuttavia credo opportuno darne comunicazione alla E. V. perché serve di complemento e di valida conferma
a quanto ebbi a scrivere nel mio foglio in data 6 corrente (n. 2767
G. M.), sull'opera nefasta che il partito socialista sta compiendo a danno
dell'esercito e della patria in guerra, e per insistere sulla necessità che
tale opera non sia lasciata svolgere indisturbata, ma venga invece soffocata dall'azione energica dei pubblici poteri.
Il Governo — in tempi eccezionali come quelli che attraversiamo — ha certamente mezzi eccezionali di difesa a sua disposizione per
prevenire l'opera di propaganda socialista-pacifista; e se la prevenzione
si dimostrasse insufficiente e fosse ora tardiva, non resta che ricorrere
inesorabilmente alla repressione, attuata senza riserva e con tutta la
forza e il rigore che i supremi interessi del Paese richiedono.
Il Comando Supremo provvede qui, in zona di guerra, a spegnere
con rimedi radicali i tentativi e le manifestazioni di carattere antipatriottico e sovversivo, ordinando ai comandi dipendenti che i militari
trovati in possesso di circolari e di manifesti incitanti alla diserzione è
alla defezione siano senza esitazione colpiti dalle più severe sanzioni, ma
occorre che l'opera perseguita nell'interno del Paese dai socialisti (i
nomi di parecchi dei più pericolosi agitatori sono sulle bocche di tutti)
sia troncata senz'altro ritardo da energiche ed immediate misure alle
sorgenti stesse da cui emana, in modo che non possa ulteriormente progredire una propaganda che minaccia, con segni palesi e con scopi
confessati, di distruggere nell'esercito e nel Paese i più vitali sentimenti
di patria, di disciplina e dell'onore militare.
Questo io debbo invocare dal Governo ad evitare che sempre più
gravi diventino le minacce che alle spalle dei combattenti ordiscono
i nemici interni, altrettanto, se non più temibili di quelli che abbiamo
di fronte.
E' mio dovere di far conoscere al Governo la estrema gravità della
per scendere in lizza al nostro fianco. Così dividerà la nostra idealità la borghesia media, che la guerra ha fortemente dissestata.
« I ferrovieri aderenti al sindacato sono i primi collaboratori nostri. Essi
portano al fronte le nostre parole di incitamento e di speranza. Noi siamo
sicuri, dato il generale malcontento, che sciopereranno compatti al nostro primo
appello.
« S... ha continuato a lungo, magnificando il lavoro che uno speciale comitato composto di M., S., A., S. e A sta svolgendo per formare in tutti i più
piccoli centri sezioni socialiste femminili, e mi ha assicurato che ca ira.
« E' certo intanto che circolari incitanti alla diserzione e alla resa pullulano
al fronte; molti ne hanno preso visione; con un lavoro paziente si potrà riuscire
a conoscere la fonte.
« Di tali circolari parlano i feriti negli ospedali, la voce si diffonde a il
danno che ne deriva alla disciplina è enorme. »
situazione interna per i riflessi immediati che ha sull'animo e sui propositi dei soldati alla fronte e la urgente necessità di fronteggiarla con>
ogni mezzo e senza titubanze.
Grave colpa sarebbe {della quale io intendo con ogni mezzo di
allontanare da me la responsabilità) se la propaganda socialista-pacifista
non fosse adeguatamente e sollecitamente combattuta e resa impotente.
Pochi giorni dopo ricevevo un rapporto del capo del reparto
disciplina, avanzamento e giustizia militare dal quale risultava
il continuo aggravarsi dei reati che avevano rapporto colla disciplina militare. Ne mandai tosto copia, con lettera del 13 giugno n. 2827 (1) al presidente del Consiglio che ora trascrivo:
A seguito delle mie precedenti lettere aventi per oggetto le condizioni morali delle truppe in rapporto alla propaganda esercitata dai
partiti avversi alla guerra, ho il pregio di inviare alla E. V. copia di un
brano del rapporto del reparto disciplina, avanzamento e giustizia militare del Comando Supremo sui processi penali espletati dai tribunali
di guerra e speciali dal 1° al 31 maggio u. s.
Dal medesimo V. E. rileverà come nel mese scorso siano state pronunziate tre sentenze di condanna alla fucilazione e ciò senza. tener
conto dei numerosi casi nei quali, per necessario immediato esempio,
si è dovuto addivenire alla fucilazione.
Questa nuova dolorosa constatazione mi obbliga ad esprimere ancora e con piena chiarezza le ragioni per cui già due volte ho cercato
di richiamare l'attenzione del Governo sui sintomi di un crescente
spirito di rivolta fra le truppe.
Anzitutto, mentre l'assoluta necessità di tener salda la compagine
morale dell'esercito mi obbliga a reprimere con mezzi estremi ogni atto
di indisciplina, sono convinto che spesso, più che coscientemente colpevoli, i soldati ultimamente condannati alla pena capitale erano degli
illusi, sobillati da una propaganda sovversiva, le cui fila sono da rintracciarsi nel Paese, e che i veri responsabili sono al sicuro, impuniti.
Ripugna alla mia coscienza il pensiero di dover essere obbligato a continuare repressioni esteriori che non toccano i veri responsabili2) e
lasciano intatta la radice del male. Per questo ho creduto mio dovere
di chiedete l'attiva collaborazione del Governo, che può e deve trovare
i sobillatori nascosti e le origini di un movimento di cui nell'esercito
si rivelano i segni indubbi.
1
) La relazione della Commissione d'inchiesta scrive erroneamente 13 luglio.
) Mentre alla fronte si doveva ricorrere alle più estreme sanzioni, i colpevoli dei gravi fatti di Torino dell'agosto 1917 venivano condannati a pochi
anni di reclusione e poco dopo amnistiati!
2
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
Faccio inoltre osservare all'E. V. che la repressione esteriore, moltiplicandosi fino a raggiungere proporzioni impressionanti, perde della
sua efficacia di esempio e potrebbe a un dato momento avere effetti
contrari a quelli voluti, mentre, continuandosi nel sistema finora seguito
di estrema tolleranza delle cause vere, il male potrebbe assumere proporzioni tali di fronte alle quali potrebbero rendersi impotenti le più
estreme misure repressive.
Sono queste le gravi considerazioni che mi inducono ad insistere
presso V.E. perché il Governo voglia prendere in esame questo problema in cui gli interessi dell'esercito e quelli del Paese sono troppo
Strettamente collegati, perché esso possa essere risolto da un lato solo,
Prego perciò V.E. di volermi dire con cortese sollecitudine quale
criterio intenda adottare il Governo in proposito, a norma della mia
condotta.
che il ministro Orlando lasciava passare senza provvedimento
alcuno!
Queste furono le risposte pratiche alle mie tre lettere.
Tutti questi fatti impensierirono l'opinione pubblica e indussero, in mezzo allo sdegno generale, a reclamare un'opera
energica dal Governo, e specialmente dal Ministero dell'Interno, accusato di estrema debolezza. A Milano il 13 settembre
scesero in piazza cortei di 200.000 persone e a Roma di 150.000
il 10 settembre, il 14 a Parma, e così in molti altri luoghi, e
si votarono ordini del giorno invocanti la prevenzione e la repressione con tutti i mezzi della oscura propaganda contro la
guerra nazionale. Il 24 settembre, poi, aveva luogo a Milano
un convegno interventista nel quale si votava il seguente ordine del giorno:
« Il convegno constata l'incapacità del Governo Boselli di
risolvere i problemi della guerra e d'intonare la vita della nazione alla grandezza dell'azione militare e della politica estera,
animando il Paese per la grande prova; delibera di reclamare
il radicale mutamento della politica interna e la costituzione di
un vero Governo di guerra, e si impegna a proseguire con tutti
i mezzi la più viva agitazione perché l'indirizzo politico della
nazione sia improntato alle necessità dell'ora presente; dichiara
di separare la propria responsabilità e di riservarsi la più ampia
libertà d'azione verso e contro tutti gli istituti che risultino inferiori al compito storico dell'Italia nella grande guerra mondiale. »
A questo punto il Governa aveva lasciato arrivare le cose
alla vigilia di Caporetto! Ma esso non capiva o fingeva di non
capire e, posponendo le necessità impellenti della guerra alle
considerazioni di ordine parlamentare, seguiva imperturbabilmente la via che doveva condurre alla catastrofe, assecondando
l'azione dei sovversivi! E la Commissione d'inchiesta, preoccupata
di assolvere la tesi difensiva del Governo che le era stata assegnata, trovava che i fattori estranei alla milizia erano di ordine
affatto secondario nella determinazione del disastro.
Si è fatto poi un merito all'on. Orlando, salito dopo Capo-
Alle precedenti tre lettere inviate a breve distanza l'una dall'altra, il 6, l'8 e il 13 giugno, il presidente del Consiglio non
credette di dover dare risposta. Il Governo intanto procedeva
imperturbabile nella sua via, e poco dopo, cioè dal 22 al 25
agosto, come primo e grave avvertimento, accadevano i moti di
Torino che si dovettero reprimere con sensibile spargimento di
sangue!
Né si può tacere che in quella medesima estate il Governo
lasciava liberamente circolare in Italia i rappresentanti del soviet di Pietrogrado (giunti a Roma il 5 agosto), espulsi dalla
stessa Francia, accolti trionfalmente ed accompagnati dai nostri
soviettisti.
Ma non basta. Il 12 agosto il Lazzari, segretario del partito
socialista, mandava una circolare a 300 sindaci socialisti relativa alle deliberazioni della direzione del partito socialista nella
sua ultima riunione di Firenze. In questa riunione era stata costituita una « frazione intransigente rivoluzionaria » con l'incarico di eccitare gli operai alla violenza, le popolazioni agricole
alla rivoltale di distruggere così la combattività degli Italiani
come si era fatto in Russia. La circolare del Lazzari faceva una
questione di onore (dove mai va a ficcarsi l'onore!) dell'adempimento della tesi << prima dell'inverno la pace » secondo la
famosa frase lanciata dall'on. Treves alla Camera: « Non più
un altro inverno in trincea», e costituiva un atto gravissimo
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
retto alla presidenza del Consiglio, di avere inculcato al Paese
il resistere, resistere, resistere. Pur riconoscendo il radicale cambiamento della sua linea di condotta in questo periodo, debbo
però ricordare che il sentimento della resistenza ad ogni costo
già l'avevo inspirato io all'esercito col mio ordine del giorno
del 7 novembre 1917 (e per mezzo dell'esercito alla nazione).
Ed inoltre che, mutato lo spirito pubblico dopo Caporetto e
già deciso il Paese alla estrema difesa, era facile all'on. Orlando
— trascinato e non trascinante — di predicare la resistenza.
Ma è nel precedente periodo, quando lo spirito pubblico andò
soggetto ad un vero collasso, che il Governo avrebbe dovuto
energicamente agire colle parole e coi fatti, ed invece la sua
azione fu totalmente negativa!
Molti in Italia dissero, meravigliandosene, che io non avevo conosciuto qual era lo spirito del soldato. Tutto ciò che ho
ripetuto finora dimostra qual fondamento avesse questa meraviglia!
Altri si domandarono invece (com'è difficile accontentar
tutti) come mai, conoscendo io gli umori che serpeggiavano fra
le truppe, mi sia avventurato il 18 agosto nella grande offensiva della Bainsizza. Le ragioni che hanno reso necessaria questa offensiva sono state esaurientemente esposte nel capitolo
IX del mio libro: La guerra alla fronte italiana.
Intanto si manifestavano altri gravi fatti di indisciplina, fra
i quali, nel mese di luglio, quello gravissimo della Brigata Catanzaro (che pur si era molto distinta nelle precedenti azioni
guerresche) la quale si mise in aperta rivolta che durò per molte ore di una notte e che si dovette domare facendo anche
intervenire alcuni squadroni di cavalleria e delle automitragliatrici. Mi decisi pertanto a scrivere una quarta lettera al presidente del Consiglio — lettera che ha il n. 4067 e la data del
18 agosto — giorno iniziale della offensiva della Bainsizza.
Eccola :
serzione, il moltiplicarsi dei reati più gravi e le severe sanzioni penali
che eransi dovute applicare. Ma ogni volta ho dovuto concludere con
l'esplicita affermazione che l'opera di vigilanza, di prevenzione e di
repressione svolgentesi in zona di guerra sarebbe stata indubbiamente
sterile e inadeguata al bisogno, ove non si trovasse contemporaneamente
rispondenza in un'azione analogamente energica attuata con fermezza
e con costanza nell'interno del Regno.
Particolarmente coi fogli n. 2767 G.M. - n. 2803 G.M. - e
n. 2827 G.M. del 6, 8 e 13 giugno invocavo che il Governo provvedesse senza ulteriore ritardo a troncare con energiche ed immediate
misure l'opera nefasta e sempre più palese dei partiti sovversivi, ai
quali si concede di proseguire impunemente in una propaganda oralee scritta che minaccia di distruggere nel Paese, e di conseguenza nell'esercito, i sacrosanti sentimenti di patria, di disciplina e dell'onore
militare.
Ho invano, finora, atteso una risposta alle mie sollecitazioni, e,
quello che è più grave, nessun indizio è apparso che riveli da parte del
Governo il proposito di un'azione ferma e risoluta, diretta a combattere
con mezzi efficaci la propaganda minacciosa per la efficienza dell'esercito che si svolge nel Paese. La questione da me posta nei fogli so
praricordati è di estrema gravità, e non la si risolve certamente col non
rispondere alle insistenti sollecitazioni del Comando Supremo e col non
affrontarla decisamente : il male peggiora con un crescendo che è pieno
di oscuri pericoli.
Il reato di diserzione all'interno assume vastissime proporzioni,
tanto che, sentito il parere del vice-avvocato generale militare e su
proposta di S. E. il capo del reparto giustizia e disciplina, ho dovuto
emanare un bando in data 14 corrente (che unisco in copia) col quale
viene estesa la pena di morte, previa degradazione, ai militari che si
rendono colpevoli di diserzione anche quando il reato non avvenga
« in presenza del nemico ».
Nella notte sul 16 luglio scoppiava, impressionante per le circostanze di fatto che l'accompagnarono, una rivolta fra le truppe della
Brigata Catanzaro poche ore prima che partisse dal luogo di sosta verso
le prime linee. La rivolta è stata sanguinosamente repressa con la fucilazione sommaria di 28 militari e con la denunzia di altri 123 al
tribunale di guerra.
Recentissimamente (non accenno che ai fatti più gravi) nella imminenza di operazioni offensive della più alta importanza militare e
nazionale, numerosi reati, specialmente di diserzione con passaggio al
nemico, sono venuti a dimostrare come la efficienza delle truppe sia
minacciata; la sera del 14 corrente disertarono al nemico due militari
del 116° fanteria; la sera del 15 corrente un sottotenente e 37 militari
Più volte, in questi ultimi mesi, io ho dovuto segnalare all'attenzione dell'E.V. e del R. Governo fatti e sintomi dimostranti l'affievolirsi della disciplina fra le truppe, l'accrescersi del fenomeno della di-
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
(tra cui 6 sottufficiali, 5 caporali maggiori e caporali) del 206° reggimento fanteria, previo concerto fra loro, si erano allontanati. dalle nostre linee e hanno fatto volontario passaggio al nemico; nello stesso
giorno, presso una compagnia del 228° fanteria avvennero gravi disordini con sparo di fucilate in aria (un tribunale straordinario ha condannato alla fucilazione quattro militari colpevoli); ieri 17 agosto, 17
militari, tra cui 2 sergenti, del 117° fanteria sono passati al nemico.
Non mi occorrono altre parole per dimostrare quanto il male sia
peggiorato e come giorni tristissimi ci attendono se non verranno rimosse le cause di tanto male. E le cause — come è constatato anche
dalla presenza, in grande maggioranza, di «complementi» da poco
giunti dal Paese alla fronte fra i colpevoli dei reati commessi — sono
certamente queste: l'influsso deprimente che dal Paese giunge e si propaga nell'esercito; la tolleranza che è largita ai sovversivi di ogni specie ed ha i suoi frutti nelle truppe; talché queste, nella imminenza di
una grande offensiva, non sono quali dovrebbero essere, perché risentono tutte le torbide influenze che agitano le masse cittadine e rurali.
Nelle grandi guerre sempre, ma specialmente nelle guerre moderne l'azione del Governo nei riguardi della politica interna ha effetti
decisivi ed immediati sullo spirito delle truppe. La formidabile capacità offensiva e difensiva che tuttora sostiene gli eserciti degli Imperi
Centrali è frutto della ferma e risoluta politica interna dei rispettivi
Governi, come lo sfacelo degli eserciti della Russia è conseguenza dell'assenza di un Governo forte e capace; ora io debbo dire che il Governo italiano sta facendo una 'politica interna rovinosa per la disciplina e per il morale dell'esercito, contro la quale è mio stretto dovere
di protestare con tutte le forze dell'animo.
tempo, e lasciava intendere che il mio intervento al Consiglio
dei ministri del 28 settembre di quell'anno avesse avuto per
iscopo di discutere di politica interna e di dare risposta verbale
alle mie lettere. Difatti l'on. Boselli così si esprimeva : « Da
quel giorno (13 giugno, data della mia terza lettera) più volte
invitai, o direttamente, o per mezzo dell'on. Bissolati, o per mezzo del ministro della Guerra, il generale Cadorna a venire a
Roma per conferire; ond'è che te sue lettere ebbero questa forma di risposta che era riguardosa verso di lui e la più utile allo
scopo cui si mirava ... Il generale Cadorna intervenne di poi
in un Consiglio di ministri... »
Ora tutto ciò è profondamente inesatto. Se io fossi stato
chiamato a Roma per discutere di politica interna in Consiglio
dei ministri, non mi ci sarei recato, perché a me spettava bensì
di far presente al Governo le conseguenze che una cattiva politica interna aveva sulla disciplina e sul morale delle truppe,
ma la sua attuazione implicava la esclusiva responsabilità del
Governo. Se di questa responsabilità io mi fossi ingerito, mi
sarebbe stata rivolta con ragione l'accusa di aver voluto invadere le attribuzioni del Governo, accusa che mi fu invece lanciata a torto. La verità è invece questa: io mi recai a Roma
coll'esclusivo intento di esporre al Governo la situazione militare del momento. Difatti parlai più di due ore su questo argomento dinanzi a venti ministri, e di politica interna non si sarebbe discorso affatto se alla fine ideila mia esposizione, a proposito
delle condizioni morali delle truppe, io non avessi fatto qualche allusione alla politica interna.
Allora l'on. Orlando manifestò le sue idee in un esposto del
quale parla l'on. Boselli nel suo discorso del 12 settembre 1919
alla Camera. Io non replicai. L'on. Boselli volle interpretare il
mio silenzio nel senso che chi tace acconsente. L'interpretazione è del tutto errata: se io ho taciuto è perché non volevo e
non dovevo discutere, per le ragioni che ho dette. Di quanto
ho ora riferito vi sono venti testimoni, perché il Consiglio dei
ministri era al completo, salvo il ministro Ruffini assente.
Chi avesse poi desiderio di conoscere che cosa disse il mini-
Anche a questa lettera non fu data alcuna risposta!
Ma due settimane dopo, cioè il 1° settembre, l'on. Boselli,
venuto a Udine, dopo di avermi intrattenuto su altri argomenti,
accennando alle lettere mi diceva queste testuali parole, delle
quali assicuro l'esattezza, avendole scritte appena l'on. Boselli
mi lasciò : « Lei ha un bel dire che vuole la risposta alle sue
lettere. Ma come posso io risponderle se Orlando vuol fare a
modo suo? » I commenti sono superflui.
Senonché nella tornata della Camera dei deputati del 12
settembre 1919, discutendosi l'inchiesta per Caporetto, l'on. Boselli, rispondendo alle critiche fatte al Governo da lui presieduto dall'on. generale Di Giorgio, si dimostrava pienamente solidale coll'on. Orlando nella politica interna attuata in quel
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RISPOSTA
ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
stro Orlando ini quel discorso, in difesa della sua politica interna,,
non ha che da leggere quanto la Commissione d'inchiesta scrive
nel II volume della sua relazione nel capitolo « Cause estranee
alla milizia » circa l'influenza del disfattismo sullo spirito delle
truppe, poiché essa ha fatto integralmente sue le teorie dell'on.
Orlando, conformemente alla tesi che le era stata imposta e
che essa si era adattata a subire!
# # #
Per trattare a fondo il problema de « Le cause morali di
Caporetto » dovrei ripetere le magistrali considerazioni che il
Corriere della sera nel numero del 3 settembre 1919 ha scritte
nell'articolo che porta il titolo soprindicato. Io rimando il lettore al suddetto articolo e ne riprodurrò, per la brevità, solo la
parte seconda e conclusiva. Mi limiterò ad aggiungere alcune
osservazioni.
Leggendo nel II volume della Commissione d'inchiesta il
lungo capitolo « Cause estranee alla milizia » sono stato principalmente colpito dal fatto che la Commissione espone in gran
copia atti e testimonianze; ma mentre queste dovrebbero logicamente condurre alla conclusione che lo stato morale del
Paese e il disfattismo hanno avvelenato lo spirito dell'esercito,
essa addiviene invece alla conclusione opposta, ossia che i suddetti elementi hanno agito come fattori secondari e che il principale fu il « malgoverno degli uomini ».
Nel seguente capitolo vedremo quanto ci sia di vero in ciò.
Ma per mettere in luce l'entità dei due primi elementi, il
capitolo « Cause estranee alla milizia » fornisce abbondanti elementi. E sono soprattutto da notare i seguenti:
1°) - Quanto la Commissione espone circa la stanchezza. la debolezza, i fattori politici e sociali e la propaganda pacifista e disfattista. Come negare che tali fattori abbiano avuto,
nel loro complesso, influenze decisive nel determinare uno stato
d'animo che dal Paese si è ripercosso nell'esercito, inquinandone man mano lo spirito che, al principio della guerra, si era-
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
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dimostrato ottimo? La Commissione considera che tutto ciò abbia avuto influenza secondaria, ma essa stessa è così poco persuasa di quanto afferma che nell'ultimo e conclusivo periodo
delle «Conclusioni» (pag. 558) si contraddice nettamente. Se,
difatti, la vittoria si può solò raggiungere, come essa dice, quando taciono i dissensi interni e vi è il fervore di un popolo disposto ad ogni sacrifizio, come non si può non attribuire all'assenza di un tale stato d'animo la causa principale di un disastro?
Implicitamente si ammette che prima di Caporetto mancavano
l'unione ed il fervore di popolo, e ciò, naturalmente, a causa
di quei fattori morali e politici che dianzi erano considerati
come cause solo concomitanti!
2°) - Quanto è esposto da pag. 484 a 487 circa lo scandaloso contegno di molti di coloro che caddero prigionieri di
guerra durante il disastro; e sono specialmente notevoli le considerazioni esposte da un colonnello ex prigioniero, a pagina
486-487, tendenti a dimostrare che « la propaganda neutralista e più ancora il boicottaggio morale della guerra promosso
dai socialisti ufficiali avevano determinato uno sgretolamento
morale non solo nelle truppe, ma negli stessi ufficiali, non
risparmiando neppure ufficiali di grado elevato e perfino comandanti di corpo (fra i prigionieri) ». Il colonnello conclude
notando che con sua grande meraviglia ha dovuto constatare
che buona parte degli ufficiali prigionieri non aveva preso
parte alla guerra che negli ultimi giorni prima della cattura, od
aveva preso parte ad essa per minor tempo e solo per quel
tanto da assicurarsi la carriera; molti provenivano dalle colonie,
molti dai comandi territoriali ed altri dagli ospedali e dai convalescenziari. La Commissione non vorrà adunque affermare che
il loro spirito sia stato guastato dal « malgoverno degli uomini » fatto dal Comando Supremo! Ma la Commissione conclude con grande disinvoltura: « Dai brani riportati escono in
complesso lumeggiate — di fosca luce purtroppo — le condizioni d'animo di molti fra coloro che caddero prigionieri piuttosto che emergano — ripetesi — specifiche riprove che tali
Condizioni derivassero dalla propaganda disfattista e non dai
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
molteplici fattori depressivi, ovvero da cause inerenti al governo degli uomini! »
Tanta è la forza del partito preso! Noto infine — ed è
cosa importante — che. sebbene abbondino le affermazioni scandalose nella bocca dei prigionieri, nessuno dice di avere abbandonato le armi a cagione del malgoverno degli uomini.
3°) - Le due deposizioni rese da « un generale che fu ministro della Guerra » e che sono riferite a pag. 487-488 e a
pag. 517-518 della relazione. Esse sono di un'evidenza palmare
ed esprimono perfettamente il mio pensiero. In sintesi esso risulta dal seguente periodo (pag. 488) : « Il grado di influenza, e cioè
di responsabilità, che la propaganda disfattista ebbe nel disastro
va dunque giudicato, e lo giudico, dal grado di fertilità del terreno sul quale consciamente lavorava a coltivare la disfatta. »
E nel descrivere gli elementi che avevano fertilizzato il terreno, il generale non accenna affatto al malgoverno degli uomini. Perciò egli soggiunge (pag. 489) : « Ed ecco perché io
ritenni sempre che la propaganda disfattista fosse esiziale e perciò da impedire con ogni mezzo per la salute della Patria. Ed
ecco perché io ritenni, e ritengo oggi, che la propaganda disfattista abbia avuto effetto preminente e forse decisivo nel disastro di Caporetto. » E a pag. 518: «Ma ero invece parimente convinto che impedirla si poteva; e che, impedendola,
non sarebbe certamente mutato il sentimento, ma se ne sarebbero
evitate la esacerbazione e la maggiore diffusione, e lo si sarebbe
reso meglio e più facilmente governabile con la disciplina della
guerra, ai fini della guerra. Ciò che era essenziale e, in mancanza di meglio, sufficiente. E la misura, non so se a mio avviso necessaria ed efficace, non poteva essere che una: troncare
il male alle radici ed ai centri di ramificazione e mettere a
tacere i propagandisti ed i disfattisti, quali che fossero e ovunque o comunque parlassero e scrivessero. O questo, per la salute della Patria, o correre l'alea delle supreme conseguenze...
Della misura ài troncar il disfattismo alle radici, che a mio avviso, ripeto, era la sola idonea, non fu fatto, come è ben noto,
alcun uso, né tempestivo, né adeguato. »
E' proprio così. La Commissione, riflettendo, come sempre,
il pensiero dell'on. Orlando, sembra credere che io, ricorrendo
ad un sistema di violenta coercizione, intendessi che si dovesse
terrorizzare il Paese e dichiara preferibile il sistema della benevola convinzione (pag. 470). Invece io non credo affatto che
fosse necessario un regime di terrore, anzi l'avrei giudicato dannoso. Sarebbe stato sufficiente, io credo, arrestare qualche centinaio di caporioni e di propagandisti, liberarne il bel Paese
trasportandoli sulle coste dell'Eritrea o della Somalia, e sopprimere i giornali e giornalucoli, avvelenatori dello spirito pubblico, che pullulavano e che il Governo lasciava liberamente
pullulare in ogni angolo d'Italia.
Bastava seguire l'indirizzo accennato dal generale già ministro della Guerra, (il generale, poi maresciallo, Giardino), ed infondere nel Paese il senso della energia del Governo. Così ha
fatto in Francia Clémenceau, il quale non è ricorso ad alcun
terrore; il Paese ha sentito che una mano ferma lo guidava, ha
riacquistato fiducia e i disfattisti sono stati ridotti all'impotenza.
Da noi, invece, durante la guerra, il Paese ha avuto costantemente il senso della debolezza del Governo, più preoccupato dei
fini parlamentari che delle necessità della guerra, ed i disfattisti hanno potuto tutto osare impunemente.
Ho detto che bastava infondere nel Paese il senso dell'energia del Governo. Come nelle rivolte, quando una minoranza di
facinorosi si impone alla maggioranza amante dell'ordine e del
quieto vivere, e questa si ribella alla tirannia dei pochi se si
sente appoggiata dall'autorità, la stessa cosa sarebbe avvenuta
per il disfattismo se il Governo avesse fatto sentire la sua azione, come ne aveva il dovere. Ma la verità è questa: che il
Governo, incapace di energia per mantenere l'ordine nel Paese,
si affidava a tale scopo al partito estremo ed era poi costretto
a ricambiarlo tollerando la sua opera disfattista!
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Del resto, dopo Caporetto, l'intuito del Paese subito comprese che la causa principale del disastro era dovuta ai disfattisti, come ne aveva avuto la certezza il Comando Supremo,
anche prima di Caporetto, cogli elementi che possedeva: le
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
quattro lettere al presidente del Consiglio lo dimostrano. Se le
cause fossero da addebitarsi al malgoverno degli uomini fatto
dal Comando Supremo, come pretende la, Commissione, al punto di produrre una grande catastrofe, esse non avrebbero atteso trenta mesi a manifestarsi. I mezzi coercitivi vennero adoperati man mano che si resero necessari col progredire degli
effetti del disfattismo; guai se non fossero stati adoperati: la
catastrofe si sarebbe in tal caso prodotta prima. Questa è la
verità che la Commissione inverte, affermando che tali mezzi
furon causa e non effetto della demoralizzazione delle truppe.
Che il male venisse dal Paese è provato dal fatto che i
peggiori atti di indisciplina furono commessi dai complementi
e dai reduci di licenza, tantoché, essendosi manifestati atti
di ribellione durante il viaggio, si dovette ordinare che fossero
fatti viaggiare senz'armi.
Sono unanimi le testimonianze da me provocate nel dichiarare che i soldati che andavano in licenza ritornavano alla
fronte collo spirito profondamente mutato, anche quelli delle
armi — come l'artiglieria —• che meno dovevano risentire la
stanchezza della guerra. Basterebbe questo fatto a dimostrare
come l'avvelenamento venisse dal Paese. Erano questi reduci di
licenza ed i complementi che portavano l'infezione alla fronte,1}
alla quale contribuiva molto la propaganda che veniva fatta
1) Tra le molte testimonianze hanno particolare valore quelle dei medici
e dei cappellani che negli ospedali avevano ottima occasione di studiare la
psicologia del soldato. Mi limiterò a riferire il seguente brano di una lettera
che un distinto ufficiale superiore medico — non da me richiesto — mi scriveva il 4 novembre 1919:
« Ho vissuto per un anno intero come capo ufficio di sanità della... divisione... dedicando tutta l'opera mia alla cura del soldato ed all'esatta conoscenza
dei suoi bisogni; ne ho studiato, come sempre, intimamente la psicologia, ho
percorso palmo per palmo tutto il territorio della mia zona dalle trincee di
prima linea alle retrovie. E posso quindi parlare con piena cognizione di causa
e di terreno. Venni via dalla divisione alla fine del...; ma, oltreché i lavori di
difesa erano in continua e crescente efficienza fino da allora, la natura del terreno (Val Kamenka, Val Duole, Val Cigini, ecc.) era tale che assolutamente
il nemico non poteva salire se non aiutato a venir su...
« La Commissione d'inchiesta è stata più che parziale, unilaterale e volutamente guidata da preconcetti. Ha confuso gli effetti con le cause, e questo forma
il giuoco dei disfattisti e dei nemici della patria.
« Stanchezza non fu quella che provocò Caporetto! Fu l'esplosione dellavve-
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
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direttamente nei modi che la Commissione descrive. Ciò rendeva necessario il rigore. Ma la Commissione asserisce che applicando il rigore non aveva più efficacia la propaganda delle
idee sane. Oh, allora, come si risolveva il problema?
E a proposito delle attribuzioni del Governo nell'interno del
Paese, giustamente ha detto il deputato generale Di Giorgio
nel magnifico suo discorso del 12 settembre 1919 alla Camera
dei deputati, discutendosi l'inchiesta per Caporetto, discorso
che meriterebbe di essere riprodotto:
La Commissione, che attribuisce all'egocentrismo del generale Cadorna tutta la responsabilità del malgoverno degli uomini, si è almeno
informata quale fu il governo che degli uomini si fece nell'interno del
Paese, dove viveva un esercito più numeroso di quello che combatteva
in zona di operazioni? Si informò quale era l'ambiente dei depositi,
dei distretti, dei luoghi di convalescenza e di cura, degli infiniti distaccamenti, di tutti i boschi e boschetti della penisola e delle isole, e
quale industre lavoro si facesse per invelenire, sfruttare, volgere contro
le spalle dei combattenti gli umori del preteso malgoverno che si faceva nella zona della guerra? Portò la sua attenzione, sia pure fugace,
sul modo come funzionò il reparto ricompense, disciplina, avanzamento, giustizia del Comando Supremo? Sul modo come funzionarono i
comandi territoriali? Si informò quale fu l'opera dei prefetti e dei municipi nell'assistenza
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
Per finire ora di discorrere dei riflessi che il disfattismo
ebbe alla fronte, desidero di aggiungere alle testimonianze citate
dalla Commissione quella di tre personaggi che furono ministri proprio nel Gabinetto presieduto dall'on. Orlando.
Il primo, l'on. Bissolati, arrivato alla fronte il 28 ottobre
1917, si recava sulle retrovie della II Armata per constatare e
studiare il fenomeno. Il 13 dicembre egli scriveva poi una lettera al capitano Tommaso Gallarati Scotti, mio ufficiale d'ordinanza, nella quale è da rilevare la seguente frase:
non avessero sul detto spirito profondamente agito ». (pagine
471-472).
Capite? I detti fattori non hanno avuto neppure sensibile attitudine a perturbare lo spirito delle truppe! E' sempre il medesimo ritornello! E la Commissione si arrampica continuamente sui vetri per dimostrare che la causa del disastro stava nel
malgoverno degli uomini; e ciò fa allo scopo di coprire le responsabilità dell'on. Orlando. Ciò risulta poi in modo evidentissimo nel « Parere sul disfattismo » (pag. 519 e seguenti), del
quale non sto a combattere ad una ad una le affermazioni, perché andrei troppo in lungo e la risposta risulta, del resto, da
quanto precede.
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Pensai, sostenni e sostengo che in ogni modo non debbano tacersi le cause del disastro, che rilevano le loro origini dalla propaganda
disfattista che avvelenò le masse dei soldati e li indusse al gettito delle
armi e alla diserzione dei posti di combattimento.
Il secondo, Fon. Crespi, mi diceva nel gennaio 1918 a Versailles che egli aveva previsto Caporetto fin dal febbraio precedente, perché trovandosi egli a contatto colle masse operaie
ne aveva conosciuto i sentimenti.
Il terzo, Fon. Girardini, in una lettera diretta nei primi giorni di novembre 1919 ai suoi antichi elettori del collegio di
Udine, scriveva queste parole molto esplicite:
« ...Quali che siano gli errori militari, noi sappiamo donde
Caporetto venne. Un milione di Italiani viventi alla fronte non
permettono alla storia di mentire. Caporetto venne dalle varie
regioni d'Italia dove sì diffondevano lo scoramento e la diserzione.
Lo spettro di Caporetto crebbe sotto i nostri occhi, corse per
lunghi mesi le nostre contrade, preannunciò per le nostre campagne la sua parte di disonore e di rovina, andò alla fronte,
donde si abbatté sulle nostre teste innocenti. »
Ma invece, « in complesso e riassumendo, la Commissione
ritiene che i vari fattori sociali e politici fin qui esaminati non
abbiano di per se stessi potuto avere, né abbiano avuto sensibile
attitudine a perturbare lo spirito delle truppe e a facilitare il
disastro. I detti fattori non sarebbero stati da soli sufficienti a
determinare il gravissimo evento se ben altrì, prima considerati,
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Altre considerazioni avrei voluto esporre, sull'argomento
che si considera; ma esse sono così bene sviluppate nella seconda
parte dell'articolo del Corriere della sera del 3 settembre
1919, del quale ho fatto cenno, che non posso far di meglio
che riprodurla integralmente:
La realtà è che un esercito .mobilitato è popolo in armi, popola
con le sue virtù, i suoi difetti, unito al Paese con tutti i vincoli della
vita pre-bellica, in una identità di pensiero, di sentimento e di interessi col Paese, e che per conoscere che cosa questo esercito intimamente
sia sotto alla uniforme e alla disciplina basta guardare che cosa è il popolo rimasto a casa. Che cosa fosse di sfiduciato, di disorientato, di
sperduto il popolo italiano in quel periodo preparatore del disastro è
facile ricordare. Senza una guida, incerto sull'avvenire, sospinto fra opposte correnti, influenzato da ogni idea che passava, allarmato da
previsioni sinistre ed esaltato da fugaci speranze, abituato a sentir
denigrare la guerra per cui soffriva, a sentir deridere la patria per cui
palpitava, non soffriva più e non palpitava più. Esso era preda di lente
decomposizioni morali, vedeva accolti trionfalmente i rappresentanti del
Soviet che ci aveva traditi, udiva portare al Parlamento dal socialismo
ufficiale l'ordine perentorio di finire la guerra, col famoso: «Non un
altro inverno in trincea»; sentiva il Papa deplorare le «inutili stragi»;
vedeva sollevarsi strani moti rivoluzionari e pensava se non dovesse
rassegnarsi a rinunziare per sempre ai suoi sogni più ardentemente carezzati pur di arrivare ad una soluzione, come un uomo stanco ri-
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
nunzia a proseguire un'ascesa troppo dura verso una vetta luminosa e
lontana per accasciarsi umiliato nell'ombra. L'esercito pure era cosi
Il torto del generale Cadorna è stato quello di vedere soltanto la
truppa, la quale manifestava con più evidenza e sincerità il suo stato
di spirito, e di non accorgersi di quello che avveniva al di sopra, dove
pure degli animi si distaccavano dalia guerra, passivamente, quasi inconsapevolmente, pensandovi meno o non pensandovi più. Ma pure
non vedendo tutto vedeva giusto. Le sue quattro lettere al Governo,
che non ebbero risposta, sono gridi di allarme, che salgono all'ultimo
ad un tono di angoscia — l'angoscia di un uomo come Cadorna. «Il
male peggiora con un crescendo che è pieno di oscuri pericoli »
egli scriveva nell'ultima missiva, il 18 agosto. «Non mi occorrono
altre parole per dimostrare quanto il male sia peggiorato e come giorni
tristissimi ci attendano se non verranno rimosse le cause di tanto
male. » Ma egli non poteva essere ascoltato. Per ascoltarlo bisognava
avere la fede. Per reagire efficacemente contro la sfiducia del Paese, per
far arrivare all'esercito stanco un nuovo soffio vivificatore di rinata
volontà popolare e di riaccesa speranza bisognava non avere sfiducia,
bisognava avere quella speranza e quella volontà. Le aveva il Governo?
Credeva il Governo così fortemente alla vittoria da gettarsi con
tutte le forze verso il suo raggiungimento tagliando dietro di sé i ponti
della ritirata, cioè i contatti, gli accomodamenti, le transazioni, gli accordi con gli avversari della vittoria che bisognava combattere? No,
il Governo non credeva e non poteva perciò rinunziare a patteggiamenti
con i partiti che la sconfitta avrebbe potuto rendere padroni.
Quali singolari analogie ha presentato la nostra guerra con quella
francese nei suoi allacciamenti con la politica! Se la Commissione d'inchiesta avesse osservato quanto è avvenuto negli altri Paesi, avrebbe
forse portato giudizi ben più completi sulle nostre questioni. Anche
in Francia si è avuto nel 1917 il periodo culminante dello scoraggiamento: ammutinamenti e repressioni alla fronte, sfiducia nel Paese,
propaganda disfattista nelle truppe e nel popolo, gli Zimmerwaldiani
imperversano, il « Bonnet Rouge » trionfa, il ministro dell'Interno
Malvy persegue una politica di tolleranza e di accordi verso il pacifismo
socialista, l'opinione pubblica si salva nella sua generalità perché sorretta da intenso patriottismo, ma è deviata, accasciata, allarmata, il Governo è in contrasto col Gran Quartier Generale dell'esercito, la Francia sembra prepararsi a passare sotto le forche caudine di una pace
qualunque di transazione pur di uscire dall'incubo... E' il nostro quadro. Ma la Francia ha avuto Clémenceau, e il suo programma « tutto
per la vittoria» ha galvanizzato Paese ed esercito. Egli ha colpito da
tutte le parti dove vedeva un'ombra contro il suo programma inesorabile. Il suo programma doveva essere il nostro; ma noi non avevamo
un Clémenceau al potere.
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
53
Quando la relazione esamina l'azione del nostro Governo e riporta
le accuse numerose di « autorevoli uomini politici » sulla politica interna, dannosa « per la tolleranza dimostrata verso i nemici interni e
la poca energia verso i pacifisti e disfattisti», dimostrando «la mancanza di quella fermezza che era necessaria per infondere nell'esercito la energia e la fede nella vittoria», essa, tenendo conto dell'importanza delle frazioni neutraliste, giustifica questa condotta con la necessità di << esercitare quell'opera di concordia e di coesione altrove
automaticamente compiuta dall'aggressione nemica», opera che non le
sembra potesse esercitare che con il «sistema della convinzione». Il
che verrebbe a dire che il Governo ha bene agito permettendo la esplicazione di un accanito e pernicioso lavorio di discordie e di opposizione alla guerra, essendo q
cessaria concordia favorevole alla guerra. Il Governo è sempre innocente; così innocente che la Commissione « non sa capacitarsi » come
mai esso non si sia accorto che la colpa di tutto era del Comando Su
premo, e accorgendosene, sia pure tardi, non abbia provveduto e abbia usato invece «una prudenza e un opportunismo eccessivi, troppo
in contrasto colla rude parola del generale Cadorna ». Ecco la sola colpa
del Governo, e « ancora una volta la Commissione ritrova qui un effetto
della repugnanza o della incapacità del Governo di assumere di fronte
al generale Cadorna un atteggiamento ben deciso, il che avrebbe dovuto
presupporre la determinazione di giungere, occorrendo, fino al suo esonero dal comando ». Il demoralizzatore dell'esercito è dunque Cadorna!
E' nel governo della truppa che bisogna trovare la origine principale del male morale: questo è il punto al quale la Commissione vuol
sempre giungere, attraverso le contraddizioni più patenti. Essa raccoglie intorno al regime disciplinare nell'esercito autorévoli testimonianze
che lamentano egualmente l'eccessiva indulgenza e l'eccessiva severità,
che avrebbero volta a volta dominato a seconda dei momenti e delle
circostanze : « cooperò al disastro la tolleranza eccessiva di fronte alle
gravi mancanze di disciplina », osserva un generale. Si sarebbe passati
(da un eccesso all'altro, dalla dolcezza alla inesorabilità. La Commissione,
come spirito, riprova la severità e biasima il regime seguito dal Comando; ciò che non le impedisce di fare sul terribile regime austriaco
questa stupefacente osservazione : « La disciplina del nemico, profondamente più coercitiva della nostra, deve, a parere della Commissione, in
molte circostanze esser riuscita meno pesante, sia perché armonica col
principio di autorità dominante nella vita pubblica e privata degli Imperi Centrali, sia specialmente perché applicata con regime che vi faceva
adattare ed abituare gli individui senza eccessivo e continuato sforzo».
I sistemi dell'Austria erano dunque migliori! Trova, è vero, la
Commissione che «la scala delle misure escogitate per cementare la
coesione degli eserciti in guerra è bensì lunga, e va dall'estrema bontà
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
alla più terribile coartazione », ma ne deduce che « devesi scegliere, verso
un estremo o verso l'altro, un più limitato tratto». Non proporzionare
cioè i mezzi alle necessità e al momento, non essere verso i soldati,
come dice Cadorna, un padre, un fratello o pure; un giudice inesorabile
(secondo i casi, ma giudice o fratello. Sorprendenti teorie!
Sarebbe stato interessante stabilire un confronto fra il regime penale del nostro esercito e quello degli altri eserciti in guerra, vedere
se la media e la gravità delle condanne delle repressioni sia stata maggiore sulla nostra fronte. Ma, a parte questo, se tale severità di repressione è ritenuta una origine di demoralizzazione, come si spiega
la resurrezione morale dell'esercito sul Piave, accompagnata da una
analoga severità che porta le condanne capitali nel 1918 alla media
raggiunta nel 1916? Non vigeva forse ancora una severità inesorabile,
per cui durante le azioni, sotto al nuovo Comando Supremo, si spostavano mitragliatrici sulle vie del possibile reflusso, precauzione inumile perché le truppe furono sempre meravigliose, ma che dimostra
quanto il sistema della semplice persuasione non fosse ritenuto sufficiente?
Perché poi la Commissione non ha classificato le condanne capitali
per armata? La relazione fa un contrapposto fra la II e la III Armata
per dimostrare i differenti risultati ottenuti dal cattivo governo dell'una e dal buon governo dell'altra. La III Armata forniva certo un
esempio di buon governo, la bontà e la severità la reggevano giustamente, ma la misura di questa severità è data dalle condanne capitali,
che non sappiamo se non fossero superiori a quelle della seconda. In
ogni caso è sulla fronte della III Armata che avvennero quei primi fatti
gravissimi di resa al nemico che spinsero Cadorna a rivolgere al Governo il primo monito.
Questo significa che il male veniva da fuori, che il migliore governo degli uomini non poteva impedirlo, e che la sua origine non è
dove la Commissione vuole unicamente trovarlo.
Ed ancora, con quale ferocità di regime si spiega il tarlo morale di
ufficiali e di comandi? E il deleterio stato d'animo dei complementi
che arrivano in quel periodo dal Paese, e che erano considerati come
un pericoloso veicolo di demoralizzazione per le truppe? E la trasformazione di soldati « permissionari » che partivano dalla fronte buoni
combattenti e tornavano dalla licenza contaminati dal disfattismo?
Come la severità del regime disciplinare e penale, e in genere il
malgoverno degli uomini, anche gli sproporzionati sacrifici di sangue
sono indicati dalla relazione come formidabile ragione primaria di demoralizzazione. Gravi furono i sacrifici e grandi furono le sofferenze;
ma se la fanteria ha perduto il 10 per cento di morti, l'artiglieria ha
perduto l'uno per cento; ebbene, gli artiglieri, in genere, a Caporetto,
si condussero forse meglio dei fanti, pure non avendo sopportato che
un decimo del loro sacrificio di sangue? E, per contro, quali brigate si
batterono bene, e difesero la ritirata, e raggiunsero in ordine e in disciplina le nuove linee? Furono precisamente quelle brigate che più
avevano dato di sangue e di dolore. Soltanto, erano ben condotte. Cioè,
non era mancata loro la solidità morale di chi guida e conforta, quella
solidità essenziale che può sostenere tutto, forse, anche se fermentassero in basso germi dissolutori del sentimento, ma la cui deficienza fa
inevitabilmente crollar tutto, anche se in basso la virtù persiste.
Se della demoralizzazione le cause maggiori fossero veramente
state la stanchezza, la sofferenza, i sacrifici di sangue, le repressioni,
la demoralizzazione, avrebbe dovuto aumentare sul Piave dove le truppe
in ritirata giungevano più stanche, più decimate che mai, fra inenarrabili stenti, in mezzo a mille orrori, affamate, in un regime di repressione sommaria, quando cioè le cause indicate salivano al colmo della
loro potenza. Invece la demoralizzazione svanì, ritornò l'anima delle
battaglie. Perché, dice la Commissione, l'esercito sentì la «vivissima
reazione del Paese ». Ecco dunque da dove vengono le influenze buone
e cattive, che fanno combattere eroicamente un esercito prostrato, affranto, disorganizzato, quasi senz'armi, e che fanno invece crollare un
esercito formidabile di mezzi, di masse, di posizioni!
Caporetto è stato un fenomeno morale. E' provato, è indiscutibile.
Ma bisogna guardarlo nelle sue proporzioni. Nell'esercito esso ha avuto
le sue manifestazioni, più o meno intense in tutto l'organismo. Non
si riduce ad uno stato d'animo di soldati. Se la Commissione vuole osservarlo nella sola truppa è perché fuori della truppa il fenomeno
sarebbe inesplicabile con le ragioni che la Commissione vuole addurre,
e bisognerebbe allora arrendersi all'evidenza di responsabilità che si
vogliono eludere, le più gravi: quelle del Governo che non ha governato, ed ha lasciato i partiti della disfatta operare liberamente sotto
la sua benevolenza.
Dal timore di quelle responsabilità, in fondo, l'inchiesta è nata.
Non è il bisogno di illuminare con minuziose indagini una sconfitta
che l'ha fatta sorgere. Essa è stata provocata dall'aver Cadorna posato
nettamente la questione delle responsabilità governative col suo telegramma del 27 ottobre al presidente del Consiglio, al quale, dopo averlo
informato della resa senza combattimento di dieci reggimenti ad Auzza,
diceva: «Così l'esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno ma
sotto i colpi del nemico interno, per combattere il quale ho inviato al
Governo quattro lettere che non hanno avuto risposta». E l'inchiesta
rivela appunto il difetto delle sue origini; essa non considera che un
antagonismo; vede da una parte il Governo e dall'altra Cadorna, tutto
essa volge e riduce in ragioni di uno e in torti dell'altro, facendone
due emuli, uno tutto di ragioni, uno tutto di torti.
Se dopo Caporetto mutarono profondamente le cose nell'esercito
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
fu perché erano mutate nel Paese. Il presidente del Consiglio, Orlando,
trovò parole di fermezza e di fierezza che il ministro dell'Interno Orlando non aveva mai sognato di avere. Il Governo non negò più niente
al Comando Supremo, accettò tutte le sue proposte, diede fondi per una
sana propaganda, provvide alle famiglie dei richiamati, provvide all'assicurazione dei combattenti, concesse largamente ogni mezzo. Alla rinnovata coscienza del popolo corrispose nell'esercito un'anima nuova di
guerra. L'esperienza del disastro fu sfruttata tecnicamente e trovò alacrità convinte e tenaci di applicazione. Il restringersi della fronte attiva e
il fatto che le mutate condizioni della nostra fronte non imponevano
più logoranti azioni offensive permisero di concedere alle truppe lunghi riposi e di migliorare così le loro condizioni di vita. Il disfattismo
intimorito taceva. Il timore delle responsabilità trasformava in patrioti
anche i più acerbi nemici dell'idea di patria. La catastrofe, con la
sua minaccia di invasioni e di rovina, aveva spaventato gli avversari
della guerra, come nessun Governo aveva fatto. Il cuore della nazione
si risollevava, non più turbato da contrasti e da denigrazioni. La forza
di questa unità fu così grande che la fede rinacque nel momento più
tenebroso della guerra europea. La fede di vincere è la forza per vincere; essa crea la volontà, la capacità, le devozioni, gli entusiasmi. Così
vincemmo. Ma Caporetto non sarebbe avvenuto se i partiti contrari
alla guerra avessero sentito il dovere di non anteporre i loro livori partigiani alla fortuna della Patria, se il Governo avesse avuto la fede e la
virtù che il momento esigeva per guidare fermamente la Nazione verso
i suoi destini.
La Nazione ha finito per avviarvisi da sola, guidata dal dolore.
vano e dai quali venivano anche burlati per la vita dura che
conducevano alla fronte.
4°) - L'avere lautamente pagato gli esonerati dal servizio,
militari addetti alle industrie, i quali erano al riparo da ogni
pericolo, contribuì pure largamente a demoralizzare il soldato.
A togliere le tre ultime cause avrebbe dovuto provvedere il
Governo; e invece esso non provvide con sufficiente energia, o
non provvide affatto.
I complementi e i reduci di licenza erano poi naturali agenti della demoralizzazione delle truppe, oltre alla diretta propaganda che veniva fatta alla fronte.
Senza andare a rintracciare altre cause, come per la sua tesi
particolare ha voluto fare la Commissione d'inchiesta, non sembra forse che quelle ora enumerate fossero, a lungo andare,
sufficienti a deprimere lo spirito delle truppe e a produrre le
deplorevoli conseguenze che si sono viste?
La potenza del disfattismo — e la necessità di porvi riparo
con salda azione di Governo — si è, del resto, appieno manifestata nei due anni posteriori alla guerra. Ad un osservatore
superficiale in questo funesto periodo sarebbe potuto apparire
che l'Italia, la quale non era stata fortunata nelle sue precedenti guerre, dopo essere uscita trionfalmente dalla più grandiosa guerra di tutti i tempi, sentisse la nostalgia della disfatta!
56
# # #
Volendo ora riassumere le principali cause morali che condussero a Caporetto, accennerò le seguenti:
1°) - Il Paese non sentiva la guerra. Il soldato che conduceva una durissima vita in trincea, venendo in licenza, trovava
per lo più nelle città il poco edificante spettacolo dei suoi concittadini intenti a divertirsi, e ciò non poteva non demoralizzarlo.
2°) - La propaganda sovversiva, tollerata dal Governo, produceva direttamente alla fronte, o per riflesso di quella parte del
Paese che ne era infetta, i suoi lenti effetti pestiferi, avvelenando lo spirito delle truppe.
3°) - La grande quantità di imboscati che le truppe di complemento in partenza per la fronte o i soldati in licenza vede-
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# # #
Nel precedente articolo del Corriere della sera si accenna
alle singolari analogie che la nostra guerra ha presentato con
quella francese nei suoi allacciamenti colla politica, e si osserva
che se la Commissione d'inchiesta avesse notato quanto è avvenuto negli altri Paesi, avrebbe portato forse giudizi ben più
completi sulle nostre questioni.
Cercherò di supplire io a tale lacuna, per quanto gli scarsi
elementi di fatto che sorto a mia disposizione me lo consentono, e mi varrò del libro già una volta citato Le poignard dans
le dos di Leon Daudet, il quale fu il principale accusatore del
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
ministro dell'Interno Malvy, deferito, come ognun sa, all'Alta
Corte di giustizia e condannato all'esilio.
In molte cose le analogie tra ciò che è accaduto da noi e
in Francia — sia pure con differenze puramente formali —
colpiscono; perciò quel libro dovrebbe esser letto da tutti coloro che studiano le cause del fenomeno di Caporetto. E ciò
facilmente si comprende: dalle stesse cause dovevano ingenerarsi gli stessi effetti. Data la persuasione di non potere aver
ragione, colla sola forza, degli eserciti di Francia, Inghilterra,
Italia e Russia:
nell'identità dello scopo, erano abbastanza abili per adattare i
mezzi alle condizioni particolari di ciascun Paese!
Da quanto precede emerge molto chiaramente che non è
nell'esercito che si deve ricercare l'origine del male. Ma questa
argomentazione è troppo comoda pei colpevoli perché non abbiano a servirsene. E difatti anche in Francia accadde la stessa
cosa : « C'est alors que Leymarie, devenu sur ces entrefaites —
ó honte — directeur de la Sùreté Generale, supprime les relations mensuelles entre le Grand Quartier General et celle-ci
et déclare que c'est le front qui a troublé l'arrière » (pag. 259
dello stesso volume).
E' questo uno dei principali argomenti addotti dall'on. Orlando. Ma chi parla in questo modo calunnia l'esercito, poiché
questo non è stato causa, ma vittima della infezione che esisteva nella parte meno sana del Paese. Tra questo e quello vi era
innegabilmente, — e non poteva non esserci — u n a ripercussione reciproca, come da causa ad effetto, dei sentimenti e della
stanchezza che questa aveva prodotto. Ma chi tenga conto della
condizione originaria degli spiriti nel Paese allo scoppio della
guerra non può non essere persuaso che il fenomeno deprimente è partito dal medesimo: l'esercito, del resto, — e tanto
più un esercito moderno, che è in notevole parte improvvisato
— ha, come già più volte dissi, una sensibilità speciale per risentire tutti gli influssi, buoni o cattivi, che provengono dal
Paese; perciò è arte importantissima di governo mantenere
alto lo spirito di questo e far di tutto, sia colla persuasione, sia
coll'intimidazione verso coloro che non son disposti a lasciarsi
persuadere, perché non venga traviato. Di ciò profondamente
convinto, ancor pochi giorni prima della nostra dichiarazione
di guerra, osservavo all'on. presidente del Consiglio di allora
che ciò che soprattutto importava durante la guerra era di mantenere il Paese in perfetto ordine, essendo cosa vana ripromettersi un felice esito delle operazioni militari se dietro le spalle
dei combattenti tranquillità e concordia vengono a mancare.
Meritano pure di essere rilevate le seguenti parole scritte
a pag. 88 del medesimo libro:
Ils ont alors procède (i tedeschi) vis à vis de ces pays par ce
moyen qu'ils appellent eux-mèmes: la dissociation intérieure... Ce moyen consiste à prendre dans les pays avec lesquels ils sont en guerre
des agents qui étaient en relation d'affaires industrielles ou commerciales avec les dits pays, ainsi que les élements politiques qui euxmèmes pouvaient ignorer les tendences de l'Empire allemand avant
1914. Le procède consiste à reprendre ces élements, à les regrouper
par le moyen de chantage, à les remettre en mouvement, de telle
sorte que, par la banque, par la presse, par la parole clandestine, il se
produise dans les pays visés par l'Allemagne une espèce d'affaissement
du moral et qu'il s'y produise ce que l'on appelle si justement des
vagues de défaitisme. L'Allemagne a complètement réussi à ce point
de vue pour la Russie. Elle a failli réussir pour l'Italie; elle a échoué
dans les conditions que vous savez, mais enfin elle a failli réussir pour
la France (pagg. 185-186 del volume succitato).
In Italia il terreno era particolarmente fertile per le ragioni
che ho dianzi accennato e per l'opera di disgregamento che i
sovversivi andavano facendo da anni per minare la compagine
morale del Paese. Tra Francia e Italia vi fu questa differenza:
che in Francia gli ammutinamenti militari del maggio-giugno
1917 furono preparati da tradimento vero e proprio per parte
di persone che facevano capo al Bonnet Rouge e ad altri simili
organi. In Italia, invece, più che di ammutinamenti, si è trattato
di « sciopero militare », come l'ha definito l'allora ministro Bissolati venuto alla fronte a studiare il fenomeno, basato sul disgregamento prodotto nello spirito del Paese: i tedeschi, pur
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
Au moment où la guerre a éclatée, il y avait en France, dans les
milieux politiques, industriels, financiers, mondains, journalistiques et
de théàtre, un millier de personnalités acquises de pied en cap à
l'Allemagne, travaillant pour l'Allemagne, subventionnées par l'Allemagne, souhaitant la grandeur de l'Allemagne, l'augmentation du prestige allemand.
Tal quale come da noi!
Quanto all'influenza che la lunghezza della guerra avrebbe
avuto sugli ammutinamenti del maggio-giugno 1917 il signor
Leon Daudet riferisce a pag. 216-217 le seguenti parole da lui
pronunciate il 19 luglio 1918 durante la sua deposizione all'Alta Corte di giustizia; esse non potrebbero meglio adattarsi al
caso nostro:
Chi potrebbe dire che in Italia ce ne fossero meno?
Anche in Francia, come da noi, si è voluto attribuire il diminuito spirito dell'esercito a cause di ordine affatto secondario.
Ecco come risponde Leon Daudet a pag. 253 del suo volume:
Sans doute il est possible que les mutineries militaires aient pris
dans une certaine mesure, mais très faible, quelques prétextes d'ordre
militaire: désillusion de l'offensive de Champagne en avril, retard dans
les permissions. Mais ces motifs ne sont qu'occasionels, et ils n'auraient
jamais à eux seuls produit l'explosion constatée. Cette atmosphère a
été exploitée par les meneurs qui ont eu le talent de masquer ainsi ce
qu'avait d'abominable leur entreprise antipatriotique.
In Italia, tra le cause di malcontento si è pure accennato
alla non completa riuscita dell'offensiva della Bainsizza (che
pure aveva dato risultati di gran lunga superiori a quelli dell'offensiva francese in Champagne dell'aprile) e ad altre cause di secondaria importanza. Queste possono bensì aver servito a fertilizzare il terreno sul quale la propaganda sovversiva doveva gettare i suoi semi, ma non mai ad essere per se stesse cause determinanti di un fenomeno di tanta gravità che per poco non
ha condotto il Paese ad estrema rovina.
Leon Daudet, dopo aver accennato a confessioni impressionanti fatte da diversi disgraziati soldati che avevano preso l'iniziativa della ribellione, così continua:
Ces chefs de file ont donc eux-mèmes obéi à des directions émanant d'individualités dont l'action était concertée et que l'on devait
rechercher parmi les propagandistes de l'intérieur, bien connus d'ailleurs et signalés quotidiennement dans la presse; et le ministre de
l'intérieur, Malvy, avait incontestablement le devoir de prendre à leur
égard toutes les mesures édictées par la loi.
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Lorsque M. Malvy, au cours de son intérrogatoire, est venu soutenir que les mutineries militaires étaient le fait de la longueur de
la guerre, des fatigues excessives, du manque de permissions et autres
balivernes du mème ordre, je peux lui répondre que c'est parfaitement
le contraire de la vérité. Nous sommes à un point de la guerre beaucoup plus avance qu'au moment des mutineries militaires. Nos armées,
sous l'habile direction de leurs chefs, les généraux Foch et Pétain, ne
nous donnent pas précisement l'impression d'ètre déprimées et fatiguées par le manque de permissions, et les derniers communiqués font
bonne justice de cette allégation.
E finalmente, a proposito dell'influenza che l'energia del
Governo ha sullo spirito pubblico, Leon Daudet scrive a pagina
86-87:
Or, il est à remarquer que l'esprit public n'a jamais été en France
aussi bon, pendant la guerre, que sous le cabinet Clémenceau, c'est
à dire qu'à partir du moment où l'on s'est décide à poursuivre et à
chàtier les espions et les traìtres. La masse sentait confusément qu'il
y avait dans les sphères politiques quelque chose qui ne marchait pas,
qui s'opposait à l'action militaire, qui l'entravait et la rendait inefficace.
Non altrimenti accadeva presso di noi, colla differenza che
in Italia l'azione energica del Governo è costantemente mancata,
e perciò si sono venute accumulando le cause della catastrofe
fino al suo scoppio. Tale energia di governo appariva tanto più
necessaria inquantoché l'Italia non era stata costretta alla guerra,
come la Francia, dalla provocazione nemica; essa vi era entrata
di sua libera ed illuminata elezione, ma senza quell'unione sacra degli animi che sarebbe stata necessaria per trionfare di tutti
gli ostacoli. Il Paese in generale, ad eccezione di una minoranza
intellettuale, non ha sentito la guerra, come l'ha poi sentita
-quando, avvenuta la catastrofe, si è svegliato ad un tratto sul-
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
Torlo dell'abisso, ed è balzato in piedi deciso alla più estrema
difesa. In questa situazione, il disfattismo — al quale hanno
contribuito tutti gli elementi torbidi ed egoistici — ha avuto
buon giuoco. Per queste ragioni, e per tutte quelle che ho esposte nel capitolo I, Caporetto era, per così dire, allo stato potenziale fin dal giorno in cui entrammo in guerra.1) Solo un'illuminata azione di governo, coordinata con quella del Comando
Supremo, avrebbe potuto impedire che si passasse dalla potenzialità all'atto. Mancarono invece al Governo — preoccupato da
considerazioni di altra natura — la volontà e l'energia necessarie
per assolvere tale doveroso compito che doveva essere per lui
il più importante e la cui trascuratezza rese vani i mezzi di cui
il Comando Supremo poteva disporre e dei quali effettivamente
si servì.
L'on. Orlando, per quanto dotato di spirito agile e sottile
e consumato nell'arte di esporre i sofismi con parvenza di verità
rivestendoli di forbita ed estetica parola, non riuscirà mai a dimostrare alle persone fornite di semplice buon senso e di retto
giudizio che un'energica azione di governo, sciolta da opportunismi e da alchimie parlamentari, quali i tempi e le circostanze
richiedevano, non avrebbe paralizzato i germi velenosi e non
ne avrebbe almeno di molto attenuato la virulenza.2)
In conclusione, che vi siano state cause morali del disastro di Caporetto da addebitarsi al Paese ed al Governo, nessuno lo può negare. Delle responsabilità di queste cause morali
e delle ripercussioni che esse hanno avuto, l'opinione pubblica
ha giudicato, nella tragica e immediata percezione degli avvenimenti, con una sincerità che interessi particolari, di partiti o
di persone, hanno poi cercato di travisare : a ciò si deve se dopo
Caporetto si manifestò una reazione per negare il caporettismo,
quasicché lo avessi creato io! Del preciso grado di ripercussione
che il disfattismo di una parte del Paese ha avuto sul cedimento
morale di alcuni reparti non si può giudicare senza possedere
tutti gli elementi che la Commissione d'inchiesta ha conosciuto
e quelli che potranno ulteriormente venire alla luce. Perciò solo
la storia potrà pronunziare il supremo giudizio, facendo emergere a fianco delle ombre gli eroismi lampeggianti in un'ora di
tenebre.
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1) Spero che non mi si vorrà appuntare di eccessivo orgoglio se mi permetto di vantarmi di avere, durante il periodo della nostra neutralità, costantemente espresso la convinzione della necessità della nostra partecipazione alla
guerra, sebbene mi fossero ben note le condizioni politiche e morali del Paese
e quelle materiali e morali dell'esercito, e non potessi ignorare che in caso di
insuccesso io ne sarei diventato il capro espiatorio.
Si richiedeva indubbiamente un certo coraggio per spingere in tali condizioni il Paese alla guerra, e sarebbe, io credo, bastato che io avessi prospettato
l'impossibilità in cui l'esercito si trovava di rimediare in tempo utile ed in moda
efficace alle sue gravissime deficienze per far sbollire le velleità guerresche di
qualunque Governo. Ma, d'altra parte, io ero convinto che il nostro mancato intervento sarebbe stato più disastroso di una battaglia perduta e che vi sono dei
momenti nella vita dei popoli nei quali la stessa prudenza consiglia le estreme
audacie.
2
) Lo stesso on. Orlando ne ha convenuto. Ecco quanto mi scriveva un
ministro in data 13 settembre 1917: « Stamane si è risoluta la situazione. La
necessità di dare alla politica interna un indirizzo che corrisponda alle esigenze
straordinarie del momento è stata riconosciuta... e ne ha convenuto il ministro
dell'Interno. »
Ma troppo tardi. Eravamo a quaranta giorni da Caporetto!
63
# # #
Non posso por termine a questo capitolo senza trascrivere
il seguente articolo del giornale // Secolo, di Milano, del 31
maggio 1917, articolo molto sintomatico per la conclusione
che lascia intendere ed ancor più per il carattere ultrademocratico del giornale in cui fu pubblicato, dal quale, meno che
da qualunque altro, ci si poteva attendere di veder patrocinata
una dittatura militare. Ma questo appunto dà la misura del
grado a cui la debolezza del Governo aveva condotto le cose e
come fosse fortemente sentita la necessità di una mano energica alla testa del Paese, come alla testa dell'esercito. Nel giorno seguente io giunsi a Roma e subito mi recai a visitare l'onorevole Boselli, presidente del Consiglio dei ministri, il quale
tosto mi domandò se avevo letto_Jr'articolo del Secolo, ed in
quel mentre egli mi guardava con estrema diffidenza come per
indagare se realmente io covassi aspirazioni dittatoriali ed
avessi con tale scopo inspirato io l'articolo. E' naturale caratteristica delle persone deboli di essere sospettose e io ebbi un bel
64
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
IL PUNTO FONDAMENTALE DELLA RELAZIONE
daffare per dissipare i suoi timori, ad alimentare i quali proprio nulla avevo fatto, pur essendo convinto che un tale debolissimo Governo era l'assoluta negazione di ciò che si richiedeva
per condurre a buon fine la guerra.
E ora riproduco l'articolo che porta il seguente titolo: Il
Governo della guerra.
nomina regia esistente in Europa, la demolizione dell'accentramento amministrativo, la risurrezione delle provincie, l'abolizione di parecchie
università parassitarie e di molte inutili larve d'autorità prefettizia;
tutte cose che erano una volta nei voti anche dei più moderati tra i
liberali italiani. E può darsi che la guerra, la quale nel suo tragico
processo di distruzione riesce a fecondare molti germi di libertà e di
rinnovamento, ci conduca anche a questo. Ma frattanto bisogna contentarsi del Parlamento quale è; strumento non di coraggiose rivendicazioni democratiche, ma di acquiescenze opportunistiche e di abili
dissimulazioni.
Che esso non aiuti, come dovrebbe, la lotta contro i tedeschi di
dentro e di fuori, è cosa ormai risaputa. L'interventismo non era nel
suo programma; l'adesione alla guerra costituisce la sua gloria apparente, ma anche la sua ambascia segreta. Onde emerge sempre più
chiara la verità che più volte abbiamo avuto ragione di ricordare:
esser difficile, in una simile atmosfera, far vivere e respirare un governo più coerente ed energico di quello presente, alla cui formazione
concorsero gli elementi migliori dei partiti che professano il culto
delle idealità nazionali. Gli organi dei quali questo Ministero
Le parole dette dall'on Boselli in risposta ai rappresentanti dei
sodalizi milanesi andati a raccomandargli una più oculata ed energica
azione di Governo sono di quelle che la cortesia e il buon volere
suggeriscono di solite a chi sentendosi in qualche imbarazzo cerca di
uscirne senza troppe compromissioni. E' naturale che i promotori dei
colloquio non si mostrino soddisfatti, ma era anche difficile immaginare che l'on. Boselli dovesse dire di più. Non poteva certamente
ammettere che il Ministero da lui presieduto sia accusato con ragione
di debolezza, d'inettitudine o di parzialità. Per tutto ciò che può essere rendiconto ed esame dell'opera fin qui esplicata dai poteri pubblici
a difesa della disciplina nazionale, contro i nemici palesi ed occulti
della guerra, come anche per la discussione di un eventuale mutamento
di indirizzo, ha dichiarato di voler riferirsi al giudizio del Parlamento;
e la dichiarazione è costituzionalmente ineccepibile. Entro i confini del
dibattito parlamentare si esercitano e si esauriscono i doveri della responsabilità ministeriale. Non potrebbero uscirne senza dar luogo al
sospetto che si tenti di sovrapporre la politica dei comitati alla funzione statutaria delle due Camere in cui deve ritenersi legalmente
espressa la volontà del Paese.
Vero è che una delle due Camere è di origine elettiva e l'altra
interamente di nomina regia; ma, come abbiamo avuto occasione di
osservare fin dal principio di quest'interessante polemica, Governo e
Parlamento sono termini inseparabili di un medesimo problema, a risolvere il quale non basta per ora né la volontà di un presidente del
Consiglio, per quanto abile e ben intenzionato, né l'agitazione, per
quanto legittima, dei gruppi interventisti malcontenti di un Ministero.
Potrebbe benissimo il Re, in un dato momento, valersi delle sue alte
prerogative e convocare un'assemblea costituente che desse mano a
un'opportuna riforma delle istituzioni. L'idea non è in contrasto alla
tradizione monarchica dello Stato. La convocazione di una costituente
fu posta come condizione esplicita al patto di annessione della Lombardia durante la guerra del '48, e questo patto fu richiamato in vigore
nel '59 ritenendosi superflua la formalità di un nuovo plebiscito. Da
una costituente sarebbe possibile sperare una nuova definizione dei
rapporti tra Governo e governati, la riforma del Senato, che è l'unico di
65
69
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
Avanzamenti - Molte sono le critiche che la Commissione
espone, e non c'è da farne le meraviglie. Un generale che fu
anche ministro della Guerra ha giustamente detto che « tutte
le scelte sono state in ogni tempo e in ogni luogo antipatiche
alla massa, dalla quale sono sempre usciti più o meno generali
i giudizi e le proteste che proclamavano ingiuste, o non abbastanza giustificate, o effetti di favoritismo, le singole applicazioni; ed è umano ed inevitabile ».
Nessuna cosa, infatti, è più difficile della materia degli avanzamenti, nella quale per eliminare un inconveniente se ne crea
spesso un altro, e tutti coloro che sono danneggiati e non possono abbracciare il quadro generale del problema gridano all'ingiustizia. Gli inconvenienti sono inevitabili, specialmente
in tempo di guerra, che ha condotto ad un enorme allargamento
dei quadri e conseguentemente a numerosissime promozioni.
Non io dunque dirò che inconvenienti non vi siano stati. Ma
la Commissione stessa dopo di aver esposte le critiche soggiunge (pag. 319):
ziano ottenesse la promozione, sia pure per merito di guerra —
sistema che la Commissione disapprova — osservo dunque che
si trattava di ufficiali scelti fra i più distinti dello Stato Maggiore; che, come tali, resero importantissimi servizi nella segreteria che, in sostanza, costituiva l'ufficio operazioni; che era necessario mantenerli a lungo al loro posto per non rompere la
tradizione del Comando, la qual cosa sarebbe stata dannosissima al buon funzionamento del medesimo; e che se io avessi
permesso che fossero scavalcati nell'avanzamento, avrebbero
avuto il pieno diritto di far domanda di essere trasferiti ai corpi
di truppa, per legittimo desiderio di maggiori soddisfazioni; né
io avrei potuto! trattenerli. Debbo soggiungere, ad onor del vero,
che essi meritarono pienamente i vantaggi conseguiti e che
furono conservati dal nuovo Comando, il quale conferì, anzi, a
taluno di essi, un'altra promozione per merito di guerra.1)
La Commissione critica infine il sistema dell'esperimento di
comando e delle retrocessioni. Gli inconvenienti di tale sistema,
che la Commissione enumera, in senso assoluto, sono innegabili.
Ma in questa, come in tutte le cose contingenti, ciò che si deve
considerare è il relativo. Ora tale sistema fu introdotto per evitare un altro maggiore inconveniente, quello cioè di aumentare
ancora i siluramenti che la Commissione critica poi acerbamente. L'esperienza aveva dimostrato che gli ufficiali destinati a sostituire i silurati spesso non valevano di più, e talvolta valevano
di meno, e perciò venivano essi stessi dopo breve tempo silurati,
facendo crescere il numero di questi a dismisura. Come si poteva rimuovere questo gravissimo inconveniente? In due modi,
esigendo cioè maggior rigore nell'accertamento dell'idoneità
all'avanzamento (di ciò parlerò in seguito) ed introducendo il
sistema dell'esperimento nella nuova carica. Se l'ufficiale non
faceva buona prova entro due mesi, faceva ritorno alla carica
precedente. La Commissione biasima tale sistema, ma essa biasima ancor più gli eccessivi siluramenti. Dunque, come si risol-
68
Tutto ciò vale a dimostrare come i difetti prima enumerati dai
testimoni circa gli avanzamenti costituiscano, se mai, uno soltanto dei
fattori di turbamento della gerarchia, E ritiene la Commissione che
non costituiscano affatto uno dei fattori più importanti.
Sotto tal punto di vista deve la Commissione lodare il Comando
Supremo che si fece assertore delle promozioni, muovendo dal concetto che se molti sacrifizi egli imponeva agli ufficiali, e se gravi
responsabilità egli loro attribuiva, doveva pur dare per giustizia a
quegli ufficiali che le perdite e le necessità di creazione di nuove
unità facevano elevare alle cariche superiori il corrispondente grado.
E la Commissione deve riconoscere che il Comando Supremo — il
quale come si vedrà in seguito procedette troppo facilmente alle eliminazioni dal comando — fu giusto tutore degli ufficiali di fronte al
Ministero, il quale era preoccupato specialmente dell'aumento degli
organici e dell'impiego futuro, in tempo di pace, dei quadri esuberanti.
Poiché adunque la Commissione non trova argomenti di critiche serie, io passo oltre.
Osservo però, circa il sistema di far promuovere gli ufficiali della mia segreteria non appena un collega di loro meno an-
1
) Si può aggiungere che gli ufficiali della segreteria raggiunsero poi, nel
periodo compreso fra le due guerre, tutte le più alte cariche dell'esercito. Segno
evidente che erano stati bene scelti. (R. C.)
70
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
veva il problema? Non vi sarebbe stata allora altra soluzione
che conservare nella carica i non idonei; ma io lascio considerare con quale vantaggio delle operazioni e del morale dei
quadri e della truppa!
Ciò che io dico è tanto vero che il biasimato sistema non
fu soppresso dal nuovo Comando e che durante la difesa della
linea del Piave del giugno 1918 si vide perfino uno dei più
intelligenti e colti generali dell'esercito retrocedere dal comando di un'armata a quello di un corpo d'armata. 1)
Escluse adunque osservazioni di rilievo circa gli avanzamenti, le ricompense e le onorificenze, a dimostrare il malgoverno dei quadri non rimangono che i siluramenti. E su questo
argomento la Commissione veramente si accanisce. Io dovrò
pertanto estendermi maggiormente nelle mie osservazioni.
Onorificenze e ricompense - Anche su questo argomento,
naturalmente, numerose sono state le critiche e sfido io ad accontentare tutti! Ma la Commissione stessa ne fa giustizia con
queste parole (pag. 323-324):
La Commissione non esita a riconoscere che inconvenienti, fra
cui il ritardo nella concessione e qualche sperequazione, si sono verificati nella distribuzione delle ricompense; ma deve altresì notare come
molti inconvenienti siano insiti nella inevitabile diversità di valutazione dei comandanti e nella peculiare varietà delle circostanze in cui
gli atti di valore poterono compiersi, come nel differente peso dato
all'elemento direttivo ed a quello esecutivo di ogni azione.
Sta di fatto che, cori alcune circolari del reparto disciplina, avanzamenti e giustizia, il Comando Supremo si preoccupò degli inconvenienti, avvisò ai mezzi di porvi riparo e provvide alla concessione
immediata sul campo di molte medaglie al valore...
In complesso la Commissione, richiamandosi al, giudizio espresso
nel precedente capitolo sugli avanzamenti e sui danni generali che le
funzioni della gerarchia ricevevano e producevano dal contendere fra
superiori ed inferiori di responsabilità e di meriti, non riscontra in
tutto quanto sopra si è detto circa la concessione delle ricompense
particolari di gravità tali da poter affermare che essa abbia esercitato una notevole influenza sul morale delle truppe, e quindi non
ritiene nemmeno che possa annoverarsi fra le cause indirette del disastro. 2)
1) Il generale Pennella. (R. C.)
) Oggi chi porta una medaglia al valore conquistata sull'Isonzo o sugli
Altipiani ne va molto fiero forse per contrasto coi sistemi di larghezza usati
nelle campagne successive. (R. C.)
2
71
Le esonerazioni dal comando - La Commissione dedica ben
venti pagine ai così detti siluramenti e conclude a pag. 343-345
con un acerbissimo biasimo al mio indirizzo, affermando che
« le esonerazioni rappresentano per la Commissione l'indice pia
sicuro del malgoverno dei quadri ».
Val dunque la pena di soffermarci quanto è necessario su
questo argomento.
Incomincio intanto coll'osservare che è del tutto falso quanto la Commissione afferma in principio del suo biasimo : « Vide
(il generale Cadorna) soltanto i vantaggi del sistema, e poiché
i danni egli stesso non presentì, altri non seppe o non volle
— e se avesse voluto, del resto ben poco sarebbe giovato —
farglieli scorgere, ecc. ».
La mia preoccupazione fu invece sempre grande pei danni,
specialmente d'indole morale, che la moltiplicazione degli esoneri arrecava, come autorevolissimi ed altissimi personaggi potrebbero testimoniare. Ma anche in questo caso, come già ho
osservato discorrendo degli esperimenti di comando, non si tratta di vedere da un lato solo il male assoluto, ma di scegliere
tra i diversi mali il minore. E qui entra in giuoco una questione di apprezzamento. Per me il male maggiore è di avere
unità mal comandate, perché questo non solo arreca male gravissimo materiale, in quanto i cattivi comandanti fanno fallire
le operazioni meglio concepite, ma costituisce altresì un grande
danno morale perché essi scuotono la fiducia delle truppe nel
successo : nessuna cosa deprime maggiormente-il morale dell'ufficiale e del soldato quanto il sapersi condotti ad inutile sacrifìcio da capi inetti. A petto di questo danno, tutti gli altri enumerati dalla Commissione, anche se non lievi in senso assoluto,
hanno poco valore.
72
73
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
A prova di ciò soggiungo che in seguito agli avvenimenti
del Trentino nel 1916 ordinai al generale Pecori-Giraldi, comandante della I Armata, di eseguire un'inchiesta per determinare le cause e le responsabilità del cedimento avvenuto nei
primi giorni dell'offensiva austriaca. Dalla minuta e coscienziosa inchiesta condotta dal generale Pecori-Giraldi risultò che una
delle cause principali dei primi insuccessi fu l'insufficienza di
parecchi comandanti in sott'ordine; ond'è che io dovetti emanare la seguente circolare in data 11 maggio 1917 ai comandanti di Armata e di corpo d'Armata:
qui ribadisco ancora una volta, e che ricordo come monito solenne
per tutti.
Il capo di S. M. dell'esercito
L. CADORNA
S. E. il generale Pecori-Giraldi, comandante della I Armata, ha
condotto a termine in questi giorni la sua relazione sulla inchiesta
circa gli avvenimenti militari del maggio 1916 nel Trentino e sugli
Altipiani. E' un lavoro poderoso, acuto, diligente e coscienzioso che
S. E. il generale Pecori ha compiuto per mio ordine, e le conclusioni
dell'inchiesta daranno materia a molte proficue considerazioni e ad opportuni ammaestramenti.
Mi riservo di fare successive comunicazioni sull'argomento; ma
non voglio indugiare a segnalare una delle più importanti conclusioni
ricavate dall'inchiesta, quella che il grande successo iniziale della offensiva nemica è specialmente derivato dalla insufficienza dimostrata
da parecchi degli ufficiali che avevano comando in quella regione:
insufficienza professionale ma soprattutto deficienza di carattere.
Emerge con rutta evidenza dalla relazione che se al comando delle grandi unità impegnate nell'inizio dell'offensiva vi fossero stati
generali veramente degni e meritevoli del comando loro affidato, essi
avrebbero saputo adeguatamente fronteggiare gli avvenimenti, i quali
non avrebbero subito preso quell'andamento così grave che — per
poco — non mise in serissimo pericolo l'esito finale della nostra.
guerra.
Questa constatazione io ho voluto segnalare subito perché dimostra e conferma il dovere assoluto che tutti noi abbiamo di esercitare
una selezione rigorosa per designare (o conservare al loro posto) i comandanti delle grandi unità; selezione che deve unicamente essere inspirata — al disopra di ogni considerazione o riguardo di carattere
personale — dalla gravità del momento presente, con la chiara coscienza delle responsabilità che ciascuno di noi assume di fronte al
Paese.
Le mie recenti circolari in materia di giudizi sull'idoneità all'avanzamento degli ufficiali generali sono tutte inspirate a tale concetto che
L'esperimento del Trentino non era, del resto, che la conferma dei dolorosi ammaestramenti delle guerre del Risorgimento. A Custoza non si era perduta la battaglia per l'insufficienza
della maggior parte dei capi? Lo stesso fatto non si era verificato nel 1848 e nel 1849? Che cosa si sarebbe detto di me se
avessi trascurato queste lezioni?
Poco prima che io emanassi la circolare ora riferita, cioè
negli ultimi giorni di marzo 1917, avemmo alla nostra fronte
la visita del generale Robertson, capo di Stato Maggiore dell'esercito inglese, il quale al suo ritorno a Londra mi inviava
una lettera in data 5 aprile, nella quale, dopo alcune frasi lusinghiere pel nostro esercito e per ciò che aveva veduto durante
la sua visita, soggiungeva:
Ciò che forse più mi ha colpito è stata, la difficoltà del terreno
sul quale combatte il vostro esercito e la conseguente necessità di
avere comandanti energici ed anche fisicamente forti, capaci di sovrinrendere alle operazioni dei loro comandi con quel vigore che è richiesto dalle esigenti condizioni della guerra moderna.
So che in pace il regolamento italiano sull'avanzamento è largamente basato sull'anzianità di servizio,1' col risultato che i comandanti
più anziani sono probabilmente alquanto vecchi per la loro posizione.
Lo stesso sistema prevaleva nel nostro esercito prima della guerra,
come pure nell'esercito francese, ma entrambi abbiamo trovato necessario di cambiare l'ordinaria routine di pace e di selezionare gli ufficiali comandanti di Armate, di corpi d'Armata e di altre unità senza
riguardo alla loro anzianità, adoperando solo quelli che hanno tutte le
qualità fisiche e mentali per sopportare i gravi doveri che devono sopportare i comandanti in questa guerra.
Credo che anche voi avrete la possibilità di scegliere i comandanti
su questa base e non sarete! legati dalla solita routine di pace, come
sono sicuro che nessuno sa meglio di voi in qual grado l'efficienza
1) Non è il regolamento, né la legge, ma la pratica consuetudine che ha
sempre favorito l'anzianità, malgrado la legge, che sanciva invece il principio
della scelta dal grado di colonnello in su.
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
combattiva delle truppe dipende dalla personale sovrintendenza ed
energia semolatrice data ad esse dai loro comandanti.
Ed è pure caratteristico il fatto che la Commissione d'inchiesta abbia ascoltato tanti testimoni interessati, i quali per il
pubblico son rimasti anonimi, e che la Commissione stessa sia
stata costretta a notare che « vennero dinanzi la Commissione
a deplorare il sistema certi signori generali che non ebbero davvero fama di moderazione nell'applicarlo, quando il generale
Cadorna era in auge ». Non faccio commenti!
74
.
E' proprio così; e di ciò ero profondamente persuaso. Ma
per aver tentato di applicare da noi i medesimi principi, quante
e quali recriminazioni! E si noti che nel febbraio 1917, quando
il capo di Stato Maggiore dell'esercito inglese ricevette queste
impressioni alla nostra fronte, una larga selezione era già stata
fatta!
Presso gli eserciti alleati una grande selezione fu fatta, pari
alla nostra. Desumo, per esempio, dal volume del Mermeix,
Joffre - Première crise du commandement, che dal 25 agosto
al 31 ottobre 1914 furono silurati in Francia 10 comandanti
di corpo d'Armata su 20 e 4 comandanti di Armata, tra i quali
uomini di grande valore come Lanrezac, Maud'hui e Sarrail,
siluramenti cioè in proporzioni tali che da noi non si sono mai
verificati in così breve tempo. Eppure in Francia nessuno ha
mai pensato ad ordinare inchieste o ad istituire commissioni
pel ricupero dei silurati. Anzi, questi furono saggiamente confinati a Limoges (donde il nomignolo di limogés) affinché non
spargessero nel Paese il veleno delle loro critiche; veleno che
in Italia fu sparso a piene mani, compiendosi vera opera di
disfattismo. Vi furono, ad onor del vero, parecchie nobili eccezioni, ma il contegno di molti degli esonerati costituitisi perfino
in « Fascio ufficiali silurati » fu tale da giustificare pienamente
il loro siluramento. Queste cose furono rilevate ed aspramente
commentate da parecchi autorevoli organi del giornalismo.
Dallo specchio contenuto a pag. 327 della relazione risulta
che dei 206 generali e brigadieri esaminati dalla Commissione
degli esonerati questa ha dato parere favorevole a ben 95 (senza chiamare una sola volta nel suo seno il generale Porro che
pur ne doveva far parte come membro consultivo, affinché l'antico Comando Supremo avesse voce nella Commissione), ma è
molto significativo il fatto che il nuovo Comando Supremo non
abbia creduto di riammetterne che 13 nell'esercito mobilitato,
come ha dichiarato il presidente del Consiglio, on. Nitti, alla
Camera dei deputati il 13 settembre 1919.
75
Il numero totale dei silurati (807 tra generali e ufficiali
superiori) è certamente ingentissimo. Un deputato, in un discorso pronunciato il 9 settembre 1919 alla Camera, discutendosi l'inchiesta di Caporetto, disse queste parole : « Il regime
Cadorna, con l'esonerazione di 807 ufficiali, ci ha condotto a
Caporetto; il regime Diaz, con l'esonerazione di 176 ufficiali,
ci ha condotto alla vittoria. » Meravigliosa sentenza! Quel signor deputato — diventato poi anche ministro — ha soltanto
dimenticato di aggiungere che il regime Cadorna ebbe la durata di due anni e mezzo, mentre il regime Diaz non durò che
un anno. Facendo la proporzione, i 176 silurati in un anno
dal regime Diaz corrispondono a 440 per due anni e mezzo,
ossia il 55 per cento del regime Cadorna. Si è tanto detto che
i siluramenti durante il mio regime furono eccessivi (e la Commissione d'inchiesta giunge nientemeno ad affermare che essi
furono una delle cause principali di Caporetto!) che si sarebbe
creduto che nel regime successivo, tanto lodato dalla Commissione per il buon governo degli uomini, i siluramenti stessi fossero scomparsi. Ed invece si viene a scoprire che essi furono il
55 % di quelli del regime precedente, cifra tanto più significativa quando si tenga conto di due fatti:
1°) che dopo le grandi eliminazioni, fatte durante il regime Cadorna per le ragioni che esporrò tra poco, il regime
Diaz avrebbe dovuto trovare pochissimi elementi meritevoli di
esser tolti dai comandi; se, adunque, ne ha trovati ancor molti,
questa è prova evidente che sotto il regime precedente non si
era ancora eliminato l'eliminabile;
2°) che durante il regime Diaz solo la prima e la seconda
76
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
battaglia della Piave possono aver dato luogo a serie eliminazioni, non potendo, certo, ciò essere avvenuto a Vittorio Veneto,
battaglia breve e trionfale. Anche la seconda battaglia della
Piave non durò che una settimana. Ora i siluramenti avevano
luogo, per lo più — come è naturale — durante le battaglie;
e dovevano risultare tanto più numerosi quanto eran più lunghe, e furon lunghissime sotto il regime Cadorna, che corrisponde alla massima resistenza del nemico. Si persuada adunque l'on. deputato che quel 5 5 % è moltissimo, senza disconoscere che possa esser stato necessario, tenuto conto di ciò che
ho detto : 1) che la sconfitta e la vittoria dipendono da ben altre
cause, e che le sue parole non sono che la prova della leggerezza — a dir poco — con cui si lanciano certe affermazioni,
sia pure a base di cifre, e sia pure in Parlamento!
Le eliminazioni del regime Diaz sono adunque la
prova matematica della necessità in cui si è trovato il regime
Cadorna di sgombrare su vasta scala i quadri superiori di elementi non idonei. Ma quale è la causa del loro ingentissimo
numero? Vi sono cause generiche, comuni a tutti gli eserciti, e
cause specifiche pel nostro, ma tutte cause determinanti in vario
grado di una impreparazione agli alti comandi, di una insufficienza professionale che era doveroso ed urgente risanare.
In tutti gli eserciti solo la severa esperienza della guerra
può fornire la prova effettiva della capacità. A parte le lacune
professionali che non sempre possono essere rivelate dalle prove
brevi ed infrequenti del tempo di pace, solo la rude realtà del
combattimento mette a nudo le doti e le manchevolezze del
carattere. E il carattere è, non occorre dirlo, fondamento ed
essenza delle più elette virtù militari, quando si comprendono
in queste il culto del dovere, il coraggio della responsabilità,
la imperturbabilità nelle situazioni gravi, lo sprezzo del pericolo, l'ascendente sulle truppe ecc. Era quindi nella normalità
che la guerra — ed una difficile guerra come quella che si è
combattuta — smascherasse con la ferrea logica della realtà
i mediocri e li travolgesse, facesse primeggiare i migliori e li
ponesse in valore: dura lex, sed lex!
Inoltre, nel nostro esercito, da tempo i giudizi d'avanzamento erano improntati ad una malintesa indulgenza,1) talché
molti incapaci, anche attraverso a vicende non sempre lodevoli,
avevano potuto raggiungere altissimi gradi, grazie alla nefasta
longanimità cui eran proclivi le commissioni giudicatrici. Il bisogno di una maggiore severità fu maggiormente sentito negli
ultimi anni che precedettero la guerra. A questo fine la Commissione centrale di avanzamento fu costituita coi soli comandanti d'Armata; funzionò per la prima volta nel 1912 e pronunziò effettivamente giudizi più oculati e severi. Ma fu sterile
tentativo, perché l'anno dopo quasi tutti gli esclusi furon dichiarati idonei, sebbene un verdetto sfavorevole avesse menomato gravemente il loro prestigio! Né valse la mia opposizione
in seno alla Commissione ad evitare questo improvviso ritorno
all'antica indulgenza.
Lo stesso atteggiamento di indulgente acquiescenza ad antichi giudizi, rimasti quasi tradizionalmente immutati di anno
in anno, dovetti più volte rilevare anche durante la guerra,
il che aveva per logica conseguenza di aumentare il numero
dei siluramenti. Non ho mancato di reagire contro questa inerzia morale, sostanziata di scarso carattere, di ingiustificata benevolenza e più ancora di pavidità, richiamando le autorità giudicatrici alla stretta osservanza della lettera e dello spirito della
legge d'avanzamento. Fu così che la rigorosa applicazione delYassolutamente distinto, richiesto dall'art. 12 della legge d'avanzamento, se da un lato richiese il provvedimento degli incarichi
(e perciò degli esperimenti) di comando, dall'altro portò ai più
elevati comandi coloro che davano più sicuro affidamento di
esserne degni. Di ciò beneficiò il regime successivo al mio, che
1
) Cosi stando le cose, vien fatto di domandare: perché fu nominata una
Commissione per inquisire soltanto sui siluramenti del mio periodo, mentre di
quelli del periodo successivo nessuno si occupò, neppure quando, la guerra essendo finita, non vi era più nessuna ragione che consigliasse a limitare l'esame?
Evidentemente ciò fu fatto soltanto in odio mio!
1) La questione è di cronica attualità. L'indulgenza è in parte imputabile alle
rovinose condizioni economiche che conseguono ad un giudizio di inidoneità.
(R. C.)
79
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
ebbe così generali veramente degni della grande vittoria finale.
In conclusione, gli esoneri dal comando, toccando tanti e
così gravi interessi personali, non potevano non avere molta
ripercussione; ma sono fatti che bisogna considerare da tutti i
lati e con criteri di relatività, vagliando le opposte esigenze, facendo prevalere le essenziali su quelle di minore importanza e
scegliendo in definitiva fra i mali inevitabili il minore. Nel
caso concreto nessuna transazione era lecita, nessun dubbio giustificato: ogni considerazione doveva essere secondaria di fronte
al sicuro irreparabile danno di conservare al comando ufficiali
legittimamente dichiarati impari alle gravi responsabilità dell'ora.
nerale Porro. Tutto ciò prova che si agiva colla necessaria ponderazione e coscienziosità.
Ma più di questo il Comando Supremo non poteva fare.
Lo disse con efficaci parole « un autorevole generale » che fu
anche ministro della Guerra, (pag. 341-342 della relazione):
78
Essendo indiscutibile il principio sopra enunciato, la difficoltà stava nell'applicazione, e non si può certamente escludere
che errori siano stati commessi, trattandosi di un'opera che si
svolse simultaneamente all'incalzare degli avvenimenti guerreschi. Il Comando Supremo, pure inculcando la necessità di
una severa selezione dei quadri, ha fatto nell'applicazione opera
moderatrice. Non sono pochi coloro che, proposti per l'esonero,
vennero da me trasferiti ad altri comandi; ma debbo dire che
quasi tutti costoro dovettero poi essere definitivamente esonerati.
Sono del sottocapo di Stato Maggiore (generale Porro) le
disposizioni perché gli ufficiali tolti dai comandi nei combattimenti non venissero senz'altro esonerati, ma fossero posti a disposizione del Comando Supremo finché questo non decidesse
sulla base dei regolari documenti di esonero. Inoltre, il sottocapo emanava il 7 agosto 1917 una circolare che disciplinava
tutta la materia degli esoneri. Queste misure avevano per effetto
di indurre le autorità proponenti ad agire con ponderazione
nelle loro proposte e di dar modo al Comando Supremo di controllare la fondatezza delle proposte. La Commissione riconosce
a pag. 340 che, secondo le disposizioni del Comando Supremo,
alle proposte di esonero dovevano essere uniti rapporti informativi sui precedenti dell'ufficiale, e quando questi erano insufficienti si doveva richiamare il libretto personale dal Ministero. Questi documenti erano personalmente esaminati dal ge-
Ma in pratica il Comando Supremo rarissimamente esonera di
sua iniziativa : 1) di massima decide su proposte di comandi minori.
Ora quando un comandante scrive e firma che un suo dipendente è
incapace di comandare in guerra, e cioè ne teme conseguenze funeste,
e i comandanti gerarchici appoggiano, io mi chiedo, pur se mancano
gravi fatti concreti e pure essendo contrari al sistema, che si può
fare. Se lo si lascia al comando, oltre all'attrito inevitabile che si
crea tra proponente e proposto con pregiudizio del servizio si assume
senza conoscenza diretta ogni responsabilità futura, si prepara un alibi
per qualunque disgraziato avvenimento, si scompigliano le responsabilità gerarchiche ecc. Cambiarlo di dipendenza, non equivale in sostanza a regalarlo ad un altro dicendogli o tacendogli che è presunto
inetto? In pochi casi questo si può fare con sufficiente coscienza rispetto agli interessi della guerra.
La Commissione dichiara « di essere rimasta seriamente impressionata dalla quasi unanimità delle testimonianze circa i
danni delle esonerazioni ». Sfido io! Era proprio questo l'argomento sul quale convergevano gli interessi particolari e le vendette personali! E non ha la Commissione stessa confessato,
come ho dianzi riferito, che « vennero pure dinanzi alla Commissione a deplorare il sistema certi signori generali che non ebbero
davvero fama di moderazione nell'applicarlo quando il generale Cadorna era in auge » ? Non doveva la Commissione tener
conto di questi rancori e di queste viltà, e doveva invece assegnare alle testimonianze il giusto peso. Ecco come il Corriere
della sera del 3 settembre 1919 giustamente commenta:
Non ci sentiamo rassicurati scrutando certe correnti di opinioni
che nell'inchiesta fanno fascio in questa o quella direzione, come il
blocco compatto e formidabile di accuse che addita quale una delle
cause fondamentali di Caporetto proprio gli esoneri dal comando.
La Commissione confessa «di essere rimasta seriamente impressionata
1
) Io ne ho esonerato soltanto una decina.
80
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
dalla quasi unanimità delle testimonianze circa i danni delle esonera zioni ». Si è fatto quindi risalire ad esse tanto male che basterebbe
da solo il capitolo degli esoneri a spiegare ampiamente ogni catastrofe.
Gli esoneri spargevano « diffidenza, apprensione, perturbazione e sconforto », « toglievano fiducia reciproca tra superiori e inferiori », portavano alla mancanza di sincerità, all'orrore della responsabilità, alle
accuse reciproche. L'organizzazione dell'esercito ne era scossa...
E' la pittura di un fosco regno del terrore e della mala fede, nei
quale era perfettamente naturale che si trascurasse il minor pericolo,
rappresentato soltanto da un'offensiva nemica, e si dimenticasse, per
difendere la carriera, di difendere le posizioni: la guerra non era
con l'Austria.
Di fronte a questo fosco quadro che tanto giova alla tesi
che la Commissione, nominata dall'on. Orlando, si è
83
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
timento di una severa disciplina occorre esigere l'osservanza
delle forme, che a molti sembrano pedanterie, e non sono, poiché, come dice Dante:
enormi masse ineducate che provenivano dal Paese? E con quali
educatori, poiché molti dei migliori ufficiali caddero nei primi
mesi della guerra, e si dovettero improvvisare ufficiali a diecine
di migliaia in breve tempo, e perciò necessariamente inesperti?
In tale condizione non rimaneva che far intendere la necessità
della disciplina mediante una relativa severità; la quale cosa è
senza dubbio assai meno efficace della lenta educazione del
tempo di pace, ma la sola possibile in quelle circostanze.
Non mi soffermerò sulla necessità di una severa disciplina,
tanto la cosa è evidente e risaputa: varia soltanto la forma dell'applicazione secondo l'indole dei popoli dai quali gli eserciti
derivano.
La storia narra di molti eserciti che si sfasciarono per scarsa
disciplina, mentre quelli in cui la disciplina era saldamente
mantenuta conservarono salda la loro compagine anche in seguito alle disfatte.
Il maresciallo Davoust, il vincitore di Auerstadt e di Eckmiihl, era celebre per la severità colla quale manteneva la disciplina. Ebbene, l'inflessibile comandante del III Corpo nelle
guerre napoleoniche fu il solo che ritrasse in ordine il suo
corpo d'Armata attraverso le peripezie della ritirata di Russia.
Nel caso nostro era anche d'uopo tener conto delle particolari condizioni della disciplina dell'esercito nel momento in
cui scoppiò la guerra. L'applicazione eccessiva della disciplina
di convinzione aveva prodotto i frutti che ho descritto nel capitolo I del libro La guerra alla fronte italiana. Eravamo ben
lontani dai tempi in cui generali come il generale Pianell (e
non fu certamente il solo tra i maggiori capi che ebbe l'esercito
italiano) insieme alla convinzione ricorrevano ad una grande
severità quando ciò era necessario. Era poi recente l'esempio
della guerra di Libia nella quale, essendo governatore il presidente della Commissione d'inchiesta, la disciplina di convinzione aveva condotto dei reparti ad ammutinarsi per imporre il
congedamento di certe classi... ed il congedamento fu concesso!
Era perciò necessario reagire contro sistemi di eccessiva
e nefasta indulgenza i quali avrebbero compromesso la saldezza
82
Dietro ai sensi la ragione ha corte l'ali.
Fu per questa ragione che il grande Federico introdusse
nell'esercito prussiano il Parade Schritt, durato fino ai giorni
nostri, passo che in noi latini suscita il riso, ma che, data la
mentalità teutonica, molto giovò a mantenere viva nella truppa la rigidità della forma, attraverso la quale si inspirava il concetto di una severa disciplina.
A questi principi io cercai di informare la mia azione disciplinare nei molti comandi che ho retto. E se è vero — come è
verissimo — che l'animo di un comandante si rivela più particolarmente nel comando di un reggimento, per il quotidiano
contatto che si ha cogli ufficiali e colla truppa, vi sono oggi
ancor molti, anche negli alti gradi, i quali possono testimoniare
se tali principi io non applicassi nel comando del 10° reggimento bersaglieri che ebbi la fortuna di reggere per quattro
anni. Ne furono prova (e fu questa una delle maggiori soddisfazioni della mia carriera) le dimostrazioni di affetto che mi
furono prodigate quando ebbi il dolore di abbandonare il reggimento, e le accoglienze che sempre ebbi di poi in qualunque
riparto di bersaglieri mi incontrassi, sebbene la mia vita bersaglieresca non avesse avuto inizio che col grado di colonnello.
Tutto ciò non dimostra, mi pare, che io fossi quel Nerone o quell'Ezzelino da Romano che la Commissione lascia quasi trasparire io fossi!
Ma io non potevo trasportare nel comando di un esercito
di due milioni di soldati in guerra (e quale guerra!) i metodi
personali applicati in pace nel comando di un reggimento. L'educazione del soldato doveva essere opera dei comandi minori
sotto la guida dei maggiori comandi. Il Comando Supremo non
poteva dare che direttive generali, le quali non mancarono, come si dirà tra poco. E poi, come sarebbe stato possibile
sottoporre ad una cultura intensiva di educazione militare le
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
di un esercito che doveva raggiungere i due milioni e mezzo di
soldati. Ecco la ragione delle severe misure prese e della circolare del 19 maggio 1915 che la relazione riporta a pag. 346 e
che io ho riferita nel capitolo II dell'accennato libro, a pag. 59.
In essa nulla v'ha di eccessivamente severo. I frutti della sua
applicazione furono ottimi. Perfino sulle retrovie, dove la sorveglianza essendo sempre minore, il disordine è maggiore, dopo
pochi giorni dall'entrata in guerra, coll'azione di alcuni ispettori
di retrovia e colla sorveglianza che io stesso esercitavo nelle
mie frequenti gite, accompagnata da alcuni severi esempi, l'ordine diventò in pochi giorni perfetto e fu ammirato da tutti
coloro — italiani e stranieri — che si recarono alla fronte.
Ad esempio della pretesa eccessiva severità adoperata, la
relazione a pag. 347 cita una mia seconda circolare del 28 settembre 1915, a riguardo della quale, senza entrare in spiacevoli particolari, voglio limitarmi a dire che se io dovetti salire
fino a quel tono, si è perché ciò si era reso necessario.
Ma la Commissione, incalzata dalla necessità della sua tesi,
quella cioè di dimostrare il « malgoverno degli uomini », trascrive interamente le anzidette due circolari dichiarando a pagina 348 che esse formano « il caposaldo della concezione che
il generale Cadorna, con costanza corrispondente alla fermezza
ed all'energia del suo carattere, mantenne ed applicò nelle varie
esplicazioni del governo degli uomini » ; e con molta disinvoltura sorvola sulle altre circolari di carattere morale ed educativo, lasciando così credere che dell'educazione e del morale
del soldato il generale Cadorna non si curasse affatto.
Debbo perciò colmare io questa grave lacuna con alcune
citazioni, cercando tuttavia di esserne il più parco possibile.
Per esempio, in una circolare del 17 giugno 1916 trovo
queste parole:
conservazione, se non dominato, può prevalere sul timore delle pene
comminate ai pusillanimi. E' indispensabile quindi che al cieco impulso si sovrapponga il sentimento del dovere, forte ed incrollabile,
che sorregga e trascini l'animo del soldato, anche nei momenti del
maggior pericolo.
I. - Preparazione morale dei combattenti - La preparazione morale dei combattenti è il fondamento del buon successo. L'uomo che
non sia stato moralmente preparato non si getta con cuore saldo contro
il nemico, attraverso la zona intensamente battuta dai suoi fuochi, né
rimane senza sforzo sotto le violente raffiche di artiglieria: l'istinto di
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Tali erano i miei concetti. Non pare adunque che io intendessi spingere le truppe all'attacco colle sole mitragliatrici alle
spalle, sebbene anche queste fossero necessarie in extremis, se lo
scopo si doveva ad ogni costo raggiungere!
Poco oltre, nella stessa circolare sta scritto quanto segue:
3. Tali principi siano inspirati alla truppa dagli ufficiali tutti,
colla parola e coll'esempio, in particolar modo dai comandanti di compagnia, che dei loro dipendenti devono possedere intera l'affezione e
illimitata la fiducia.
Il comandante di compagnia viva con i suoi soldati e parli loro
ogni giorno, al campo ed in trincea, nei periodi di riposo e durante
le soste dell'azione. Il tempo non manca: basta volere. Non occorre
essere parlatori: le parole disadorne sono le più convincenti. La rettorica non serve: occorre la fede!
Si faccia vibrare l'anima del soldato, ch'è generosa e facilmente
accessibile alle parole animate dal calore della convinzione.
Si faccia intendere la sublime bontà della causa di questa guerra,
necessaria per la vita della nostra Patria, di fronte ad un nemico che
martirizzò i padri nostri, insidiò il nostro sviluppo di nazione e che,
pur temendoci, finge ora di spregiarci.
Si metta in rilievo la nostra superiorità intellettuale, la nostra
innata prestanza fisica, la generosità e lo slancio dell'animo nostro; si
dica come tali doti abbiano facilmente ragione del pesante e rigido
metodismo del nemico, purché il soldato d'Italia conservi salda la sua
naturale audacia.
, Si ecciti il sentimento di fraterna cooperazione e di cameratismo,
affermando la necessità del volontario sacrificio individuale per il
raggiungimento dello scopo comune. Si ricordi come la vittoria nasca
solo dalla somma di questi nobili sacrifici.
Ognuno sia sicuro che il compagno opera come lui, che i riparti
vicini si comporteranno come il proprio. Si abbia così fiducia incrollabile in sé e negli altri.
Neppure questi periodi pare siano informati alla disciplina
coercitiva!
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Giuseppe Prezzolini, che ha vissuto la guerra, nel suo bel
libro Tutta la guerra - Antologia del popolo italiano, ha riportata per intero la suddetta circolare, facendola precedere da alcune parole, delle quali riferisco le seguenti:
Circolari Cadorna. Venivano lette a gran rapporto, tutti gli ufficiali presenti, e ci portavano sempre una parola di fede, e nozioni di
vera guerra.
Oggi vediamo tutto sotto un'altra luce. Anche il capo. La luce,
di Caporetto. Eppure quelle parole di fede non si potranno cancellare.
Non è lecito in questo momento giudizio, non è possibile su queste
pagine discussione. Ma testimonianza sì. Testimonianza: creò un esercito che non esisteva. Testimonianza: credè nella guerra. Non sono
molti, tra coloro che accusano, che hanno avuto fede. Anzi, è proprio
questa fede che accusano.
La Commissione che ha tenuto conto di tante testimonianze
non dà valore a queste alquanto diverse e assai più disinteressate, non conoscendo io personalmente l'autore di esse.
Ma, a confermare che se da un lato si applicavano i mezzi
di rigore nella misura necessaria, dall'altro lato non si trascuravano i mezzi morali che miravano a rendere superfluo il rigore, trascriverò ancora la seguente circolare:
N. 3224 G.M.
Addì, 20 luglio 1917
A S.A.R. ed alle LL. EE. i comandanti di Armata
A S.E. Il comandante della zona Carnia
Oggetto: Spirito e disciplina delle truppe.
Gravi recenti fatti di indisciplina si sono verificati negli ultimi
tempi fra le truppe. Una volta di più è stato necessario ricorrere
a una sommaria e ferrea sanzione, che non ammette esitazioni di fronte
ai supremi interessi dell'esercito e della nazione.
Oggi però non basta sopprimere i colpevoli per mantenere sana
e salva la compagine dell'esercito. La fucilazione è una dolorosa necessità, ma rappresenta solo un lato — il negativo — di tutte le misure complesse che devono essere prese per rialzare e rafforzare lo
spirito dei combattenti. Chi punisce colla morte si domandi sempre,
in coscienza, se tutto è stato fatto, per parte sua, per migliorare moralmente e materialmente le condizioni dei suoi soldati, se, oltre a
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
87
reprimere, egli ha saputo prevenire, se egli è stato a continuo contatto con l'animo delle truppe per comprenderne le aspirazioni, i bisogni, le depressioni, il bene ed il male; se, in una parola, egli senta
di dominare veramente le forze vive che gli sono affidate, con quella
scienza del cuore umano,senza la quale nessuno mai è stato condottiero. Non sempre i comandanti hanno sentito l'obbligo morale, che
è anche una necessità pratica, di conquistare un ascendente personale
sulle truppe e di saperlo adoperare. Eppure quotidiani esempi dimostrano quanto può l'autorità, quando è sentita come missione.
Dove le truppe parevano talora depresse, stanche e inquinate da
spirito di indisciplina e da teorie sovversive, è bastato un uomo di
fede e di volontà per infondere in esse un'anima nuova, per mutarne,
anche in pochi giorni, il carattere collettivo, e per ridonare ad esse
l'efficienza bellica, infiacchita. E' una constatazione che deve essere di
grave ammonimento per tutti.
La guerra è lunga, metodica, logorante in quanto tende a meccanizzare anche il combattente. E' necessario reagire contro il pericolo
della depressione di tutti i valori essenziali umani del soldato, senza
i quali non si combatte e non si vince. Sia questa una delle maggiori
preoccupazioni dei comandanti di Armata, e da essi penetri ai comandanti dipendenti, fino al battaglione e alla compagnia.
Sia la loro suprema ambizione di essere degli animatori di uomini, dei suscitatori di virtù guerriera. Che ogni comandante di grande
unità senta il dovere di imprimere ad essa un carattere, di formare
personalmente lo spirito degli ufficiali. Che nessuno sia un assente o
un ignoto per le truppe. Che ovunque nelle prime linee come nelle
retrovie la volontà vigorosa dei capi sia presente e operante. Nulla
sia tralasciato, dalla ricompensa al valore — meglio curata che non
lo sia oggi — a un riposo che noni essendo ozio sia veramente ristoratore; dalla ginnastica al gioco; dalla licenza al sano divertimento;
perché il soldato comprenda che vi è in alto chi si preoccupa di lui,
che egli non è abbandonato a tutte le correnti, che egli è un uomo
trattato con comprensione umana.
Pugno di ferro, disciplina inflessibile, sì; ma ogni comandante
senta di fronte alla nazione l'augusta e sacra responsabilità di tenere
nelle sue mani la vita di migliaia di italiani, che saranno un giorno
testimoni di fronte alla storia e devono domani riportare in Paese lo
spirito dell'esercito rinnovato.
Il capo di Stato Maggiore dell'esercito
L. CADORNA
Ho detto che la Commissione ha sorvolato sulle circolari
di carattere morale. Ed invero essa si limita a dire a pag. 350
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89
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
che « partivano bensì dal Comando Supremo nobili parole inspirate ai più elevati sentimenti, incitamenti alla coopcrazione
e alla fermezza, ma l'applicazione per contro, specialmente da
parte dei molti comandanti intermedi, assai discordava dai proclamati principi... » E che poteva fare il Comando Supremo più
che proclamare dei principi ed inculcarne la diffusione in tutto
l'esercito? Non si dimentichi che in un esercito di due milioni di combattenti il Comando Supremo non può essere che
un organo direttivo, tanto in strategia quanto in ogni altro campo, e che l'esecuzione è di spettanza delle autorità dipendenti.
In conclusione : « Che vi fosse persistente contrasto fra la
tendenza coercitiva del generale Cadorna e le tradizioni persuasive della nostra gerarchia e della nostra gente » (pag. 356 della
relazione), proprio no!
e misura gli venivano segnalate dal reparto giustizia e disciplina. Il generale Cadorna ed a suo immediato seguito, naturalmente, il generale Porro manifestarono la tendenza e ricercare le cause principali di tali fenomeni in influenze esterne ed
extra militari (propaganda sovversiva, disfattista e pacifista, azione delle famiglie, imboscamento, ecc.). E furono perciò tratti a
non avvisare mai interamente, in giusta misura, a quei rimedi
(rafforzamento della funzione gerarchica, propaganda, trattamento, coesione, ecc.) che, agendo dappresso e direttamente sulla
truppa, potevano efficacemente controbattere sia gli effetti delle cause esterne sia quelli — secondo la Commissione — preminenti dei fattori interni militari della delinquenza ».
Ecco adunque che riapparisce l'ombra dell'on. Orlando
che s'era dipartita! e la conseguente necessità di attenuare le
cause disfattiste e di dar risalto a quelle militari-morali. Ma su
questo argomento mi sono già troppo diffuso nel precedente
capitolo, perché senta il bisogno di ritornarvi sopra.
In questo biasimo non può essere artificialmente coinvolto
il generale Porro, il quale non ha per nulla influito a farmi
meno adeguatamente interpretare la portata e la causa di quei
fenomeni, le quali portata e causa risultavano all'evidenza da
tutto il complesso delle informazioni che pervenivano al Comando Supremo, che era meglio, di ogni altro, in grado di valutarne il significato.
Il cattivo indirizzo che sarebbe stato da me impresso non
è con precisione formulato, ma, come risulta dall'insieme del
capitolo, consisterebbe soprattutto nel numero eccessivo delle
fucilazioni e delle esecuzioni sommarie, i quali provvedimenti
farebbero parte di quel sistema di coercizione, di eccessivo rigore che la Commissione continuamente mi rimprovera.
Mi rattrista assai di dover trattare un così doloroso argomento, ed anche nell'esercizio del mio comando mi sarebbe stato
ben più facile e gradito collocarmi sul terreno della mitezza
preferità, dalla Commissione, cara ad ogni cuore ben nato.
Ma chi ha la responsabilità della condotta delle grandi masse
armate non sempre può seguire gli impulsi del suo cuore, e
# # *
Regime penale. - Nel discorrere del regime penale mi
occuperò soltanto degli appunti che a me furon fatti dalla
Commissione, non degli abusi che possono essere stati commessi
da autorità subordinate nelle esecuzioni sommarie, come, ad
esempio, i fatti ricordati dalla relazione, ove è diffusamente descritto un caso terrificante — se vero — sulla semplice deposizione di un aiutante di campo anonimo, e senza neppure esporre — come sarebbe stato doveroso — che cosa disse a sua discolpa il generale che avrebbe ordinato quella esecuzione. Il chiasso
che fu fatto, anche in Parlamento, intorno a questo caso, e il
silenzio in cui fu poi sepolto inducono a credere che quei fatti
fossero raccolti leggermente dalla Commissione e che non vi
fosse nulla di vero, o per lo meno che fossero stati molto
esagerati.
Passando alla definizione delle responsabilità « la Commissione ritiene che quelle generiche debbano anzitutto far capo
al generale Cadorna per l'indirizzo impresso, ed in linea subordinata al generale Porro, il quale doveva più adeguatamente
interpretare la portata e le cause dei fenomeni la cui esistenza
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
deve invece obbedire alle ferree necessità della disciplina e del
dovere.
Incominciamo adunque dalle fucilazioni.
Il grafico (tavola 29) contenuto a pag. 370 della relazione indica le condanne a morte pronunziate dai tribunali militari.
Quelle eseguite sono in totale 729. Suddividendo queste cifre
« per annate, vediamo che i fucilati furono 66 nel 1915, 167
nel 1916, 359 nel 1917, 137 nel 1918. Prima osservazione:
una curva che sale con un alto vertice nel 1917, l'anno peggiore per lo spirito pubblico nel Paese, l'anno delle mie quattro lettere al presidente del Consiglio. Seconda osservazione:
una cifra di 137 nel 1918, ma per soli dieci mesi, sotto il nuovo comando, cioè all'incirca equivalente a quella di 167 del
1916 che corrisponde a tutto l'anno. Terza osservazione: dopo
l'arresto sulla Piave vi è una rapida discesa in corrispondenza
col notevole miglioramento dello spirito pubblico e della molto
meno logorante guerra difensiva subentrata.
La relazione non fa alcun paragone colle condanne eseguite
in altri eserciti, la qual cosa sarebbe pur stata importante. Ha
supplito a questa grave lacuna l'on. Luciani, il quale il 9 settembre 1919 riferì alla Camera dei deputati che le condanne
capitali eseguite in Francia furono 1627, ossia assai più del
doppio di quelle eseguite da noi, in un esercito pari all'incirca,
o di poco superiore in forza, al nostro.
Secondo l'on. Luciani le esecuzioni sommarie ascesero da
noi a 114 durante la guerra. Siamo adunque molto lontani da
quelle decimazioni su vasta scala che lascerebbe supporre il
fosco quadro dipinto dalla Commissione. In Francia soltanto
nella ritirata della Marna, ed in un solo corpo d'armata, il 18°,
le fucilazioni furono 270 e durante la ritirata del Grand Couronné di Nancy, nell'agosto 1914, reggimenti interi del 15°
Corpo furono decimati (è sempre l'on. Luciani che lo dice);
infine, dopo la fallita offensiva del 1917 del generalissimo Nivelle, molte altre fucilazioni furono sommariamente
eseguite.
Bastano questi pochi dati per provare quanto maggiore ri-
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
91
gore sia stato usata in Francia che da noi. Eppure nessuno ha
mai pensato di accusare i generalissimi di quel paese di aver
demoralizzato il soldato e di aver provocato in esso una reazione, predisponendolo ad una catastrofe, come da noi, per molto meno, ha fattoi la Commissione!
Sommando le condanne regolarmente eseguite in Italia colle
esecuzioni sommarie si ha una cifra totale di 843 esecuzioni.
Considerata la cifra in senso assoluto, è certamente notevole.
Ma si tenga conto che essa corrisponde a 43 mesi di guerra e
ad una forza media di oltre un milione e mezzo di uomini. Se
si fa il confronto colla campagna del 1866, nella quale la
forza totale fu di circa 300.000 uomini, compresi i volontari
di Garibaldi, e la durata della guerra fu di 33 giorni (dal giorno della dichiarazione di guerra, 21 giugno, al giorno della
sospensione d'armi 24 luglio), si ha questo risultato, che le
843 esecuzioni del periodo 1915-1918 corrispondono a meno
di 4 del 1866! A nessuno sembrerà elevata questa cifra. Sarebbe interessante conoscere quante condanne furono eseguite nel
1866. Rammento quanto mi riferì il generale Pianell, cioè che
quando assunse il comando del I Corpo nella sera del 24 giugno dovette far fucilare parecchi soldati i quali sparavano fucilate negli accampamenti. Ma il rigore non fu inutile : in breve
ora il generale Pianell poteva dichiarare al Comando Supremo
che il I Corpo (il quale era stato il più scompigliato dalla battaglia) era pronto a riprendere l'offensiva. Tali sono l'azione e
l'influsso dei veri uomini di guerra, ugualmente alieni dalle ferocie e dalle blandizie, ma risoluti ed energici quanto la dolorosa necessità richiede.
Nei primi tempi della guerra i tribunali militari giudicavano con eccezionale mitezza. Non è questa una mia fantasia
come la Commissione sembra opinare colle parole (pag. 366):
« E si deve credere che prima l'asserita mitezza corrispondesse
a realtà e non fosse semplicemente una impressione del generale Cadorna... » Questa mitezza non era che la continuazione
della mitezza diventata consuetudinaria nel tempo di pace, quando i tribunali militari assolvevano o condannavano a pene assai
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CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
lievi, ed anche nei consigli di disciplina erano frequentissime
le immeritate assoluzioni.
Si aggiunga che la sola cosa che il soldato temeva era la
condanna a morte, e le altre pene, anche gravi, poco paventava, e anzi finiva per gradire se valevano ad allontanarlo dalla
trincea, convinto d'altra parte che alla fine della guerra sarebbe intervenuta l'amnistia.
Tale credenza era giustificata dall'abuso che in passato si
era fatto delle amnistie — abuso che, sopprimendo il timore
della pena, aveva tolto autorità alla legge; e fu pienamente giustificata poi dal fatto quando, dopo la guerra, si concedette amnistia così ampia da estenderla vergognosamente ai disertori —
e perfino a quelli disertati al nemico! — con grave offesa dei
veri combattenti! 1)
Date queste circostanze, non era doveroso per parte mia
l'invio della circolare N. 10261 del 22 marzo 1916 (reparto
giustizia), riferita a pag. 366 della relazione, circolare che alla
Commissione, nella sua serafica mansuetudine, sembra troppo
severa e « di una importanza particolare per stabilire in quale
senso si sviluppasse l'impulso del generale Cadorna nel regime penale » ?
Passando ora a discorrere delle esecuzioni sommarie, dirò
che due soli documenti esistono, da me firmati, a tal riguardo.
1
) I fenomeni morbosi, nell'esercito, che poi culminarono nei mesi precedenti Caporetto, hanno origini remote, e già si manifestavano quando il « malgoverno degli uomini » - se ci fosse stato - non avrebbe ancora avuto il tempo
di far sentire i suoi tristi effetti. Fin dal 14 gennaio 1916 io scrivevo al presidente del Consiglio ringraziandolo di avermi dato comunicazione di una lettera
scritta al ministro della Guerra per rilevare la necessità di indagini diligenti e
severe dirette ad accertare quali influenze di ordine politico avessero contribuito
a suscitare certi disordini avvenuti a Sacile, e convenivo pienamente con lui nel
giudicare l'importanza che rivestiva l'ipotesi della esistenza di sobillatori nei
paesi di provenienza dei militari colpevoli. Ma nei riguardi della constatata indifferenza dei condannati alla lettura della grave sentenza che li riguardava, io
soggiungevo che il loro contegno non mi stupiva, essendo troppo radicata nei
soldati e nel Paese la convinzione che, a guerra finita, il governo avrebbe elargito ampie amnistie; di guisa che le condanne all'ergastolo ed alla reclusione
militare più non intimorivano i male intenzionati i quali, anzi, preferivano di
incorrere in una condanna, pur di non affrontare i rischi della guerra, certi
com'erano di non scontare tutta la pena, perché sarebbe intervenuta l'amnistia
a liberarli. Perciò, concludevo, in tempo di guerra soltanto le condanne capitali
avevano influenza intimidatrice.
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Il primo documento si riferisce alla difesa dell'altipiano di
Asiago durante l'offensiva austriaca dal Trentino. Il 21 maggio 1916 la nostra difesa era stata sopraffatta. In seguito a ciò,
sia per il panico sopravvenuto nelle truppe, sia per deficienze
di comandi, posizioni di capitale importanza, come quell268 Tw0635 Tw0
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
l'invasione nemica. Sulla nuova linea improvvisata sull'altopiano s'infranse l'offensiva nemica contro il valore delle nostre
truppe, tra le quali doveva rifulgere l'eroismo della brigata Liguria condotta dal valoroso generale Papa, che trovava poi nell'anno seguente gloriosa morte sull'altopiano della Bainsizza.
Il generale Ludendorff dice nelle sue memorie che fin dalla
fine di maggio l'offensiva austriaca era fallita.
Il secondo documento ha la, data del 1° novembre 1916, ed
è la seguente circolare telegrafica diretta ai Comandi di armata
e del XII Corpo (Carnia):
2" - Ordinavo a tutti di fare altrettanto in simili casi.
3° - Ordinavo pure di dare partecipazione di quest'ordine
a tutte le truppe; e ciò costituiva una doverosa misura preventiva, come era stata una misura preventiva la comunicazione
alle truppe della precedentemente riprodotta lettera al generale
Lequio.
4° - Finalmente determinavo i casi in cui si doveva applicare l'esecuzione sommaria, cioè: quando si trattava di reati
collettivi; quando l'esempio doveva essere immediato; solo nel
caso in cui non fosse possibile l'identificazione dei colpevoli si
doveva ricorrere all'estrazione a sorte fra gli indiziati.
Osservo inoltre che i tribunali militari condannano soltanto quando vi sono le prove. Ora, in molti casi di ammutinamento e di rivolta, specialmente se si manifestano di notte, le
prove individuali mancano. Eppure son questi i reati militari
che maggiormente importa colpire con fulminea celerità, perché se non sono colpiti a tempo il malo esempio si propaga
come la polvere di una miccia. Che fare? Non ci sono che
due vie : o lasciarli impuniti o colpire qualcuno fra i più indiziati. Tra queste due vie non v'è dubbio sulla scelta, se si vuole
impedire che l'indisciplina dilaghi. Si pensi che ne sarebbe della disciplina di un reparto se per la difficoltà di identificare i
colpevoli si lasciasse impunito un reato che trascende fino al
lancio di sassi contro il comandante del reggimento! Sono metodi inflessibili e sommari, per quanto dolorosi, ma che hanno
il suffragio dei secoli, sebbene non siano inseparabili da errori,
e che non si potranno bandire che quando spariranno le guerre; ma finché queste ci saranno, la ferrea necessità manterrà in
vigore questi metodi, come li ha mantenuti in tutti gli eserciti
che parteciparono alla grande guerra.
I Romani, i quali furono i creatori del giure, proclamarono
altresì la sentenza: Salus patriae suprema lex esto, suprema,
perciò superiore al giure, e furono essi che per i primi applicarono la decimazione, dalla quale noi siamo rimasti infinitamente lontani!
Perciò le misure necessarie in simili casi! dovrebbero essere
Presso primo battaglione 75° fanteria, nella sera del 30 ottobre,
si sono verificati casi gravissimi indisciplina trascesi fino a lancio
sassi contro comandante del reggimento. Comandante XI Corpo con
azione energica e pronta, di cui gli do ampia ed incondizionata lode,
ordinava che due soldati, estratti a sorte tra quelli maggiormente indiziati come colpevoli, fossero passati per le armi. Fucilazione avvenne
pomeriggio giorno 31. Ieri ancora gravi fatti analoghi avvennero presso
6° reggimento bersaglieri e vennero immediatamente repressi con fucilazione di sei soldati per ordine stesso comandante dell'XI Corpo d'Armata. Mentre segnalo ed approvo la giusta severità del comandante dell'XI Corpo, ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati
collettivi che quello di fucilare immediatamente i maggiori colpevoli, e
allorché accertamento identità personali dei responsabili non è possibile,
rimane ai comandanti il diritto e il dovere di estrarre a sorte tra gli
indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte. A codesto dovere nessuno, che sia conscio della necessità di una ferrea disciplina in
guerra, può sottrarsi, e io ne faccio obbligo assoluto e indeclinabile a
tutti i comandanti. Come misura sussidiaria di repressione ordino che,
quando si verificano reati contro la disciplina, debba senz'altro essere
sospesa concessione licenza invernale a tutti indistintamente i componenti del battaglione o reparto equivalente, presso cui avvennero
reati. // presente ordine dev'essere partecipato a tutte le truppe dipendenti. Accusare ricevuta.
Generale CADORNA
Da questa circolare chiaro appare il mio pensiero :
1° - Intendevo coprire, colla mia, la grave responsabilità
del comandante l'XI Corpo in un caso nel quale, a mio giudizio, egli aveva rettamente agito in ragione delle ferree necessità della disciplina.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
esplicitamente sanzionate dal codice penale militare. Un comandante degno di questo nome non rifuggirà mai dall'assumersi
le responsabilità che le necessità dell'ora richiedono; ma è ingiusta cosa che per essersi saputo assumere questa responsabilità egli debba poi essere esposto alle facili critiche di commissioni irresponsabili, nonché al ludibrio delle folle ignare delle
dure necessità della guerra od a quello dei politicanti e dei mestatori che agiscono pei loro fini partigiani!
Il comandante di un esercito deve essere armato di tutte
le facoltà necessarie
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
riuscito a trasformare in una sola notte un esercito di piastrini
di riconoscimento in un esercito di anime combattive capaci
della più fiera resistenza! E cosa non meno prodigiosa si è quella che queste masse di piastrini di riconoscimento, invece di
lapidarmi come meritavo, mi abbiano, dopo la fine della guerra, entusiasticamente acclamato, e perfino portato in trionfo (come meglio dirò a suo tempo) in tutti i luoghi d'Italia dove mi
recassi, e che siano state esse ad imporre moralmente al Governo la riparazione che mi era dovuta e che mi fu finalmente
data ben due anni dopo il suo avvento al potere con la mia.
nomina a maresciallo d'Italia.
cordata; ma erano continue le informazioni dei comandi dipendenti e dei prigionieri nemici, secondo le quali il nemico
era prossimo al cedimento e, persistendo noi, nell'attacco, avrebbe ceduto. Anche, il Comando Supremo doveva farsi una propria esperienza sui nuovi sistemi di guerra.
E' facile giudicare a posteriori, ma la verità è che questa
oscura fase nella evoluzione della dottrina di guerra l'hanno
subita tutti, anche i francesi, e nessuno pensa a crocifiggere i
loro capi militari. Anche essi, nel 1915, — e pure avendo la
esperienza del 1914 — hanno ordinato offensive sterili di risultati. Certo, quella nostra dell'autunno 1915 avrebbe potuto essere arrestata prima, tenuto conto della insufficienza del nostro
apparecchio offensivo. Ma che avrebbe detto il presidente del
Consiglio del tempo, il quale male accolse in dicembre la notizia della sospensione delle operazioni, come ho esposto nel
capitolo IV del libro succitato? Che avrebbe detto il Paese nel
quale era così viva l'aspirazione al possesso almeno di Gorizia?
Eppure doveva ammonire l'esperienza di quei sanguinosi cinquanta giorni di battaglia! Eppure dovevan persuadere alla sospensione il logoramento delle truppe e l'incrudire della stagione invernale!
Ma l'esperienza non andò perduta, e fui proprio io ad ordinare la sospensione delle operazioni offensive in tutti quei
casi in cui mi persuasi che il nostro logoramento sarebbe stato
sproporzionato ai vantaggi, e quando molti comandi si ostinavano a persuadermi che, persistendo, si sarebbe ottenuto il risultato voluto. Cito, ad esempio, le operazioni controffensive
sull'altopiano di Asiago nel giugno 1916 1) , l'attacco di M. Cimone in Val d'Astico, le operazioni ad oriente di Gorizia e le
3. - Gli irredditizi sacrifici di sangue.
La Commissione mi accusa di aver tollerato gli irredditizi
sacrifici di sangue. Io non ho tollerato nulla, anzi, tutto ho
fatto per impedirli: la mia circolare pubblicata a pagg. 438-439
della relazione è) una delle tante prove di ciò che affermo. Molte altre del genere se ne trovano negli archivi. Su questo argomento dei sacrifici di sangue molto mi sono diffuso nei capitoli
dal IV al IX del mio libro La guerra alla fronte italiana;
perciò sarò breve, limitandomi a riassumere ciò che in quei capitoli ho ampiamente svolto.
Le gravi perdite del 1915, in proporzione della forza che
aveva l'esercito (vedansi le tavole 32 e 33 a pagg. 431 e 438
della relazione), sono essenzialmente dovute al fatto che mentre noi dovevamo necessariamente far guerra offensiva, scarseggiavano i mezzi necessari (specialmente in artiglierie pesanti)
per condurla a fondo contro un esercito solido e tenace che di
mezzi tecnici era assai più largamente dotato, che disponeva
di formidabili posizioni difensive ben fortificate e che di questo
nuovo sistema di guerra già aveva l'esperienza. Le gravi perdite sono però anche dipese da cattiva condotta tecnica delle
truppe, per inesperienza di comandanti e perché molti di questi all'avveduta condotta non erano preparati. È tuttavia vero
che taluna azione offensiva del 1915 avrebbe potuto essere ac-
99
1
) Con lettera del 21 giugno 1916 scrivevo al comandante della I Armata
che potevo mettere a sua disposizione cinque divisioni per le operazioni controffensive che avevo ordinate sull'altipiano di Asiago, e soggiungevo: « Faccio
presente però a V. E. che ove queste forze non dovessero servire che a trascinare un'offensiva logorante e sterile di risultati, riproducendo una situazione
simile a quella che, per forza d'altre circostanze, si è stabilita sul Carso, io
preferirei rinunciare senz'altro al loro impiego su questo fronte e provvedere
ad impiegarle in altra direzione. » Questa nuova direzione fu poi quella di
Gorizia.
100
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
tre spallate sul Carso del 1916; l'attacco sull'altopiano di Asiago
nel giugno 1917, l'attacco del Carso e del Monte S. Gabriele
dell'agosto 1917. L'esperienza aveva dimostrato che i maggiori
risultati, in relazione al nostro logoramento, si ottenevano nei
primi due o tre giorni, e in seguito le perdite aumentavano in
misura superiore ai vantaggi ottenuti. Diedi pertanto le più
esplicite disposizioni perché le azioni offensive fossero troncate
appena appariva che le perdite erano sproporzionate ai risultati.
Perciò l'accusarmi ora di aver tollerato gli infecondi sacrifici
di sangue è la cosa più ingiusta che immaginar si possa, e contro di essa io energicamente protesto. Probabilmente l'accusa
è partita da taluno di coloro che avevano insistito per la continuazione degli attacchi, come altri (pag. 342 della relazione) mi biasimavano dei siluramenti dopo aver essi stessi ampiamente silurato quando io ero in auge!
E che dire del generale Capello il quale, a pag. 125 del
vol. II delle sue Note di guerra, mi accusa « di non condurre
mai a fondo nessuna azione » ? O che per condurle a fondo
dovevo persistere nell'infruttuoso logoramento anche quando
la nostra avanzata determinava una necessaria sosta per portare innanzi lo schieramento di artiglieria, per riordinare le
truppe, per provvedere ai servizi logistici ecc...? Allora sì che
si sarebbero visti crescere a dismisura gli irredditizi sacrifici di
sangue! Ma questa del generale Capello era una concezione
giusta nelle antiche guerre fino al 1870, non in quella che noi
abbiamo combattuto!
Le perdite furono oltremodo gravi in proporzione alle forze
impegnate, nel maggio-giugno 1917; ma ciò in gran parte dipese — come dissi nel capitolo VIII del mio libro — da cattiva condotta tattica delle truppe: tant'è vero ciò, che mi sentii in obbligo di tenere delle conferenze ai comandanti di corpo d'armata delle due armate della fronte Giulia; e l'effetto fu
che le perdite dell'agosto-settembre (operazioni della Bainsizza
e del Carso) diminuirono sensibilmente in proporzione delle
forze impegnate.
Le perdite del 1918 furono le più scarse perché, fino alla
battaglia di Vittorio Veneto, non vi furono operazioni offensive
e la sola battaglia difensiva, quella del giugno sulla Piave, non
durò che una settimana.
In complesso la cifra totale di 378.010 morti durante tutta
la guerra, data dalla tavola 32 della relazione, se è ingentissima in senso assoluto, è piccola relativamente al numero dei
morti degli eserciti francese ed inglese. Secondo quanto fu pubblicato dai giornali, in Francia esso fu di 1.307.000 (di soli
francesi senza tener conto dei coloniali) e in Inghilterra di
772.000. Come ho già detto, la forza dell'esercito italiano non
doveva essere molto inferiore a quella dell'esercito francese, se
si tien conto da un lato che la popolazione della Francia era
leggermente superiore a quella dell'Italia e dall'altro del notevole continuo aumento della popolazione in Italia, il che ha
per conseguenza che le classi giovani sono più numerose delle
corrispondenti francesi. Si tenga pur conto che la Francia entrò
in guerra nove mesi prima di noi, ma rimane pur sempre una
enorme differenza a nostro vantaggio. E così pure rispetto all'Inghilterra, dovendosi tener conto che questa nazione nel 1915
non potè portare in linea che sei divisioni.
Tale per noi favorevole risultato è certamente da ascriversi
in parte alle disposizioni da me date per sospendere gli attacchi quando non erano più redditizi. Si addiviene così proprio
alla conclusione opposta a quella cui la Commissione — colla
scorta delle solite malevole testimonianze — è pervenuta.
Del resto la stessa Commissione ammette ciò che ho scritto, poiché a pag. 60 della relazione essa scrive:
101
Ed ancora la Commissione ammette che, nella concezione e nella
esecuzione di parziali piccole operazioni, non poteva il Comando Supremo particolarmente ingerirsi, mentre è provato che non di rado le
sue direttive furono sorpassate e il generale Cadorna' stesso intervenne
per far sospendere azioni sanguinose e scaramucce irredditizie che i
dipendenti avrebbero proseguito (attacco di M. Cimone in Val d'Astico,
attacco di M. S. Gabriele, ecc).
E' pertanto sorprendente che, dopo aver scritto queste parole, la Commissione — con una delle sue abituali contraddi-
102
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
zioni — mi rimproveri di aver « tollerato irredditizi sacrifici
di sangue » ! E si noti, tollerato, non provocato.
L'odiosa accusa di aver tollerato irredditizi sacrifici di sangue è apertamente smentita dalla mia circolare n. 750 G. M.
del 20 settembre 1916 (una delle tante sull'impiego tattico delle truppe) la quale ha per oggetto: «Alcuni importanti ammaestramenti di esperienza». Di essa mi limito a riferire i seguenti brani che più particolarmente si riferiscono alla condotta delle truppe ed al loro massimo possibile risparmio nel combattimento :
Le azioni svoltesi in questi ultimi tempi nei vari tratti della nostra fronte confermano taluni semplici ma preziosi insegnamenti: in
parte diretti, in quanto la buona applicazione fattane ne ha dimostrato
la sicura efficacia; in parte indiretti, in quanto alla mancata od imperfetta loro applicazione pratica ha visibilmente corrisposto in ciascun
caso il mancato od imperfetto raggiungimento dell'obiettivo.
Tali insegnamenti credo opportuno portare colla più assoluta obiettività a conoscenza di tutti i comandanti, perché questi ne tengano
il massimo conto nella condotta delle operazioni future.
A) - Un primo importante accertamento di ordine generale, che
trova eloquente conferma anche nelle ultime operazioni degli altri
scacchieri europei, interessa la durata delle riprese offensive per rapporto ai risultati. In massima ogni attacco — preparato con molta cura
e perizia, e largamente alimentato con tutti i mezzi occorrenti — porta
in tempo relativamente assai breve, anche talvolta di primo impeto,
ad un risultato soddisfacente od addirittura grande; dopo di che l'equilibrio delle forze opposte si ristabilisce rapidamente, ed i successivi
conati per ampliare il successo riescono sterili o quasi, sviluppandosi
perciò in condizioni di svantaggioso rapporto fra il dispendio dei
mezzi ed i risultati (quando pur non danno luogo ad arretramenti).
Nel primo giorno, insomma, si ha generalmente il massimo risultato
con le minime perdite; dopo di che il rapporto tende a capovolgersi rapidamente. Occorre dunque saper cogliere senza ritardo quel punto critico, ed a tal punto saper fermare senza esitazione le operazioni offensive, per consolidare rapidamente i vantaggi conseguiti, e quindi ricominciare la metodica e completa preparazione di un nuovo sbalzo.
Questo sistema offre, fra gli altri, il grandissimo vantaggio della
maggiore possibile conservazione dei mezzi per gli sforzi successivi;
esso inoltre mantiene integra quella grande forza morale che deriva
•dal veder corrispondere ad ogni ripresa nostra azione un sicuro vantaggio, sia pure di lieve entità; laddove il sistema dell'insistere ad ol-
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
103
tranza — in condizioni sempre meno buone — contro obiettivo non
potutosi raggiungere di prmo impeto dà luogo ad un progressivo
smorzamento di energia e di fiducia, spiegabilissimo dal punto di vista
umano, e militarmente assai dannoso.
B) - Il tratto di fronte da attaccare...
C) - Nel tratto da attaccare lo spazzamento delle difese nemiche
dev'essere pieno ed assoluto.
Non si deve attaccare se non si siano prima raccolti e predisposti
con cautela (in misura sicuramente efficiente, meglio se sovrabbondante) gli strumenti destinati ad operare di sorpresa la simultanea e
completa distruzione dell'ostacolo su tutta la fronte d'irruzione. Al
calcolo di questi mezzi (essenzialmente bombarde) deve darsi importanza grandissima...
Nella distruzione dei trinceramenti e reticolati alla quale concorrono con le bombarde anche le altre artiglierie — secondo i noti criteri
— scopo da raggiungere è questo: che al momento della irruzione
delle fanterie nella linea nemica non costituiscano eccezione i varchi
praticati bensì i tratti rimasti intatti...
In una successiva circolare n. 750 bis del 17 ottobre 1916
avente per oggetto: «Altri ammaestramenti di esperienza» si
leggono le seguenti parole:
In sostanza si deve tendere allo sfruttamento massimo dei risultati
dell'azione distruggitrìce delle artiglierie, col mìnimo possibile di
perdite.
Le fanterie sono di giorno in giorno più preziose, soprattutto
per le crescenti difficoltà di reclutarne i quadri; esse rappresentano
un'energia che deve essere spesa con giudizio.
Per ottenere questo sfruttamento massimo dei risultati dell'azione dell'artiglieria col mìnimo di perdite sarebbe stato necessario sopperire alla insufficienza tecnica delle truppe e di
molti comandanti con un'istruzione intensiva delle truppe in
riposo. Ma, oltreché queste erano poche, tenuto conto della grande estensione della fronte, che ne assorbiva la maggior parte,
debbo rilevare che furono aspramente criticati gli ordini dati
per l'istruzione delle truppe in riposo, quasiché essi mirassero a
produrre un inutile esaurimento.
La ritirata alla Piave accrebbe notevolmente la possibilità
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
di tenere le truppe in riposo, epperciò di svilupparne l'istruzione. La fronte viva, fra il lago di Garda e il mare, fu ridotta da
470 chilometri a 230 circa, e, tenuto conto delle truppe disponibili, si ebbe, prima di Caporetto, una divisione ogni 6,8 chilometri, e dopo Caporetto una divisione ogni 4,5 chilometri.
N o n v'ha chi non veda quale grande vantaggio tale fatto abbia
rappresentato per l'istruzione delle truppe e per la conseguente
diminuzione nei sacrifici di sangue.
Terminerò ora di discorrere degli irredditizi sacrifici di sangue, riferendo le seguenti sagge parole tolte dall'articolo « La
inchiesta su Caporetto e l'Inghilterra » pubblicato sul Corriere
della sera del 6 settembre 1919:
4. - La coesione organica.
104
La condotta della guerra inglese sulla fronte occidentale presenta
punti di rassomiglianza colle cruenti operazioni svoltesi sulla nostra
fronte. Anche gli Inglesi non erano pronti a fronteggiare il nemico.
Non erano pronti nell'agosto 1914, e non lo erano un anno più tardi,
non già perché mancassero di uomini, ma perché non s'improvvisa in
un anno l'immenso armamento del quale i nemici, avendo meditato
per anni l'aggressione contro l'Europa, erano stati i soli a prevedere
la necessità. Tutti ricordano che l'esercito inglese non entrò in campo,
come un fattore formidabile, che nella estate del 1916, colla battaglia della Somme; ma l'insufficienza di mezzi non aveva impedito,
prima al generale French, poi al generale Haig, di sacrificare centinaia di migliaia di uomini in sanguinose offensive contro posizioni la
cui conquista non avrebbe in ogni caso modificato sostanzialmente lasituazione militare. Bisognava logorare il nemico, bisognava impedirgli di approfittare della sua superiorità per concentrare il grosso delle
sue forze in un dato settore della fronte e sfracellare con impeto irresistibile le difese degli alleati.
Ma nessuno pensò allora e nessuno crede oggi che l'eroica ostinazione con cui gli Inglesi si accanirono per mesi contro Loos, contro Lens, contro Paeschandaèle, puntando con disperata tenacia su
Messines e su Lille, su Cambrai e su Bapaume, profondendo fiumane
di sangue in attacchi contro difese che parevano ed erano allora inespugnabili, sia stato uno sforzo sterile o un delittuosa spreco di vite.
Occorreva, non solo agguerrire le proprie forze, ma anche scemare
le forze del nemico per impedirgli di conservare sino alla fine l'immenso vantaggio con cui aveva principiato la guerra.
105
Chi non sa che la coesione organica è una delle maggiori
sorgenti di forza dei reparti? Chi ne era più di me convinto?
Ne è prova la circolare del 17 giugno 1916, della quale ho già
citato qualche brano e che fu integralmente inserita nella già
citata Antologia del popolo italiano di Giuseppe Prezzolini « Tutta la guerra ». Ecco quanto in essa è scritto :
II - Coesione dei reparti. - 1°) Sul campo di battaglia solo i
vincoli organici e disciplinari costringono il soldato, anche se di cuore
vacillante, a compiere tutto lo sforzo morale e materiale di cui è
capace.
Da un anno si combatte in trincea. La vita di trincea, però, se
affratella gli individui, tende a rallentare i vincoli disciplinari e ad
affievolire la coesione dei reparti. Si ridia dunque vigore alla disciplina, nella sua essenza fondamentale ed in tutte le sue manifestazioni
esteriori (vestiario, obbligo del saluto, sfilamenti in ordine chiuso, ecc.).
2° Anche nei reparti maggiori sono sorgente di forza collettiva
lo spirito di corpo, le tradizioni comuni, l'affiatamento fra le varie
unità, fra i comandanti di vario grado.
Di fronte al nemico è più che mai necessario che ogni unità,
piccola o grande, operi agli ordini del suo capo naturale.
3°) I raggruppamenti tattici occasionali, formati con unità tratte
da reggimenti vari, o da brigate diverse, ecc., siano un'eccezione,
non la regola. Le dipendenze sul campo di battaglia sono sorgente di
coesione, e quindi di forza, solamente se coincidono coi tradizionali
vincoli organici e disciplinari.
La divisione della fronte in settori, ammessa nella difensiva, riesce efficace soltanto quando a ciascun settore corrispondono unità organiche sottoposte al proprio comandante.
Queste le mie idee, le convinzioni da lunga data. Ma la
Commissione che mi biasima per la scarsa coesione organica
dell'esercito può avere pensato che — come il padre Zappata
— predicavo bene e razzolavo male: giudizio anche questo
che merita qualche considerazione.
Anzitutto il brano che ho scritto dimostra quanto mi stessero a cuore le questioni morali, contrariamente a ciò che la
Commissione ad ogni passo afferma per suffragare la sua tesi,
106
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
cioè che in me le questioni tecniche avessero il sopravvento sulle morali. E, dato il mio temperamento, che mi porta a passare
decisamente dal concetto alla pratica attuazione, è da arguire
che se non sono riuscito ad attuare interamente ciò che pensavo si è perché ho incontrato difficoltà insormontabili. E
la Commissione, a pagg. 428-429 della relazione, espone queste
difficoltà e se ne rende conto, pur dopo avere ascoltato, come al
solito, innumerevoli critici, i quali, invece di considerare il complesso poliedro delle questioni, non ne scorgono che una faccia.
Per esempio, sulla inscindibile unità organica della divisione, per ottenere la quale ho emanato molti ordini, la mia volontà si è sempre infranta contro le considerazioni che i comandanti di armata mi esponevano e che erano, in verità, di
molto peso: sono quelle che sono pure esposte dalla Commissione a pag. 425, ed alle medesime io ho dovuto arrendermi.
Quando la fronte fra il lago di Garda e il mare fu, in seguito alla ritirata, disgraziatamente ridotta a meno di metà,
mentre le forze non erano ridotte che di un quinto (comprendendo anche le divisioni alleate), molte cose diventarono più
facili: aumentarono notevolmente le riserve, donde la maggior facilità di impartire efficaci istruzioni, di rendere più frequenti i turni di riposo, ed anche di mantenere l'unità organica delle divisioni, perché l'artiglieria, in proporzione dello
sviluppo della fronte, era più numerosa, e perciò si poteva senza danno ritirare quella delle divisioni che si arretravano, ed
inoltre perché sul terreno piatto ed uniforme della riva della
Piave, che si poteva rapidamente riconoscere, non occorreva
più mantenere continuamente i medesimi comandi; né ivi vi
furono, sino alla fine della guerra, lunghe e logoranti azioni
offensive che costringessero a frequenti cambi delle truppe combattenti in prima linea, senza possibilità di ritirare le artiglierie dalla fronte. Malgrado questi vantaggi, son certo di
essere nel vero affermando che, anche nel secondo periodo della guerra, non sempre furono adoperate le divisioni organicamente.
Le condizioni furono, sotto tanti aspetti, così diverse nel
primo e nel secondo periodo della guerra che è assurdo fare
continuamente i confronti dei quali la Commissione si compiace.
Malgrado la semplificazione che la ritirata alla Piave aveva prodotto, le difficoltà rimasero tali che in una conferenza tenuta
dal sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito (generale Badoglio) presso il Comando della I Armata il 28 settembre 1918,
egli disse che, per quanto si fosse fatto per eliminare gli inconvenienti di cui sopra, si era ancora lontani dall'avere le truppe,
i comandi e i servizi nelle condizioni volute. Occorreva pertanto
che tutti persistessero con opera tenace ad eliminare gli inconvenienti che ancora si verificavano nei quadri, nei reparti e
nei servizi, ed a facilitare l'attuazione dei provvedimenti organici atti a completare tale lavoro di riorganizzazione e di preparazione. Dunque, se tali erano le condizioni quand'era trascorso quasi un anno dal giorno in cui abbandonai il Comando,
non è a stupire che fossero peggiori quando l'esercito occupava
una fronte doppia ed era spesso impegnato in lunghe e logoranti azioni offensive.
Uno dei più importanti fattori della coesione organica è
l'affiatamento, epperciò la stabilità dei quadri e degli uomini di
truppa, e per conseguenza il ritorno ai loro reparti quando cessano le cause che li hanno fatti allontanare (ferite, malattie, ecc.).
Ma diverse cause impedirono la stabilità dei quadri: le ingenti perdite che tosto si dovevano ripianare ed il continuo ingrandimento dell'esercito negli anni 1916 e 1917 col conseguente notevole numero di promozioni, oltre alla creazione dei
corpi speciali quali i bombardieri e i mitraglieri; poiché, durante
tutto il tempo in cui ressi la carica di capo di Stato Maggiore,
mentre si combatteva si lavorò ad ampliare e ad organizzare
l'esercito. Di queste due cause, la prima diminuì notevolmente
nel 1918 e la seconda venne del tutto a mancare, donde una
naturale molto maggiore stabilità nei quadri, senza merito di
nessuno.
Quanto alle truppe, chi non vede che sarebbero stati utilissimi il mantenimento del filo di congiunzione tra i reggimenti
e i loro depositi, il costante reclutamento dei reggimenti dai
107
108
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
propri depositi, e il ritorno ai propri reggimenti dei feriti, ammalati, ecc.? Ma era ciò possibile? Anzitutto, vi fu grande sperequazione nelle perdite dei vari reggimenti, e la rigida applicazione di tale sistema avrebbe condotto ad aggravare in eccessiva misura alcune regioni, in confronto con altre, nel tributo di sangue. In secondo luogo, per il buon funzionamento
delle truppe di complemento si dovettero costituire i battaglioni
di marcia, e questi non si potevano tener legati ai reggimenti,
ma dovevano gravitare su quelle fronti dove, svolgendosi la
battaglia, si rendeva necessario il ripianamento delle perdite.
Come avrei potuto sottrarmi a queste ferree necessità?
• Nel 1918, non essendovi stata che una sola battaglia importante, quella della Piave — ed anche questa di breve durata
— anche tale causa di perturbamento della coesione organica
diminuì notevolmente.
Poiché la Commissione continuamente insistette nei confronti fra i due periodi, precedente e susseguente al novembre
1917, sono stato costretto, mio malgrado, ad occuparmene anch'io, per mettere in evidenza le capitali differenze, a danno del
primo; e ciò, ben inteso, senza alcuna intenzione di attenuare i
meriti del nuovo Comando, ma soltanto con quella, di mettere in
luce le difficoltà contro le quali dovevo dibattermi — difficoltà delle quali la Commissione non ha tenuto alcun conto.
###
Spero di aver dimostrato che i presunti errori nel governo
degli uomini avevano radici e ragioni ben più profonde di
quelle dai più grossolanamente pensate o ad artificio ingrandite. E con ciò sono ben lungi dal pensare che errori non possono essere stati commessi, essendo essi inseparabili dalle opere
umane, e specialmente in cosa di così difficile maneggio quale
è quello di così grandi masse armate. Dico soltanto che, quali
che siano stati tali errori, essi furono ben lontani dall'assumere la gravità che la Commissione ha voluto in essi riconoscere per poter attribuire loro il disastro.
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-MORALE
109
Non posso, finalmente, chiudere questo capitolo dedicato
al governo degli uomini senza riferire le seguenti parole dette
dal generale Badoglio, (allora capo di Stato Maggiore dell'esercito) in una intervista, e pubblicate dal giornale // Tempo
del 4 novembre 1920, il giorno in cui si celebrava in Roma
la festa della vittoria.
Alla domanda : « E del generale Cadorna a Caporetto? »
così rispose il generale Badoglio:
Ella comprende come su tale questione io debba mantenere il più
grande riserbo. Ma una cosa sento il dovere di dire, che da Caporetto
al Piave la figura del generale Cadorna è quella di un gigante morale.
Pensi che cosa significa comandare un esercito in parte del quale i vincoli organici sono allentati, ove mancano i mezzi di comunicazione, ove
la ritirata delle truppe è quasi impedita dall'esodo degli abitanti, ove
le perdite di materiale tolgono la possibilità di resistenze diverse... E
dire a questo esercito in un certo momento : Alt! Front al nemico! Qui
si salva l'Italia! Questo fece il generale Cadorna sul Piave. Ed è la dimostrazione più eloquente dell'imperio che il generale esercitava su
se stesso e sulle truppe.
Questo disse nel giorno solenne consacrato alla vittoria il
legittimo rappresentante dell'esercito. Ora io domando: come
sarebbe stato possibile che in un così grave frangente, quando
tutto concorreva ad allentare i vincoli organici, io avessi potuto esercitare un qualsiasi imperio sulle truppe se ne avessi
. fatto quel malgoverno che la Commissione d'inchiesta pretende
e che, secondo lei, sarebbe stata la causa principale del disastro?
* *
*
E ancora: se fosse vero che mediante il malgoverno degli
uomini io fui la causa principale del disastro di Caporetto; se
fosse stato vero ch'io fui quel Nerone che la Commissione d'inchiesta vuol lasciar credere che fossi, i combattenti avrebbero dovuto odiarmi mortalmente. E allora come si spiega che
nelle spontanee ed entusiastiche dimostrazioni cui son fatto
110
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
segno ormai ovunque mi reco (scrivo queste parole alla fine
del 1922), 1 } sono proprio i combattenti quelli che maggiormente mi festeggiano? Dirò di più. Il 6 novembre 1917, proprio
mentre interminabili torme di sbandati coprivano tutte le strade della regione veneta, si trasferiva il Comando Supremo da
Treviso a Padova, ed io feci questo tragitto in automobile accompagnato dal solo generale Giardino. Eravamo senza scorta
e senz'armi (e a che avrebbero servito le armi in quelle contingenze?). Passammo attraverso una lunghissima colonna di
sbandati. Qual migliore occasione per ingiuriarmi impunemente, e peggio! Ebbene, non una voce, men che rispettosa, partì
da quella turba! Come si concilia questo fatto colle stolte accuse rivoltemi dalla Commissione d'inchiesta?
1) Lascio queste parole tali quali le scrissi alla fine del 1922; ma debbo
ora aggiungere (maggio 1926) che le dimostrazioni degli ex combattenti non.
solo nel seguito non diminuirono, ma ingrandirono sempre più, e furono quelle che maggiormente mi commossero e più mi soddisfecero, perché distruggevano la stolta e maligna accusa del malgoverno degli uomini.
CAPITOLO
IV
CRITICHE DI O R D I N E MILITARE-TECNICO
Nelle sue « Conclusioni » la Commissione d'inchiesta enumera, a pag. 556 della relazione, le critiche di carattere strettamente militare:
al generale Cadorna: per non avere adeguatamente curato la
disponibilità di riserve strategiche organicamente costituite, la costruzione, il coordinamento e il mantenimento di talune linee difensive,
lo studio preventivo di un eventuale ripiegamento, il collegamento
della II Armata colla zona Carnia e l'opportuno scaglionamento a distanza dalle prime linee dei magazzini e dei depositi. Tali critiche
dovrebbero bensì essere aggravate per la inadeguata valutazione degli
avvenimenti del Trentino, i quali potevano e dovevano suggerire utili
ammaestramenti; ma si deve tuttavia tener conto che l'esame dell'opera
del generale Cadorna è stato esteso all'intero periodo della guerra, e che
a lui si devono pur riconoscere benemerenze per quanto concernè!
l'apparecchio militare, nonché il merito di avere strategicamente beri
guidato l'esercito nel difficilissimo ripiegamento dall'Isonzo al Piave.
Debbo anzitutto constatare che nessuna critica vien qui
fatta ai concetti d'ordine strategico e alle disposizioni date per
la difesa della linea dell'Isonzo nell'ottobre 1917. Per quanto
concerne la ritirata alla Piave la relazione contiene anzi parole
d'alto elogio, quali le seguenti a pag. 8 0 :
Nell'insieme perciò la Commissione riconosce che i criteri generali con i quali venne dal Comando Supremo diretto il ripiegamento dall'Isonzo al Piave corrisposero alle necessità della tragica
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
situazione ed alle esigenze che nelle varie fasi vennero per via di
fulminee sconfortanti notizie delineandosi. Nella concezione delle direttive la Commissione vede un merito del generale Cadorna, il
quale, nel subitaneo crollo della nostra fortuna militare, mantenne
serenità di spirito pari alla gravità dell'ora, intravide lucidamente gli
affetti delle singole mosse del nemico, concepì con perizia strategica
ed attuò con fermezza e rapidità le dolorose misure che ormai la
situazione esigeva per condurre in salvo l'esercito.
de operazione dell'agosto, ho discorso nei relativi capitoli del
mio libro : La guerra alla fronte italiana.
Non mi soffermo a lungo su queste critiche, poiché la Commissione si è convinta (pag. 64) : « che le riserve del Comando
Supremo fossero per quantità sufficienti ad affrontare, anche in
lotta di lunga lena, l'urto nemico ». Però la Commissione tosto
soggiunge che « il complesso delle altre ragioni sopra accennate non vale a scuotere nella Commissione la convinzione che
le conseguenze dell'offensiva austro-germanica alla fronte Giulia sarebbero state attenuate se quelle forze fossero state stabilmente raggruppate in grandi unità e quindi dotate di coesione organica e capaci di svolgere un compito autonomo quale
avrebbe potuto essere la difesa di una linea retrostante od una
azione controffensiva ».
I 114 battaglioni della riserva a disposizione del Comando
Supremo il 24 ottobre 1917 erano ripartiti in divisioni, taluna,
è vero, scarsa ed anche priva di artiglieria, perché nella deficienza totale di artiglierie leggere era stato giudicato pericoloso
sottrarne altre alla fronte. 1) La Commissione avrebbe voluto
che queste divisioni fossero state costituite in corpi d'armata, e
questi in una armata di riserva, come fu la IX nel 1918 che
essa cita ad esempio. Ora io non faccio confronti con quanto
fu effettuato in circostanze diverse nel 1918, e mi limito a considerare il caso concreto dell'ottobre 1917. E dico che se la
riserva generale fosse stata costituita in una armata organica,
non sarebbe stata dislocata differentemente da quello che fu,
perché la sua dislocazione fu suggerita dalle considerazioni già
ampiamente svolte nel capitolo X del mio libro: La guerra
alla fronte italiana, le quali si riassumono nella necessità di far
fronte non solo all'attacco contro la fronte Plezzo-Tolmino, ma
anche a quello possibile nella regione goriziana e sul Carso. Né
l'impiego sarebbe stato diverso da quello che fu, perché nel subitaneo crollo della fronte tra Plezzo e Tolmino, nell'improv-
112
Le critiche fattemi si riferiscono tutte a punti di ordine secondario e che non sono stati cause determinanti del disastro.
Quella poi relativa al Trentino non vi ha nulla a che fare e
richiederà per parte mia un ampio sviluppo. Esaminerò ora
queste critiche una ad una.
1. - Le riserve strategiche.
Non mancarono, come al solito, molte critiche alla scarsità
delle riserve, essendo stato perfino affermato (pag. 62 della relazione) « che la scarsità di riserve sia stata difetto pressoché
costante della condotta della nostra guerra fino al 1917 e che
culminò nella necessità di costituire la V Armata con elementi
rapidamente sottratti alla fronte Giulia all'epoca dell'offensiva
austriaca del Trentino ».
Tali affermazioni non hanno fondamento. Nei primi tempi
della guerra lasciai 7 divisioni in riserva strategica organicamente costituita (ossia un quinto della forza totale), dislocate
tra il lago di Garda e Bassano. Nel 1916 vi erano pure 7 divisioni (X e XIV Corpo e 27 a Divisione) in riserva strategica
sul Tagliamento, le quali furono subito trasportate sulla fronte
Trentina, e se fu necessario costituire in seguito la V Armata
con elementi in gran parte rapidamente sottratti alla fronte Giulia, ciò fu dovuto all'improvviso aggravarsi della situazione sull'altipiano di Asiago al di là di ogni legittima previsione. Si noti
poi che non tutte le unità della V Armata provenivano dalla
fronte Giulia, poiché alcune erano di nuova costituzione e provenivano dall'Albania o dalla Libia. Dello scaglionamento delle riserve e del loro impiego nel 1917, specialmente nella gran-
113
1) Quanto dico è confermato dal fatto che il 24 ottobre 1917 sulla fronte
dal Rombon al S. Gabriele incluso, noi avevamo bensì in totale 2199 pezzi
contro i 2485 austro-tedeschi, ma solo 967 pezzi di piccolo calibro contro i
1910 campali nemici (pag. 200 della relazione).
CADORNA.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
viso spalancarsi di così vasta breccia, nessuno avrebbe potuto
pensare a riunire la supposta armata — la qual cosa avrebbe
richiesto tempo — e ad adoperarla in una grande azione controffensiva contro un nemico vittorioso, che si era intanto impossessato di posizioni formidabili. In quella difficile situazione
null'altro si poteva fare che cercar di tamponare la breccia per
trattenere il nemico e dar tempo di guarnire la linea del Tagliamento con una parte delle forze della riserva. E' appunto
ciò che fu fatto. Le forze della riserva che operavano nella zona
della II Armata dovevano necessariamente passare agli ordini
di questa, ed il comando dell'armata di riserva, se ci fosse stato,
sarebbe diventato superfluo. Ora io non credo che si dovessero
creare dei comandi non- necessari, tanto più colla difficoltà in
cui eravamo di trovarne il personale.
La Commissione dice che l'armata di riserva avrebbe potuto essere impiegata « a svolgere un compito autonomo quale
avrebbe potuto essere la difesa di una linea retrostante ». Questa non poteva essere che la linea del Tagliamento; ma già dissi
poc'anzi che una notevole parte della riserva la si dovette impegnare per tamponare la breccia, allo scopo di trattenere il
nemico, il quale, altrimenti, sarebbe giunto rapidamente al Tagliamento mettendo in gravissimo pericolo la III Armata. Perciò l'armata di riserva non avrebbe potuto mai avere il compito autonomo di difesa del Tagliamento. Su questa linea si
stavano ritirando la II e la III Armata, e l'armata di riserva
— se ci fosse stata — avrebbe dovuto necessariamente scindersi
fra quelle due; ma è evidente che prima occorreva provvedere
all'arginatura, il che si tentò di fare.
La funzione delle riserve in questa guerra è sempre stata
quella di tamponare le brecce della difensiva o di alimentare
l'offensiva, sia rafforzando le truppe che si fossero aperte un
varco, per dilagare al di là, sia dando il cambio alle unità logorate dalla battaglia. Così la riserva del maggio-giugno 1915 fu
portata dalla fronte1 Trentina alla fronte Giulia per alimentare
l'offensiva. Quella del maggio 1916 fu trasportata sulla fronte
Trentina per chiudere la breccia ivi apertasi. La V Armata, quan-
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
115
do nel giugno 1916 svanì l'eventualità di doverla adoperare
contro il nemico che fosse sboccato in pianura, fu adoperata ad
alimentare l'offensiva sugli altipiani ed a sostituire le unità logore. La stessa cosa avvenne nelle battaglie offensive del 1917.
Perfino la IX Armata, citata ad esempio dalla Commissione,
pur costituendo essa nel giugno 1918 riserva strategica, non
venne impiegata in azione autonoma, ma funzionò come serbatoio delle armate sfondate (VIII e III), e ad esse cedette,
una dopo l'altra, le sue divisioni, fino a rimanere costituita di
due divisioni residue.
Non altrimenti il maresciallo Ludendorff nell'autunno 1918
impiegò la sua armata di riserva, cercando di tamponare i tratti
sfondati, ma non la impiegò in azione autonoma. Né risulta
che il maresciallo Foch abbia adoperato nel 1918 armate autonome di riserva quando i tedeschi si incunearono nelle linee
franco-inglesi verso Amiens e Chàteau Thierry.
Tale è il carattere della guerra moderna, colle sue enormi
fronti di combattimento, che rendono impossibile o quasi l'impiego autonomo delle riserve strategiche. Ma di questa guerra
nessuno dei membri della Commissione aveva fatto personale
esperienza; si comprende perciò come essa abbia potuto addivenire a differente conclusione!
2. - Le linee difensive.
La relazione, dopo aver esposto le solite e inevitabili critiche dei testimoni, viene alla conclusione (pag. 88) che « astraendo dalla concezione ed ubicazione e considerando solo lo stato
di efficienza delle linee, la Commissione ritiene lievi e talvolta
perfino trascurabili i difetti rilevati in alcuni tratti delle difese,
le quali, in complesso, presentavano buone condizioni di resistenza; e deve ben far notare come ogni maggiore sforzo per
migliorarle avrebbe, per converso, ulteriormente affaticato ed
esaurito le truppe. »
Posso perciò dispensarmi, per brevità, dal discutere questo
punto. Ma, poco dopo, a proposito del disarmo della linea del
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
Tagliamento, la Commissione, pur giustificando il disarmo stesso, fatto nel 1915 per la deficienza di artiglierie di medio calibro al principio della guerra, soggiunge (pag. 92) che « la
riorganizzazione della linea del Tagliamento, coi criteri suggeriti dall'esperienza di guerra, sarebbe stata nel 1917, allorché
i mezzi non più difettavano, una consigliabile misura prudenziale, specie dopo che nel 1916 la eventualità di un ripiegamento della fronte Giulia erasi seriamente presentata. »
Su questo punto mi debbo alquanto soffermare perché evidentemente ad esso si riferisce la critica sulle linee difensive.
Ed osservo:
1° - Che se nel 1917 i mezzi non difettavano in senso
assoluto, erano scarsi in senso relativo, ossia in rapporto alle
"grandi operazioni offensive che si stavano eseguendo: tant'è
vero che gli Alleati, per infondere maggior vigore alle nostre
operazioni offensive, ci inviarono in quell'anno 200 pezzi, e
noi sperammo sempre che ne avrebbero inviati altri: di ciò ho
ampiamente discusso nei capitoli Vili e IX del libro: La guerra alla fronte italiana. Non dunque mentre si ricevevano 200
pezzi dagli Alleati, per un determinato scopo, io potevo farne
ritirare altrettanti dei nostri dalla fronte per riarmare la linea
del Tagliamento, soltanto come misura precauzionale per un
caso che in quel tempo sembrava lontano da ogni possibilità.
2° - Le vastissime teste di ponte, costruite per proteggere
la radunata dell'esercito e per dare appoggio a grandi manovre controffensive, e composte ciascuna di poche batterie, erano
meno adatte a coprire una ritirata. A questo scopo meglio valevano teste di ponte di minor sviluppo in vicinanza dei ponti ed armate di numerose artiglierie da campagna che avrebbero efficacemente spazzato tutto il terreno circostante; poiché
in questo caso si trattava di batter truppe e non di abbattere
ostacoli pei quali si richiedono i medi calibri.
Io non intendo discutere il modo col quale fu organizzata
prima della guerra la linea del Tagliamento; né se meglio sarebbe stato costruire altra linea più avanzata che coprisse anche la città di Udine. Dico soltanto che la linea esistente aveva
scopo di appoggio alla manovra, come lo provano la grande ampiezza delle teste di ponte e l'andamento a tenaglia della complessiva fronte per poter operare contro i fianchi del nemico.
Che poi queste fortificazioni, sebbene appena costruite, mal
corrispondessero ai bisogni della guerra moderna, lo dimostra
anche il fatto che, dopo la ritirata alla Piave, il Comando Supremo succeduto al mio non volle più riarmare le fortificazioni
del campo trincerato di Mestre che era stato da me disarmato;
così la protezione di Venezia rimase unicamente affidata alla
linea della Piave.
116
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3° - Nella penuria dei lavoratori, che mai non bastarono
neppure per le prime linee, anche perché una ingentissima quantità di operai fu assorbita dal, vasto sistema fortificatorio costruito al confine svizzero, io pensavo che le piccole teste di ponte
necessarie a coprire la ritirata potevano essere costruite durante la difesa della linea dell'Isonzo, e non doveva mancare a
ciò il tempo, tenuto conto della forza naturale delle posizioni
della fronte isontina, delle successive linee difensive organizzate e dei rapporti di forza tra il nemico e noi. Gli avvenimenti
si svolsero invece con una rapidità che io non potevo, anzi non
dovevo prevedere, perché se un generale dovesse mettere in
equazione anche le eccezionalissime circostanze che si sono prodotte nell'ottobre 1917, nulla più gli sarebbe possibile e qualunque piano sarebbe basato sul vuoto. 1) Fu costruita la sola
testa di ponte di Ragogna perché, il terreno essendo ivi roccio1
) A pag. 133 della relazione, quando si tratta di scusare il generale Badoglio per la mancata organizzazione della difesa all'estrema sinistra del XXVII
Corpo d'Armata tra M. Plezia e l'Isonzo, la Commissione scrive « che, salvo
il caso di profetica visione dell'avvenire, la soluzione sopra ricordata di addensare maggiori forze della Napoli a guardia della Valle Isonzo sarebbe apparsa come un eccesso di impiego di forze su prime linee, a danno dello scaglionamento in profondità; ecc.. »
Anche a me sia concesso di invocare la mancata « profetica visione dell'avvenire », come attenuante almeno, in questo caso e in altri che sono stati
oggetto delle critiche della Commissione, e nei quali ciò che è accaduto non
poteva e non doveva essere previsto; mentre nel caso contemplato dalla Commissione si trattava soltanto, per parte del comandante del XXVII Corpo, di
dare esecuzione ad un esplicito ordine del comandante dell'Armata; ordine
necessario per stabilire la continuità dell'occupazione lungo la fronte, in uno
dei tratti più accessibili di questa.
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
so, i lavori non potevano essere improvvisati; come pure furono
costruiti trinceramenti sulla destra del Tagliamento in corrispondenza dei ponti. Tutto ciò prova che alla eventuale difesa
di questa linea non si era mancato di pensare; come si pensò
in tempo al campo trincerato di Treviso ed ai lavori del PiaveSile e del M. Grappa: lavori che la Commissione loda
(pag. 94-95) e senza dei quali la linea della Piave sarebbe inevitabilmente caduta nel novembre 1917, determinando una situazione oltremodo grave.
Per tutte le ragioni accennate, concludo che le fortificazioni
del Tagliamento non si dovevano riarmare e che sulla linea di
questo fiume si fece quanto le circostanze del momento suggerivano ed i mezzi consentivano. Nel fatto poi, la Commissione
riconosce a pag. 238 che « concordi furono i referti circa la
limitata forza dei nuclei nemici entrati in azione alla testata
sinistra dei ponti. » A che cosa dunque avrebbero servito contro
quei nuclei le scarse artiglierie di medio calibro delle grandi
teste di ponte permanenti?
Riferendosi ai lavori difensivi del massiccio del Grappa, la
relazione a pag. 23 dice essere stato da taluno (fra cui un comandante di armata) asserito che « gli studi erano stati compiuti per una fronte rivolta ad occidente, e cioè per ostacolare
un'avanzata dal Trentino, nell'ipotesi che noi fossimo padroni
del terreno ad oriente del Brenta. »
Tale asserzione non ha fondamento. Che si sia data la precedenza ai lavori rivolti verso il Trentino, collegandoli attraverso il Brenta coll'altipiano di Asiago, tra Col Moschin e Col
d'Astiago, in modo da imbottigliare il nemico nel profondo solco del Brenta, quando fosse riuscito a scendervi dalla parte settentrionale dell'altipiano di Asiago, è verissimo; ed è anche
naturale, dato che nel momento in cui i lavori furono iniziati
era meno probabile un attacco sulla fronte orientale. Ma che
a questa non si sia pensato, è cosa smentita dai fatti. Come
avrei potuto pensare alle fortificazioni di Treviso e a quelle del
Sile e della Piave, senza saldarle al M. Grappa? Ricordo gli
studi eseguiti per fortificazioni sul Montello, e tra il Montello
e il M. Tomba, e come nella primavera del 1917 mi recassi io
stesso a riconoscere la linea della Piave tra il Montello e il M.
Tomba e nell'autunno la conca di Alano. Perciò quello che fu
asserito alla Commissione da malevoli testimoni non ha fondamento alcuno.
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3. - Studio di un eventuale ripiegamento.
La relazione, dopo aver rilevato a pag. 236 che tra le cause
dell'ingorgo delle comunicazioni nella ritirata al Tagliamento
vi è quella della sproporzione tra la massa in movimento e il
numero limitato di itinerari indipendenti, osserva che « la limitazione degli itinerari indipendenti derivò soprattutto dalla
deficienza dei passaggi esistenti sul Tagliamento; e la Commissione ritiene che una maggiore previdenza avrebbe dovuto il
Comando Supremo esplicare sia nella preparazione e dislocazione di abbondante materiale per il gettamento di ponti e per
il ripristino dei passaggi in caso di interruzione, sia particolarmente nell'adattamento dei ponti ferroviari al transito di colonne a piedi, sia soprattutto nella costruzione di tronchi stradali
o anche di semplici piste indipendenti tra le rotabili che confluivano a Codroipo e ai ponti, là dove appunto si verificò il
massimo ingorgo. »
Ripeto: molte disposizioni sarebbero state prese al momento del bisogno, e non sarebbe mancato il tempo di attuarle se
il disastro non avesse assunto proporzioni e forma che erano e
dovevano essere imprevedibili.
E' superfluo parlare di abbondante materiale da ponte da
riunirsi presso le rive del fiume mentre la piena impedì il gettamento, che avevo ordinato, di due nuovi ponti e ne asportò
altri due. Si aggiunga che si fecero saltare prematuramente i
tre ponti di Codroipo, e con questi sono sette i ponti che sono
venuti a mancare degli undici di cui si doveva disporre. Se tali
infauste circostanze — che anche la Commissione attribuisce
a forza maggiore — non fossero sopravvenute ad aggravare di
tanto la già difficile situazione, ognun vede in quali migliori
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
condizioni si sarebbe svolta la ritirata attraverso il Tagliamento.
L'adattamento dei ponti ferroviari al transito delle colonne a
piedi non poteva, evidentemente, esser fatto in precedenza perché
i trasporti ferroviari si effettuarono fino all'ultimo.
Quanto ai tronchi stradali indipendenti tra le rotabili che confluivano a Codroipo e ai ponti, è verissimo che sarebbero stati
molto utili. Ma, anche senza tener conto del fatto che, in seguito
alla distruzione dei ponti, tali tronchi stradali non avrebbero
servito, si deve notare che tutta la pianura sulla sinistra del
Tagliamento, dallo sbocco di questo fiume nel piano fino oltre
Codroipo, è priva d'ostacoli, è in gran parte prativa, praticabile
in ogni senso a tutte le armi, anche in formazioni ammassate;
perciò le rotabili potevano essere riservate ai carreggi e alle artiglierie pesanti, e le truppe potevano; essere condotte attraverso la campagna.
Del resto, pur facendo queste critiche, così conclude la Commissione a pag. 236, riducendo essa stessa a ben poca l'importanza delle critiche stesse : « Conferma pertanto qui la Commissione che il disordine del ripiegamento si sarebbe potuto solamente attenuare alquanto, ma difficilmente eliminare, come
quello le cui origini stavano nel disgregamento materiale e morale creato dalla subitanea disfatta e come quello che è fatale,
inseparabile conseguenza di ogni rotta. »
una falla, né l'impiego delle riserve a scopo controffensivo!
Nel caso concreto la rottura avvenne in Val d'Uccea, sul
punto di congiunzione tra la II Armata e la zona Carnia. Ma
prima di effettuare la rottura il nemico dovette superare: 1°
la posizione avanzata di Plezzo, forte nella parte elevata, debole nel fondo valle, ma colla difficoltà pel nemico di dover
sboccare a portata di cannone dalle anguste valli dell'Isonzo
e della Koritenza; 2° la formidabile stretta di Saga, munita di
triplice linea fortificata, ed appoggiata alle impervie rupi del
gruppo del Canin ed all'elevato e dirupato contrafforte del Polonik; 3° la stretta di Val d'Uccea, appoggiata alle rupi del
M. Baba ed al fortissimo M. Stol, pel quale passava la terza
linea di difesa. Orbene prima del mezzogiorno del 24 ottobre
cedeva la prima linea di difesa. Alla sera era già caduta la
seconda per effetto di aggiramento, avendo il nemico risalito
la valle dell'Isonzo da Tolmino a Caporetto, e quivi essendo
giunto alle ore 16 dopo aver superato tutte le linee di difesa.
Il giorno 25 cadeva la formidabile posizione di M. Stol, senza
che il nemico avesse avuto tempo di portare innanzi artiglierie
per abbatterla. Il 26 cadeva anche il M. Maggiore determinando la ritirata dell'esercito al Tagliamento.
La Commissione non tiene in alcun conto ciò e « ritiene
(pag. 67) che fosse fallace il convincimento del Comando Supremo di poter essere in tempo a rafforzare il punto di giunzione fra la II Armata e la zona Carnia inviandovi le truppe
quando il pericolo di una rottura si delineasse : i fatti dimostrarono che, per quanto inviati a precipizio, tali rinforzi non giunsero in tempo. »
Sfido io a farli giungere in tempo quando gli avvenimenti
precipitarono con imprevedibile rapidità! Ma doveva il Comando Supremo, nella previsione di fatti inverosimili, immobilizzare delle divisioni nel triangolo montuoso e scarsissimo di comunicazioni Plezzo-Tarcento-Moggio, accennato dalla Commissione, privandosene in altre parti della fronte, dove le naturali
previsioni le facevano ritenere più utili? E' tutta qui la complessa questione; ma la Commissione, contemplandola in modo
4. - Collegamento fra II Armata e zona Carnia.
Le osservazioni che la Commissione espone a pag. 66 e 61
sul collegamento fra II Armata e zona Carnia sarebbero di gran
valore se il Comando Supremo avesse dovuto prevedere il rapidissimo sfondamento di successive linee difensive, talune delle
quali veramente formidabili. Siamo sempre alla solita questione fondamentale : poteva e doveva il Comando Supremo prevedere tal fatto e su di esso regolare le sue disposizioni? Ma, in
qualunque schieramento difensivo, se non si fa assegnamento su
un minimo di resistenza delle sue varie parti, nessuna concezione è attuabile: né l'accorrere di riserve per tamponare
121
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
affatto unilaterale, esprime un giudizio che non ha alcun serio
fondamento: essa mi rimprovera evidentemente la mancata
« profetica visione dell'avvenire » !
5. - Scaglionamento dei magazzini e dei depositi.
Dopo la solita esposizione delle « molte e vivaci critiche »
(pag. 252) la Commissione scrive quanto segue a pag. 255 :
La Commissione ritiene che le giustificazioni ora accennate non
siano sufficienti ad escludere che l'addensamento dei rifornimenti
verso le prime linee avrebbe potuto essere in molti casi attenuato se
nei ci04isi
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
ricevuto sviluppo, in certa guisa, ipertrofico. In ogni modo, riandando gli avvenimenti, si rileva che nel 1915 e in parte nel
1916 gli stabilimenti d'intendenza erano proiettati piuttosto
avanti, proiezione necessaria per alimentare le indeclinabili esigenze dell'apparecchio offensivo. Nella seconda metà del 1916
e nel 1917 le intendenze d'armata e l'intendenza generale, reagendo contro la costante tendenza dei corpi d'armata di aver
tutto sottomano — tendenza che si traduceva in pratica nella
costituzione di depositi di corpo d'armata — valendosi delle
migliorate condizioni della rete ferroviaria e dei cresciuti mezzi automobilistici, riuscirono ad attuare un maggior scaglionamento in profondità dei servizi, tanto che nell'estate del 1917
l'assetto logistico rappresentava — circa lo scaglionamento —
la soluzione limite al di là della quale non, era possibile andare
senza porre i servizi in crisi e lasciare in sofferenza le richieste
delle armate operanti. A riprova di questo asserto non c'è che
da accertare se in quel periodo siasi verificato un insufficiente
sfruttamento ferroviario o siano stati tenuti autocarri inutilizzati. Nel fatto non risultò che l'intendenza generale avesse mai
invitato le intendenze d'armata ad arretrare maggiormente gli
stabilimenti; e si spiega, dato che l'intendenza generale non
ignorava l'inopportunità del provvedimento che avrebbe compromesso la funzionalità logistica dell'esercito.
Bastano questi pochi cenni per provare che non era possibile collocare i magazzini in posizioni più arretrate. Del resto,
per metterli al sicuro da qualsiasi eventualità si sarebbero dovuti dislocare dietro il Po ed il Mincio. E io domando: i nostri magazzini, prima di Vittorio Veneto, pur quando la fronte
si era tanto arretrata, erano forse scaglionati dietro il Po ed il
Mincio? Ed i magazzini germanici, mentre la fronte era stabilizzata nel territorio francese, si trovavano forse dietro il Reno?
Sul nostro bollettino di guerra n. 1262 del 1° novembre
1918, dopo Vittorio Veneto, sta scritto: « Il bottino è immenso; il suo valore potrà essere valutato in miliardi ». Non pare
adunque che neppure gli Austriaci abbiano pensato a dislocare
i loro magazzini dietro le Alpi! E neanche sarebbe bastato!
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
125
6. - Avvenimenti nel Trentino nel 1916.
Esaurita così la trattazione delle critiche di secondaria importanza, passo a quella di assai maggior rilievo relativa agli
avvenimenti del Trentino del 1916.
Nel capitolo I ho riferito la protesta da me inviata al Governo per le critiche che la Commissione di inchiesta mi rivolse su questo e su altri argomenti, senza neppure avermi interrogato. In quella protesta si parla di una memoria da me inviata il 7 giugno 1918 all'on. Orlando, allora presidente del
Consiglio dei ministri, in risposta al comunicatomi verbale della Commissione dei generali ed ufficiali superiori esonerati, la
quale proponeva l'annullamento del decreto col quale era stato
collocato a riposo il generale Roberto Brusati. Giudico ora opportuno pubblicare integralmente parte di questa mia memoria, la quale, insieme a ciò che ho scritto nel capitolo V del
libro La guerra alla fronte italiana, porta molta luce sugli avvenimenti del Trentino ed espone particolari che non potevano trovar posto in quello stesso capitolo V. Non posso
pubblicare anche il verbale della Commissione Mazza, al quale
la memoria risponde, perché esso mi fu inviata in via personale con obbligo di restituzione; ma dal contesto della mia risposta e da qualche nota che vi ho aggiunto il lettore può comprendere ciò che in quel verbale è detto.
Roma, 7 giugno 1918
A Sua Eccellenza il prof. V. E. Orlando
Presidente del Consiglio dei ministri
Note sul verbale redatto dalla Commissione ministeriale
consultiva di revisione riguardante S. E. il tenente generale cav.
Roberto Brusati.
II - Operazioni della 1 Armata durante il primo anno di guerra.
Concordo che il generale Brusati abbia nei primi mesi della
guerra portato con fortunate operazioni la nostra occupazione in
126
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
127
territorio nemico. Con questa condotta egli non fece che attuare le
mie direttive del 15 aprile 1915 confermate dal mio telegramma
del 22 maggio contenente le istruzioni dell'ultima ora; direttive ed
istruzioni che miravano a portare tutto l'esercito di là della frontiera
nell'intento di restringere la fronte verso il Trentino ed occuparvi
forti posizioni difensive atte ad economizzare forze e a meglio coprire le spalle dell'esercito operante sulla fronte Giulia. E di questi
primi successi non ho mancato infatti di tributargli lode.
Il mandato della I Armata era strategicamente difensivo; offensivo solo nell'ambito tattico ma subordinatamente alla condizione
che l'attività offensiva mirasse ad un reale miglioramento della situazione difensiva.1)
Di quest'ultima condizione che era fondamentale, non tenne mai
conto il generale Brusati nell'ulteriore sviluppo delle operazioni. Questo fu il suo errore originario ed è bene stabilirlo subito.
Egli, mal rassegnandosi al compito puramente difensivo — compito che a torto giudicava troppo modesto, — tentò sempre di spingersi avanti alla ricerca di facili e insignificanti successi, fine a se
stessi, e del tutto in disarmonia con la missione strategica assegnata
all'Armata. Conseguenza di tale sua errata concezione fu che l'attacco
austriaco nel 1916 si dovette sostenere non sulle linee che il buon
criterio tattico e fortificatorio suggeriva come le più idonee alla
difesa, ma su posizioni più avanzate di assai minor valore difensivo,
a cui avevano condotto gli sterili progressi locali della I Armata e per
le organizzazioni delle quali erano stati dispersi materiali e mano
d'opera sottratti ad altri lavori più importanti e più urgenti.
Questo si verificò soprattutto in Val Lagarina e in Val Sugana; e
se lo stesso non accadde sull'altipiano dei Sette Comuni fu perché le
fortificazioni nemiche dell'altipiano di Lavarone arrestarono definitivamente le infruttuose avanzate parziali dell'Armata; ma lo schieramento delle artiglierie vi rimase con caratteristiche offensive, causando
la perdita della quasi totalità di esse e sottraendole alla difesa delle
linee arretrate, fra le quali la fortissima posizione delle Portule.
era in grado di giudicare con giusto criterio di relatività dei bisogni
delle armate e di ripartire fra esse i mezzi, proporzionatamente agli
scopi.1) Il generale Brusati è però responsabile di aver impiegato male i
mezzi messi a sua disposizione, tanto più in quanto la scarsezza di essi
avrebbe dovuto consigliargli un'amministrazione oculata e delle più
parsimoniose; ma, ripeto, la inconsiderata tendenza a proiettare la propria fronte più innanzi di quanto il compito strategico assegnatogli
richiedesse e le caratteristiche del terreno consigliassero lo indusse a
spendere e a trascurare quelle retrostanti che pur segnavano i cardini
della difesa.
Così in Val Sugana diede largo sviluppo alla estesa è debole linea
Armentera-Salubio, mentre lasciò assai scarsamente munita quella retrostante di Tesino di gran lunga più forte. Su quest'ultima, alla fine
di aprile, io, ispezionando la zona, ordinai di spingere alacremente i
lavori e di predisporvi la difesa ad oltranza, mentre alla linea Armentera-Salubio assegnai puramente la funzione di difesa avanzata.
Analogamente in Val Lagarina si lavorò molto sulle infelicissime
posizioni del solco Loppio-Mori e di Castel Dante, a facile portata
dei cannoni nemici del Biaena e del Finocchio, e non fu fortificata
la retrostante posizione del Zugna, uno dei pilastri, ove — come
è noto — si imperniò e si svolse la difesa della valle.
Vi sono nell'archivio del Comando Supremo alcune mie lettere
con osservazioni molto severe, frutto della mia visita al fronte della
I Armata eseguita negli ultimi giorni di aprile e nei primi di maggio 1916. Questa visita attesta come io mi preoccupassi della offensiva austriaca pur ritenendola, per le ragioni che spiegherò in seguito,
poco probabile.
Aggiungo che fin dall'11 giugno 1915 io rivolsi la mia attenzione
alla difesa di seconda linea dell'altopiano di Asiago ed ordinai la costruzione di una linea che dalla Bocchetta di Portule svolgendosi pel
contrafforte di sinistra dell'Assa andasse ad appoggiarsi al forte di
punta Corbin.2)
Di questa linea non esistevano nel maggio 1916, ossia a quasi
un anno di distanza dal momento in cui era stata ordinata, che pochi
III - Sistemazione difensiva della zona alla I Armata.
I mezzi furono scarsi alla I Armata come lo furono ovunque in
quel primo anno di guerra in cui il nostro apparecchio militare era
ben lungi dal grado di efficienza che raggiunse negli anni successivi.
D'altra parte il gen. Brusati, comandante di una armata, non era, né
poteva essere, giudice competente dei bisogni delle altre. Il suo apprezzamento quindi pecca di unilateralità; solo il Comando Supremo
1) Questo concetto fondamentale è ampiamente illustrato e documentato
nel capitolo V del mio libro: La guerra alla fronte italiana.
1
) Il comandante della I Armata si era lagnato che i mezzi a sua disposizione erano scarsi e che erano andati soggetti ad una continua diminuzione
da parte del Comando Supremo, nel primo anno di guerra, benché il Comando
d'Armata chiedesse con insistenza che fossero aumentati.
2
)A pag. 83 della relazione, la Commissione d'inchiesta dice: « ...e linee
che pei lavori eseguiti si sarebbero ritenute inespugnabili come quelle delle
Portule ». La Commissione era bene informata e questa è un'altra prova della
leggerezza con cui la Commissione giudicava e condannava, senza avermi interrogato. La linea delle Portule è quasi inespugnabile per natura, ma non lo
era nei lavori eseguiti, perché non ce n'era quasi. Non c'è che andare a vedere
per convincersene.
128
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
e brevi elementi a cavallo delle strade.1) Anche questa omissione, che
ebbe gravissime ripercussioni nelle vicende della battaglia, fu causata dall'aver dispersi i mezzi lavorativi sulle prime linee, su fronti
che per l'instabilità loro non consentivano un solido e definitivo assetto fortificatorio.
La relazione sull'inchiesta che, in seguito a mio ordine, il generale Pecori-Giraldi condusse sugli avvenimenti del maggio-giugno 1916 contiene al riguardo osservazioni e conclusioni di grande
interesse.
Mi consta che il gen. Brusati non era abbastanza attivo, percorreva poco il fronte e per lunghi periodi non si moveva da Verona,
sua sede di Comando. Circa la sua azione personale in questo campo
molto può dire il gen. Zoppi che aveva giurisdizione di comando nel settore dal Lago di Garda alla Val Sugana; le dichiarazioni chef fece a
me allorché il gen. Brusati lasciò l'Armata in seguito all'esonero, e che
egli certo oggi ricorda, potrebbero fornire al riguardo elementi di giudizio della maggior importanza
<< procurato di attuare un'adeguata sistemazione difensiva del terreno », asserzione che la Commissione fa arbitrariamente e che risulta
in aperto contrasto coi fatti specifici e incontestabili da me citati.
IV - Scarsità dei mezzi posti a disposizione del Comando della I Armata.
Le esplicite dichiarazioni dei generali circa la scarsità dei mezzi
— dichiarazioni che la Commissione cita a sostegno delle sue argomentazioni — sono del tutto fuori proposito. Ed invero io non feci carico al gen. Brusati di aver fortificato poco la fronte della I Armata,
ma sibbene di averla fortificata male, ossia impiegando male, senza
alcun criterio difensivo, i mezzi che gli erano stati assegnati, organizzando linee di nessun valore, votate, per ragioni di distanza, a facile
distruzione per opera dell'artiglieria nemica, e trascurando invece la
travatura maestra della difesa e cioè l'organizzazione delle posizioni
ove l'Armata avrebbe dovuto resistere ad oltranza ed assolvere il suo
compito strategico fondamentale di fronte ad un attacco nemico.
Non si tratta quindi — ed è questo punto da precisare una volta
per sempre — dell'entità dei lavori compiuti, nel qual caso solo sarebbe valida attenuante la scarsità dei mezzi, ma della specie dei lavori
compiuti. E il fatto stesso che si sia lavorato dimostra all'evidenza che
i mezzi non fecero difetto.
Le dichiarazioni quindi dei generali Carbone, Angelozzi, Angeli, a
cui la Commissione si appoggia, sono estranee alla questione, non scagionano in alcun modo il gen. Brusati delle specifiche responsabilità
imputategli, né, tanto meno, giustificano l'asserzione che egli avesse.
1) In realtà constatai in seguito che erano stati eseguiti lavori difensivi
in misura alquanto superiore di quella ora accennata; ma essi erano ben lungi
dal corrispondere allo scopo.
129
V - Scarsità delle truppe.
Né maggior valore ha l'elenco dei reparti sottratti alla I Armata.
Nei primi g e n 0
T c (
d ) a a 3 . 4 5 9
T w 0 . 3 0 9
T c i j
130
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
VI - Resistenza delle linee difensive.
La prima linea dell'altopiano dei Sette Comuni resistette effettivamente dal 15 al 21 maggio 1) ma è necessario tener conto della circostanza che essa non fu attaccata in forze e a fondo che il 21 maggio,
giorno in cui cedette.
D'altra parte, tale temporanea resistenza era il meno che si potesse attendere da una zona fortificata contro la quale si esercitava
una non intensa pressione nemica. E, ripeto, era l'unica zona organizzata a detrimento di quelle retrostanti, naturalmente più forti e capaci di assicurare l'inviolabilità della fronte. La citazione quindi non
mi sembra affatto probatoria. Né maggiormente lo è, per la tesi sostenuta dalla Commissione, l'altra citazione relativa alla Val Sugana.
Quivi la difesa fu fortissima perché fortissimo era il terreno e perché si svolse sulle linee da me ordinate alla fine di, aprile e secondo
le direttive da me impartite al generale Etna.
Quanto alla lettera del generale Camicia, essa è così imprecisa e
vaga che non può essere presa in nessuna considerazione. Non è certo
con frasi generiche e sensazionali che si possono discutere questioni di
tanta importanza. Circa gli apprezzamenti che egli attribuisce al generale Zoppi, mi limito a constatare che sono in assoluta contraddizione
con le dichiarazioni che lo stesso generale ebbe a farmi nel maggio 1916.
VII - L'incredulità del generale Cadorna intorno ad una seria offensiva
nemica nel Trentino.
E' del tutto destituito di fondamento che io, fin da quando erano
in corso i preparativi per la nostra entrata in guerra, non credessi alla
probabilità di un'offensiva austriaca per il Trentino. Per attribuirmi
tale incredulità bisognerebbe ammettere che io ignorassi che la fronte
trentina era la più minacciosa per noi. Lascio a V. E. di giudicare
se ciò sia verosimile. Di improbabilità ho parlato in una lettera diretta
nel maggio 1915 al generale Brusati; 2) ma, si noti, di improbabilità che
il nemico accumulasse forze notevolmente superiori contro la I Ar1
) Era stata citata tale resistenza a prova dei lavori fatti sulla prima linea
dell'Altopiano di Asiago.
2
) Ecco la lettera, che è del 2 maggio 1915 : « Caro Brusati,
3° l'assoluta improbabilità che il nemico accumuli forze notevolmente superiori in
un'azione offensiva divergente contro di te. Che se, nel primo tempo, finché
non si sviluppi l'azione della IV Armata, questo caso si verificasse, io volerei
in tuo soccorso, disponendo nel triangolo Lonato-Padova-Sacile di ben otto divisioni
Tuo aff.mo L. Cadorna ». Evidentemente quell'assoluta improbabilità
si riferiva al momento in cui scrivevo. E, ciò malgrado, prevedevo il possibile
caso di un attacco nemico ed avvertivo che sarei volato in soccorso della I Armata con ben otto divisioni. Quali deduzioni false si son volute tirare da questa semplice lettera privata!
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
1131
mata. E questo giudizio si appoggiava alle vicende militari in cui allora era impegnata l'Austria sulla fronte orientale.
E passando dal campo degli apprezzamenti a quello dei fatti, ricordo che contrasta, e smentisce l'ipotesi della « mia incredulità » l'aver
io lasciato nello schieramento iniziale dell'esercito sulla fronte Tridentina
ben 7 Divisioni in riserva (XIII e XIV Corpo presso il lago di Garda
e 16a Divisione a Bassano).
Riconosco invece che nell'aprile e nel principio di maggio del
1916, guidato dal principio, fondamentale dell'arte della guerra, di attribuire al nemico divisamenti logici e razionali e non' propositi stolti
e fallaci, non credevo ad un'offensiva austriaca per il Trentino.
Come potevo credere infatti che, nell'imminenza della grande offensiva del generale Brussilof — nota a noi e al nemico, — il Comando austriaco avrebbe sguernito, oltre ogni limite di sicurezza, il
fronte orientale per concentrare contro di noi una massa offensiva che,
malgrado ogni sforzo, sarebbe risultata inadeguata ad obiettivi strategici?
E non c'è bisogno di ricordare che i fatti hanno pienamente giustificato il mio apprezzamento, dato che l'Austria toccò in Volinia una
sconfitta senza precedenti e che in Italia la « spedizione punitiva »,
mal concepita per evidente sproporzione fra scopi e mezzi e peggio
attuata, condusse ad uno scacco in cui fu anche travolto il generale
Dankl, cui l'operazione era stata affidata.
E, in ogni modo, il credere o non credere è questione che potrà
essere discussa in sede dottrinaria, ma non può in alcuna maniera formare oggetto — come la Commissione fa al capo VII — di un capo
d'accusa, soprattutto quando il non credere non mi ha menomamente
distolto dal provvedere in tutto e per tutto come se credessi.
E questo feci perché la mia incredulità non invadeva il campo
pratico delle possibilità (fra le quali sono da includere gli errori del
nemico), ma rimaneva circoscritta a quello assai più astratto delle probabilità.
Infatti, fin dagli ultimi di marzo, ai primi sintomi concreti di
concentramento di truppe nemiche verso il Trentino, io mandavo da
Londra istruzioni telegrafiche al generale Brusati circa il contegno
della difesa in alcune valli, nell'eventualità di attacco nemico.
In seguito, a partire dai primi di aprile e durante il mese, delineandosi maggiormente le probabilità offensive, io, di mìa iniziativa,
e cioè senza che il generale Brusati ne facesse richiesta, presi i seguenti principali provvedimenti:
a) invio alla I Armata di tre brigate di nuova formazione (Taro,
Jonio, Lambro);
b) trasporto dalla fronte Giulia a quella Tridentina della 9a e
10a divisione;
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
c) costituzione presso Marostica di un raggruppamento alpino di
10 battaglioni (di cui 3 soli da trarsi dalla I Armata) e di 6 batterie
da montagna 1) ;
d) radunata del X e XIV Corpo e 27a Divisione presso il Tagliamene pronti ad essere trasportati in Trentino al primo cenno;
e) assegnazione alla I Armata di un nucleo di 18 batterie di medio calibro, mobili e potenti, e costituzione di un secondo nucleo di
10 batterie, con eguali caratteristiche, da inviarsi in un secondo tempo;
f) istruzioni all'intendente generale, in data 18 aprile, per i provvedimenti di sua spettanza in vista di operazioni nemiche nella regione Val Lagarina, Altipiani, Valsugana; operazioni che io segnalavo
all'intendente medesimo come assai probabili.
E il generale Brusati con lettera degli ultimi di aprile o dei primi
di maggio mi dichiarava che, in seguito a questi provvedimenti, egli
si sentiva in grado di fronteggiare qualsiasi eventualità.1)
Ed infatti mercé l'attuazione dei provvedimenti stessi alla data
del 20 maggio si ebbero in Trentino, dal Garda alla Valsugana, contro 188 battaglioni nemici (compresi gli Standesschutzen e i territoriali) 250 battaglioni nostri.
Concludendo, bastano i fatti da me citati, basta la dichiarazione
del generale Brusati, per far crollare tutto l'edificio defensionale che
la Commissione ha cercato di creare sulla così detta «mia incredulità» e delle presunte, e non solamente presunte, inadeguate provvidenze del Comando Supremo in vista dell'offensiva austriaca.
132
1
) Io scrivevo a memoria e sono incorso in inesattezze. Più esattamente,
la fronte tridentina fu rinforzata con 82 battaglioni, dei quali 24 furono richiesti dal generale Brusati e 58 inviati di mia iniziativa, come ho dimostrato
nel capitolo V del libro: La guerra alla fronte italiana.
Sono sufficienti questi dati di fatto per dimostrare la completa malafede
di certi autori, i quali, mossi da rancore personale, hanno su questo e su
moltissimi altri argomenti interamente falsato la verità. E così nel caso dell'attacco del Trentino, allo scopo di voler trovare ad ogni costo una imprevidenza
per parte mia che non esiste, si disse: I° che quando si tratta di azione che
può ripercuotersi su tutto lo schieramento dell'esercito tutti i provvedimenti
per farvi fronte sono di competenza del Comando Supremo, il quale non può
trincerarsi dietro un'affermazione del comandante dell'armata; 2° che non mi
ero costituito una riserva generale; 3° che nell'imminenza dell'attacco io pensavo a dividere le forze attaccando sull'Isonzo.
Relativamente alla prima osservazione dirò che essa è giustissima. E difatti io mi sono così poco basato sulle dichiarazioni del comandante dell'armata (vedi la nota alla pagina seguente) che non mi accontentai di aderire
alla sua richiesta di 24 battaglioni, ma ne aggiunsi di mia iniziativa altri 58,
corrispondenti a circa cinque divisioni. Se neppure queste truppe si dimostrarono sufficienti ad impedire gli scacchi dei primi giorni, lo si deve attribuire
alle cause da me enumerate a pag. 236-240 del vol. I del mio libro: la guerra
alla fronte italiana, cause che nessuno ha potuto smentire.
La seconda affermazione è falsa. La riserva generale era costituita dalle
sette divisioni che si trovavano sul Tagliamento e che costituivano riserva anche per la fronte dell'Isonzo. Tale riserva fu immediatamente trasportata sulla
fronte Trentina al delinearsi dei primi insuccessi. Essa non aveva nulla a che
fare con la V Armata, la cui costituzione fu deliberata il 20 maggio per le ragioni che sono ampiamente esposte nel capitolo V della suddetta mia opera.
Quanto alla terza affermazione, essa è pure falsa. Ho bensì continuato a
dare, anche durante l'offensiva austriaca, le disposizioni per la ripresa offensiva sull'Isonzo, da effettuarsi appena le circostanze l'avessero consentito, e
ciò dimostra appunto la certezza in me di respingere l'offensiva nemica; ma
non poteva venirmi in mente di effettuare l'offensiva sull'Isonzo dopo aver
trasportato verso il Trentino 82 battaglioni e tutte le artiglierie disponibili,
avendo lasciato sulla fronte Giulia le sole artiglierie necessarie alla sua difesa.
Tutto ciò risulta ampiamente dalla mia pubblicazione più volte citata, e ci
vuole una forte dose di malafede per asserire il contrario.
VIII
133
- Comandanti e truppe durante l'offensiva.
Premetto che tutto quanto è detto in questo capo, non solo è
estraneo all'opera del generale Brusati, che già aveva lasciato il comando, ma altresì esorbita dalla competenza della Commissione che
evidentemente non è stata convocata dal Ministero per inquirire sugli avvenimenti di guerra del maggio-giugno 1916.
Tuttavia rilevo:
a) La insufficiente resistenza di taluni reparti non può farsi risalire, come la Commissione stima, alla « minacciosa situazione determinatasi all'improvviso di fronte al poderoso e travolgente attacco nemico, cui non si era a tempo ed adeguatamente provveduto, al Comando Supremo, col mettere a disposizione della I Armata forze adatte
e sufficienti per respingere vittoriosamente un'offensiva così ben preparata. » E' ragionamento alquanto tortuoso e, quel che è più, poco
fondato, perché, come sopra ho detto, la I Armata era stata rinforzata e a giudizio dello stesso generale Brusati in misura sufficiente.
D'altro canto, l'essersi alcune truppe battute assai bene, altre
meno bene, altre ancora non essersi battute affatto, come al Col Santo
abbandonato senza combattere 2 ), non è certo dovuto al «travolgente
attacco nemico», né a mancati provvedimenti del Comando Supremo,
1) Io scrivevo a memoria non avendo i documenti. Debbo ora rettificare:
la lettera del comandante della I Armata è invece del 6 aprile, e le precise
parole sono riferite nel capitolo V del citato mio libro (pag. 194, Vol. I). E
le ripeto : « Le nuove riserve per l'intero V Corpo d'Armata, costituite, ecc
permettono di considerare con piena fiducia, nell'interesse generale delle operazioni, anche il caso a noi più sfavorevole, quello cioè in cui l'avversario, continuando a riunire forze e mezzi sugli altipiani, tentasse di sfondare la nostra
linea in questo tratto, sussidiato da azioni concorrenti per le valli Lagarina e
Sugana ». Il generale Brusati non poteva essere più preciso. Questo egli scriveva fin dal 6 aprile, e dopo d'allora il Comando Supremo prese altri provvedimenti. E ora si ripete ancora che ho peccato di imprevidenza per non
«vere aderito alle richieste del generale Brusati!
2
) Il Col Santo era occupato da alcuni battaglioni di milizia territoriale.
134
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
fattori l'uno e l'altro, che, in ogni modo, avrebbero dovuto influire
nello stesso senso su tutta la fronte.
b) Il « tumultuario gettito » nella battaglia di truppe affluenti all'altopiano di Asiago è dipeso dal rapido e imprevedibile sfondamento
delle seconde e terze linee, la cui organizzazione, — come più volte ho
detto — il generale Brusati, erroneamente attratto dalle prime linee, aveva del tutto trascurato.
Soggiungo che, in simili casi, gli arrivi di truppe non possono
essere che tumultuari, se con ciò s'intende indicare la, pressante urgenza
di trasporti e quindi i disordinati arrivi. E tumultuari furono certo
gli spostamenti di truppe francesi, che pure hanno valso a chiudere la
grave falla apertasi nel marzo di quest'anno sulla Somme.
Ma, tumultuario o non, questo gettito di nuove forze ha salvato una situazione di estrema gravità, arrestando e respingendo l'invasore e rendendo possibile la nostra controffensiva del giugno. E
l'aver ristabilito una situazione cosi compromessa, malgrado l'inevitabile tumultuarietà dell'intervento di nuove forze e il conseguente
cambiamento dei capi, pare che dovrebbe essere ascritto a merito e
non a demerito di chi, portando il peso di una grande responsabilità,
non perdette un minuto e ricorse in quei frangenti a mezzi della
maggiore energia.
Tutte cose del resto che trovarono pieno ed unanime riconoscimento in coloro che in quei memorandi avvenimenti sono stati testimoni ed attori, o che anche da lontano li hanno vissuti e compresi.
E alla Commissione che, investendosi di poteri arbitrari e priva
dei necessari elementi di giudizio, muove critica al mio operato, io,
nella mia fiera coscienza di soldato, rispondo che la pronta radunata
di una forte armata di riserva nella pianura vicentina, effettuatasi
come le esigenze della battaglia imponevano, in piccola parte per autocarri e per la maggior parte con ben studiato movimento logistico ordinario e ferroviario, fu una delle più riuscite manovre della guerra.
E per tale fu da tutti riconosciuta in Italia e all'estero.
Il provvedimento di esonero porta invece la data dell'8 maggio
e fu preso in seguito alla visita alla fronte della I Armata da me compiuta fra gli ultimi di aprile e i primi di maggio.
Quella visita, oltre ad avermi dato occasione di constatare la mancata comprensione da parte del generale Brusati del mandato strategico
assegnato all'Armata ed i molti gravi errori che egli aveva commesso
nell'organizzazione difensiva della fronte, mi aveva fatto persuaso
che la sua azione di comando, che era stata così manchevole in passato
e che anche in quei giorni si informava ad un sistematico decentramento e ad una persistente rinunzia ad ogni intervento personale e diretto, non dava nessun affidamento di poter fronteggiare gli avvenimenti che sfavatisi preparando.
Basta ricordare che tutta l'estesissima zona dal lago di Garda
alla Valle Sugana — suddivisa da valli e da contrafforti in individualità
topografiche ben distinte — il generale Brusati aveva affidato al generale Zoppi comandante il V Corpo d'Armata, nell'esclusivo scopo
di avere alla sua diretta dipendenza due soli comandi, quello del III,
a occidente del lago di Garda, e quello del V ad oriente. Conseguenza di questa partizione semplicista e sommaria della fronte
fu che il comandante del settore Val Lagarina, che risiedeva ad Ala,
invece di far capo a Verona al Comando dell'Armata, dal quale in origine dipendeva direttamente, doveva, per conferire col generale Zoppi,
suo superiore immediato, trasferirsi con lungo viaggio a Thiene. Perciò fra le provvidenze da me prese in vista della possibile offensiva
nemica vi fu anche quella di staccare il settore Val Lagarina dal V Corpo
d'Armata per rimetterlo alla diretta dipendenza del Comando dell'Armata.
e di costituire un Comando di corpo d'Armata in Val Sugana agli ordini
del generale Etna, pure alla diretta dipendenza del Comando dell'Armata.
Ebbene il generale Brusati ebbe la inconsideratezza di venire a propormi di mettere anche il Corpo d'armata Etna alle dipendenze del generale Zoppi, sotto il pretesto che questi aveva buona conoscenza
della zona! Non ho potuto esimermi dal chiedere al generale Brusati
come intendesse la funzione del comandante di armata, se anche all'azione diretta verso i comandi del corpo d'Armata egli rinunziava!
Chiedo a V. E. quale fiducia, dopo questo complesso di fatti e di circostanze, potevo io conservare in, lui? Preferii piuttosto di affrontare e
addossarmi le gravi preoccupazioni di un cambiamento di comando
alla vigilia dell'offensiva nemica, e molto ebbi a lodarmene. Aggiungo
che la sua sostituzione incontrò favore anche nell'Armata, presso la
quale il generale Brusati godeva di assai
IX - Esonero del generale Brusati e suo collocamento a riposo d'autorità.
La Commissione mi attribuisce divergenze di vedute rispetto al
generale Brusati, delle cui « incomode insistenze » avrei cercato dì
liberarmi proponendo l'esonero a S. M. il Re.
Nulla di più infondato e di meno vero di ciò; e ne è prova il
fatto che le così dette insistenze — se possono chiamarsi insistenze
gli apprezzamenti del comandante sulla situazione dell'armata — erano
cessate al solo annunzio delle misure in parte da me attuate in parte
solo predisposte, misure delle quali il generale Brusati erasi dichiarato soddisfatto.
135
136
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Queste parole, che racchiudono un'insinuazione partigiana e malevola, io sdegnosamente respingo.
Nessuno, proprio nessuno, può trovare in tutta la mia carriera, e
durante la guerra in ispecie, un fatto solo nel quale io non abbia assunto intera la responsabilità che mi competeva. 1)
Ricordo, ed esistono i documenti negli archivi della presidenza
del Consiglio, che nei giorni più gravi dell'offensiva austriaca S. E.
Salandra mi propose un convegno a Padova cui sarebbero dovuti intervenire alcuni ministri e i comandanti di armata. Si trattava, evidentemente, più che di un convegno, di un vero Consiglio di
guerra e mi sarebbe stato facile, accettandolo, di dividere con altri
le alte responsabilità del momento. Ma in tutta la campagna io non
ho mai riunito un Consiglio di guerra, e mi sarebbe parso di offendere me stesso se l'avessi subito in quella circostanza. Risposi, pertanto, telegraficamente, che mi doleva di non poter accogliere la proposta; che i Consigli di guerra non servivano che a spartire le responsabilità ed indurre in tentennamenti, quando invece l'incalzare
degli avvenimenti esigeva fulminee decisioni; che finché avevo l'onore di possedere la fiducia di S. M. il Re e del Governo la responsabilità era mia e l'assumevo piena e completa; che se tale sfiducia fosse
comunque menomata, pregavo di sostituirmi di urgenza. 2 )
Ora io chiedo, a tutela del mio patrimonio morale, se questo
linguaggio poteva essere tenuto dalla stessa persona che in quei medesimi giorni avrebbe cercato — secondo il giudizio della Commissione — di addossare pavidamente ad altri la responsabilità propria!
I motivi del collocamento a riposo del generale Brasati sono
1) Questo fatto è ampiamente confermato in molti luoghi della stessa
relazione della Commissione d'inchiesta. Dal discorso del generale Di Giorgio
del 12 settembre 1919 alla Camera dei deputati, discutendosi l'inchiesta per
Caporetto, tolgo queste parole: «
quest'uomo che con eroico disinteresse
si accolla tutte le responsabilità, ed anche quelle che non gli spettano; che affronta tutti i rancori, che semina attorno a sé, senza misurarli, gli odi, lo
sguardo sempre intento alla sua missione, l'anima sempre tesa verso la vittoria, con una volontà così inflessibile che nessuna avversità, che nessuna difficoltà fa tentennare... »
2
) Di questo telegramma ho discorso nel capitolo V (pag. 228 vol. I) del
più volte citato mio libro.
Non ho mai, durante la guerra, tenuto né ammesso che si tenesse un
Consiglio di guerra. La responsabilità essendo mia, io solo dovevo comandare
con piena libertà d'azione. Non cosi si fece dopo la mia sostituzione nel Comando ed allora diventarono frequenti le riunioni di generali con l'intervento
dell'on. Orlando, capo del Governo, e di altri ministri. Ricordo quanto mi
disse l'on. Orlando in un giorno della seconda quindicina di novembre a Roma,
cioè che era stato stabilito al fronte un sistema che io non avrei accettato. Era
questa la maggior prova di stima che egli mi potesse dare, e io mi limitai a
rispondere: « Ma certamente! »
Tale sistema di intromissione degli uomini politici nelle operazioni mi-
137
quelli manifestamente risultanti dalla mia lettera del 21 maggio che
il Consiglio dei ministri — certo dopo un ponderato esame — ha
accolto. Il ricercarne altri, tanto più se lesivi della mia personalità,
è cosa del tutto arbitraria e indegna.
Per queste ragioni non posso che deplorare vivamente il giudizio contenuto nelle frasi che ho riportate, giudizio a cui la Commissione — come V. E. acutamente ha rilevato — è giunta con una
procedura delle più unilaterali e perfino prescindendo dagli schiarimenti che, qualora richiesto, avrebbe potuto fornire il generale Porro,
il quale originariamente era stato nominato membro consultivo della
Commissione medesima, appunto perché il Comando Supremo vi
fosse, all'occorrenza, rappresentato.
Infine, quanto al modo con cui fu data pubblicità al provvedimento del collocamento a riposo, me ne rammarico molto, come
assai mi dolgo delle tristi conseguenze che esso ha avuto.
A parte le deficienze di ordine militare (che ha dimostrato),
ritengo il generale Brasati persona retta e degna di ogni rispetto,
e io, che gli ero legato da più che cinquantenne consuetudine di
amicizia, fui il primo ad addolorarmi del provvedimento che lo colpiva. Ma chi può impedire, in questi casi, l'ignobile scatenarsi delle
più vili calunnie? V. E. sa che io stesso ne ho fatto recente esperienza,
quando fui esposto ai più bassi attacchi denigratori nello stesso Parlamento.
E pertanto non desidero nulla di meglio che il Governo —
ferme restando le sanzioni punitive che consapévolmente ha decretato a carico del generale Brasati per il suo operato anteriore all'offensiva austriaca — trovi il modo di compiere, sia pure a tanta
distanza dagli avvenimenti, un qualunque atto che valga; a difendere
il generale Brusati contro la malevola e calunniosa campagna che lo
ha colpito nella sua onorabilità.
Conclusione.
La conclusione, al pari della premessa — ove già prima di esaminare la questione si qualifica il provvedimento riflettente il generale Brusati «eccezionalmente rigoroso», — attesta in modo palese
litari non diede nel caso nostro risultati fatali perché dopo il nostro arresto
alla Piave la guerra cessò di essere dinamica come era stata prima e diventò
statica e soprattutto perché l'esercito austro-ungarico era maturo per il crollo,
maturità prodotta soprattutto dai 30 precedenti mesi di guerra offensiva, come
risulta anche dalla lettera del barone Czernin pubblicata nel capitolo II. Ma
se, per queste ragioni, non si son viste questa volta le pessime conseguenze di
un tal sistema, non si creda di dedurne di poterlo ripetere un'altra volta impunemente, perché le conseguenze potrebbero essere terribili, come tutta la
storia dimostra.
138
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
come la Commissione abbia condotto tutta la indagine con uno spirito preconcetto e unilaterale, anziché con quella illuminata valutazione dei fatti e quella assoluta obiettività di giudizio che in simili casi non debbono mancare.
Dal canto mio, mi limito a rilevare che la Commissione, mentre non ha dimostrato che gli addebiti specifici fatti al generale Brusati, quali l'inadempienza del mandato strategico, la errata sistemazione difensiva — insisto: errata, non scarsa, — la rinunzia all'azione
di comando, erano insussistenti, si è avventurata in illazioni altrettanto arbitrarie quanto infondate su quella che sarebbe stata la resistenza dell'Armata se il generale Brasati avesse conservato il comando 1). Tutto ciò giustifica il dubbio che la Commissione anziché
esaminare, come era suo obbligo, la condotta del generale Brasati durante l'esercizio del suo comando, e cioè fino all' 8 maggio, e confermare gli addebiti mossigli o scagionarnelo, non si sia invece prefissa
di porre in istato d'accusa il Comando Supremo, estendendo di suo
arbitrio e senza nessuna competenza i suoi poteri fino ad inquirire
sugli avvenimenti svoltisi nel Trentino nel maggio-giugno 1916.2)
Mi sia infine consentito di rilevare come la Commissione, con
questa assoluta incomprensione che non sarà certo sfuggita all'alto
senno giuridico di V. E., si sia mostrata impari al mandato affidatole del Governo.
ra, generale Albricci, essendo egli stato capo di Stato Maggiore
della I Armata, prima col generale Brusati in precedenza dell'attacco austriaco, poi col generale Pecori-Giraldi durante il
medesimo attacco. Eppure egli non esitò ad apporre la sua
firma al decreto che annullava il collocamento a riposo del
generale Brusati, nello stesso tempo in cui collocava me a riposo : tanto gli opportunismi e le convenienze parlamentari hanno il sopravvento sulle superiori ragioni della giustizia! Era
quello stesso ministro che aveva offuscato le recenti glorie conquistate sui campi di Francia firmando l'obbrobrioso decreto
di amnistia pei disertori, perfino per quelli passati al nemico!
Fu questa la maggior vergogna di governo dell'Italia vittoriosa, vergogna che il Paese subì senza che una subitanea reazione divampasse: tanta fu la potenza del disfattismo, accresciutosi insidiosamente alle mie spalle durante la guerra, per
nefasta azione di partiti e per viltà di governo, minando la
compagine dell'esercito, e divampato più violento che mai nel
dopoguerra!
Generale L. CADORNA
139
# # *
I fatti e le circostanze esposti in questa memoria, nonché
nel capitolo V del citato mio libro, la Commissione d'inchiesta
non si curò di indagare limitandosi a sentenziare sulla fede della Commissione Mazza.
Ma tutte queste cose ben conosceva il ministro della Guer-
Debbo ancora rilevare alcuni punti della relazione della
Commissione, i quali non possono essere lasciati passare immuni da osservazioni.
1) Dice la Commissione che la prima resistenza contro l'urto nemico sarebbe stata più efficace e certamente meglio coordinata agli scopi da raggiungere, se fosse rimasto al comando dell'Armata il generale Brusati in un momento in cui la completa conoscenza del terreno, della situazione e delle
truppe avrebbe costituito un buon coefficiente per una buona e vigorosa difesa.
Non lo credo affatto. Il generale Pecori-Giraldi, successore del generale Brusati,
ha corrisposto nel modo migliore al difficile compito.
2
) La Commissione era presieduta dal generale Mazza, già comandante di
corpo d'armata, il quale da nove anni aveva lasciato il servizio attivo per raggiunto limite d'età; ed era composta del generale Barattieri di S. Pietro, esonerato dal comando di un corpo d'armata alla vigilia della guerra, e del generale Bonazzi già comandante del genio all'esercito mobilitato, ed al quale
la Commissione d'inchiesta dedica parole che non sono certamente lusinghiere
a pag. 85 della sua relazione. Ora è lecito domandare con quale diritto e con
quale autorità tale Commissione si erigeva a giudice del Comando Supremo
senza averne ricevuto il mandato!
9. - ...il generale Cadorna l'idea di errare non ebbe forse mai;
peccarono gli avvenimenti e perciò il nemico quando operarono in
modo diverso dalle sue previsioni. Allorché l'esito delle operazioni
non fu quale egli si riprometteva, egli ne cercò le ragioni — e la
Commissione crede cercasse in buona fede — sempre altrove, più
spesso nell'opera dei subordinati, talvolta nell'azione del Governo, raramente nelle forze del nemico, mai nei difetti e negli errori propri.
10. - Tale interpretazione dell'azione di comando del generale
Cadorna soccorre specialmente nei riguardi degli avvenimenti del
Trentino, fra le cui cause il generale Cadorna non ammise la imprevidenza propria, imprevidenza che apparve, per contro, evidente
al Governo del tempo e a molti uomini politici.
Dice la Commissione a pag. 10:
140
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
La prima parte di questa citazione non è che un complesso
di affermazioni, le quali, insieme a tante altre, dimostrano la
malevolenza che inspirava la Commissione verso di me, ma che
non sono confutabili essendo generiche e non accennandosi a
nessun fatto particolare, salvo poi quello del Trentino, in ordine
al quale il capitolo V del mio libro La guerra alla fronte italiana e la memoria precedentemente trascritta dicono qual valore abbia l'accusa, assunta proprio per dimostrare « specialmente » la verità delle prime generiche affermazioni! Quanto all'essere apparsa evidente la mia imprevidenza all'on. Salandra
e a molti uomini politici, io domando : che cosa ne sapevano l'on.
Salandra e i molti uomini politici del preciso svolgersi degli
avvenimenti e delle cause degli insuccessi dei primi giorni, quando, dopo trascorsi più di tre anni, perfino la Commissione d'inchiesta dà manifesta prova di non esserne informata? E se anche
li avessero conosciuti, quale competenza avevano per giudicarne, trattandosi di fatti esclusivamente militari? Né mai l'on.
Salandra mi diede segno di dubitare della mia preveggenza.
Dice subito dopo la relazione in quella stessa pag. 10 nella
quale — come nella successiva pag. 11 — la malevolenza spira
da ogni riga:
era tutta mia finché avevo l'onore di godere della fiducia di
S. M. il Re e del Governo, e che l'assumevo interamente, soggiungevo : « Se questa fiducia fosse venuta meno, prego sostituirmi colla massima urgenza. » Perché il Governo non prese
senz'altro atto della mia offerta? E perché, non avendo creduto di farlo, si è poi venuti a tacciarmi d'imprevidenza senza
poterla dimostrare?
L'on. Salandra né mi esonerò dal comando, né mi invitò a
dargli quelle spiegazioni che facilmente avrei potuto fornirgli:
preferì invece, pochi giorni dopo, di fare alla Camera un « chiaro accenno critico all'opera del generale Cadorna » (pag 10
della relazione) e subito cadde dal potere! 1)
A pag. 44 la relazione si diffonde a discorrere della mia
incredulità nell'offensiva austriaca. Di questo argomento ho ampiamente discorso e non vi ritornerei se in fondo alla stessa pagina 44 non si trovassero scritte queste parole:
Il proposito di esonerare dal comando il generale Cadorna per
la menomata fiducia in lui e per la di poi dimostrata (sic) sua imprevidenza fu evidente nel presidente del Consiglio Salandra, il quale ottenne pure, al riguardo, mandato di fiducia dal Consiglio dei ministri,
il 30 maggio 1916; ma egli non fece poi immediatamente seguire
al proposito la decisione, forse per non avere una crisi di comando, ecc....
Peccato davvero che l'on. Salandra non abbia dato esecuzione al suo proposito! Eppure io gliene avevo offerto il destro
col mio telegramma del 25 maggio (cinque soli giorni prima
del mandato del Consiglio dei ministri) riferito nel capitolo V
(pagg. 228-29 del voi. I) del mio precedente libro La guerra
alla fronte italiana, nel quale, dopo di essermi rifiutato ad un
proposto Consiglio di guerra ed aver detto che la responsabilità
141
Tutto ciò è sembrato opportuno ricordare con qualche diffusione, anche perché nel precedente dell'offensiva del Trentino taluno
ha voluto riscontrare, per quanto si riferisce alla incredulità sugli intendimenti offensivi del nemico e alla persistenza di un errore di valutazione del nemico che datava dall'inizio della guerra, notevoli
analogie con quanto si verificò per l'offensiva austro-germanica dell'ottobre 1917.
1
) Ecco le parole pronunziate dall'on. Salandra nella seduta del 10 giugno
1916 della Camera dei deputati: « Tali sfavorevoli condizioni resero possibili i primi innegabili successi dell'offensiva nemica. Giova tuttavia virilmente
riconoscere che difese meglio preparate l'avrebbero, se non altro, arrestato più
a lungo e più lungi dai margini della zona montana. » {Vive approvazioni.
Vivi e prolungati commenti. Interruzioni e rumori all'estrema sinistra).
A pag. 126 del suo libro I discorsi della guerra, nella nota 2 al discorso
del 10 giugno, l'on. Salandra dimostra, colla scorta del mio libro La guerra
alla fronte italiana (pag. 182-183, pag. 184, pag. 187), la verità della sua affermazione, e si dichiara poi incompetente a giudicare « a quale autorità militare sia da imputare, in tutto o in parte, la responsabilità di tali avvenimenti ». E difatti la sua affermazione è verissima. Ma è appunto per avere
nel suo discorso evitato di dire a chi spettava la responsabilità che la Camera
interpretò le sue parole come un attacco al Comando Supremo. E ciò era tanto
naturale che la Commissione d'inchiesta definì quelle parole « chiaro accenno
critico all'opera del generale Cadorna ». Consegue che se tale non era l'intensione dell'on. Salandra egli avrebbe fatto bene a non pronunciare quelle
parole, le quali, se dirette a me, erano mal fondate, come dimostrai nel mio
libro.
143
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
In realtà non vi è alcuna analogia tra l'uno e l'altro caso.
Nel 1916 non vi fu nessun errore di valutazione del nemico, poiché le sue forze erano stimate a 18 divisioni, quali
realmente furono: lo dice anche la relazione a pag. 44. Quanto alle sue intenzioni, il Comando Supremo, come ho ripetutamente detto, attribuì al nemico — come doveva — le intenzioni più logiche, pur prendendo le misure necessarie a far fronte
« anche al caso a noi più sfavorevole », come il generale Brasati stesso ha ampiamente riconosciuto nella sua lettera del 6
aprile.
Neppure nel 1917 vi fu errore di valutazione sulle forze
nemiche. 1) Circa le sue intenzioni offensive generiche vi era
così poco dubbio che fin dal 18 settembre io sospendevo le
operazioni offensive anche in vista di un prossimo attacco nemico. (Vedasi il mio ordine nel capitolo IX, del mio libro La
guerra alla fronte italiana a pagg. 112-113 del vol. II).
Quanto alla direzione d'attacco, essa risultava in modo certo
dalle informazioni avute dai disertori; ma il Comando Supremo
non poteva escludere che l'attacco potesse estendersi al settore
goriziano ed al Carso, e perciò era doveroso che tenesse conto
anche di questa possibilità nella dislocazione delle riserve.
Pertanto, per poter trovare una analogia tra i due casi ci
vuol proprio una forte dose di buona volontà!
Ed ancora a proposito della mia incredulità a pag. 56 si
trova scritto :
Non mi occuperò della prima parte di questo brano avendone già ampiamente discorso. Mi riferisco perciò soltanto alle
parole in corsivo.
Anzitutto, se pure fossero state approvate operazioni strategiche e tattiche che erano in contrasto colle istruzioni originarie date al comandante della I Armata, non rimarrebbe soppresso il fatto che questi tali istruzioni non ha eseguite: e che
non le abbia eseguite, l'ho dimostrato nel capitola V del citato
mio libro.
Ma aveva modo il Comando Supremo di controllare efficacemente il comandante della I Armata? Esso stava lontano, ad
Udine, aveva e doveva avere fiducia nel comandante d'Armata
— senza di che l'avrebbe mutato — e non poteva avere esatta
conoscenza del terreno come l'aveva il Comando d'Armata;
perciò esso doveva necessariamente giudicare in base ai suoi riferimenti e alle sue assicurazioni. La più bella prova di quanto
dico consiste nel fatto che, allorquando negli ultimi giorni di
aprile e nei primi di maggio del 1916 potei percorrere la
fronte della I Armata, 1) ordinai i mutamenti e i lavori che sono accennati nel succitato capitolo V, dei quali il semplice esame della carta non, aveva potuto suggerirmi la necessità: mutamenti e lavori che hanno salvato i due pilastri laterali della
fronte tridentina, quelli cioè di Val Lagarina e di Val Sugana.
A pag 470 si leggono queste parole :
142
Ma, per contro, con prove e testimonianze degne della massima
considerazione, è stato dimostrato come assai più giustificata e corrispondente a realtà fosse la preoccupazione del comandante della
I Armata che non la persistente incredulità del capo di Stato Maggiore, e come la situazione strategica e tattica e la sistemazione difensiva conseguissero da operazioni approvate e lodate dal Comando
Supremo, e; risultassero da precisi referti periodici di cui il Comando
stesso aveva preso atto senza muovere osservazioni.
1) Scrive la stessa
« Da ciò sembra potersi
utili tempestive notizie:
informazioni funzionava
relazione della Commissione d'inchiesta a pag. 45 :
desumere che sull'offensiva nemica non siano mancate
quelle avute invero comproverebbero che il servizio
in modo soddisfacente. »
Una grande riscossa (nello spirito pubblico), nessuno può negarlo, fu determinata dal disastro dell'ottobre, col tragico arrivo del
nemico sul Piave. E' pertanto logico ritenere che una forte vibrazione
dello spirito pubblico si sarebbe prodotta qualora, bene in precedenza,
il Paese fosse stato nettamente illuminato sulla reale portata e gravità
degli avvenimenti del Trentino, sul pericolo terribile corso e su quello
che permanentemente incombeva. Ma per conseguire tali risultati ocl correvaemdeggio
144
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
CRITICHE DI ORDINE MILITARE-TECNICO
senza esitazioni fino alla esonerazione del generale Cadorna. Si esaminò già perché la decisione dell'esonerazione non fu dal Gabinetto
Boselli affrontata e la Commissione qui non fa che nuovamente constatare il danno della mancata risoluzione.
la più grande che si potesse ottenere in quel periodo di massima resistenza del nemico e di guerra di posizione, e solo fu resa
possibile dalla sorpresa e questa, alla sua volta, dalla credenza,
inspirata nel nemico dalle precedenti operazioni, che il grosso
delle nostre forze fosse ormai incatenato sulla fronte tridentina.
Dunque, la vittoria la si è trovata a Gorizia, non nella controffensiva degli Altipiani, dove pure si erano raggiunti non spregevoli risultati mediante un'avanzata che ci fece riacquistare
importanti posizioni e maggiore profondità al nostro sistema
difensivo, come risulta dalla tavola 9 della relazione. E ciò senza tener conto del fatto che la nostra resistenza sulla fronte tridentina, e la successiva controffensiva, che ha ivi fissato le forze nemiche, richiamandone anzi alcune che già si erano allontanate, rese possibili le grandi vittorie del generale Brussilof
in Galizia. La vittoria di Gorizia ebbe anche sensibile ripercussione su tutto il teatro di guerra europeo, come dichiarò
il generale Von Falkenhayn colle parole citate a pag. 293 del
vol. I del mio libro La guerra alla fronte italiana.
Ed osservo infine che, se la controffensiva non raggiunse
grandi risultati materiali, la Commissione non doveva almeno
disconoscere che essa aveva esercitato grande influenza morale
nel dimostrare al Paese e al nemico che l'offensiva austriaca ci
aveva tutt'altro che fiaccati.
Non mi occuperò della mia esonerazione, sulla quale la
Commissione ritorna con particolare insistenza. Mi limito ad
osservare che, pur di ottenere la mia esonerazione, la Commissione non avrebbe esitato a svalutare la vittoria, giudicando che
la svalutazione della vittoria avrebbe risanato lo spirito pubblico nel 1916 ed impedito le manifestazioni disfattiste del
1917! E pensare che io avevo sempre ingenuamente creduto
che la vittoria valesse a rialzare lo spirito pubblico depresso, e
fu questa una delle ragioni che mi indussero all'offensiva della
Bainsizza! (vedasi il capitolo IX del mio libro). Ma la Commissione mi insegna che se si fosse inoculato a tempo nel Paese il senso della disfatta, se ne sarebbero risanati tutti i mali.
E così sia!
E' vero che la Commissione si affretta a definire troppo asserita e molto discutibile la nostra vittoriosa controffensiva del
1916. Ma qui mi duole di dover constatare che la smania svalorizzatrice della vittoria e di chi l'ha ottenuta ha fatto velo
al chiaro intelletto dei signori commissari, fino al punto di
non far comprendere ad essi che la controffensiva del giugno
1916 non può essere considerata isolatamente, ma deve essere
inquadrata negli avvenimenti che l'hanno preceduta ed in quelli che l'hanno seguita. Così considerati, con sguardo sintetico,
quegli avvenimenti consistono di una sola e grande manovra
strategica, suddivisa in tre atti strettamente collegati. Il primo
comprende la difensiva contro l'attacco austriaco del Trentino
e la fulminea riunione della V Armata nella pianura vicentina.
Il secondo è rappresentato dalla denigrata nostra azione controffensiva, la quale fu interrotta soldi quando mi persuasi che
il logoramento delle truppe sarebbe stato superiore ai risultati
conseguiti e che maggiori frutti si sarebbero colti sull'Isonzo. Il
terzo atto fu il rapidissimo trasporto di una parte dell'esercito
verso l'Isonzo e la conseguente vittoria di Gorizia; la quale fu
10 -
CADORNA.
145
RELAZIONI COL GOVERNO
CAPITOLO V
RELAZIONI COL GOVERNO
In questo capitolo discorrerò delle mie relazioni col Governo, non solo durante la guerra, ma, giacché sono su questo argomento, anche negli anni successivi. Si avrà così un quadro
completo della mia situazione di fronte all'Italia ufficiale, rappresentata, nel tempo in cui si svolsero gli avvenimenti, da uomini dei più svariati partiti, ma animati verso di me da un
medesimo sentimento ostile.
###
La relazione della Commissione d'inchiesta dedica le prime
otto pagine del volume II alle relazioni tra Governo e Comando
Supremo. In queste pagine si trovano molte cose inesatte o insussistenti, che io non ho potuto smentire o chiarire non essendo stato su di esse, al solito, interrogato.
Premetto una franca dichiarazione.
Nessuno era più di me convinto della necessità che in così
gravi frangenti Governo e Comando Supremo procedessero
in perfetto accordo. Ma se questo desiderio doveva spesso consigliare di transigere sulle questioni di poca importanza, nessuna transazione era possibile sulle questioni che io giudicavo
capitali per il felice svolgimento delle operazioni. Presentandosi
tali casi, io ero ben deciso ad abbattere gli ostacoli che mi si
parassero dinanzi o a dimettermi dalla carica. Questa io non
147
l'avevo ambita, la rifiutai anzi, quando mi fu offerta, e mi fu
pressoché imposta; due volte presentai le dimissioni, parecchie
volte dichiarai che le avrei presentate se non avessi ottenuto
ciò che reputavo necessario.1}
A meglio illustrare quanto dissi, mi limiterò ad un solo
esempio. Nel gennaio 1916, malgrado le mie obiezioni, giudicando io dannosa la dispersione delle nostre scarse forze su
teatri di guerra secondari, già erano state inviate, per volontà
del Governo, e con successive spedizioni, tre divisioni a Valona. Il 22 di quel mese fui invitato ad intervenire ad un piccolo Consiglio di ministri, al quale parteciparono, oltre al presidènte, i ministri degli Esteri, del Tesoro, della Guerra, e della
Marina. Io non avevo alcuna ingerenza sulle cose di Albania,
perché il Corpo di occupazione era stato posto alla dipendenza
del Ministero della Guerra, senza però che io ne muovessi doglianze, come erroneamente dice la relazione a pag. 8; però, volendo inviare altre forze in quella regione, il Governo doveva
necessariamente richiederle al Comando Supremo. Orbene, oltre
alle ingenti forze che già si trovavano a Valona, il Governo
avrebbe voluto che se ne inviassero altre a Durazzo per avviarle nell'interno dell'Albania, allo scopo di avere poi dei
pegni da far valere alla conclusione della pace. Oltreché io
ritenevo pericolosissimo allontanarsi dalla costa, esponendosi
in quel difficile terreno privo di comunicazioni a chissà quali
incognite, col pericolo di dover poi inviare altre forze a sostenere l'onore della bandiera, ero convinto che il miglior pegno
per la pace fosse la vittoria, la quale ci avrebbe consentito di
imporre le condizioni volute anche per i territori non materialmente occupati; e le maggiori probabilità di vittoria si avevano mantenendo le forze riunite sul teatro di guerra principale,
e non disperdendole su teatri affatto secondari. Io mi opposi
adunque energicamente, e ne nacque una discussione assai vivace,
nella quale da nessun ministro io fui sostenuto (essendo tutti
1) Oggi, dopo la guerra 1940-45, si usa imputare ai capi responsabili di
non avere assunto, di fronte al Governo, lo stesso energico atteggiamento!
(R. C).
148
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
evidentemente d'accordo per costringermi a capitolare), e io dovetti alla fine dichiarare che se mi fossi esposto a perdere una
battaglia nel Veneto, per avere acconsentito a disperderete forze sui teatri secondari, avrei meritato di essere fucilato, e se la
mia persona era d'imbarazzo all'attuazione degli intendimenti
del Governo, non c'era che da sostituirmi! !) Perché, anche
questa volta, non si colse la palla al balzo, per esonerarmi dalla carica? Poiché è almeno da quest'epoca che data il desiderio
del Gabinetto Salandra di esonerarmi — desiderio che maturò
poi nel maggio successivo. Se io avessi acconsentito alla volontà del Governo, ci saremmo trovati quattro mesi dopo, quando gli austriaci tentarono l'invasione dal Trentino, con alcune
divisioni in meno, e le conseguenze avrebbero potuto essere gravissime; perciò, colla mia opposizione, credo di aver reso un
grande servizio al Paese. Il fatto ha poi provato quanto io avessi ragione: la grande vittoria finale costituì per noi il miglior
pegno, perché ci consentì di raggiungere gli scopi della guerra,
anche in quei territori che non erano stati materialmente occupati. Chi possedeva maggiori pegni degli Imperi centrali, in
Francia, in Italia, in Russia, in Serbia, in Romania? Eppure la
disfatta li costrinse a ceder questi, ed altro ancora! Il Governo
volle poi, malgrado il mio parere contrario, occupare Durazzo
per via di terra, colla brigata Savona, ed espose questa ad un
disastro che, se non fu maggiore, lo si dovette all'abilità del
generale Ferrero che riuscì ad imbarcare quella brigata sia pure
a costo di gravi perdite.
Io avevo dunque piena ragione di oppormi, ma la mia opposizione ha certamente valso a costituirmi la fama di persona
poco arrendevole e poco disposta ad andare d'accordo col Governo.
Del resto non era cosa facile andar d'accordo con i Governi,
in generale debolissimi, non appoggiati da una maggioranza e
per contro dominati dalle influenze parlamentari, le quali continuamente, dai primi mesi della guerra, congiurarono contro di
1
) Vedasi il mio libro: Altre pagine sulla grande guerra (pag. 146-149).
RELAZIONI COL GOVERNO
149
me per farmi sbalzare dal comando, e vi sarebbero facilmente riuscite se non fossi stato costantemente difeso da chi
aveva la possibilità di difendermi, assicurando così la necessaria continuità del comando; chè, per quanto si riferisce alla mia
persona, tutte le congiure e tutte le ostilità che si svolgevano
alle mie spalle e che io non ignoravo mi lasciarono sempre
del tutto indifferente. Solevo soltanto dire alle persone di mia
fiducia che finché le cose della guerra fossero andate bene, nessuno avrebbe osato toccarmi, ma che al primo guaio che mi
fosse toccato avrei avuto tutto il mondo addosso. E così fu, ed
allora, senza alcuna mia sorpresa, ebbi a sperimentare tutta la
estensione della viltà umana, ed andai soggetto agli attacchi
più ignobili, alle calunnie più vergognose.
Vi fu un deputato socialista, l'on. Giacomo Ferri, innalzato due anni dopo da Giovanni Giolitti agli onori del laticlavio, il quale nella seduta del 22 dicembre 1917 ebbe la
spudoratezza di dire alla Camera che io ero partito da Udine
giorni prima di Caporetto e che « avevo ordinato una fuga »,
mentre io avevo lasciato per ultimo Udine, alle 15,30 del 27
ottobre, 20 sole ore prima dell'occupazione di questa città per
parte delle truppe tedesche. E questa ed altre simili cose si dicevano alla presenza dell'on. Orlando e degli altri membri del
Governo senza che da nessuno di loro partisse una parola di
protesta!
Ho parlato poc'anzi delle influenze parlamentari massoniche che si esercitavano sul Governo, dominandolo. Ne darò
un solo esempio.
Il generale Pecori-Giraldi distintissimo generale ma inviso
alla massoneria in grazia dei suoi sentimenti religiosi, durante
la guerra di Libia nella quale reggeva il comando di una divisione, e trovandosi a capo del Governo Giovanni Giolitti, veniva esonerato dal comando e collocato a riposo, per influenze massonico-parlamentari capitanate dal deputato siciliano De
Felice-Giuffrida. Scoppiata la grande guerra, il generale PecoriGiraldi fu richiamato in servizio attivo al comando di una divisione e poco dopo gli fu affidato il comando di un corpo d'ar-
150
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
mata. Da questo alla vigilia dell'offensiva austriaca del Trentino del maggio 1916, in grazia degli ottimi servizi resi, passò
al comando della I Armata, che egli resse, durante le operazioni del maggio-giugno 1916, con molta intelligenza e capacità.
Perciò a suo meritato premio io proposi all'on. Boselli, capo del Governo, che con apposito decreto-legge egli fosse richiamato nei ranghi dell'esercito attivo. Tale proposta fu accettata, ma non vedendola attuata nei sei mesi successivi telegrafai il 20 dicembre 1916 all'on. Boselli per sapere quando
l'avrebbe tradotta in atto. Egli mi rispose telegraficamente che
la proposta era stata presentata alla Camera, ma aveva suscitato
tale opposizione da comprometterne l'esito. E soggiungeva : « Vi
sono deputati (e seppi poi che era il solo De Felice-Giuffrida)
che hanno avvertito che rispetto a tale provvedimento si accingono ad accendere alla Camera la più viva discussione. »
Sdegnato di tanta debolezza, risposi immediatamente col seguente telegramma :
« Deploro profondamente che davanti alla minaccia e alla
intimidazione di pochi deputati settari e faziosi debba mancare
o ritardare un provvedimento di cui il Governo ha ammesso
l'equità e l'urgenza. Sento vivissimo sconforto nel constatare
che in tempo di guerra il Comando Supremo dell'esercito è impotente a far ottenere giustizia a due valorosi e benemeriti generali. 1)' Ricordo che nello scorso maggio, quando Governo e
Parlamento tremavano davanti al pericolo dell'invasione, i generali Pecori e Ricci affrontarono serenamente, con tutte le forze
del cuore e della mente, le più gravi responsabilità, e domando
alla E. V. con quale animo e fiducia il Comando Supremo potrà
richiedere ai due generali di rinnovare e moltiplicare contro la
imminente minaccia nemica le prove date, quando io debba
confessare che per ragioni di politica parlamentare essi non
possono sperare giustizia: Del resto, a Camera chiusa, il Governo può provvedere con un decreto di legge. »
In seguito a questo telegramma il presidente del Consiglio
faceva deliberare dal Consiglio dei ministri il richiamo in servizio dei due generali. Ma a tal punto io dovevo giungere per
ottenere una deliberazione di stretta giustizia: ad una paura,
quella dei deputati, dovevo opporre una paura maggiore: quella del capo di Stato Maggiore! E tali Governi aveva l'Italia
nel periodo più tragico della sua storia! E io avrei dovuto adattarmi alle deliberazioni più ingiuste di tali Governi per non incorrere nella taccia di non andar d'accordo con essi!
Nessuno dei Governi d'Italia del tempo della guerra fu all'altezza della sua missione; di gran lunga il migliore fu il primo, per il suo patriottismo e per le sue buone intenzioni; ma
anch'esso irretito dalle pressioni e dalle influenze parlamentari ed incapace di scuoterle e di governare come l'ora grave
richiedeva, come seppe fare Clémenceau in Francia. Tali Governi meritavano di essere spazzati via per essere sostituiti con
un regime più confacente alle necessità della grave ora che si
stava attraversando.
1) La proposta di richiamo in servizio attivo era stata fatta anche per il
generale Ricci Armani, comandante della 37 a Divisione in Val Lagarina.
151
###
Premesso quanto ho detto per chiarire il mio pensiero e
i miei propositi passo a rilevare le inesattezze della relazione.
E' scritto a pag. 8 :
Le ripercussioni politiche gravissime, che gli avvenimenti militari
sono sempre capaci di determinare, avrebbero dovuto imporre al generale Cadorna una maggiore cordialità di intesa col Governo; però,
si mostrò sempre assai geloso dei suoi poteri e talvolta persino sospettoso di ogni parola del Governo che, pure in forma assai riguardosa,
potesse contenere un'osservazione o un consiglio; fu accennato che
egli fosse restio a, fornire dati (quelli, per esempio, sulle perdite) per
cui non era dubbia la legittimità della' richiesta.
Rispondo: io ho sempre dimostrato cordialità a chi me
l'ha dimostrata, e lo possono attestare i numerosi ministri che
son venuti al Comando Supremo.
Quanto alla gelosia dei miei poteri, non v'ha dubbio che
non avrei subito l'inframmettenza del Governo nella condotta
152
153
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
delle operazioni militari, perché tutta la storia dimostra quanto
fatale sia tale ingerenza politica: basti per tutti l'esempio del
1870, quando la ragion politica spinse l'esercito del maresciallo Mac Mahon al disastro di Sédan! Ma non ci fu nessun fatto
importante che potesse suscitare questa gelosia, poiché è verissimo ciò che la Commissione afferma, cioè che il Governo si è
astenuto dall'esercitare ingerenza nella condotta della guerra.
Circa poi all'essere io sospettoso di ogni parola del Governo che suonasse osservazione o consiglio, rispondo invitando ad
uscire dalle generalità cui non si può replicare, e a provare l'asserzione con fatti concreti.
L'affermazione che io fossi restio a fornir dati, perfino sulle
perdite, è una assurda invenzione. Quale motivo avrei avuto
per rifiutarmi? E quale piccolezza sarebbe stata, se mi fossi rifiutato?
A pag. 9 la Commissione ritiene « che le sue preoccupazioni (le mie) di congiure ai suoi danni furono eccessive... » Ma
a pag. 11, contraddicendosi, la Commissione dice: « E dopo la
conquista di Gorizia non fu più luogo a formale discussione nei
riguardi dell'esonero; ma la fiducia del Governo nel capo di
Stato Maggiore non potè essere interamente scevra di preoccupazioni, anche perché non pochi autorevoli parlamentari, per
cognizione propria e facendosi eco di notizie avute, non mancavano di far rilevare quelli che loro apparivano essere errori di condotta della guerra, e particolarmente il poco buon governo degli uomini ».
qual senso di opportunità essa sia stata introdotta nella relazione da chi a tal grado pervenne senza essere andato incontro
alla decima parte delle responsabilità che hanno gravato le mie
spalle! Nessuno potrà addurre mai alcuna prova di ciò, mentre
ve ne sono molte in contrario nelle dimissioni ripetutamente
date o minacciate.
Io ero benissimo informato dei parlamentari che si facevano
eco a Roma dei pettegolezzi che raccoglievano nei quartieri
generali e delle numerose critiche che si udivano, e sentenziavano poi sugli errori di condotta della guerra che loro apparivano anche per cognizione propria e che colla loro competenza giudicavano! Quanto al poco buon governo degli uomini, se è vero che il Governo ne fu informato da non pochi autorevoli parlamentari (e avrebbe dovuto saperlo da ben altre
fonti), avrebbe dovuto dirmelo, ed invece io non ne fui mai informato. Perché allora il Governo, che di tali informazioni disponeva, anziché cercar di migliorare la situazione morale e
materiale delle truppe, giunse fino alla riduzione della razione
pane prima di aver razionato il Paese, e mi negò perfino nel
1917 i mezzi finanziari occorrenti alla propaganda e ad altri
scopi morali, come dissi al capitolo 11?
Questi tentativi di demolizione nascosti continuarono durante tutta la guerra, e io ne ero perfettamente informato, sebbene non mi preoccupassero affatto le preoccupazioni che la
Commissione suppone; poiché, come ho già detto, io andavo
diritto per la strada che mi sembrava la più vantaggiosa al
Paese senza curarmi della mia posizione. Se fossi stato assillato
da preoccupazioni personali, ben diversamente mi sarei regolato! Perciò la volgare osservazione riportata a pag. 14 che
io mi fossi lagnato di non essere stato nominato generale d'esercito è del tutto falsa e fuori proposito; e lascio giudicare con
* * #
Tali ingerenze parlamentari nella condotta e nelle cose della guerra non ebbero luogo soltanto da noi, e ciò è naturale:
alle medesime cause corrispondono gli stessi effetti. Ciò che
è accaduto in Francia lo possiamo conoscere da due pubblicazioni, molto istruttive, pei confronti coi casi nostri, del Mermeix :
Joffre - La première crise du commandement e Nivelle et Painlevé: La deuxième crise du commandement. In esse sono esposti particolari del massimo interesse circa l'azione del parlamentarismo in tempo di guerra e sarebbe cosa del pari interessante se analoga pubblicazione fosse fatta in Italia. Mi limiterò ad un cenno molto sommario di quelle due pubblicazioni, alle quali rimando il lettore.
154
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Risulta adunque che le congiure parlamentari contro il generalissimo francese incominciarono come presso di noi, poco
dopo lo scoppio della guerra, ma Joffre è rimasto invulnerabile
fino all'ottobre del 1915 essendo coperto e difeso dal ministro
della Guerra Millerand, carattere forte e tenace, il quale avendo piena fiducia in lui crede che sarebbe ingiustizia ed errore
il sostituirlo e dichiara che per arrivare al generale bisogna
prima abbattere il ministro.
Dal principio del 1915 in poi (come accadde anche da
noi) dei militari si permettono di inviare clandestinamente a
membri influenti del Parlamento delle memorie nelle quali si
critica e si accusa il Comando Supremo. Il generale Gallieni,
succeduto nell'ottobre 1915 al Millerand nel Ministero della
Guerra, si fa l'eco di tali critiche presso il generale Joffre; ma
l'alto carattere di quest'ultimo reagisce ed egli risponde il 18
dicembre 1915 con una fierissima lettera, la cui conclusione
merita di essere riprodotta:
En definitive, j'estime que rien ne justifie les craintes que vous
exprimez au nom du gouvernement dans vòtre dépèche du 16 de
cembre.
Mais puisque ces craintes sont fondées sur des comptes-rendus
vous signalant des défectuosités dans la mise en état de défense, je
vous demande de me communiquer ces comptes-rendus et de me designer leurs auteurs.
Je ne puis admettre, en effet, que des militaires placés sous mes
ordres fassent parvenir au gouvernement par d'autres voies que la voie
hiérarchique des plaintes ou des réclamations au sujet de l'exécution
de mes ordres.
Il ne me convient pas davantage de me défendre contre des imputations vagues dont j'ignore la source.
Le seul fait que le gouvernement accueille des comunications de
ce gente provenant, soit de parlamentaires mobilisés, soit directement
ou indirectement d'officiers servant sur le front, est de nature à jeter
un trouble profond dans l'esprit de discipline de l'armée. Les militaires qui écrivent savent que le gouvernement fait état de leurs correspondences vis-a-vis de leurs chefs. L'autorité de ceux-ci est atteinte;
le moral de tous souffre de ce discrédit.
Je ne saurais me prèter à la continuation de cet état de choses. J'ai
besoin de la confiance entière du gouvernement. S'il me l'accorde il ne
RELAZIONI COL GOVERNO
155
peut ni encourager ni tolérer des pratiques qui diminuent l'autorité
morale de mon commandement, et faute de laquelle je ne pourrai plus
continuer à en assumer la responsabilité l ).
Ecco a quali conseguenze sulla disciplina conducono le intromissioni parlamentari quando un capo coscienzioso e risoluto non vi si oppone, pur suscitando con la sua opposizione
inimicizie che, accumulandosi, provocheranno poi la sua caduta!
Nell'ottobre 1915 al Ministero Viviani succede il Ministero
Briand del quale, faceva parte il generale Gallieni :
« La question Joffre, sur laquelle s'était use Millerand, se posait donc devant Briand dès les premiers jours de son Ministère. Briand,
aussi plastique et sinueux que Millerand etait compact et massif, la traita à sa manière, qui consiste à ne pas irriter les oppositions par des
attitudes hautaines, mais à les dissoudre momentanément par des concessions d'apparences, et par l'espérance qu'il fait concevoir d'autres
satisfactions dans le plus proche avenir.
Le grand séducteur d'assemblées ne prend pas des airs de dominateur. Courtoisement, doucement, il expose son opinion et l'opinion
contraire. Certes, ce qu'on lui suggère n'est pas inacceptable; il ne serait pas loin lui-mème de l'accepter et il explique toutes les raisons qu'il
aurait de se rallier à l'avis de ses contradicteurs. Mais... car il y a
toujours un « m a i s » , plusieurs «mais»..., les choses ne sont pas si
simples, elles sont complexes. À en considérer un certain aspect, tel
parti s'impose... mais il y a d'autres aspects... et il les décrit, dont la
vue est propre à inspirer d'autres déterminations... Un jour viendra,
sans doute, où le parti qu'il répugne à adopter aujourd'hui sera pro1
) Fatti analoghi accaddero anche da noi. Un colonnello di Stato Maggiore,
incoraggiato da membri del Governo, mandò ad essi un memoriale contenente
un'aspra critica al Comando Supremo per la condotta delle operazioni. Sorpreso, processato e condannato ad un anno di reclusione militare, gli veniva poi
annullata la pena dal Tribunale supremo di Guerra e Marina perché « non fu
spinto a compiere l'azione contestatagli da motivi personali o sotto altri pretesto riprovevoli, ma unicamente dall'amor dì Patria, dal timore, cioè, che il
modo di condotta della guerra non ne mettesse in pericolo la esistenza ». Rimane perciò inteso che in una futura guerra qualunque ufficiale o caporale,
appellandosi all'amor di Patria e a questa sentenza, potrà impunemente inviare,
senza violare la disciplina, dei memoriali al Governo contro il Comando Supremo! Sono cose incredibili! E io domando com'è possibile reggere un Comando Supremo quando prevalgono tali teorie nella suprema magistratura militare e quando membri del Governo sono i primi a congiurare contro chi ha
la responsabilità delle operazioni, e ciò in accordo coi suoi dipendenti!
156
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
bablement le seul parti à prendre... Mais il faut attendre » (pagine 69 e 71 del volume: Joffre).
Con queste arti sapienti Briand « maìtrise moins les oppositions qu'il ne les énerve; il ne résout pas les difficultés, il
les ajourne dans l'attente » e, convinto della convenienza di
conservare Joffre al Comando Supremo, riesce, con tali arti, a
tacitare le opposizioni per più di un anno.
Ma le sue predilezioni pel vincitore della Marna non arrivano fino al punto di sostenerlo ad ogni costo sacrificandogli il
potere. Le opposizioni parlamentari aumentavano e minacciavano
di sommergere il Ministero se questo non fosse addivenuto ad
un cambiamento nel Comando Supremo.
Molti capi d'accusa furono formulati contro Joffre e, dice
il Mermeix a pag. 366 del Joffre: « Beaucoup de ces griefs articulés contre Joffre paraitront au lecteur de poids minime. Ils
créèrent pourtant à la fin une opinion parlamentaìre si défavorable au commandant en chef que ses plus fidèles serviteurs
durent se résigner a le sacrifier. »
Si pensò allora a sostituire il generale Joffre col generale
Nivelle nel comando dell'esercito francese sul suolo di Francia,
innalzando il generale Joffre alla carica di comandante di tutti
gli eserciti francesi — carica più onorifica che reale.
« Joffre ne se prèta pas à l'arrangement. Il persistait à refuser toute réduction de ses attributions actives. Des amis furent employés auprés de lui pour l'emmener à se résigner; on
le nommerait maréchal de France, il resterait commandant en
chef de toutes les armées. Buté, le general répondait qu'il voulait rester ce qu'il était ou n'étre plus rien. Qu'on le relevàt et
il s'en irait dans son village. Mais il fallait le relever. » (pag. 253
del volume Joffre).
Ma Briand seppe ricorrere a tutte le sue arti; fece intervenire i ministri che si erano mostrati partigiani del generale
Joffre, e perfino il presidente della Repubblica. Ciononostante
nulla si ottenne da Joffre, il quale sempre ripeteva: «Toglietemi il comando. »
Finalmente il 3 dicembre 1916 Joffre cedette e all'indomani
RELAZIONI COL GOVERNO
157
Briand potè annunziare alla Camera riunita in comitato segreto
che Joffre rientrerebbe a Parigi, che le armate del Nord-Est
e di Macedonia da lui dipenderebbero, che sarebbe nominato
un nuovo comandante con poteri più ristretti. E così la Camera
fu soddisfatta.
Ma non furono soddisfatte le esigenze del buon funzionamento del Comando. Il generale Nivelle, designato al comando del fronte Nord-Est, « au moment de dire : oui, il éprouva une hésitation. Il posa comme condition qu'il jouirait de
toute l'indépendance qu'avait eue Joffre. Cette prétention légitime était bien difficilement conciliable avec les exigences de
Joffre, qui avait bien consenti à quitter le quartier general des
armées du Nord-Est, mais qui avait demandé et à qui on avait
promis de lui conserver dans sa réalité le commandement en
chef de toutes les armées » (pag. 257 del Joffre).
Ecco a quali conseguenze conducono le indebite intromissioni parlamentari nel Comando! Finalmente, mediante la condiscendenza del generale Nivelle e la sua deferenza verso il
generale Joffre, si stabilì un modus vivendi tollerabile, ma non
scevro di pericoli.
Poco dopo la nomina del generale Nivelle al Comando Supremo, al Ministero Briand succedeva il Ministero Ribot, col
signor Painlevé ministro della Guerra. Questi non era favorevole al generale Nivelle e gli preferiva il generale Pétain. Il
volume Nivelle et Painlevé contiene tutta la storia dei rapporti tra il generalissimo ed il ministro della Guerra, storia fatta di intromissioni governative nell'azione del Comando e di
conseguente esautoramento di quest'ultimo, e che termina con
la sostituzione del generale Nivelle col generale Pétain. Scrive
il Mermeix a pag. 142 del Nivelle et Painlevé: « La politique
qui — sans qu'il l'eùt sollicitée — n'avait pas été tout à fait
étrangère à l'elévation du general, lui fit payer sa faveur en
lui prodiguant ses avanies, pendant les cinq mois qu'il fut au
poste des suprémes responsabilités.
« Autorité ébranlée par la forte personnalité du ministre de
la Guerre, sous les ordres du quel il se trouva place, autorité
158
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
discutée par ses subordonnés qui voyaient au dessus du pouvoir
du general en chef le pouvoir d'un ministre dont on ne pouvait
pas croire qu'il s'effacerait; empiètement sur les attributions du
commandement en chef après le départ de Lyautey et de
Briand par des ministres dont l'un au moins avait l'esprit plein
de preventions contre Nivelle; préférence donnée ouvertement
à celui des lieutenants qui, sur l'invitation du ministre, avait
critiqué les plans de son chef; refus de donner des sanctions aux
fautes contre la discipline que dénoncait le commandant en chef;
exigence au contraire d'une misure de rigueur contre un general
que Nivelle lui-mème avait trouvé sans reproche; défaillance
des ministres sous l'averse de calomnies dont les mercenaires
de l'Allemagne et leurs tristes dupes avaient assemblé les nuages,
avant mème que la bataille ne fùt engagée; ordre de suspendre
son offensive, ce qui était une mise en demeure d'avoir à s'avouer vaincu, alors qu'il ne l'était pas, parce que les ministres
n'osaient pas affronter la tempéte des indignations factices qui
emplissaient les couloirs de leurs grondements: telles furent
les misères du commandement de Nivelle. Le general connut dans
l'extrème grandeur militaire les extrèmes servìtudes que la politique inflige à ceux qui ne sont pas des siens et dont elle fait
à l'occasion ses instruments.
« Nivelle, vaincu non par l'Allemand mais par les manoeuvres et les défaillances de l'arrìère, alors qu'il n'y avait plus
qu'un effort à faire pour qu'il fùt vainqueur sur le front, laissa
à son successeur un, instrument faussé... ».
Ce n'è abbastanza, mi pare, per comprendere quanto io
avessi ragione di non tollerare nessuna intromissione politica
nell'esercito, se pure ciò mi esponeva ad avversioni e ad inimicizie, le quali avrebbero approfittato del primo insuccesso per
scagliarsi contro!
Risulta infine ampiamente, dai due volumi accennati, come
il parlamentarismo, sotto forma di commissioni di controllo od
in altro modo, s'intromettesse nel funzionamento dell'esercito
e, per ragioni soltanto politiche, imponesse la conservazione di
capi che erano stati esonerati dal comando (Sarrail) o impe-
RELAZIONI COL GOVERNO
159
disse l'innalzamento di altri capi che erano molto stimati nell'esercito (de Castelnau).
Era d'uopo che la mano energica del signor Clémenceau
afferrasse il potere perché l'andamento delle cose mutasse e la
fiducia rinascesse.
###
A pag. 12 la relazione dice:
Dopo i contrasti col ministro Zupelli che si acuirono dal principio della guerra in poi, non sempre senza colpa di talun ufficio di
quel nuovo grande Ministero che si era formato in Udine, notevolmente appesantendo il Comando Supremo — contrasti fra i quali predominò quello sopraccennato relativo all'Albania, — il generale Cadorna scrisse al presidente del Consiglio dichiarando indispensabile che
il ministro della Guerra fosse sostituito, altrimenti gli sarebbe stato
impossibile di conservare la carica di capo di Stato Maggiore. Immediatamente tale, ingerenza anticostituzionale fu respinta; ma più tardi il
ministro Zupelli dovette dimettersi perché l'esercizio del suo mandato
in confronto del Comando Supremo era divenuto impossibile, tanto più
che un'accanita campagna giornalistica, che si ritenne inspirata da detto
Comando, era ormai svolta contro di lui.
Se la Commissione mi avesse fatto l'onore di interrogarmi,
non avrebbe affastellato tante inesattezze; ma, come al solito,
ha sentenziato giudicando superfluo il mio intervento!
Con mia lettera del 27 febbraio 1916 al presidente del
Consiglio (on. Salandra), dopo di aver deplorato con amare
parole il recente disastro di Durazzo, la. principale colpa del
quale spettava al ministro della Guerra, alla cui dipendenza
era stato posto il Corpo di occupazione di Albania, e dopo di
aver ripetuto le lagnanze più volte fatte sull'opera del suddetto
ministro, 1) in relazione ai bisogni della guerra, soggiungevo
che, considerando la enorme responsabilità che pesava sulle mie
spalle, in seguito agli avvenimenti recenti di Durazzo, io sentivo
il dovere di dichiarare che tra il ministro della Guerra e me era
1) Circa il modo com'io ero coadiuvato, vedasi quanto ho riferito nel capitolo IV del mio libro La guerra alla fronte italiana.
160
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
maturata una incompatibilità assoluta, perché lo ritenevo scaduto dal prestigio e dall'autorità che l'alto ufficio imponeva.
Perciò io prospettavo alla considerazione del presidente del
Consiglio la necessità in cui mi trovavo di poter fare assegnamento — se non immediatamente, in epoca assai prossima —
sulla presenza al Ministero della Guerra di persona dalla quale
io mi sapessi con sicurezza costantemente sorretto, e che, a
quanto il Comando Supremo richiedeva, rispondesse collo slancio e coll'attività imposti dalle circostanze del momento. Se, ciò
malgrado — io soggiungevo — il presidente del Consiglio non
credesse di confortare col proprio autorevole consenso il giudizio che io traevo dagli avvenimenti di Durazzo, non mi rimarrebbe che pregare lo stesso presidente di ottenermi da S. M.
il Re l'esonerazione dalla carica che occupavo.
L'on. Salandra saliva allora sulla sua cattedra di diritto costituzionale e mi insegnava che, secondo lo statuto fondamentale del Regno, al Re solo spettava la nomina e la revoca dei
suoi ministri, e, secondo la consuetudine che era oramai norma
del nostro Governo costituzionale, spettava unicamente al presidente del Consiglio la proposta e quindi la responsabilità di
tali atti di Governo.
Anche la Commissione d'inchiesta mi accusa di ingerenza
anticostituzionale. Ma, senza intenzione alcuna di invadere
attribuzioni che non mi spettavano, io avevo pure il diritto di
dichiarare che, rimanendo al Governo un dato ministro della
Guerra, nell'interesse precipuo del buon andamento delle operazioni militari, non avrei potuto conservare la mia carica! E io
che, in così gravi momenti, assai più mi preoccupavo della sostanza delle cose che delle formule costituzionali e che avevo
cercato di rispettare queste rappresentando al presidente del
Consiglio responsabile le necessità della grave ora nella forma
il più possibile corretto, tosto, cioè il 1° marzo, rassegnai le
dimissioni dalla carica di capo di Stato Maggiore, le quali mi
si indusse poi a ritirare. Ecco, adunque, una seconda buona
occasione perduta per sostituirmi nel Comando!
E il 25 del successivo maggio il Governo doveva pur per-
dere la terza, come raccontai nel precedente capitolo. Ma, io
domando, perché non sostituirmi allora? Era per me di gran
lunga preferibile l'esonerazione al tollerare qualsiasi deviazione
dalla linea di condotta che a me sembrava la più conveniente
nell'interesse del Paese.
Ma, poco dopo, il generale Zupelli veniva sostituito dal generale Morrone al Ministero della Guerra per la semplice ragione che la sua persona e la mia erano diventate incompatibili
nel lavoro comune, non già perché gli si fosse scatenata « una
accanita campagna giornalistica » tanto meno poi inspirata dal
Comando Supremo. Io smentisco recisamente tale notizia, per
quanto sia stata data da « un'altissima personalità politica » (vedasi la nota 2 a pag. 12 della relazione). Chi mi conosce sa
che le cose le dico apertamente (e l'ho dimostrato anche in
questa circostanza), e non ho sentito il bisogno di ricorrere, per
ottenere il mio scopo, a subdole campagne giornalistiche. Né
allora, né mai!
Osservo ancora che a Udine non si era affatto formato « un
nuovo grande ministero ». Il Comando Supremo, nel primo
anno di guerra, era composto di 158 ufficiali, 1) comprendendovi i numerosi uffici che corrispondevano a funzioni necessarie nel complicato organismo di un grande esercito moderno;
poi il numero degli ufficiali diminuì sensibilmente. Il Comando
Supremo essendo stabile, non risentiva nessun inconveniente
della sua pesantezza, e quando io mi spostavo conducevo meco
un piccolissimo Stato Maggiore, a segno che al tempo delle operazioni del Trentino passai quasi tre mesi a Vicenza con tre
soli ufficiali di Stato Maggiore e quattro altri ufficiali; perciò
questo piccolo quartier generale, che disponeva di automobili
e di un treno speciale, era mobilissimo, e tale mobilità sfruttai
largamente; mentre il generale Porro presiedeva agli uffici del
gran quartiere generale a Udine.
161
1
) Dall'interessante volume del Mermeix: Joffre — Première crise du
commandement, tolgo le seguenti parole a pag. 364 : « il y eut plus de 250
officiers d'état major à Chantilly. C'était plus qu'un ministère, c'était presque
un gouvernement ».
11 -
CADORNA.
162
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Soggiungo infine che, succeduto il ministro Morrone al Ministero della Guerra, ed a questo il ministro Giardino nel 1917,
con entrambi mantenni rapporti cordialissimi e da entrambi
mi sentii efficacemente coadiuvato nel rispondere alle necessità dell'esercito che venivan loro rappresentate, « per quanto
— come dice la Commissione a pag. 12 — non mancasse la
materia di discussione e non tutte le richieste del Comando Supremo potessero essere esaudite ». Lo si sa : la materia di discussione non manca mai e l'essenziale era che fossero esaudite
le richieste sostanziali: io non ho mai preteso altro!
Soggiunge però tosto la Commissione, a pag. 13: « Al ministro Morrone, che si dimise..., ma che, secondo un ufficiale
in grado di essere ben informato, " aveva perduto le simpatie
del Capo pel fatto di trovarsi nel Gabinetto Boselli ", successe
il generale Giardino "particolarmente indicato al presidente
del Consiglio dal Comando Supremo ". »
Osservo al riguardo:
1. - è assolutamente falso — ed anche inverosimile — che
io abbia perduto le simpatie pel ministro Morrone, col quale
ebbi sempre rapporti cordialissimi, pel solo fatto di trovarsi a
far parte del Gabinetto Boselli, per il quale io non potevo avere
ragioni particolari di antipatia. Io non avevo l'abitudine di regolare le mie azioni sulle simpatie e sulle antipatie — e il dare
ospitalità a questa specie di argomenti non fa; onore alla serietà
della relazione.
2. - Io non mi sono mai permesso di indicare dei ministri
al presidente del Consiglio se non ne venivo richiesto. Se l'avessi fatto, sarebbe stato giudicato — questa volta a ragione —
« un'ingerenza anticostituzionale ».
e nelle modalità con cui il Governo credette con estrema cautela assicurare la continuità e il prestigio del Comando, prima di richiamarlo
a render conto del suo operato, vide solo uno sleale procedimento a
suo riguardo.
###
A pag. 270 della relazione si legge :
Un esempio tipico {del mio così detto egocentrismo): nella situazione in cui il Paese si trovò dopo la grande rotta, non seppe il
generale Cadorna vedere la necessità in cui il Governo era di esonerarlo,
163
L'ultima parte di questo brano riflette i rapporti tra il Governo e me, e perciò la sua trattazione trova luogo in questo
capitolo. Io ho l'obbligo di dimostrare che la slealtà non è stata
una mia fantasia passeggera e che per parte del Governo dell'on. Orlando fu invece una realtà costante. La dimostrazione
non potrà esser breve, ma varrà anche a lumeggiare la psicologia di uomini che la storia ha il diritto e il dovere di giudicare.
Debbo però prima rettificare quanto la Commissione ha
scritto nella prima parte del brano succitato. Prima della rotta
io avevo sempre dichiarato, nelle intime conversazioni, che al
primo insuccesso avrei avuto tutto il mondo addosso: tanto
bene io conoscevo ciò che si macchinava negli ambienti politici!
La esonerazione non poteva perciò giungermi inaspettata. Ne
son prova le parole che io telegrafavo all'on. Orlando in risposta al secondo dei telegrammi da lui inviatimi il 30 ottobre
1917, il giorno stesso in cui egli assunse il potere (Vedasi nel
capitolo XI del mio libro La guerra alla fronte italiana, pagina 225): « Io mi sento tranquillo e forte come chi sa di aver
fatto tutto il suo dovere, e non teme la sorte avversa. » Dunque,
quelle parole che hanno sapor di forte agrume la Commissione
se le poteva risparmiare!
Scrivendo quel brano la Commissione ha pure dimenticato
che dopo la mia esonerazione e prima di « chiamarmi a render
conto del mio operato » Il Governo mi affidava l'importantissima missione di rappresentante dell'Italia presso il Consiglio
di guerra interalleato di Versailles, e con quali espressioni di
fiducia egli m'imponesse tale mandato, che io era dapprima ben
deciso a declinare, si vedrà tra poco.
Risulta dal precedente capitolo la continua minaccia di esonerazione dal comando che incombeva su di me nel primo anno della guerra, senza che il Governo desse mai attuazione a
RELAZIONI COL GOVERNO
164
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
tale provvedimento, pur quando io offrissi le dimissioni, o le
minacciassi. Quando il Governo non ha fiducia nel capo di
Stato Maggiore ha il dovere di sostituirlo senz'altro. Ma, finché tale fiducia conserva, ha pure il dovere di assicurare la tranquillità del suo animo difendendolo dalle insidie che gli sono
tese. Ed invece io sono stato conservato nella carica mentre
mi si minava, e pur manifestandomi, fino all'ultimo a parole,
fiducia. Ciò può in molti modi essere dimostrato.
Il 30 giugno 1917, meno di quattro mesi prima di Caporetto, il presidente del Consiglio on. Boselli pronunciava le
seguenti parole alla Camera dei deputati:
Non è qui il momento di trattare il delicato argomento del modo
come sono regolati legislativamente i rapporti tra il Comando Supremo
e il Governo. Questo io posso dire: che le relazioni tra il Governo
ed il Comando Supremo procedono nei migliori termini. E questo io
debbo soggiungere, o signori, che il Governo sente e assume tutta
la responsabilità che gli spetta, perché il Governo che sceglie il supremo comandante o lo mantiene nel suo comando ha la responsabilità
dell'opera di lui. {Applausi - Approvazioni).
E il Paese può essere certo che da questa Camera non uscì proposito alcuno che, al disopra di particolari apprezzamenti, possa valere
a scuotere quella fiducia che il Paese intero ha nel generale Cadorna,
uomo di valore, fermo nella condotta della guerra, fermo nella fede
nella vittoria. {Approvazioni). Onde il Paese ha ben ragione di mantenere tale sua fiducia in lui! {Applausi vivissimi al centro e a destra
- Commenti).
Ed ancora nel Consiglio dei ministri del 28 settembre 1917,
del quale ho discorso nel capitolo II, quello stesso on. Orlando
(allora ministro dell'Interno) che, un mese dopo, salito alla
presidenza del Consiglio, deliberava di sostituirmi nel comando,
pronunziava con magniloquenti parole alte espressioni di elogio a mio riguardo; mentre il presidente del Consiglio, on. Boselli, alla cui destra io sedevo, mi sussurrava all'orecchio che la
sua ammirazione per me non era stata mai tanto grande come
in quel momento! Io ero così poco persuaso della sincerità di
quelle espressioni che né mossi collo né piegai mia costa, neppure per ringraziare.
165
Che più? lo stesso on. Orlando, salito alla presidenza del
Consiglio, non mi inviava lo stesso giorno 30 ottobre in cui
assunse il potere, pur dopo Caporetto, e tre o quattro giorni
prima di decretare la mia sostituzione, i due telegrammi trascritti alla fine del capitolo XI del mio precedente libro, nell'ultimo dei quali mi riconfermava « tutta la mia fede che si
collegava con l'ammirazione e la simpatia onde io ho sempre
accompagnato l'opera che V. E. ha svolto, superando così gravi
difficoltà col vigore dell'animo e l'altezza della mente » ?
Dirà la Commissione che questa non fu slealtà, ma « estrema cautela per assicurare la continuità e il prestigio del Comando prima di chiamarmi a render conto del mio operato »,
quasicché io avessi bisogno di essere ingannato per conservare
la tranquillità dell'animo fra le tempeste! Ma io dico, invece,
che un Governo deve avere, almeno in guerra, quando sono in
giuoco le sorti della Nazione, una grande sincerità, senza la
quale non è possibile quell'accordo che è elemento tanto importante di) successo.
Si vedrà ora che la slealtà fu più grande che mai dopo che
io abbandonai il Comando, quando cioè non era più necessaria
« l'estrema cautela per assicurare la continuità e il prestigio del
Comando ».
Subito dopo di avermi inviato i due telegrammi di alta fiducia, del 30 ottobre di cui ho testé discorso, il Governo deliberava la mia sostituzione. Lo dichiarò (come mi è stato formalmente assicurato da testimoni degnissimi di fede), lo dichiarò lo stesso presidente del Consiglio on. Orlando, nella seduta
del comitato segreto della Camera dei deputati del 17 dicembre
1917, quando, interrompendo l'avv. Raimondo, affermò che
prima del convegno di Rapallo il Consiglio dei ministri aveva
deciso il mutamento del Comando Supremo. 1) Il convegno di
1) Ciò è confermato anche dall'articolo di fonte ufficiosa pubblicato sulla
Revue des deux Mondes del 15 luglio 1920 col titolo: La fin d'une legende —
ha mission du Maréchal Foch en Italie (Octobre-novembre 1917).
In questo articolo, a pag. 292 si legge: «
Pour y répresenter l'Italie
(al Consiglio di Versailles) aux cótés du general Foch et du general Wilson,
le gouvernement italien porte son choix sur le general Cadorna, qui sera
166
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Rapallo avendo avuto inizio il 5 novembre, il suddetto Consiglio deve aver deliberato al più tardi il 3 novembre, mentre i
due telegrammi di alta fiducia inviatimi sono delle ultime ore
del 30 ottobre!
Nel mattino dell' 8 novembre mi si partecipava che ero stato
sostituito nella carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito, ed
ero stato nominato rappresentante militare consulente del Governo italiano nel Consiglio superiore di guerra interalleato di
Versailles: consiglio istituito due giorni prima al convegno di
Rapallo.
Quasi contemporaneamente mi perveniva la seguente lettera del ministro della Guerra, che fu fatta pubblicare dai giornali:
mostrazione e di consociarla a mia volta all'augurio che, in nome
dell'esercito, del Governo e del Paese faccio per le sorti e per la gloria
d'Italia.
Il Ministro V. ALFIERI
Eccellenza,
Ella avrà già avuto da S. M. il Re la comunicazione ufficiale del
provvedimento che la riguarda e che modifica, nelle persone, la composizione dell'alto Comando dell'esercito.
Per quanto siano altissime le funzioni ora affidatele, e tali che
senza alcun dubbio nessun altro avrebbe potuto esercitarle con la
competenza e l'autorità che alla nuova carica viene dalla designazione
della E. V., comprendo come debba riuscire doloroso togliersi dal contatto quotidiano con quell'esercito che V. E. ha condotto tante volte
alla vittoria. E questo dolore sarà certamente sentito dall'esercito stesso
e dal Paese, per il quale il nome del generale Cadorna, ben degno delle
antiche tradizioni di famiglia, suonerà sempre intelligenza, valore, carattere, ferma e sicura energia.
Il Governo del Re ha ritenuto di doverle chiedere questo sacrifizio
perché in più vasto campo l'E. V. possa portare il suo grande contributo all'opera comune dell'Italia e dei suoi alleati. Lo scopo da raggiungere è così alto e nobile che V.. E. troverà in esso un conforto
efficacissimo, come lo troverà nella riverente dimostrazione di affetto
dalla quale il distacco sarà accompagnato.
Mi acconsenta l'E. V. di associarmi di tutto cuore a questa diremplacé à la tète des armées italiennes. Le choix de son succésseut n'est pas
encore arrèté; mais son remplacement dans les fonctions de chef d'état major
general, qui comporte en Italie le commandement en chef des armées, date
egalement de Rapallo. Prise dans la plénitude de leur indépendance par le président du Conseil Orlando et les membres dirigeant de son cabinet, la décision,
il n'est audacieux de le supposer, a été apportée par eux de Rome déja arrètèe en principe ».
167
Il Governo, dunque, mi chiedeva il sacrificio del Comando
perché io potessi prestare l'opera mia in più vasto campo. Si
tentava così di farmi credere che la mia esonerazione dal Comando era imposta da una specie di promozione, mentre, in
realtà, essa era già stata deliberata, come dissi, dal Consiglio
dei ministri non più tardi del 3 novembre! Questa circostanza
io non potevo conoscerla in quel momento; tuttavia ebbi tosto
la sensazione di una destituzione mascherata, e rimasi sdegnato,
non già della cosa in sé, perché il Governo, nella sua responsabilità, ha il diritto ed il dovere di nominare a capo dell'esercito
chi gli ispira maggior fiducia, ma della procedura obliqua seguita, a pochi giorni di distanza dalle ampie dichiarazioni fattemi dal presidente del Consiglio; giacché io reputavo che l'unico modo degno del Governo e di me sarebbe stato quello
di dirmi francamente e tutta intera la verità!
La notizia, del resto, non mi sorprese affatto, e, come già
dissi, le parole in corsivo del mio secondo telegramma del 31
al presidente del Consiglio chiaramente lo dimostrano.
Io rispondevo poche righe al Ministero della Guerra mandandogli copia della seguente lettera che lo stesso giorno 8
novembre rivolgevo al presidente del Consiglio.
Eccellenza,
Sua Maestà il Re mi ha dato stamane partecipazione di quanto
il Governo ha deliberato a mio riguardo.
La mia sostituzione nel comando effettivo dell'Esercito e la mia
nomina a consulente del Governo nel Comitato di guerra interalleato
costituiscono, nella sostanza, una vera e propria destituzione mascherata
dal Comando, che ben so di non meritare e pur lo sa V. E. che mi ha
fatto l'onore di confermarmi la sua piena fiducia col suo telegramma
del 30 ottobre.
Osservo inoltre che il mio carattere è fatto per comandare e poco
adatto per una funzione semplicemente consultiva; né so quanta auto"
rità e quanto prestigio io potrei avere in un consesso di alleati che...
168
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Perciò io non potrei esercitare la nuova carica con vantaggio del Paese,
come altri meglio di me potrà. Ho pertanto deliberato di non accettarla,
sempre pronto però, e fino all'ultimo, a servire il mio Paese in qualunque altro modo, anche nel comando di un battaglione, se ne sono
ancora creduto capace.
Attendo gli ordini del Governo per lasciare il Comando, che
abbandonerò fieramente sicuro di fronte alla mia coscienza ed alla storia di aver esercitato nelle più difficili contingenze con tutte le forze
dell'animo e della mente, e non senza notevoli risultati, come la E V.
stessa si è compiaciuta di riconoscere nel Consiglio dei ministri del
28 settembre al quale ho preso parte: risultati che hanno perdurato fino
alla vigilia del disastro, dovuto a fatti del tutto imprevedibili e le cui
cause lontane e profonde devono essere ricercate nella vita italiana.
E' superfluo aggiungere che, nell'interesse della difesa del Paese, la
mia sostituzione urge sia fatta nel più breve termine possibile.
Con perfetta osservanza, devotissimo
Generale L. CADORNA
I n t a n t o i o avevo telegrafato a l G o v e r n o p e r c h é m i c o m u n i casse l'ordine scritto di lasciare il C o m a n d o , e ne ricevevo la
seguente risposta:
Roma, 9 novembre 1917 - ore 7,30
Riservomi inviarle comunicazione d.uTc( (General) Tj0 Tc4.9 Tj3.008 5w0.668 Tc( scritt) Tj0 Tc(a9 Tj2.194 Tw0.33appen scritt) Tj0 Tc(a6 Tj3.57220w0.278 nTc
170
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
proporsi riguarda la determinazione del concorso militare che gli Alleati intendono apportare all'esercito nostro in questione decisiva. Sotto
questo aspetto il mandato appariva ed appare così connesso con le necessità militari del Paese, che io ritenevo che l'E. V. si sarebbe indotta
ad una diversa decisione, non fosse altro per quella specialissima ragione e almeno sino a quando quel compito non fosse stato assolto.
Voglio augurarmi che questo mio appello, fatto in nome di queste specifiche ragioni di interesse della Patria, arrivi ancora in tempo.
L'E. V. nobilmente afferma nella lettera Sua di essere sempre a disposizione del Paese e dell'Esercito, per qualunque compito, si creda
opportuno affidarle; ebbene, in quest'ora decisiva e solenne, a nessun
altro compito più essenziale si può pensare che a quel medesimo cui
lo stesso alto valore dell'E. V. La designava.
Accolga, Eccellenza, coi miei deferenti saluti, i sentimenti della
mia considerazione profonda, coi quali mi è grato riaffermarmi.
Devotissimo suo
renza può ricercarsi l'origine di molti malintesi, alcuni dei quali assai
gravi, che possono essere agevolmente dissipati.
Ed anzitutto debbo rilevare una frase della sua lettera al presidente
del Consiglio, secondo la quale gli Alleati avrebbero richiesto che l'E. V.
fosse tolta dal Comando. Vi deve essere stato in questo un involontario
equivoco, di cui sento tutta la gravità, poiché una intromissione in questa forma non sarebbe stata certo accettata dai ministri d'Italia. Gli
Alleati hanno fatto, è vero, alcune considerazioni circa i metodi usati
non dal Comandante ma essenzialmente dagli Stati Maggiori e soprattutto da ufficiali dei gradi inferiori. Risulta anche a me, da varie parti,
che taluni degli ufficiali degli Stati Maggiori dei Comandi, ed anche del
Comando Supremo, non hanno sempre avuto nel trattare con rappresentanti degli eserciti alleati quel tatto che sarebbe stato necessario: e
questo inconveniente si è accentuato nell'ultimo periodo, quando più
utile doveva esserci il loro concorso. E questo è stato molto sentito dagli
Alleati tutti, che colle debite forme, ma chiaramente, me lo hanno fatto
più volte sentire.
In tale campo vi è perciò molto da cambiare e ciò avrebbe reso
necessaria una modificazione della composizione e forse della organizzazione del Comando specialmente in vista della attuale situazione,
nella quale gli Alleati avranno parte sempre maggiore. Si accennava alle
difficoltà che sarebbero state certo opposte da V. E. ad un simile riordinamento, ma io ritenevo che avrei potuto riuscire a superarle.
E così pure speravo di poter riuscire a modificare, rendendole più
intime, nel senso non di una intromissione ma di una cooperazione più
efficace, le relazioni tra Comando Supremo e Ministero della Guerra.
Il generale Porro e il colonnello Gatti le avranno detto con quale
sentimento io mi dedicassi a quest'opera e potranno affermare quanto
desiderio, sincero desiderio, io avessi di conservarla al comando delle
nostre truppe.
La situazione è stata modificata radicalmente dalla proposta del
Consiglio e del Comitato interalleati, preparata personalmente dal Primo ministro inglese, e di cui questi faceva evidentemente condizione
sine qua non per la concessione di ulteriori aiuti, ciò che rendeva impossibile a noi di non accettarla nelle condizioni attuali della nostra guerra.
Quando potei vedere il testo del progetto, ebbi due impressioni:
1) che fosse una cosa organicamente concepita, e che avrebbe potuto
essere realmente feconda di grandi e utili risultati, e non una lustra
qualsiasi; 2) che le attribuzioni del Comitato stesso fossero così alte et
larghe da rappresentare per il Comando una limitazione che altri avrebbero potuto accettare, ma non V. E.
Da ciò naturale l'idea {accolta subito e senza riserva dagli Alleati)
di destinarla a far parte del Comitato in formazione, sicuro che in esso
avrebbero potuto trovare un ampio campo di azione tutte le qualità
ORLANDO
Ecco ora la lettera del ministro della G u e r r a :
Roma, 11 novembre 1917
Eccellenza,
In seguito alla sua lettera, e specialmente al telegramma inviatomi, dal quale le sue decisioni apparivano ferme e irrevocabili, avevo
determinato, in omaggio al suo desiderio, di dar corso al provvedimento
da V. E. così insistentemente richiesto.
Ho voluto però riflettere ancora per vedere chiaramente dentro
me stesso, per sentire meglio che cosa il mio dovere di italiano, di soldato e di ministro m'imponesse in questi momenti gravi per l'Italia.
E la conclusione delle mie affermazioni è stata che poiché avevo giurato di agire soltanto per il bene del Re e della Patria avrei tradito il mio giuramento accettando senz'altro le dimissioni offertemi.
In nome di questo dovere che ho verso l'Italia, prego l'E. V., che
al sentimento del dovere ha sempre tenuto fede così nobilmente e che
in tanti documenti, che rimarranno come una delle tracce più luminose
della sua azione di Comando, ne è stato alto ed efficace maestro ai suoi
subordinati, di voler leggere e meditare questa lettera che, l'assicuro,
sarà l'ultima mia parola in proposito. Se, dopo aver fatto ciò, V. E.
vorrà insistere, m'inchinerò al suo volere con profondo dolore, ma con
quella piena tranquillità di coscienza in cui solo posso e debbo trovare
un appoggio nell'ora grave e difficile.
Debbo anzitutto chiarire ciò che è accaduto a Rapallo, poiché in
una non chiara visione dell'andamento e dei risultati di quella confe-
171
175
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
i quali mi hanno prodigato cortesie e dimostrazioni di stima di
cui serberò eterno ricordo.
Alla precedente lettera ricevevo la seguente risposta:
Credo che ben raramente si sia dato il caso di una carica
così insistentemente offerta ed altrettanto recisamente rifiutata,
ed infine accettata per sentimento di patriottismo! Il ministro
della Guerra mi aveva, nientemeno, scongiurato ad accettarla
« in nome d'Italia » quasicché dalla mia accettazione dipendesse
la salvezza d'Italia! E soli trentadue giorni dopo egli mi attaccava con un discorso alla Camera il quale scatenava le ire dei
miei più scalmanati denigratori, uno dei quali proponeva che
il discorso del ministro fosse affisso in tutti i comuni del Regno.
Ed ancora un mese dopo io venivo richiamato in Italia!
Il 29 novembre io giungevo a Parigi e dopo aver preso
parte alla conferenza interalleata, ivi riunitasi nello stesso giorno, mi trasferivo il 4 dicembre a Versailles e vi assumevo la
nuova funzione.
Il 12 dicembre veniva convocata la Camera dei deputati, la
quale tosto deliberava di riunirsi in comitato segreto nel giorno
successivo. Le sedute del comitato segreto furono sei, dal 13 al
18 dicembre, e furono in gran parte dedicate alle operazioni
militari della fine di ottobre. 1)
Iniziava la discussione il ministro della Guerra leggendo
una relazione sugli avvenimenti di ottobre contenente critiche
ed apprezzamenti formulati in seguito ad una molto sommaria
inchiesta presso i miei antichi dipendenti, senza che le relazioni
174
Roma, 12 novembre 1917
Eccellenza,
Il presidente del Consiglio mi ha delegato a scriverle anche in
suo nome e La prega vivamente di scusarLa se urgenti affari di Governo e la necessità di partire tra due ore gl'impediscono assolutamente di farlo in persona.
Egli apprezza molto, come le apprezzo io, le ragioni indicate
dall'E. V. Pensa però che lo stesso fatto del dovere adesso gli Alleati
riconoscere quanto fosse giusto ciò che V. E. diceva rappresenti la più.
ampia forma di resipiscenza e aumenti ancora, se pure ve n'era bisogno, l'autorità derivante dalla persona e dalla carica coperta.
Difficoltà ve ne saranno; anzi è forse praticamente un bene che
ve ne siano, poiché...
Tutte queste considerazioni, e soprattutto le altre già esposte a
V. E., inducono il Governo a rinnovarle ancora la preghiera di accettare, per il bene del Paese, la carica conferitale, che per la sua gravità
in questi momenti rappresenta il più grande onore e la dimostrazione
della maggiore fiducia.
Il Governo si rende anche conto della difficoltà pratica di farla
intervenire in questo periodo di trattative già iniziate a Padova da
S. E. Porro; ma confida di poter contare sulla presenza di V. E. alla
prima riunione del 19 a Versailles.
Superfluo dire che, per quanto riguarda il suo Stato Maggiore,
Ministero e Comando Supremo aderiranno a tutte le richieste di V. E.
Mi perdoni, Eccellenza, quest'ultima fase di un'insistenza che ho
sempre ritenuto doverosa, e voglia gradire l'espressione del mio devoto osseguio.
Devotissimo
V. A L F I E R I
Ed io rispondevo così lo stesso g i o r n o :
Eccellenza,
Poiché S. E. il presidente del Consiglio e la V. E. ritengono, dopo
di essere stati posti a cognizione dei miei rapporti coi capi di Stato
Maggiore degli eserciti alleati, che sia per me dovere patriottico di
recarmi alla prossima conferenza militare interalleata di Versailles, per
quanto personalmente me ne dispiaccia, io debbo dichiarare che da
questo momento sono agli ordini del Governo.
1
) Quale fosse il mio stato d'animo di fronte agli attacchi pubblici o segreti del Parlamento, lo dice il seguente brano di lettera che il 20 giugno
1917, dopo la riunione della Camera in comitato segreto, io scrivevo al ministro della Guerra, generale Giardino:
« Non dubiti poi che io leggo (quando le leggo) con tutte le possibili
riserve quanto mi scrivono circa le sedute segrete. Di quanto in esse si dice,
del resto, poco mi cale. Il mio pensiero è molto semplice: non m'importa né
di gradi, né di onori, né di conservare questa carica, che io non ho desiderata,
che ho anzi rifiutata e che mi è stata imposta. M'importa invece molto di avere
e di conservarmi la coscienza limpida come un aistallo, epperciò di adempiere
alla missione che mi è stata affidata (e finché mi sarà affidata) con tutte le
forze della mente e dell'animo, senza guardare in faccia i. nessuno ed altro
non avendo di mira che il bene del Paese.
« In questo stato d'animo Ella facilmente comprenderà come mi riesca
supremamente indifferente quanto possono dire i vari X, Y, Z... e compagnia
brutta! Se riusciranno a persuadere Camera e Governo a sostituirmi, io dirò
loro un bel grazie per avermi sollevato da questo peso, ed augurerò di cuore
al mio successore di far meglio e di saper accontentare tutti... »
177
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
di questi mi fossero mandate ad esaminare, e senza nemmeno
che io avessi potuto essere interrogato! Il presidente del Consiglio mi mandò copia del discorso del ministro della Guerra,
ma solo il 26 dicembre, quando di quel discorso si era tenuta
parola nelle sedute pubbliche che seguirono il comitato segreto, durante le quali qualche oratore molto lodò quel discorso,
facendosene, naturalmente, un'arma contro di me. Uno di essi,
ad esempio, lo definì: « i l mirabile discorso... mirabile documento di lealtà, di equità ». La lealtà e l'equità consistevano,
secondo costui, nell'accusarmi, anzi, nel condannarmi in un comitato segreto, mentre io mi trovavo all'estero e nella impossibilità di difendermi!
Nella lettera del 26 dicembre colla quale accompagnava ii
discorso del ministro della Guerra, il presidente del Consiglio
mi partecipava che era riuscito colle sue dichiarazioni alla Camera a far cadere le varie proposte di inchiesta parlamentare,
ma tale risultato aveva potuto ottenere dichiarando che all'inchiesta avrebbe pensato il Governo; e soggiungeva che il ministro della Guerra aveva fatto una esposizione obiettiva, per
quanto possibile, circa lo svolgimento dei fatti connessi col nostro rovescio, e che reputava doveroso di darmi comunicazione
del discorso del ministro.
E' facile osservare come, trattandosi di argomento così importante e delicato e di un ambiente nel quale era accumulata
tanta materia incendiaria: o si era in grado di essere interamente oggettivi, ed allora si poteva tenerne parola; o non si
era in grado di esserlo, ed allora il solo partito onesto era quello di tacere, limitandosi ad annunziare alla Camera la costituzione di una Commissione d'inchiesta ed invitandola ad astenersi da qualunque affrettato giudizio finché questa non avesse
deliberato, astenendosene pel primo il Governo.
Inoltre il presidente del Consiglio mi dichiarava nella succitata lettera che era riuscito colle sue dichiarazioni alla Camera
a far cadere le varie proposte di inchieste parlamentari, ma tale
risultato aveva potuto ottenere dichiarando che all'inchiesta
avrebbe pensato il Governo. E' facile su di ciò osservare che
a far cadere le inchieste parlamentari soprattutto era interessato
lo stesso presidente Orlando, perché quelle inchieste — se imparziali — avrebbero certamente messo in luce la sua colpevole opera negativa nella difesa dello spirito pubblico dal disfattismo; mentre, se nominata da lui la Commissione d'inchiesta, era più facile ottenere opera partigiana a suo vantaggio, come di fatto avvenne.
E poi, come pretendere di essere stati obiettivi — sia pure
per quanto era possibile — quando il Governo non si era neppure curato di interrogare colui che accusava in pieno Parlamento?
Ecco la mia risposta al presidente del Consiglio:
176
Versailles, 5 gennaio 1918
Eccellenza,
Sono grato a V. E. di avermi voluto inviare copia della esposizione fatta alla Camera dei deputati dal ministro della Guerra sugli avvenimenti militari della fine di ottobre.
Io ne conoscevo la sostanza anche attraverso le impressioni provocate da esso e in parte espresse nella stessa seduta pubblica della Camera, e non nascondo a V. E. che anche solo in base a tali impressioni
mi sembrò che l'oggettività del giudizio definitivo, che così giustamente
V. E. aveva affermato non potersi ancora dare dal Governo, fosse stata
realmente pregiudicata, non foss'altro per il significato dato dalla maggioranza della Camera alle parole del ministro.
Oggi, leggendo il testo ufficiale del discorso, riconosco le difficoltà che il ministro della Guerra ha dovuto incontrare nel suo
desiderio di essere « per quanto possibile » oggettivo. Ma tanto più
mi meraviglio che, dato questo desiderio di oggettività, non si sia sentito il bisogno di interrogarmi, affinché l'esposizione non risultasse su
alcuni punti unilaterale, come necessariamente doveva risultare sulla
base di inchieste parziali e come potrò dimostrare a suo tempo.
Credo che in nessun modo si sarebbe potuto ritenere meno corretto moralmente e giuridicamente se anche il mio punto di vista fosse
stato preso in considerazione; e d'altra parte questo modo di procedere
sarebbe stato certo più conveniente verso chi, nel suo silenzio, non ha
altra garanzia di fronte alle torbide ostilità di quest'ora che l'assoluta
equanimità del Governo.
In ogni modo ringrazio V. E. per la sua personale cortesia nel
volermi tenere informato di quanto è avvenuto e mi riguarda. Per parte
mia sono sempre pronto, non a difendermi (perché questa non è ora
12 -
CADORNA.
178
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
di difese personali di fronte al troppo vivo e partigiano desiderio di
condanne, e a me basta la fiera coscienza di quanto ho fatto per il mio
Paese e che nessuno potrà, contendermi) ma pronto a dare tutti gli elementi di fatto che possono essere utili per la ricerca della verità che
è giustamente desiderata e che tutti gli uomini di coscienza debbono
volere intera.
Generale CADORNA
tifi che più avevano avversato la guerra e che, considerandomi
come uno dei personaggi più rappresentativi della medesima, mi
volevano abbattere; oppure da chi aveva personali ragioni di rancore. E la loro azione ostile era favorita dall'ignoranza dei fatti
da parte di quanti, essendo amanti della verità e della giustizia,
avrebbero voluto difendermi, ma non avevano il mezzo di combattere le accuse avversarie. Il solo che osò farlo, sebbene gli
elementi di difesa anche a lui mancassero, fu il generale Pistoia
nella seduta del 19 febbraio, e di tale suo coraggio in quell'ambiente io gli ho reso e gli rendo il dovuto tributo di gratitudine.
Si mirava a scagionare quei partiti i quali, avendo avversato la guerra, erano i veri responsabili del disfattismo che aveva avvelenato lo spirito dei soldati ed erano perciò stati la causa precipua della catastrofe di Caporetto, e non vi era all'uopo
altro mezzo all'infuori di quello di far risalire le cause
della disfatta ad errori di carattere militare commessi da chi
aveva la responsabilità del Comando. Ora, lo stabilire tali errori,
se ve ne fossero stati, avrebbe dovuto essere opera di lunghe
ed accurate indagini, effettuate da persone competenti ed imparziali, che avessero la perfetta conoscenza dei dati di fatto e
dei documenti, in una parola di una commissione d'inchiesta
opportunamente scelta coi criteri suesposti e nell'intento esclusivo della ricerca obiettiva della verità. Invece, senza che nessuna indagine avesse potuto aver luogo, le accuse erano formulate tumultuariamente, in forma spesso violentissima, da
persone incompetenti, da null'altro guidate che da passioni di
partito o da ire personali, e senza che alcun segno di protesta
fosse fatto neppure da parte di quei ministri che una parte almeno della verità conoscevano! E' possibile immaginare un pro-
Nella seduta antimeridiana del 15 marzo 1918 della Commissione d'inchiesta io facevo osservare che la relazione del ministro della Guerra a me ostile era stata compilata in seguito
ad una inchiesta sommaria da lui fatta interrogando e facendosi rilasciare delle relazioni da antichi miei dipendenti — relazioni che non mi furono comunicate, né io fui interrogato;
e tutto ciò fu fatto mentre io non ero in grado di difendermi,
perché mi trovavo all'estero, incaricato di una missione importantissima che io mi ero ostinatamente rifiutato di accettare e
che mi era stata pressoché imposta. Contro questi metodi —
io soggiungevo — che non si adoperano neppure contro i peggiori delinquenti, io ho il diritto di presentare la più fiera protesta!
Narra Cornelio Tacito che quando Vibio Crispo cercò di
far condannare dal Senato Romano Annio Fausto senza disamina o difesa, alcuni senatori dicevano : « Odansi l'accuse, diasi
tempo alla difesa, come s'usa al più tristo uomo del mondo. »
(Le storie — Libro secondo - X). Quasi 2000 anni dopo, in
tempi così detti di libertà e di sfolgorante progresso, il Governo e la Camera italiana giudicarono che di ciò si poteva fare
a meno, senza ch'io fossi ancor diventato il più tristo uomo
del mondo!
Nelle sedute del comitato segreto, nonché in quelle pubbliche successive fino al 22 dicembre ed in quelle del 14,
19 e 21 febbraio, io fui oggetto degli attacchi più furibondi,
delle calunnie più atroci, 0 specialmente per parte di quei par1) Fu allora che l'on. Giacomo Ferri ebbe la spudoratezza di affermare alla
Camera che io ero fuggito da Udine e che avevo ordinato una fuga, mentre
ero stato l'ultimo del Comando Supremo ad abbandonare Udine, alle 15,30
del 27 ottobre 1917, e se avessi ritardato fino al giorno seguente potevo fa-
179
cilmente cadere prigioniero dei tedeschi. Aveva ben ragione l'on. Francesco
Crispi, il quale, dopo la battaglia di Adua, era stato oggetto degli attacchi
più furibondi alla Camera dei deputati di rivolgere ad un senatore siciliano
(il quale me le riferì) le seguenti parole: « La misericordia di Dio è infinita,
ma la viltà degli uomini è ancora più grande. » E oltre due millenni prima,
Eschilo aveva già scritto nell'Agamennone : « Poi che innato è nell'uomo il
già caduto ancor più calpestarlo. »
181
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
cedimento meno serio e più iniquo? E tutto ciò accadeva nel
più alto consesso della nazione!
Nella seduta del 4 giugno 1918 della Camera francese,
quando in seguito al cedimento di Chàteau Thierry alcuni deputati socialisti si avventarono contro il maresciallo Foch ed
altri capi dell'esercito, il signor Clémenceau pronunziò le seguenti parole che desumo dal resoconto ufficiale:
« S'il faut, pour obtenir l'approbation de certaines personnes
qui jugent hàtivement, abandoner les chefs qui ont bien mérité
de la patrie, c'est une làcheté dont je suis incapable. N'attendez pas de moi que je la commette. »
Il 17 gennaio il presidente del Consiglio mi inviava il seguente telegramma:
180
Ed ancora:
« Je suis le chef de ces hommes et j'ai le droit de les frapper
si je juge qu'il est de l'intérèt general de le faire, mais j'ai aussi
le droit supérieur de les couvrir, s'ils sont injustement attaqués. »
N o n io certo mi sarei atteso che l'on. Orlando obbedisse ai
sentimenti generosi e coraggiosi che sei mesi dopo inspirarono
il sig. Clémenceau! Ma non sarebbe stata eccessiva pretesa quella che egli avesse invitato la Camera alla serenità ed alla imparzialità, facendole osservare che, mentre sarebbe stata nominata una Commissione d'inchiesta, non era lecito intanto di
ingiuriarmi, di calunniarmi e di condannarmi, anticipando sul
giudizio della Commissione, e pur trovandosi nella più perfetta
ignoranza dei fatti accaduti, quando pure questi non venivano
travisati a scopo partigiano e personale! Eppure non una parola fu pronunziata da lui, che pur sapeva come erano andate
le cose. Ma è facile la spiegazione: sull'amore della verità e
della giustizia ha prevalso l'interesse di farmi colare a picco,
per rimanere lui a galla! 1)
1) Il 27 ottobre 1917, io finivo colle seguenti parole un telegramma al
presidente del Consiglio, on. Boselli, col quale gli comunicavo le tristissime
notizie di quel giorno : » Esercito non cade vinto da nemico esterno, ma da
quello interno, contro il quale invano reclamai provvedimenti con quattro
lettere del giugno ed agosto rimaste senza risposta. » Queste parole ponevano
nettamente la questione delle responsabilità del Governo. Da quel momento
data certamente l'intenzione di scaricarla sul Comando Supremo, al quale scopo
ben doveva servire la Commissione d'inchiesta nominata due mesi dopo nel
modo risaputo.
Richiamando precedentemente comunicazione già fatta in argomento, partecipo alla E. V. che il Governo, anche in conformità dei voti
espressi dai due rami del Parlamento, ha nominato una Commissione
incaricata di esaminare le cause e le eventuali responsabilità degli avvenimenti militari della fine di ottobre.
La Commissione presieduta dal generale Caneva è composta del
generale Ragni, dei senatori Canevaro e Bensa, dei deputati Raimondo
e Stoppato e dell'avvocato generale Tommasi.
Il Consiglio dei ministri, sentito il presidente della Commissione,
ha ritenuto necessario che l'E. V., nonché i generali Porro e Capello,
dovendo per l'alto ufficio occupato essere frequentemente chiamati1)
a fornire schiarimenti per indagini, debbano a tal uopo trovarsi a Roma.
Pertanto verrà sottoposto alla firma di S. A. R. il Luogotenente un
Decreto che collocherà V. E. a disposizione del Ministero, conservandole, ben inteso, il rango e le competenze.
Ritengo doveroso dare di ciò preventiva notizia a V. E. riservandomi di provvedere per quanto riguarda il Comitato interalleato.
Presidente Consiglio Ministri
ORLANDO
E così due soli mesi dopo le inaudite insistenze colle quali
mi si era sollecitato ad accettare la nuova carica a Versailles
mi si annunziava che sarei stato richiamato in Italia.
Nei primi giorni di febbraio si riuniva a Versailles il Consiglio superiore di guerra coll'intervento del presidente del Consiglio dei ministri e del ministro degli Affari Esteri, ed il primo,
appena ritornato a Roma, così mi telegrafava:
4 febbraio 1918 - ore 21,30
Eccellenza Cadorna, Consigliere Militare per l'Italia
Versailles
A seguito telegramma 17 gennaio prossimo passato pregiomi comunicarle che è stato firmato oggi Decreto in cui V. E. è stato collocano a disposizione conservando il rango e gli assegni attuali.
1)Io non sono stato chiamato dinanzi alla Commissione che il 14-15 marzo ed il 31 maggio 1918. E la Commissione ha consegnato la sua relazione
nel luglio 1919, dopo di aver formulato tante critiche senza interrogarmi,
come si è visto e si vedrà.
182
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Si recherà a sostituire V. E. il generale Giardino, e prego l'E. V.
di volerne attendere l'arrivo che non tarderà molto.
Deferenti saluti,
per ciò che non si volle una modificazione anche negli stessi assegni.
Quanto, poi, al fatto della rinnovata dichiarazione, io prego V. E.
di considerare che essa si giustifica in relazione alla doppia comunicazione che fu fatta: la prima in seguito alla decisione del Consiglio
dei ministri che preparò il provvedimento, la seconda in seguito alla
firma del Decreto. Era quindi naturale che in ambedue le comunicazioni si menzionasse il contenuto di essa, di cui fa appunto parte la
clausola relativa agli assegni.
Gradisca i sensi della mia più profonda osservanza, devotissimo
ORLANDO
Ed io così risposi:
A S. E. Orlando, presidente Consiglio Ministri - Roma
Accuso ricevuta del telegramma di V. E. in data 7, il quale conferma quanto appresi ieri da fonte inglese che prevenne comunicazione
Governo.
Generale CADORNA
E successivamente inviavo seguente lettera:
A S. E. l'Avv. Vittorio Emanuele Orlando
Presidente del Consiglio dei Ministri, Roma
Nel suo telegramma del 7 corr. l'E. V. mi annunzia per la seconda
volta che, nel passare a disposizione del Ministero, mi saranno conservati rango ed assegni.
Con questa insistenza mi si fa sentire che mi si vuol fare un favore, che io non posso in alcun modo accettare.
D'altronde, io non vedo ragione per cui mi si debbano dare le
indennità di guerra non avendo io altro compito all'infuori di quello
di intervenire nella Commissione d'inchiesta.
Prego perciò l'E. V. di far modificare il Decreto nel senso che mi
vengano conservati i soli assegni di pace; giacché io non intendo di
contrarre debiti collo Stato, al quale tutto ho dato e dal quale nulla ho
ricevuto.
Con perfetta osservanza, devotissimo
L. CADORNA
Ricevuto la seguente risposta:
Roma, 15 febbraio 1918
Eccellenza,
In risposta alla lettera direttami da Versailles il giorno 9 relativa alla questione delle indennità, mentre ammiro il sentimento che
ha mosso V. E. , posso assicurarle, per quanto riguarda il Governo, che
tale disposizione non ha alcuna portata personale, essendosi egualmente
Applicata concorrendo parità di ragioni. Essa discende dal concetto
cui il Governo si è costantemente e rigidamente attenuto, e cioè di evitare ogni atto capace di pregiudicare giudizi futuri. E fu precisamente
183
ORLANDO
A questa lettera così replicavo:
Roma, 21 febbraio 1918
Eccellenza,
Sono grato all'E. V. degli schiarimenti che si è compiaciuta darmi
sulla questione delle indennità, e, apprezzando il concetto cui s'informa il provvedimento « di evitare, cioè, ogni atto capace di pregiudicare giudizi futuri », a me non rimane che accogliere la decisione
del Governo.
Con perfetta osservanza, devotissimo
L. CADORNA
Ho creduto di dover riprodurre le precedenti lettere non
solo per ciò che dirò in seguito, ma anche perché tra le molte
critiche fatte vi fu pure quella di aver lasciato a noi accusati
e sottoposti a Commissione d'inchiesta il rango e gli assegni
— poiché a tanta altezza la critica si è sollevata! Ma io l'avevo
preveduta.
Il 16 febbraio io lasciavo Versailles per far ritorno in Italia, e mi accompagnava il rimpianto di lasciare il suolo di Francia, dove avevo ammirato l'alto e concorde spirito di resistenza
che animava il popolo e l'esercito, e dove gli Alleati mi erano
stati così larghi di dimostrazioni di stima.
Cinque mesi dopo io ricevevo la seguente lettera dal ministro della Guerra:
Roma, 14 luglio 1918
Vostra Eccellenza, con squisita delicatezza e con fine senso dì
opportunità, ebbe già a far presente al mio predecessore come fosse
184
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
disposta a rinunciare all' eccezionale trattamento concessole per atto
di Governo, di continuare cioè a fruire, nonostante la cessazione da
ogni comando, del rango corrispondente alla precedente alta carica
e di tutti gli assegni relativi.
Come è noto, trattamento simile era stato consentito in via straordinaria anche ad alcuni altri generali, ma poiché la situazione specialissima si protraeva ormai da alcuni mesi, si è imposta la necessità di
considerare, anche -per motivi di ordine politico, la convenienza di
una sistemazione per tutti alle norme comuni.
La Commissione d'inchiesta istituita con R. D. 12 gennaio ultimo,
N. 35, dal canto suo, ha ritenuto, allo stato delle sue indagini, giustificata la preoccupazione di regolare in modo diverso dall'attuale
la eccezionale posizione di stato fatta ai generali stessi 1)
In relazione a ciò, il Consiglio dei ministri è venuto nella determinazione di adottare verso l'E. V. e gli altri generali ora detti il provvedimento consueto preveduto dai Decreti 11 luglio 1915 N. 1603
e 19 novembre 1916 N. 1648 per i generali che hanno lasciato un
Comando presso l'esercito mobilitato. Eppertanto con Decreto Luogotenenziale 7 luglio corrente, l'E. V. è stata collocata col 1" luglio stesso
a disposizione in soprannumero.
interpretato come una misura punitiva. Fu fatta correre la voce che io fossi stato degradato, e mentre villeggiavo in una
valle del Piemonte fu perfin gridato sotto le mie finestre: traditore della patria!
In Inghilterra fu creduto che mi fosse stato tolto il grado, tanto che si stimò necessario fornire opportune spiegazioni
e rettifiche per mezzo della Agenzia Reuter, essendosi anche
di colà fatto osservare che colpendo in tal modo me si svalutava la nostra azione militare dei primi 29 mesi di guerra.
Solo più tardi seppi dell'impressione prodotta da tale notizia negli Stati Uniti: la conobbi da lettere giuntemi da quel
paese e da una rivista italiana, Il carroccio, che si pubblica a
New York. Sul fascicolo dell'agosto 1918 di questa rivista trovo scritto quanto segue:
Il ministro ZUPELLI
Anzitutto, quando il 9 febbraio rinunziai al rango ed agli
assegni, io non mi rivolsi al predecessore del ministro della
Guerra, bensì al presidente del Consiglio dei ministri.
E poi si ammiri con quale squisita delicatezza e con quale
fine senso di opportunità mi si fa replicatamente sentire la
concessione fattami, dopoché io l'avevo rifiutata cinque mesi
prima e non avevo accettato rango ed assegni che in seguito
alle spiegazioni datemi dal presidente del Consiglio!
Ho dovuto soffermarmi più a lungo di quanto avrei voluto
su questo triste episodio, perché esso ebbe per me le più spiacevoli conseguenze.
In Italia ed all'estero il provvedimento fu generalmente
1
) Non mi risulta che mai nessun tribunale si sia arbitrato di esprimere
un giudizio, sia pure parziale o solo d'impressione, mentre ancora si escutono
i testimoni, e soprattutto quando il testimonio principale (cioè chi scrive) non
era ancora stato udito su molte importantissime questioni, come non lo è tuttora. In questa fase di lavoro era appunto la Commissione d'inchiesta nel luglio 1918.
Essa concluse il suo lavoro soltanto nella primavera del 1919.
185
Cadorna in disponibilità. - Non si può credere l'impressione enorme che giorni fa produsse la notizia della punizione — nientemeno
con la degradazione! — di Cadorna, Porro e Capello, diffusa in tutti
gli Stati Uniti con telegrammi giunti dall'Europa. Chi li mandò? Come
pervennero ai giornali? Perché la censura italiana o alleata li lasciò
passare? Erano destinati a scuotere l'opinione pubblica perché non se
ne dovesse misurare la portata. A Roma stessa dovette apparire un comunicato ufficiale 1) che spiegava il carattere e il significato della
« messa in disponibilità », chè di questo unicamente trattavasi per i tre
generali. Ma come si provvide a correggere nell'opinione pubblica
americana la tristissima impressione che avevano prodotto i dispacci
alterati, che miravano a far apparire i tre generali come unici responsabili di Caporetto, come incoscienti, e come traditori della Patria? Già, non si deve mai smentire che il disastro di Caporetto fu
voluto da Cadorna, poiché questa è la tesi di chi preparò Caporetto
dietro le spalle dei combattenti, dove Cadorna non aveva potere di
agire, provvedere, reprimere! Già, si deve accettare la tesi del disastro militare!
Ciò che ho riferito è più che sufficiente per dimostrare
quanta ragione avesse la Commissione d'inchiesta di dire (a
1
) A Roma non fu pubblicato alcun comunicato ufficiale; ma l'autore dell'articolo allude probabilmente al comunicato fatto in Inghilterra per mezzo
dell'Agenzia Reuter, mandato appunto per spiegare il carattere e il significato
non già della « messa in disponibilità » ma della « messa a disposizione in
soprannumero ».
187
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
pag. 270 della relazione) che « nelle modalità con cui il Governo credette di dover con estrema cautela assicurare la continuità e il prestigio del Comando, prima di chiamarlo a render conto del suo operato, vide solo uno sleale procedimento
a suo riguardo! »
E questo era riferito come « un esempio tipico » del mio
egocentrismo!
Nell'intento di evitare pubblica polemica, mi rivolsi privatamente
al maresciallo Caviglia pregandolo di farmi conoscere quali concreti
documenti o testimonianze legittimassero una così grave affermazione,
e, in caso gli uni e le altre mancassero, di voler provvedere alla doverosa rettifica.
Il maresciallo Caviglia non solo non ha aderito alla mia richiesta
di rettifica, ma si propone di ripetere affermazioni sostanzialmente
equivalenti in un nuovo volume di prossima pubblicazione opponendomi un documento (la lettera del Comando Supremo, n. 5277 in data
3 novembre 1917, Riservatissima personale diretta a S. E. il presidente
del Consiglio dei ministri) ed una testimonianza: quella dell'on. Orlando. Esaminiamo il valore dell'uno e dell'altra:
186
Nota del generale Raffaele Cadorna al capitolo
V.
Nel 1934, in seguito alla pubblicazione del libro del Maresciallo
Caviglia Le tre battaglie del Piave, ritenni opportuno rettificare, in
una lettera inviata al direttore della Rassegna Italiana, dott. Tommaso
Sillani, lettera pubblicata nel fascicolo del novembre 1934 della stessa
rivista, alcune affermazioni del Maresciallo.
Ecco il testo della lettera:
Signor Direttore,
La sua autorevole rivista — nella puntata di febbraio — pubblicava un articolo La XII Battaglia dell'Isonzo, contenente rilievi
di ordine tecnico al noto volume — di pari titolo — del maresciallo
Caviglia.
Di un punto non si occupava quell'articolo ed era il più grave: là
dove — a pag. 257 — il maresciallo Caviglia scrive:
Dopo lo sfondamento della linea del Tagliamento a Cornino,
mentre Cadorna dava le disposizioni per il magistrale schieramento
dell'esercito sul Piave, egli dubitava che le truppe non avrebbero tenuto su quel fiume. Perciò prospettava al Governo la eventualità di
dover fare pace separata col nemico 1). Quello fu il più grave errore
che giustificò e giustifica storicamente il suo allontanamento dal Comando Supremo,
1
) Nella seconda edizione, uscita nel maggio '34, quest'ultima frase è così
modificata : « Perciò prospettava al Governo l'eventualità dì dover far pace col
nemico nel caso che le truppe avessero ceduto al Piave ».
1° Il generale Cadorna chiarisce (La guerra alla fronte italiana,
pag. 213) che la lettera 5277 «riproduce fedelmente le sue impressioni sulla situazione generale quali si presentavano in quel giorno, in
base alle notizie che giungevano al Comando Supremo » 1) e, io aggiungo, quali aveva il dovere di comunicare al capo del Governo.
La lettera espone i dati numerici illustranti la crisi morale e
materiale che l'esercito in quel momento attraversava e definisce la
situazione « critica, ma tale da poter divenire criticissima 0 addirittura
di eccezionale gravità » qualora intervenissero nuovi elementi avversi
(necessità di effettuare affrettatamente, sotto pressione nemica, il ripiegamento dal Tagliamento al Piave; contemporaneo attacco nemico
in forze dal Trentino, o minore capacità di resistenza da parte delle
nostre forze in quel settore: tutte ipotesi che era doveroso prevedere
e prospettare, ma che fortunatamente non si avverarono).
Particolare rilievo viene dato ai presunti effetti della propaganda
sovversiva sul morale dell'esercito: ciò evidentemente perché il documento è diretto a quello stesso Orlando che, ministro dell'Interno,
quella propaganda aveva' tollerato e che ora — capo del Governo —
avrebbe dovuto finalmente provvedere ed efficacemente controbatterla.
Il generale Cadorna in quella lettera 2) così conchiude :
« Debbo infine confermare quanto telegrafo questa sera a V. E.,
1)
Il maresciallo Caviglia nel suo libro La XII Battaglia, pag. 278 ci fa
sapere di aver comunicato, il 25 ottobre, al Comando della 2a Armata che la
Brigata Roma si era arresa. Ammettiamo che i comandanti delle altre grandi
unità, ben altrimenti impegnate che non il XXIV C. d'A., abbiano fatto analoghe comunicazioni: perché scandalizzarsi se il Comando Supremo vedeva e
prospettava al Governo la situazione sotto una luce poco rosea?
2
) Il primo capoverso della citazione è stato già pubblicato dal generale
Cadorna stesso; l'intera chiusa è stata pubblicata dalla relazione della Commissione d'inchiesta e dal generale Segato nel volume L'Italia nella guerra mondiale.
188
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
cioè che se mi riuscirà di condurre la III e la IV Armata 1) in buon
ordine sulla Piave, ho intenzione di giocare ivi l'ultima carta, attendendovi una battaglia decisiva; perché una ulteriore ritirata fino al
basso Adige ed al Mincio, alla quale dovrebbe pure partecipare la I Armata, in condizioni difficilissime, mi esporrebbe a perdere quasi tutto
le artiglierìe ed annullerebbe completamente ciò che rimane dell'efficienza dell'esercito, rinunciando anche all'ultimo tentativo di salvare
l'onore delle armi. Ho voluto così esporre la situazione nella sua dolorosa realtà sembrandomi meritevole di essere considerata all'infuori della
ragione militare, per quei provvedimenti di governo che esorbitano
dalla mia competenza e dai miei doveri. »
Orbene il maresciallo Caviglia si vale di questo documento (di cui
egli mi annuncia la pubblicazione integrale in un suo volume di prossima edizione) per dimostrare che il generale Cadorna non aveva fiducia che le truppe avrebbero tenuto sulla linea del Piave, ergo prospettava (interpretazione data dall'on. Orlando all'ultimo capoverso
della lettera 5277 sopra citata) al Governo l'eventualità di far pace
separata col nemico. Io contesto l'una cosa e l'altra.
Il generale Cadorna apprezzava freddamente tutti gli elementi negativi — materiali e morali — del problema militare e ne rendeva
edotto — con una comunicazione riservatissima personale — il capo
del Governo responsabile, ma non escludeva affatto un miglioramento
della situazione — specie morale — tale da consentire un'efficace difesa del Piave.
Se tale speranza egli non avesse nutrito, non avrebbe deciso di
attendere battaglia decisiva sul Piave, ma sarebbe stato istintivamente
portato a continuare la ritirata anche a costo di perdere altro materiale.
E lo stesso generale Segato, il quale per primo ha reso pubblica
questa tesi nel suo libro L'Italia nella Grande Guerra scrive, a pagina 541, quasi a conclusione dell'esame introspettivo: « Ad ogni
modo, se pur in fondo al suo animo la fiducia poteva essere scossa, il
generale Cadorna seppe nascondere ogni dubbio e pronunciò nobili
parole dì fede e di dovere », e più sotto si dilunga a porre in contrasto :
« la calma, l'imperturbabilità, la padronanza di se stesso dimostrate dal
generale Cadorna nel guidare con mano ferma e sicura le operazioni »
con lo stato di abbattimento completo in cui era caduto il generale von
Moltke dopo la battaglia della Marna.
Questi sono i fatti che contano, il resto è discussione bizantina.
2° La paternirà dell'interprerazione dell'ultimo capoverso della
lettera 5277 nel senso che il generale Cadorna prospettasse l'eventualità della pace separata spetterebbe, secondo il maresciallo Caviglia,
all'on. Orlando. Ed a chi altro sarebbe potuta venire in mente una
simile idea mentre è noto che eravamo vincolati dal Patto di Londra
e quando già Belgi, Serbi e Romeni ci avevano mostrato di preferire
la perdita presso che totale del territorio nazionale alla resa delle armi?
Non ad altri membri di quel Governo — che esplicitamente affermano
di non averne mai inteso parlare, — tanto meno al generale Cadorna
per il quale quella frase poteva riferirsi alla richiesta di maggiore concorso da parte degli Alleati, alla necessità di preparare l'opinione pubblica ai nuovi sacrifizi, ed in generale ad ogni provvedimento connesso
col possibile abbandono di altre province, col ripiegamento, se necessario, sulle Alpi piemontesi o sull'Appennino, non mai con la resa
a discrezione.
1)
Il maresciallo Caviglia, che taccia di eccessivo pessimismo la lettera 5277,
giustifica nel suo libro il ritardo frapposto dal comandante della 48 Armata ad
eseguire l'ordine di ritirata. Come se uno degli elementi determinanti del pessimismo implicito nel condizionale « Se mi riuscirà di condurre la 3a e la 4a
Armata in buon ordine sul Piave » non stesse anche nella ritardata esecuzione
dell'ordine di ritirata.
189
Ed a confortare questo argomento con testimonianze di indiscutibile valore, per arrestare nettamente il diffondersi di questa bassa e
ingenerosa leggenda, mi sono rivolto ad alcuni fra i più autorevoli collaboratori del generale Cadorna. Debbo alla loro cortesia le seguenti
dichiarazioni che integralmente riproduco:
D A L MARESCIALLO D'ITALIA GAETANO GIARDINO: Tutto ciò che
ho personalmente osservato, fra il 28 ottobre e il 9 novembre 1917,
al Comando Supremo, presso Suo Padre, io ho fedelmente reso dì pubblica ragione fin dal 1929 (mie «Rievocazioni» ecc;, Vol I; pag. da
90 a 111).
Senza ricorrere a sforzi di memoria a distanza dì oltre 16 anni,
posso dunque attestarLe senz'altro che, né in quei giorni del 1917, né
quando ne scrissi 12 anni più tardi con la scorta dei miei diarii personali, mi è mai passato per il capo il più leggero dubbio relativo alla
interpretazione, della quale Lei mi scrive, della lettera 3 novembre.
Non mi autorizzava al dubbio alcun atto né alcuna parola dì Suo
Padre; e per contro me lo inibiva il fatto concreto, da me ricordato
da pag. 98 a 100, della questione dibattuta con Suo Padre il 5 e 6 novembre 1917 per un saliente Cesen-Solìgo, che presupponeva evidentemente un pensiero di futura controffensiva. E l'ostacolo fu, non là
sfiducia nelle truppe, ma la previsione dell'insufficiente numero di truppe
disponibili, fin troppo avveratasi.
Dopo tutto, Suo Padre non parlava a mezza bocca, e più di tutti
lo sapeva Orlando. E io penso anche che, interpretazione o no, nessuno abbia osato chiedere al vecchio leone se veramente avesse voluto
parlare di pace separata e quali fossero le sue ragioni. Domanda di
prima necessità per il Governo e per il successore del comando.
190
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Mi abbia vicino a Lei nella venerazione della memoria del nostro
« Condottiero gigante » e mi creda
Maresciallo GIARDINO
DAL GENERALE CONTE CARLO PORRO, GIÀ SOTTOCAPO DI STATO
MAGGIORE DELL'ESERCITO:
1°,
193
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
detto: questo dunque Egli non ha mai pensato e non può essergli attribuito.
Generale P. PINTOR
Solo chi non ha veduto il maresciallo Cadorna in quei giorni o
non voglia oggi esaminarne l'opera nella sua mirabile sintesi e coerenza
può supporre che fosse vicino alla resa. Se vi furono ore in cui tutta
la sua grandezza morale emerse e si impose ai molti smarriti furono
appunto quelle,
Quanto alla interpretazione da dare alle frasi rivolte al Governo
nella lettera 5277 Ris. Pers. a me pare assai chiaro come esse si ricongiungano alle precedenti e tanto vibrate sollecitazioni per una politica
interna più consona alla gravità della partita impegnata e rimaste sempre pur troppo senza effetto. Esse rappresentano la sferzata ai pigri
ed agli inetti che in quel momento era doveroso dare.
Anche qui è tutta la linea di condotta tenuta dal maresciallo verso
il Governo nella sua continuità che occorre tener presente se si vuole
giustamente interpretarne il pensiero; diversamente si può cadere con
facilità nell'arbitrio.
192
D A L GENERALE
ALDO
AYMONINO, GIÀ FACENTE
SEGRETERIA DEL CAPO Di STATO MAGGIORE:
PARTE DELLA
A quanto
mi chiede,
rispondo:
Escludo nel modo più assoluto di aver mai sentito anche lontanamente adombrare la eventualità di una pace separata né direttamente da parte di S. E. Cadorna, né indirettamente dagli ufficiali della
segreteria, né da alcuna delle persone che, dopo avere in quei giorni
conferito col capo, si trattenevano con noi per carpire notizie o cogliere impressioni e giudizi.
Dall'inizio del ripiegamento in poi il pensiero dominante tutte
le operazioni fu chiaro e semplice come tutte le grandi idee e si può
riassumere così: nella fronte dell'esercito si era aperta una larga falla
in corrispondenza della II Armata resa temporaneamente non efficiente; occorreva ripiegare i tronchi di destra e di sinistra fin dove potessero saldarsi; tale giunzione non poteva avvenire che al Piave cioè
alla linea più breve, più sicura e più economica per la difesa; i tronconi da congiungere erano le ali della IV Armata e della IH Armata:
saldatura al Montello.
La sosta al Tagliamento fu motivata, oltre che da ovvie ragioni
militari, dalla necessità di far sgombrare le strade fra quel fiume e il
Piave dagli sbandati e dalle masse di profughi del Friuli e del Veneto
con tutte le loro impedimenta.
Le date degli ordini inviati in quei giorni agli ispettori del genio
e d'artiglieria per la rapida messa in efficienza della linea del Piave
devono essere probanti.
Tutu i lavori ordinati in precedenza al Grappa e per il campo
trincerato di Treviso e fatti proseguire anche nell' estate '17 dimostrano
alla evidenza come da lungo tempo nel pensiero del maresciallo quella
del Piave fosse la linea sulla quale l'esercito italiano, in caso di crisi,
avrebbe dovuto ripiegare per trovare una situazione strategica meno
sfavorevole.
Tanto era l'assillo della ricerca della « linea più breve » {cioè proporzionata alle forze rimaste efficienti) che a chi gli prospettò l'utilità
di portare la difesa del Grappa a M. Tomatico e M. Roncone per dominare la conca di Feltre oppose sempre la necessità di non lasciarsi
trascinare dal terreno ad un sìa pur piccolo allungamento della fronte.
Lo stesso dicasi per la linea prescelta sugli Altipiani.
Ripeto: quella del Tagliamento non era che una sosta, e quindi lo
sfondamento a Cornino non poteva rappresentare per il capo un aggravamento della situazione tale da fargli pensare che la partita fosse perduta e la resistenza delle truppe più affievolita.
Generale ALDO AYMONINO
D A L DUCA T. GALLARATI-SCOTTI, GIÀ U F F I C I A L E D'ORDINANZA
DEL GENERALE CADORNA: Il maresciallo Cadorna non solo non pensò
nte
RELAZIONI COL GOVERNO
APPENDICE AL CAPITOLO V
Nel capitolo V ho condotto la narrazione delle mie non
liete vicende, nelle relazioni che ebbi col Governo, fino al
giorno nel quale fui collocato a disposizione della Commissione d'inchiesta, togliendomi da qualsiasi azione che avesse
rapporto colla grande guerra. Credo però che non sarà inutile — tenuto conto del giudizio che la storia dovrà pur pronunziare sugli uomini — che io prosegua la narrazione dei
rapporti da me avuti coi vari Governi che si susseguirono in
Italia negli anni successivi.
Io fui richiamato da Versailles col pretesto di tenermi a
continua disposizione della Commissione d'inchiesta, ma, in
realtà, per ubbidire alle imposizioni dei deputati appartenenti
a tutte le gradazioni del disfattismo. Difatti, in tutto il 1918
io non dovetti comparire dinanzi alla Commissione che il 14
e il 15 marzo (durante i quali giorni io feci una esposizione degli avvenimenti della guerra, e non fui sottoposto, nelle lunghe quattro sedute, che a pochissime interrogazioni) e il 31
maggio. In quest'ultima seduta dovetti rispondere a critiche
rivoltemi da alcuni testimoni, i quali dalla Commissione mi
furono designati, e rimasi profondamente nauseato della viltà
di taluni di costoro, che erano stati da me beneficati e che non
esitarono a lanciarmi le accuse più infondate.
Nell'agosto 1919 la Commissione presentava la sua relazione al Governo ed il 2 settembre io inviavo al Ministero della Guerra la protesta che ho riprodotto nel capitolo I di questo libro.
195
Lo stesso giorno 2 settembre S. M. il Re firmava il decreto presentatogli dal ministro della Guerra (generale Albricci)
per il mio collocamento a riposo d'autorità, provvedimento questo che mi veniva fatto comunicare verbalmente dal Ministero
della Guerra per mezzo di un maggiore di Stato Maggiore.1)
Per maggiore raffinatezza, sul bollettino delle nomine che
conteneva questo provvedimento, a seguito immediato di tale
disposizione, veniva pubblicata l'altra riflettente l'annullamento
del decreto di collocamento a riposo del generale Brusati, il
quale veniva così dichiarato innocente come una colomba per
i fatti del Trentino del 1916, mentre io ne ero il solo colpevole; e ciò mentre, io, su quei fatti non ero stato neppure dalla
Commissione interrogato, come risulta dalla protesta che ho
pubblicata nel capitolo I di questo volume.
***
Sorvolo sull'anno 1920 nel quale non accadde nulla di
notevole, e pubblico la seguente lettera a me diretta dal Ministero della Guerra, colla data del 22 settembre 1921:
Questo Ministero prega la S. V. Ill.ma di volersi compiacere
di fargli conoscere se Le è stata conferita la croce al merito di guerra.
In caso negativo la S. V. IlLma vorrà indicare quale periodo ha
trascorso alla fronte, in zona battuta dall'artiglieria nemica, e a quali
fatti d'armi ha eventualmente partecipato.
Per il Ministro
(firma illeggibile)
Questa lettera io la respingevo al Ministero dicendo che
mi era pervenuta « per evidente sbaglio di destinazione ». Ma,
pubblicata dal giornale « L'Idea Nazionale » col titolo « Burocrazia », ebbe un enorme successo d'ilarità in tutta Italia e mi
1
) Questi era il maggiore di Stato Maggiore Benvenuto Gioda, il quale,
parecchi anni dopo, cioè il 26 giugno 1927 così mi scriveva: « Serbo tutto
(cioè una mia fotografia e una mia lettera) come ricordo carissimo dell'alta
figura di quel capo che io ho amato in guerra ed ammirato a Villar Pellice,
quando in un'ora ben triste ed angosciosa ebbe la forza di dire " quanto più
mi abbassano, tanto più mi innalzano ".»
196
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
procurò telegrafiche scuse dal ministro e dal sottosegretario di
Stato per la Guerra.
Poco dopo, nell'imminenza del trasporto in Roma e della
glorificazione della salma del Milite Ignoto — avvenuta il 4
novembre 1921, terzo anniversario della Vittoria, — io ricevevo la seguente lettera autografa del ministro della Guerra:
Roma, 20 ottobre 1921
Nella ricorrenza del trasporto in Roma della salma del Soldato
Ignoto, il quale riassume i sacrifici e le glorie del popolo italiano, è
desiderio del Governo che i comandanti delle grandi unità che dettero il loro nome alla grande guerra siano presenti al rito solenne.
Mio primo dovere, pertanto, è di invitare a parteciparvi l'E. V.
che alla grande impresa ha dato tutto se stesso.
Nella fiducia che Ella vorrà rendere testimonianza d'amore e
d'onore ai gloriosi caduti, me Le professo, illustre generale,
devotissimo
LUIGI GASPAROTTO 1)
1
) Sull'episodio l'onorevole Gasparotto mi ha cortesemente fornito i particolari che trascrivo integralmente:
« A suo tempo fu variamente commentata l'assenza del generale Cadorna
dalla cerimonia del Milite Ignoto del 4 Novembre 1921. Taluno ne ha attribuito la causa alla suscettibilità del Cadorna, altri alla forma dell'invito da
parte del ministero della Guerra del tempo, l'onorevole Gasparotto, promotore
ed organizzatore della manifestazione. A giusta distanza di anni si può così
riassumere l'incidente:
« Avendo il Comitato ordinatore nominato dal Governo deliberato di
invitare alla cerimonia " tutti i comandanti delle grandi unità " con lettera
circolare, l'on. Gasparotto ebbe a giudicare insufficiente questa forma nei riguardi del generale Cadorna e predispose perciò la bozza di un caloroso invito
che credette di sottoporre all'esame di un'alta personalità: la quale, traendo
argomento dai commenti di quei giorni circa una pretesa offesa a parte delle
truppe combattenti contenuta nel noto bollettino del Comando Supremo del
28 ottobre 1917, ritenne eccessiva la dizione del ministro. Al quale in questa
occasione fu anche fatto presente un risentimento del Re per avere il Cadorna,
che in nessun ordine di guerra lo aveva fin allora nominato, incluso nella
firma dell'ordine di ripiegamento dell'esercito dopo Caporetto la premessa:
" Ricevuti gli ordini da Sua Maestà il Re ". Il ministro, per tagliar corto, diresse al Cadorna una lettera autografa, nella quale, pur richiamando l'invito
rivolto " a tutti i comandanti di grandi unità " soggiungeva che suo primo dovere era di rivolgersi a colui che aveva comandato l'esercito in tante gloriose
offensive.
« E' risaputo che il generale Cadorna non intervenne alla cerimonia per
non mettere in imbarazzo, più che la sua persona, i comandanti che gli erano
stati inferiori di grado, mentre in quella occasione lo superavano nella gerarchia militare. E' bensì vero che più d'uno di questi generali, dopo la cerimonia,
ebbe ad esprimersi nel senso che se il Cadorna vi avesse partecipato, essi " lo
RELAZIONI COL GOVERNO
197
Secondo l'evidente pensiero del ministro, io non avevo prodotto molto nella guerra; però avevo dato tutto me stesso. N o n
è poca cosa, e dovevo accontentarmene;
Né che poco io vi dia da imputar sono;
Chè quanto io posso dar, tutto vi dono.
(Orl. Fur. I - 3)
Se poi, pertanto, io ero invitato quale ex comandante di
grandi unità, è chiaro che il ministro considerava l'esercito
italiano come una grande unità; ed era infatti una grande unità della fronte alleata!
Finalmente, la lettera ministeriale nulla mutava alla situazione che mi era stata fatta del decreto del 2 settembre 1919
col quale io ero stato collocato a riposo d'autorità, e, in altre
parole, cacciato dall'esercito. Avrei, pertanto, con tal veste dovuto presentarmi in uniforme alla solenne cerimonia, ed esservi
postergato ad alcuni miei antichi dipendenti diventati generali
d'esercito, taluno dei quali era ancora colonnello e perfino tenente colonnello quando io già comandavo l'esercito! Se mi fossi presentato in tali condizioni, certamente anche lo spirito del
Soldato Ignoto si sarebbe offeso ed avrebbe rinnegato l'antico
capo.
Il ministro non aveva compreso che non poteva esserci via
di. mezzo tra una piena e completa riparazione alle molte e graavrebbero preso in mezzo a loro e gli avrebbero tributato l'onore che meritava ", ma non ha mancato l'on. Gasparotto di osservare che questo proposito
più opportunamente avrebbe potuto essergli espresso prima della cerimonia,
anziché a manifestazione avvenuta. »
L'accenno ad un ordine di ripiegamento firmato « d'ordine di S. M. il
Re » anziché con la consueta formula « Il capo di Stato Maggiore dell'esercito,
L. Cadorna » mi giunge nuovo come nuovo sarebbe giunto a mio Padre che
mai ebbe a parlarmene.
Verificati i documenti ho constatato che effettivamente l'ordine n. 4988
del 26 ottobre 1917, avente per oggetto « Difesa ad oltranza » contenente disposizioni per l'arretramento sulla linea M. Maggiore - M. Purgessimo - M. Korada, è firmato con la formula inconsueta. Ho voluto chiederne spiegazione al
generale Melchiade Gabba, che in quei giorni fungeva da effettivo capo di
Stato Maggiore del generale Cadorna ed egli:
« esclude nel modo più assoluto che la formula " d'ordine di S. M. il Re "
sia stata adoperata intenzionalmente e deve quindi attribuirne l'inconsueto uso
a fortuita combinazione burocratica ».
(R. C.)
198
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
vissime ingiurie che l'Italia ufficiale mi aveva fatte e il continuare ad ignorarmi come da due anni accadeva.
Risposi dunque con la seguente lettera:
Non avendo potuto, con mio rammarico, prender parte alle cerimonie di Roma in omaggio al Milite Ignoto, intervenni,
in abito borghese e senza decorazioni, a quelle di Firenze, dove
dimoravo, e vi fui festeggiatissimo, in particolar modo il 6
novembre nella Sala dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, ove
fui fatto segno a indescrivibili ovazioni, le quali furono principio degli entusiastici ricevimenti che mi furono fatti, d'allora
in poi, in tutte le città nelle quali mi sono recato: segno questo
molto manifesto del mutamento dell'opinione pubblica a mio
riguardo, in perfetto contrasto con l'atteggiamento dell'Italia
ufficiale.
Firenze, 23 ottobre 1921
Eccellenza,
Ringrazio l'E. V. per il cortese invito a prender parte — quale
comandante di grande unità durante la guerra — alla solenne funzione del trasporto in Roma della salma del Soldato Ignoto.
Nessuna cosa potrebbe riuscire più gradita al mio cuore del partecipare alla grandiosa cerimonia colla quale si vuole glorificare il soldato che ha combattuto e vinto la più aspra delle guerre, sul più difficile teatro d'Europa.
Ma non può evidentemente essere intenzione dell'E. V. di creare
a me — nell'atto stesso in cui m'invia un così cortese invito — una
non facile situazione, mettendomi al seguito di ufficiali che già furono
ai miei ordini e che ora hanno grado più elevato del mio. Questo io
dico, non per orgoglio, ma per quel sentimento di dignità che mi
deriva dalla coscienza del dovere, che posso dire, altamente e fruttuosamente compiuto.
Sono quindi veramente addolorato di non poter intervenire in
persona alla glorificazione del Soldato Ignoto. Vi sarò però presente
in ispirito, col pensiero rivolto alla grande impresa giunta a così felice e glorioso compimento e coll'augurio che il ricordo dei pericoli
corsi e dei maggiori gravissimi sacrifici dovuti sopportare per non
avere in tempo e nella misura dovuta provveduto all'apparecchio militare induca Governo, Parlamento e Paese a dedicare all'esercito
le necessarie e continue cure.
Devotissimo
L. CADORNA
Questa lettera ebbe l'approvazione quasi universale; ma naturalmente se ne avvalsero alcuni nemici per attaccarmi ferocemente, quasi che io anteponessi delle fisime personali al culto
per il Milite Ignoto. E mi duole di dover rilevare che un anonimo articolo, oltremodo ignobile, ma — se possibile — ancor più stupido che ignobile, trovò cortese ospitalità nel Popolo d'Italia, organo dell'on. Mussolini, per il quale articolo mi
fu telegrafata una violenta protesta dei combattenti, mutilati e
fascisti di Venezia!
199
# ##
Trascorse un anno, e il 29 ottobre 1922 saliva al governo
dello Stato l'on. Mussolini, col generale Diaz, Duca della Vittoria al Ministero della Guerra. Questi si affrettava ad inviarmi
la seguente lettera autografa:
Roma, 3 novembre 1922
Eccellenza,
Nell'assumere la carica di ministro della Guerra, il mio pensiero si rivolge all'E. V. con animo che fervidamente rievoca ed
onora.
A conferma di questo mio profondo sentire, mi è grato parteciparle che ho conferito all'E. V. la croce al merito di guerra.
Desidero che questa partecipazione le giunga come atto di omaggio, di deferenza e di ricordo, insieme ai sensi della mia costante devozione.
Suo affezionatissimo
A. DIAZ
Io non potevo eccessivamente commuovermi per una tardiva concessione di una modesta onorificenza che io stesso avevo
fatto istituire e della quale era stata fatta una distribuzione
oltremodo larga, senza che io ne fossi stato reputato meritevole; la quale, anzi, aveva dato luogo per parte del Ministero
alla gaffe che ho descritta. Risposi pertanto col seguente telegramma : « Ringrazio cortese lettera. Saluto cordialmente. »
201
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Tuttavia riflettendo* poi che la croce avrebbe potuto essere considerata dal Governo come sufficiente riparazione a tutte le infamie che mi erano state fatte inviai il generale Diaz la seguente lettera, colla quale intendevo di ben precisare la mia
situazione di fronte al Governo:
una tardiva concessione della croce al merito' di guerra. Per tale ragione io l'ho accettata soltanto perché sono certo che l'E. V. non ha
inteso conferirmela a titolo di riparazione.
Voglia gradire, Eccellenza, l'espressione dei miei cordiali sentimenti. Affezionatissimo
Firenze, 15 novembre 1922
Eccellenza,
Alla gentile lettera dell'E. V. del 3 corrente già risposi con telegramma. Consenta ora che — lasciati passare alcuni giorni per evitare
il dubbio che io scriva di primo impulso — io risponda più diffusamente
alla lettera stessa, colla quale, nel giorno della celebrazione della Vittoria, mi accompagnava la croce al merito di guerra.
Anzitutto rinnovo i miei vivi ringraziamenti per i sentimenti che
V. E. mi ha manifestati, i quali mi giunsero molto graditi, e li contraccambio cordialmente.
Sono però costretto a ricordare che con R. Decreto 2 settembre 1919 io venivo collocato a riposo d'autorità; e che lo stesso 2 settembre, prima però di conoscere il suddetto provvedimento ministeriale, io inoltravo a codesto Ministero una vivace protesta contro i
procedimenti della Commissione d'inchiesta di Caporetto, la quale
addiveniva ad alcune gravissime conclusioni a mio riguardo senza avermi menomamente interrogato1).
In merito a questa protesta non ricevetti mai da codesto Ministero risposta alcuna.
Tale è la situazione di fatto creatami il 2 settembre 1919, situazione che tuttora permane.
Ciò posto si presenta il dilemma: o hanno fondamento le accuse fattemi dalla Commissione d'inchiesta, e allora io non merito
né la croce di guerra, né le benevole parole rivoltemi dall'E. V.; oppure
io merito queste parole (e così deve essere poiché l'E. V. me le ha
scritte) e l'E. V. non potrà considerare le parole stesse, e la croce di
guerra come adeguata riparazione alle molte e gravissime ingiurie fattemi dall'Italia ufficiale: l'E. V., che rimase per circa due anni al mio
fianco prima e durante la guerra, meglio di ogni altro sa quanto poco
fossero meritate.
V. E. sa pure che io non ho mai chiesto nulla, né chiederò mai
nulla a nessuno, che me ne sto appartato in dignitoso silenzio e che,
forte della mia coscienza, nulla attendo salvo il giudizio della storia.
Ma se una riparazione fosse reputata giusta e doverosa, io non potrei
mai accettarla se non fosse piena e completa e non è certamente tale
Questa lettera era molto chiara... per chi voleva intenderla,
e valeva più per ciò che sottintendeva che per ciò che diceva
esplicitamente.
Ma il ministro della Guerra, la cui natura lo portava più
a girare le questioni grosse che ad affrontarle, 1) mi rispondeva con la seguente lettera autografa:
200
1) E' la protesta che ho pubblicata nel capitolo I di questo libro.
LUIGI CADORNA
Roma, 23 novembre 1922
Eccellenza,
La ringrazio delle cordiali espressioni che ha voluto rivolgermi
con la cortese lettera del 15 corrente, inviatami a seguito del telegramma col quale sollecitamente mi faceva pervenire il suo gradito
saluto.
Avrei prima risposto se il molto lavoro e gli imprescindibili doveri dell'attuale periodo me lo avessero concesso, ma il ritardo nulla
toglie al senso di deferenza che m'ispira.
Come V. E. certamente ricorda, il conferimento della croce al
merito di guerra ad alti ufficiali che in un primo tempo non ne erano
stati fregiati era stato preso in considerazione dal Ministero della
1) Il generale Diaz, già colonnello capo dell'ufficio segreteria del corpo
di Stato Maggiore, col generale Pollio, fu da me conservato in tale carica quando fui nominato nel luglio 1914 capo di Stato Maggiore dell'esercito. Promosso, dopo alcuni mesi, generale, rimase come generale addetto, prima allo
stesso comando del corpo di Stato Maggiore, poi al Comando Supremo durante
il primo anno di guerra. Egli rimase così durante circa due anni al mio fianco
e sempre mantenni con lui i più cordiali rapporti. Chiamato a sostituirmi nella
carica di capo di Stato Maggiore l'8 novembre 1917, non certamente da me
proposto, come molti erroneamente dissero, non ebbi mai da lui il più piccolo
segno di vita, neppure quando una insperata e inaudita fortuna lo chiamava a
raccogliere tutti i vantaggi morali e materiali del trionfo: evidentemente io
dovevo essere considerato come un lebbroso col quale era pericoloso aver contatto. Fui io che, dopo Vittorio Veneto, gli scrissi la seguente lettera:
Firenze, 6 novembre 1918
Caro generale,
Quando mi congedai da Lei la sera del 9 Novembre, le espressi i miei
auguri, soggiungendo che gli auguri fatti a Lei erano rivolti all'Italia.
Sono felice che i miei voti abbiano avuto così grande compimento, e
203
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Guerra fin dallo scorcio del 1921; ed in quella occasione ebbe a deplorarsi una inopportuna richiesta di dati, come giustamente fu rilevato.
Da allora, per molte vicende, ed essenzialmente per il frequente
cambio dei Ministeri, la questione pur essendo stata decisa non potè
avere pratica attuazione.
Assunto al Dicastero della Guerra, mio primo pensiero è stato
quello di dar corso al suddetto provvedimento, lieto dell'occasione che
mi dava modo, nell'anniversario della Vittoria, di compiere un atto
che rispondeva all'adempimento di una disposizione in vigore, alla
quale era gradito dovere l'ottemperare.
A quasi tutti ho brevemente scritto, ma nei particolari riguardi
dell' E. V. il mio pensiero non poteva non ricorrere al laborioso periodo nel quale ho avuto l'onore, di trovarmi al Suo fianco e che Ella
ha avuto la cortesia di ricordare; e nello stesso tempo esprimerle tutta
la mia deferenza, nella certezza che l'E. V. avrebbe accolto, come cordialmente ha fatto, il sentimento che mi ha inspirato nel fargliene la
partecipazione.
Tale personale sentimento io confermo all'E. V. nel pregarla di
accogliere il mio deferente e memore saluto.
Suo devotissimo ed affezionatissimo
o meno scottanti toccati esplicitamente od implicitamente nella
mia lettera. Questa sua lettera suonò a me come un rifiuto
ad un atto di giustizia che era in suo potere — come ministro
— di fare o di imporre. I fatti non tardarono a darmi ragione
al di là delle previsioni, come si vedrà in seguito.
E' stato mio destino che dopo un periodo più o meno lungo di tranquillità, per il presentarsi improvviso di una circostanza inattesa, si riaccendesse la discussione tra i miei fautori
ed i miei detrattori sulla «questione Cadorna», sul «caso
Cadorna. » E l'occasione che sorse nuovamente quando apparve la mia lettera al Carroccio di New York (febbraio 1923)
ed il mio articolo sulla Rassegna Italiana (aprile 1923) 1) intesi a distruggere la falsa leggenda francese secondo la quale
il maresciallo Foch sarebbe stato l'ideatore e l'organizzatore
della difesa della linea della Piave dopo Caporetto. 1) Un coro
di applausi salutò in Italia quelle mie pubblicazioni rivendicatrici del prestigio dell'esercito e del Paese contro le sleali
usurpazioni straniere; si riunirono in Milano le 23 associaziozioni patriottiche e militari di quella città e votarono degli
ordini del giorno di plauso alla mia opera; comparvero sul
Corriere della sera alcuni articoli colla firma del senatore Luigi
Albertini che rivendicavano la mia opera di guerra e reclamavano dal Governo provvedimenti adeguati.
Il Governo nazionale fascista, che non mi aveva dimostrato eccessiva tenerezza, si allarmò di queste dimostrazioni che
tendevano a forzare la mano del Governo in mio favore, ed
il 18 maggio diramò, per mezzo della ufficiosa Agenzia Volta,
il seguente comunicato:
202
A.
DIAZ
Lo stile è l'uomo: un mare di parole, un frasario untuoso
ed evidentemente poco sincero, per evitare gli argomenti più
mentre il mio cuore di vecchio patriota esulta per la vastità dei risultati ottenuti, invio i più vivi rallegramenti a Lei che ha saputo procurarli.
Coi più cordiali saluti suo aff.mo
L. CADORNA
Il generale Diaz mi rispondeva con la seguente lettera :
Zona ài guerra, 12 novembre 1918
Di cuore la ringrazio per l'alta e nobile parola che Ella ha voluto rivolgermi in quest'ora solenne, nella quale gli animi di tutti gli Italiani si uniscono
in un identico sentimento di fede e di infinito amor di Patria.
L'abnegazione da tutti dimostrata e l'alto spirito di sacrificio che ha nobilitato i cuori di tutti i combattenti trovano degno compenso nel veder realizzate
le secolari aspirazioni della nostra stirpe.
I sentimenti che Ella mi esprime trovano in me larga eco ed immutabile
e memore sentire; onde è che con animo grato ancora la ringrazio e che la
prego di accogliere i miei deferenti e cordiali saluti.
Affezionatissimo e devotissimo
A. DIAZ
Fra tante parole, invano se ne cercherebbe una che ricordasse la mia precedente azione, almeno l'organizzazione della linea della Piave, la quale rendendo
possibile l'arresto del nemico, aveva poi permesso di spiccare il volo vittorioso!
Negli ambienti autorizzati si giudica alquanto inopportuno che
venga risollevata a fondo la questione Cadorna, come pare sia inten
zione di qualche giornale e di qualche gruppo.
Per quanti meriti si vogliano attribuire a quegli che ebbe la
tesponsabilità e l'onore di preparare e di condurre la nostra guerra dai
giorni dell'intervento a quelli del Piave, non si può facilmente dimen1) Documenti relativi a questa polemica sono riferiti nell''Appendice alla
Il edizione del mio libro La guerra alla fronte italiana.
204
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
ticare che il nome di quest'uomo' è legato a due sciagure del nostro
esercito e non può non suonare amaramente al cuore della grande
maggioranza degli Italiani.
Inoltre, coloro i quali esaltano la figura di questo generale sono
pregati di rendersi conto che, eccedendo ai loro propositi, possono dar
luogo ad una naturale e adeguata reazione da parte di quanti, invece,
giudicano molto severamente l'opera di tale condottiero.
Se un giudizio di revisione dovrà avvenire, soltanto la storia potrà
farlo, o coloro che verranno dopo di noi: non si può essere ad un
tempo testimoni e giudici.
In conclusione, nelle sfere governative non si nasconde per nulla il
pensiero che la questione debba essere posta senz'altro a tacere e che
un elementare senso di patriottica disciplina debba indurre i fautori
del generale Cadorna a rientrare nel più assoluto riserbo.
A prescindere dalla forma brutale, tale comunicato si presta a molte osservazioni, e io mi limito alle principali:
1. - Vi si parla di due sciagure. Finora i peggiori disfattisti non avevano accennato che ad una sciagura, quella
di Caporetto. Ci voleva un comunicato del Governo rivendicatore dei valori nazionali per definire quale sciagura l'arretramento di pochi chilometri sugli Altipiani, nella primavera
del 1916, quasiché tutte le guerre, anche le meglio condotte,
non presentino alternative di avanzate e di arretramenti e
non tenendo in alcun conto il fatto che l'offensiva austriaca
fu arrestata, che il terreno perduto fu in parte riconquistato e
che senza il parziale successo dell'offensiva austriaca non sarebbe stata possibile la sorpresa di Gorizia, la quale costituì
la immediata risposta all'attacco nemico degli Altipiani (vedasi il capitolo VI di questo libro). Ma, pur di svalorizzare la
mia azione, il Governo non esitava ad inventare inesistenti
sciagure, sminuendo le nostre azioni guerresche!
2. - Mi si mandava ai posteri per un giudizio definitivo,
dimenticando che non solo ero già stato giudicato dai contemporanei (Commissione d'inchiesta per Caporetto), ma anche
condannato mediante il collocamento a riposo d'autorità, e che,
per conseguenza, rifiutandosi ad una revisione della condanna, il Governo non faceva che confermare la medesima con-
RELAZIONI COL GOVERNO
205
danna, che esso riconosceva implicitamente iniqua, quando dichiarava che « non si può essere ad un tempo testimoni e giudici ». Si può immaginare maggiore contraddizione? 1)
3. - L'ispiratore di questo comunicato ha dato prova di
non possedere nessun senso psicologico chiedendo che una questione di morale, una questione di giustizia qual era la mia,
potesse « essere posta senz'altro a tacere ». Il sentimento della
1) L'on. Mussolini, presidente del Consiglio dei ministri, nel discorso sulla
riforma elettorale pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 15
luglio 1923, usciva nelle seguenti parole, le quali io non vedo quale rapporto
potessero avere con la riforma elettorale:
« Io non sono di quel parere secondo il quale Caporetto sarebbe dovuta
tutta alla disgregazione del fronte interno (Approvazioni, commenti).
<< E' stato un rovescio d'ordine militare nelle sue cause e nel suo svolgimento (approvazioni). Ma non vi è dubbio che l'atmosfera del Paese, un'atmosfera di indulgenza, di eccessiva tolleranza, ha prodotto fenomeni morali di
turbamento che dovevano influire su quel nostro rovescio. »
E così, dopo aver fatto dichiarare col comunicato Volta del 18 maggio
che soltanto la storia può giudicare dei fatti a noi contemporanei e che « non
si può essere ad un tempo testimoni e giudici », meno di due mesi dopo il
capo del Governo non esitava a pronunciare un giudizio reciso sulle cause
complesse di uno dei più recenti ed importanti fatti storici.
Non è qui il luogo di discutere a fondo le affermazioni dell'on. Mussolini.
Mi limiterò perciò a poche osservazioni.
E' indiscutibile che nelle giornate di Caporetto furono commessi degli
errori militari, come ne furono commessi in tutte le guerre, anche in quelle
condotte dai capitani più illustri. Ciò che _dà modo di riparare gli eventuali
errori è il grado di resistenza delle truppe, la quale resistenza più è prolungata (e ciò dipende essenzialmente dallo stato morale delle truppe stesse), più
fa guadagnar tempo per far accorrere le riserve e per manovrare. Citerò un
classico esempio. Il 16 agosto 1870, a cagione di gravi errori del Comando
Supremo tedesco e del comando della II Armata (errori da me analizzati nella
pubblicazione: Da Weissemburg a Sédan nel 1870), il III Corpo tedesco si
trovò solo per molte ore a lottare contro tutto l'esercito francese. Se esso
avesse prontamente ceduto, i tedeschi avrebbero subito una grave sconfitta
e tutta la loro manovra strategica sarebbe fallita. Invece, l'accanita, eroica resistenza del IH Corpo diede tempo all'arrivo del X e del IX Corpo, e successivamente delle altre truppe della II Armata; la situazione verso sera era
ristabilita e due giorni dopo i tedeschi vinsero la grande battaglia di Gravelotte.
A Caporetto si verifica il fatto contrario: le truppe, grazie al loro stato
morale, cedono nelle prime ore di combattimento, e nello stesso giorno 24 ottobre cedono le prime tre linee di difesa; impossibile perciò il tempestivo
arrivo delle riserve per arginare l'invasione, mentre la maggiore durata delle
battaglie nella guerra di posizione avrebbe potuto concedere maggior tempo
per il loro arrivo.
Ciò premesso, la questione deve essere posta nei seguenti termini.
Gli errori militari furono tali per natura ed entità, che sarebbero stati
irrimediabili anche se lo stato delle truppe fosse stato elevato, ed esse non
fossero state vittime di una infame propaganda? In tal caso ha ragione l'ono-
206
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
giustizia è profondamente radicato nell'animo umano, in quello italiano in specie, e quando lo si vuole comprimere erompe
più vigoroso che mai, finché diventa irresistibile e spezza gli ostacoli che gli oppongono le ire politiche e gli odi personali!
Il comunicato ebbe un effetto disastroso, come lo denotano
i giornali del tempo e le moltissime lettere da me ricevute.
Soprattutto fu rilevata la sua inopportunità nel momento in
cui io stavo combattendo una battaglia contro le usurpazioni
straniere a danno del prestigio del nostro esercito.1) E molto
significativo fu il fatto che moltissimi giornali si astennero dal
pubblicarlo, compresi parecchi legati al Governo ed aventi carattere ufficioso, quali il Giornale di Roma e L'idea nazionale!
Poco tempo dopo, essendo io venuto a conoscenza con prove irrefutabili che il comunicato Volta del 18 maggio era stato
almeno approvato — se non inspirato — dal generale Diaz,
ancora ministro della Guerra, io gli inviavo le due lettere che
ora riferisco, insieme alla sua risposta alla prima di esse.
revole Mussolini, e si tratta di una sconfitta puramente militare. In caso contrario ebbe ragione quel colonnello d'artiglieria francese il quale, alla vista
del triste spettacolo che aveva sotto gli occhi (e perciò era meglio in grado
di giudicarlo), esclamò : « Ce n'est pas une défaite militaire. »
Perché avesse ragione l'on. Mussolini, sarebbe necessario poter dimostrare
che delle truppe dal morale elevato, non inquinate dalla propaganda disfattista, non avrebbero potuto resistere 24, 48 ore su quelle fortissime posizioni,
munite di molteplici linee di difesa, cioè il tempo necessario per far accorrere le riserve di prima e seconda linea.
Questa dimostrazione non sarà facile.
E' d'uopo rammentare che, dopo Vittorio Veneto, rioccupato il territorio
perduto, i reticolati di quelle linee di difesa furono trovati intatti e che senza
distruggere i reticolati nessuna linea è espugnabile di viva forza. E convien
pure ricordare che il medesimo esercito, in seguito al rivolgimento prodotto
negli spiriti, nel mese seguente infrangeva eroicamente, in ben più difficili
condizioni, gli attacchi nemici sul Grappa e sulla Piave.
Del resto l'on. Mussolini è logico in questo che, dopo avermi per ragioni
sue speciali lanciato il volgare comunicato del 18 maggio, ha colto in Parlamento la prima occasione per lanciarmi un'altra frecciata; soltanto non s'è
accorto che cadeva in contraddizione colle dichiarazioni dello stesso comunicato: tanto la passione offuscava in quell'epoca l'intelletto e conduceva fuor
di strada.
1) Mi riferisco alla polemica da me sostenuta in quei giorni contro il
maresciallo Foch a proposito della difesa della linea della Piave e della quale
si occuparono diffusamente tutti i giornali della penisola. E il Governo invece
di darmi man forte, come sarebbe stato suo dovere, tentava di screditarmi con
quel comunicato!
RELAZIONI COL GOVERNO
207
Pallanza, 10 agosto 1923
A S. E. il Generale d'Esercito Armando Diaz - Duca della Vittoria, Roma
Poco dopo la pubblicazione del comunicato Volta del 18 maggio che mi riguardava — il quale incontrò l'universale disapprovazione, compresa quella di giornali notoriamente ufficiosi che non lo
pubblicarono — ricevetti da un'alta personalità l'assicurazione che il
suddetto comunicato era stato ispirato dall'E. V.
Malgrado l'autorità dell'informatore, il mio animo si ribellò a
prestar fede a tale notizia per le seguenti ragioni:
1° - per la forma del comunicato stesso che io mi astengo dal
qualificare e che fu da tutti severamente giudicato;
2" - perché vi si parla di due sciagure, mentre persino i peggiori
disfattisti non ne hanno contemplata che una. Può qualificarsi sciagura l'arretramento di pochi chilometri sugli Altipiani nel 1916, quando tale avvenimento ha reso possibile la presa di Gorizia per sorpresa,
come ho dimostrato nel mio libro di guerra? Di tali momentanei arretramenti è piena la storia delle guerre di tutti i tempi. Queste cose
l'E. V. le sa quanto me.
3°. - perché mi si rimanda al giudizio della Storia, mentre l'E. V.
sa benissimo che io sono stato non solo giudicato, ma anche condannato dalle passioni contemporanee e condannato con un! procedimento iniquo che non è ignoto all'E. V. anche perché esso fu da me ricordato colla lettera del 15 novembre 1922. Perciò, rifiutandosi ad
una revisione, il Governo è tutt'altro che imparziale, come sembra
volersi atteggiare nel comunicato, perché non fa che confermare una
iniqua condanna già avvenuta. Altro che giudizio della Storia!
4° - finalmente e soprattutto perché, se fosse vera l'informazione
dell'alta personalità, essa si troverebbe in tale stridente contrasto con le
di Lei lettere del 3 e 23 novembre 1922, nelle quali Ella mi esprimeva con così calorose parole sentimenti di deferenza, di ossequio,
e persino dì devozione, che io sarei ora costretto a giudicare con estrema severità tali Sue lettere.
Tali sono le ragioni che mi indussero a giudicare non fondata
l'informazione ricevuta.
Senonché, nel leggere recentemente nel fascicolo di maggio-giugno
della rivista Politica l'articolo del senatore Pantaleoni « Finanza fascista » fui colpito dalla nota 2 a pag. 165 — nota finora non smentita
— la quale così suona:
<< Della massoneria e sua rinata aggressività è caratteristico il
comunicato dell'Agenzia Volta contro Cadorna. Prima che questo comunicato, redatto da Cesarino Rossi, venisse passato all'Agenzia Volta,
208
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
il Diaz lo ebbe nelle mani per ben tre ore e lo approvò! Ma Diaz è
Rosa Croce! »
Il senatore Pantaleoni, oltre all'essere uno dei primi economisti
d'Italia, è persona troppo seria per avventurarsi a riferire fatti di tale
importanza di cui non sia in grado di provare la veridicità.
Io debbo perciò rivolgermi all'E. V. per domandarle: E' vera
la notizia data dal sen. Pantaleoni? In caso affermativo La prego di
confermarmela. Oppure non è vera? In tal caso è indispensabile che
l'E. V. la faccia pubblicamente smentire. Ciò varrà anche ad implicitamente smentire la credenza in molti diffusa che l'E. V. abbia ispirato il comunicato.
Prevengo l'E. V. che se io non vedrò la notizia pubblicamente
smentita, e se non riceverò risposta alla presente lettera, considererò
la notizia stessa come confermata.
Generale LUIGI CADORNA
Capri, 18 agosto 1923
A S. E. il Generale Conte Luigi Cadorna - Pallanza
Rispondo alla sua del 10 corrente mese, qui inoltrata da Roma.
Tale lettera è motivata da una nota — da me non conosciuta
prima d'ora — che fonda ogni asserzione su miei pretesi legami con
un qualsiasi ordine massonico. Ciò, come V. E. dovrebbe sapere, 1) è
insussistente, onde è superfluo che mi soffermi a prenderla in considerazione in sé e nelle conseguenze che si sarebbe voluto trarne.
Né posso dar valore a quanto da altra fonte può esserle stato riferito e che anche da V. E. non fu creduto. Per parte mia deploro l'operato, se non pure l'intenzione di coloro che non hanno saputo rendersi conto del danno che recavano al Paese col far nascere contrasti che nella storia d'Italia non devono più ripetersi.
A tali contrasti per dovere d'Italiano non mi presterò mai.
D'altra parte come membro di un Governo, al quale, per altissimi fini, ho dato e do tutta la fede della mia più fervida collaborazione, non intendo prestarmi ad equivoci o a discussioni su ciò che
all'azione del Governo si riferisca. Ciò io considero come un sacro
ed imprescindibile dovere, pienamente rispondente ad ogni mio sentire.
Non credo di aggiungere altro, se non l'espressione del profondo
rincrescimento che la Sua lettera mi ha procurato.
Generale A. DIAZ
1) Non so davvero perché avrei dovuto saperlo.
RELAZIONI COL GOVERNO
209
Pallanza, 24 agosto 1923
A S. E. il Generale Armando Diaz, Duca della Vittoria - Roma
Mi è pervenuta la Sua del 18 corrente mese.
Lascio da parte l'argomento della di Lei appartenenza o non all'ordine massonico, cosa che non mi riguarda. Io dovetti citare tutta
intiera la nota del sen. Pantaleoni, ma di questa l'unico punto che
mi interessa è quello relativo all'approvazione da Lei data al comunicato Volta del 18 maggio, approvazione che può essere stata data
indipendentemente da legami massonici.
Su questo principale argomento V. E. mantiene il silenzio, trincerandosi dietro il segreto di governo. Siccome però in tal guisa V. E.
non smentisce di aver approvato il comunicato e, d'altra parte, io ho
di questa Sua approvazione prove e testimonianze convincenti (che
non è il caso di produrre), sono costretta a prestarvi fede, traendo tutte
le logiche conseguenze da quanto esposi nella precedente mia lettera
del 10 agosto.
Ma anche si dovesse escludere tale Sua implicita approvazione
al comunicato, rimarrebbe sempre il fatto che in esso è detto chiaramente che rappresentava il pensiero « degli ambienti autorizzati »
e delle « sfere governative ».
Di queste è parte importante, nel caso che mi riguarda, il mistro della Guerra, e non posso non meravigliarmi che questi, in stridente contrasto con recenti dichiarazioni di deferenza, di ossequio e
perfino di devozione, abbia potuto assumere parte delle responsabilità
di un documento così volgare nella forma, falso nella sostanza, offensivo nel suo complesso.
V. E. giustamente deplora; le cause dei contrasti. E io non meno di
Lei le deploro. Ma di chi la colpa in questo caso, se non di chi ha promosso o approvato o tollerato la pubblicazione di un documento che
ha incontrato l'unanime disapprovazione della parte sana dell'opinione pubblica?
Come se non avessero dovuto bastare tutte le infamie di cui fui
oggetto per parte dei precedenti Governi d'Italia.
Generale L CADORNA
Quest'ultima mia lettera rimase senza risposta, ed in verità
non era facile rispondere. Anche la nota del sen. Pantaleoni,
che il generale Diaz aveva affermato nella sua lettera del 18
agosto di non aver fino a quel momento conosciuta, rimase
senza smentita. Si può inoltre osservare che se il Duca della
Vittoria non avesse davvero dato la sua approvazione al comu14
-
CADORNA.
210
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
nicato Volta, avrebbe sentito il bisogno di reagire contro la mia
accusa — moralmente così grave — di avermi rivolto un insidioso attacco poco dopo le fattemi dichiarazioni di ossequio,
di deferenza e di « costante devozione » : egli non si sarebbe
in tal caso rifugiato dietro il comodo segreto governativo.
Ed in linea generale osservo che se il Duca della Vittoria
avesse posseduto un briciolo di grandezza d'animo, sarebbe stato irresistibilmente tratto a riconoscere la parte da me avuta
nella grande guerra, e ad imporne il riconoscimento al Governo, del quale egli era un importante membro. E sebbene privo
di tale generoso impulso, egli avrebbe dovuto, per semplice
calcolo, comprendere che, così facendo, avrebbe innalzato se
stesso nella pubblica estimazione assai più di quanto avrebbe
potuto giovare a me. Ma egli si è lasciato soggiogare dalla
gretta preoccupazione che una riparazione a me data potesse
proiettare dell'ombra sulla sua fama, ed ha agito in conseguenza! Perfino nella conferenza sulla battaglia della Piave del giugno 1918, da lui tenuta nel teatro alla Scala in Milano il 24
giugno 1923, egli accuratamente si astenne dal più piccolo accenno alla mia precedente opera, come se quella battaglia non
si riattaccasse e non avesse per punto di partenza la sistemazione dell'esercito sulla Piave, da me effettuata attraverso a formidabili difficoltà nel novembre 1917! Ciò fu da moltissimi,
che alla conferenza assistevano, rilevato ed a me riferito 1).
RELAZIONI COL GOVERNO
211
Firenze, 3 novembre 1923
Eccellenza,
Sicuro d'interpretare il pensiero degli ottomila combattenti della
Sezione fiorentina rivolgo viva preghiera al grande Silenzioso, che
dopo averci guidato incontro alle più belle vittorie custodisce l'orgoglio del dovere compiuto nella luce della sua fede militante, di voler
partecipare al corteo organizzato dai mutilati e dai combattenti per
celebrare la gloria del 4 novembre che appartiene a Lui prima che
.1 ogni altro.
'
E se è vero che alcuni cercano di oscurare Colui che al valorosissimo esercito italiano ha dato l'anima e le armi della vittoria, anche è
vero che gli umili soldati non lo dimenticano.
Devotissimo
Il presidente ANNIBALE CARLETTI
Ai numerosissimi inviti ricevuti da ogni parte d'Italia nei cinque mesi antecedent
avendo il Governo solennemente dichiarato col comunicato Volra del 18 maggio che il mio nome suonava amaramente nel
cuore della grande maggioranza degli italiani e non essendo
mia intenzione di rinnovare col mio intervento il sullodato
spiacevole senso di amarezza, avevo deliberato di astenermi dal
partecipare a tutte le pubbliche manifestazioni. Qualcuna di
queste mie risposte era stata pubblicata dai giornali. Risposi
perciò colla seguente lettera all'invito ricevuto:
Firenze, 3 novembre 1923
Ill.mo Signor Presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti - Sezione di Firenze
Celebrandosi il 4 novembre 1923 il V anniversario della
Vittoria, io ricevetti il seguente invito, firmato dal tenente Carletti, decorato di medaglia d'oro e presidente della sezione di
Firenze dell'Associazione nazionale combattenti:
1) Avrei volentieri fatto a meno di pubblicare la corrispondenza ora riferita col generale Diaz. Ma in un capitolo che ha per titolo « Relazioni col
Governo » io non potevo sopprimere una corrispondenza che era derivata per
attii del generale Diaz quale membro del Governo.
Sono infinitamente grato alla S. V. per il cortese invito che mi rivolge di intervenire domani alla celebrazione della Vittoria: invito
(unto più gradito in quanto mi vien fatto con così lusinghiere parole
ed a nome degli ottomila combattenti della Sezione fiorentina. Ma,
perciò appunto, sono tanto più dolente di non potervi partecipare, per
i motivi che, essendo già stati resi di pubblica ragione in occasione di
altre cerimonie, è superfluo che io ripeta.
Dovrò pertanto limitarmi a celebrare il grande anniversario nel
cuore e nel domestico focolare.
Mi creda con perfetta osservanza, devotissimo
L. CADORNA
212
213
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
Alle ore 15 del seguente giorno 4 novembre, nel momento
cioè in cui il corteo stava per mettersi in moto, una commissione
dell'Associazione nazionale combattenti entrava nella mia abitazione ed insisteva perché io intervenissi. Alla medesima faceva
eco una ventina di combattenti poco dopo sopraggiunti. Io ripetevo i motivi che mi consigliavano l'astensione e persistevo
nel diniego. Ma ciò a nulla valse e fui condotto pressoché di
viva forza ad un'automobile che attendeva alla porta e quindi
al corteo. Giunto in Piazza Santa Croce, e salito con le autorità in cima alla gradinata del Tempio, assistetti allo sfilamento
del corteo, durante il quale, e successivamente quando il corteo
ebbe ultimato il suo ammassamento sulla Piazza, mi fu fatta
un'imponente dimostrazione. Appena ultimata la solenne cerimonia fui preso in mezzo dai combattenti, sollevato e portato
in trionfo per la vasta piazza, malgrado le mie proteste. Raggiunta un'automobile, la dimostrazione si rinnovò per le vie
di Firenze fino alla Piazza Vittorio Emanuele, dove assunse
proporzioni grandiose, dopodiché potei riprendere la via del
ritorno.
Questa fu l'eloquente risposta che i combattenti fiorentini
fecero al brutale comunicato Volta — risposta tanto più gradita
al mio cuore, per il suo carattere di spontaneità e perché proveniva dai compagni d'armi della, guerra.
Tale dimostrazione ebbe non piccola eco in tutta Italia e mi
procurò una quantità notevolissima di telegrammi e di lettere
provenienti da tutte le parti d'Italia, ed in grande maggioranza
da ex combattenti. Mi limiterò a riferire una sola di tali lettere,
ma essa è di una particolare eloquenza, e io non posso rileggerla senza emozione.
migliore non potevano scegliere perché, senza di Voi, noi tale data forse
non avremmo potuto celebrare.
Giorno verrà, e noi combattenti lo sappiamo non molto lontano
perché noi stessi vorremo e ne fisseremo la data, che Voi, non sulle
nostre spalle sarete portato in trionfo, ma a Roma, sull'altare della
Patria, dove dorme il più glorioso dei nostri fratelli, quello che è tanto
grande che noi non siamo degni nemmeno di conoscerne il nome.
A nome della Sezione combattenti di questo alpestre paese e del
gruppo dell'Ass. Naz. Alpini, ci tengo ad esprimere a Voi il nostro
sentimento di devozione e di affetto.
Noi che abbiamo imparato a conoscervi nelle liete e nelle tristi
giornate della nostra passione e del nostro martirio, non Vi abbiamo
rinnegato, come invano hanno tentato di fare.
Voi che avete conosciuto ed amato gli Alpini, sapete che i montanari non mutano fede e pensiero per mutare di fortuna.
Vi prego di voler gradire il nostro fraterno omaggio ed il nostro
saluto che noi sappiamo più cari al Vostro cuore di ogni altro, perché Vi vengono dai soldati che con Voi seppero ben meritare della
Patria.
Schilpario (Bergamo), 6 novembre 1923
Eccellenza,
Bene hanno fatto i nostri compagni di Firenze a rompere gli indugi ed a saltare la siepe delle basse macchinazioni e degli intrighi
tessuti di invidia e di livore, portandovi sulle loro spalle, in Firenze,
dove più puro ed italiano risplende il sole.
Voi, Generale, non avrete mai più glorioso monumento di queste
spalle di combattenti che vi hanno levato in alto il 4 novembre e giorno
Avv. GIAN MARIA BONALDI
Queste commoventi dimostrazioni di combattenti, le quali
già avevano avuto luogo in modo imponente a Milano, Torino,
Genova, Alessandria ed in molti altri luoghi in cui mi ero recato, costituivano la più efficace smentita all'asserzione che la
Commissione d'inchiesta, mossa da fini partigiani, aveva fatto,
quella cioè che una delle cause capitali del disastro di Caporetto
fosse stato il malgoverno da me fatto degli uomini. Se ciò
fosse stato vero, è evidente che i combattenti avrebbero dovuto
odiarmi a morte. E invece...!
IL 18 aprile 1924, nella imminenza della convocazione del
Senato in Alta Corte di Giustizia per il processo della Banca
di Sconto, io inviavo a S. E. il presidente del Senato la seguente
lettera :
Colla circolare N. 145/265 relativa alla convocazione dell'Alta
Corte di Giustizia, l'E. V. invita i senatori che non vi potessero intervenire per ragioni di incompatibilità o per insuperabile impedimento a giustificare la loro assenza indicandone i motivi.
Se, dopo la guerra, io non ho mai partecipato — con mio grande
rincrescimento — alle sedute del Senato, è perché la posizione che mi
214
215
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
RELAZIONI COL GOVERNO
fu fatta dal Governo è tale che io non vi posso decorosamente intervenire. Basti il dire che in seguito al verdetto della iniqua Commissione
d'inchiesta per Caporetto — iniqua per il modo come ha funzionato,
il quale ha provocato le mie vive proteste al Governo, rimaste senza
risposta — io fui, con R. Decreto 2 settembre 1919, collocato a riposo d'autorità, e, con più chiare parole, fui cacciato dall'esercito.
Tale mia situazione ufficiale tuttora permane, e fu anzi aggravata dalla pubblicazione del comunicato dell'Agenzia Volta del 18 maggio 1923. Essa crea « l'insuperabile impedimento » contemplato nella
circolare dell'E. V. Tale insuperabile impedimento rimarrà fino a che l'Italia ufficiale non mi avrà reso la giustizia che mi è dovuta e che la quasi totalità dell'opinione pubblica mi ha già reso, e ne abbia, per conseguenza
annullato gli effetti del R. Decreto succitato del 2 settembre 1919.
Gradisca, Eccellenza, i sensi della mia alta considerazione.
di maresciallo d'Italia e ne venivo insignito insieme al generale
Diaz.
E io sono grato al Governo che ha inteso la voce dell'opinione pubblica ed ha premiato al di là di ogni mia aspettativa,
istituendo un grado speciale, i servizi che posso aver reso al
Paese, annullando così di un colpo gli effetti della indegna
condotta dei precedenti Governi verso di me. E sono soprattutto grato ai miei compagni d'armi, ai gloriosi combattenti i
quali, anche nei momenti più oscuri, mi hanno ricambiato con
pari stima ed affetto la stima e l'affetto che io avevo sempre
sentito per loro, distruggendo così essi stessi la più odiosa
delle sentenze della Commissione d'inchiesta, quella cioè di
averli mal governati.
Come ho detto altre volte, io ero ben deciso di non accettare nulla dal Governo che non fosse una riparazione
completa. Nessuno dei soliti mezzi termini poteva salvare la
mia dignità: o tutto o nulla. Dopo due anni dall'assunzione
dell'attuale Governo al potere, durante il quale non mancarono altre gravi offese, come quella del comunicato Volta del
18 maggio 1923, ebbi l'alta soddisfazione di veder trionfare
la mia causa per la sola forza della verità e senza che io avessi
l'atto un sol passo per accelerarne il trionfo, limitandomi a trincerarmi in un dignitoso ed assoluto silenzio di fronte ai non
pochi botoli che abbaiano alle mie calcagna. Di aver potuto
inflessibilmente mantener durante sette lunghi anni tale linea
di condotta, ben deciso di seguirla all'occorrenza fino al termine
della mia vita, io ringrazio Iddio.
Senatore L. CADORNA
## #
Ma tale giustizia, imposta dall'opinione pubblica, non poteva
più tardare a lungo.
Era partita fin dall'anno precedente, 1923, da un comitato
milanese presieduto dal senatore conte Emanuele Greppi, l'iniziativa di una sottoscrizione per farmi omaggio di una villa nella nativa Pallanza.
Nel giorno 20 settembre 1924 questa mi veniva con grande
solennità consegnata, alla presenza delle autorità locali e dei
rappresentanti della presidenza del Consiglio dei ministri e del
ministro della Guerra. Ciò che rese più commovente la cerimonia fu l'intervento di alcune migliaia di combattenti convenuti dalle regioni circostanti, fra cui parecchie medaglie d'oro,
talune delle quali giunte perfino dalla Sardegna e dalla
Calabria! Il discorso ufficiale fu pronunciato dall'on. Delcroix
ed assunse toni di grande eloquenza, degni di quel grande oratore che egli è. La cerimonia ebbe grandissima eco in Italia
e quasi tutti i giornali riprodussero il magnifico discorso dell'on. Delcroix.
Con R. Decreto del 4 novembre 1924 — giorno consacrato alla celebrazione della Vittoria — veniva istituito il grado
Che de' numi è dono
servar nelle miserie altero nome 1)
I molti nemici non disarmarono certamente gli animi, ma furono sgominati ed ammutolirono. Altro non occorreva.
1
)
FOSCOLO
- / sepolcri.
CAPITOLO
VI
OSSERVAZIONI VARIE
Saranno esposte in questo capitolo le osservazioni che non
potevano trovare posto nei capitoli precedenti.
Molte sono le osservazioni che mi rimarrebbero a fare se
dovessi compir l'opera di revisione di tutta la relazione, ma,
nel desiderio di abbreviare questa già lunga esposizione, mi limiterò alle principali.
1. Osservazioni di carattere personale.
Da pagina 264 a 270 della relazione, io vengo qualificato
come orgoglioso, egocentrico ed impulsivo. Non mi soffermerei su queste accuse, delle quali l'opinione pubblica ha già fatto
giustizia, se tra le prove che la Commissione adduce per definirmi un tipo pronunciatissimo, qual altro mai, di egocentrico
(pag. 270) non vi fosse quella della organizzazione e del funzionamento del Comando Supremo, avendo io, a detta della
Commissione, accentrato tutti i poteri, annullando l'azione del
sottocapo di Stato Maggiore, generale Porro.
Per profonda e radicata convinzione, nata e sviluppatasi
in me coll'esperienza e collo studio della storia, io fui sempre contrario a qualsiasi forma collettiva di comando, rappresentata da binomi o da trinomi di persone, da consigli o
comitati di guerra, ecc. dalle quali forme esula il sentimento
della responsabilità
218
219
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
Perciò, anche per questo motivo, l'organizzazione da me data
al Comando Supremo, a base di divisione di lavoro, corrispondeva nel miglior modo alle esigenze del servizio e alle mie,
checché ne pensi la Commissione.
E poi, che significa quell'epiteto di egocentrico attribuitomi con l'intenzione di farmi un rimprovero? Ma il comando,
specie in guerra, è di natura personale, assoluto, imperioso.
Perciò i più grandi capitani furono i più grandi egocentrici, a
cominciare da Napoleone, e se la Commissione opina il contrario, dà prova di non intendersene. Per parte mia considero
l'epiteto come la maggior lode che la Commissione potesse
farmi.
della monarchia è ancora molto lunga.1) Invece se si perdeva Trieste,
il nemico avrebbe avuto il libero passaggio nel cuore del nostro Impero. Perciò mi decisi a considerare la salvezza di Trieste quale nostro
principale e più importante compito...
La decima e undecima battaglia dell'Isonzo non avevano apportato all'Italia la, vittoria desiderata ma solamente lievi correzioni del
fronte e piccoli guadagni di terreno. La posizione di Trieste era estremamente critica. Eravamo in pieno settembre, si doveva prontamente
agire, ecc. »
2. - La svalutazione del primo periodo della guerra.
Importanti e numerose sono state le dichiarazioni dei nostri
nemici, che tendevano ad affermare l'importanza del nostro sforzo militare durante il periodo anteriore all'ottobre 1917 nel
logorare l'avversario predisponendolo al crollo finale, dal quale
non era lontano quando intervenne Caporetto a rialzarne momentaneamente le sorti.
Ho già citato nella nota a pag. 21 (capitolo II) le parole
contenute in una lettera del 13 aprile 1917 del Cancelliere austriaco, conte Czernin, circa « la completa stanchezza del materiale umano » ed a quella nota mi riferisco.
In un numero della Dampzers Armeezeitung del giugno
1919 il generale barone von Arz, ultimo capo di Stato Maggiore dell'esercito austro-ungarico, parlando della difesa di Trieste, così scriveva:
Allorché nella primavera del 1917 accettai il posto di capo dello
Stato Maggiore, considerai il possesso di Trieste quale perno di ogni
ulteriore sviluppo degli avvenimenti, perché ero della incrollabile opinione che con la conquista di Trieste da parte degli Italiani la campagna sarebbe stata per noi perduta.
D'altro canto, una invasione nemica nel Tirolo, se anche coronata
da successo, non avrebbe ancora lontanamente portato la decisione in
nostro sfavore, perché da quella zona la via che conduce nell'interno
Dunque chiaro emerge dalle parole dell'ultimo capo di Stato Maggiore austro-ungarico che la situazione del nemico, dopo
la vittoria della Bainsizza, era estremamente critica e che ad essa
egli pose soltanto rimedio organizzando l'offensiva col concorso di truppe germaniche.
Ciò è stato riconosciuto anche dal generale Krauss, capo
di Stato Maggiore dell'arciduca Eugenio, comandante in capo
dell'esercito austriaco in Italia. A pag. 243 del suo libro Die
Ursachen unserer Niederlage egli scrive : « N o , l'offensiva
(quella dell'ottobre 1917) corrispondeva al più stretto bisogno,
al riconoscimento finalmente diventato luminoso che le battaglie soltanto difensive dell'Isonzo equivalevano ad un lento
suicidio, e che non si poteva più attendere un successo da una
dodicesima battaglia dell'Isonzo ». E a pag. 245, dopo di essere
ritornato sugli inconvenienti della precedente condotta austriaca strettamente difensiva, afferma che « una dodicesima di tali
vittorie sarebbe equivalsa ad una sconfitta decisiva dell'armata
dell'Isonzo ».
Ma ancor più chiaramente si espresse il generale Krauss in
un successivo libro. M. Schwarte ha pubblicato un'opera in 10
grossi volumi, Der grosse Krieg 1914-1918 il cui V volume
ha il titolo: Der oesterreichische-ungarische Krieg. I capitoli
di questo volume sono di scrittori differenti, e l'VIII capitolo,
<< Der erste Isonzo Feldzug », e appunto scritto dal generale Alfredo Krauss.
1) Dedico queste parole a coloro che mi hanno criticato per avere attaccato sulla fronte Giulia anziché verso il Trentino. Vedasi quanto ho scritto
zal riguardo nel capitolo III del mio libro La guerra alla fronte italiana e ciò
< he scrivo in questo stesso capitolo.
220
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
A pag. 157 del suddetto V volume egli esprime un giudizio lusinghiero su di me e sull'opera mia nel quale, fra l'altro, si leggono le seguenti parole: « ...ma soltanto la sua forte
volontà, la sua durezza, la sua ostinazione hanno costretto gli
italiani agli undici potenti assalti contro la fronte dell'Isonzo;
e se gli Alleati non gli avessero con più forte mano strappato
la palma della vittoria, passando essi stessi all'attacco nella
12a battaglia dell'Isonzo, egli avrebbe nel dodicesimo assalto
— al quale egli avrebbe costretto con forte volontà i suoi italiani — rotto certamente la fronte, ed avrebbe preso possesso
di Trieste, la sospirata meta degli italiani... »
Il generale Ludendorff, nelle sue memorie, riferendosi alle
nostre prime offensive sull'Isonzo, dice che non sono riuscite
« perché l'esercito imperiale e reale si batté bene contro l'Italia che era il nemico ereditario, mentre contro la Russia non
c'era l'odio nazionale ». Dunque, soltanto al valore dell'esercito austriaco esaltato dal tradizionale odio contro l'Italia egli
attribuisce gli scarsi successi delle nostre prime offensive, non
ad altre cause ricercate in Italia.
Parlando poi dell'offensiva austriaca del Trentino il generale
germanico ammette che gli austriaci avevano troppo poche forze per riuscire e che questa sia stata la ragione dell'insuccesso,
mentre da molti in Italia si è voluto rintracciarla nell'offensiva
del generale Brussilof in Galizia, 1) e fa poi questa importante
dichiarazione a pag. 137 del I volume: « Già alla fine di maggio (Brussilof non attaccò che il 4 giugno) era evidente che
lo slancio austriaco era rotto. » E da noi si sono volute considerare le operazioni del maggio come una sconfitta! Questa
offensiva era stata contemporanea a quella di Verdun. Entrambe falliscono; ma per spiegare l'insuccesso, il generale scrive:
1) Tra gli altri fon. Salandra, nientemeno che il capo del Governo del
tempo dell'offensiva, il quale nella sua lettera agli elettori, del 19 ottobre 1919,
così scriveva : « Arrestata l'invasione con la cooperazione della rinnovata offensiva russa
E così egli ha svalutato un successo esclusivamente italiano,
poiché il bollettino di guerra del 3 giugno, riferendosi agli avvenimenti del
Allodio 2, dava già l'offensiva austriaca come « nettamente arrestata » e l'attacco russo non ebbe inizio che il 4 giugno.
OSSERVAZIONI VARIE
221
« Perché per vincere a Verdun ci sarebbero volute più artiglierie e più forze; invece gli austriaci ritirarono le loro divisioni dalla fronte occidentale e indebolirono quella russa per
poter battere l'Italia. » Rimane così provato con parole del più
autorevole tra i nemici che la nostra resistenza sulla fronte tridentina ebbe un riflesso grandissimo su quella di Verdun, la
quale salvò la fronte occidentale. Guardata così, con larga visuale, ed inquadrata in tutta la guerra europea, la nostra resistenza ebbe un'importanza di primo ordine — importanza che
non seppe vedere la Commissione quando affermò che si sarebbe dovuto « svalorizzare la troppo asserita e molto discutibile vittoriosa nostra controffensiva del giugno 1916 ».
In altro luogo il generale Ludendorff, riferendosi all'undicesima battaglia dell'Isonzo, scrive che l'esercito austro-ungarico
aveva resistito, ma le sue perdite sul Carso erano così gravi, il
suo spirito così scosso, che presso le autorità politiche e militari austriache era invalsa la convinzione che l'esercito non avrebbe resistito ad una continuazione dell'offensiva o a una nuova
battaglia. E allora fu organizzata l'offensiva coll'aiuto della Germania. « L'Austria » scrive Ludendorff « fece appello alla
Germania per avere dei rinforzi; ma mandarne soltanto per la
difesa non era regolare, e fu concepita una vasta operazione
che avrebbe per lo meno servito ad alleggerire la fronte occidentale e, nella ipotesi più fortunata, combinandosi con la crisi
di carbone, avrebbe portato la rivoluzione in Italia. L'attacco
doveva sferrarsi alla fine di settembre, e il suo scopo era quello
di impedire il crollo dell' Austria-Ungheria. »
Tutte queste dichiarazioni sono di straordinaria importanza.
I primi trenta mesi di guerra, che i disfattisti — sorretti dalla
Commissione d'inchiesta — vogliono far apparire come un
irredditizio sacrificio di sangue, diventano invece, agli occhi del
generale tedesco, la causa determinante il disfacimento dell'Austria, alla quale non mancava che il colpo di grazia!
Lo stesso generale Ludendorff in una intervista col Socialdcmokraten di Stoccolma, del marzo 1919, aveva già detto che
tra le cause della sconfitta era specialmente da annoverare quel-
222
223
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
la del mancante appoggio dell'Austria alla Germania, sempre
più stretta alla gola dall'Italia.
Se si tien conto di questi risultati, dovuti al logoramento
materiale e morale dell'esercito austriaco, che importa che essi
siano stati ottenuti sull'Isonzo o più innanzi nel territorio austriaco? N o n aveva, rispetto ad essi, importanza affatto secondaria la conquista di un certo numero di chilometri quadrati
di territorio?
peri Centrali, mentre da noi ministri, uomini politici, generali e
Commissione d'inchiesta si affannarono a dimostrare scarsi i
nostri successi, misurandoli dai chilometri quadrati e dalle quote conquistate!
Si, anche la Commissione d'inchiesta, la quale non tralascia
occasione per svalutare il primo periodo della nostra guerra.
l'in dalla prima pagina essa parla di « precedenti affermate gloriose vicende militari » ; a pag. 11 : « per effetto degli asseriti
Intoni successi del 1917; a pag. 81 : « ... ed allorché i risultati
ottenuti sull'altopiano di Bainsizza — per quanto sollecitamente
contenuti dal nemico — erano pur stati proclamati tanto notevoli... » E così via molte citazioni potrei fare fino a quella
a pag. 470 dove si dice addirittura che si sarebbe dovuto « svalorizzare la troppo asserita e molto discutibile vittoriosa nostra
controffensiva del giugno 1 9 1 6 » ! Ma di quest'ultima svalorizzazione ho ampiamente discorso nel capitolo IV a pag. 144.
In tal modo, preoccupata soltanto di svalutare me, la Commissione forniva ai disfattisti un'arma formidabile!
Del resto, nello svalutare la vittoria, durante il periodo della guerra nel quale io fui capo di Stato Maggiore, la Commissione è in perfetto accordo — come sempre — coll'on. Orlando. Si potrebbero rilevare nei discorsi di quest'ultimo molte
frecciate, dirette od indirette, contro l'antico Comando. Mi limiterò a riferire le seguenti sue parole pronunciate in Senato
il 3 ottobre 1 9 1 8 :
Alla sua volta l'ex ministro austriaco Wiesner, in una serie di articoli critici pubblicati nelle Oesterreichische Rundschau,
nel settembre 1919, valendosi delle notizie riservate che egli
potè avere durante la guerra, confermava quanto già aveva
detto il generale Ludendorff, e dichiarava anzi che la possibilità di vittoria degli Imperi centrali fu spezzata nella primavera
del 1916 contemporaneamente a Verdun e sull'altipiano di
Asiago. Il Wiesner attribuisce la colpa dell'insuccesso ad entrambi i comandi alleati, i quali dopo il 1915 agivano ciascuno
per proprio conto. Secondo lui il nemico da abbattersi avrebbe
dovuto essere l'Italia, contro la quale l'attacco fallì perché i
tedeschi erano tutti assorbiti da Verdun. Invece secondo Ludendorff — come abbiamo visto — fallì l'attacco di Verdun
essendo venuto meno l'aiuto austriaco! In simil guisa i nostri
Alleati non vollero mai riconoscere la convenienza di abbattere
prima l'Austria, epperciò l'importanza della fronte italiana, come svelai nel capitolo IX del mio libro La guerra alla fronte italiana. Sono gli eterni inconvenienti delle alleanze, dei
quali è piena la storia! Il Wiesner combatté anch'egli l'opinione
che il disastro in Galizia abbia annullato la, possibilità di una
vittoria austriaca nel Trentino, e scrive : « No, l'offensiva sulla
fronte italiana era già arrestata prima che cominciasse quella
russa. Le cause prime che tolsero agli Imperi Centrali la possibilità di una vittoria finale si chiamano Verdun e Asiago. »
Devono dunque essere i nostri nemici a persuaderci che
l'esercito italiano nei trenta mesi di guerra che hanno preceduto Caporetto ha gravemente indebolito la resistenza dell'esercito austro-ungarico e ha reso impossibile la vittoria degli Im-
Possiamo e dobbiamo, bensì, pure con parole brevi, rilevare tutto
il valore effettivo della battaglia combattuta sugli Altipiani e sul Piave
(quella del giugno 1918) che appare storicamente incomparabile. Per
la prima volta, infatti, l'Italia affrontava con tutte le sue forze tutte le
forze, di tanto superiori, del secolare nemico. Nelle fasi anteriori di
questa guerra essa aveva dovuto triplicare il suo sforzo, impegnata come
era su di un triplice fronte: il nostro, quello russo, quello serbo, cui
s'era poi sostituito il romeno. Ma nel giugno scorso dovemmo noi
sopportare tutto il peso, come numero, come efficienza, come orgoglio
esaltato dalle falangi vittoriose sulla Russia e sulla Romania. Anche
questa volta la virtù dovè resistere al furore: anche questa volta vinse
virtù. {Applausi).
224
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE DÌNCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
In poche parole: mentre durante il mio periodo l'esercito
non aveva saputo fronteggiare che un terzo dell'esercito austriaco, nel periodo successivo lo contenne vittoriosamente tutto
quanto. Naturalmente non si tiene conto che quando noi avevamo di fronte nel 1915 un terzo dell'esercito austriaco (25
divisioni) non avevamo che 35 divisioni e scarsezza estrema di
artiglierie e di munizioni. Non si tien conto che nella battaglia
della Piave del giugno 1918 le nostre divisioni erano 57 (comprese le 4 alleate), si disponeva di abbondantissimo materiale di
artiglieria e di munizioni ed inoltre l'estensione della fronte
era ridotta a metà, ed era stata negli ultimi sei mesi potentemente preparata a difesa! Non si tien conto di tutto ciò.
Ma che importa? L'essenziale era di esaltare il secondo periodo
della guerra per poter svalutare il primo. Come se l'esercito
e il Paese non dovessero andare orgogliosi di entrambi!
Da quanto ho detto chiaramente emerge come si sia andati
a gara a svalutare le nostre vittorie del periodo 1915-1917. Si
tenga conto che questo fu caratterizzato dall'aspro sforzo offensivo fatto con scarsezza di mezzi allo scopo di coordinare la nostra colla guerra europea e che tale sforzo giovò direttamente
ed in notevole misura agli Alleati, e indirettamente a noi pei
vantaggi che ci derivavano dalle migliorate condizioni della
guerra europea. Consegue che la nostra azione doveva essere
valorizzata come meritava, specialmente di fronte agli Alleati,
se non altro per compensare l'aiuto da essi datoci nel 1917-1918
e di cui essi menavano vanto. E poiché gli Alleati alla loro volta
hanno tentato di svalutare le operazioni dell'ultimo periodo
della guerra, così apparisce quale opera patriottica sia stata fatta nel cercar di svalutare il primo periodo, il quale fu senza
dubbio il più duro e il più difficile (epperciò gloriosissimo) per
la scarsezza di artiglierie e di mezzi tecnici per parte nostra e
per la piena efficienza materiale e morale in cui si trovava allora
l'esercito austriaco, eccitato da un odio feroce contro di noi.
E questa esaltazione del secondo periodo della guerra a detrimento del primo non è; diminuita con l'andar del tempo, chè
anzi è aumentata e me ne debbo persuadere mentre rileggo que-
ste pagine (aprile 1928), a breve tempo dalla scomparsa del
compianto maresciallo Diaz. Ma questa non è la vera storia!
225
3. - L'apparecchio militare.
La Commissione tratta da pag. 17 a pag. 32 dell'apparecchio militare. A pag. 18 essa scrive:
Non si può negare che esso (l'esercito) corrispondeva ad una condizione comune degli Stati dell'Intesa, aliena da intenzioni aggressive,
e che con tutto ciò costituiva già non lieve aggravio per l'erario, assorbendo nel 1914 per il solo esercito (esclusa cioè la marina) un quinto
del bilancio passivo, e cioè 450 milioni su 2522. Ingiuste pertanto debbono ritenersi le voci che eccessivamente hanno insistito (e talune forse
per dare risalto all'opera di ricostruzione) sulla nostra impreparazione
alla guerra, attribuendo ad essa un valore assoluto, invece che il debito
significato affatto relativo: la nostra, come quella della Francia, della
Russia, dell'Inghilterra e dell'America, si può considerare come impreparazione solo se si riferisce alla nuova visione di forza e di potenza
aggressiva che gli Imperi centrali rivelarono e posero a servizio di un
gigantesco piano di egemonia mondiale.
L'on. Giolitti, il quale nel libro Le memorie della mia vita
cita le parole della Commissione d'inchiesta quando ciò gli
torna opportuno, e non le cita quando non gli mette conto, 1)
—• per difendersi dalla doppia accusa che il ministro Salandra era
stato costretto a proclamare la neutralità per il grave stato di
im preparazione e di debolezza in cui i Ministeri da lui presieduti
avevano lasciato l'esercito e la marina, e che con la guerra di
Libia si erano esauriti i magazzini militari senza poi provvedere
a reintegrarli — l'on. Giolitti, dico, a pag. 527 riferisce il precedente brano fino alle parole « impreparazione alla guerra »
e se ne fa forte per tentar di dimostrare non fondata l'accusa
fattagli di aver lasciato l'esercito in uno stato di grande impreparazione quando scese dal potere in principio del 1914.
Ma la Commissione erra in questo punto come in moltissimi altri. Senza alcuna intenzione di voler « dare risalto al1) Vedasi quanto scrivo alla fine di questo capitolo a proposito del bollettino di guerra del 28 ottobre 1917.
15
CADORNA.
226
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
l'opera di ricostruzione » ma soltanto per ristabilire la verità,
e riferendomi alla principale potenza militare fra quelle citate,
cioè la Francia, osservo che essa, pur con alcune deficienze —
principale quella delle artiglierie pesanti — potè gettare in linea,
nel tempo previsto dal progetto di mobilitazione, i suoi 21
corpi d'armata, oltre ad altre unità di riserva. Il giudizio della
Commissione sarebbe giusto se noi pure — sia pure con molte
deficienze — avessimo potuto, ordinando la mobilitazione il 1°
agosto 1914, mobilitare e radunare alla frontiera i nostri 14
corpi d'armata (35 divisioni di fanteria). Ma noi eravamo ben
lungi dal poter fare ciò : ne ho data ampia e documentata dimostrazione nei due capitoli del libro La guerra alla fronte italiana. Anzi, neppure alla fine di settembre noi eravamo in grado di mobilitarci, come risulta dai documenti ai quali mi sono
riferito a pag. 47-48 (capitolo II) del mio libro.
Perciò la nostra impreparazione aveva non soltanto un valore relativo, come la Commissione afferma, ma anche un valore assoluto. Né vale ricordare, come fanno la Commissione
e l'on. Giolitti, le cifre del bilancio e la proporzione fra le spese
generali e quelle di guerra e marina, perché, tenuto conto del
fatto indiscutibile che la impreparazione esisteva, se ciò avveniva malgrado l'ampiezza del bilancio, ne deriva un'aggravante
e non un'attenuante all'opera di governo dell'on. Giolitti.
A fornire piena conferma alle mie precedenti affermazioni,
è apparsa nel marzo 1923 la relazione della Commissione
parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra.
Questa, dopo aver proceduto ai necessari interrogatori, così
formula la sua conclusione nel capitolo « La Direzione generale dei servizi logistici ed amministrativi e la preparazione della guerra » (pag. 414 del volume I della relazione):
Da tutti i documenti esaminati, da tutti gli interrogatori
risulta confermato che nulla avevamo alla vigilia della guerra
europea che potesse, non che bastare ai bisogni della lunga
campagna e dei milioni di uomini richiamati alle armi, soddisfare almeno alle esigenze di un piccolo esercito da mandare al
confine per resistere all'urto che era da presumere formidabile.
« Tutto ciò, indipendentemente da ogni altra ragione, basta
<la solo a chiarire che il compito dei governanti e dei capi
per apprestare un esercito e quanto a questo occorresse presentiva difficoltà che dovevano apparire insormontabili, ed esponeva a responsabilità tanto più gravi in quanto nessuno aveva
mai pensato né in Italia né altrove che si potesse essere esposti ad una così grande e soprattutto così lunga guerra; nessuno
aveva pensato in Italia che dal nostro Paese potesse sorgere
apparecchio così formidabile come quello che più tardi i capi furono chiamati a maneggiare... »
Dopo così esplicite parole, che cosa rimane delle affermazioni
fatte tanto largamente dalla Commissione d'inchiesta e di quelle
fatte dall'on. Giolitti? 1)
Ciò posto concordo con quanto dice la Commissione a pagina 19, cioè che la preparazione eseguita durante la neutralità non
fu opera di improvvisazione, ma di ringiovanimento e di aumento di personale, di notevole completamento del materiale,
di fortissimo miglioramento dei servizi, ecc. 2) Ma non concordo con chi ha affermato (pure a pag. 19) e biasimato che tale
programma « non portasse alla previsione di assai più grandiosi
apprestamenti », e ciò appunto perché, dato lo stato dell'esercito in quel tempo, fu già uno sforzo grandioso il farlo entrare
in guerra dopo meno di dieci mesi dallo scoppio della guerra
227
1) Tutto ciò che ho scritto è ampiamente confermato dall'on. Salandra
nel suo bel libro La neutralità italiana, pubblicazione molto importante, equa
ed imparziale. Vedasi il capitolo V «Preparazione delle a r m i » .
2) Il ministro della Guerra, generale Zupelli, mi scriveva il 21 novembre 1914: «...la forza complessiva dell'esercito mobilitato è oggi e sarà in
marzo all'inarca quella che sarebbe stata in agosto. Essenzialmente si tratta
di migliorata qualità e di efficienza della forza stessa, piuttosto che di differenze numeriche.
<< Il tempo trascorso dall'agosto in poi ha servito e quello che si avrà
ancora a disposizione servirà ad aumentare appunto la efficienza della forza
mobilitabile, dando modo di attuare una serie di provvedimenti, ben noti
all'E. V., intesi a tale scopo, quali: completamento ed aumenti nuovi di doINXIOIIC di ogni genere (vestiario, equipaggiamento, vettovagliamento, munitlimiimcnto, ecc.) sia per ripianare deficienze esistenti nelle dotazioni prescritte
fino dal tempo di pace, sia per portare le dotazioni stesse alla quantità pre------- per la mobilitazione e rispondenti a nuovi constatati bisogni; provvista
di un equipaggiamento invernale che non esisteva; completamento e nuovo
ordinamento dell'artiglieria, intesi a migliorare le condizioni tecniche e di im-
OSSERVAZIONI VARIE
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
europea, nel suo quadro organico, e sarebbe stato impossibile,
senza comprometterne l'efficienza, dargli allora più ampio sviluppo.
La più bella prova la fornisce la stessa Commissione quando a pag. 22 (n. 23) scrive: « In ordine al numero degli ufficiali è risultato che, non ostante gli sforzi fatti per aumentare i
quadri specie quelli delle categorie in congedo, se ne è dovuto
lamentare una grave deficienza numerica, sia all'atto della nostra entrata in guerra, sia durante le prime nostre operazioni
militari. »
E allora, come si sarebbero ancora potute costituire nuove
unità? L'ampliamento dell'esercito doveva essere fatto gradatamente se non se ne voleva compromettere la solidità. Esso avvenne difatti in due riprese, cioè nella primavera del 1916 ed
in quella del 1917, e fu notevolissimo, come ho dimostrato nel
capitolo II del già citato libro.
Non solo questo; ma se, « non ostante gli sforzi fatti per
aumentare i quadri », si doveva « lamentare una grave deficienza numerica » all'atto di entrare in guerra, come può la Commissione affermare che 10 mesi prima, al momento dello scoppio della guerra europea, si potesse, al pari della Francia, entrare in campagna? Quale patente contraddizione! 1)
Se la Commissione avesse tenuto ben presenti queste considerazioni, certo non avrebbe scritto quel che si legge a pag.
piego tattico; preparazione e formazione di quadri ufficiali e sottufficiali in
specie; acquisto di quadrupedi all'estero per sopperire alla deficienza, non tanto
numerica quanto qualitativa, dei quadrupedi disponibili nel nostro Paese per
l'artiglieria; costituzione graduale di unità, di organismi, alla cui formazione
si dovrebbe addivenire in modo affrettato e più o meno tumultuario durante
il breve periodo della mobilitazione, senza la necessaria garanzia di affiatamento
fra quadri e fra gregari stessi dei reparti; messa in stato di difesa delle piazzeforti e degli sbarramenti e completa sistemazione dei depositi in zona avanzata, ecc. ».
Questa lettera, nel mentre riepiloga ciò che fu fatto per mettere l'esercito
in grado di entrare in guerra nella sua formazione organica stabilita nel tempo
di pace, ben dimostra quali fossero le sue deficienze di ordine assoluto.
1
) Il lettore ha certamente notato quante contraddizioni ho dovuto rilevare nella relazione della Commissione. Gli è che quando la verità fa a cozzo
con le tesi prestabilite, le contraddizioni sono inevitabili. E, viceversa, l'esistenza delle contraddizioni dimostra che non si cammina sull'ampio e facile
sentiero della verità. La costante verità non può contraddirsi.
20 : « Se questi (il capo di Stato Maggiore) adunque, nel periodo della preparazione, non promosse sostanziali modificazioni
di misura e di modalità nel programma attuale dal ministro
Zupelli, è da ritenere o che lo considerasse il massimo sforzo
possibile per l'Italia nelle circostanze e nei limiti di tempo assegnati, ovvero che, pur uno sforzo maggiore essendo possibile,
egli non lo ritenne necessario. » No, uno sforzo maggiore non
era possibile, ma queste ultime parole lasciano sospettare una
imprevidenza da parte mia, che non c'è mai stata! Chi non sa
che in guerra ci si assicurano le maggiori probabilità di successo facendo il massimo sforzo possibile? E questo fu sempre
fatto. 1)
D'altronde a che avrebbe servito aumentare le unità organiche quando difettavano % quadri ed erano così scarse le artiglierie? La stessa Commissione ci dice a pag. 31 che era impossibile far venire artiglieria e munizioni dall'estero e che il
tempo occorrente ad attrezzare la nostra industria per tali produzioni era « notevolmente maggiore di quanto non durassero
la nostra neutralità e la prima preparazione ». Ma la Commissione si affretta a soggiungere:
Certo però un dubbio sussiste: che, cioè, per quanto nel Comando
Supremo non mancasse, ancor prima della guerra, la sensazione che la
nostra artiglieria era piuttosto (! ) deficiente per quantità, per potenza e
per munizionamento, la vera misura della grande incapacità quantitativa di essa ad assolvere il compito di far breccia nelle robuste difese
avversarie e sostenere la fanteria contro l'artiglieria austriaca, potentemente e magistralmente impiegata, il detto Comando non l'abbia compresa se non dopo le prime operazioni. E altrimenti non si capirebbe
come non siasi per lo meno tentata una maggiore concentrazione delle
artiglierie e delle munizioni disponibili nel tratto scelto per lo sfondamento.
1) Difatti, ecco quanto mi scriveva il ministro della Guerra, generale Zupelli, il 29 dicembre 1914: «Debbo dichiarare nel modo più esplicito e formale che, al di là di tali cifre (quelle della forza necessaria a mobilitare le
unità contemplate dall'organico), per la disponibilità, sia dei quadri, sia dei
mezzi finanziari, sia, infine, del tempo, non è assolutamente possibile compiere
uno sforzo ulteriore. » Ed aveva ragione, salvoché per i mezzi finanziari, ai
quali non era il caso di badare in quei gravissimi momenti. Ma tale era la
mentalità del Governo, come è già apparso nel mio precedente libro ed in
questo, e come meglio apparirà in seguito.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
Tante parole, altrettante inesattezze! Altro che dubbio!Altro che sensazione! Altro che artiglierie piuttosto scarse! Io avevo la certezza che le artiglierie erano molto scarse: altrimenti non si capirebbe come insistessi tanto per la
mobilitazione industriale, ancora durante la neutralità; provvedimento questo che non fu attuato dal Governo che sei mesi
dopo che io l'avevo proposto (vedasi il capitolo II del mio succitato libro). Naturalmente la precisa misura dell'insufficienza
fu data dalle prime operazioni, ma a comprenderne l'insufficienza generica bastavano le operazioni in corso su teatri di guerra europei. La concentrazione delle artiglierie di medio calibro
sulla fronte Giulia fu attuata per quanto possibile, perché non
si potevano lasciare del tutto prive di tali artiglierie le altre
armate in relazione al loro compito: così, delle 236 bocche da
fuoco di medio calibro disponibili, 124 furono assegnate alla
fronte Giulia (60 chilometri) e sole 112 ai rimanenti 600
chilometri della fronte; a questi ultimi furono assegnate le poche artiglierie di grosso calibro che si avevano, dovendosi battere dei forti corazzati.
sui reticolati, i quali non si potevano tagliare colle pinze tagliatili che io menai vanto di aver fatto comperare a Milano.
Le informazioni furono quali potevano essere e certamente
non si trascurò alcun mezzo per poterle avere il più possibile
esatte. E se le pinze tagliafili si dovettero far comperare in furia a Milano, fu perché il Ministero, che ne aveva promesso
quattro per compagnia e si era rifiutato di fornirne altre quattro
da me proposte, perché sarebbero costate centomila lire (!), non
provvide neppure le prime quattro (vedasi il capitolo III del
mio precedente libro). Così, se imprevidenza vi fu, fu tutta da
parte del Ministero!
Queste ed altre cose sarebbero state facilmente chiarite se
la Commissione mi avesse interrogato. Ma essa ha trovato più
comodo di muovermi delle critiche senza interpellarmi; così
essa ha potuto più facilmente addivenire alla conclusione che la
mia mente era « assorbita dalla visione e dalla speranza della
guerra di movimento » !
L'unico documento prodotto per tentar di provare questa
presunta inclinazione della mia mente è il periodo contenuto
nella Prefazione al libretto sulla guerra di trincea, comunicatoci dal Comando francese e diramato nel maggio 1915, nella
quale prefazione era detto : « Abbenché il carattere delle nostre
eventuali operazioni e la natura e configurazione del terreno
ov'esse si svolgeranno facciano ritenere improbabile che le nostre truppe debbano ricorrere ai suddetti procedimenti — salvo
che, eccezionalmente, su estensioni piuttosto limitate della fronte — ecc. » La Commissione trascrive queste parole a pag. 52
della relazione, ma poco dopo (pag. 53) essa stessa fa giustizia
dell'accusa con queste altre parole: « ... la Commissione non si
sente invero di far proprie le deduzioni che si sono volute trarre dalla prefazione sopra ricordata. Ciò tanto meno in quanto,
come indirizzo di dottrina, non era male, nel momento in cui
con ufficiali destinati a compiere rapida avanzata cominciavasi
a discorrere della guerra in trincea, deprecarne quell'eccessiva
estensione che dell'offensiva appunto avrebbe costituito la paralisi ».
All'« alto personaggio del Governo » il quale, come è detto subito dopo nella relazione, affermò che se io avessi rappresentato in tempo, nel periodo della preparazione, la scarsità
di artiglierie e di munizioni, tale mia dichiarazione « avrebbe
provocato o un più largo rifornimento o addirittura una diversa
risoluzione da parte del Governo », io rispondo che la memoria lo ha tradito, perché tale scarsità io l'ho sempre rappresentata. E poi, un più largo rifornimento era impossibile per
le ragioni già dette, come era impossibile una diversa risoluzione del Governo. L'alto ed anonimo personaggio deve rammentare che se io non trattenevo il Governo a cagione dell'impreparazione, non mancò taluno nel Governo stesso che sarebbe partito in guerra molto tempo prima, poiché alte considerazioni politiche consigliavano il nostro intervento!
Ma prima di finire il capitolo la Commissione sente ancora
il bisogno di tacciarmi di imprevidenza per le inadeguate informazioni sulle difese accessorie nemiche e particolarmente
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Sagge parole! Difatti sarebbe stato davvero strano che, nel
momento in cui cercavo di imprimere il massimo impulso al
movimento offensivo per impadronirci rapidamente e di sorpresa di importanti posizioni al di là della frontiera, io avessi
fatto l'apologia della guerra di trincea! Ma la Commissione, che
distrugge essa stessa l'unica prova che si è voluto allegare della
visione e della speranza della guerra di movimento che assorbiva la mia mente, perché allora mi rivolge questo appunto?
E' questa un'altra delle tante contraddizioni in cui essa cade!
E poi, nelle direttive del 1° aprile 1915 inviate ai comandi
di armata riflettenti le operazioni durante il periodo di mobilitazione e radunata, non avevo io accennato alla « possibilità che
la nostra offensiva urti contro tenace resistenza e rimanga paralizzata, a somiglianza di quanto si verificava in Fiandra e in
Polonia»? (pagg. 99-100 del volume I del mio libro La guerra alla fronte italiana). Altro che visione e speranza di guerra
di movimento!
4. - L'attacco frontale.
La Commissione non fa delle critiche essenziali ai metodi
seguiti per l'addestramento tattico delle truppe. Anzi, a pag.
189 della relazione, scrive quanto segue:
La Commissione per sua parte non ritiene che i criteri in vigore
nel nostro esercito nell'ottobre 1917 per l'impiego della fanteria fossero inadeguati, e giudica anzi che essi tenessero giusto conto dell'evoluzione dei metodi tattici: appare che fosse invece insufficiente l'addestramento delle truppe, per la mancanza dei necessari turni di riposo
e per l'errata applicazione dei suddetti criteri per parte di taluni comandanti.
Potrei adunque dispensarmi dall'entrare in questo argomento. Credo tuttavia di dover tenere parola dell'attacco frontale pel
grande scalpore menato intorno all'opuscolo che del medesimo
si occupa, del quale si è interamente travisato il significato.
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* * *
Sul principio del 1915 feci ricompilare una istruzione sull'Attacco frontale ed ammaestramento tattico, la cui prima edizione era stata scritta fin dal 1905 ed era stata tante volte modificata per tenerla al corrente delle necessità del giorno. Essa
aveva dato ottimi insultati nell'istruzione dei quadri mentre
reggevo i comandi delle divisioni di Ancona e di Napoli e del
IV Corpo d'Armata (Genova), tanto che, spontaneamente richiesta dai reggimenti di ogni parte d'Italia, la si era dovuta riprodurre in molte migliaia di copie. La nuova edizione porta la
data del 25 febbraio 1915.
Questa istruzione è stata oggetto di molte critiche e, travisando completamente il concetto che la informava, si disse che
io ordinavo di eseguir in ogni caso l'attacco frontale, con assoluta esclusione degli attacchi di fianco. Nulla di più erroneo e
di più assurdo! Basta per persuadersene leggere quanto è scritto a pag. 12 di quella istruzione: «Le maggiori probabilità di
risultati decisivi si hanno, è vero, combinando — quando sia
possibile — l'azione frontale con altro attacco diretto contro
uno od entrambi ì fianchi del nemico, ma non è tuttavia da
escludere che l'azione frontale possa diventare principale, o la
sola imposta dalle circostanze, specie quando — come nell'attuale conflitto — le fronti vanno assumendo estensioni enormi.
L'azione contro un fianco, d'altronde, si risolve in un'azione frontale allorché l'avversario abbia spostato le sue riserve, ciò che
un'abile difesa dovrà sempre saper fare. »
E' da notare che gli aggiramenti dei fianchi sono facili ad
eseguirsi, e per contro è molto difficile l'esecuzione dell'attacco
frontale. Consegue che una truppa bene istruita nel meccanismo
della manovra frontale potrà dire di possedere un buon ammaestramento tattico; e perciò come metodo di addestramento
è soprattutto sugli attacchi frontali che è d'uopo insistere. In
sostanza, mentre io stabilivo un metodo per l'esecuzione degli
attacchi frontali pel caso molto frequente che da questi non si
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
potesse prescindere, si lasciava invece intendere che prescrivevo
l'attacco frontale anche nel caso in cui fosse possibile l'attacco
di fianco! Della quale eresia, in verità, niuno si era mai accorto
nei dieci anni durante i quali il libriccino aveva avuto nelle sue
varie edizioni larga diffusione in tutto l'esercito!
Tale è il significato di quel tanto calunniato libretto, il quale, in sole 56 pagine di piccolo formato, conteneva l'esposizione
dei principi fondamentali della tattica e stabiliva un metodo di
addestramento dei quadri e delle minori unità. Tale significato
è tanto chiaro che è veramente sorprendente che abbia potuto
essere svisato a tal segno! Il sofisma, pur tante volte ripetuto, è
così grossolano che non può essere attribuito che ad ignoranza
o a mala fede! Non parlo poi dei molti che ripetevano pappagallescamente le accuse contro l'attacco frontale senza neppure aver visto la copertina dell'opuscolo!
Ma i veramente competenti hanno espresso ben altro giudizio. Così, ad esempio, il generale Grazioli, il quale, dopo aver
comandato con distinzione un corpo d'armata in guerra, fu nominato direttore superiore delle scuole militari, in un pregevolissimo opuscolo dal titolo Saggio sulla evoluzione della dottrina tattica nella guerra europea, così si esprime a pag. 6:
per le enormi e continue fronti di schieramento assunte dagli immani
eserciti in lotta. Ad ogni modo era ed è sempre esatto e ragionato l'affermare che, nell'ambito delle minori unità, ogni manovra si riduce in
definitiva ad un attacco frontale qualunque sia la via percorsa per
giungere a tale attacco. Era ed è fuori dubbio pertanto la opportunità
di conoscere con chiarezza i procedimenti tattici pratici, conforme i
quali è possibile condurre e sviluppare un attacco di tal genere....
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Il fascicolo del generale Cadorna Attacco frontale e ammaestramento tattico, già noto da alcuni anni, venne fatto ristampare nel 1915
e largamente diffuso dall'autore, poco dopo la sua assunzione a capo
di Stato Maggiore dell'esercito. Tale pubblicazione rappresenta un episodio importante nella storia della nostra regolamentazione tattica, perché per la prima volta ritroviamo espresso in forma chiara e precisa
un concetto tattico semplice e netto, coll'intento di richiamare le menti
verso principi fondamentali e intorno a linee essenziali di metodo, in
un'ipotesi d'attacco, che la guerra europea già cominciata fuori d'Italia
dimostrava come la sola che potesse in realtà interessare le minori
unità tattiche.
Vedremo poco più innanzi quanto ingiusta debba considerarsi la
critica mossa in seguito a questo opuscolo designato quasi come la
causa determinante per cui la nostra guerra fu iniziata e per molto
tempo condotta, anche nel campo strategico, con azioni frontali rimaste pur troppo sanguinosamente sterili. L'attacco frontale nel campo
della tattica ha rappresentato una inevitabile necessità di questa guerra
E a pag. 44 del medesimo opuscolo il generale Grazioli
scrive :
La grande controffensiva anglo-francese, che ebbe inizio il 27
luglio (1918) e che con progresso geometrico più non ristette fino
all'armistizio, venne sostanzialmente condotta colle stesse norme tattiche elaborate dai tedeschi per la loro offensiva di primavera. Ne
sono prova evidente le Direttive del maresciallo Pétain per la imminente ripresa offensiva in data 12 luglio 1918, leggendo le quali si
sente lo stesso spirito delle istruzioni tedesche del gennaio 1918, cioè
lo spirito tattico ultimo, che si può dire, sia uscito dalla guerra:
spirito tattico che, curiosa coincidenza, ricorda qua e là quello che
animava la famosa istruzione italiana sull'attacco frontale del generale
Cadorna, la quale aveva il solo torto di fermarsi al primo contatto col
nemico, perché non poteva prevedere allora la resistenza profonda
del difensore e quindi la necessità di un attacco altrettanto profondo e penetrante.
Mi sia permesso di osservare che doveva essere ben vitale
la mia istruzione se, essendo stata per la prima volta emanata
nel 1905 in Ancona ed essendo rimasta nelle linee generali immutata, fino all'ultima edizione del gennaio 1915, se ne trovassero ancora delle reminiscenze nelle istruzioni del maresciallo
Pétain (informate queste allo stesso spirito delle istruzioni tedesche del gennaio 1918) dopo tanta esperienza accumulata in
quattro anni di guerra.
È senza dubbio da deplorare di essere stati costretti ad eseguire quasi sempre degli attacchi frontali, sempre difficili specialmente in montagna. A proposito della guerra di montagna,
Napoleone, nei Précis des guerres du maréchal de Turenne,
nella 2a osservazione alla campagna del 1644 scrive quanto
segue : « Ne jamais attaquer les troupes qui occupent de bonnes
positions dans les montagnes, mais les débusquer en occupant
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
des camps sur leurs flancs ou leurs derrières. » Principio giustissimo... nella guerra di movimento con piccoli reparti (come
allora si usava) in montagna; ma sarebbe interessante che i critici dicessero come si sarebbe potuto applicare tale principio su
una distesa di oltre 600 chilometri di terreno montuoso occupato con linea contìnua da molte centinaia di migliaia di uomini!
Uguali critiche sono state rivolte in Francia al maresciallo
Joffre. Ecco come ne parla il Mermeix nel suo volume Joffre Première crise de commandement, a pag. 2 4 9 :
<< Ceux qui reprochaient à Joffre ses attaques frontales, n'avaient
donc pas regardé la carte! Manoeuvrer c'est se mouvoir. Pour se
mouvoir il faut de l'espace. Or, il n'y avait pas d'espace libre pour
la guerre de mouvement en France comme il y eri avait eu pour
Hindenburg en Prusse orientale, pour Mackensen encore et Falkenhayn en Roumanie et pour Joffre lui-mème, en septembre 1914, sur
la Marne. Partout l'ennemi était retranché. Les fortifications allaient
de la mer du Nord à la frontière suisse. On était donc obbligé de
se livrer à ces attaques frontales dont il était fair grief a Joffre.
Est-ce que les Allemands, manoeuvriers sur le front oriental, faisaient
des manoeuvres sur la front occidental? Pour eux, comme pour Joffre,
il n'y avait de possible, témoin Verdun, que l'assaut direct sur une
partie du front. L'attaque frontale pouvait ètre plus ou moins étendue.
C'était une question d'effectifs et surtout une question d'artillerie.
Jusqu'à présent, rien qu'avec les effectifs francais et avec un materiel
assez pauvre, Joffre avait pu empècher tout retour du flot de l'invasion. »
Se tali erano le condizioni in Francia per la guerra di movimento, erano forse migliori in Italia? O non vi era invece
l'aggravante di un terreno costantemente montuoso, che ostacolava dovunque la manovra?
Analoghe considerazioni furono fatte in Germania. Trovo
ad esempio le seguenti parole a pag. 11 del libro La guerra
dell'avvenire (Vom Kriege der Zukunft) del generale di cavalleria Friedrich von Bernhardi:
Ma questa forma di battaglia (quella decisiva in, campo aperto)
non poteva svolgersi che in determinate condizioni, data la strategia
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lineare recentemente sorta. Dove non vi erano fianchi vulnerabili si
dovette, per battere il nemico, addivenire ad attacchi frontali. A ciò
non si era mai da noi pensato in tempo di pace. Le voci — tra
l'altre anche la mia — che a ciò accennavano, che sarebbero state
possibili anche battaglie di rottura, le quali avrebbero potuto anche
rendersi necessarie, date le moderne condizioni, rimasero inascoltate
e non furono apprezzate.
Tuttavia, le condizioni generali si sono ulteriormente sviluppate
in quella direzione. Oggi, nella guerra di posizione, non vi sono
più fianchi da avvolgere; quasi ovunque ci si trovai di fronte ad una
lunga e ben connessa linea; i fianchi da avvolgere bisogna procurarseli mediante lo sfondamento delle linee nemiche,1) mentre che
l'avversario, da parte sua, fa di tutto per impedire un tale sfondamento
e per chiudere mediante le riserve una falla che siasi eventualmente
prodotta. In tal modo la battaglia frontale è divenuta necessità ed
aspetto caratteristico della guerra di masse. Nel preparare tale battaglia e nel condurla con successo consiste il grande e decisivo, ma
tuttavia altrettanto difficile compito del comandante — compito questo che noi ed i nostri nemici abbiamo spesso tentato invano di
risolvere.
L'arte della guerra ha quindi assunto tutt'altro aspetto, poiché
si tratta ora — per lo meno agli inizi — non di operare, bensì di
ammassare di sorpresa, dinanzi ad un tratto determinato della fronte
nemica, tante forze da assicurare il successo.
La più bella prova della verità di quanto afferma il generale von Bernhardi è questa: i generali von Hindenburg e von
Ludendorff che, nella Prussia orientale, a Tannenberg e sui
laghi Masuri, seppero compiere magnifiche manovre sui fianchi dei russi, essendo tali manovre consentite dallo spazio
disponibile, sulla fronte occidentale invece furono anch'essi costretti ad eseguire attacchi frontali, perché la fronte continua
degli alleati non presentava fianchi vulnerabili, essendo appoggiata a Nord al mare e a Sud alla Svizzera.
1
) E così l'avvolgimento delle ali, tentato durante la nostra controffensiva
del giugno 1916, doveva essere preceduto dall'attacco frontale della nostra destra sull'Altopiano di Asiago e da quello pure frontale dal Pasubio verso il
Col Santo. Similmente, quando nell'agosto 1916 incontrai ostacoli insuperabili
per attaccare le alture del S. Marco ad oriente di Gorizia, divisai di attaccarle
sul fianco sinistro, dopo di aver conquistato il necessario spazio sul Carso
mediante attacco necessariamente frontale. E così nell'agosto-settembre 1917
l'anfiteatro goriziano sarebbe caduto per manovra quando fosse prima riuscito
l'attacco frontale sul Carso e l'attacco pure frontale contro la selva di Tarnova.
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Come si vede, le persone competenti in Italia, in Francia, in
Germania si trovano d'accordo nel medesimo giudizio sulla inevitabilità dell'attacco frontale nella generalità dei casi dell'ultima guerra. La guerra dell'avvenire, se sarà ancora guerra
di popoli, come tutto lascia presumere, ci presenterà fronti
non meno vaste ed ancora più solide, data la potenza sempre
crescente delle armi. Perciò, più che mai si dovrà ricorrere all'attacco frontale ed aumenterà la necessità di addestrarvi le
truppe nel tempo di pace. 1)
Ma chi avrà mai il coraggio di compilare una nuova istruzione su questo argomento, dopo la sciocca ed indegna gazzarra fatto intorno alla mia?
Qualifico sciocca ed indegna tale gazzarra, anche perché se
si potesse ritornare alla guerra di movimento, vi saranno sempre, come vi furono per il passato, dei riparti aggiranti e dei
riparti incaricati dell'attacco diretto, non foss'altro per immobilizzare sulla fronte le truppe che si vogliono aggirare. Ora
domando quale altro attacco che non sia frontale possa eseguire un riparto che, essendo inquadrato fra altri riparti, debba
1
) E' certamente desiderio di tutti che la guerra dell'avvenire sia guerra
di movimento, colla quale si potrà ottenere una più sollecita risoluzione. Ma
è probabile che a ciò si addivenga? E' all'uopo necessario che scompaiano le
cause che nell'ultima guerra hanno condotto alla guerra di posizione. Esse si
riassumono in una: la enorme estensione delle fronti che ha reso possibile la
chiusura con linee di difesa continue di un intero teatro di guerra, non lasciando sui fianchi (appoggiati al mare od a frontiere di stati limitrofi) nessuno
spazio per la manovra. Ma quali sono le cause di questo enorme accrescersi
della estensione delle fronti? Sono essenzialmente due: 1° - L'aumento smisurato
degli eserciti, diventati popoli in armi. 2° - Il grandissimo aumento della
efficacia delle armi, che ha reso possibile, anzi necessario, alle singole unità
di occupare fronti molto più estese di prima. Ora queste cause non cesseranno nell'avvenire, anzi è molto probabile che la seconda venga aggravata
dal continuo perfezionarsi dei mezzi di distruzione che tende a favorire la
difensiva. Rimane perciò la sola speranza che qualche scoperta, come quella
dei carri d'assalto, faciliti lo sfondamento frontale sopra un tratto della fronte,
dopodiché sarebbe possibile la manovra sui fianchi dei due tronconi separati
del nemico. *)
Questa conclusione non toglie che si debba istruire l'esercito specialmente
nella guerra di movimento, perché è facile passare dalla guerra di movimento
ii quella di posizione, mentre è difficile il passare da questa a quella.
*) Ed infatti i tedeschi, spostando l'azione delle divisioni corazzate con
quella dell'aviazione in picchiata, forgiarono l'istrumento adatto per la battaglia di rottura, per lo meno nei terreni pianeggianti. (R. C.)
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contenere le sue azioni fra limiti di terreno prestabiliti!
Pongo fine a questo argomento con una citazione del Bollettino dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore del R. Esercito
(1° novembre 1926). Il quale discorrendo del compianto generale Baldissera, la cui grande autorità nell'esercito è a tutti nota,
ne riferisce alcuni aforismi fra i quali il seguente: «L'attacco
frontale sarà sempre il pane quotidiano della fanteria. »
*
**
Mi è stato finalmente rimproverato di avere emanato il
libretto sull'attacco frontale — il quale discorre della guerra
in campo aperto — nel febbraio 1915, quando già da cinque
mesi si faceva, sugli altri teatri di guerra, la guerra di trincea,
con che avrei nulla imparato dalla altrui esperienza, e mi sarei
lusingato — sul nostro teatro di guerra montuoso — di condurre la guerra napoleonica! Tale mia supposta credenza è pienamente smentita dal mio libro La guerra alla fronte italiana, e
particolarmente da quanto ho scritto a pag. 78, a pag. 88-89
e nella nota a pag. 133 — smentita che i critici non hanno
tenuta in nessun conto.
È concepibile che solo nel febbraio 1915 io mi sia accorto
che sulla fronte franco-inglese si faceva la guerra da trincea?
Se fino da quell'epoca non ho emanato istruzioni su questo genere di guerra, è perché non si poterono conoscere dai francesi
i risultati della loro esperienza fino a che non ci stringemmo
con loro in alleanza col patto di Londra del 26 aprile 1915, per
la stessa ragione per la quale il ministro della Guerra inglese
non volle concederci le richieste mitragliatrici fino a che non
si fosse saputo da qual parte avrebbero sparato (vedasi la nota
a pag. 71 del mio libro succitato). Avute, in seguito alla firma
di quel patto, le necessare informazioni dalla Francia, feci subito
compilare l'istruzione Procedimenti per l'attacco frontale nella
guerra di trincea in uso nell'esercito francese, la quale istruzione porta infatti la data del 12 maggio 1915. Ma intanto urgeva spingere alacremente l'istruzione dell'esercito nella guer-
241
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
ra offensiva in campo aperto la quale è la base della guerra di
trincea — istruzione che lasciava molto a desiderare. Perciò,
considerato che dovevamo fare guerra offensiva — che la guerra offensiva è più difficile della difensiva — che l'istruzione
tattica dell'esercito molto lasciava, come ho detto, a desiderare
— e che lo spirito offensivo dell'esercito era molto scarso (come anche gli avvenimenti dei primi giorni di guerra dimostrarono) — considerato tutto ciò, emanai il fascicoletto sull'attacco
frontale, che mi aveva dato ottimi risultati nell'istruzione delle
truppe, introducendovi, bene inteso, le modificazioni che l'esperienza e le circostanze suggerivano.
Tutta la mia opera in quei mesi è intesa a sviluppare lo spirito offensivo delle truppe; perfino le seguenti parole scritte
nel momento di entrare in guerra, nella prefazione all'istruzione Procedimenti per l'attacco frontale nella guerra di trincea
in uso nell'esercito francese e già citate nel precedente paragrafo : « Abbenché il carattere delle nostre eventuali operazioni e la natura e la configurazione del terreno ove esse si
svolgeranno facciano ritenere improbabile che le nostre truppe
debbano ricorrere ai suddetti procedimenti — salvo che eccezionalmente, sopra estensioni piuttosto limitate... » Si è voluto,
da queste parole inferire che io non credessi nella necessità
della guerra di trincea e pensassi di far guerra manovrata secondo la tradizione napoleonica. Ma esse non erano che il
frutto della mia preoccupazione che in quel momento (maggio
1915), quando occorreva imprimere alle operazioni il massimo
vigore offensivo per sorprendere il nemico e penetrare il più
addentro possibile in tutto il suo territorio per migliorare la
nostra situazione difensiva e preparare migliori condizioni offensive, quell'istruzione sulla guerra di trincea tarpasse le ali
allo slancio offensivo delle truppe. E tale era infatti questa
mia preoccupazione che subito dopo soggiungevo : « Errerebbe chi ritenesse che i procedimenti di cui si tratta risultino,
anche solo parzialmente, in contraddizione coi principi generali dell'azione offensiva che noi conosciamo, o che se ne discostino in alcun modo. »
Che queste mie preoccupazioni non fossero fuor di luogo
lo dimostra il fatto che, malgrado quanto ho fatto per sviluppare lo spirito offensivo, esso si dimostrò nei primi giorni
della guerra assai scarso.
Perfino la prima divisione di cavalleria — l'arma offensiva
per eccellenza — la quale aveva l'ordine di sorprendere i ponti
di Pieris sull'Isonzo nel mattino del 24 maggio, non percorse
che pochi chilometri nella pianura, solo preoccupata di non
perdere il contatto colle vicine divisioni di fanteria; dimodoché gli austriaci poterono tranquillamente distruggere i ponti
noi pomeriggio. Si legga a questo proposito ciò che ho scritto
a pag. 132 e seguente del volume I del mio libro.
Nella stessa prefazione al succitato opuscolo io scrivevo:
« Appena occorre accennare che questa speciale forma di
azione è, da coloro medesimi che vi hanno ricorso, considerata
come un ripiego transitorio, di durata talora assai lunga, ma
destinato sempre a far posto, non appena subentrino! le necessarie condizioni, ad una vigorosa azione offensiva. » È chiaro
adunque il mio pensiero. Io riconoscevo che, la guerra di trincea poteva avere durata assai lunga, ma che lo scopo, una
volta effettuato lo sfondamento di qualche tratto della fronte.
era quello di procedere ad una vigorosa azione offensiva, mediante la guerra manovrata. Così abbiamo fatto noi dopo Vitlorio Veneto, così hanno fatto i franco-inglesi nell'autunno 1918. Io non potevo, evidentemente, affermare che la guerra
di trincea era la forma permanente della guerra, senza dire
(osa falsa e che avrebbe paralizzato qualsiasi slancio offensivo delle truppe.
240
5 - Lo schieramento dell'esercito il 24 maggio 1915 e il
disegno di operazioni.
Scrive la Commissione d'inchiesta a pag. 54:
Dello schieramento iniziale delle nostre forze, che non variò poi
durante le operazioni nei primi mesi della guerra, è stato detto che
esso presentava, senza le necessità che lo avevano imposto in altri
territori ed in altri tempi, i caratteri di uno schieramento a cordona
CADORNA.
242
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
dallo Stelvio al mare, con troppo lieve prevalenza di forze sulla fronte
Giulia. E' stato affermato che, ben utilizzando gli sbarramenti della
nostra frontiera alpina, la vera massa del nostro esercito poteva essere
gettata oltre Isonzo alla ricerca di un iniziale forse decisivo successo,
mentre, avendo voluto tutto coprire del nostro territorio e tutto
attaccare dell'altrui, si espose l'esercito a sfibrarsi in una serie di
prove inani in molteplici direzioni.
Tale accusa è stata da molti ripetuta.
Nulla di più infondato.
Le 35 divisioni di cui l'esercito si componeva all'inizio
della guerra erano così ripartite: 14 divisioni sulla fronte
Giulia — 14 divisioni sulla vastissima fronte dallo Stelvio
alla Carnia compresa — 7 divisioni in riserva tra il lago di
Garda e Bassano, necessarie per assicurare la fronte della I
Armata fino a che questa non avesse conquistato, avanzando,
una più breve e migliore linea difensiva, e fino a che non
fosse da escludersi un attacco austriaco dal Trentino. Appena
queste due condizioni furono soddisfatte, quelle 7 divisioni
furono trasportate sulla, fronte Giulia. Si ebbero allora ben
21 divisioni sui 90 chilometri circa dal M. Canin al mare.
Tale rapporto era non di molto alterato da una maggiore assegnazione di alpini alla fronte tra lo Stelvio e la Carnia.
Può chiamarsi questo uno schieramento a cordone con troppo lieve prevalenza sulla fronte Giulia?
Quanto all'aver voluto tutto coprire il nostro territorio si
sarebbe forse voluto lasciare una breccia aperta, proprio alle
spalle della fronte Giulia ov'era riunito il grosso delle forze?
E gli austriaci, che pur si trovavano in una situazione strategica
assai migliore della nostra, non coprirono tutto il territorio con
25 sole divisioni? E i francesi e i russi (questi ultimi con 2000
chilometri di fronte)
244
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
Rimaneva un'altra soluzione, quella cioè di raccogliere l'esercito sulla linea della Piave, come era stato progettato negli
anni anteriori alla guerra, e di abbandonare volontariamente le
Provincie venete oltre Piave all'invasione! E' questa la soluzione che il Paese avrebbe gradito? Sarebbe stato davvero un bel
modo di iniziare una guerra politicamente e necessariamente
offensiva!
Tale era il problema strategico che mi era stato dato da
risolvere dall'iniqua frontiera del 1866, e nessuno degli alleati
o nemici ebbe ad affrontarne uno così difficile. Ma comunque
lo si contempli, nessuno che sia competente, illuminato e sereno potrà negare che la soluzione adottata nella ripartizione
delle forze e dei loro compiti fosse quella che meglio corrispondeva alle esigenze del momento, pure essendo tutt'altro che
scevra di pericoli!
Fra coloro che criticarono il disegno d'operazioni, colui che
è di gran lunga il più competente, cioè il generale Capello, non
seppe trovare nulla di meglio, per sostituirlo, del seguente concetto: operare in primo tempo decisamente soltanto sui due
lati del saliente trentino dallo Stelvio-Tonale e dall'AgordinoCadore, o ancor meglio limitarci ad una azione vigorosa dal
Cadore alla Rienza e all'alta Drava. Sarebbe stato davvero uno
scopo proporzionato all'ingentissimo sforzo militare italiano,
quello di conquistare l'insellatura di Toblach! Naturalmente appena se ne fosse accorto, il nemico non avrebbe mancato di
riunire molte forze in quell'asprissima regione, ed allora, come
avremmo potuto far valere in quelle gole la nostra superiorità
numerica, quando eravamo provveduti di così scarsi mezzi tecnici? Perciò questa zona non poteva formare oggetto che di attacchi secondari.
Lo stesso generale Capello, nel capitolo V delle sue Note
di guerra, si sbizzarrisce a mettere in burletta la grandiosità del
piano d'operazioni e la marcia su Vienna. Il piano di operazioni
non mirava che al raggiungimento dei primi grandi obiettivi
strategici, cioè a Trieste ed alle conche di Lubiana e di Villach.
Dovevo io forse assegnare per obiettivo strategico alle armate
qualche villaggio o qualche quota a pochi passi dal confine? Se
così avessi fatto, il generale Capello, il quale dimostrava nei
suoi libri tanta fertilità di spirito critico, non avrebbe mancato
di dire che avevo la veduta corta di una, spanna e che non avevo
saputo allungare la visuale neppure fino ai primi grandi obiettivi strategici! Tra le due critiche preferisco la prima, tanto più
che è sempre più facile restringere un programma che allargarlo. Quanto poi alla facile marcia su Vienna, osservo soltanto
(he il mio libro La guerra alla fronte italiana è ricco di citazioni
che comprovano come io non abbia creduto che la guerra fosse
facile e breve, ed anzi ho preveduto proprio l'opposto. Ciò è
pure provato da una mia lettera privata al presidente del Consiglio, on. Salandra, del 9 giugno 1915, nella quale scrivevo:
« Il problema difficile ora è quello di forzare la linea dell'Isonzo, come più volte ebbi occasione dì dirLe a Roma », cioè
prima dell'inizio della guerra. Dunque io non ebbi, mai illusioni
al riguardo, e mai le alimentai in altri. Il generale Capello può
pertanto risparmiarsi le sue critiche avventate!
Noto ancora che se la distribuzione delle forze fu fatta in
relazione al programma massimo, essa corrispondeva anche
alla necessità di un programma minimo, quello cioè della stabilizzazione della fronte: tant'è vero che quando la fronte dovette per forza di cose stabilizzarsi, i mutamenti introdotti nella
distribuzione delle forze furono minimi. Quanto alle artiglierie di grosso calibro, insufficienti per la fronte Tridentina e disadatte per la loro scarsissima mobilità alla fronte Giulia, trovavano il loro naturale impiego in Cadore ed in Carnia, contro forti di sbarramento corazzati. Di quelle di medio calibro,
pur assegnandone in maggior proporzione alla fronte Giulia,
non si poteva del tutto privarne le altre armate, come lo stesso
generale Capello ammette.
Relativamente al disegno di operazioni rimando anche il
lettore al capitolo IX (scritto in risposta al generale Nava), nel
quale dovrò fare altre ed importanti osservazioni.
245
246
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
6. - Le informazioni sul nemico nell'ottobre 1917.
Leggesi a pag. 48 della relazione, a proposito dell'offensiva
austro-tedesca del 24 ottobre 1917:
A riprova dell'incredulità predominante nei comandi più elevati,
è stato riferito che il 23 ottobre il generale Cadorna, in un colloquio
con uno dei comandanti di corpo d'armata della fronte poi attaccata, avrebbe espresso il dubbio che l'attacco nemico potesse ridursi
a una finta e che, dopo una puntata contro la II Armata, l'avversario
sviluppasse un attacco decisivo verso Monfalcone. Ciò potrebbe secondo taluno provare come, malgrado tanti segni ammonitori, il generale Cadorna non fosse ben convinto dell'offensiva nemica, o non
credesse che il principale attacco sarebbe per manifestarsi là dove
veniva ormai sicuramente preannunziato.
Questa è una pura invenzione che io debbo recisamente
smentire. Se l'attacco « veniva ormai sicuramente preannunziato »
(lo era stato da disertori e specialmente dagli ufficiali di nazionalità romena disertati il 21, che avevano portato seco loro gli
ordini d'attacco del loro settore), è assurdo il supporre che si
potesse non credere alla sua certezza!
Piuttosto è vero che, pur ritenendo certo l'attacco verso
l'Isonzo, io non potevo escludere che l'attacco si estendesse alla
Bainsizza e fin verso Monfalcone, come ho spiegato nel capitolo X del mio libro La guerra nella fronte italiana : nella stessa guisa che noi nel maggio di quell'anno avevamo esteso l'attacco dal Carso al M. Kuk, nell'agosto dal Carso alla Bainsizza. Perciò le riserve erano state dislocate in modo da fronteggiare qualunque possibile attacco, come ho pure spiegato nel
capitolo X. È risaputo che uno degli svantaggi della difensiva è
appunto quello di non poter conoscere in antecedenza tutte le
intenzioni del nemico e di dover in conseguenza dislocare le
forze in modo da far fronte ad ogni eventualità; mentre l'attaccante che sa dove vuole attaccare può far gravitare le sue forze
nella direzione da lui prescelta.
OSSERVAZIONI VARIE
247
È talmente difficile conoscere le intenzioni del nemico che
anche il 10 ottobre « pareva che il nemico temesse ancora una
nostra dodicesima offensiva sull'Isonzo ». (pag. 48 della relazione). Quando da ben 22 giorni (ordine del 16 settembre) io
avevo sospeso qualsiasi operazione offensiva ed avevo ordinato
di passare alla difensiva!
È per queste ragioni che non fu certamente da parte mia
eccesso di prudenza (come la Commissione scrive in fondo alla pag. 51) il dubitare « che al primo attacco sull'alto e medio
Isonzo potesse il nemico farne seguire uno verso il basso
Isonzo ». Se quest'ultimo attacco si fosse verificato, ed io non
avessi provveduto peri parare il colpo, la Commissione mi avrebbe certamente accusato di imprevidenza — e questa volta con
ragione! Nulla di più facile della critica col senno del poi\
Nella stessa pag. 51 si leggono queste parole:
Ma passando a più alti concetti strategici che rimanevano di
esclusiva competenza del generale Cadorna, nonché del generale Porro
che sotto tal riguardo doveva ragguagliarlo, sembra che nel valutare i
referti e le opinioni espresse dall'ufficio situazione sia stato trascurato l'esame della situazione generale politico-militare; e questa nell'autunno 1917 era tale (crollo della Russia, condizioni interne dell'Austria, situazione militare nei Balcani) che l'eventualità di una
offensiva nemica in forze avrebbe dovuto essere considerata come
molto probabile.
Scaturisce da questa affermazione che io non avrei considerato come molto probabile l'eventualità di un'offensiva nemica in forze.
A prova della grande leggerezza colla quale la Commissione esprime i suoi giudizi, io non ho che da riferirmi alla sue
citata mia lettera del 18 settembre, stampata nel capitolo IX
del mio libro già citato, a pag. 112-113 del voi. II, e che incomincia con queste parole:
Il continuo accrescersi delle forze avversarie sulla fronte Giulia
fa ritenere probabile che il nemico si proponga di sferrare quivi
prossimamente un serio attacco, tanto più violento quanto maggiori
248
249
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
forze esso potrà distogliere dalla fronte russa, dove la situazione
sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari.
Eh, sì, sarebbe troppo più facile la guerra se il servizio informazioni fosse sempre in grado di dissipare tutte le incertezze.
Ricordo Napoleone a Marengo, che, ignorando di aver di
fronte, ad Alessandria, tutte le forze del maresciallo Melas,
aveva disperso le sue forze tra il Ticino e Novi, e non fu salvato
che dall'iniziativa del generale Desaix a Marengo.
Ricordo la stesso Napoleone che, dopo di aver passato nel
1805 il Danubio a Donauwòrth, stette un paio di giorni senza
sapere qual partito prendere ignorando dove si trovassero le
forze del generale Mack.
Ricordo ancora il medesimo Napoleone, il quale, nel 1815,
dopo la battaglia di Ligny, credette che il maresciallo Blucher
si fosse ritirato verso Namur, e non seppe che si era congiunto
cogli inglesi, se non quando se lo trovò sulle braccia a Waterloo.
Ricordo finalmente i tedeschi a Vienville nel 1870, che si
trovavano di fronte a tutto l'esercito francese che credevano in.
ritirata verso la Mosa, e ciò malgrado l'ottimo servizio della
loro cavalleria, non contrastata dalla cavalleria francese. E potrei continuare a lungo.
N e l complesso sento di poter affermare che il servizio informazioni, nell'ottobre 1917, malgrado alcune inevitabili incertezze, ha funzionato ottimamente.
E' abbastanza chiaro? E si noti bene che copia di tale lettera io mandai alla Commissione!
E tre giorni dopo, cioè il 21 settembre, nell'esporre ai capi
di Stato Maggiore degli eserciti alleati le ragioni che mi avevano indotto a sospendere l'azione offensiva, io concludevo con
le seguenti parole che sono riportate nel capitolo IX dianzi
citato, ma che voglio qui ripetere :
Concludendo, se la situazione russa dovesse precipitare anche
maggiormente, noi potremmo trovarci già in questo scorcio di stagione operativa e certamente a primavera, di fronte ad un nemico
decisamente superiore di numero ed animato dal proposito di attaccarci a fondo.
Perciò il Comando Supremo italiano, considerando che un eventuale insuccesso potrebbe avere gravissime conseguenze per la causa
comune degli Alleati e che tale insuccesso si produrrebbe totalmente
qualora l'attacco nemico ci cogliesse in crisi di complementi e di
munizioni, ho dovuto, pur con vivissimo rincrescimento, prendere la
decisione di sospendere gli apprestamenti per la progettata ripresa
offensiva e di provvedere invece per riordinare le forze e predisporre una salda difesa ad oltranza su tutta la fronte, in modo che
nessuno degli avvenimenti che potrebbero derivare dalla mutata situazione russa abbia a trovarci impreparati, né ora, né a primavera
del 1918.
Quanto sopra il Comando Supremo italiano ha il dovere di
portare a conoscenza degli alti Comandi alleati.
A giudicare dal tenore dei documenti soprariferiti, non sembra che anche nel campo dei « più alti concetti strategici » io
trascurassi « l'esame della situazione generale politico-militare »
nei rapporti col crollo della Russia e cogli interessi comuni a
tutte le nazioni alleate!
Osservo infine che anche su tutti questi argomenti io non
fui interrogato!
A pag. 51. (n. 53) la Commissione scrive che non si sente
di fare troppo carico al servizio informazioni di alcune incertezze.
7. - Il bollettino di guerra del 28 ottobre 1917.
Mi riferisco al famoso bollettino che fu oggetto di tante
critiche. Dopo di aver per trenta mesi celebrato in tutti i modi
il valore dell'esercito, nei bollettini giornalieri di guerra, nelle
relazioni riassuntive delle operazioni, negli ordini del giorno,
ecc. io sono stato accusato di aver calunniato l'esercito! Il bollettino è stato anche divulgato, a scopo di disfattismo, in molteplici edizioni apocrife, introducendovi nomi di brigate, mentre
nel vero bollettino non ne fu designata alcuna.
Ma si vorrebbe forse negare il triste fatto, sia pure parziale,
delle rese e degli abbandoni di posizioni senza combattere? Ma
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RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
vi sono migliaia di testimonianze, ed esse abbondano nella stessa relazione della Commissione d'inchiesta.
Io mi appellerò ad una sola, ma che è la meno sospettata,
quella cioè del generale Alfieri, ministro della Guerra, il quale,
nella seduta del comitato segreto della Camera, del 13 dicembre 1917, pure avendo pronunziato un discorso a me ostile, ha
detto le seguenti parole:
i fatti avvenuti presso alcuni riparti, bollandoli come meritavano e come era mio dovere, anche per suscitare la necessaria
reazione?
Ecco adunque nella sua integrità il testo primitivo del bollettino di guerra del 28 ottobre :
Che il morale delle truppe della II Armata non fosse tale da
rendere eccessivamente fiduciosi, è dimostrato da troppi indizi perché
possa ritenersi dubbio. E ciò per il fatto tangibile di gran numero di
prigionieri e per la resa di interi reparti, avvenuta in condizioni
tali da non giustificare in modo alcuno la resistenza scarsamente durata e fiaccamente condotta, l'abbandono senza combattere di posizioni
naturalmente ed artificialmente forti.
Riconosciuto ciò, resta a determinare quali le cause di tali deficienze nel morale. Nessuna ricerca è più difficile di questa. Che
una larga propaganda nefasta contro la guerra esistesse nel Paese,
e che essa avesse diramazioni attive nelle stesse truppe, è un fatto
noto e che nessuna parola può abbastanza infamare,
Non si può ammettere nemmeno il complotto, del quale pure
si è parlato nel senso che si vuol dare a questa parola; esteso ad
un gran numero di persone, non avrebbe potuto essere ignorato.
Ma in qualche caso, a un certo momento, di colpo si sono avute
le stesse conseguenze per uno stato d'animo comune a molti, e allora
non sono mancati riparti intieri (e mi strazia l'animo a dirlo, ma
ho promesso di dire la verità) che si sono arresi senza colpo' ferire,
oppure hanno contemporaneamente gettato a terra le armi. 1)
È molto doloroso il dirlo, ma è così. Il soldato fu il meno
colpevole. Esso è stato vittima di una propaganda che non sarà
mai abbastanza infamata, gli autori della quale sono rimasti al
sicuro. Ma così stando le cose, con qual diritto si dice che io
ho calunniato l'esercito, mentre mi sono limitato a constatare
1) Taluno ha voluto sostenere che tutte le truppe si sono battute bene e
che la depressione degli spiriti e il conseguente sbandamento ha incominciato
a manifestarsi dopo la rotta militare. Tale affermazione rivela l'artificio di coloro che vorrebbero dimostrare la tesi preconcetta della rotta esclusivamente
dovuta a cause militari. Ma è un assurdo psicologico, non essendo ammissibile
che cause morali latenti capaci di produrre i colossali effetti cui abbiamo assistito dopo la rotta militare non abbian avuto alcuna azione mentre le truppe
erano attaccate.
251
La mancata resistenza di riparti della II Armata vilmente ritiratisi senza combattere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha
permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra
sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all'avversario di penetrare nel sacro suolo della
Patria.
La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini
ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti.
Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra dà
affidamento al Comando Supremo che anche questa volta l'esercito,
al quale sono affidati l'onore e la salvezza del Paese, saprà compiere
il suo dovere.
Generale CADORNA
Alle prime parole scritte in corsivo il Governo sostituì le
seguenti : « La violenza dell'attacco e la deficiente resistenza di
taluni riparti della II Armata. »
Chi legga spassionatamente il testo primitivo del bollettino
senza prevenzioni, senza il proposito deliberato di accanirsi ad
ogni costo contro chi l'ha firmato, non può non vedere che, mentre si stigmatizzano con ferro rovente alcuni riparti colpevoli
di resa al nemico o di ritirata senza combattere, si esaltano gli
sforzi valorosi di tutte le altre truppe, e si termina con un'alta
parola di fede nel valore dell'esercito, che sarà pari a quello dimostrato durante due anni e mezzo di guerra. Si chiama questo diffamare l'esercito? Ma l'esercito non può sentirsi diminuito
dalla mala condotta di alcuni riparti alla condizione appunto
che questa venga denunziata e punita come merita; nella stessa
guisa che qualunque associazione di uomini non è per nulla
disonorata se taluno dei suoi membri vien meno alle leggi
d'onore, ma sempre alla condizione che questi vengano tosto
252
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
reiettati dal suo seno. Se nell'esercito si agisce diversamente, si
parificano i veri eroi ai pusillanimi, riducendoli tutti allo stesso
livello. L'arte del comando consiste invece nel lodare e nel premiare i valorosi, nel biasimare e punire i pusillanimi, e con tinte
tanto più forti quanto più sono meritevoli di premio o di castigo, e per l'opera loro in se stessa considerata e per le conseguenze che ha avuto o che poteva avere. Ora, quali terribili conseguenze ha prodotto il cedimento dell'ala sinistra della II Armata! Ma quali più spaventose conseguenze avrebbe potuto avere, se l'esercito non avesse poi eroicamente resistito sulla Piave,
infrangendo l'urto nemico?
Che se poi taluno volesse considerare calunniosa l'accusa
di pusillanimità, pur limitata ad alcuni riparti, oltre a ciò che
già dissi precedentemente, lo inviterei a ben considerare le
254
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
contraria che certo, nella loro coscienza di uomini di Governo, mi
avrebbero detto subito se avessero avuto la sensazione di cosa assolutamente contraria agli interessi del Paese.1)
Nell'approvare quel bollettino e nel porvi il mio nome, non certo
distrattamente, io ho seguito due considerazioni che mantengono ancora per me tutto il loro valore.
Anzitutto io credevo che il biasimo, sia pure severissimo, inflittoi a taluni riparti di una Armata, mentre si esaltava il valore di
altri e si dimostrava fede che questi con le truppe della III Armata
potevano e dovevano far fronte alla situazione, limitando le responsabilità, limitava anche la sfiducia che in quei giorni — lo sapevo
e lo sentivo — avvolgeva tutto l'esercito. Io pensavo che, poiché
quanto avveniva alla fronte non era ignoto al Paese, ma piuttosto
esagerato dalla immaginazione, dalle false notizie, dai propagatori del
disfattismo, meglio valeva colpire d'infamia chi meritava di essere
colpito che lasciare il disprezzo e il dubbio avvolgere genericamente i
combattenti e togliere la fede nelle truppe eroiche che dovevano salvare
1) Traggo dalla relazione, non peranco pubblicata dal generale Melchiade
Gabba che, nell'ottobre 1917, fungeva da capo di Stato Maggiore del generale
Cadorna la genuina relazione sul modo, come il famoso bollettino fu varato
alla presenza dei ministri Bissolati e Giardino e del senatore Luigi Albertini:
« Circa il noto bollettino del 28 ottobre che fu diramato per radio all'estero nella sua forma integrale, contenente una frase severa per alcune truppe
della II Armata, ed all'interno nella sua forma modificata dal Governo che
aveva attenuato la frase suddetta, ricordo che il mio ufficio non aveva parte
diretta nella redazione e nella diramazione del bollettino ufficiale che era di
competenza dell'ufficio situazioni. Per ragioni di rapidità si era da tempo
(cioè prima che io andassi al Comando Supremo) abbandonato il sistema di
trasmettere il bollettino direttamente ed unicamente al Governo in Roma; mai
si era verificato, nemmeno al tempo dell'offensiva in Trentino, il caso che il
Governo avesse modificato il testo del bollettino redatto dall'ufficio situazioni;
cosi il bollettino stesso veniva contemporaneamente trasmesso a Roma per la
diffusione all'interno e ad una stazione radiotelegrafica incaricata di diffonderlo
all'estero. Quella mattina nell'ufficio del capo erano presenti due uomini politici arrivati da Roma; io vi ero stato chiamato, non ricordo per quali ragioni
di servizio. Entrò il sottocapo, generale Porro, con la minuta del bollettino
giornaliero: come al solito l'aveva ricevuto da un ufficiale dell'ufficio situazioni che ne era l'abituale compilatore : era lo stesso che circa un anno dopo
compilò il bollettino della Vittoria.
« Il capo disse al generale Porro di leggere il bollettino ad alta voce: cominciò scandendo le parole : " la mancata resistenza di reparti della II Armata
vilmente ritiratisi senza combattere... " Ricordo che il capo, nell'udire tali
parole, ebbe uno scatto ed esclamò : " No, questo no ". Il generale Porro con
calma spiegò le ragioni che, secondo lui, una tale frase rendevano necessaria:
essenzialmente si trattava di chiarire all'interno come all'estero le ragioni che
avevano determinato un cosi vasto cedimento; fece rilevare che nel periodo
seguente erano posti in luce " gli sforzi valorosi delle altre truppe... '" Si ac---e un dibattito nel quale gli uomini politici si posero, benché blandamente,
dulia putte del sottocapo, del quale l'opinione finì per prevalere ».
(R. C.)
OSSERVAZIONI VARIE
255
il Paese. Meglio che lasciare l'impressione caotica e paurosa di uno
sfacelo generale era dir chiaramente ciò che era, per me, la verità:
che in un punto della fronte dei riparti avevano tradito il loro dovere
verso la Patria, lasciando all'avvenire giudicare quale preciso carattere
abbia avuto questo tradimento.
Per chi, d'altronde, nascondere i fatti? Non per il nemico che
sapeva, che vedeva. Il nemico infatti che aveva tutto l'interesse ad
esagerare le difficoltà superate, e quindi il nostro valore, non ha
saputo nascondere la realtà veduta da lui, come la stampa tedesca
può dimostrare.
Non per gli alleati, a cui la frana che travolgeva due anni di
successi presto o tardi doveva essere spiegata nella sua realtà dolorosa,
per la stessa necessità di rimediarvi. Gli alleati, d'altronde, hanno
dimostrato la più acuta e calma valutazione dei veri limiti del fenomeno che ci ha colpito, avendo essi l'esperienzaj di simili cedimenti
morali. L'ho constatato nei primi miei rapporti a Versailles e in tutte
le conversazioni avute con uomini rappresentativi del pensiero, della
politica, degli eserciti alleati.
Non per il Paese, infine, che già tutto sapeva prima del bollettino, e più che il bollettino non dicesse; sapeva da quei testimoni
oculari della disfatta che erano i profughi, sapeva dalle orde degli
sbandati che avevano gettato il fucile, dalle parole con cui proclamavano chiaramente la fine della guerra, dal loro atteggiamento cinico,
e aveva compreso quanta viltà e ignominia fosse nella torbida tragedia da cui improvvisamente erano stati travolti. Nascondere con
parole la verità si poteva; ma nessuno, né in Italia né fuori, avrebbe
creduto a quella parola. Né l'opinione pubblica, per qualche diversa
frase adoperata nel bollettino, avrebbe mutato la valutazione precisa
dei fatti che risulta da troppe testimonianze perché qualche menzogna
convenzionale o ufficiale la possa riformare.
L'altra considerazione era che le piaghe vanno curate a tempo
col ferro e col fuoco, non con le ipocrisie di una falsa pietà patriottica.
Era necessario dire al Paese e all'esercito una parola grave e
forte.
La macchia c'era, era meglio, secondo me, che l'esercito e il
Paese sentissero subito la necessità di lavarla. Per più di due anni
avevo scritto bollettini esaltanti il valore dell'esercito italiano; sentivo che, perché quelli avessero valore, e avesse valore l'eroismo vero,
che ancora esisteva, che già si riaffermava, era necessario chiamare
la vergogna di un'ora e di alcuni riparti col suo nome.
Di questo parere sono stati anche uomini che della, vita e dell'onore militare e nazionale hanno altissimo sentimento. Cito per
tutti il
che me lo ha affermato personalmente.
Quanto all'effetto benefico che la verità ha in se stessa, anche
257
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
se ingrata, so di non essermi ingannato. Qualunque possa essere
stato l'effetto prodotto nel mondo politico, abituato ai mezzi termini, il bollettino che, nonostante le correzioni governative, fu nell'esercito e in gran parte del Paese conosciuto nella sua forma originaria produsse una reazione violenta, ma risanatrice. La logica
popolare è molto semplice, e il bollettino poneva con virile e militare chiarezza delle premesse, le cui conclusioni pratiche furono una
ondata di sdegno contro ogni viltà, e una ondata di entusiasmo
patriottico verso gli eroici difensori della Patria, che furono certo
sostenuti sulla Piave da uno spirito profondamente mutato di tutto il
Paese.
Per questo non mi pento del bollettino del 28 ottobre e non
mi lamento se esso fu rivolto come una grande accusa contro di me.
Sebbene considerazioni di prudenza personale potrebbero oggi sconsigliarmi di ripubblicarlo nella sressa forma, pure, per considerazioni
d'indole generale che debbono prevalere su tutto, e per il salutare
rivolgimento che esso contribuì ad affrettare in quei giorni, non esiterei a rimettervi, senza nulla mutare, il mio nome.
e luoghi vicini. Il Governo ha dato tutte le disposizioni necessarie
perché si proceda col massimo rigore contro di essi e siano tosto
inviati al loro corpo...
256
Generale L. CADORNA
***
Riferirò infine un brano del bollettino di guerra n. 6 della
campagna del 1849, firmata dal ministro dell'Interno Rattazzi.
In esso si legge, tra l'altro:
Verso le ore 6 dello stesso giorno (21 marzo) gli austriaci assalirono due altre nostre Divisioni: cioè la prima e quella di riserva,
le quali avevano preso posizione da Vespolate e Novara a Mortara.
Quantunque il nemico non abbia cominciato quest'attacco con un
grande apparato ài forze, tuttavia i nostri si ritirarono dopo un bre
vittimo combattimento, il quale fu soltanto sostenuto dalla Divisione
di riserva, non prendendovi la prima Divisione la dovuta parte. I,
nemici entrarono quindi in Mortara senza che questa città abbia sofferto danni considerevoli.
Ieri non ebbe luogo alcun fatto d'armi. Il Quartier Generale
principale fu trasportato a Trecate e quindi a Novara, dove trovasi
il Re. I Principi sono alla testa della loro divisione. Il Generale Maggiore ha concentrato tutte le forze verso il Quartier Generale sul
fianco destro dell'esercito nemico.
Alcuni soldati vergognosamente si sbandarono e sono quegli particolarmente che portarono l'allarme nelle città di Vercelli, di Casale
Questa libertà del Rattazzi nel denunziare i mancamenti e
le defezioni era tanto più notevole inquantoché il fenomeno era
di gran lunga inferiore a quello che si è manifestato a Caporetto.
Non si era ad un punto tragico della campagna, ma quando il
successo del ponte di Buffalora aveva, in una certa misura, compensato l'insuccesso di Mortara, quando comizi e giornali davano per certa la vittoria e lo sterminio degli austriaci: tanto
pareva al Rattazzi che il bollettino, così severo verso alcuni riparti, si conciliasse colla buona rinomanza dell'esercito e cogli
entusiasmi dello spirito pubblico. Il disastro di Novara avvenne impreveduto tre giorni dopo; nessun disegno quindi di far
servire il bollettino n. 6 a preparare ad esso gli animi.
Nessuno pensò allora a muovere appunto al ministro Rattazzi per le frasi da lui scritte nel bollettino. Altri tempi! Ma
ora, guai a non dire che tutti sono eroi! C'è da essere lapidati!
Con il solo risultato di ridurre allo stesso denominatore i veri
eroi e i pusillanimi. I quali non sono mai mancati in tutti i
tempi e in tutti gli eserciti.
La Commissione d'inchiesta, dopo di aver preso in esame
il comunicato, così si esprime nella sua conclusione, a pag. 547 :
Ed al riguardo esprime innanzi tutto il parere che sia da escludersi nel generale Cadorna l'intendimento di crearsi col comunicato
un documento a discarico, rigettando da sé ogni colpa; il comunicato
appare invece alla Commissione una reazione spiegabile, che poteva
e doveva essere espressa in forma più temperata, ma certo era espressa in piena buona fede di fronte ad avvenimenti dei quali il capo
di Stato Maggiore ed il Comando, attenendosi a referti autorevoli e
ad osservazioni proprie, vedevano la cagione principale nella inadeguata resistenza delle truppe.
Quel che invece sembra logico ritenere si è che nei redattori
del comunicato, come nel generale Cadorna che ne assunse la piena
responsabilità, sia mancata la esatta visione di tutte le sue possibili
conseguenze.
1 7 - CADORNA.
258
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Queste conseguenze, secondo il parere della Commissione,
sono enumerate a pag. 548 e su di esse si può discutere e determinare se le conseguenze vantaggiose non abbiano prevalso
sulle dannose. Certo si è però che la Commissione — in generale
a me così poco benevola — esclude formalmente che io abbia
voluto crearmi un alibi come i calunniatori hanno detto e ripetuto e riconosce la mia piena buona fede. Anzi la mia fede,
soggiungerò io: credo cioè di avere con questo bollettino dimostrato fede nel popolo italiano che avrebbe saputo reagire
— fede che molti non ebbero.
***
Ma l'accusa era troppo comoda perché i calunniatori da
essa desistessero.
E così vediamo l'on. Giolitti, il quale a pag. 548 del suo
libro Le memorie della mia vita scrive con insigne malafede le
seguenti parole : « E le cose migliorarono, non solo nell'opinione pubblica, ma anche nell'esercito, con la sostituzione nel
Comando Supremo del generale Diaz al Cadorna che aveva lanciato la indegna accusa di viltà ai nostri soldati, i quali pure
avevano risposto con così esemplare abnegazione e cruenti sacrifici per due anni e mezzo a tante sue richieste! »
Contro i nostri soldati, cioè contro l'esercito, quell'esercito
che l'on. Giolitti, prima della nostra entrata in guerra, aveva
indegnamente denigrato! 1)
Appena avvenuta la pubblicazione del libro dell'on. Giolitti,
io gli inviai la seguente lettera, con ricevuta di ritorno:
1) L'on. Salandra, nel suo discorso di Lucera del 18 ottobre 1919, pronunciava le seguenti parole: « Soprattutto il Giolitti accentuò la sua sfiducia nell'esercito, che probabilmente — a suo dire — non si sarebbe battuto e non
avrebbe resistito ad una lunga guerra. In Libia — egli diceva — si era vinto
soltanto quando eravamo in dieci contro uno. » L'on. Giolitti smentì di aver
pronunziato queste parole. Siamo adunque di fronte a due opposte affermazioni e ognuno ha la scelta della persona cui credere. Per parte mia credo
all'on. Salandra, sia per la nobiltà del suo carattere, sia perché le parole dell'on. Giolitti erano già universalmente note prima che l'on. Salandra solennemente le confermasse, sia perché, avendo egli, nell'accusa fattami, asserito
cosa non vera, mi è lecito di porre in dubbio le altre sue interessate affermaaionl.
259
OSSERVAZIONI VARIE
A S. E. il Cav. Giovanni Giolitti - Deputato al Parlamento
Virente, 20 dicembre
1922
A pag. 548 della di Lei opera Le memorie della mìa vita ora
pubblicata si leggono le seguenti parole : « E le cose migliorarono,
non solo nell'opinione pubblica, ma anche nell'esercito, con la sosti(uzione nel Comando Supremo del generale Diaz al Cadorna che aveva
lanciato la indegna accusa dì viltà ai nostri soldati, i quali pure avevano risposto con così esemplare abnegazione e cruenti sacrifizi per
due anni e mezzo a tante sue richieste. »
Ora, delle due l u n a :
O l'E.V. ha avuto sott'occhio, non il vero bollettino di guerra
del 28 ottobre 1917, ma una delle tante edizioni apocrife che infamemente furono divulgate, ed allora l'E. V. è colpevole di lanciarmi
una gravissima accusa che poggia sopra un documento falso.
Oppure l'E. V. ha avuto sott'occhio il vero bollettino del 28 ottobre, e in, tal caso Ella ha asserito cosa non vera, e non può esserle
sfuggito che non era vera.
E difatti, dopo aver accennato con aspre, ma meritate parole
alla mancata resistenza di riparti della II Armata, così prosegue:
« Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire
.ill'avversario di entrare nel sacro suolo della Patria... Il valore dimo\trato in memorabili battaglie combattute e vinte in due anni e mezzo
di guerra dà affidamento al Comando Supremo che anche questa volta
l'esercito, al quale sono affidati l'onore e la salvezza del Paese, saprà
compiere il suo dovere. »
Si tratta adunque di un parziale biasimo inflitto ad alcuni riparti
della II Armata, ma accompagnato da un'alta parola di fede (che i
fatti dimostrarono poi pienamente giustificata) nel valore dell'esercito. E io mi appello a tutte le persone imparziali e domando loro se
il mio pensiero poteva essere maggiormente traviato!
Ond'è che, non già la mia, ma quella pronunziata dall'E. V. contro
di me è veramente « un'indegna accusa » e io la respingo sdegnosamente.
Prevengo l'E.V. che pubblicherò la presente lettera.
Generale L. CADORNA
Nel promettere di pubblicare la riferita lettera non dicevo
né quando, né dove l'avrei pubblicata. Adempio ora alla promessa. Se non l'ho fatto prima, ne è cagione l'invincibile ripugnanza alle polemiche, dalle quali mi ero sempre astenuto dacché mi ero ritirato a vita privata; sebbene in questo caso la
260
261
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
OSSERVAZIONI VARIE
cosa sarebbe stata giustificata dalla natura dell'accusa più di ogni
altra odiosa e dalla personalità dell'accusatore.
L'on. Giolitti non rispose, né era facile il rispondere. Tuttavia di fronte ad una così recisa smentita, se avesse avuto
buone ragioni dalla sua parte, sarebbe stato in obbligo di esporle; e se non ne aveva, considerata la natura dell'accusa che — se
fondata — avrebbe intaccato il mio carattere di comandante e
di uomo, avrebbe dovuto sentire il dovere di coscienza di riconoscere pubblicamente il suo torto, com'era stata pubblica l'accusa. Ma sarebbe stata ingenuità la mia se me lo fossi aspettato!
In conclusione i fatti che diedero luogo al bollettino del
28 ottobre sono parziali, parzialissimi, e perché tali non possono intaccare il buon nome dell'esercito, ma essi sono purtroppo seri, serissimi, né vale il negare ipocritamente la verità
— sempre salutare — specialmente quand'essa è da tutti risaputa. Val meglio il proclamarla coraggiosamente e far in modo
che la lezione giovi e che nell'avvenire non si ripetano le cause
che hanno dato luogo a quei tristi fatti.
« E con quali truppe io avrei potuto provvedere a una così vasta
occupazione? E se il nemico avesse sfondato le posizioni del Cansiglio
e del Passo di Fadalto e delle Prealpi bellunesi, tutte non preparate
a difesa, e fosse penetrato nella conca di Belluno, che cosa ne sarebbe
stato della IV Armata? Bastano queste poche considerazioni per
porre in rilievo tutto l'assurdo di tale proposta.
« Il fatto ceno si è che tutta la ritirata della IV Armata dovetti
guidarla io, giorno per giorno, come dimostrano le mie replicate sollecitazioni.
« Rimasi anzi per parecchi giorni trepidante che una parte di essa
fosse tagliata fuori, imbottigliata in quelle lunghe gole montane e che
non giungesse a tempo a prevenire il nemico guarnendo la linea della
Piave a monte di Nervesa, come avevo ordinato.
« Tanto è vero ciò che essendo giunti sulla destra della Piave a
Nervesa e Volpago il II e il XXIV Corpo della II Armata, i quali
dovevano andarsi a riordinare più indietro, io ordinai che fossero colà
trattenuti per difendere la Piave fino all'arrivo della IV Armata. »
210 - Il generale di Robilant ha obiettato:
<< Se avessi obbedito avrei potuto forse far giungere la mia Armata
due giorni prima sulle nuove posizioni ma essa non sarebbe stata in
condizione di poter resistere sul Grappa, perché sfornita di artiglierie
di medio calibro e di altro materiale difensivo. La ritirata riuscì pienamente perché ben diretta e fondata su un calcolo di tempo che io
avevo fatto e che era giusto, mentre quello del generale Cadorna non
lo era. Io, calcolando press'a poco la velocità dell'avanzata nemica,
prevedevo che prima del 12 o del 13 gli austriaci non sarebbero giunti
sul Piave, ed i fatti mi hanno dato ragione. Il ritardo nella ritirata
non poteva quindi avere conseguenze dannose e permetteva anzi di
trasportare maggior quantità di materiale. Posso affermare di aver
portato via tutte le artiglierie di medio calibro, meno 4 pezzi, perché si ruppero alcuni congegni con i quali essi venivano tolti dalle
loro posizioni. »
8. - La ritirata della IV Armata dal Cadore al Piave,
A pag. 177 la Commissione scrive:
209 - Risalendo poi all'azione del Comando della IV Armata,
cui l'episodio inscindibile si connette 1) la Commissione ha preso in
esame il rilievo fatto dal generale Cadorna al generale di Robilant, comandante della IV Armata, il quale avrebbe eseguito il ripiegamento
con estrema lentezza.
« Il generale di Robilant » egli ha affermato « con un ottimismo
invero ingiustificato sperava che io lo autorizzassi a non abbandonare
il Cadore, e me ne fece fare formale richiesta in quei giorni dal suo
capo di Stato Maggiore.
« Per poter mantenere tutte le posizioni della IV Armata dalla Val
Sugana all'alto Piave io avrei dovuto pensare a coprirgli le spalle
contro attacchi provenienti dalla Carnia e dalla pianura, a cominciare dal Passo della Mauria alle Prealpi bellunesi.
1) Si allude all'episodio di Longarone del 10 novembre che costò alla
IV Armata 10.000 prigionieri.
La Commissione, dopo aver riassunto la corrispondenza
svoltasi tra me e il comandante della IV Armata tra il 27 ottobre e il 2 novembre — corrispondenza che io ho riferita pressoché per intera nel capitolo XI del mio libro La guerra alla
fronte italiana — così conclude, a pag. 179 :
212 - La Commissione, richiamando qui il giudizio sulla perizia
colla quale il generale Cadorna guidò l'esercito nel difficilissimo ripiegamento dall'Isonzo al Piave, trova pienamente giustificate le di lui
preoccupazioni per la ritirata della IV Armata e ben rispondenti alla
262
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
situazione le sue direttive. Tuttavia sta di fatto che il nemico non eseguì la propria manovra con le forze e con la velocità dal generale Cadorna giustamente attribuite gli e che al generale di Robilant fu pertanto possibile condurre il ripiegamento con maggiore lentezza e trarre
in salvo un maggior numero di artiglierie. La IV Armata potè così
con sacrificio certo doloroso — ma non gravissimo come fu quello
di Longarone — sottrarsi alla difficile situazione che si era venuta delineando il 9-10 novembre e che appare evidente al primo sguardo
gettato sugli schizzi della dislocazione delle forze contrapposte in quei
giorni, e raggiungere in buona efficienza le posizioni tra Brenta e Piave,
la cui difesa doveva poi essere gloria dell'Armata stessa e alto merito
del suo comandante.
Vi. è poco nesso logico, come vedremo, tra la prima parte
di questa conclusione e la seconda, e questo è dovuto alla evidente intenzione di scivolare sull'opera negativa del generale
di Robilant.
Io non mi occupo di quanto è detto all'ultimo capitolo sulla difesa del Grappa, poiché si tratta di fatti certamente molto
gloriosi per la IV Armata, ma che sono accaduti quando io non
mi trovavo A r m a l o r o s oml
264
RISPOSTA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA
Tutto ciò è di così palmare evidenza che riesce sorprendente come la Commissione — così severa e meticolosa nei suoi
giudizi quando si tratta dei generali sottoposti all'inchiesta —
non trovi una parola di biasimo per il comandante della IV
Armata, anzi, come non formuli le sue conclusioni che per
arrivare a celebrarne « l'alto merito ».
Del voluto ritardo nella ritirata della IV Armata io sono
in grado di fornire un'eloquente dimostrazione mediante una
particolareggiata e documentata relazione delle operazioni, rilasciatami da un ufficiale di grado elevato che appartenne ad
uno dei corpi d'armata che costituivano l'armata stessa.
Un'ultima osservazione relativa al generale di Robilant.
La Commissione a pag. 77, riferendosi alla ritirata dalla
Carnia e dall'Isonzo verso il Tagliamento, così scrive :
E passando poi addirittura nel campo delle congetture dottrinarie,
astraenti dall'entità delle forze disponibili e dal reale stato delle truppe,
v'ha pure chi ha opinato che se il XII Corpo (quello della Carnia) avesse
mantenuto la linea dell'Aupa e la III Armata mantenute le posizioni
del basso Tagliamento, il nemico non avrebbe avuto così facile via per
proseguire e spingersi al Tagliamento, e forse ancora lo si sarebbe
potuto contrattaccare da mezzodì verso settentrione.
Fu appunto il generale di. Robilant che in uno dei primi
giorni del novembre 1917 mi disse a Treviso che egli credeva
che io avrei fatto schierare fronte a Nord la III Armata per attaccare in direzione Sud-Nord il nemico sboccante dai monti.
In tal modo, nella situazione morale che si era manifestata nella II Armata e che si temeva potesse propagarsi alla III Armata, questa avrebbe dovuto manovrare — secondo il generale
di Robilant — colle armate di Boroevic sul fianco destro ed il
mare alle spalle! Un capolavoro di strategia! E la Commissione fa in questo modo giustizia di tali alti concepimenti:
97 - La Commissione non si sente di prendere in esame queste
«1 altre consimili ipotesi, che se giovano ora alla dissertazione non
potevano soccorrere, in momenti di indicibile gravità, chi doveva prendere decisioni alle quali si connetteva non la più elegante soluzione di
un problema strategico teorico, ma la sorte di un esercito e l'avvenire
di una nazione.
CAPITOLO VII
REPLICA AD ALCUNE OSSERVAZIONI
DEL GENERALE CAPELLO
Alle operazioni militari da me dirette tra il maggio 1915
e il novembre 1917 sono state rivolte numerose critiche, molte delle quali mosse da evidente ignoranza o da acrimonia o
da malafede. Di queste non mi curo.
Credo invece opportuno di occuparmi delle principali fra
le molte critiche fatte dal generale Capello nel suo libro Per
la verità e nelle Note di guerra; questo io faccio per l'autorità
della persona che ha coperto importantissimi comandi durante
la guerra. Al medesimo dedicherò il presente e il successivo
capitolo VIII; ed al generale Nava, già comandante della IV
Armata, il quale scrisse un libro: Operazioni militari della IV
Armata nei primi quattro mesi della campagna di guerra 1915,
risponderò nel capitolo IX.
1. - Il disegno di operazioni. 1)
Come ho esposto a pag. 53-56 e a pag. 99-103 del vol. I
del mio libro La guerra alla fronte italiana, le disposizioni per
l'adunata dell'esercito alla frontiera prima della dichiarazione
1
) Ho già dovuto discorrere brevemente di questo argomento nel precedente capitolo, a proposito della Commissione d'inchiesta; ma ne debbo ora
parlare più diffusamente per ben chiarire il mio pensiero prima di rispondere
al generale Capello.
268
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
di guerra e della diramazione dell'ordine di mobilitazione generale furono prese in modo :
1. - che al momento della dichiarazione di guerra si trovassero già riunite forze sufficienti (circa 400.000 uomini), parzialmente fornite da servizi mediante la mobilitazione occulta,
per attaccare tosto il nemico di sorpresa su tutta la fronte, allo scopo di penetrare nel suo territorio e conquistare posizioni che migliorassero la nostra situazione difensiva, la quale
era assai difficile specialmente nel Friuli e sulla frontiera del
Trentino; 2. - che ci trovassimo in misura di far fronte ad un
attacco avversario, il quale colla maggiore ricchezza e rendimento della sua rete ferroviaria era in grado — essendo egli
già mobilitato — di attaccarci con forze superiori e già regolarmente costituite, prima che noi avessimo ultimato la nostra
mobilitazione, la quale richiedeva circa 25 giorni.
Che questa mia preoccupazione fosse fondata, lo provano
le seguenti parole che il generale von Falkenhayn ha scritto
a pag. 66 del suo libro Il Comando Supremo tedesco dal
1914 al 1916 nelle sue decisioni più importanti: «Il Comando Supremo austro-ungarico aveva il desiderio, ben naturale, di punire colla maggiore rapidità possibile mediante
un forte attacco l'antica alleata infedele (sic!), l'azione della
quale doveva farsi anzitutto sentire sulla duplice monarchia. Esso però comprendeva che, per quanto il colpirla sulla sua frontiera fosse desiderabile, ciò non era possibile a causa della conformazione del terreno, della ristrettezza del tempo e della deficienza di forze disponibili... »
Se l'attacco austriaco avesse avuto luogo, le disposizioni per
farvi fronte sarebbero, naturalmente, state prese al momento,
tenendo conto delle forze impiegate dal nemico e della direzione in cui le avrebbe lanciate. Non si può disconoscere che
sarebbe stato questo il momento più pericoloso per noi, dati
l'infelicissimo andamento della nostra frontiera e la non avvenuta nostra mobilitazione. Egli è perciò che nelle convenzioni
militari cogli eserciti alleati — specialmente col russo e col
serbo — era stato stabilito che, al momento della nostra entrata
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
269
in guerra, questi dovessero attirare a sé, colla loro azione offensiva, la maggior possibile quantità di forze nemiche. Il disastro russo di Gorlice, il quale di poco precedette la nostra entrata in guerra, rese vana questa precauzione, e perciò molto
più difficile la nostra situazione.
Le prime operazioni della guerra furono basate sulle direttive del 1° settembre 1914 (formulate in base alla «Memoria
sintetica » del 21 agosto), modificate in parte dalle varianti introdotte nelle medesime il 1° aprile 1915. Dell'una e dell'altre ho
dato un largo sunto nel capitolo III del mio libro La guerra
alla fronte italiana. Esse prevedevano tanto il caso (che le varianti del 1° aprile 1915 consideravano come il più probabile)
in cui una subitanea irruzione austriaca ci costringesse sul principio alla difensiva, quanto l'eventualità a noi più favorevole
in cui ci fosse consentito di prendere l'offensiva fin dal giorno
seguente a quello della dichiarazione di guerra. In questo secondo caso le direttive si imperniano sui seguenti concetti fondamentali: difensiva sulla fronte della I Armata, ma accompagnata da offensive parziali che valessero a darci il possesso
di posizioni atte a migliorare la nostra situazione difensiva; offensiva sulla fronte della IV Armata, tendente essenzialmente
al possesso del nodo di Dobbiaco e ad iniziare l'espugnazione
degli sbarramenti di Sexten, di Landro e di Valparola; operazioni nella zona Carnia tendenti al possesso della conca di Tarvisio, iniziando l'espugnazione dei forti di Malborghetto; avanzata della II e III Armata verso l'Isonzo ed oltre per occupare
al più presto le posizioni più atte a migliorare la nostra azione
offensiva al di là dell'Isonzo.
A questi concetti è stata fatta da molti la critica che la loro
attuazione, conducendo ad una offensiva generale su quasi tutta
la vasta fronte, doveva necessariamente produrre una dispersione di forze, a cordone, invece di mirare ad una concentrazione delle medesime sul tratto decisivo.
Ma i critici non hanno posto mente che le direttive non si
riferivano all'esecuzione del piano di campagna, ma al periodo
della mobilitazione e radunata, precedente alle grandi operazio-
270
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
ni, le quali non potevano essere intraprese che a mobilitazione
ultimata. Nel periodo della mobilitazione e radunata dovevano
eseguire soltanto le operazioni preparatorie necessarie o utili
all'esecuzione del piano di campagna. Volendosi prendere l'offensiva sulla fronte Giulia e tenere la difensiva sulla fronte
Trentina, erano operazioni necessarie, durante la mobilitazione
e radunata, quelle che tendevano ad occupare buone posizioni
sull'Isonzo e al di là del fiume, le quali dovevano servire a
migliorare la pessima situazione difensiva di quella aperta frontiera e ad acquistare buoni punti di partenza per l' ulteriore
offensiva, nonché quelle che miravano ad una migliore sistemazione difensiva della pericolosa frontiera trentina, raccorciando la estesissima fronte. Erano invece operazioni non necessarie, ma utili allo scopo anzidetto, quelle del Cadore e della
Carnia miranti al nodo di Dobbiaco ed alla Conca di Tarvisio,
il cui possesso, oltre a tagliare la più diretta comunicazione nemica tra le fronti Giulia e Trentina, avrebbe poi dato a noi il
mezzo di operare in Val Drava in concorso colle operazioni della II e III Armata al di là dell'Isonzo.
A conferma di quanto ho detto riproduco questa « Avvertenza generale » che è scritta a grossi caratteri nelle direttive
del 1° settembre 1914 e che non fu abrogata nelle varianti del
1° aprile 1915 : « Compiute la mobilitazione e la radunata dell'esercito, le operazioni si svolgeranno sotto l'impulso del Comando Supremo, secondo il piano di operazioni che sarà comunicato al momento opportuno. » Dunque è chiaro che durante il periodo di mobilitazione e di radunata non si trattava
di eseguire operazioni che si riferissero all'attuazione del piano
di operazioni.
E quanto a quest'ultimo, io avevo bensì nella mente un concetto generale direttivo (e come avrei potuto non averlo?) che
è quello esposto a pag. 95-96 del vol. I del mio libro La guerra alla fronte italiana, ma non potevo determinarlo nei suoi
particolari fino a che non mi fosse noto il risultato delle operazioni durante il periodo di mobilitazione e di radunata, specialmente in Cadore e in Carnia; poiché io ero bensì determi-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
271
nato in qualunque caso all'offensiva della II e III Armata sulla
fronte Giulia, ma il concorso della IV Armata e delle truppe
della Carnia in Val Drava dipendeva dal risultato delle operazioni durante la mobilitazione e radunata verso Dobbiaco e Tarvisio: ecco perché ho detto dianzi che queste operazioni erano
utili ma non necessarie. Se fossero riuscite, io avrei rinforzato
la IV Armata con un altro corpo d'armata, com'è scritto nelle
direttive, ed era pure mio proposito di inviare un altro corpo
d'armata in Carnia, costituendovi una piccola armata; avrei
così potuto estendere le operazioni alla Val Drava. Essendosi
invece le operazioni fin dai primi giorni arenate — quando
cioè le circostanze erano più favorevoli, per le scarsissime forze nemiche in Cadore — ho subito compreso che dovevo rinunziare al progetto di operare in Val Drava : ho perciò deciso
di eseguire l'offensiva sulla sola fronte Giulia, e non ho inviato
i rinforzi in Cadore ed in Carnia, lasciandovi però le truppe che
fino a quel momento vi erano destinate, perché necessarie alla
difesa di quelle estese zone.
Partendo dal concetto prima formulato, quello cioè di far
concorrere alle operazioni offensive le truppe della IV Armata
e della Carnia, facendole scendere in Val Drava, sarebbe stato
utile, in teoria, che le operazioni verso Dobbiaco e Tarvisio precedessero quelle della fronte Giulia, affinché le Armate II,
III e IV e le truppe della Carnia potessero poi operare di conserva verso la Conca di Lubiana ed in Val Drava. Ma, d'altra
parte, non conveniva rinunziare sulla fronte Giulia ai vantaggi
della sorpresa, in virtù della quale importanti posizioni potevano cadere senza sforzo nelle nostre mani e servire egregiamente sia come base alle successive maggiori operazioni sia come baluardo contro le offese nemiche.
Né l'offensiva in Cadore pareami dare troppo affidamento
di rapido successo, considerate la natura del terreno e l'esistenza
delle fortificazioni, a meno che fosse riuscito alla IV Armata di
celermente isolarle e di avanzare verso Dobbiaco nei primissimi giorni, la qual cosa sarebbe stata impossibile quando il
nemico avesse avuto tempo di correre alla parata: considera-
273
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
zione anche questa per la quale alle operazioni del Cadore
quelle dell'Isonzo non dovevano essere subordinate.
Deliberai perciò che l'offensiva delle varie armate fosse contemporanea. A ciò tanto più mi decisi inquantoché, dati i lavori
di difesa eseguiti dagli austriaci durante la nostra neutralità, a
complemento delle fortificazioni permanenti, data la natura del
terreno particolarmente difficile lungo la linea di confine del
Cadore e della Carnia, considerata l'esperienza della guerra di
posizione che si faceva da parecchi mesi in Francia, la mia fiducia in una rapida avanzata verso Dobbiaco e Tarvisio era
molto scarsa, senza però escluderne la possibilità per effetto della sorpresa da effettuarsi nei primi giorni della guerra. Ne sono
prova le seguenti parole delle direttive del 1° aprile 1915 :
« Di massima rimangono fermi i concetti esposti nelle direttive 1° settembre.
« Tuttavia, da allora ad oggi, conviene tener conto di alcuni
nuovi elementi, e cioè:
— delle grandi forze messe in azione dagli Imperi Centrali: donde la possibilità per essi di affrontare con forze adeguate una nostra invasione; — dei lavori fatti dalla monarchia
austro-ungarica, non solo lungo gran parte del confine, ma anche
sulla linea displuviale degli altipiani carsici, specie in corrispondenza della frontiera aperta del Friuli: donde la possibilità
che una nostra offensiva in questa direzione urti contro una
tenace resistenza e rimanga paralizzata, a somiglianza di quanto
si verifica attualmente in Fiandra ed in Polonia. »
Queste parole non stanno neppure a dimostrare che io credessi la guerra breve e facile la marcia su Vienna, come il generale Capello ed altri hanno insistentemente detto e ripetuto
nei loro libri. 1) Dell'assurdità di questa accusa ho fornito an-
che altre prove nel mio libro La guerra alla fronte italiana a
pag. 78 del vol. I. Alla brevità della guerra hanno invece creduto gli uomini di governo; la qual cosa fu anche confermata
dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra. Infatti questa, nella sua relazione in data 6 febbraio 1923,
riferendosi al fattoi constatato che non era stato provveduto in
tempo ai necessari approvvigionamenti previsti dal generale
Tettoni (direttore dei servizi logistici ed amministrativi al Ministero della Guerra), così scrive : « Non è peraltro da tacere,
a questo riguardo, che un altro elemento sembra abbia potuto
influire su tale ritardo: la previsione del Governo del tempo,
cioè, che la guerra non avrebbe avuto durata così lunga ».
Relativamente alla critica mossami di avere schierato l'esercito a cordone lungo la frontiera, rispondo che non vi è nulla
di più infondato. Nel primitivo schieramento, delle 35 divisioni
che componevano allora l'esercito, 14 erano disposte lungo la
frontiera del Tirolo-Trentino, del Cadore e della Carnia (650
chilometri di estensione), 14 erano riunite sulla fronte Giulia
(90 soli chilometri) e 7 si trovavano in riserva fra il lago di
Garda e Bassano, allo scopo di poter rapidamente rafforzare
la pericolosa fronte Trentina nel caso di un attacco austriaco
all'inizio della guerra. Ma quando, in seguito alla subitanea
avanzata della I Armata, la fronte Trentina fu raccorciata e
rafforzata mediante l'acquisto di ottime posizioni difensive nelle Giudicarle, in Val Lagarina e in Val Sugana, ed essendo escluso per il momento un attacco nel Trentino, le sette divisioni
di riserva furono trasportate sulla fronte Giulia per concorrere
alle grandi operazioni offensive ivi iniziate nel mese di giugno.
Si ebbero allora 21 divisioni sui 90 chilometri di fronte della
fronte Giulia e soltanto 14 sui rimanenti 500 chilometri —
proporzione questa solo leggermente alterata a favore di quest'ultimo lungo tratto della fronte dalla maggior quantità di
battaglioni alpini ad esso destinati. Chi oserebbe dire che questa
fosse una distribuzione di forze a cordone? Si può immaginare
una maggiore concentrazione di forze sul tratto di fronte scelto
per l'attacco decisivo? Si può anzi osservare che, essendo stato
272
1) Di questa accusa è traccia anche nel libro Rivelazioni dell'on. Nitti
secondo il quale il generale Cadorna si sarebbe espresso in tono molto ottimista con colleghi in Senato. Il generale Cadorna frequentò assai raramente il
Senato nell'anno di neutralità: se tale conversazione ebbe luogo, fu nel periodo in cui i russi vittoriosi ed in procinto di straripare nella pianura ungherese non volevano più saperne del nostro intervento ritenendolo superfluo
e troppo largamente pagato con le promesse modeste concessioni alla nostra
frontiera orientale. (R. C.)
;8 - CADORNA.
274
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
anche contemplato l'attacco dal Cadore e dalla Carnia verso
Dobbiaco e Tarvisio, scarse erano le forze destinate a queste
zone, in vista specialmente dei compiti che sarebbero stati affidati alla IV Armata e alle truppe della zona Carnia qualora
quegli attacchi fossero riesciti. Ma, come ho già detto, io mi
ero proposto di inviare in tali zone altre truppe a radunata
compiuta; ed era inutile, anzi dannoso, inviarle finché non si
palesasse l'esito delle operazioni che si dovevano compiere nel
perìodo dì mobilitazione e di radunata, per le quali le truppe
destinate a quelle zone erano sufficienti, tenuto conto delle scarsissime forze che il nemico vi tenne nei primi giorni della
guerra.
Le operazioni essendosi fin dai primi giorni arenate, non
si poteva sperare miglior esito più tardi, neppure aumentandovi le forze, quando il nemico aveva avuto il tempo di accrescervi le sue e di rafforzare le difese. Perciò dovetti, come già
dissi, rinunziare all'offensiva; e per la difensiva le forze colà
inviate si manifestarono corrispondenti al bisogno. Perciò il passaggio dal concetto offensivo a quello difensivo non richiese
alcuna essenziale alterazione nelle forze fin dal principio destinate a queste zone.
Riferendomi al principio dianzi ricordato del far massa nella
zona dell'attacco decisivo, soggiungerò che questo principio teorico è limitato nella sua applicazione dalla possibilità di impiegare le forze in dipendenza della natura del terreno. Se, per
esempio, tutto il teatro della guerra è costituito da una catena
di montagne — e tale era il caso nostro — è evidente che se si
oltrepassa un certo limite di concentrazione di forze, queste non
possono essere tutte contemporaneamente impiegate e possono
perciò essere paralizzate da forze nemiche notevolmente inferiori, ma sufficienti a guarnire efficacemente quel dato difficile
fronte. In tal caso sarà molto più vantaggioso il suddividere
le forze in molte direzioni fino al limite massimo di saturazione
delle varie direttrici di marcia, costringendo il nemico a suddividere le sue. Se il nemico sarà complessivamente molto inferiore di forze — come era il caso nostro — egli, così noi ope-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
275
rando, sarà posto nella condizione più svantaggiosa. A chi considera le cose superficialmente sembrerà che si faccia guerra a
cordone, ma in realtà sarà stata sfruttata al massimo grado la
superiorità delle forze. Per questa ragione apparirà assurda l'opinione di taluno, secondo il quale si sarebbe dovuto far massa
su una o due linee come quelle delle Giudicane o del Tonale
— linee che si svolgono fra alte montagne, in valli anguste,
dove poche forze ne possono paralizzare moltissime.
Avendo stabilito di operare — se possibile — anche dal
Cadore e dalla Carnia, mi si è fatto da molti l'appunto di aver
ideato un piano troppo grandioso, in relazione agli scarsi mezzi
di cui potevamo disporre. Ma poi, quando si è dovuto escludere
l'avanzata dal Cadore e dalla Carnia, e le operazioni offensive
sono state necessariamente limitate ai 90 chilometri della fronte
Giulia, sono stato da altri criticato di aver eseguito un attacco
esclusivamente frontale; essi si sono però astenuti dal dire come
si potessero, in simili condizioni, concepire attacchi che non fossero strategicamente e tatticamente frontali!
Quanto alla grandiosità del piano, io la riconosco e non
me la nascondevo. Ma vi era anzitutto una ragione morale. Si
doveva far guerra offensiva, e l'esercito non vi era stato moralmente preparato. Occorreva adunque rompere risolutamente
colla mentalità difensiva e dare fin dal principio alla guerra carattere spiccatamente offensivo; approfittare nei primi giorni della debolezza numerica del nemico per spingersi il più avanti
possibile al di là del confine, allo scopo di migliorare la nostra
cattiva situazione difensiva e facilitare l'ulteriore offensiva. Si
sarebbe poi giudicato dai risultati ottenuti nel periodo di mobilitazione e radunata dell'indirizzo da dare alle operazioni a
mobilitazione compiuta.
Tra le due io preferivo eccedere nella grandiosità del piano
che nella sua ristrettezza. E' molto più facile — al contatto con
la realtà — restringere un piano largo che allargare un piano
ristretto. Nel restringere un piano vi è il relativo inconveniente
dei grandi spostamenti di truppa che ne conseguono, se le forze nei vari settori furono fin dal principio commisurate al rag-
276
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
giungimento degli ultimi e più importanti obiettivi. Ma, nel
nostro caso, le forze in Cadore e in Carnia furono adeguate ai
primi obiettivi da raggiungere in vicinanza della frontiera e
tenuto conto delle limitate forze che l'Austria — già fortemente impegnata colla Russia e colla Serbia — sarebbe stata
in grado di opporci. Se quelle prime operazioni avessero avuto
buon esito, era mia intenzione — come già dissi — di rinforzare per le ulteriori operazioni le truppe del Cadore e della
Carni e di costituire una piccola armata in Carnia. A riprova
di quanto ho detto si consideri che le truppe destinate nei primi
giorni della guerra in Cadore e in Carnia sono le medesime,
con poche varianti, che rimasero in quelle regioni a scopo difensivo dopo il fallimento delle prime operazioni offensive. Perciò il passaggio dall'offensiva alla difensiva, a mobilitazione
compiuta, fu automatico e non richiese alcun sensibile spostamento di truppe. Ond'è che la cosiddetta grandiosità del piano
di campagna non fu cagione, nel fatto, di alcun inconveniente
e non impedì che — secondo i buoni dettami della strategia
— a mobilitazione ultimata 21 delle 35 divisioni che componevano l'esercito gravitassero sui 90 chilometri della fronte principale dell'Isonzo. E' una prova questa che la ripartizione delle
truppe fatta colle direttive del 1° aprile 1915 era stata bene
ideata.
Le nostre operazioni militari durante la grande guerra non
hanno riscontro storico che in quelle di Napoleone del 1797.
Uguale nei due casi era lo scopo finale della guerra: colpire
al cuore la monarchia austriaca — uguale il terreno sul quale
si doveva operare — ma nessuna fortificazione nel 1797 inceppava la manovra.
Ma quale differenza nelle forze e nei mezzi! Napoleone comandava un esercito di 60.000 uomini suddiviso in otto divisioni, delle quali ne aveva distaccata una nella Marca di Ancona per osservare l'Italia Meridionale. Delle rimanenti sette
ne inviò tre in Tirolo agli ordini del generale Joubert per contenere e ricacciare la destra nemica di là dal Brennero e volgersi poi in Val Drava per unirsi a Bonaparte; distaccò la di-
visione Massena in Val Piave per minacciare le comunicazioni
nemiche colla Carinzia; colle rimanenti tre attaccò l'Arciduca
Carlo sul Tagliamento, che passò a guado presso Codroipo. Poscia egli invia due divisioni su Laybach, rimonta colla rimanente la Valle dell'Isonzo e si congiunge a Tarvisio con
Massena pervenutovi dalla Pontebba. Si riunisce poi a Joubert
sceso per la Drava e prosegue fino a Léoben sulla via di Vienna.
Io penso che non saranno mancati neppure allora i critici
che avranno accusato il generale Bonaparte di aver mandato
inutilmente un ottavo delle sue forze nelle Marche, di aver
disperso le altre in direzioni diverse e in valli tra di loro lontane e separate da grandi ostacoli orografici, di avere condotto
nella direzione del Tagliamento dove si dovevano decidere le
sorti della guerra soltanto i tre ottavi delle sue forze e i tre
settimi di quelle di cui disponeva sul teatro di operazioni,
ecc. 1) E' facile la critica e certo il Bonaparte non mancava di ottime ragioni (che si possono facilmente immaginare, ma che è fuor di luogo qui esporre non essendomi io
proposto di fare l'esame critico della campagna 1797) per confutarle; ed in ogni caso i facili censori sono stati messi al silenzio dal grande successo ottenuto in quella fulminea e decisiva
campagna. Io mi limiterò a dire: beati i tempi in cui era possibile procedere così rapidamente anche attraverso a grandi
impervie catene di montagne, il cui passaggio costituisce oggigiorno — colle enormi masse di truppe che si impiegano — un
problema logistico di eccezionale difficoltà, anche indipendente-
277
1
) Neppure il grande Napoleone potè sfuggire alla critica della mediocrità presuntuosa. Il più eloquente esempio l'ha fornito il generale del genio
Rogniat col suo libro : « Considérations sur l'art de la guerre » pubblicato
nel 1818, al quale Napoleone ha fatto l'onore di rispondere da Sant'Elena con
27 note ricche dei più preziosi ammaestramenti. Soprattutto io raccomando
alla meditazione dei signori critici le seguenti parole : « De pareilles questions
proposées à résoudre à Turenne, à Villars ou à Eugène de Savoie, les auraient
fort embarassés. Dogmatiser sur ce que l'on n'a pas pratiqué, est l'apanage de
l'ignorance: c'est croire résoudre par une formule de deuxième degré un
problème de geometrie trascendante qui ferait pàlir Lagrange ou Laplace. Toutes ces questions de grande tactique sont des problèmes phisicomatematiques
indeterminés, qui ont plusieurs solutions et qui ne peuvent ètre résolus par
les formules de la geometrie élémentaire. »
278
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
mente dalla resistenza nemica, la quale è resa molto più facile
dalle armi moderne, dalle fortificazioni e dalla possibilità di costituire e di guarnire linee continue che escludono la possibilità
delle grandi e geniali manovre strategiche del passato.
Fra tutti coloro che hanno criticato il disegno di operazioni,
non ve n'è stato uno — salvo il generale Capello — il quale
abbia chiaramente detto che cosa vi avrebbe sostituito. Non è un
disegno di operazione il partito che taluno credette il più conveniente, data la nostra deficienza di mezzi tecnici al principio
della guerra, quello cioè di occupare una forte linea difensiva,
di fortificarvisi e di attendervi colle forze in potenza il momento in cui la quantità dei mezzi tecnici disponibili ci avesse consentito di passare all'offensiva. Questo, più che un disegno di
operazione, è da definirsi un disegno di inazione. Le forze sono
realmente in potenza quando col loro contegno aggressivo hanno dimostrato e dimostrano che sono disposte quandochessia
ad attaccare. Ma se il nemico si convince che non abbiamo i
mezzi e siamo malamente disposti ad attaccare, e tale convinzione è confortata dalla nostra costante immobilità, allora non
ci giudicherà più in potenza, bensì in impotenza, e si regolerà in conseguenza. Come avremmo potuto immobilizzare tante forze nemiche, in quantità ogni anno crescente, e logorarle
al punto che dopo la battaglia della Bainsizza l'Austria dovette
invocare il soccorso tedesco, senza attaccarle risolutamente? Senza dare continua prova della nostra capacità offensiva? E poi
noi facevamo una guerra politicamente offensiva per liberare
le provincie irredente, e come avrebbero giudicato Governo e
Paese un contegno militarmente così passivo? Inoltre si trattava
di una guerra generale nella quale le operazioni dei vari eserciti dovevano essere, nelle linee generali, coordinate. E allora
com'era possibile ammettere che noi mantenessimo contegno costantemente difensivo, per la durata fors'anche di un
paio d'anni, fino a che avessimo mezzi tecnici in abbondanza?
Ciò sarebbe stato contrario anche agli impegni che noi avevamo dovuto assumere mediante le convenzioni militari cogli
Stati alleati; e l'avrebbero questi tollerato?
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
279
Ho detto dianzi che il generale Capello è il solo — fra le persone che avessero autorità per poterlo fare — che abbia esposto chiaramente un concetto offensivo diverso da quello che fu
applicato. A pag. 116 del vol. I delle sue Note di guerra, così
scrive egli:
« Per ora è sufficiente porre la seguente questione :
« Se illusione e visione eccessivamente ottimistiche non avessero prevalso, non sarebbe stato savio concentrare gli scarsi
mezzi di cui disponevamo per la conquista di un obiettivo più
limitato anche se, pel momento, di interesse prevalentemente
italiano? Ed in tal caso, non sarebbe stato meglio — a malgrado delle difficoltà affacciate — operare in primo tempo decisamente soltanto sui due lati del saliente trentino dallo Stelvio-Tonale e dall'Agordino-Cadore, o ancor meglio limitarci
ad un'azione vigorosa dal Cadore alla Rienza ed all'alta Drava concentrando in questa azione tutti i mezzi che avevamo
disponibili e sfruttando in modo più completo la sorpresa dalla
quale pure qualche vantaggio ottenemmo e che non potemmo
sfruttare in nessun punto per aver diluito gli scarsi mezzi su
tutta la fronte? »
Ha fatto il calcolo il generale Capello della enorme somma di mezzi logistici che sarebbero stati richiesti per una offensiva quale era quella da lui vagheggiata, con grandi masse,
disponendosi di pochissime rotabili, quando le teste di linee ferroviarie (linee di scarso rendimento) si trovavano a Tirano, Edolo, Belluno, Calalzo, dalle quali, col procedere delle operazioni,
ci si sarebbe continuamente allontanati? Non parlo poi delle
enormi difficoltà di ordine tattico che si sarebbero incontrate in
quel difficile terreno — difficoltà tattiche che si sarebbero di
gran lunga accresciute quando il nemico, appena accortosi che
in quella direzione volevamo eseguire l'attacco principale, vi
avesse trasportato in sufficiente quantità truppe ed artiglierie.
E quand'anche, vincendo enormi difficoltà ed impiegando
lunghissimo tempo, avessimo condotto a felice compimento l'ardua impresa, avremmo bensì ottenuto un notevole risultato nei
280
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
nostri riguardi, ma non avremmo colpito al cuore l'AustriaUngheria, e rispetto agli scopi finali della guerra europea il
risultato sarebbe stato pressoché nullo.
E se poi, mentre ci trovavamo impegnati in quelle lunghe
vallate, fra quei monti così impervi, con tante forze ed artiglierie, il nemico ci avesse attaccato con forze superiori sulla
fronte Giulia e fosse riuscito a batterci, quale immensa catastrofe avrebbe potuto prodursi, se si tien conto che la distanza dall'Isonzo allo sbocco di Vittorio Veneto è pressoché uguale a
quella da Dobbiaco a Vittorio Veneto e che la ritirata dall'alto
Cadore non la si poteva effettuare che per due strade, che si
riducono ad una tra Pieve di Cadore e Ponte delle Alpi?
Bastano queste poche considerazioni per, far escludere la
soluzione patrocinata dal generale Capello. E allora quale altra
sostituire a quella da me ideata? La verità è questa: che, data
l'asprissima configurazione del nostro teatro d'operazioni, dato
l'andamento della frontiera che lasciava nelle mani dell'Austria
il pericolosissimo saliente trentino e gli sbocchi nella pianura
del Friuli, il, nostro problema offensivo presentava difficoltà gravissime, comunque lo si volesse risolvere — difficoltà di ordine
strategico e di ordine tattico, quali in nessun'altra parte del teatro di guerra europeo neppure alla lontana si presentavano.
Noi eravamo circondati da una cerchia di ferro pressoché impossibile a spezzare e colla continua incombente minaccia di
un attacco dal saliente trentino, la quale creava un pericolo gravissimo per la maggior parte dell'esercito schierata al di là della Piave; eppure, malgrado questo pericolo tutto consigliava
l'attacco alla fronte Giulia e la difensiva sulla fronte Trentina
dopo aver migliorato questa mediante la conquista di migliori
posizioni nei primi giorni della guerra: sulla fronte Giulia le
difficoltà erano alquanto meno gravi, e più ricca vi era la rete
stradale; la direzione dell'attacco mirava al cuore della monarchia nemica; il nostro attacco poteva essere coordinato con quello degli alleati.
Mi appigliai perciò a questo partito. Ma era indispensabile,
durante le operazioni offensive, tenere continuamente d'oc-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
281
chio il pericolo trentino e tenersi in misura di pararlo. Fortunatamente, il tempo occorrente per organizzare un'offensiva in
grande stile essendo considerevole ed il Trentino trovandosi in
posizione eccentrica e mal congiunto da due sole ferrovie col
centro della monarchia, noi eravamo in grado, al primo delinearsi di una minaccia, di accorrere più rapidamente del nemico
dalla fronte Giulia a quella Trentina mediante la più ricca
rete ferroviaria, la quale tra i due centri di gravità delle due
fronti, Udine e Vicenza, percorre la corda del grande arco lungo il quale era costretto a spostarsi il nemico. Fu perciò posta
ogni cura per aumentare la capacità di trasporto della rete ferroviaria; e questa molto agevolò gli spostamenti di masse tra
le due fronti, specialmente nel 1916, quando i trasporti assunsero proporzioni colossali, prima per far fronte all'attacco nemico nel Trentino e poi per procedere all'attacco sulla fronte
Giulia che fu coronato dalla presa di Gorizia.
2. - Offensiva dell'autunno 1915.
Il concetto di questa offensiva è esposto a pag. 150 e seguenti del vol. I del mio libro La guerra alla fronte italiana.
Il generale Capello ne fa la critica a pag. 176 e seguenti
del vol. I delle sue Note di guerra.
In linea astratta egli ha ragione. Ma esaminiamo la situazione di quel momento.
Noi disponevamo bensì tra II e III Armata e compresi
l'XI e il XIII Corpo
282
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
con ripercussione sulla fronte S. Michele-M. Sei Busi che non
avrebbe potuto essere mantenuta dal nemico.
Ripeto, tutto ciò è giustissimo in linea teorica, ma sarebbe
potuta questa operazione riuscire, anche se si fossero assegnati
alla II Armata i due corpi d'armata di riserva e la maggior
parte delle artiglierie di medio e grosso calibro? Qui sta veramente la questione.
La II Armata avrebbe avuto forza più che tripla in fanteria
del nemico, proporzione che sarebbe però rapidamente diminuita quando il nemico, appena accortosi delle nostre intenzioni, avesse sollecitamente trasportato truppe dal Carso alla
fronte attaccata.
Ma a che serviva in questa guerra una grande prevalenza
di fanteria contro trincee e reticolati, quando mancava l'artiglieria in quantità sufficiente per distruggerli?
A nord della conca goriziana le condizioni del terreno erano particolarmente difficili. Noi non avevamo sulla sinistra
dell'Isonzo che la piccola testa di ponte di Piava, il cui sbocco
era paralizzato da alture molto elevate e ripide. In tutto il rimanente della fronte si trattava di passare l'inguadabile Isonzo
di viva forza e di forzare tre successive linee di difesa scaglionate su ripidi pendici alte 500 m. Il generale Capello mi critica a pag. 177 di aver eseguito un attacco frontale, ma il
progettato attacco era il meno frontale possibile, poiché l'attacco frontale della testa di ponte doveva essere eseguito in
secondo tempo, dopoché in primo tempo avesse progredito l'attacco contro i fianchi della medesima.
E l'applicazione del suo concetto non mi avrebbe forse condotto ad eseguire un attacco frontale nelle più difficili condizioni? Come evitare un attacco frontale quando il nemico occupava linee continue dalla frontiera svizzera al mare?
Il forzamento della linea dell'Isonzo fra Auzza e Piava e
la conquista dell'altopiano della Bainsizza sono riusciti nell'agosto 1917 quando abbiamo potuto riunire sulla fronte Giulia
l'enorme forza di 51 divisioni e di 5200 bocche da fuoco, bombarde comprese. Ma anche allora il generale Capello, che pure
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
283
abilmente diresse le operazioni della II Armata, non riuscì ad
impossessarsi del M. S. Gabriele e della conca goriziana! Come
può adunque egli pensare che avremmo potuto venire a capo
di quelle difese cogli scarsissimi mezzi tecnici dell'autunno del
1915?
Il generale Capello osserva ancora alla stessa pag. 177 che,
come si era addensata la maggior forza di fanteria nel settore
della II Armata (167 battaglioni alla II e 79 alla III), così
avrebbero dovuto le artiglierie gravitare maggiormente su quella per dare alla fanteria quell'ausilio di preparazione, ecc., mentre invece furono assegnate 125 bocche da fuoco di m. e g.
calibro alla II Armata e 175 alla III. Questa critica non regge.
Tolti i 77 battaglioni del IV Corpo che si trovava fuori dalla
zona offensiva e i 27 battaglioni dell'VIII Corpo il quale non
aveva che un compito dimostrativo, la II Armata non aveva sulla fronte d'attacco che 63 battaglioni ai quali furono
assegnati 93 pezzi di m. e g. calibro (125 destinati alla II Armata, dai quali si debbono dedurre 32 pezzi collocati sulla fronte dell'VIII Corpo). Invece, in corrispondenza dei 79 battaglioni della III Armata si trovavano bensì 175 pezzi di m.
e g. calibro, ma convieni notare che la riserva generale (66 battaglioni dell'XI e XIV Corpo) era stata appunto collocata dietro
la III Armata perché si prevedeva, che da questa parte le minori difficoltà del terreno — per quanto grandi — avrebbero
consentito di fare il massimo sforzo, e in tal caso i battaglioni
della III Armata sarebbero saliti a 145.
Si può osservare che fu errore il dividere le forze e gli
scarsi mezzi di artiglieria fra due attacchi. Ma rispondo che il
concetto dell'operazione era quello di far cadere la testa di ponte
di Gorizia compiendo dapprima il massimo sforzo contro le difese a Sud e a Nord della medesima ed attaccandola poi al
centro (pag. 151 del mio libro). Se si fosse attaccato soltanto
a Nord o soltanto a Sud, il nemico avrebbe riunito i suoi mezzi
di difesa sulla troppo breve fronte minacciata, facendo agire le
sue artiglierie bene appostate contro i fianchi delle truppe
attaccanti e saremmo andati incontro ad un sicuro scacco. L'espe-
284
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
rienza della lunga guerra ha dimostrato che per sottrarsi a questi inconvenienti e per sviluppare un attacco efficace la fronte
d'attacco doveva avere uno sviluppo di almeno 25-30 Km.
L'attacco della testa di ponte di Gorizia era imposto anche
da semplici esigenze difensive. Gli avvenimenti dell'ottobre
1917 hanno dimostrato all'evidenza quale vantaggio abbia ritratto il nemico dalla testa di ponte di Tolmino, che, pure, era
fronteggiata dalle nostre formidabili posizioni della testata di
Val Iudrio. La testa di ponte di Gorizia era per noi assai più
pericolosa, sia perché molto più ampia sia perché fronteggiata
da posizioni molto più deboli e più estese, sia perché uno sbocco
vittorioso dalla medesima di grandi forze nemiche le avrebbe
condotte con breve percorso e per facile terreno sulle linee di
comunicazione della II Armata e delle truppe della zona Carnia,
le quali sarebbero rimaste addossate alla montagna. Per tali
ragioni la testa di ponte di Gorizia costituì sempre per me una
forte preoccupazione finché non riuscimmo ad impossessarcene
nell'agosto 1916, finché cioè gli avvenimenti di quel mese non
ci assicurarono, sull'Isonzo e sul Carso, il possesso di una formidabile linea, la quale, organizzata a difesa mediante molteplici lavori proseguiti fino all'ottobre 1917, non mi rese certo
di poter infrangere qualunque attacco nemico da quella parte.
Per tutte queste ragioni era necessario di impossessarsi ad ogni
costo di quella testa di ponte e non vedo con quale altro miglior concetto la si potesse attaccare.
È bensì vero che gli attacchi nostri del 1915 e dei due
anni, successivi hanno cagionato al nostro esercito un notevole
grado di logoramento; ma certamente superiore fu il logoramento dell'esercito nemico. 1) Ne è convincente prova il
fatto che, in seguito alla battaglia della Bainsizza, l'Austria, non giudicandosi più in grado di sostenere un dodicesimo assalto sull'Isonzo, dovette invocare il soccorso tedesco. Sono eloquenti a tal riguardo le parole altrove riferite del generale Krauss, già capo di Stato Maggiore dell'arciduca Euge1) Non dimentichiamo neppure che se noi abbiamo avuto 500.000 morti,
gli inglesi ne ebbero 770.000 e i francesi 1.350.000.
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
285
nio, comandante supremo austriaco sulla nostra fronte e poi comandante delle truppe che attaccarono il M. Grappa, le quali
parole credo opportuno ripetere:
«... ma soltanto la sua forte volontà (del generale Cadorna), la sua durezza, la sua ostinazione hanno costretto gli italiani agli undici potenti assalti contro la fronte dell'Isonzo; e
se gli alleati non gli avessero con più forte mano strappato la
palma della vittoria passando essi all'attacco nella dodicesima
battaglia dell'Isonzo, egli avrebbe nel dodicesimo assalto, al
quale egli avrebbe con forte volontà costretto i suoi italiani,
rotto certamente la fronte ed avrebbe preso possesso di Trieste, la sospirata meta degli italiani.... »
Da quanto precede emerge che l'offensiva in genere s'imponeva e che i sacrifici di sangue che essa richiese non furono
inutili come piace di affermare a certi censori non da altro mossi
che da rancori personali. Ma certamente tragica fu la situazione in cui ci trovammo, quella cioè di dover operare offensivamente mentre tanto scarseggiavano i mezzi all'uopo necessari. E particolarmente tragica fu la mia, poiché a tali avvenimenti dovevo dare il mio nome, e non potevo ignorare che
avrei dovuto scontare le colpevoli deficienze (da me costantemente deprecate) che i precedenti Governi avevano lasciato nel
nostro apparecchio militare!
Se la critica è sempre facile (mentre l'arte è difficile) lo
è ancora più quando difficoltà insormontabili hanno impedito
di raggiungere gli obiettivi prefissi, e per contro manca la prova dei fatti per dimostrare a quali risultati le concezioni del
critico avrebbero approdato. Tale è appunto il caso delle numerose critiche alle quali il generale Capello si è nei suoi libri
abbandonato, le quali fanno veramente deplorare che non sia
stata affidata a lui la direzione delle operazioni! A lui che, malgrado le ampie critiche distribuite a piene mani, tanto al concetto direttivo delle operazioni quanto all'esecuzione per parte
dei comandi subordinati e delle truppe, è costretto a concludere il suo capitolo colle seguenti parole, le quali confermano
quanto io ho precedentemente scritto (pag. 201):
286
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
« Però sarebbe disonesto non riconoscere come con la nostra violenta azione si sia incominciato ad esercitare sul nemico
quella potente pressione che lo tenne incatenato per 30 mesi
sull'Isonzo e che ne iniziò il logoramento e lo sfacelo. Fin da
allora i prigionieri austriaci concordemente attestavano i gravi
danni materiali e morali che la nostra offensiva arrecava alla
compagine nemica. Né si devono dimenticare le disperate invocazioni per rinforzi ed aiuti che il comandante austriaco rivolgeva tra il novembre ed il dicembre al proprio Comando Supremo, dicendosi allo stremo della resistenza.
« Malgrado gli errori e le deficienze, non una goccia del
generoso sangue italiano fu spesa invano. La somma dei nostri
sacrifici il nemico la sconterà sul Piave. »
Proprio così, e il generale Capello è perfettamente d'accordo col generale Krauss. Per il risultato finale, non è la somma dei nostri sacrifici in senso assoluto quella che conta, ma
la proporzione dei medesimi con quella del nemico.
A pag. 181 il generale Capello osserva — e giustamente
se ne duole — che « nella lunga e complessa offensiva il carattere della battaglia sia venuto profondamente mutandosi non
soltanto nei riguardi della estensione della fronte impegnata,
ma anche nella forma stessa della lotta. All'azione grandiosa
d'insieme venne man mano sostituendosi il combattimento a
spizzico, il frazionamento della battaglia in piccoli episodi attorno a questo o a quell'obiettivo, senza alcun serio coordinamento né nella manovra d'insieme, né nel tempo. »
È questa la deplorevole, ma inevitabile conseguenza delle
battaglie molto prolungate nella guerra di posizione. La spiegazione di tale fenomeno l'ha fornita lo stesso generale Capello a pag. 119 del vol. II delle sue Note di guerra. Riferendo una conferenza da lui tenuta ai comandanti delle unità dipendenti dopo la battaglia della Bainsizza, egli scrive:
« Lo scindersi dell'azione unitaria in episodi frammentari
è fatale, per la diversa situazione che la battaglia, specie la grande battaglia, va creando sulle varie parti della fronte, tanto
più quando si opera in un terreno accidentato come il nostro e
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
287
quando si deve lottare contro potenti mezzi di difesa, quali sono
quelli di cui il nemico dispone.
« Senonché tale frammentarietà dell'azione ha sorpassato i
limiti consentiti, poiché si sono verificati sminuzzamenti non
solo nell'interno dei corpi d'armata, ma anche delle divisioni
e delle stesse brigate. »
Se ciò accadeva nella II Armata nell'agosto 1917 quando
essa era affidata da sei mesi all'abile direzione del generale Capello, come può egli meravigliarsi che ciò avvenisse nell'ottobre 1915 quando era ancora così scarsa l'esperienza del nuovo genere di guerra? E soprattutto come può il generale Capello farne oggetto della sua insaziabile critica?
3. - Offensiva austriaca del Trentino nel 1916.
Di questo argomento mi sono largamente occupato nel capitolo V del mio libro La guerra alla fronte italiana e basta
mettere al confronto quanto il generale Capello scrive nel capitolo X delle sue Note di guerra con quanto fu da me esposto
nell'anzidetto capitolo V, corredando i fatti con ampia documentazione, per rilevare tutti gli errori di fatto e di apprezzamento in cui il generale è incorso. Se io ritorno molto brevemente su questo periodo della nostra guerra, è soltanto per porre in, luce la grande leggerezza con la quale il generale Capello
trincia i suoi giudizi su avvenimenti ai quali non ha partecipato e che non conosce.
Il generale Capello, dopo aver riferito le notizie sulla concentrazione di forze austriache nel Titolo e nel Trentino portate verso la fine di aprile da un disertore austriaco, così scrive
a pag. 247 delle Note di guerra:
« Il nostro Comando Supremo, malgrado la evidente fondatezza delle notizie, non vi prestò fede e le reiterate richieste
di rinforzi del Comando della I Armata o non ebbero risposta
o ebbero tardo e limitato esaudimento. »
A pag. 200-201 del volume I del mio libro ho dimostrato
che a rinforzo della I Armata, durante il mese di aprile e la
288
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
prima metà di maggio erano stati trasportati 82 battaglioni, dei
quali soltanto 24 erano stati richiesti dal Comando della I Armata (brigata Valtellina e tre brigate di nuova formazione), e
ben 58 battaglioni furono assegnati di mia iniziativa (9a e 10a
divisione, un gruppo di alpini di 10 battaglioni, brigata Ancona, brigata Sicilia e 44a divisione). La verità è quindi proprio
l'opposto di quanto il generale Capello ha affermato; ossia, non
solo non è vero che le reiterate richieste di rinforzi del Comando della I Armata non abbiano avuto risposta o abbiano
avuto tardo e incompleto esaudimento, ma è verissimo invece
che io, di mia iniziativa, ho spedito sulla fronte Trentina assai
più del triplo delle forze che erano state richieste. E si noti che
il comandante della I Armata, fin dal 6 aprile, quando ancora
non avevo spedito i 24 battaglioni delle brigate Ancona e Sicilia e della 44a divisione, mi scriveva la lettera che ho riferito
a pag. 194 del volume I del mio libro, la quale termina colle
seguenti parole : « Le nuove riserve per l'intero V Corpo d'Armata, costituite colle due divisioni temporaneamente assegnate da V. E. a questa Armata (la 9a e la 10a) — divisioni che si
sarebbero impegnate soltanto in caso di assoluta estrema necessità, e previa autorizzazione di V. E. — permettono di considerare con piena fiducia, nell'interesse generale delle operazioni,
anche il caso a noi più sfavorevole — quello cioè in cui
l'avversario, continuando a riunire forze e mezzi sugli Altipiani,
tentasse di sfondare la linea in questo tratto, sussidiato da azioni concorrenti per le valli Lagarina e Sugana. »
Dunque il comandante della I Armata si dichiarava pienamente soddisfatto fin dal 6 aprile, quando ancora non gli
avevo inviato gli ultimi 24 battaglioni. Io avevo pertanto ragione di ritenere il 15 maggio che le truppe che si trovavano
sulla fronte della I Armata fossero sufficienti a far fronte a
qualsiasi eventualità, e se non lo fossero state, avrebbe dovuto
farmelo presente il comandante della I Armata che, trovandosi
da un anno sui luoghi, era maggior conoscitore di me del terreno e delle circostanze locali. Nel fatto le truppe nei primi
giorni dell'offensiva furono soverchiate e fu fatta rapidamente
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
289
accorrere la riserva sul Tagliamento. Le cagioni di tali primitivi insuccessi sono ampiamente enumerate a pag. 236 del volume I del mio libro.
Relativamente alle truppe inviate in rinforzo alla I Armata, il generale Capello così si esprime a pag. 252 del volume I delle Note di guerra : « Si accordò pure qualche rinforzo
di truppe. Si inviarono in aprile tre brigate e si concentrarono
nella zona Marostica-Bassano due gruppi alpini (10 battaglioni) con due gruppi di batterie da montagna (6 batterie) e si
dislocarono in seguito nelle retrovie del V Corpo anche la IX
e la X divisione ritirate dalla fronte Giulia. » Si confrontino
queste parole con ciò che ho scritto precedentemente e si ammirino nel generale Capello la precisione e l'esattezza dei fatti
sui quali egli basa i suoi apprezzamenti: egli riduce da 82 a
52 i battaglioni inviati!
Sempre ugualmente esatto, nella stessa pagina 252, cosi
continua il generale Capello : « Malgrado i rinforzi inviati, le
truppe sulla fronte erano scarse (totale 5 divisioni): 1 in Val
Lagarina, 2 sugli altipiani di Tonezza e Sette Comuni, 1 in
Val Sugana-Val Cismon, 2 in riserva parziale a Schio e a Bassano). » Chi legge, riferendosi alle 6 divisioni può credere che
i battaglioni alla fronte fossero 72, mentre erano invece 137,
pur dedotti i 45 di milizia territoriale (pag. 200 del volume I
del mio libro). E gli altri 65 battaglioni dove si trovavano?
Alla seguente pag. 253 il generale Capello afferma che
« l'attacco austriaco si iniziò alle ali: prima in Val Sugana, poscia in Val Lagarina » e soggiunge che tali attacchi potevano
anche avere scopo dimostrativo per distrarre l'attenzione del
difensore dalla direzione dell'attacco principale che si manifestò poi verso il centro con manovra di sfondamento. Osservo
di passata che il generale Capello non rimprovera agli austriaci l'attacco frontale, come ha fatto a me per le operazioni dell'autunno 1915 e come farà per la battaglia della Bainsizza.
Ma anche in questo caso egli ha commesso grave errore difatto. L'offensiva austriaca (pag. 209 del volume I del mio
libro) ebbe inizio nelle ore pomeridiane del 14 maggio con un
19 - CADORNA.
290
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
potente bombardamento iniziato quasi contemporaneamente dal
lago di Garda alla Val Sugana, e proseguito nel giorno 15.
Nello stesso giorno 15 il violento attacco delle fanterie si pronunziò, non già alle ali, ma contro le nostre posizioni avanzate
di Val Lagarina e contro quelle tra Monte Maronia (a nord di
M. Maggio alla testata del Posina) e la Val d'Astico. Attacchi
meno violenti furono pure pronunziati dagli austriaci nello
stesso giorno 15 contro l'altra ala in Val Sugana, e crebbero
d'intensità nei giorni successivi, determinando la nostra volontaria ritirata sulle posizioni principali arretrate (pag. 214 del
mio libro). Questa è la storia vera.
Circa la formazione della V Armata nel triangolo Vicenza-Cittadella-Padova, il generale Capello scrive a pag. 259 che
essa fu deliberata il 21 maggio, e a pag. 260 dà invece come
giorno della deliberazione il 22. In realtà essa fu deliberata il
giorno 20 a Vicenza, e il 21 mattina diedi in Udine ai comandanti della II e della III Armata gli ordini per la sua costituzione. La sera dello stesso 21 le prime truppe erano già in marcia (pagg. 215-216 del mio libro). Il generale Capello soggiunge a pag. 260 che « il solo appunto che si può muovere è che
il provvedimento fu preso alquanto in ritardo, cioè il 22 maggio quando l'offensiva austriaca cominciata il 15 dello stesso
mese si era già rivelata in tutta la sua importanza e serietà ».
Anzitutto questo provvedimento fu deliberato il 20 e non il
22 maggio, come ho detto. In secondo luogo io avevo piena fiducia di far fronte alla situazione con le truppe che si trovavano sulla fronte il 15 maggio e coll'immediato invio di ben 7
divisioni della riserva generale. Ma gli avvenimenti accaduti tra
il 15 e il 20 maggio (prima dunque del grande attacco sull'altopiano dei Sette Comuni iniziatosi il 21 maggio) mi destarono
gravi preoccupazioni circa un possibile sfondamento al centro;
ed allora mi decisi ad ordinare la costituzione della V Armata, che
prima non sembrava necessaria e che non volevo costituire senza necessità per non sovvertire lo schieramento della fronte
Giulia. Più ampi schiarimenti su questo argomento si trovano
a pag 215-216 del mio libro. Certo si è che la V Armata, il cui
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
291
schieramento nella zona prevista fu ultimato il giorno 2 giugno
(non il 5 come scrive il generale Capello) fu costituita perfettamente in tempo per adempiere al suo scopo.
Circa poi il concetto della manovra che avrei eseguito in
caso di ritirata dall'Isonzo — dalla Carnia e dal Cadore verso
la Piave — concetto che ho svolto a pag. 223 e seguenti del
volume I del mio libro, non sono mancati i soliti critici che
l'hanno qualificato di scolastico, di teorico, non sembrando possibile una ritirata per giorni e giorni di tante forze fino al Piave-Sile, attraverso un paese abbandonato al nemico, sotto la
pressione di un avversario imbaldanzito. Peccato per i critici
che i funesti avvenimenti del seguente anno 1917 abbiano dimostrato, in condizioni enormemente più svantaggiose, la possibilità pratica di una tale ritirata! Poiché nel 1917 la ritirata
fu forzata in seguito ad una battaglia perduta, e sotto la immediata pressione del vincitore; mentre nel 1916 sarebbe stata
volontaria, colla scelta del momento e del modo opportuno.
Inoltre le forze e le artiglierie ritirate dall'Isonzo nel 1917 furono di gran lunga più numerose di quelle che vi erano rimaste
al principio di giugno del 1916; epperò la ritirata sarebbe stata
nel 1916 molto più facile e più spedita. Eppure, in condizioni
tanto più difficili, la ritirata fu effettuata nel 1917 in modo
che l'esercito, ridotto a 38 divisioni impiegabili, ma scosse, potè resistere vittoriosamente a 55 divisioni nemiche esaltate dalla vittoria e dalla rapida avanzata, salvando la vita e l'onore
del Paese! Altro che teoricismo! Qualche prova di spirito pratico
mi sembra di averla pur data in 30 mesi di guerra! Naturalmente una simile manovra era necessario che fosse diretta con
una certa abilità, ed evidentemente chi la giudicava impraticabile dava prova colla sua critica di non sentirsene capace!
4. - Note sulla battaglia di Gorizia.
Il generale Capello, nel suo libro Per la verità — libro,
sotto molti riguardi, di forte e convincente polemica — cade
spesso in erronei apprezzamenti in ciò che mi riguarda. Mi oc-
292
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
cuperò ora di quanto egli dice nel capitolo II sulla presa di
Gorizia.
A pag. 43 egli scrive : « È noto che, secondo le previsioni
del Comando Supremo, l'offensiva dell'agosto 1916 doveva
condurre soltanto alla conquista della testa di ponte di Gorizia (con frase indeterminata era detto nell'ordine : " alla conquista della soglia di Gorizia "). »
Anche nel suo libro: Note di guerra, pubblicato successivamente, il generale Capello scrive! a pag. 299 del volume I:
« Del resto, l'ordine di operazione originale limitava l'obiettivo da raggiungersi, in un primo tempo, a prendere saldo possesso della soglia di Gorizia. »
Tale difatti è l'ordine. Tutti sanno che è buona regola tattica assegnare obiettivi vicini, conquistati i quali se ne fissano
altri secondo le nuove circostanze che si sono prodotte. Era perfettamente inutile stabilire obiettivi lontani quando dura precedente esperienza aveva dimostrato quanto fosse difficile la
conquista della prima linea di difesa austriaca. Ma la stessa indeterminatezza dell'espressione: «conquista della soglia di Gorizia» — indeterminatezza voluta, e giustamente rilevata dal generale Capello — avrebbe dovuto farlo accorto che il Comando
Supremo non aveva stabilito una linea fissa su cui fermarsi definitivamente. Tanto è vero ciò, che l'ordine fissava la soglia
di Gorizia quale obiettivo da raggiungersi in un primo tempo,
il che presupponeva un secondo tempo, nel quale l'obiettivo
non poteva essere fornito che dalle alture che cingono ad oriente la conca goriziana.
Queste osservazioni non me le sarei attese dal generale Capello, il quale nel capitolo V delle Note di guerra mi rimprovera di aver dato, nel piano d'operazioni, per obiettivo alle armate, dei punti lontani. Ma qui il caso era ben diverso : si trattava non già di un ordine di operazioni tattico, come nel caso
di Gorizia, ma di direttive strategiche, ed è evidente che non si
potevano assegnare per obiettivi alle armate dei villaggi o dei
punti topografici prossimi alla frontiera, ma era necessario di
spingere lo sguardo fino ai primi grandi obiettivi strategici,
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
293
quali Lubiana e Trieste. Ma, secondo il generale Capello, io
avrei dovuto assegnare degli obiettivi strategici vicinissimi e
degli obiettivi tattici lontani. Mi duole perciò di non averla
imbroccata né una volta, né l'altra; ma io ingenuamente credevo che si dovesse fare l'opposto.
È poi massima elementare quella che in guerra i successi
debbono essere immediatamente sfruttati, anche per iniziativa
dei comandanti inferiori, i quali sono i primi a constatare le
possibilità di un tale sfruttamento. Per parte del Comando Supremo non sono mancati gli opportuni incitamenti, come ho
esposto nel capitolo VI del mio libro La guerra alla fronte italiana, sebbene, in conseguenza della gerarchia, fossi l'ultimo
ad essere informato degli avvenimenti.
A pag. 45 del libro Per la verità, il generale Capello rileva che io gli avrei fatto perdere l'attimo fuggente favorevole
per la conquista delle alture del S. Marco, non avendo concesso a tempo gli elementi celeri, ossia divisioni di cavalleria
e battaglioni ciclisti, per sfruttare il successo ottenuto. Tale osservazione essendo stata da altri ripetuta, ed anche da qualche
autorevole generale, credo opportuno chiarire i motivi che
m'indussero a negare tale concessione; i quali si riducono a ciò,
che le circostanze non erano favorevoli all'impiego di tali mezzi celeri.
Questi sono utili quando si verificano queste due condizioni: 1) quando lo sfondamento del sistema difensivo nemico è
stato completo, in tutta la sua profondità, (non nella sola prima linea), in modo da poter dilagare celeremente al di là della
rottura e procedere all'inseguimento del nemico; 2) quando il
terreno al di là della rottura è favorevole all'impiego della cavalleria e dei ciclisti.
Nel caso concreto né l'una né l'altra condizione era soddisfatta. Si era conquistata la prima linea (la testa di ponte di
Gorizia) e si sapeva che esisteva un'altra forte linea sulle alture del S. Marco, e poi altre ancora. Dall'Isonzo alla linea del
S. Marco vi è un breve tratto di pianura della profondità di soli
4 chilometri. Non era pertanto il caso di lanciare in quel ristret-
294
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
to spazio masse di cavalleria le quali, mentre non avrebbero ottenuto nessun risultato contro le intatte linee del S. Marco, avrebbero, per contro, col denso polverone sollevato in quella calda stagione, attratto il tiro nemico anche sulle truppe di
fanteria circostanti: il che avvenne realmente allorquando il
generale Capello, riuniti 17 squadroni, li lanciò senza alcun
efficace risultato in quella ristretta zona.
Si desidera la controprova di quanto ho detto? Alla battaglia della Bainsizza il generale Capello mi rivolse richiesta di
una divisione di cavalleria. Io tosto la concessi, ma essa non
ebbe altro effetto che di produrre un forte ingombro sul fondo
di Val d'Isonzo, mentre tre corpi d'armata lo stavano attraversando, e di cagionare forti perdite ad alcuni squadroni, i quali,
per quanto grande fosse la loro bravura, non potevano che essere arrestati dalle nuove e intatte linee occupate dal nemico
sull'altopiano della Bainsizza.
Sono invece i primi elementi di fanteria passati sulla sinistra dell'Isonzo, dopo la conquista della testa di ponte di Gorizia, che avrebbero dovuto lanciarsi, per iniziativa dei comandanti delle divisioni e delle brigate, alla conquista delle
alture del S. Marco, se risultava che queste fossero debolmente occupate, invece di fermarsi a Gorizia a soli due chilometri da quelle alture. È per tal motivo che io telegrafavo
al generale Capello di mettere le ali ai piedi ai suoi dipendenti.
Né si alleghi la stanchezza delle truppe, perché vi sono circostanze come questa nelle quali la loro resistenza dev'essere sfruttata al massimo grado. Alle truppe, del resto, pesa molto meno la fatica quando sono eccitate per la conseguita vittoria,
quando vedono dinanzi a loro un grande scopo da raggiungere. Durante il classico inseguimento effettuato dalla grande
armée fino al mar Baltico, dopo la battaglia di Iena, marciando 30 chilometri al giorno e vivendo i soldati sulle risorse del
paese e sui magazzini nemici conquistati, Napoleone scriveva
al maresciallo Soult: « Ils trouveront plus savoureux le pain de
l'ennemi qu'une bonne brioche de Paris » ; e voleva dire con
quel suo stile artisticamente immaginoso che le truppe non sen-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
295
tono le fatiche e le sofferenze quando hanno il morale esaltato
dalla vittoria. 1)
Quanto alla seconda delle condizioni precedentemente accennate, perché sia conveniente l'impiego delle truppe celeri,
basta dare uno sguardo alla carta per persuadersi che essa non
era soddisfatta. Difatti lo spazio piano e collinoso va restringendosi, a forma d'imbuto, ad oriente del S. Marco, tra le ripidissime pendici del Trstelj da un lato e quelle non meno ripide dell'altopiano di Ternova dall'altro lato. Perciò terreno meno adatto di questo all'impiego di masse di cavalleria e di ciclisti non si poteva immaginare!
5. - Offensiva dell'agosto 1917.
A pag. 120 del vol. II delle sue Note di guerra il generale
Capello riferisce il seguente brano di una « Memoria » da lui
scritta sul finire del 1918:
« L'offensiva, quantunque estesa al nord della conca di Tolmino, e più precisamente fino al Mrzli, mirava però, nel concetto del Comando Supremo, essenzialmente a due obiettivi:
sulla fronte della III Armata all'Hermada, e sulla fronte della
II Armata dapprima alla Bainsizza, poi all'altipiano di Ternova, nel concetto di facilitare con quest'avanzata le successive
azioni della ITI Armata.
« Se si esamina il concetto generale strategico della battaglia in rapporto agli obiettivi ed alla distribuzione delle forze, si manifesta chiara la figura di una grande battaglia frontale da Tolmino al mare. Il concetto di manovra infatti non
1) Queste considerazioni valgono a confutare le asserzioni del maresciallo
Caviglia circa il mancato intervento delle riserve per sfruttare il parziale sfondamento operato dal XXIV Corpo d'Armata sull'altipiano della Bainsizza e
manovrare poi contro la destra della posizione di Gorizia. Tanto più in considerazione delle scarsissime vie di comunicazione che dal fondo Valle Isonzo
adducevano alla Bainsizza.
Osservo che nel 1917 i germanici arrivarono sul Piave con le divisioni
che avevano sfondato a Caporetto (la XII Divisione Slesiana). Se si fossero
attardati ad attendere rinforzi o ad effettuare scavalcamenti avrebbero perduto
un tempo prezioso. Per nostra disgrazia non commisero questo errore. (R. C.)
296
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
appare che nell'interno delle sezioni di fronte delle singole due
armate, perché queste avevano una riserva sufficiente alle prime
necessità di manovra del loro settore, ma non si riscontra la
possibilità della grande manovra strategica sull'intera fronte
di battaglia perché il Comando Supremo non ebbe a sua disposizione la grande massa di manovra da gettare, con tutto
il suo peso, sulla fronte della III Armata o su quella della II,
per risolvere decisamente l'azione a seconda delle necessità insorgenti, e rendere decisivi i primi risultati ottenuti in questo
o in quel settore.
« Così infatti sulla fronte della II Armata fu risultato di
manovra la caduta delle varie linee nemiche della Bainsizza
scardinate dall'attacco convergente sulla conca di Vrh ove tutte
si appoggiavano, e fu opera di manovra la caduta del Monte
Santo avvenuta per aggiramento: e sarebbe pure avvenuta per
manovra la caduta della testa di ponte nemica di Santa Maria
e Santa Lucia se le operazioni avessero potuto avere completo
sviluppo.
« Ma i danni della ristretta visione del problema strategico
nel quadro generale della grande battaglia non tardarono a
manifestarsi. Sulla fronte della III Armata un effimero successo fu in breve annientato dalla pronta reazione del nemico, e
sulla fronte della II il risultato iniziale notevolissimo ottenuto
non potè tradursi in successo completo e decisivo. »
Le osservazioni del generale Capello avrebbero avuto fondamento se la nostra guerra avesse avuto il carattere di quelle
del passato secolo, fino al 1870; nel qual caso la fronte nemica
sarebbe stata sicuramente sfondata fin dal 1915. Ma nel nostro
caso era talmente difficile lo sfondamento che le considerazioni
strategiche dovevano necessariamente passare in seconda linea
rispetto a quelle di carattere tattico. Quando la completa rottura
della fronte nemica avesse potuto aver luogo in una zona qualsiasi, avrebbero ripreso il sopravvento le considerazioni strategiche allo scopo di sfruttare il successo al massimo grado in relazione agli obiettivi da raggiungere.
Ciò malgrado, nel progetto d'attacco furono conciliate le
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
297
esigenze strategiche con quelle tattiche: le prime mirando colla II Armata all'altopiano di Ternova e colla III all'altopiano
di Comen (poiché il possesso dell'uno o dell'altro altopiano ci
avrebbe aperto le comunicazioni della Valle del Vippacco verso Lubiana e verso Trieste); le seconde, estendendo la fronte di
attacco quanto lo consentivano i larghi mezzi di artiglieria di
cui ormai disponevamo e rendendo così più facile lo sfondamento in qualche tratto della fronte del nemico, costretto così
ad assottigliare le sue assai più scarse forze.
Il concetto offensivo è chiaramente espresso a pag. 81 del
vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana e credo
opportuno di trascriverlo:
« Preparazione della futura offensiva. Gli obiettivi dovevano essere: per la III Armata l'altopiano di Comen; per la
zona di Gorizia (trasformata poi in II Armata) l'altopiano di
Ternova e l'altopiano della Bainsizza, principale il primo, sussidiario il secondo, in quanto quest'ultimo doveva essere obiettivo di transizione e zona di manovra per facilitare la conquista dell'altopiano di Ternova e consolidarne il possesso.
« Fra i due settori si delineava in tal guisa un'interposta
zona di minore attività offensiva — quella dell'anfiteatro goriziano (limite nord: la linea Salcano-Cronberg-Loke-Ossegliano
-Vitavlje; limite sud: il Vippacco) ove opererebbe un gruppo
tattico autonomo, destinato a collegare elasticamente le operazioni dell'altopiano di Ternova e quelle dell'altopiano carsico,
e ad addentrarsi verso oriente quasi esclusivamente per virtù
dei progressi ottenuti per l'alto, lungo le due rive marginali
dalla due! armate finitime. L'autonomia di tale gruppo non escludeva che esso, a volta a volta, potesse essere alla dipendenza tattica dell'una o dell'altra armata, come la situazione tattica fosse
per consigliare.
« Per quanto particolarmente concerne il settore di Tolmino-S. Gabriele, soggiungevo che non potendosi, senza incorrere in uno sterile e dannoso disperdimento di mezzi, esercitare
uniformemente lo sforzo offensivo su così ampia fronte, ed es-
298
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
sendo d'altra parte l'ampiezza imposta dalla necessità d'impegnare considerevoli forze nemiche, si doveva distribuire e graduare nei vari tratti l'intensità dello sforzo stesso, associando
con giusto riferimento alla funzione reciproca dei due obiettivi (Bainsizza e Ternova) dimostrazioni offensive e operazioni
risolutive.
E a pag. 88 così scrivevo:
« Dopo l'ordine del 28 maggio sopraccennato, il Comando
Supremo non emanò più ordini scritti per l'offensiva, ma si
limitò ad ordini verbali ai comandanti d'armata, allo scopo di
non trascurare alcun mezzo per mantenere il segreto. Il concetto fondamentale dell'operazione rimane quello che era stato
fissato in quell'ordine, e che è diverso da quello applicato nelle
precedenti offensive. In queste, per la minor quantità di artiglierie disponibili, si erano attaccate successivamente diverse parti
della fronte, associando l'attacco a fondo di una parte con azioni dimostrative sull'altra. Invece, nell'offensiva di agosto la ingente disponibilità di artiglierie permise di estendere l'attacco
contemporaneo all'ampia fronte che si estende dal mare fino
a sud di Tolmino, solo attenuando in corrispondenza dell'anfiteatro goriziano, per le ragioni dette nell'ordine del 28 maggio, e limitandosi sulla fronte della II Armata, in quei tratti
che il comandante di questa avesse giudicati opportuni, all'attacco dimostrativo. In tal guisa, se il nemico distribuiva uniformemente le sue truppe, a noi notevolmente inferiori, sull'ampia fronte, sarebbe stato debole ovunque; se invece fosse stato più
forte in alcuni settori, sarebbe stato più debole in altri, ed ivi
sarebbe stato più facile lo sfondamento. Le riserve delle armate
e quelle a disposizione del Comando Supremo dovevano essere
dislocate in modo, lungo tutta la fronte, che in qualunque punto avvenisse la rottura se ne trovassero alcune a portata per allargare la breccia e spingere risolutamente l'avanzata, mentre
altre avrebbero seguito. Ed infatti, determinatosi lo sfondamento della fronte nemica sull'altopiano di Bainsizza, il Comando
Supremo spostò rapidamente le riserve, mentre faceva continuare la pressione sul Carso. Affermandosi il successo col vit-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
299
torioso procedere delle nostre truppe sull'altopiano di Bainsizza, alle truppe del Carso fu fatto assumere atteggiamento
potenziale per approfittare di qualsiasi segno di indebolimento
dell'avversario da quella parte. »
Il generale Capello, anche per questa battaglia, mi critica
per aver eseguito un attacco frontale. Ma, di grazia, vorrei sapere come egli avrebbe fatto eseguire un attacco aggirante contro un nemico che aveva una fronte continua dal mare al M.
Nero ed oltre, fino allo Stelvio. Il generale Capello afferma che
fu risultato di manovra la caduta delle linee nemiche della
Bainsizza e del M. Santo, e che sarebbe pure avvenuta per manovra la caduta della testa di ponte di Tolmino, se le operazioni
avessero potuto avere completo sviluppo. Si, per manovra, nella
quale però tutti gli elementi manovranti dovettero o avrebbero
dovuto superare mediante attacco frontale le difese nemiche,
prima di far sentire gli effetti della manovra: tant'è vero ciò
che la testa di ponte di Tolmino non potè essere aggirata perché non riuscì l'attacco frontale del XXVII Corpo contro le posizioni nemiche dei Lom. In simil guisa, e su assai più vasta
scala, sarebbero cadute per manovra tutte le posizioni nemiche
dell'anfiteatro goriziano, se la II Armata fosse riuscita ad impadronirsi {mediante attacco frontale) dell'altopiano di Ternova, o la IH dell'altopiano di Comen. Era una vastissima manovra quella escogitata dal Comando Supremo, consentita questa volta dalla notevole superiorità di truppe e di artiglieria;
ma la sua riuscita era subordinata alla precedente riuscita dell'attacco necessariamente frontale contro gli altipiani della Bainsizza e di Ternova da un lato, e contro l'altipiano di Comen
dall'altro. E io non posso che esprimere la mia meraviglia per
essere costretto a fornire la dimostrazione di cose semplici ed
evidenti a chiunque non abbia la mente offuscata dal desiderio
della critica ad oltranza! 1)
1
) In sostanza, coi fronti stabilizzati e continui, qualsiasi operazione offensiva presupponeva una battaglia di rottura. Era questo primo, indispensabile atto, particolarmente difficile, dato, in quell'epooa, il prevalere della fortificazione campale e delle armi difensive su quelle offensive. Eterno duello
fra il cannone e la corazza! (R. C).
300
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
Per l'attuazione del concetto del Comando Supremo, le forze furono così distribuite : alla II Armata 26 divisioni e mezzo;
1 divisione cavalleria, 2366 pezzi, poco più di 900 bombarde;
alla III Armata 18 divisioni, 1200 pezzi circa, poco meno di
800 bombarde. Riserva, a disposizione del Comando Supremo,
6 divisioni e mezzo, più una divisione e mezzo di cavalleria.
Colle sue forze la TI Armata doveva provvedere all'occupazione
dell'anfiteatro goriziano con 4 divisioni e circa 150 pezzi di
grosso e medio calibro.
Ma anche sulla distribuzione delle forze mi critica il generale Capello poiché « il Comando Supremo » egli scrive
« non ebbe a sua disposizione la grande massa di manovra da
gettare con tutto il suo peso sulla fronte della III Armata o su
quella della II, per risolvere decisamente l'azione a seconda
delle necessità insorgenti e rendere decisivi i primi risultati
ottenuti in questo o in quel settore. »
Questo importante argomento delle riserve l'ho già largamente trattato a pag. 84-85 del vol. II del libro La guerra alla
fronte italiana, ma sarà utile riferire ciò che allora scrivevo:
« Potrebbe sembrare che le riserve a disposizione del Comando Supremo fossero scarse e non organicamente costituite
in un'armata di manovra da gettare con tutto il suo peso sulla
fronte della III Armata o su quella della II, allo scopo di effettuare una grande manovra strategica sull'intera fronte di battaglia. Ma chi dicesse ciò darebbe prova di non conoscere i
caratteri della grande battaglia moderna. La funzione delle
riserve è sempre stata in questa guerra quella di tamponare le
brecce nella difensiva e di alimentare l'offensiva, sia rafforzando le truppe che si fossero aperte un varco per dilagare al
di là, sia dando il cambio alle unità logorate durante la battaglia. Così la riserva del marzo-giugno 1915 fu condotta dalla fronte Tridentina alla fronte Giulia per alimentare l'offensiva. Quella del maggio 1916 fu trasportata dal Tagliamento
alla fronte Tridentina per chiudere la breccia ivi apertasi. La
V Armata, che pure era organicamente costituita, quando nel
giugno 1916 scomparve l'eventualità di doverla adoperare con-
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
301
tro il nemico che fosse sboccato in pianura, fu impiegata ad
alimentare l'offensiva sugli Altipiani e a sostituire le unità logore. Così accadde nelle battaglie offensive del 1917. Perfino
la IX Armata, che costituiva riserva strategica nel giugno 1918,
non venne impiegata in azione autonoma, ma funzionò come
serbatoio delle armate sfondate (VIII e III), e ad esse cedette, una dopo l'altra, le sue divisioni, fino a rimanere costituita di due divisioni residue! Non altrimenti il maresciallo
Ludendorff nell'autunno 1918 impiegò la sua armata di riserva
cercando di tamponare i tratti sfondati, ma non in azione autonoma. Né risulta che il maresciallo Foch abbia adoperato
nel 1918 armate autonome di riserva quando i tedeschi si incunearono nelle linee franco-inglesi verso Amiens e Chàteau
Thierry. Né potrebbe essere altrimenti, poiché non sarebbe agevole far muovere rapidamente grosse armate di riserva, che richiedono numerose strade ravvicinate e sovrapporle ad altre
armate già impegnate. E poiché le riserve, quand'anche dipendano dal Comando Supremo, devono, al momento di adoperarle, passare agli ordini dei comandanti di armata che già
combattono, così è opportuno abbondare fin dal principio
della battaglia nelle riserve a disposizione delle armate e tenere agli ordini del Comando Supremo quelle sole che siano
giudicate necessarie a far fronte a casi imprevisti. Tale criterio
ha tanto maggior peso quando gli obiettivi delle armate sono
tra loro lontani, come avveniva nel caso concreto del quale
discorro. Difatti un'armata doveva agire sul Carso, l'altra
verso l'altipiano di Bainsizza, ed erano separate dalla conca
goriziana. Erano perciò due battaglie pressoché indipendenti,
solo coordinate nel tempo. Conseguiva perciò la poca opportunità di costituire una riserva centrale molto forte ed organicamente riunita in una pesante grossa armata. Tali sono i criteri
che mi hanno guidato nella distribuzione e costituzione delle
riserve. »
Avrei potuto aggiungere che nemmeno nel 1870, nell'ultima grande guerra manovrata, vi è una intera armata destinata a riserva generale sul campo di battaglia. Perfino a Grave-
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
lotte, dove si combatté la più grande battaglia di quella guerra, non vi sono armate di riserva generale; si trovano invece
due armate, a fianco l'una dell'altra, ciascuna delle quali costituisce riserve proprie in relazione ai concetti del Comando Supremo.
A me era indifferente che la rottura della fronte nemica avvenisse in direzione di Trieste o in quella di Lubiana, purché avvenisse in qualche tratto della fronte essendo essa ovunque difficile. Avvenuta in qualunque luogo la rottura, si sarebbe manovrato in modo da allargarla e da avanzare verso gli obiettivi
di Trieste e di Lubiana. Ora, qual era la situazione il 26 agosto?
Sul Carso, dove già lo schieramento di artiglieria era preparato,
si poteva sperare, con un rinforzo di 300-400 pezzi di medio
calibro, inatteso dal nemico, di ottenere un risultato decisivo.
Ma sulla Bainsizza? Lo sfondamento era penetrato di ben 10
chilometri nella fronte nemica, ma di altrettanto si erano allontanate le fanterie dal nostro schieramento di artiglieria, del
quale non avevano più l'appoggio; il nemico si era ritirato
sulle posizioni costituite dal più elevato gradino dell'altopiano,
che copriva il vallone di Chiapovano, e tali posizioni non si
potevano attaccare senza l'appoggio delle artiglierie; per portare
innanzi le artiglierie in quel difficile terreno, scarsissimo di strade, si richiedeva molto tempo. L'attacco aveva perciò perduto il
suo impulso. Lo dice lo stesso generale Capello a pag. 118 del
vol. II delle Note di guerra:
« L'inizio della battaglia fu superbo e parve legittimare qualunque speranza, poi la spinta perde vigore, finché si arrestò.
Quali le ragioni?
« Anzitutto una serie di ragioni naturali, e, dirò così, fatali :
le difficoltà di varia natura, la diminuzione d'appoggio da parte
delle grosse artiglierie rimaste sulla destra dell'Isonzo, per difficoltà grandissime d'ordine tecnico e logistico, l'ignoranza del
terreno, le aumentate resistenze avversarie ed anche, ammettiamolo pure, la stanchezza delle truppe. »
Il generale Capello enumera poi altre cause — che io tralascio di riferire — dipendenti dalla condotta delle truppe. Ma,
domando io, si doveva insistere nell'attacco quando le resistenze
avversarie erano aumentate e nello stesso tempo non si aveva
più l'appoggio delle artiglierie pesanti, né per lunghissimo tempo lo si sarebbe potuto avere, data la necessità di costruire nuove strade in così difficile terreno? E durante questo lungo tempo
302
Che cosa avrebbe detto il generale Capello se sull'altipiano
della Bainsizza, percorso da scarse e cattive strade, ingombre dalle
truppe e dai servizi della sua armata, avessi lanciato una intera
armata di riserva, agli ordini naturalmente di un altro comandante, i cui servizi si sarebbero inevitabilmente frammischiati
con quelli della II Armata? Quale ingombro e quale confusione! Egli mi avrebbe certo aspramente criticato, e con piena
ragione!
Il 26 agosto, tenuto conto che l'offensiva sull'altopiano della Bainsizza sembrava aver perduto il suo impulso, ed in vista
di una ripresa offensiva sul Carso, io pregavo i comandanti della II e III Armata di preparare il futuro dispositivo di attacco
sulla base della cessione da parte della II Armata alla III di
300-400 pezzi di medio calibro (pag. 104 del vol. II del mio
libro La guerra alla fronte italiana). E il generale Capello così
commenta a pag. 125, vol. II, delle Note di guerra:
« È l'antico concetto di far servire l'azione della II Armata al raggiungimento diretto ed immediato degli obiettivi
della III, così come già si era fatto per l'offensiva di maggio.
È sempre il concetto preminente della puntata frontale su
Trieste.
«E così anche in questa occasione si sottraggono potenti mezzi alla II Armata, che non ha finito il suo compito, per passarli
alla III. È il solito sistema di non condurre mai a fondo nessuna azione... per continuare a romperci la testa contro l'Hermada. »
Che al generale Capello, il quale contemplava la situazione, non dal punto di vista generale, ma da quello unilaterale della II Armata, dispiacesse che gli si sottraessero provvisoriamente 300-400 pezzi, lo si comprende facilmente. Io non
mi prefiggevo di perseguire ad ogni costo la puntata su Trieste.
303
304
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
REPLICA AL GENERALE CAPELLO
dovevo rimanere inoperoso, mentre mi si offriva la possibilità di
continuare l'attacco sul Carso, dove già era pronto lo schieramento di artiglieria, e altro non occorreva che di rinforzarlo?
Queste ragioni sono più che sufficienti a spiegare il mio
ordine, senza bisogno di ricorrere alla mia idea fissa della puntata frontale su Trieste, per eseguire la quale io avrei proseguito
nel « solito sistema di non condurre mai a fondo nessuna azione. » Ma se avessi voluto condurre a fondo l'attacco nelle condizioni dianzi descritte, ne sarebbe certamente derivato un inutile macello, e il generale Capello mi avrebbe fatto oggetto —
questa volta con ragione — dei suoi strali!
Del resto, quanto all'importanza di Trieste quale grande
obiettivo strategico, la desumerò dalle parole di un nemico. Il
generale Konopicki, già capo di Stato Maggiore dell'arciduca
Eugenio, comandante supremo austriaco, così scrive a pag. 424
del vol. V dell'opera in 10 grossi volumi dello Schwarte, Der
grosse Krieg 1914-18: « Già la decima battaglia dell'Isonzo,
12 maggio-6 giugno 1917, aveva prodotto la più grande tensione sul fronte carsico dell'esercito austro-ungarico. Eravamo bensì riusciti con un bene organizzato contrattacco a paralizzare i
successi locali raggiunti dagli italiani sull'altopiano di Comen.
Ma la situazione rimase dopo, come prima, crìtica al più alto
grado. Una perdita di terreno che su altri teatri di guerra il difensore poteva subire senza troppo grave danno poteva qui,
nell'ala sud del fronte austriaco-italiano, avere un'influenza decisiva, non soltanto sulle armate che quivi combattevano, ma
anche sulla totale situazione della guerra mondiale. La perdita
di Trieste avrebbe avuto maggior significato di quella di un'importante piazza marittima e della posizione dell'Isonzo. »
E il maresciallo von Hindenburg, nel suo libro Dalla
mia vita, così scrive a pag. 193 della traduzione italiana:
« Nella undicesima battaglia dell'Isonzo Cadorna aveva guadagnato realmente molto terreno. Tutte le perdite di terreno fino
allora avvenute erano state tali da potervisi rassegnare; esse erano, come la nostra abbondante esperienza insegnava, una conseguenza naturale dell'effetto distruttore dei mezzi d'attacco an-
che contro la difesa più solida. Ma ora le linee di resistenza
austro-ungariche erano respinte all'orlo estremo: se gli italiani
avessero guadagnato nuovo terreno dopo rinnovata preparazione, la situazione dell'Austria nei riguardi di Trieste non avrebbe potuto più reggere. Quindi Trieste è seriamente minacciata,
Ma se quella città cade, guai! Come Sebastopoli nella guerra
di Crimea, così Trieste sembra essere decisiva per la guerra fra
Italia ed Austria. Trieste, per la monarchia danubiana, non ha
soltanto un valore ideale, ma anche uno reale: dal suo possesso dipende anche in avvenire una gran parte della libertà
economica dello Stato.
« Epperò è necessario che sia salvata : e, visto che non si può
salvarla altrimenti, occorrono aiuti germanici. »
Non pare adunque, secondo la stessa opinione dei nemici,
che gli attacchi sul Carso siano riusciti completamente infruttuosi, e che l'obiettivo di Trieste non meritasse lo sforzo di
condurli a fondo.
Per brevità non rilevo altre critiche di minor conto contenute nel capitolo XVI delle Note di guerra del generale Capello, alle quali critiche ho già risposto nel mio libro La guerra alla fronte italiana.
3 0 - CADORNA.
305
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
CAPITOLO
VIII
LE CAUSE STRATEGICHE
DEL DISASTRO DI CAPORETTO
Le cause del disastro di Caporetto furono di doppio ordine : militari e morali. Di quelle morali ho discorso a lungo nella Parte prima di questo libro. Parlerò ora di quelle militari.
Esse furono attribuite alla cattiva scelta della linea difensiva e alle disposizioni date dal Comando Supremo, dal comandante della II Armata e dai comandanti del IV e del XXVII
Corpo. Discorrerò partitamente di tali argomenti, avvertendo che
al Comando Supremo non fu fatto dalla Commissione d'inchiesta alcun serio appunto circa le disposizioni da esso date, e che
queste disposizioni riferirò nell'esaminare gli ordini e la condotta dei comandi dipendenti.
1. - La fronte difensiva il 24 ottobre 1917,
Essa non era costituita da una linea di difesa deliberatamente
scelta ad esclusivo scopo difensivo, ma era quella sulla quale si
era arrestata l'offensiva della Bainsizza, la quale, in conseguenza della guerra di posizione che si era imposta su tutte le fronti
europee, non aveva prodotto, al pari di tutte le precedenti offensive, che risultati incompleti.
Liberi di scegliere una fronte di difesa tenendo esclusivo
307
conto delle migliori condizioni difensive, si sarebbero dovute
abbandonare tutte le posizioni sulla sinistra dell'Isonzo tra il
M. Nero e il M. Santo; così la linea di difesa notevolmente
raccorciata si sarebbe sviluppata dal M. Canin per lo Stol e
la catena del Kolovrat e del Korada fino al M. Sabotino. Ma
sarebbe stato conveniente, alla prima minaccia di offensiva nemica, di sgombrare posizioni che erano costate tanto sangue per conquistarle, che rappresentavano perciò un grande
valore morale e che erano scala alla conquista di successive
posizioni? Poiché non si doveva dimenticare che la nostra doveva essere guerra offensiva. Tale abbandono poteva essere giustificato, sarebbe stato anzi doveroso (ed era stato dal Comando
Supremo previsto, al pari di quello del Carso fino a Vallone),
quando, il nemico attaccando con forze superiori contemporaneamente sulle fronti Giulia e Tridentina, fosse stata necessaria
la costituzione di una forte riserva centrale tra le due fronti.
Ma non era questo il caso, quando l'attacco stava per sferrarsi
sulla sola fronte Giulia e le nostre forze erano, nel complesso,
superiori a quelle nemiche.
Date queste condizioni, quale impressione avrebbe fatto nel
Paese l'abbandono di posizioni importantissime, la cui conquista era costata tanti sacrifici ed al cui nome era legato il
ricordo di leggendari episodi guerreschi, come quello del M.
Nero, oppure di grandi e gloriose vittorie, come quella della
Bainsizza? Dunque la nostra linea di difesa doveva essere necessariamente quella che era risultata — salvo parziali rettificazioni — in seguito alla sospensione dell'offensiva della Bainsizza.
Ma in quali condizioni si trovava questa linea? Ha qualche
fondamento l'osservazione fatta da taluno che essa era così debole che, inevitabilmente, era condannata a cadere?
Il tratto più debole era certamente quello corrispondente
all'altopiano di Bainsizza, sia perché si sviluppava su terreno
dominato dal nemico, sia perché la triplice linea di difesa ordinata dal generale Capello era ancor lungi dall'essere compiuta.
Ma questo tratto non fu seriamente attaccato.
308
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
Limitandosi a considerare il tratto di fronte dove avvenne
lo sfondamento, osserverò che erano tutte posizioni fortissime,
di doppia e triplice linea fortificata.
Nella conca di Plezzo eravi un tratto meno forte sul fondo valle, ma compensato dalla difficoltà pel nemico di far sboccare grandi forze dalle anguste valli dell'alto Isonzo e della
Koritenza, il cui sbocco era efficacemente battuto dalla nostra
artiglieria. A tergo di questa prima linea eravi la formidabile
stretta di Saga, munita di triplice linea di difesa ed appoggiata
ai dirupi del M. Canin e del Polunik. E a tergo ancora i monti
dello Stol, ove si appoggiava l'ultima linea di difesa. Tutto questo insieme di posizioni fortificate era talmente formidabile che
strappò al generale Krauss, comandante delle truppe austriache
attaccanti, le parole che si leggono a pag. 222 del suo libro
Die Ursachen unserer Niederlage, le quali ben descrivono le
difficoltà dell'impresa cui egli si accingeva. Esse sono le seguenti :
«Il 21 settembre mi condussi alla fronte per contemplare ancora
una volta il complesso della posizione nemica. Allorché dall'osservatorio
a ponente di Plezzo mi si presentò la veduta complessiva del bacino,
mi batté il cuore pensando alle difficoltà dell'impresa. Come una colossale vasca da bagno si presentava innanzi a me la conca di Plezzo.
A destra salivano i versanti rocciosi del Rombon elevati 1800 m. sul
fondo della valle, e più in là, verso levante, il Canin, il quale dominava di più di 2000 m. il fondo valle. A sinistra, dalla dorsale del
Polunik, precipitavano ripidi, rocciosi, boscosi versanti, verso il Soca,
per 1200 metri di altezza. E dinanzi a me, verso levante, saliva la
larga dorsale dello Stol, come una forte prominenza verso le nuvole.
Sotto di me si estendeva il largo fondo di valle colla borgata di
Plezzo e la rotabile che si svolgeva come un grigio nastro, il quale
scompariva nello sfondo, laddove la conca si restringe dietro il basso
sperone del Podcelom. Nell'ultimo sfondo ai piedi dello Stol, si scorgevano, illuminate, trasparire dai vapori le case di Saga. »
L'insellatura di Za Kraju, che fu sfondata,1) rimanendo aggirato il massiccio del M. Nero, costituiva pure una fortissima
1
) A pag. 167 del vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana io
affermavo che forze, nemiche dilagavano verso le ore 14 del 24 ottobre nella
conca di Za Kraju e scendevano verso le 17 a Caporetto. Dopo la pubblicazione
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
309
posizione, racchiusa com'era tra le alte rupi del Krasji Vhr e
del Vrsic, coll'unico accesso dall'alta valle dello Slatenik Potok.
La posizione del Mrzli, la quale cadde subito al primo attacco, aveva bensì i difetti, ma anche i vantaggi delle posizioni
in contropendenza, principale tra i quali quello di esporre il
nemico attaccante sul terreno scoperto ai tiri convergenti delle
grandi masse di artiglieria schierate su tutti i monti circostanti.
E a tergo, a poco più di tre chilometri di distanza, si trovava
la fortissima posizione del Pleka-Spika.
Il fondo di Val d'Isonzo non sarebbe stato difficile a difendere contro attacco da Tolmino, se le due linee fortificate che
lo sbarravano fossero state saldamente occupate come il comandante di armata aveva ordinato, se dai due fianchi della valle, specialmente da quello meridionale, fossero stati pronunciati forti contrattacchi e se le masse d'artiglieria schierate
sui monti laterali avessero funzionato a dovere. Se invece fu
possibile alla 12a divisione slesiana, che iniziò l'avanzata nel
mattino da Tolmino, di giungere verso le 16 a Caporetto, non
lo si può certamente attribuire a cattive condizioni naturali di
difesa.
Finalmente, di fronte alla testa di ponte di Tolmino, se
era innegabile l'inconveniente di avere le tre linee di difesa
molto ravvicinate, su una profondità di tre chilometri, e soggette al fuoco dello schieramento d'artiglieria nemico, tale inconveniente era di molto attenuato dal fatto che le due ultime
linee di difesa si svolgevano su posizioni formidabili e dall'esistenza a tergo di una quarta linea di difesa che da M. Kuk
per S. Martino andava a M. Xum e a Srednie, la quale, sebbene non molto robusta pei lavori eseguiti, era suscettibile di
tenace difesa, sia per la forza del terreno, sia perché nascosta
di quel libro mi si è fatto osservare da testimoni oculari che soltanto la mattina del 25 le nostre truppe si ritirarono — non incalzate dal nemico — dal
Vrata, dal Vrsic e dal Krasi. Io riferisco questa correzione per amor di esattezza, ma tengo a dichiarare che ho desunto i dati di fatto da me riferiti da
un documento ufficiale comunicato alla Commissione d'inchiesta per Caporetto,
il quale porta la data del 20 gennaio 1918, ed è perciò molto posteriore al
giorno in cui lasciai la carica di capo di Stato Maggiore dell'esercito.
311
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
all'artiglieria nemica, il cui schieramento era molto lontano.
Scrive infatti il generale Bongiovanni nell'opuscolo Il comando del VII Corpo d'Armata nella battaglia di Caporetto : « Rilevai ben presto l'alta importanza della linea fortificata arretrata di S. Martino-Napur-M. Xum, la quale attaccandosi alle
pendici del Matajur, a valle di Cepletiskis, correva parallelamente alla linea del Kolovrat, e poteva dar luogo a una potente arginatura, secondo la teoria dei compartimenti stagni allora molto in voga. »
In conclusione, la linea sulla quale si è combattuto consentiva ovunque una salda difesa, a tal segno che il Koster, in
un articolo della Frankfurter Zeitung, citato a pag. 146 del
vol. II del mio libro La guerra alla fronte italiana, scriveva:
« ... il terreno era irto di ostacoli... non mancavano le voci che
ritenevano l'impresa pazzesca. »
Del resto la presente guerra ha dimostrato su tutte le fronti
del teatro europeo che qualunque linea è suscettibile di efficace
difesa, anche se le sue condizioni tattiche non sono le più vantaggiose, quando sia ben sistemata e la difesa sia condotta con
la necessaria energia!
Le critiche fatte avrebbero ragione d'essere qualora, essendo state difese colla necessaria energia, le posizioni avessero dovuto essere abbandonate per la cattiva organizzazione difensiva.
Ma è ormai noto a tutti come si sono svolti gli avvenimenti,
ed è pur noto che quando, dopo la vittoria di Vittorio Veneto,
rioccupammo quelle posizioni, trovammo intatti i reticolati, senza la distruzione dei quali non è possibile nessun attacco!...
damentale, non fu dal generale Capello pubblicato nel suo primo libro Per la verità e apparve solo più tardi nelle Note
di guerra, quando era già stato da altri pubblicato.
310
2. - L'azione del comando della II Armata.
Gli ordini del Comando Supremo al comando della II Armata riflettenti la preparazione della difesa sono due : il primo è del
18 settembre, il secondo del 10 ottobre. Giudico opportuno riprodurli, avvertendo che l'ordine del 18 settembre, sebbene fosse fon-
18 settembre 1917
A S.A.R. il comandante della III Armata
A S. E. il comandante della III Armata
Il continuo accrescersi delle forze avversarie sulla fronte Giulia
fa ritenere probabile che il nemico si proponga di sferrare quivi prossimamente un serio attacco, tanto più violento quanto più ingenti
forze esso potrà distogliere dalla fronte russa, dove la situazione sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari.
Tenuto conto di ciò, della situazione dei complementi e del munizionamento, ben noti a V. A. R. (a V. E.) decido di rinunciare alle
progettate operazioni offensive e di concentrare ogni attività nelle
predisposizioni per la difesa ad oltranza, affinché il possibile attacco
ci trovi validamente preparati a rintuzzarlo.
A tale precisa direttiva prego pertanto V. A. R. (V. E.) di orientare fin d'ora ogni predisposizione, l'attività delle truppe, lo schieramento delle artiglierie ed il grado p r e d r 5 4 9 T w - T c ( a t t 3 j 2 . 7 9 1 T w
312
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
nostre posizioni consiglia un assai parsimonioso impiego di truppe, pena
uno sterile logoramento delle energie della difesa. Il XXVII Corpo
dovrà pertanto gravitare colla maggior parte delle sue forze sulla destra
dell'Isonzo.
2) Perché qualsiasi evento, compresi quelli più inverosimili,
non ci colga impreparati, dei medi calibri non rimangano sull'altopiano di Bainsizza che quelli più mobili; ed anche per questi non si
tralasci di predisporre, in dannata ipotesi, mezzi acconci per un tempestivo ripiegamento.
3) Durante il tiro di bombardamento nemico, oltre ai tiri sulle
località di affluenza e di raccolta di truppe, sulle sedi dei comandi ed
osservatori, ecc., si svolga una violentissima contropreparazione nostra.
Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle zone di probabile
irruzione delle fanterie, le quali essendo esposte in linee improvvisate,
prive o quasi di ricoveri, ad un tormento dei più micidiali, dovranno
essere schiacciate sulle trincee di partenza. Occorre, in una parola, disorganizzare e annientare l'attacco ancora prima che si sferri, disorganizzazione e annientamento che il nostro poderoso schieramento di
artiglierie sicuramente consente.
4) Il nemico suole lanciare le fanterie dopo brevissima preparazione di fuoco: si tenga presente questa possibilità, e artiglierie
e fanterie siano in ogni istante vigili e pronte a prevenire e a rintuzzare l'attacco.
Il capo di Stato Maggiore dell'esercito
soldato è assai più elevato nell'offensiva che nella difensiva; egli era
d'avviso che si dovesse parare l'azione avversaria o con un attacco, o
almeno apprestando una poderosa controffensiva strategica. A tale
scopo rispondeva bene lo schieramento delle artiglierie e la preparazione che si andava facendo delle migliori brigate di fanteria. Questa
controffensiva da effettuarsi con una massa di sei brigate ben preparate sarebbe dovuta partire dalla conca di Vhr (come il comandante
della II Armata disse nelle conferenze tenute il 17-18 ottobre ai comandanti di Corpo d'Armata) e svolgersi « nelle direzioni che si riterranno le più convenienti.» Queste direzioni possibili, soggiungeva egli,
erano tre, cioè: verso nord-est, « molto redditizia per paralizzare un;
attacco nemico partente da Santa Lucia e volgere la situazione a nostro vantaggio»; verso est, «per rompere le linee a cavallo delle,
strade che conducono nel vallone di Chiapovano verso l' Idria » ; verso
sud-est, « per mettere piede sull'altopiano di Ternova e puntare sulla
grande linea difensiva dell'altopiano». Era poi indicata come direzione più probabile quella verso nord-est.
Dal canto mio mi opposi al piano controffensivo a grande raggio
proposto dal comandante della II Armata perché s'inspirava, a mio
avviso, ad una concezione di manovra che era in contrasto con gli
insegnamenti della presente guerra; perché si basava su aleatorie ripercussioni strategiche che l'esperienza dell'ultima offensiva dimostrava incontestabilmente poco promettenti. Delle tre direzioni controffensive proposte, prescindo da quelle verso est e verso sud-est che
egli stesso designava come meno utili, e che infatti ci avrebbero condotto ad agire sterilmente in direzione divergente rispetto all'attacco
nemico, e mi limito invece a considerare quella dalla conca di Vhr
verso nord-est. Il comandante della II Armata, ideando una simile manovra, si riprometteva certamente di raggiungere l'orlo settentrionale
ed orientale dell'altipiano dei Lom, com'era necessario per tenere sotto
il cannone la valle dell'Idria (programma minimo quando si voglia
« paralizzare un attacco nemico partente da Santa Lucia » ). Ma non
risulta, né può risultare, su quali elementi di fatto e di giudizio egli
basasse tali previsioni, dato che nell'agosto, pur essendo le nostre truppe animate da un vigoroso impulso offensivo, ed il nemico sorpreso,
disgregato e travolto in una battaglia di rottura, quelle stesse posizioni
avevano opposto validissima resistenza ad ogni nostro sforzo. Di fronte a questi precedenti, quali nuovi fattori erano intervenuti nel mese
di ottobre per far considerare l'impresa promettente e redditizia ai
fini controffensivi? Non certo l'accresciuta resistenza delle posizioni,
che per l'organizzazione fortificatoria apprestata in quei due mesi di
assiduo lavoro e per il continuo aumento di forze e di artiglierie nemiche invertiva tutti i rapporti dinamici a nostro danno.
Perciò questa controffensiva (che sarebbe poi stata un'offensiva
L. CADORNA
Nel libro Per la verità e nel capitolo XVII delle Note di
guerra il generale Capello insiste sulla opportunità della controffensiva in grande stile che egli considera come il miglior
mezzo per mandare a vuoto l'attacco austro-tedesco. A me sembra di possedere, per naturale temperamento, altrettanto spirito
offensivo quanto il generale Capello, e parmi averne dato sufficiente prova nel lungo tempo in cui ebbi la direzione della
guerra. Ma l'offensiva ad ogni costo, e in tutti i casi, può condurre alle più serie conseguenze. Nel capitolo X del mio libro
La guerra alla fronte italiana ho ampiamente svolto le ragioni
che la sconsigliavano nel caso che si esamina, e parmi opportuno
ora di ripetere quanto allora ho scritto:
Ma è ora necessario accennare le ragioni che militavano pro e
contro una controffensiva in grande stile sull'altipiano di Bainsizza.
Pensava il comandante della II Armata che il valore del nostro
313
314
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
vera e propria) avrebbe richiesto grande spiegamento di artiglierie di
medio e grosso calibro (a ciò certo non bastava la massa di artiglieria progettata nella conca di Vhr a più di 8 chilometri dal culmine dei Lom) e lunghi preparativi, venendo cosi anche a mancare
gli effetti della sorpresa insiti in una fulminea controffensiva, quale
la voleva il comandante della II Armata, e lasciando tempo al nemico
per rafforzare le sue difese e per sboccare dalla testa di ponte di Tolmino, dove la nostra difesa sarebbe stata alleggerita,
Aggiungo che per controffensiva in grande stile contro posizioni
fortissime e logoratrici di forze, io giudicavo insufficienti le sei brigate
richieste dal comandante della II Armata, e che se avessi accolto la
sua richiesta di nuove forze e di nuove artiglierie per l'attuazione
della manovra controffensiva, avrei troppo assottigliato; le riserve del
Comando Supremo, e per contro si sarebbero addensate ancora maggiori forze ed artiglierie sull'altopiano di Bainsizza, aggravando quello
stato di cose che ha poi reso la ritirata del XXIV Corpo e di parte
del XXVII estremamente difficile. E finalmente avrei cagionato un notevole consumo di uomini e di munizioni, la cui penuria era appunto
stata una delle cause della sospensione delle operazioni offensive e
del passaggio alla difensiva, come risulta dal mio ordine del 18 settembre.
Se si dovesse giudicare col senno del poi, io domanderei: poiché
la controffensiva non la si poteva sferrare subito, ma solo dopo il primo urto nemico, che ne sarebbe stato delle ingenti truppe ed artiglierie che fossero state raccolte a tale scopo sull'altopiano di Bainsizza, mentre fin dal primo giorno, ossia prima che la controffensiva
potesse avere inizio, le tre linee difensive del XXVII Corpo cadevano
nelle mani del nemico, e a questo rimaneva pressoché aperta la strada
di Cividale? Fu adunque ben provvida misura il non averla autorizzata.
dentemente riferito, che non fu mai abrogato e non certo contraddetto dall'ordine successivo del 10 ottobre, il quale era altrettanto chiaro, esplicito, radicale. Dall'attento esame di quei
due documenti, specialmente se si contemplano — come è doveroso — nel loro complessivo significato, senza perdersi nel
minuto esame dei particolari, non può non apparire chiarissimo il mio pensiero a chi lo cerchi obiettivamente, senza cioè
avere la mente preoccupata da idee preconcette. Ma può non
essere apparso altrettanto chiaro, e perfino contraddittorio alla
chiara mente del generale Capello, se tale mio pensiero gli
giungeva attraverso il prisma della sua tendenza offensiva, la
quale poteva indurlo a trovare l'autorizzazione della grande
controffensiva in frasi staccate dei miei ordini: il che appunto
gli è accaduto.
Col mio ordine del 18 settembre:
1) io prescrivevo il passaggio dall'offensiva alla difensiva ad
oltranza e non parlavo affatto di controffensiva in grande stile
(la controffensiva locale è sempre sottintesa in qualunque difesa ben condotta);
2) tra le cause di rinuncia alle progettate operazioni offensive, oltre alla situazione russa, accennavo alla deficienza dei
complementi e del munizionamento; tali cause escludevano anche la controffensiva in grande stile, equivalente all'offensiva
per il logoramento degli uomini e il consumo delle munizioni;
3) stabilivo che a tale precisa direttiva si orientasse fin
d'allora (18 settembre) anche lo schieramento delle artiglierie,
il che richiedeva l'immediato passaggio dallo schieramento offensivo a quello difensivo, ossia l'arretramento delle artiglierie
di grosso calibro e di quelle meno mobili di medio calibro.
Tale arretramento fu tosto eseguito dalla III Armata, alla
quale pure l'ordine era stato diretto, e non lo fu dalla II Armata. Se fosse stato subito iniziato, come io avevo prescritto,
nei venti giorni trascorsi dal 18 settembre all'8 ottobre —
giorno in cui il generale Capello diramava le sue direttive per
la difesa — l'arretramento sarebbe stato condotto a termine,
o per lo meno sarebbe stato in così avanzata esecuzione che
Nel già citato capitolo XVII delle Note di guerra il generale Capello, dopo aver riassunto le ragioni che consigliavano,
secondo lui, la grande controffensiva, soggiunge (pag. 151 del
vol. II) che « in ogni caso la decisione della condotta da seguire
avrebbe dovuto essere chiara, pronta, esplicita, radicale. » Ora
io domando se vi può essere qualcosa di più chiaro, pronto,
esplicito, radicale del mio ordine del 18 settembre 1) prece1) Tanto chiaro ed esplicito che, contraddicendo esso alla tesi offensiva
sostenuta dal generale Capello, questi ha creduto bene di non farne parola
nel suo libro Per la verità nel quale pubblica in appendice i più importanti documenti. Il generale si indusse soltanto a riferire quell'importantissimo documento nelle Note di guerra quando vide che altri l'avevano pubblicato.
315
316
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
il generale Capello non avrebbe più potuto neppure concepire
l'idea della controffensiva in grande stile, perché lo schieramento difensivo delle artiglierie non ne avrebbe reso possibile
l'attuazione. Se ne deve dedurre — non dovendo io pensare
ad una intenzionale disobbedienza che tutti i precedenti del generale Capello mi facevano escludere — che egli non arretrò
le artiglierie perché era invincibilmente soggiogato dal concetto della grande controffensiva, e conservava la speranza di poterla tradurre in atto.
È bensì vero che io non ignoravo i concetti da lui espressi nelle tre conferenze del 19 settembre,1) del 9 ottobre
e del 18 ottobre. Ma io osservo che nella conferenza del
19 settembre egli accennava ad un concetto difensivo-controffensivo che doveva avere il sopravvento sul concetto offensivo,
e poi diceva pure che il « concetto attuale non è offensivo, ma
di difesa manovrata » — tutte queste cose che andavano perfettamente d'accordo col mio ordine del 18 settembre, perché
la difesa dev'essere sempre manovrata, ossia accompagnata da
energiche azioni controffensive, per quanto parziali. Il tenore
di quelle parole non era adunque sufficiente a destarmi il dubbio che il generale Capello inclinasse ad agire in modo diverso
da quello da me prescritto col mio ordine del 18 settembre.
E così pure la frase scritta a proposito dello schieramento delle
artiglierie, di « lasciare avanti quanto è necessario per garantirci le posizioni e poter passare alla controffensiva », non era
di tal natura da lasciarmi supporre che in seguito al perentorio
e chiaro mio ordine del 18 settembre il generale Capello meditasse ancora di lasciare avanti tutte o quasi tutte le artiglierie pesanti per poter procedere alla controffensiva in grande
stile; ché, se l'avessi sospettato, sarei tosto intervenuto. Si noti
pure che tale dicitura non è sostanzialmente diversa dalla mia
prescrizione del 10 ottobre di lasciare sull'altopiano di Bain-
sizza i medi calibri più mobili; mentre, per dare appoggio ad
una controffensiva in grande stile non sarebbero state di troppo tutte le artiglierie.
Dove il concetto controffensivp in grande stile appare più
chiaramente è nella conferenza del 9 ottobre : « Noi dobbiamo essere pronti non solo per la difensiva, ma anche per la
controffensiva... Il nostro schieramento d'artiglieria è eccessivamente offensivo e deve essere in parte modificato. Deve avere carattere difensivo, ma permettere la manovra controffensiva
in modo non solo da arginare, ma da ribattere e guadagnar
terreno. Non deve quindi essere né troppo ardito, né eccessivamente prudenziale, deve invece permettere la validissima difesa e fulminea controffesa. » Ma se si tien conto che il seguente giorno 10 ottobre io emanavo l'ordine che ho trascritto
e di cui discorrerò tra poco, nel quale davo disposizioni di carattere strettamente difensivo, in perfetto accordo con quelle
del 18 settembre, io avevo il diritto di credere che ciò bastasse
a dileguare qualsiasi equivoco. Tuttavia debbo ora riconoscere
che, per dileguare qualsiasi possibile equivoco, avrei fatto bene
a sorvegliare maggiormente il generale Capello e ad accertarmi della esecuzione dei miei ordini, a cominciare da quello
chiarissimo del 18 settembre, e soprattutto a chiedergli spiegazioni del fatto che l'8 ottobre il nostro schieramento d'artiglieria era ancora eccessivamente offensivo, contrariamente a quanto avevo ordinato il 18 settembre. Tale notizia essendo stata
scritta nel largo sunto di una conferenza, anziché nelle direttive dell'8 ottobre, mi è probabilmente sfuggita, occupato com'ero, in quel momento, in ricognizioni lungo la fronte trentina. Dopo aver fatto queste franche dichiarazioni, debbo però
soggiungere che notizie e criteri così importanti quali son quelli
che emergono dalla conferenza del 9 ottobre avrebbero dovuto chiaramente apparire — sia alle autorità dipendenti, sia
al Comando Supremo — non già da una semplice conferenza, ma
dai dispositivi di manovra delle direttive dell'8 ottobre, dalle
quali, invece, nulla appariva, come ora dimostrerò.
Il concetto controffensivo in grande stile apparisce ancora
1
) Nella precedente conferenza del 17 settembre il generale Capello aveva
nettamente espresso il concetto di una controffensiva in grande stile; ma nel
seguente giorno 18 settembre era intervenuto il mio chiarissimo ordine per
il passaggio alla difensiva. Perciò io non potevo dubitare che il generale Capello non avrebbe dato a questo immediata attuazione.
317
319
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
una volta nella conferenza del generale Capello del 18 ottobre,
dove egli parla di manovra di armata. Ma il seguente giorno
19, con ordine verbale tradotto poi in ordine scritto del 20
ottobre — che riprodurrò tra poco —, io gli ordinavo formalmente di limitarsi nella difesa alla controffensiva locale. Perciò
io non so dove si possa riscontrare nei miei ordini una sia pur
tacita approvazione a grandi concetti controffensivi.
mai abrogato, in modo che fosse la più efficace possibile; e a
tale scopo era necessario che fossero arretrate le artiglierie come avevo pure prescritto. A togliermi ogni dubbio che le direttive del comandante della II Armata contraddicessero i miei
precedenti ordini contribuirono pure i periodi delle suddette
direttive che si riferiscono all'azione del IV e del XXVII Corpo, i quali fronteggiavano le direzioni più pericolose d'attacco
ed ai quali fu assegnato un compito esclusivamente difensivo:
« Il IV Corpo, ispirandosi a concetti analoghi a quelli degli altri corpi d'armata, dovrà però limitare la sua azione ad una più
stretta difensiva, salvo a cooperare più direttamente con il
XXVII Corpo per parare ad azioni offensive nemiche eventualmente partenti dalla testa di ponte di Tolmino, giovandosi largamente dello schieramento d'artiglieria della sua ala destra
molto appropriato allo scopo, ed anche giovandosi di quelle riserve di, Corpo d'Armata che sono dislocate da quella parte. »
Ond'è che, dopo aver preso conoscenza delle direttive dell'8 ottobre, io scrivevo il 10 ottobre al comandante della II Armata (ordine già riferito precedentemente):
« Concordo con codesto comando nel ritenere possibile una
offensiva nemica su codesta fronte, e soprattutto nel giudicare
necessari e urgenti tutti i provvedimenti intesi ad adeguatamente fronteggiarla.
« A tal fine ben rispondono le direttive n. 5757 diramate
l'8 corrente ai comandi dipendenti e inviatemi in comunicazione. Le approvo in massima, e particolarmente richiamo l'attenzione ecc. »
Il generale Capello afferma di aver scorto in queste mie
parole una incondizionata approvazione del suo concetto controffensivo, mentre tale approvazione era evidentemente subordinata ad una « precedente offensiva nemica arginata e paralizzata », quale era prescritta dalle sue direttive dell'8 ottobre e
che avrebbe reso assai più facile quella controffensiva. La cosa
è ben diversa. Cade così la contraddizione che si è creduto di
rilevare e rimane invece dimostrata la costanza del mio pensiero difensivo, il quale venne ancora molto chiaramente con-
318
L'8 ottobre, il generale Capello emana le sue direttive per
la difesa, riferite nell'allegato 10 del libro Per la verità. Dopo
avere esposto a quali concetti debba inspirarsi la condotta dei
vari comandi in caso di offensiva nemica, egli scrive : « Non
bisogna dimenticare che spesso un'offensiva nemica arginata e
paralizzata può dare favorevole occasione per una più grande
azione controffensiva. Ciò può essere tanto più vero in questo
momento in cui noi abbiamo notevole superiorità morale sul
nemico. » A questo punto le direttive stabiliscono delle norme per l'esecuzione di questa eventuale controffensiva.
Ognuno vede, leggendo le parole che ho testualmente riferite, che si trattava non già di una controffensiva da sferrarsi
in primo tempo, appena si fosse manifestato l'attacco nemico,
ma di una controffensiva che doveva far seguito « ad una offensiva già arginata e paralizzata, » ossia che avrebbe dovuto
eseguirsi in seguito ad una difesa ad oltranza quale io l'avevo
prescritta il 18 settembre. Richiamo particolarmente l'attenzione del lettore su questo punto, il quale è fondamentale, anche
per ciò che dovrò dire in seguito.
Dunque io non potevo non approvare tale concetto che per
nulla contraddiceva allo stesso mio ordine del 18 settembre.
Difatti alla controffensiva che avrebbe seguito si sarebbe pensato poi, secondo il risultato raggiunto colla difensiva, ed impiegandovi le riserve d'armata e quelle a disposizione del Comando Supremo; ma intanto era d'uopo subordinare l'organizzazione di questa controffensiva a quella della difesa ad
oltranza, come io l'avevo prescritta coll'ordine del 18 settembre
321
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
fermato nello stesso mio ordine del 10 ottobre, sia dalla prescrizione del passaggio sulla destra dell'Isonzo (che non fu poi
eseguito) della maggior parte delle truppe del XXVII Corpo,
sia dall'ordine di mantenere sull'altopiano di Bainsizza soltanto
i più mobili dei suoi medi calibri. Tutto quell'ordine ha una
impronta strettamente difensiva (giammai vi si parla di controffensiva in grande stile) ed è in perfetta concordanza col
precedente ordine del 18 settembre e col seguente del 20 ottobre che riferirò in seguito. Tale impronta non sarebbe sfuggita all'acume del generale Capello se non avesse avuto la mente
preoccupata dal desiderio di eseguire ad ogni costo una grande manovra controffensiva. A chi consideri l'insieme dei miei
ordini nel loro naturale significato, senza cioè alterarne il
senso appoggiandosi a frasi staccate, chiarissimo appare il mio
concetto costantemente difensivo, e tale è apparso al comando
della III Armata al quale i medesimi ordini furono pure diretti,
non avendo esso la mente suggestionata dal desiderio di manovre impossibili a tradursi in atto in quel momento.
Che io rimanessi costantemente in tale ordine di idee è
dimostrato anche dal mio telegramma del 17 ottobre (allegato
n. 13 del libro: Per la verità), nel quale si vorrebbe ravvisare
una novella contraddizione poiché in esso io dicevo che la
II Armata avrebbe dovuto provvedere « alle masse di manovra » coi suoi soli mezzi, mentre non le venivano dati i mezzi
a parere del generale Capello necessari.
Ma, prima di discorrere di tale argomento, io debbo riprodurre integralmente il documento finora inedito al quale io
rispondevo col suddetto telegramma del 17 ottobre. Esso è un
promemoria, in data 16 ottobre, riflettente un colloquio che
ebbe luogo il precedente giorno 15 tra il generale Capello e il
colonnello Cavallero — promemoria inviatomi dal generale
Porro, sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito:
acconsentito a conferire con un ufficiale del comando, ho mandato
da lui il colonnello Cavallero.
Il generale Capello ha premesso che avrebbe avuto vivissimo
desiderio di conferire personalmente con V. E. ed ha espresso il rammarico di non potersi recare a Vicenza; dopo ciò ha avuto con il colonnello Cavallero un lungo colloquio che è qui di seguito riassunto.
Anzitutto il generale Capello ha detto che dal complesso degli
indizi e dalle informazioni egli è indotto a ritenere che la offensiva
nemica potrà pronunciarsi non prima della terza decade del mese
corrente, e più probabilmente verso la fine.
Dopo ciò il generale Capello ha ripetuto che egli considera una
risoluta controffesa come il mezzo più sicuro per rintuzzare l'attacco
nemico; e che tale controffesa egli si propone di sviluppare dalla
conca dì Vhr, che definisce « città della controffensiva » ; direzioni
possibili di tale controffesa, da un lato quella di Veliki Celo ed :oltre,
dall'altra quella di Ravnica.
All'uopo il generale Capello sta predisponendo una massa appositamente addestrata; ne farà parte la brigata Sassari che si sta trasformando in brigata d'assalto.
Il generale Capello è poscia passato a trattare delle artiglierie,
delle forze e dei mezzi che gli occorrono per sviluppare tale azione.
320
S. E. il generale Capello ha espresso ieri nel pomeriggio, per telefono, il desiderio di conferire in giornata con me; non potendo io
sul momento assentarmi da questa sede, ed avendo il generale Capello
Artiglierie - Il generale Capello ha nuovamente lamentato la sottrazione di artiglieria fatta recentemente alla II Armata,1) asserendo
che su quelle artiglierie, anche perché il personale di esse era già
orientato sul terreno, avrebbe avuto bisogno di poter contare per
essere sicuro di fronteggiare qualunque eventualità; ha soggiunto di
avere predisposto due potenti masse di artiglieria, corrispondenti l'una
al XXVII Corpo e alla destra del IV, l'altra al VI ed all'VIII; mancargli la possibilità di formare una potente massa al centro.
Ha poi chiesto di conoscere la composizione del nucleo che la
III Armata deve tenersi pronta a cedere alla II; ed ha indicato come
urgente la richiesta di un reggimento da campagna e due gruppi da
montagna (preferibilmente quelli allontanatisi dalla II Armata).
Quanto all'arretramento delle artiglierie, il generale Capello ha
informato che per soffocare l'attacco al suo nascere, battendo le linee
1) Come ho esposto a pag. 140 del vol. II del mio libro La guerra alla
fronte italiana, si trattava delle sottrazioni indispensabili a restituire alla I Armata l'armamento di sicurezza, che le era stato provvisoriamente diminuito
per accrescere al massimo grado le masse di artiglieria sulla fronte Giulia
nella grande offensiva dell'agosto 1917 (battaglia tra l'Idria e il Timavo).
Al generale Capello, solo preoccupato del proprio comando, sfuggivano le
ragioni d'ordine generale che avevano indotto il Comando Supremo ad ordinare
quei trasferimenti d'artiglierie.
21 -
CADORNA.
322
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
di partenza del nemico — ciò che vien fatto essenzialmente cogli
obici campali pesanti — egli deve tenere quelle batterie relativamente
innanzi, in relazione alla loro gittata, e che la stessa conca di Vhr
risulta già troppo indietro a tale scopo.
Forze - Il generale Capello ha fatto presente che la nostra superiorità numerica sulla fronte Giulia va di giorno in giorno diminuendo (ha detto « va sfumando » ); ha comunicato essere stato accertato l'arrivo di un reggimento proveniente dalla Carnia e segnalato
l'arrivo di truppe della 27* divisione provenienti dalla fronte romena
(ciò risulta anche all'ufficio situazione).
Ciò premesso il generale Capello ha chiesto di conoscere su quante forze egli potrà contare se attaccato. All'obiezione fattagli dai
colonnello Cavallero sembrargli più opportuno che egli precisasse il
presumibile fabbisogno, ha chiesto di avere a propria disposizione fin,
d'ora un altro corpo d'armata su tre divisioni (comandante Bongiovanni). Ciò, ha soggiunto, gli permetterebbe di dislocare, come ha in
animo, un corpo d'armata dietro la regione del M. Ieza, e gli consentirebbe a buon momento la fulmineità della controffesa
Tale corpo d'armata il generale Capello intende «in più» delle
forze che sono presentemente a sua disposizione (equivalenti a divipioni 22 Vi), dedotte perciò le riserve del Comando Supremo che sono
nel territorio della II Armata (60*, 53*, 13" divisione, con 7 brigate
complessivamente).
Il generale Capello ha espresso il desiderio che le tre divisioni
da lui chieste siano attinte alla III Armata, fra quelle che devono
passare a disposizione del Comando Supremo; ciò, per poter addestrare
in tempo queste truppe secondo le proprie vedute, mentre le riserve
del Comando Supremo che sono nel territorio della II Armata hanno
già tale istruzione e sono quindi pronte per venire impiegate a buon
momento.
Mezzi - Il generale Capello ha chiesto che venga predisposta la
maggiore possibile quantità di autocarri per trasporto di truppe; che
gli vengano assegnate molte motociclette pel caso di interruzione delle comunicazioni; che gli vengano aumentati i mezzi aerei.
Complementi - Il generale Capello ha molto insistito sulla questione dei complementi, per la quale si è mostrato preoccupatissimo.
Ha esposto la situazione dei complementi presso l'Armata (V. allegato 1) e quella della forza delle brigate (V. allegato 2). In relazione
a ciò ha ordinato al sottocapo di Stato Maggiore dell'Armata, presente a questa parte del colloquio, di procedere via via alla trasformazione dei reggimenti su due soli battaglioni (a 4 compagnie ciascuno).
Secondo notizie riferite dai prigionieri e ripetute dal generale
Capello, l'attacco nemico sarebbe preceduto da un tiro prolungato a
gas asfissianti, spinto alle più lontane retrovie. Il generale Capello ha
disposto fin d'ora per lo sgombero delle conche e per il raddoppiamento delle maschere alle truppe, »
323
Sono particolarmente da notare nel documento ora riferito
le parole stampate in corsivo del quarto alinea. Ma che cosa significano esse? Che il generale Capello intendesse svolgere una
grande offensiva in primo tempo, appena si sferrava l'offensiva
nemica? oppure che egli volesse lanciare una grande controffensiva, dopoché l'offensiva nemica era stata arginata e paralizzata, secondo le sue direttive dell'8 ottobre? Ecco l'eterno equivoco! Ma io non potevo dare alle sue parole che la seconda
interpretazione, perché questa era in armonia colle direttive del
generale Capello dell'8 ottobre, e perché nel colloquio del 15
ottobre egli parla di controffesa, la quale fa sempre seguito all'offensiva nemica. Per dare la prima interpretazione avrei dovuto pensare che il generale Capello contraddicesse le sue parole di sette giorni innanzi, e ciò non era evidentemente possibile. E non potevo avere nulla in contrario al concetto di manovra esposto, da attuarsi, ben inteso, quando l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata. Perciò inviavo al generale Capello il telegramma del 17 ottobre, ore 13,30, che credo opportuno di trascrivere:
« 4835 G. M. - Comunica a V. E. seguenti mie disposizioni relative varie questioni trattate con colonnello Cavallero nel colloquio
del 15 corrente. V. E. se attaccato può fare assegnamento sulle forzo
di cui attualmente dispone, colle quali pertanto è necessario provveda
alla costituzione delle progettate masse di manovra. Per il miglior inquadramento di queste dispongo passi dipendenze V. E. comanda VII
Corpo tenuto da generale Bongiovanni. Per quanto riflette le artiglierie, V. E. può fare assegnamento su quelle di cui attualmente dispone schierandole nel modo migliore per attuazione del concetto di
manovra esposto. Fino a tanto che non siano ben chiarite estensione e
direzione offensiva nemica, non posso consentire spostamento, comandi. gruppo e batterie ed un pezzo per batteria del nucleo artiglierie
mobili tenuti pronti presso comando III Armata. Dispongo che siano
dalla I Armata posti a disposizione di V. E. un reggimento da campagna e due gruppi da montagna. Circa complementi la situazione
324
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
non mi sorprende perché appunto in previsione della crisi che oggi
si verifica ho dovuto mio malgrado prendere la decisione di assumere*
atteggiamento difensivo. È superfluo che raccomandi a V. E. di sfruttare completamente tutto il materiale umano esistente nell'Armata,
compresi i numerosi inabili segnalati dai battaglioni complementari
e nelle brigate di marina. A scanso di equivoci avverto che nessun
battaglione deve essere sciolto anche se stremato di forze, senza espresso ordine di questo Comando. Dispongo per autocarri e motociclette
e possibilmente aumento mezzi aerei. »
so giorno in cui io gli inviavo il telegramma soprariferito),
ben più che di compiti difensivi il generale Capello mi parlò
di progetti controffensivi da svolgersi quando l'attacco nemico,
non temuto, anzi desiderato, si fosse infranto contro la resistenza delle nostre prime linee. » Questo concetto non è che
la ripetizione, con altre parole, di quello delle direttive dell'8
ottobre.
Devesi quindi concludere che la contraddizione non era in
me, come pretenderebbe il generale Capello, ma nella sua mente. Mentre da un lato egli riconosceva la necessità di arginare
e paralizzare l'offensiva nemica prima di lanciare la grande controffensiva, non poteva dall'altro staccare la mente dal primitivo concetto della grande controffensiva d'armata da lanciare
in primo tempo; né si rendeva chiaro conto che i due concetti,
difensivo e controffensivo, non scaglionati debitamente nel tempo, dovevano necessariamente ingenerare un compromesso nella dislocazione delle forze e dei mezzi. Ne risultò, in conseguenza, un indebolimento nell'intelaiatura difensiva, senza avere per
questo a giusta portata i mezzi per l'inizio subitaneo della controffesa.
Tutti questi equivoci furono certamente deplorevoli; ma essi non sarebbero nati se il mio ordine del 18 settembre avesse
avuto immediata esecuzione, poiché quell'ordine non ammetteva doppie interpretazioni.
Dove si trova in questo telegramma la pretesa contraddizione? In esso io rammentavo la mia decisione di
assumere atteggiamento difensivo, e questo in armonia a
tutti i miei precedenti ordini sarebbe dovuto bastare a
dissipare qualsiasi equivoco. Ed in armonia a questo atteggiamento difensivo mi rifiutavo a spostare i comandi gruppo e le
batterie fino a tanto che non fossero ben chiarite l'estensione
e la direzione dell'offensiva nemica. Tutto questo conferma
che nel mio pensiero (come in quello del generale Capello
espresso nell'ordine del 10 ottobre) la controffesa non poteva
aver luogo che in secondo tempo, dopo che l'offensiva nemica
fosse stata arginata e paralizzata.
La II Armata disponeva della ingentissima forza di 353 battaglioni, colla quale — tenendo conto del grande valore difensivo del terreno e delle linee fortificate — era in misura di
provvedere alla difesa ad oltranza, da me sempre prescritta, scaglionando le sue forze nella profondità, e alla costituzione di
masse di manovra da lanciarsi a momento opportuno dopoché,
secondo le stesse direttive dell'8 ottobre del comando della
II Armata, l'offensiva nemica fosse stata arginata e paralizzata (lo ripeto).
D'altronde il generale Capello stesso, in altre manifestazioni del suo pensiero, si era reso conto della necessità che l'azione
difensiva avesse la precedenza sull'azione controffensiva. Trascrivo, ad esempio, le seguenti parole contenute nell'opuscolo
del generale Bongiovanni (pag. 9 ) : Il comando del VII Corpo
d'Armata nella battaglia di Caporetto:
« ... nella conferenza serale del 17 ottobre (proprio lo stes-
325
* * #
Egli è perciò che, chiariti gli equivoci nel mio colloquio del
19 ottobre, comunicavo verbalmente al generale Capello gli
ordini che furono poi confermati per iscritto colla seguente lettera del 20 ottobre:
Il disegno di V. E. di contrapporre all'attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso inattuabile dalla presente situazione della forza presso le unità e dalla gravissima penuria di complementi V. E. conosce l'una e l'altra e sa che, per questo appunto,
ho dovuto con grande rammarico rinunciare alla seconda fase della
327
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
nostra offensiva, fase che si delineava promettente di fecondi risultati.
Ciò posto è necessario ricondurre lo sviluppa del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace, entro i reali confini che le
forze disponibili ci consentono.
Il progetto della grande offensiva d'armata ad obiettivi lontani
deve essere abbandonato; esso ci condurrebbe in sostanza a sviluppare
una grande offensiva di riflesso, non meno costosa di quella seconda
fase alla quale già abbiamo rinunciato. Troveranno posto invece, nel
quadro di una tenace difesa attiva, risoluti contrattacchi, condotti da,
truppe appositamente preparate, ed inspirati a quel concetto dell'attanagliamento ben delineato dall'E. V., ma con carattere locale, contenuti cioè entro il raggio tattico, per mantenere la difesa nei limiti
della indispensabile economia.
Per tutte le esigenze di una siffatta difesa, i 336 battaglioni di
cui l'Armata dispone1' debbono largamente bastare. V. E. tenga presente che se nel venturo anno si pronunciasse contro di noi uno
sforzo imponente degli Imperi Centrali, la necessità di fronteggiare
attacchi in altre direzioni e di conservare una potente riserva generale a mia disposizione non mi consentirebbe certo di lasciare su codesta fronte, per la difesa a oltranza, forze pari a quelle che vi si trovano. Quanto alle artiglierie, V. E. mi ha accennato alle due poderose
masse costituite alle ali della presumibile fronte di attacco ed alla
mancanza delle batterie occorrenti per formare altra potente massa al
centro. Ora però, tenuto conto dei più modesti limiti entro i quali è
stato ricondotto il disegno operativo, i 2500 pezzi di piccolo, medio
e grosso calibro e le 1134 bombarde di cui dispone l'Armata debbono essere sufficienti per provvedere in modo completo a tutte le
esigenze di un solidissimo schieramento di difesa ad oltranza.
Circa i complementi ho provveduto per l'urgente affluenza di
alcune migliaia di questi, provenienti dai piccoli di statura già istruiti
presso brigate di marcia della II Armata.
Ai suesposti concetti V. E. vorrà pertanto informare le nuove
direttive da impartire ai comandi dei corpi d'armata dipendenti, o le
varianti alle direttive precedentemente emanate, e di tali nuove disposizioni gradirò di avere conoscenza al più presto.
sono esattamente uguali a quelle del mio ordine del 18 settembre.
Taluno ha osservato che se io dicevo in quest'ordine che
« il progetto della grande offensiva d'armata ad obiettivi lontani deve essere abbandonato » e che perciò bisognava impartire « nuove direttive » ai comandi di corpo d'armata, ciò dimostra che io sapevo che il piano del generale Capello era controffensivo in grande stile. Comprendo come il mio ordine, esaminato ora, a distanza di tempo, possa produrre questa impressione. Ma, in realtà, essendo stato scritto immediatamente dopo
il colloquio col generale Capello del 19 ottobre, esso non è che
un riflesso del medesimo. E, anzi, quelle parole dimostrano che
il 19 ottobre il generale Capello ancora coltivava « il progetto
della grande controffensiva che doveva far seguito ad una offensiva nemica già arginata e paralizzata » !
Il generale Capello, a pag. 73 del libro Per la verità, racconta che nel colloquio del 19 ottobre io fui gentilissimo con
lui e che non era quello il contegno che un superiore avrebbe
tenuto con un inferiore che in sì grave frangente avesse disubbidito od anche soltanto tiepidamente obbedito.
E io rispondo che avrei dato davvero bella prova di un alto
intendimento psicologico se, alla vigilia di una grande battaglia,
alla quale avrebbe specialmente partecipato un'armata di così
grandi proporzioni qual era la II, io avessi turbato l'animo del
suo comandante con rimproveri e facendogli sentire la responsabilità che si era addossato, invece di rafforzare in lui la fiducia
in se stesso e nella vittoria!
Ma tutte queste sono considerazioni di secondaria importanza. Ciò che invece importa di constatare è che i miei tre
ordini scritti, del 18 settembre, del 10 ottobre e del 20 ottobre,
concordano completamente nel medesimo concetto fondamentale della difesa controffensiva ad oltranza — che nessuno di
essi fu mai abrogato — che nulla io dissi verbalmente che
autorizzasse, anche parzialmente, la loro inesecuzione. Questo
è il fatto centrale di fronte al quale cade qualsiasi ragionamento.
326
Il capo di Stato Maggiore dell'esercito
L. CADORNA
Le ragioni colle quali, in principio del precedente ordine,
motivavo la rinuncia all'offensiva e il passaggio alla difensiva
x
) Furono poi 353 il 24 ottobre.
328
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
###
A prova di quanto ho scritto fino ad ora, trascrivo dal
volume II delle Note di guerra del generale Capello pagine 154-155 il suo concetto quale fu da lui stesso riassunto:
In omaggio al principio fondamentale di arte militare, che ogni
azione difensiva debba considerarsi come transitoria, per sferrare a
momento opportuno la controffensiva, il comando dell'Armata si fissa
nell'idea di integrare la difesa ad oltranza, prescritta dal Comando
Supremo, con una poderosa controffensiva da scatenarsi in direzione
tale da paralizzare l'attacco nemico nell'inizio del suo sviluppo.
Questo concetto che in origine fu — almeno in apparenza (?) —
approvato dal Comando Supremo, venne poi dal Comando stesso abbandonato. Intanto il comando della II Armata prescriveva ai comandanti di corpo d'armata una condotta tatticamente attiva collo scopo di:
a) sbarrare al nemico l'avanzata, attanagliando con contrattacchi di fianco le colonne avversarie che fossero riuscite ad entrare
nelle nostre linee;
b) iniziare, in caso favorevole (dunque dopo la difensiva), atti
controffensivi più profondi per facilitare l'azione strategica da affidarsi alla riserva d'armata;
c) assicurare al comando di armata il tempo necessario {due o
tre giorni almeno) per fare affluire le riserve ed iniziare la manovra
strategica la quale non doveva iniziarsi che due o tre giorni dopo
il principio dell'offensiva nemica.
La manovra strategica era stata, in linea generale, preannunziata
ai comandi di grandi unità nel modo seguente:
Si doveva approfittare del saliente della Bainsizza per sferrare
sul fianco del nemico operante dalla conca di Tolmino verso la testa
di ponte di Santa Maria e Santa Lucia un poderoso e travolgente
attacco in forze.
La riserva d'armata si sarebbe sollecitamente raccolta nella conca
di Vhr, che rappresentava un'ottima piazza d'armi, ad immediata portata del fronte di attacco.
Da queste parole si deduce una notevole contraddizione:
prima si parla di poderosa controffensiva atta a paralizzare l'attacco nemico nell'inizio del suo sviluppo, e poi si accenna al
tempo necessario {due o tre giorni almeno') per fare affluire le
riserve ed iniziare la manovra strategica.
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
329
Da queste ultime parole e dall'accenno alla difensiva ad oltranza verrebbe confermato ciò che già il generale Capello aveva esposto nelle sue direttive dell'8 ottobre, cioè che egli intendesse di sferrare una grande controffensiva dopoché l'offensiva
nemica fosse stata arginata e paralizzata, il che entrava perfettamente nel mio quadro della difesa ad oltranza, alla quale però
il generale Capello avrebbe dovuto subordinare tutte le sue disposizioni a cominciare dall'immediato arretramento delle artiglierie e dal passaggio della maggior parte del XXVII Corpo
sulla destra dell'Isonzo, secondo quanto avevo prescritto nei
miei ordini del 18 settembre e del 10 ottobre.
Quanto poi all'addensamento delle riserve d'armata nella
conca di Vhr a scopo di manovra d'armata, osservo: o si attendeva ad ordinare il trasferimento di queste riserve che l'attacco
nemico si fosse infranto contro la nostra difesa ad oltranza, ed
allora sarebbero stati necessari molto più di due o tre giorni
dall'inizio dell'attacco nemico, per poter scatenare la grande
controffensiva, ed a questa sarebbe mancato quel carattere di
fulmineità 1) che il generale Capello voleva darle, come risulta
da altri luoghi dei suoi libri. Oppure l'avviamento delle riserve
verso la conca di Vhr sarebbe incominciato all'inizio dell'attacco nemico ed allora, venendo esse a mancare allo scopo difensivo, tanto valeva addensare queste riserve in quella conca in
precedenza all'attacco. Ma, in tal caso, si sarebbero accumulate
così forti masse di truppe sull'altipiano di Bainsizza che difficilissima ne sarebbe stata la ritirata quando la grande controffensiva non avesse avuto felice esito ed il nemico, in conseguenza della sottrazione di tali riserve, fosse rapidamente riuscito a superare le nostre difese di fronte alla testa di ponte di
Tolmino, come malauguratamente avvenne il 24 ottobre. A
1) Quella del 1870-71 fu l'ultima grande guerra nella quale furono possibili gli attacchi fulminei. Nella guerra moderna, quando il nemico disponga
di forti posizioni naturali, ben fortificate e sia ben deciso a difenderle, l'attacco non può essere che lento. Occorre perciò abbandonare le concezioni antiquate di manovra, per quanto ciò possa dispiacere, e regolare le proprie deliberazioni sulla realtà delle cose. Ciò almeno sino a tanto che il rapporto fra
i mezzi di attacco e quelli di difesa non sia radicalmente mutato.
330
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
pag. 138 del vol. II delle Note di guerra il generale Capello
mette in giusto rilievo gli inconvenienti prodotti dal grande
rientrante della nostra linea di difesa in corrispondenza della testa di ponte di Tolmino. Quanto più grande sarebbe stato il
pericolo se egli avesse ancora addensato le riserve d'armata
e costituito la nuova grande massa di artiglieria nella conca di
Vhr! Tali provvedimenti sarebbero stati solo giustificati qualora egli avesse avuto la certezza di ottenere mediante la controffensiva il grande risultato strategico cui mirava, prima che
le nostre linee di fronte alla testa di ponte di Tolmino fossero
sfondate. Ma chi poteva avere questa certezza? Anzi, per le ragioni ampiamente esposte a pag. 150 e seguenti del vol. II del
mio libro La guerra alla fronte italiana, tale controffensiva non
aveva alcuna probabilità di riuscita. Ed allora si imponeva l'impiego delle riserve per assicurare in primo tempo la difesa ad
oltranza, salvo a passare poi in secondo tempo ad azioni offensive, se le circostanze lo consigliassero.
* # #
Passo ora a discorrere dell'altra contraddizione che il generale Capello ha creduto di riscontrare nel mio ordine del 10
ottobre. Così egli si esprime a pag. 66 del libro Per la verità :
Detto Comando, infatti, mentre ordinava che, sull'altopiano di
Bainsizza, non rimanessero, fra le artiglierie di medio calibro, che
quelle più mobili, e fossero predisposte anche per queste i mezzi più
adatti per un ordinato ripiegamento, prescriveva però al paragrafo
successivo che, durante il bombardamento nemico, si svolgesse una
violentissima contropreparazione nostra. E precisava il suo pensiero
dicendo che l'azione di fuoco doveva schiacciare la fanteria nemica
sulle trincee di partenza per disorganizzare ed annientare l'attacco
nemico prima che si sferrasse.
La contropreparazione spettava evidentemente non solo ai piccoli
calibri, ma anche ai medi e grossi calibri con azione intensa sulle
linee nemiche e sulle retrovie, per scuotere la compagine nemica con
l'effetto del loro tiro terrificante.
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
331
Rispondo con le stesse parole con le quali risposi alla Commissione d'inchiesta allorché questa mi interrogò sulle stesse
contraddizioni rilevate dal generale Capello, parole riportate a
pag. 82 del vol. I della relazione:
Se il generale Capello credeva che gli ordini fossero contraddittori, avrebbe dovuto chiedermi spiegazione e io gli avrei dimostrato
che la contraddizione non esisteva. Ad ogni modo, di fronte a due
ordini da lui ritenuti contraddittori, egli avrebbe dovuto subordinare
il meno importante a quello più importante ed applicarlo nei punti
ove non vi era possibilità di concepire contraddizioni con l'altro ordine.
Del resto non vi è affatto contraddizione. Se si deve schiacciare
una fronte continua e molto estesa, è logico e necessario che devono
intervenire tutte le artiglierie nella massima quantità possibile, trattandosi di distruggere tutti gli ostacoli che si presentano per l'attacco. Ma qui si trattava soltanto di schiacciare il nemico all'atto
dello sbocco; e quindi di battere soltanto i punti più favorevoli allo
sbocco, scopo questo più limitato che si può raggiungere senza l'impiego di tutta l'artiglieria. E io avevo appunto detto nell'ordine di
lasciare sull'altopiano della Bainsizza l'artiglieria più mobile, il cui
tiro, congiunto a quello dell'artiglieria da campagna — poiché non si
trattava di distruggere ostacoli — sarebbe stato efficacissimo.
E' bensì vero che nel mio ordine del 10 ottobre era anche
detto : « Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle
zone di probabile irruzione delle fanterie. » Ma questo ordine
si riferiva in genere a tutta la fronte della II Armata, ed è evidente che laddove potevano concorrere al tiro di contropreparazione tutti i medi ed anche i grossi calibri, esso doveva riuscire più efficace. Ma è del pari evidente che in quelle zone
nelle quali vi era contrasto tra la convenienza di questo concorso e la necessità di arretrare le artiglierie, quest'ultima doveva avere il sopravvento: il Comando Supremo non poteva
sminuzzare i suoi ordini per riferirsi a tutte le singole parti della fronte di un'armata. Spettava ai comandanti delle armate
di regolare in modo intelligente l'applicazione secondo le varie
circostanze locali.
Del resto, lo stesso generale Capello, nel colloquio avuto
332
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
il 15 ottobre col colonnello Cavallero — colloquio- riferito nel
Promemoria del generale Porro che ho precedentemente trascritto — aveva detto : « Quanto all'arretramento delle artiglierie, il generale Capello ha informato che per soffocare l'attacco al suo nascere, battendo le linee di partenza del nemico
— ciò che vien fatto essenzialmente cogli obici campali pesanti — egli deve tener quelle batterie ecc.. » Perfettamente
d'accordo! Dunque non era un gran male arretrare i grossi
calibri ed i medi calibri mena mobili in quelle zone in cui ciò
era richiesto da considerazioni di altra natura.
Per chiarire queste pretese contraddizioni, il generale Capello avrebbe voluto abboccarsi con me; ma ciò non fu possibile in quei giorni tra il 10 e 18 ottobre, trovandosi, disgraziatamente, lui ammalato e io occupato in importanti ricognizioni
lungo la fronte tridentina, specialmente delle posizioni sull'altopiano di Asiago e del M. Grappa che furono poi nel seguente
novembre violentemente attaccate.
Il generale Capello, a pag. 69 del libro Per la verità, descrive con forti pennellate la tragedia che si svolgeva nel suo
animo, nell'impossibilità in cui si trovava di abboccarsi con me.
Molto mi duole di essere stato cagione involontaria di tanta
tragedia! Debbo però osservare che se si trattava soltanto di
chiarire delle credute contraddizioni ai miei ordini e di penetrare il mio preciso pensiero, il generale Capello possedeva un
mezzo molto facile, quello cioè di inviarmi il suo capo di
Stato Maggiore — tanto facile che fa meraviglia che non vi
abbia pensato.
Esposto quanto sopra, io debbo francamente dichiarare
che bene avrei fatto a maggiormente sorvegliare la esecuzione dei miei ordini per parte del generale Capello. Ne
fui distolto dalla improrogabile necessità di controllare l'esecuzione dei miei ordini concernenti la sistemazione difensiva sulla fronte tridentina — necessità che mi tenne su questa fronte
dalla fine di settembre al 19 ottobre. Inoltre, dati gli onorevoli
precedenti del generale Capello e la fiducia che mi aveva inspi-
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
333
rato, giudicai meno urgente questo controllo. l) Non si comanda un grande esercito moderno composto di milioni di uomini
e dislocato su molte centinaia di chilometri di fronte, se per
parte dei comandi delle armate (corrispondenti queste per l'entità delle forze agli antichi eserciti) il Comando Supremo non
ne è coadiuvato toto corde, coll'intendimento cioè di penetrare
lo spirito dei suoi ordini e di far loro assoluta esecuzione, spogliandosi all'uopo delle proprie differenti vedute.
Nei grandi eserciti il controllo non è mai stato facile ad
esercitare. Quando, ad esempio, nel 1806, Napoleone passò per
Wurzburg nel recarsi ad assumere il comando della grande
armée, trovò che ben poco era stato eseguito di quanto egli
aveva ordinato per la costituzione dei magazzini e per la preparazione in genere della campagna. E questo accadeva nel concitato imperio, laddove era abituale il celere obbedir! Figuriamoci dunque se il controllo è diventato più facile colle immense masse armate moderne!
In conclusione se è vero che per le varie ragioni che ho
esposte non ho potuto esercitare un sufficiente controllo, è anche vero che il generale Capello, ossessionato da un concetto
offensivo irrealizzabile in quel momento, inclinò a fare a modo
1) Vedansi a questo riguardo le bellissime considerazioni d'ordine psicologico esposte dal colonnello Angelo Gatti da pag. 211 a pag. 215 del capitolo « Fra le cause strategiche di Caporetto » del suo libro Uomini e folle di
guerra. Tali considerazioni mi hanno certamente indotto ad usare al generale
Capello ogni riguardo.
Il generale Capello era indubbiamente uomo di notevole capacità militare
ed al suo attivo si trovano la bella preparazione e la condotta delle battaglie
vittoriose di Gorizia e della Bainsizza. Ma egli era uomo di carattere turbolento e dominato da sfrenata ambizione. Quando, dopo la battaglia di Gorizia,
io seppi che al Quartier generale si erano dati convegno deputati di varie
gradazioni, anche socialisti, e che esso era diventato un covo di maldicenza
verso il Comando Supremo, non credetti, in grazia degli ottimi precedenti
militari del generale, di prendere a di lui riguardo gravi provvedimenti
e mi limitai a trasferirlo dalle rive dell'Isonzo all'altipiano di Asiago, al
comando prima del XXII, poi del V Corpo d'Armata. Ma, alla vigilia delle
operazioni offensive di primavera del 1917, non credetti di privarmi dei servizi di un così distinto generale e lo richiamai sull'Isonzo al comando della
zona di Gorizia. Dopo l'offensiva del maggio-giugno gli affidai il comando
della II Armata che egli condusse alla conquista della Bainsizza. In seguito
all'esito vittorioso di questa grande battaglia, non mancarono giornali che accennarono al generale Capello come ad un probabile mio successore al Co-
334
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
suo, non tenendo conto dei miei ordini, a cominciare da quello
chiarissimo del 18 settembre, e cercò poi di difendersi dalla
taccia di poco disciplinato ricorrendo a cavilli da leguleio e cadendo in molte contraddizioni.
Cavaciocchi per assumere informazioni sulla situazione presso
il IV Corpo e sugli eventuali bisogni per far fronte alla imminente offensiva. Trascrivo le seguenti parole che fanno parte
integrante del suddetto rapporto:
3. - L'azione del comando del IV Corpo d'Armata.
Il generale Cavaciocchi in un articolo pubblicato su La
vita italiana del dicembre 1919 scriveva queste parole: «È
poi assolutamente insussistente che da parte mia sia stato assicurato il Comando Supremo di nutrire la più completa fiducia nella possibilità di resistere con le forze di cui disponevo;
una consimile assicurazione non mi fu nemmeno richiesta. »
A pag. 158 e seguenti del vol. II del mio libro La guerra
alla fronte italiana io pubblicavo il rapporto del colonnello
Testa, inviato il 19 ottobre dal Comando Supremo al generale
mando Supremo. Io non posso affermare che egli abbia avuto mano in queste congiure, sebbene non siano mancati indizi ad indurmi in tale credenza ed
il suo carattere oltremodo ambizioso renda probabile la cosa.
Scrive la Commissione d'inchiesta a pag. 290 del volume II della sua
relazione che, a quanto sembra, io, a Vicenza, poco prima di Caporetto, avrei
pronunciato queste parole: « Del resto il generale Capello deve obbedire; se
non obbedirà, nonostante tutta la riconoscenza che gli devo. Io tratterò come
gli altri; qui si tratta di una questione molto grave e uno solo deve comandare. « E' verissimo che io ho pronunciato queste parole od altre consimili.
Ho fatto male a non dare attuazione alla minaccia? Ne giudichi il lettore.
Certo si è che, dati i precedenti che ho accennati, io sentii vivissima ripugnanza ad attuare un grave provvedimento verso un generale che aveva così
indubbie recenti benemerenze militari, provvedimento che sarebbe certamente stato interpretato dai miei avversari in modo del tutto diverso dalle
mie intenzioni. A ciò contribuì pure l'essere in parte distolta la mia attenzione
da quanto accadeva sull'Isonzo, dalle ricognizioni. che stavo compiendo con
grande attività sulla fronte tridentina, e dall'essermi perciò in quel momento
apparse meno gravi di quanto realmente lo furono le trasgressioni del generale Capello ai miei ordini. Ripeto quanto dissi già altrove: date le ingentissime masse con le quali si fa la guerra oggigiorno, e date le enormi estensioni
delle fronti, il Comando Supremo non è in grado di provvedere a tutto ed è
più che mai necessario che alla testa delle grandissime unità vi siano generali
di piena fiducia, alieni da sogni ambiziosi, dei quali si sia certi che agiscono
toto corde nello spirito delle disposizioni del Comando Supremo.
335
c) Bisogni: in lìnea generale nessuno.
L'Armata aveva già concesso quanto era stato largamente richiesto (una parte delle batterie doveva ancora giungere). Se desideri per
un dì più si fossero dovuti rappresentare, questi riflettevano aumento
di mitragliatrici, artiglierie da campagna, autocarri per trasporti, assegnazione di tende alpine. »
e) Per tutte tali ragioni, in complesso, l'azione nemica non destava timore, né dubbio sulla possibilità di infrangerla. Il colonnello
Boccacci (il capo di Stato Maggiore del Corpo d'Armata) ascriveva
quasi a fortunata circostanza per le nostre armi il determinarsi di essa.
In seguito a questa mia pubblicazione, il generale Cavaciocchi inviò al giornale La Stampa una lettera (pubblicata nel
numero del 31 marzo 1921), della quale trascrivo le seguenti
parole :
Sta di fatto invece che all'inviato del Comando Supremo, dopo
aver messo in luce i sintomi positivi e quelli negativi, io dissi che
nel dubbio conveniva attenerci alla ipotesi « più sfavorevole », che
cioè il nemico attaccasse. Quanto alla situazione tattica, io mi limitai
ad esporre lo schieramento delle truppe e le condizioni più o meno
favorevoli di ogni tratto di fronte, senza fare alcun apprezzamento,
né dare alcuna assicurazione, che nemmeno mi fu richiesta. Esposi,
in altri termini, lo stato di fatto, dipendentemente dagli ordini dati
da me per effetto degli ordini ricevuti (mi era stato vietato fra l'altro
di chiedere rinforzi); e la stessa esposizione feci il 22 allo stesso
generale Cadorna, il quale dapprima mi contestò la scarsità delle
fanterie da me segnalatagli sul fronte Sleme-Mrzli, ma poi, a proposito della stretta di Saga, riconobbe essere qui necessario il rinforzo
di una brigata. E questa mi concesse subito, prima che io terminassi
l'ultima frase del mio discorso e venissi alla conclusione, tanto il mio
ragionamento era stato chiaro. Debbo dedurne che l'inviato del Comando Supremo travisò completamente il mio pensiero. Di tutto ciò,
del resto, io diedi esaurienti prove alla Commissione d'inchiesta.
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAP0RETT0
Per quanto mi riguarda, io potrei limitarmi a dire che le
mie deliberazioni non potevano essere regolate che sul rapporto che mi fu fatto dal colonnello Testa. Credo tuttavia di
dover aggiungere che questi era tutt'altro che persona capace
di travisare completamente il pensiero del generale Cavaciocchi,
e lo dimostra il fatto di essere stato scelto per così importante
missione. E quanto al non avere il generale Cavaciocchi dato
alcuna assicurazione, la quale, secondo lui, non gli fu nemmeno
richiesta, io domando per qual motivo il Comando Supremo
si sarebbe indotto ad inviare presso i comandi di corpo d'armata che più presumibilmente sarebbero stati attaccati, dei suoi
rappresentanti, se non per informarsi delle condizioni della difesa e degli eventuali bisogni, allo scopo di poter immediatamente provvedere? Forse per discutere di teologia o di numismatica? Tanto è vero ciò, che dal rapporto del colonnello
Calcagno (pubblicato a pag. 160 del già citato mio libro), inviato con uguale missione presso il generale Badoglio, risulta
che anche a questo furono rivolti i medesimi quesiti e richiesta.
le stesse assicurazioni. Né il colonnello Testa avrebbe avuto
interesse alcuno ad attenuare le richieste; anzi, aveva, se mai,
l'interesse opposto, a scarico della sua responsabilità. E' indubitato che se in quel giorno, 19 ottobre, mi fosse stata rappresentata dai comandanti di corpi d'armata di prima linea l'opportunità di rafforzare l'occupazione, vi sarebbe stato tutto il
tempo per provvedere, non essendosi pronunciato l'attacco che
cinque giorni dopo. Date invece le dichiarazioni dei comandanti del IV e del XXVII Corpo d'Armata, quali mi risultarono
dai rapporti dei colonnelli loro inviati, io avevo tutto il diritto
di credere che le forze fossero sufficienti, essendo quei comandanti, che da molto tempo erano sul posto, i migliori giudici
delle necessità del rispettivo settore di difesa : chi dirige le operazioni di un esercito di due milioni di uomini non può evidentemente sostituirsi a tutti i suoi dipendenti, e io già avevo
fatto molto spingendo verso i comandi di corpo d'armata un
controllo che era di spettanza del comando d'armata.
Debbo infine rilevare alcune parole della relazione della
Commissione d'inchiesta, la quale, a pag. 71 (vol. II) scrive:
336
337
...Ma ritiene che non si possa far carico al comandante del IV
Corpo d'Armata di non aver maggiormente insistito, prima e dopo
tale rivelazione (quella dei due ufficiali romeni il giorno 21) per, ottenerli (i rinforzi), dappoiché la distribuzione delle forze è prerogativa delle autorità superiori sulla base delle maggiori notizie possedute e dei disegni di operazioni concepiti, disegni certo mai interamente noti agli inferiori, cui per contro resta l'obbligo del migliore
impiego di quelle qualsiasi truppe che, nell'economia generale del
piano d'azione, restano assegnate.
Questa teoria è per lo meno incompleta. Le autorità superiori hanno bensì la prerogativa accennata dalla Commissione. Ma gli inferiori, cui compete la responsabilità dell'esecuzione e che meglio conoscendo le circostanze locali sono più
in grado di giudicare se i mezzi di cui dispongono corrispondono
al fine, hanno il dovere di rappresentare le eventuali deficienze
e di richiedere che vengano colmate — libero poi essendo, naturalmente, il superiore di negare le richieste, assumendo la
responsabilità del rifiuto. Ma, nel caso concreto, il Comando
Supremo aveva appositamente inviato un colonnello il giorno 19 al comandante del IV Corpo, il quale relativamente ai
bisogni rispose : « In linea generale, nessuno » e fu soltanto il
22, ed in seguito a mia esplicita domanda, che egli si indusse
a dichiararmi, alla presenza del colonnello che dirigeva l'ufficio operazioni del Comando Supremo, che le forze erano scarse
in relazione alla estesa fronte. Fu allora che io gli assegnai, non
già una brigata, com'egli asserisce, ma la 36 a divisione, la cui
fanteria era data dalla brigata Foggia, di tre reggimenti. La
verità è questa, che in quel giorno il generale Cavaciocchi mi
apparve incerto, indeciso, e io mi allontanai dal suo comando
colla preoccupazione che alla sua indubbia intelligenza e alle
distinte qualità di insegnante e di scrittore militare non corrispondessero quelle dell'uomo d'azione.
22
-
CADORNA.
338
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
339
fosse ricondotto entro i reali confini che le larghe forze disponibili consentivano, mediante vigorosi contrattacchi locali.
4 - L'azione del comando del XXVII Corpo d'Armata.
Nel mio ordine del 10 ottobre al comandante della II Armata precedentemente riferito spiccano specialmente i seguenti
concetti :
1) La difesa delle linee avanzate sia affidata a poche
forze, facendo fondato assegnamento sull'uso delle mitragliatrici, sui tiri di sbarramento e di interdizione delle artiglierie,
sull'organizzazione dei fiancheggiamenti.
Questo concetto deve avere larga ed appropriata applicazione nella zona a nord dell'Avschek, dove la limitata efficienza difensiva delle nostre posizioni consiglia un assai parsimonioso impiego di truppe, pena uno sterile logoramento delle
energie della difesa.
2) Il XXVII Corpo dovrà pertanto gravitare colla maggior parte delle sue forze sulla destra dell'Isonzo.
3) Durante il tiro di bombardamento nemico, oltre ai
tiri sulle località di affluenza e di raccolta delle truppe, sulle
sedi dei comandi ed osservatori, ecc., si svolga una violentissima contropreparazione nostra. Si concentri il fuoco dei medi
e grossi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie,
le quali essendo esposte in linee improvvisate, prive o quasi di
ricoveri, ad un tormento dei più micidiali dovranno essere schiacciate sulle trincee di partenza. Occorre, in una parola, disorganizzare ed annientare l'attacco prima che si sferri; disorganizzazione e annientamento che il nostro poderoso schieramento di artiglierie sicuramente consente.
Nel successivo ordine del 20 ottobre (riprodotto nel capitolo X del mio libro La guerra alla fronte italiana, vol. II,
pagg. 153-159 e anche nel presente capitolo) prescrivevo che
la controffensiva in grande stile sulla sinistra dell'Isonzo, ideata
dal generale Capello, non avesse luogo, e perciò che lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace,
L'ordine di far gravitare la maggior parte delle forze del
XXVII Corpo sulla destra dell'Isonzo era naturale conseguenza
dell'altro ordine di guarnire con poche forze le linee avanzate,
specialmente nella zona a nord dell'Avschek. Sulla sinistra dell'Isonzo la difesa ad oltranza poteva essere portata sulle forti
posizioni del versante sinistro dell'Avschek, le quali si saldavano a sinistra colle posizioni delle alture sovrastanti a Doblar,
e a destra con quelle del XXIV Corpo che potevano essere pure
alquanto arretrate. Io stesso diedi tale consiglio al generale Capello indicandogli le posizioni da occupare sopra un plastico
al 25.000 del Comando Supremo. Il compito delle forze del
XXVII Corpo lasciate sulla sinistra dell'Isonzo era molto importante, perché esse dovevano coprire la sinistra del nostro
schieramento sull'altopiano della Bainsizza; ma il mio ordine
di passaggio della maggior parte delle truppe del XXVII Corpo sulla destra dell'Isonzo era tassativo e mi era stato suggerito dalla necessità di accrescere le scarse truppe destinate a
fronteggiare gli sbocchi della testa di ponte di Tolmino. Tale
ordine doveva perciò essere eseguito; libero poi il comandante
della II Armata, se giudicava insufficienti le truppe del XXVII
Corpo lasciate sulla sinistra dell'Isonzo, di rinforzarle con altre: egli disponeva della forza di 353 battaglioni e non doveva
essergli difficile di destinarne alcuni allo scopo suindicato.
Come fu eseguito il mio ordine? Dei 49 battaglioni che
componevano il XXVII Corpo, il 24 ottobre se ne trovavano
27 sulla destra dell'Isonzo e 22, ossia quasi la metà, sulla sinistra. Siamo perciò ben lungi dalla maggior parte delle forze
sulla destra, che avrebbe consentito di accrescere le riserve immediate sulla destra del fiume — riserve che il generale Capello, nel capitolo V del suo libro Per la verità, giustamente
lamenta che fossero troppo scarse.
So che il generale Badoglio assicura che tale ordine non gli
fu comunicato. E difatti, nell'ordine d'Armata dell'11 ottobre,
340
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
firmato dal generale Montuori comandante interinale, le parole : « Il XXVII Corpo dovrà gravitare con la massima parte
delle forze sulla destra dell'Isonzo » non figurano. E allora, come giustifica il comando di armata una così grave trascuranza?
A pag. 134 della relazione della Commissione d'inchiesta
per Caporetto si leggono le seguenti parole di uno dei brigadieri della 19a divisione : « Il comandante del Corpo d'armata,
generale Badoglio, aveva chiaramente espresso questo suo concetto d'azione, ribadito in successive istruzioni scritte: la 19a divisione doveva tener testa da sola e con le sole sue forze, sacrificandosi, occorrendo, sul posto, giacché con le altre forze il
comando del Corpo d'Armata deve contrattaccare e contromanovrare per l'alto, puntando per i Lom sui ponti di Santa Lucia.
Ed il generale Cavaciocchi, che comandava il IV Corpo in
quelle infauste giornate, in una lettera pubblicata nel Corriere
della sera dell'8 settembre 1919, dopo di avere riprodotto il
precedente brano della relazione della Commissione, soggiunge :
« Ma altra cosa la relazione tace, che pure era notoria, per avere il generale Badoglio espresso il proprio intendimento una
diecina di giorni prima dell'attacco nello stesso ambiente del
comando della II Armata : ! è ch'egli aveva progettato di lasciare
che il nemico sboccasse dalla testa di ponte e s'impegnasse nell'attacco aspettando a fulminare colle artiglierie le sue dense
colonne quando la via di scampo fosse loro preclusa dall'ardita
contromanovra ideata. »
Ne risulterebbe quindi un'altra e più grave disobbedienza
ai miei ordini, per essere stata progettata una grande controffensiva da me inibita, per i Lom di Tolmino, ripartendo all'uopo le forze del Corpo d'Armata in parti pressoché uguali sulle
due rive dell'Isonzo, invece di riunire la maggior parte sulla
riva destra del fiume, a scopo difensivo, come io avevo ordinato.
Io so che il
342
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
LE CAUSE DEL DISASTRO DI CAPORETTO
pure ammettersi che disposizioni tassative pel tiro di contropreparazione non furono impartite. »
Nell'esaminare poi l'azione della artiglieria nella battaglia,
la relazione a pag. 209 (n. 254) dice che: « Il bombardamento
nemico sulla fronte di attacco si iniziava alle 2 del 24 ottobre
in conformità di quanto le intercettazioni avevano annunziato,
ma non era intervenuto a prevenirlo né lo seguiva sollecito,
generale, potente, il tiro di contropreparazione della nostra artiglieria. »
Dalle notizie pubblicate a pag. 211 si desume che neanche
il tiro di sbarramento e di interdizione sulla fronte del XXVII
Corpo d'Armata fu eseguito, o, se lo fu, lo fu imperfettamente.
Ecco dunque un'altra grave trasgressione ai miei ordini.
E' stato detto che soltanto nel 1918 il tiro di contropreparazione è stato perfezionato con metodi nuovi. Non lo contesto.
Ma nel 1917 esso già esisteva, sia pure meno perfezionato; tant'è vero che io l'ho prescritto coll'ordine del 10 ottobre, il
quale non poteva essere più chiaro e preciso. Io non sono in
grado di definire se la responsabilità del mancato tiro di contropreparazione spetti al comando della II Armata o a quello
del XXVII Corpo. Debbo perciò limitarmi a constatare che il
mio ordine non fu eseguito. I documenti tedeschi (diari e relazioni dei corpi che presero parte all'attacco del 24 ottobre) sono concordi nel dichiarare e nel trovare strano che l'artiglieria italiana non abbia aperto il fuoco nelle prime ore del mattino, e non vi è in essi traccia di tiro violento da parte nostra
prima e durante l'attacco. Per contro tali documenti ammettono
che l'intervento dell'artiglieria italiana avrebbe reso assai difficili l'affluenza, l'ammassamento e lo sbocco delle loro truppe
dalla ristretta zona della testa di ponte di Tolmino. I tedeschi
confermano, finalmente, che tali operazioni poterono essere
effettuate senza perdite o quasi.
esprimere giudizi definitivi, e tanto meno condanne.1} Affermo
bensì che se i miei ordini avessero avuto piena esecuzione, particolarmente quello del tiro di contropreparazione, anche malgrado la non completa efficienza morale delle truppe gli avvenimenti si sarebbero svolti diversamente.
Di tutte le enumerate infrazioni ai miei ordini, il generale
Capello tende, nei suoi scritti, ad accagionare il generale Badoglio. Questi però non ha ancora parlato. Mancando così uno
dei principali elementi di valutazione, io non sono in grado di
343
1
) Io, che ho avuto parte capitale negli avvenimenti, non sono in grado
di esprimere giudizi definitivi. Altri però lo sono, e io di cuore li invidio. Per
esempio, il giovane conte Novello Papafava, in parecchie sue pubblicazioni,
fino all'ultima Da Caporetto a Vittorio Veneto, dà bensì prova di molto
acume nelle sue investigazioni, ma trincia giudizi sulle responsabilità dei vari
comandanti che, allo stato attuale della conoscenza dei documenti, nessuno può
pronunziare. Ripeto quanto ho già detto, cioè che queste indagini costituivano
il compito capitale della Commissione d'inchiesta e questa non l'ha eseguito,
evidentemente perché l'inchiesta doveva esser fatta ad usum delphini!
Aggiungasi che l'azione di comando fu deficiente nel XXVII Corpo
d'Armata durante tutto il corso della battaglia.
Né ciò deve destare meraviglia quando si legga nell'annotazione inserita
a pagina 137 del II volume della Commissione d'inchiesta:
« Il mattino del 24 verso le ore 10.30 a Carraria il generale Bongiovanni
chiese notizie sulla situazione al generale Badoglio. La risposta giunse verso
le ore 11. Il generale Badoglio confermava che c'era stato un cannoneggiamento tutta la notte e che non aveva più notizie perché i telefoni erano tutti
rotti e che pareva fosse tornata la calma sulla sua fronte. »
Di fronte a tale completa ignoranza dei fatti — alle ore 11 le colonne
germaniche si avvicinavano a Caporetto — non è da meravigliarsi che nessun
provvedimento potesse esser preso da quel comandante di corpo d'armata e
tanto meno dai comandi superiori.
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
CAPITOLO IX
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
Col titolo Operazioni militari della IV Armata nei primi
quattro mesi della campagna di guerra 1915 il generale Luigi
Nava, che di quell'Armata aveva retto in quel tempo il comando, pubblicò nel 1922 un libro nel quale non sappiamo se più
ammirare la logica o la peregrina eleganza dello stile, « lacerator di ben costrutti orecchi. »
Il generale Nava fu esonerato dal comando della IV Armata il 25 settembre 1915. Molto mi dolse di proporre questo
provvedimento ed è facile comprendere come esso riuscisse a
lui ancor meno gradito. Riconoscendogli perciò il diritto alla
difesa, non avrei avuto nulla da osservare se egli avesse con dignitosa serenità esposto le sue ragioni e cercato di confutare
quanto io avevo scritto nel mio libro La guerra alla fronte italiana sull'azione della IV Armata nei primi giorni della guerra. Invece il suo livore trabocca, si può dire, da ogni riga del
volume, 1) ricolmo anche di insinuazioni a mio carico al punto
di chiedermi se avevo dinanzi agli occhi un libro polemico
1) In un evidente accesso di sincerità, lo stesso generale Nava riconosce
di aver scritto colla « mente velata dalla passione ». Discorrendo dell'iniziativa, così egli scrive a pagina 234: «Così definite l'iniziativa e la sua negazione e specificati il senso e la natura dell'una e dell'altra, non ne tirerò io
stesso le conclusioni, le quali, per essere dettate da mente velata dalla passione, dovrebbero naturalmente parere meno rispondenti a verità e giustizia.
Lascerò dire, invece, a chi, giovandosi di più sereno animo, potrà meglio giudicare con imparzialità e competenza se ecc. » O non è per avventura caduto
il dubbio, nel generale Nava, che la stessa passione gli abbia velata la mente
anche nel trarre tutte le altre conclusioni del suo libro?
345
od un libello, e se dovevo rispondere a questo, come ho risposto ai non pochi altri libelli, cioè col silenzio. Ma, riflettendo
poi all'autorità che deriva al generale Nava dall'altissimo comando da lui esercitato — autorità che potrebbe indurre in
erronei apprezzamenti molti lettori —, mi sono indotto a scrivere
la presente risposta, limitandomi a rilevare i punti di capitale
importanza, ché a tutti notarli mi mancherebbe e tempo e
lena.
E poiché il generale Nava dimostra di possedere un così
robusto spirito aggressivo, vien fatto di domandare perché non
ne ha impiegato almeno una parte contro il nemico nei primi
giorni della guerra, quando esso ci avrebbe procurato non piccoli risultati, come dimostrerò fra poco colle sue stesse parole.
***
Il libro del generale Nava è costituito di due parti, cioè
una Memoria e una Appendice. La Memoria fu scritta negli
ultimi tre mesi del 1915 per dimostrare insussistenti i motivi
della sua esonerazione dal comando della IV Armata. L'Appendice fu invece distesa dopo la pubblicazione del mio libro
La guerra alta fronte italiana e l'autore dà prova in esso di una
violenza difficilmente superabile, dimenticando che se egli fu,
come si suol dire, silurato, aveva alla sua volta silurato entrambi i suoi comandanti di corpo d'armata, che sicuramente lo superavano in intelligenza e che, dopo il siluramento, avevano
mantenuto contegno molto dignitoso e corretto e si erano astenuti non solo dall'inveire contro l'antico superiore, ma anche
da qualsiasi pubblica recriminazione.
Il generale Nava dice di essere stato mosso a scrivere l'Appendice dal seguente brano del mio libro La guerra alla fronte italiana (pagg. 131-132):
Questo gran colpo di mano (quello seguito colla generale avanzata
nei primissimi giorni della guerra) diede eccellenti risultati sulla fronte
della I Armata, non così su quella della IV Armata, dove mancò l'impulso iniziale per il primo sconfinamento. Quivi le operazioni erano
346
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
state bene e con molto metodo ideate nell'ipotesi di una occupazione
nemica con forze adeguate e di una tenace resistenza Ma, in realtà,
essendo in quel primo momento le forze avversarie assai scarse, era
il caso di accelerare i tempi e di spingere rapidamente forti distaccamenti ad occupare le posizioni principali, facendoli sostenere al
più presto dal grosso delle forze. Ciò non essendo stato fatto, il
nemico ebbe tempo di far giungere forze sufficienti per occupare
forti posizioni, le quali poi dovettero essere da noi con grande difficoltà attaccate, come il Col di Lana, o non furono mai prese, come
il margine settentrionale del Monte Piana (lago di Misurina), il
passo di Son Pauses ed il Sasso di Stria, che ci tolse fino all'ottobre 1917
la libera disponibilità della strada d'arroccamento detta delle dolomiti,
tra Cortina d'Ampezzo e Pieve di Livinallongo. Si noti che, secondo le
direttive del 1° aprile, la IV Armata avrebbe dovuto prendere decisamente l'offensiva e raggiungere il nodo di Toblach; non si trattava per
lei di offensive parziali a scopo difensivo, come per la I Armata; tanto
più perciò sarebbe stato necessario procedere con risolutezza per afferrare di primo slancio quei punti in territorio nemico che, debitamente
occupati da questo, avrebbero potuto per lungo tempo paralizzare la
nostra offensiva.
mate a difesa ed occupate da forze sufficienti, l'attacco di sorpresa era impossibile. Se il fatto fosse vero, io dovrei lealmente
riconoscere che il generale Nava è stato accusato a torto. Ma
se invece sarà dimostrato che i fatti non corrispondono alle
dichiarazioni del generale Nava, resterà altresì provato che il
medesimo si è ben a torto così violentemente inalberato contro
le parole scritte nel mio libro.
Per fare questa dimostrazione non ho che da riprodurre la
relazione che accompagnava la proposta di esonerazione dal comando del generale Nava. In essa sono riferite delle lettere del
medesimo colle quali egli allora, mentre reggeva il comando,
riconosceva che le forze che stavano di fronte a lui in quei
primi giorni della guerra erano minime. Il documento è piuttosto lungo, ma molto interessante, ed in compenso consentirà
a me di essere breve nella ulteriore parte di questa risposta.
Eccolo, coll'aggiunta di alcune mie note a pié di pagina sulle
quali richiamo particolarmente l'attenzione del lettore:
Come si vede, io fui molto moderato nella forma della mia
critica: riconoscevo, in sostanza, che le operazioni offensive erano state bène e con molto metodo ideate, ma che per aver voluto applicare il metodo studiato anche quando la pochezza delle forze nemiche nei primi giorni consigliava di agire con risolutezza si perdette la favorevole occasione di impossessarsi
di primo impeto di importanti posizioni che avrebbero poi facilitato l'attacco dei forti. Nessuno poteva pretendere che la
IV Armata si impossessasse rapidamente delle fortificazioni e
delle posizioni organizzate e tenacemente difese con forze competenti, tanto più dati gli scarsi mezzi tecnici disponibili, e di
non aver fatto ciò nessuno ha mai mosso rimprovero al generale
Nava, ma non si può non fargli appunto di non aver proceduto nei primissimi giorni con quella rapidità e quella risolutezza che le circostanze consigliavano e consentivano e che i
miei ordini prescrivevano.
Ma appunto tale argomento forma lo scopo principale del
libro, col quale il generale Nava tenta in tutti i modi di dimostrare che per essere le posizioni di cui si tratta ben siste-
RELAZIONE
347
SULL'OPERATO
DEL COMANDANTE DELLA IV ARMATA
Azione del comando della IV Armata nei primi giorni
delle ostilità
Nella Guida per le operazioni delle truppe in occupazione avanzata (aprile 1915) il comandante designato della IV Armata così si
esprimeva (pag. 11):
« Dal fatto che la nuova radunata avviene per fasi successive, in
ognuna delle quali si compie il trasporto di un certo numero di unità
di truppe e di corrispondenti aliquote di servizi, consegue che i primi
nuclei di forze in arrivo possono essere impiegati in aiuto alle truppe in
occupazione avanzata, senza che la radunata delle rimanenti forze rimanga comunque turbata; epperò è mestieri aver presente che alle operazioni da eseguire durante il periodo di radunata è ora consentito di
dare più vigorosa impronta, meglio mirando a sorprendere l'avversario
che a pararne le minacce; e soprattutto che vi è ora luogo di dare alle
348
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
azioni tattiche delle truppe di occupazione avanzata quel maggior carattere di tenacia, che deve naturalmente derivare dalla emersa possibilità di esser in minor tempo rincalzati da maggiori forze.>> 1)
#»#
Il giorno 22 maggio il comandante della IV Armata riceveva dal
Comando Supremo il seguente telegramma n. 215 G.
« Autorizzato iniziare ostilità a partire ore ventiquattro giorno
23 maggio. Operi in conformità direttive aprile 1915 iniziando operazioni spiccato carattere vigore cercando impadronirsi al più presto posizioni nemiche oltre confine necessarie ulteriore sviluppo operazioni.2)
Generale CADORNA »
Il 23 maggio, alla vigilia dell'apertura delle ostilità, il comandante
della IV Armata diramava ai dipendenti comandi di corpo d'armata
un foglio all'oggetto:
Inizio delle ostilità - Direttive d'azione per i primi atti di offesa,
di cui ecco lo stralcio più importante :
« E' avendo presenti tali raccomandazioni, altre volte espresse dal
Comando Supremo, che è d'uopo rivolgere ora le nostre menti e gli atti
alla presa di possesso di alcune posizioni di confine, le quali se, da un
lato, gioverebbero eventualmente a conferire consistenza ad una primordiale difesa e ad agevolare lo svolgimento di ulteriori operazioni
offensive, non potrebbero, da un altro, essere occupate e mantenute
senza correre corrispondenti rischi.
« Tali posizioni sono :
« M. Piana - su cui nostre truppe non potrebbero sistemarsi perché
efficacemente battute da artiglierie nemiche che si ritengono (con fondamento) appostate in batterie occasionali al Geierwand ed al Rautkoufl.
Colà però neppure l'avversario avrebbe agio di stabilirsi, se artiglierie
nostre da campagna e da montagna (sostenute da competenti truppe
di fanteria) appostate lungo il fronte Col S. Angelo, C. Rimbianco,
Forcella Iongere, dessero efficaci tiri sul piano del monte.
« Conca di Cortina d'Ampezzo - la cui occupazione, di inestimabile
valore per noi, può presentare gravi difficoltà e trarre a mal esito delle
operazioni, se è vero che ivi si vadano addensando le prime forze nemiche di rilievo e che si attenda da più giorni dall'avversario a porre in
1) Dunque, nell'aprile 1915 il comandante della IV Armata giudicava
possibile di agire nel senso prescritto dall( iv) Tjw-0.118 34.0pt
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
ragion veduta, gli atti di prima offesa che a loro giudizio si possono
meglio compiere (dopo la mezzanotte dal 23 al 24 maggio) a vantaggio delle ulteriori nostre operazioni e « senza incorrere in più gravi
rischi di quelli cui sottostanno ordinariamente tutte le azioni di
guerra ».1)
Per tal modo, invece di irrompere sui punti oltre confine, che
conveniva occupare immediatamente, approfittando delle priorità della
nostra azione, si perde tempo per decider su argomenti che avrebbero
dovuto essere determinati in precedenza.
Inazione, quindi, nei giorni 24, 25, 26 e 27.
Il I Corpo non muove ad occupare il Passo Tre Croci, mentre pure
in Valle Ansiei si svolge un intenso movimento di truppe e salmerie,
movimento che sarebbe stato necessario proteggere mediante quella
occupazione.
Ora, non v'ha dubbio che il primo sbalzo delle truppe avanzate
dell'Armata avrebbe dovuto essere iniziato fin dal giorno 24 per raggiungere la linea M. Porè-Averan, alture oltre Cortina d'Ampezzo-
Passo Tre Croci, pienamente consentito dalla dislocazione raggiunta
dalle nostre truppe e dalla situazione dell'avversario, e imposto dallo
spirito e dalla lettera degli ordini del Comando Supremo.
Di fronte alle ripetute riserve del comando d'Armata, il I Corpo
non giudica opportuno avanzare, ed il comandante dell'Armata approva
tale decisione; il IX manifesta la tendenza a spingersi innanzi, ma è
subito severamente richiamato, pel principale motivo che la destra del
IX Corpo verrebbe, coll'occupazione di M. Porè, a trovarsi spinta troppo
innanzi, mentre non può armonicamente procedere la sinistra del
I Corpo (foglio del comando della IV Armata in data 26 maggio).
Ma il giorno 25 il comando della IV Armata, con un telegramma
a firma generale Nava, comunica ai dipendenti comandi la dislocazione di reparti nemici, quale risulta « da fonte attendibile » (telegr. 1946).
Bruneck, 1000 uomini di Landsturm.
Prags, i baraccamenti occupati.
Toblach, 2000 uomini.
Landro, 1000 uomini.
Ospitai, Schluderbach - 2 compagnie tedesche.
Cortina, sgombra 1)
Date queste informazioni, perché il comandante della IV Armata
non ha ordinato almeno lo stesso giorno 25 lo sbalzo avanti verso Cortina, che avrebbe consentito anche l'avanzata del IX Corpo?
L'inazione prosegue, finché il giorno 27 il Comando Supremo
scrive da Fagagna ai comandi d'armata, sollecitando una pronta azione
offensiva che ci permetta di approfittare della scarsa efficienza in cui
trovasi tuttora il nemico, e guadagnare « quanto più terreno è possibile occupando subito quelle posizioni oltre confine la cui conquista,
quando il nemico avesse il tempo di portarvi adeguate forze, costerebbe a noi grossi sacrifici ».
La lettera soggiungeva inoltre: «Naturalmente, dato il fatto che
la mobilitazione e la radunata non sono ancora ultimate, le grandi
unità potranno incontrare qualche difficoltà d'indole logistica, spingendo fin d'ora avanti le proprie truppe. Ma nessun ripiego dovrà
essere lasciato intentato per superare queste difficoltà, nessun sacrificio dovrà sembrare grave, pur di approfittare del favorevole stato
di cose.
« Aspettando, per operare con decisa offensiva, che tutti i mezzi
per vivere e combattere siano perfettamente organizzati, noi rischieremmo di dover ben presto consumare quei mezzi per conquistare
obiettivi che oggi potremmo raggiungere quasi senza colpo ferire. »
350
1) La dissertazione del 23 maggio del generale Nava (poiché non si può
qualificarla ordine) era adunque in patente contrasto col mio preciso ordine.
Egli doveva perciò eseguirlo, e in caso di insuccesso la responsabilità sarebbe
caduta su di me. Ma, posto anche che la sua mente fosse assillata da forti
dubbi sulla riuscita dell'operazione, egli avrebbe avuto l'obbligo di farmeli
presenti. E non gliene sarebbe mancato il tempo, perché trovandosi le mie
direttive del 1° aprile in perfetto accordo col!'ordine del 22 maggio, è allora,
in una delle molte volte in cui io riunii i comandanti di armata prima della
guerra, che egli avrebbe dovuto espormi il suo parere sulla ineseguibilità della
operazione. Quello era il momento. Ed invece, alla vigilia di eseguire una
mossa che per riuscire richiedeva decisione ed ardire, egli inculca i più fieri
dubbi nei suoi dipendenti, e a me nulla dice! Vedasi ad esempio quante difficoltà egli solleva per l'occupazione di M. Porè, il quale fu poco dopo occupato senza incontrar resistenza! E così pure per la presa di possesso dei
monti sui fianchi di Val Boite fino a Podestagno, la quale avvenne senza apprezzabili difficoltà, sebbene fosse fatta molti giorni dopo. Essa poteva aver luogo
subito, il 24-25 maggio, spingendo forti ricognizioni su Son Pauses che
avrebbero segnalato l'entità delle forze nemiche. Coll'immediata occupazione
di Passo Tre Croci (necessaria anche a proteggere la strada di Val d'Ansiei
al lago Misurina già da noi occupato) e coll'invio di truppe fiancheggiami in
Val Costeana, in collegamento col IX Corpo, non vedo quali difficoltà dovessero opporsi ad un generale ardito per avanzare decisamente su Podestagno.
E invece Passo Tre Croci non viene occupato che il 28 (5° giorno della
guerra), e Cortina ancora dopo, in seguito a mio ordine! Ma egli era del parere che non si dovesse « incorrere in più gravi rischi di quelli cui sottostanno ordinariamente tutte le azioni di guerra » ! Teorie audaci, come si vede,
le quali mettono bensì al coperto la responsabilità di un generale nell'operare,
ma non quella del non operare quando si doveva operare.
Si confronti col regolamento d'impiego germanico il quale dice : « Tutti
i comandanti devono essere persuasi e persuadere i loro dipendenti che, nella
scelta dei mezzi, costituisce maggior colpa il non approfittare delle occasioni
che subire uno scacco. »
351
1) Ecco la pochezza delle forze nemiche indicate dallo stesso comandante
della IV Armata.
352
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
#*#
b) che è stata anzi esercitata, per parte del detto comandante,
una influenza negativa, nel senso che questi non solo non diede ordini,
ma impose ai comandanti di corpo d'armata vincoli tali che essi non
avrebbero potuto prontamente agire quand'anche ne avessero ravvisato l'opportunità.
Tutto ciò era in aperta contraddizione cogli espliciti ordini del
Comando Supremo.
E va, inoltre, rilevato che dalla lettura degli ordini e delle comunicazioni emanati nel periodo di cui trattasi dal comando della IV Armata trapela un senso di marcata perplessità ed incertezza: in momenti nei quali occorreva risolutamente decidere ed agire non si fa
che contrapporre il pro ed il contro del fare e del non fare, senza
che mai emergano chiari ed espliciti il pensiero del comandante e la
sua decisa volontà nell'imporre una determinata linea di condotta, che
pur le direttive e gli ordini del Comando Supremo tracciavano sicura
e precisa.
Il comandante della IV Armata trasmette questa lettera lo stesso
giorno ai comandanti di corpo d'armata col semplice attergato:
« Per conoscenza perché ottemperi a quanto entro è prescritto ».
Poiché la sopracitata lettera imponeva al comandante della IV Armata di agire senz'altro decisamente, e contrastava, in fondo, colle
direttive da lui precedentemente impartite, sembra che egli avrebbe
dovuto non limitarsi a queste poche parole, ma sciogliere esplicitamente ogni precedente riserva e indicare a ciascuno gli atti offensivi
da compiere.
Solo il successivo giorno 28 il comandante della IV Armata emana
l'ordine seguente:
« Al comandante del I Corpo d'Armata - Pieve di Cadore.
«2101 - Tutte notizie concordano nel rilevare che scarse forze nemiche trovansi contro IV Armata, che armamento opere occasionali
dei vari sbarramenti sembra meno numeroso e potente di quanto supponevasi.
« Della favorevole situazione importa approfittare prima che muti
a nostro danno; epperciò prego V. E. voler disporre perché progettate
occupazioni a sud Misurina con fronte nord, a Passo Tre Croci con
fronte ovest siano al più presto effettuate.
« Cortina Ampezzo sembra sgombra nemico, forze rilevanti sarebbero state segnalate Son Pauses. 1)
Generale NAVA »
L'avanzata su M. Mesola-Fedaja-M. Porè si è compiuta, frattanto
agevolmente per iniziativa del comando del IX Corpo; quella di Cortina-Passo Tre Croci si compie subito dopo senza incontrare resistenza.
#**
Sembra potersene concludere:
a) che è mancata, all'apertura delle ostilità, quella pronta e vigorosa azione da parte del comando della IV Armata che il Comando
Supremo aveva ordinato e che la raggiunta dislocazione delle truppe
avrebbe consentito;
353
Azione del comando della IV Armata
dalla presa di Cortina al primo attacco di Son Pauses
Il giorno 1° giugno il comando della IV Armata emana l'ordine
di operazione N. 3 (marcia avanti generale dell'Armata). In esso si
premette :
« Le forze avversarie raccoltesi negli sbarramenti di La Corte-Tre
Sassi, Landro-Platzwiese e Sexten, secondo quanto emerge da notizie
di informatori e da risultati di ricognizioni, non sono tuttodì nè tanto
numerose né di tale qualità da creare serio ed efficace contrasto ad
una nostra avanzata. » 1)
Segue, dopo ciò, l'indicazione della linea di investimento da raggiungere, iniziando le mosse il 3 giugno.
E' da notare che detta linea d'investimento è pressoché tutta dentro confine, eccetto che nel tratto corrispondente alla Conca di Cortina, che era stata agevolmente occupata il giorno 29 maggio.
** *
1) Quest'ordine, firmato dal generale Nava, fornisce la più chiara smentita alle asserzioni dello stesso generale Nava (le quali costituiscono nel suo
libro tutta la base della sua difesa), secondo le quali le posizioni nemiche oltre confine sarebbero state presidiate ed organizzate a difesa in modo da rendere di impossibile riuscita un subitaneo attacco di sorpresa nei primi giorni
della guerra. E se erano scarse il 28 quando emanava l'ordine, non erano certo
maggiori il 24 quando egli avrebbe dovuto agire.
Ora, dal momento che l'esperienza degli atti offensivi, compiuti
dopo l'esitazione dei primi giorni, aveva dimostrato fino all'evidenza
la scarsa consistenza della difesa nemica, sarebbe stato logico che alla
1) Tali erano le informazioni pervenute al generale Nava ancora il 1°
giugno, nono giorno di guerra.
23 -
CADORNA.
354
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
costituzione metodica della linea d'investimento fossero stati accompagnati arditi atti offensivi, partenti specialmente dalla Conca di Cortina, per cogliere l'avversario, scarsamente preparato, sulla linea Col
del Bois-Tofana-Col Becchei di sotto-Son Pauses-Croda dell'Ancona; linea che, una volta caduta prontamente in nostra mano, ci avrebbe assicurato la vantaggiosa possibilità di postare fin dall'inizio le nostre
batterie d'assedio in Val Felizon contro Platzwiese, ed in Val Costeana
contro Tre Sassi. Altri parziali atti offensivi avrebbero potuto essere
compiuti lungo il rimanente della fronte, opportunamente sfruttando
la situazione del momento.
A ciò invitava la lettera del Comando Supremo n. 246 G. del
27 maggio, già citata, specie là ove era detto:
« Conviene approfittare di questo stato di cose guadagnando quanto
più terreno possibile ed occupando subito quelle posizioni oltre confine, la cui conquista, quando il nemico avesse il tempo di portarvi
adeguate forze, costerebbe a noi grossi sacrifici. »
Ma il comando della IV Armata non ravvisa l'opportunità di un
tale contegno ardito, si astiene dall'ordinare qualunque atto offensivo;
e in tale atteggiamento persisteva anche quando, il giorno 3 giugno,
diramava il foglio n. 2430 di prot. avente per oggetto : Attività da spiegare nei primi giorni d'investimento degli sbarramenti nemici da attaccare.
In esso ordine si premette: « Voci corse che, pur non confermate
paiono non destituite di fondamento, lasciano ritenere che i già iniziati movimenti delle forze nemiche, avviate a fronteggiare la IV Armata, dovrebbero avere più o meno compiuta effettuazione verso il
10 del mese corrente o poco dopo. Se così fosse, avremmo a non lieve
nostro vantaggio tal margine di tempo concessoci dalla radunata nemica... »
Questo margine di tempo non viene però utilizzato dal Comando
della IV Armata per compiere nessun atto di quelle parziali offensive
che, data la premessa surricordata, era evidente che sarebbero riuscire,
dopo, tanto più ardue, e che invece, se compiute prima, avrebbero
molto giovato al successivo svolgersi delle operazioni, a cominciare da
quelle di assedio. E « l'attività da spiegare, ecc., ecc. » si limita alla
pura e semplice costituzione della linea d'investimento.
Ciò ad onta che il comando della IV Armata avesse, ad esempio,
notato fin dal 1° giugno che le difese di Son Pauses sembravano non
altrimenti munite che di artiglierie campali leggere; e ancora avesse
il 5 giugno soggiunto:
«La mancanza su tutta la fronte della IV Armata di seria op-
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
355
posizione da parte del nemico all'attuazione della marcia avanti,
prescritta dall'ordine di operazione n. 3, ha rilevato in modo evidente
che le forze avversarie affluite fino ad ora negli sbarramenti di Alto
Cordevole, Alto Rienz e di Sexten non sono tuttodì così numerose né
tanto pronte ad operare da poter contrastare i nostri disegni. » 1)
*##
Tutto ciò prova come il comando della IV Armata non avesse ben
inteso il compito che in quei primi giorni gli s'imponeva. E perciò
dal 29 maggio all'8 giugno, allorché fu intrapreso, troppo tardi, l'attacco di Son Pauses, si verificò un altro periodo di assoluta inazione,
durante il quale il nemico potè compiere indisturbato la sua radunata
e procedere dai luoghi di raccolta all'occupazione delle linee di difesa
predisposte.
Ora sarebbe certo giudicare col senno di poi se, dopo aver accertato a tanta distanza dai fatti che l'occupazione nemica sulla nostra
fronte era in quei giorni poco consistente, si volesse senz'altro far
carico al comando della IV Armata di non aver saputo sfruttare la
situazione operando con la voluta energia.
Ma si deve considerare nel caso presente che, mentre il comandante dell'Armata possedeva sul nemico informazioni da lui medesimo
giudicate attendibili — e, come si potè poscia constatare, rispondenti
alla realtà, — d'altra parte esisteva l'ordine esplicito del Comando Supremo di agire decisamente con spiccato vigore.
Appare perciò legittimo l'addebitare al modo onde furono concepiti ed emanati gli ordini del comando dell'Armata il mancato conseguimento degli obiettivi che in quel primo tempo non sarebbe stato
difficile raggiungere.
Ciò conseguì dall'avere l'Armata proceduto in quei primi giorni
con eccessivo metodismo, al punto di considerare l'azione suddivisa in
Successive fasi assolutamente distinte, prima fra le quali la costituzione
della linea d'investimento; e che, fino a quando questa non fosse stabilita e rafforzata completamente, non dovesse l'Armata dipartirsi da
un contegno di assoluta difensiva. E in tale contegno essa persistè
durante tutta la prima quindicina delle operazioni, a malgrado delle
esplicite sollecitazioni del Comando Supremo, a malgrado di ogni più
evidente opportunità, fino a perdere interamente il vantaggio non lieve
che la priorità della nostra azione ci avrebbe consentito.
1) Non è più il caso di far commenti, ma sembra incredibile, dopo tali
dichiarazioni fatte ancora il 5 giugno, tredicesimo giorno di guerra, che il generale Nava abbia potuto scrivere un libro sostenendo una tesi che si basa su
dichiarazioni affatto opposte. Ma egli dichiara nel libro che non ha documenti
e che si affida alla memoria. Bisogna adunque concludere che questa lo ha ben
tradito!
356
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
Esercizio del comando
Ciò premesso, è certo che molte delle difficoltà cui, col progredire
delle operazioni, la IV Armata è andata incontro avrebbero potuto essere superate di primo slancio, quando fosse stato impresso alle operazioni iniziali quell'impulso ben più vigoroso e deciso richiesto dalla;
situazione generale ed imposto dagli ordini superiori.
Né sarebbe arrischiato supporre che, qualora ciò si fosse verificato,
l'ulteriore sviluppo delle operazioni avrebbe assunto una piega alquanto e forse molto differente da quella che in realtà ha avuto. Ma,
considerando gli avvenimenti guerreschi della prima quindicina indipendentemente da ogni collegamento con quelli successivi, se ne deve
a buon diritto dedurre che la IV Armata ha mal corrisposto) ai suoi
compiti.
#**
Un esame completo dell'operato del comandante della IV Armata,
inteso a rilevare tutte le deficienze, richiederebbe non soltanto un'approfondita analisi dei documenti, ma altresì l'interrogatorio delle persone sulle quali l'azione personale del comandante medesimo s'è esercitata più di frequente e con maggiore intensità. Sono tuttavia significative alcune impressioni, che trovano conferma nell'esame della relazione documentata.
Nelle comunicazioni del comandante la IV Armata ai comandi
dipendenti il concetto fondamentale esecutivo riesce spesso oscuro ed
ambiguo esse generano in chi legge una incertezza che non può a
meno di riverberarsi poi nell'esecuzione da parte dei sottoposti.
Inoltre il modo col quale S. E. il generale Nava intende la funzione del comando presenta una speciale caratteristica, il cui valore
negativo merita di essere posto in evidenza. Dal complesso delle sue
relazioni coi comandi dipendenti emerge che egli, rispettosissimo dell'iniziativa dei sottoposti, non sempre interviene a tempo quando nell'opera di costoro si rilevano manifesti errori o lacune, ma poi tali errori o lacune egli non indugia a porre in evidenza allorché, premuto
egli stesso dal Comando Supremo, si trova nella necessità di esaminare
l'operato dei dipendenti.
Pare, in sostanza, che la funzione di comando si limiti in gran
parte, per questo generale, ad attribuzioni di carattere ispettivo. Una
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
357
certa mal dissimulata preoccupazione della propria responsabilità sembra, inoltre, si riveli dal testo del telegramma che qui si riporta, il cui
contenuto non si potrebbe approvare senza qualche riserva:
Belluno, 15 giugno 1915
« Comando I Corpo d'Armata
3318. - Ho preso atto comunicazione datami con odierno fonogramma circa operazione intrapresa da generale Ferrero verso Forcella
Dignas ed oltre, osservando in via di massima che suggerimento espresso circa opportunità compiere detta operazione e domanda di parere
in merito non implica alcuna mia responsabilità, la quale comincia
soltanto quando, esaurite pratiche preliminari ed avuto richiesto parere,
emetto un preciso ordine di esecuzione.
Generale NAVA »
L'accennata tendenza di questo comandante ad imprimere all'azione del proprio comando un carattere, per così dire, ispettivo invece che
fattivo trova espressione nel continuo far carico dei minori insuccessi
alle imperfette disposizioni dei comandi dipendenti; ché, se anche tali
addebiti possono ritenersi in gran parte fondati, e se questo Comando
ha, a suo tempo, aderito alle frequenti e numerose proposte di esoneri
presentate da S. E. il generale Nava, si deve per altro notare che la
eventuale minore capacità dei comandanti medesimi avrebbe dovuto
stimolare il detto generale a sorvegliare più da presso l'opera loro, a
sorreggerli, a consigliarli, a vincere le eventuali riluttanze, a imprimere
determinatezza di scopi e risolutezza d'attuazione alle operazioni, così
da stabilire fra sé e i comandi dipendenti quell'affiatamento e quella
uniformità di vedute che avrebbero indubbiamente condotto ai migliori risultati.
Così allorquando a metà dello scorso luglio sembrò che l'azione
dell'artiglieria contro gli sbarramenti procedesse a rilento, il generale
Nava non indugiò a fare addebito al comando del I Corpo di avere
ordinato una viziosa postazione delle batterie d'assedio e non avere
abbastanza ravvicinato quelle campali, addebito che risultò fondato.
Vien fatto tuttavia di domandarsi se egli, e prima di lui il comandante dell'artiglieria dell'Armata, sollecitò poi quest'ultimo a rilevare
gli errori commessi dal comandante di artiglieria del I Corpo, e non
avrebbe dovuto e potuto intervenire in tempo per correggere, evitandoli, gli avvenuti errori e le relative conseguenze.
Di tutto ciò S. E. il generale Nava sembra non siasi reso conto,
giacché le sue comunicazioni al Comando Supremo rispecchiano pur
esse la sua deplorata tendenza, esponendo egli ogni fatto riguardante
l'Armata come se la sua persona fosse collocata all'infuori della grande
358
RISPOSTA AI GENERALI CAPELLO E NAVA
unità che comanda e non fosse egli in ogni caso, del buono e del
men buono operato della medesima, il principale artefice ed il primo
responsabile.
***
Un grave inconveniente s'è rivelato anche nel funzionamento
interno del comando dell'Armata a causa dell'indole eccessivamente accentratrice di S. E. il generale Nava: l'essere egli cioè durante il trascorso periodo della campagna di guerra rimasto sempre chiuso in quasi
assoluto isolamento, che, oltre a mantenerlo lontano dai dipendenti comandi, lo ha, per sua volontaria elezione, segregato anche dalle
persone del suo Stato Maggiore, alla cui collaborazione egli ha, con ciò,
quasi assolutamente rinunciato; questo pernicioso accentramento non
può a meno di aver nociuto a regolare il completo funzionamento del
comando, ed ha avuto evidenti ripercussioni sullo svolgimento dell'attività dell'Armata.
Conclusione
I maggiori addebiti imputabili a S. E. il generale Nava, comandante della IV Armata, per quanto concerne il di lui operato nel periodo di guerra fin qui trascorso possono così riassumersi:
a) non avere durante i primi 15 giorni delle operazioni agito
colla voluta prontezza ed energia, così da sfruttare la favorevole nostra situazione rispetto a quella dell'avversario, secondo che imponevano le direttive e gli ordini del Comando Supremo;
b) avere esercitato il comando con insufficiente decisione, con eccessiva preoccupazione della propria responsabilità, e senza imprimere
all'opera dei dipendenti comandi di corpo d'armata quel personale impulso che era suo preciso dovere di dare, anzi inspirando nei medesimi una dannosa perplessità, non sempre intervenendo a tempo per
evitare i possibili errori, ma limitandosi spesso a rilevarli quando già
questi avevano avute conseguenze irrimediabili.
Ora, poiché oltre al rilevante danno già prodotto dalle lamentate
insufficienze, altro e forse maggiore potrebbe ancora derivarne nel pre-ente periodo, nel quale si richiedono molto accorgimento e molta
decisione per consolidare quanto è già stato ottenuto ed attuare le disposizioni d'indole sommamente delicata, per il prossimo periodo invernale, giudico che sarebbe inopportuna ogni ulteriore permanenza
di S. E. il generale Nava al comando della IV Armata.
Addì 24 settembre 1915.
Il capo di Stato Maggiore dell'esercito
L. CADORNA
RISPOSTA AL GENERALE NAVA
359
###
Demolita la base sulla quale poggiano tutte le argomentazioni del generale Nava, il suo edificio difensivo crolla, e io
potrei far punto. Senonché, nella battaglia da lui impegnata
contro di me non essendovi più di mezzo la sua responsabilità,
come in quella del 1915 contro gli austriaci, egli si è rammentato che il miglior mezzo di difesa è l'attacco, e se l'è presa
col mio disegno d'operazioni o piano di campagna che dir si
voglia, ed essenzialmente mi rimprovera:
1) di aver preso l'offensiva su tutta la fronte dal lago di
Garda al mare, disseminando così le forze e facendo guerra
a cordone.
2) di avere concepito un piano di campagna inattuabile,
date la potente organizzazione delle difese nemiche e la scarsezza dei nostri mezzi tecnici per espugnarle.
Ben inteso che il generale Nava, dopo aver acerbamente
criticato il mio disegno di operazioni, si astiene con cura dall'esporre che cosa avrebbe fatto al mio posto!
Accuse tutt'altro che nuove mi ha rivolto il generale Nava
ed alle quali ho già diffusamente risposto nei capitoli VI e VII
di questo libro. Ma non sarà inutile il ricordare che le mie direttive del 1° aprile 1915 non costituivano un piano di campagna, ma si riferivano unicamente al periodo di mobilitazione
e radunata (pag. 97 vol. I di La guerra alla fronte italiana).
Ed alla seguente pag. 98 è espressamente detto che si assegnava
per fine ad alcune armate il raggiungimento di determinati importanti obiettivi durante la radunata, il cui possesso avrebbe
agevolato le successive operazioni quando il Comando Supremo giudicasse di aver adunato forze sufficienti. Chiarissimo pertanto appare che le direttive si riferivano esclusivamente alle
operazioni preliminari da compiersi collo scopo di facilitare le
successive operazioni colle quali si sarebbe attuato il vero piano di campagna. L'esporre questo piano fin d'allora sarebbe
stato cosa prematura ed inutile, dappoiché la sua esecuzione o
la rinunzia al medesimo, totale o parziale, dipendeva dal risul-
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RISPOSTA AL GENERALE NAVA
tato ottenuto nelle operazioni preliminari. Perciò le direttive
non svolgono un piano di campagna, sebbene ne lascino intravedere le prime mosse; e così doveva essere trattandosi di prescrizioni dirette a preparare l'attuazione di un piano di campagna, se le circostanze avessero consentito di tradurlo in atto.
In fondo alla stessa pagina 98 e con caratteri in grassetto si
parla (parole delle direttive) della « possibilità 1) che la nostra
offensiva urti contro tenace resistenza e rimanga paralizzata, a
somiglianza di quanto si verificava in Fiandra e in Polonia ».
Queste parole dimostrano che l'arresto dell'offensiva non mi
è giunto affatto imprevisto e perciò è assurdo parlare di fallimento del piano di campagna, quando, come ho detto, non si
trattava di piano di campagna e l'arresto era previsto! Ma, pur
riconoscendo la possibilità che l'offensiva tosto si arenasse, potevo io esimermi dall'avere un piano di campagna, dall'avere
un concetto di condotta delle operazioni nei vari casi che si
potevano presentare? Poiché avevamo di fronte a noi una forte
barriera fortificata, dovevo senz'altro rinunziare a qualsiasi favorevole eventualità e ridurmi subito coll'arma al piede a fronteggiare la barriera stessa, mentre avevamo dichiarato guerra
a scopo offensivo, e la nostra guerra era coordinata a quella
degli alleati? E dovevo perciò anche rinunziare a quelle operazioni preliminari tracciate nelle direttive, le quali avrebbero migliorato il nostro sistema difensivo e facilitato ulteriori operazioni offensive? Tutto ciò è talmente lampante che dimostra
quanto possa la critica ad ogni costo offuscare l'intelligenza in
persone che pur non ne son prive! Del resto il generale Nava
ha atteso ad accorgersi che il piano di campagna era ineseguibile quando non era stato capace di eseguire la parte che gli
spettava dalle operazioni preliminari all'esecuzione del piano
stesso. Poiché egli a torto immedesima le direttive col piano di
campagna, e poiché le prime hanno la data del 1° aprile, anteriore di 54 giorni all'inizio della guerra, pare che non gli sia
mancato il tempo di farmi presente, nei debiti modi, l'ineseguibilità delle direttive stesse sulla fronte della IV Armata!
Questo sarebbe stato il suo preciso dovere, se avesse avuto tale
convinzione. Perché non l'ha fatto?
Quanto all'aver preso l'offensiva su tutta la fronte dal lago
di Garda al mare, debbo ripetere che tale prescrizione si riferiva alle sole operazioni preliminari durante il periodo di radunata.
Ciò era reso possibile dalla pochezza delle forze avversarie, ed era indispensabile di fare così volendo occupare di primo slancio posizioni importanti per la difesa e per la successiva offensiva. Ma, ultimato il periodo preliminare, diventata
la guerra statica dallo Stelvio alla Carnia, si trovavano schierate 14 sole divisioni sui 500 e più chilometri di questo fronte
e 21 sui 90 chilometri dalla conca di Plezzo al mare. Altro
che guerra a cordone! Maggiore addensamento di forze — data
la totale disponibilità di 35 divisioni lungo la fronte sulla quale si doveva procedere offensivamente — non si poteva immaginare!
Riferendomi ora, non alle operazioni preliminari durante
il periodo della radunata, ma al vero piano di campagna quale
l'ho adombrato nel capitolo III del libro La guerra alla fronte
italiana, dirò che la causa principale della non avvenuta sua
attuazione — alla quale nessuno dei numerosi e facili critici
ha creduto di dover accennare — è il fallimento dei presupposti sui quali tale piano si fondava. Risulta infatti dal suddetto
capitolo III che, in base alle convenzioni stipulate, io facevo
assegnamento, al momento della nostra entrata in guerra, sulla
contemporanea offensiva delle armate russe della Galizia verso
l'Ungheria e dell'esercito serbo con direzione generale su Agram.
Ora il disastro russo di Gorlice dell'aprile 1915 non solo impedì l'offensiva russa, ma ebbe per conseguenza l'indietreggiamento di alcune centinaia di chilometri delle armate russe e la
loro paralisi per lungo tempo. L'esercito serbo, per cause non
ancora chiarite, ma certamente più politiche che militari, mantenne una completa inazione che permise agli austriaci di sot-
1) Ho scritto possibilità. Sarebbe stato più esatto dire probabilità; ma
potevo io adoperare una parola che avrebbe paralizzato lo slancio offensivo,
tanto necessario specialmente in quei primi giorni della guerra?
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trarre la maggior parte delle truppe, e le migliori, dal fronte
serbo (avviandole alla nostra fronte), non lasciandovi che una
quarantina di migliaia di uomini, in gran parte di Landsturm.
Perciò, anche indipendentemente dalle difficoltà della guerra di
posizione e dalla scarsità dei nostri mezzi tecnici, chi si meraviglierà che la nostra offensiva sia, andata incontro a difficoltà
allora insuperabili? Non basta constatare che, nel fatto, il piano di campagna è fallito, ma è ancora necessario dimostrare
che sarebbe necessariamente fallito anche nel caso in cui si
fossero verificati i presupposti sui quali io facevo assegnamento
per poter attuare il piano stesso. Ma questa dimostrazione non
è stata fatta e non sarà fatta!
Dopo quanto ho esposto, io concludo che gli ultimi ad aver
diritto di parlare del fallimento del mio piano sono proprio
quelli che colla ingiustificata estrema lentezza del loro operare
hanno — come il generale Nava — largamente contribuito a
far fallire ciò che di quel piano era ancora attuabile senza l'atteso concorso della Russia e della Serbia.
Benissimo, e, prescindendo dalla solita eleganza dell'eloquio, siamo in perfetto accordo.
Nella guerra di movimento, nella quale la situazione varia
di giorno in giorno, il Comando Supremo deve emanare ordini
precisi, anche giornalmente, quando ci si trova in vicinanza del
nemico, indicando alle varie armate gli scopi da conseguire ed
i collegamenti colle altre armate e lasciando piena libertà d'azione nell'esecuzione della manovra. Ma quando, come nel caso
della IV Armata, si debbono svolgere operazioni di più o meno lunga durata con obiettivi ben distinti da quelli delle altre
armate, da raggiungersi attraverso ad una zona di operazione
nettamente separata da ostacoli naturali da quelle delle armate
laterali, è evidente che il Comando Supremo, che si trova lontano, non può determinare giorno per giorno con ordini precisi le operazioni da compiersi e deve limitarsi ad indicare al
comandante dell'armata gli scopi generali, gli obiettivi da raggiungere; in altre parole, egli deve compilare delle direttive.
Ma anche questi obiettivi il generale Nava trova modo di
criticare, trovandoli troppo lontani e separati dalla nostra linea
di partenza dalla barriera fortificata austriaca! Ma io non ho
assegnato per obiettivi alla IV Armata né Vienna né Budapest,
e nemmeno Innsbruck e Villach : mi sono limitato ad indicare
il vicino gruppo del Sella e principalmente il vicinissimo nodo
di Toblach, il quale dista non più di 12 chilometri dal confine
di M. Piana. Dovevo forse assegnare per obiettivo alla destra
della IV Armata il villaggio di Schluderbach perché si trovava
al centro delle prospicienti fortificazioni di Landro? Pare a me
evidente che l'obiettivo dev'essere assegnato al di là dell'ostacolo da superare, affinché tale indicazione possa servir di norma
nel determinare il modo col quale superare l'ostacolo stesso.
Per esempio, se io avessi stabilito per obiettivo le fortificazioni di Landro e di Sexten, il generale Nava sarebbe stato giustificato se avesse diviso i suoi scarsi mezzi tecnici fra i due
gruppi fortificati. Avendo io invece indicato Toblach come
obiettivo, egli era in facoltà di limitarsi a sorvegliare il gruppo
di Sexten e di riunire tutte le sue artiglierie contro il gruppo
# # *
Un'altra accusa mi rivolge replicatamente il generale Nava,
specialmente a pag. 200 nel capitolo intitolato: «Meno direttive e più ordini di operazioni. » Le direttive non gli vanno
decisamente a genio, ed avrebbe voluto che il Comando Supremo ricorresse a precisi ordini di operazioni. Eppure egli
stesso soltanto tre pagine dopo (pag. 203) ha scritto quanto
segue : «... le direttive essendo apparse, nei primordi della
guerra, quale memoriale di desiderati da soddisfare, più che
non ordini formali da eseguire, e come guida dì condotta non
ledente per nulla quella latitudine di azione che, per regola,
vuol essere giustamente lasciata, in guerra, ad elevati agenti,
investiti di alti ed importanti comandi, nell'ufficio complesso
di regolare, tra le truppe dipendenti, lo svolgimento delle operazioni militari, in relazione ai mandati assegnati ed ai fini da
conseguire. »
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di Landro-Plàtzwiese, la cui espugnazione gli avrebbe consentito di raggiungere il nodo di Toblach, anche senza impadronirsi delle fortificazioni di Sexten. Egli che mi accusa di aver
diviso le artiglierie d'assedio fra diverse armate non s'accorge
di averle alla sua volta divise fra tre gruppi fortificati, mentre
bastava dividerle fra due!
Ed ancora: il generale Nava, che avrebbe preferito gli ordini alle direttive, non ricorda (anche in questo caso la memoria lo ha tradito!) che io ho bensì emanato delle direttive il
1° aprile, ma poi, e proprio nel giorno della dichiarazione di
guerra, cioè il 22 maggio, gli avevo spedito un ordine telegrafico confermante le direttive, e veramente chiaro e preciso come
lo vuole lui — ordine che ho già riferito in questo capitolo,
ma che, essendo assai breve, desidero ripetere : « Autorizzato
iniziare ostilità a partire ore ventiquattro ventitré maggio. Operi in conformità direttive aprile 1915 iniziando operazioni spiccato carattere vigore cercando impadronirsi al più presto posizioni nemiche oltre confine necessarie ulteriore sviluppo operazioni. » Che cosa avrebbe potuto desiderare di più esplicito il
generale Nava, se avesse avuto l'intelletto e l'animo pari alle
necessità della situazione? Nessuno avrebbe potuto giustamente
rimproverargli di non avere espugnato la barriera fortificata,
se le artiglierie si fossero dimostrate per quantità e qualità non
adeguate allo scopo. Ma il non avere agito con rapidità e risolutezza come gli ordini volevano e le circostanze consentivano,
al fine di conquistare posizioni che avrebbero poi reso molto
meno difficile quell'attacco, fu grave colpa, della quale il generale Nava ha tentato e tenterà invano di sdebitarsi!