Relazione prof. Vassalli
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Relazione prof. Vassalli
La prevenzione delle crisi di impresa: bilancio attuale nella legislazione italiana, proposta de iure condendo. Primi appunti (*). (*) Relazione tenuta al Convegno del 18-19 febbraio 2011 dal titolo “Debitori, creditori e patrimonio: legislazioni a confronto. Alcune riflessioni a partire dall’Opera di Ariel Angel Dasso “Derecho Concursual Comparado”, con l’aggiunta di alcune note. 1. Il problema. Scopo della mia relazione è di tentare di mettere a fuoco le possibilità, secondo il nostro ordinamento vigente, di rilevare con il necessario carattere della tempestività, le difficoltà in cui una impresa possa venire a trovarsi, nonché una volta verificatane la sussistenza, se, sussistano elementi di diritto positivo attraverso i quali si possano eliminare le difficoltà riscontrate ed in caso negativo anticipare l’apertura di una procedura di crisi1. Il tema non è stato mai specificatamente affrontato dal nostro diritto positivo e ciò nonostante che non siano mancati anche nel lontano passato2 segnali della dottrina sulla imprescindibilità di perseguire le predette finalità e di regolarle per legge con appositi strumenti. Diversamente è accaduto in altri Paesi e in particolare in Francia, dove la materia è stata oggetto di previsione specifica e si badi del tutto autonoma, perché necessariamente prioritaria rispetto alla disciplina relativa al trattamento della crisi già in essere. Ricordo brevemente che in questo Paese la prevenzione della crisi compare nella legislazione sin da tempi remoti, poiché giustamente è stata considerata assolutamente necessaria non fosse altro per ridurre le possibilità concrete del verificarsi di una crisi. 1 Sulla necessità di diagnosticare precocemente le crisi di impresa onde adeguatamente e tempestivamente farvi fronte cfr. fra i molti F. d’ALESSANDRO, La crisi dell’impresa tra diagnosi precoce e accertamenti terapeutici, in Giur. comm, 2001, I, 411 ss.; ID, La crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali, in Giust. Civ., 2006, II, 329 ss. 2 Cfr. in particolare P. ABBADESSA, Prevenzione e risanamento nelle procedure concorsuali, in Dir. fall., 1984, I, 719 ss.. Ciò è tanto vero che questa disciplina ha subito costantemente da parte del legislatore transalpino una costante verifica di efficienza con le correzioni e le integrazioni ritenute indispensabili dalle numerose leggi che si sono succedute in quel Paese aventi a specifico oggetto la prevenzione. Ricordo ancora assai succintamente che in Francia sussistono le cc.dd. misure di allerta, attivabili da parte di una pluralità di soggetti interessati e che necessariamente confluiscono dinnanzi ai tribunali specializzati. In Francia si sono configurate nel tempo le misure di allerta c.d. interna e perciò endosocietaria dirette in primo luogo al rilievo da parte dei commissaires aux comptes che nell’ambito dell’esercizio delle loro funzioni constatino la presenza di fenomeni tali a loro giudizio da compromettere la continuità dell’esercizio dell’impresa. Questi ultimi potendo essere rappresentati da circostanze fondate sulla situazione finanziaria dell’impresa come quella che da luogo ad un netto patrimoniale negativo, ad una interruzione dei rapporti di credito, ad una tesoreria anch’essa negativa, ma anche a circostanze fondate sulla situazione patrimoniale dell’impresa quali quelle dell’avvenuta costituzione di apposite garanzie reali su tutta o grossa parte dell’attivo dell’impresa. Ancora è compito dei commissari ai conti procedere alla verifica dell’esistenza di importanti impegni finanziari, del venir meno di quadri importanti della gestione dell’impresa senza una correlativa ed immediata loro sostituzione o anche della penuria di materie prime indispensabili per l’impresa di riferimento. Ancora vi rientrano, fra i fatti oggetto di necessaria verifica da parte del commissario ai conti, la rilevazione di conflitti sociali, la diminuzione del numero delle richieste da parte della clientela, la perdita di licenze o di brevetti e financo lo stato delle relazioni con i fornitori, allorché quest’ultimo diventi più difficile o problematico. Da ultimo rientrano nell’ambito della verifica certamente anche aspetti più strettamente giuridici, quali per esempio il mancato pagamento di debiti fiscali, di debiti di lavoro e più in generale sociali. 2 Tutti questi aspetti debbono apparire ai commissari ai conti particolarmente gravi per rendersi sintomatici di una minaccia per la prosecuzione dell’attività dell’impresa entro un termine giudicato prevedibile. Tutto ciò non comporta una ingerenza dei commissari nella gestione vera e propria dell’impresa, bensì semplicemente la rilevazione del dato o dei dati ed il loro giudizio sul concreto pericolo. Il risultato di questo giudizio viene normativamente trasferito, attraverso una procedura particolarmente rigorosa in primo luogo al consiglio di amministrazione o al direttorio della società, i quali debbono indicare ogni misura da loro ritenuta appropriata per rimediare alle difficoltà denunziate. Va da sé che questa prima tappa del percorso deve rimanere confidenziale ed esclusivamente dunque all’interno dell’impresa. È poi prevista una seconda fase nella quale, qualora i dirigenti non forniscano alcuna risposta o anche una risposta insoddisfacente, i commissari ai conti invitano formalmente i dirigenti a promuovere un consiglio di amministrazione, a prendere posizione con una apposita delibera sulle questioni oggetto della loro denunzia e, a partire dalla legge del 26 luglio 2005, è indispensabile che questa sia trasmessa al presidente del tribunale di commercio. Di qui si apre una ultima fase nella quale il commissario ai conti per una serie di ragioni specificamente indicate dalla legge è tenuto a fare una richiesta per iscritto ai dirigenti della società per la convocazione dell’assemblea generale, facendo pervenire un rapporto preciso e circostanziato ai fini della discussione. A questo punto anche il carattere della riservatezza si allenta, poiché di questi eventi debbono essere messi a parte tanto i lavoratori quanto e soprattutto gli azionisti e se non si individua all’interno della predetta assemblea l’adozione delle misure necessarie, il commissario ai conti ha altresì il dovere di informare, senza indugio, il tribunale di commercio, comunicandogli il risultato totalmente o parzialmente non soddisfacente. 3 La c.d. allerta interna è poi attribuita sia pure in maniera meno incisiva al comitato di impresa, nonché agli stessi soci, ai quali spetta il diritto di allerta che si realizza attraverso un procedimento di minore pregnanza rispetto a quello instaurato dai commissari ai conti, ma che anch’esso esige un a interlocuzione con i gestori dell’impresa, con la conoscenza obbligatoria di questo rapporto da parte del commissario ai conti e pur realizzata col carattere della rapidità e col carattere della confidenzialità e senza implicare necessariamente una apposita delibera dell’assemblea si può qualificare anch’essa ed è qualificata anch’essa una “petite allerte”. La legge francese conosce anche delle tecniche di allerta cc.dd. esterne. La prima e senz’altro la più efficace è quella stabilita a termine dell’art. 611-2 del cod. de commerce dove è in facoltà del presidente del tribunale di convocare i dirigenti di una impresa quando a lui risulti da ogni atto, documento o procedura che l’impresa sia affetta da difficoltà tali da compromettere la continuità dell’esercizio. Il presidente del tribunale di commercio può assumere direttamente informazioni utili alla sua valutazione presso tutti gli uffici pubblici e prima di tutto presso i commissari ai conti. Il suo potere di intervento consiste in una convocazione del rappresentante legale della società o dell’imprenditore individuale nel quale egli è tenuto a motivare le circostanze che giustificano il suo intervento. Tuttavia questa misura di allerta esterna, pur proveniente da una autorità giudiziaria, può anche non avere alcun seguito, con la conseguenza che essa riposa in definitiva, per un verso dal grado di persuasività del magistrato, ma anche e soprattutto sulla buona volontà dei convocati. Da ultimo un’altra allerta esterna è stata prevista espressamente dalla legge del 1984, istitutiva dei gruppi di prevenzione concordata. Ai sensi dell’art. 611-3 del cod. de commerce, allorché il gruppo rilevi degli indici di difficoltà ne informa il capo dell’impresa ed è altresì abilitato a proporgli l’intervento di un esperto. 4 L’eventuale “fallimento” dell’efficacia di taluna di dette misure di allerta determinerà assai probabilmente l’apertura di una situazione di crisi che in Francia risulta altrettanto particolarmente disciplinata (mandato ad hoc, procedura di conciliazione, procedura di salvaguardia, procedura di redressenent judiciaire, procedura di liquidazione), ma della quale non è compito di questa relazione occuparsi. In conclusione possiamo osservare che l’orientamento del sistema francese si caratterizza in relazione al nostro problema per i seguenti elementi fondamentali: a) esso prevede per le imprese ed in particolare per quelle societarie adeguati e perduranti strumenti di prevenzione giudicati idonei al tentativo di affrontare con tempestività ogni difficoltà o criticità che appaia profilare dei turbamenti della continuità aziendale; b) la disciplina positiva appresta degli strumenti funzionalmente in grado, talora con i caratteri della obbligatorietà, tal’altra con i caratteri della facoltatività, di rilevare detti eventi e stabilisce le regole puntuali e temporali circa il modo di rimuoverli; c) tutto ciò stabilendo un punto di equilibrio che non rischi di pregiudicare l’autonomia delle scelte gestorie, espressive della libertà di impresa, ma che al contempo esiga una risposta rapida ed efficace; d) la disciplina inoltre correttamente si preoccupa della necessaria riservatezza fin dove obbiettivamente possibile di questa sorta di procedimento cui le misure di allerta danno luogo almeno fin quando ciò possa essere consentito evitando la pubblicità del procedimento stesso3. 3 In generale sulle procedure di allerta in Francia si possono utilmente consultare D. VIDAL, Droit de l’entreprise en difficulté, 3^ ed., Gualino, Paris, 2010; F. PEROCHON e R. BONHOMME, Entreprises en difficulté. Instruments de crédit et de paiement, 8^ ed., Lextenso ed., Paris, 2009; C. SOUWEINE, Droit des entreprises en difficulté, 2^ ed., Grenoble, 2007; D. GIBIRILA, Droit des entreprises en difficulté, Lextenso ed., Paris, 2009. 5 2. L’introduzione nel disegno di legge Trevisanato di disposizioni mutuate dal sistema francese. E’ ora il momento di tentare di individuare all’interno del nostro ordinamento strumenti che possano in qualche misura supplire alla totale carenza delle misure di allerta, così come esse sono state succintamente rappresentate sin qui nell’ordinamento francese. Premesso che come già rilevato non esistono almeno per le imprese industriali misure specificatamente dirette alla prevenzione della crisi4, debbo tuttavia ricordare che il tema fu oggetto di ampio dibattito e di espressa previsione nello schema del d.d.l. di riforma delle procedure concorsuali redatto dalla commissione intitolata all’avv. Trevisanato ed istituita con d.m. 27.2.2004. Detto d.d.l. anzi prevedeva al 1° co. dell’art. 1 l’istituzione di allerte e prevenzioni dirette a far emergere con tempestività la crisi dell’impresa in funzione di ricercare le soluzioni più adatte al suo superamento. La materia era poi espressamente regolata nell’art. 3 ove era previsto che presso i tribunali e presso le Corti di appello venivano istituite sezioni specializzate per tutte le materie previste nella legge e quindi dedicandovi l’apposito titolo II veniva disciplinata agli artt. 8, 9, 10, 11 e 12 proprio l’allerta e la prevenzione delle crisi di impresa. Si prevedevano al riguardo degli obblighi di comunicazione incombenti sui pubblici ufficiali abilitati a levare protesti cambiari di trasmettere ogni 15 giorni alle camere di commercio l’elenco dei protesti per mancato pagamento levato nei 15 giorni precedenti. 4 Fra gli autori che peraltro affrontarono ed individuarono misure di prevenzione delle crisi di impresa anche diverse da quelle fissate nell’ordinamento francese, è necessario ricordare soprattutto E. BOCCHINI, Riforma organica della disciplina della crisi di impresa ed economia dell’informazione: una lettura, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, Giuffrè, 2005, 949; M.C. CARDARELLI, Istituti di allerta e di prevenzione nella riforma delle procedure concorsuali, in Atti del Convegno (Isernia, 18 ottobre 2003), Giuffrè, 2005; M. SANDULLI, Le precondizioni per una riforma delle procedure concorsuali, in Le procedure concorsuali tra nuove frontiere prospettive di riforma, a cura di S. Bonfatti e G. Falcone, Giuffrè, 2002, 161 ss.. 6 Si prevedeva altresì che le amministrazioni pubbliche e le società di somministrazione di energia dovessero segnalare alle medesime camere di commercio i crediti iscritti a ruolo ovvero assistiti da titolo esecutivo di importo superiore a euro centomila per i quali sussistesse un ritardo nel pagamento di oltre 6 mesi. Erano poi previsti all’interno dell’art. 10 per le sole società di capitali determinati poteri–doveri incombenti sugli organi di controllo delle società consistenti nella comunicazione per iscritto e senza ritardo all’organo amministrativo di ogni fatto idoneo a pregiudicare la continuità dell’impresa del quale essi fossero venuti a conoscenza, con l’invito a porvi rimedio. Più in particolare sul revisore contabile gravava il medesimo obbligo di segnalazione nei confronti degli organi di amministrazione e dei sindaci. La norma prevedeva altresì che in carenza di idonee iniziative da parte dell’organo amministrativo il controllore dovesse convocare senza ritardo l’assemblea dei soci per le opportune deliberazioni ai sensi dell’art. 2406 del cod. civ.. Infine se le iniziative assunte dalla società non fossero risultate comunque idonee ad assicurare la continuità dell’impresa, costituiva obbligo per l’organo di controllo quello di segnalare per iscritto i fatti, dei quali fosse venuto a conoscenza, al tribunale competente e di comunicare la predetta circostanza alle camere di commercio. Da ultimo il tribunale doveva a quel punto convocare gli amministratori e i sindaci aprendo una sorta di fase interlocutoria a seguito della quale, qualora emergessero “fatti di insolvenza” si dovessero applicare senz’altro le disposizioni di cui al successivo art. 41, 3° co. (dichiarazione di ufficio del fallimento) e per contro qualora emergessero fatti rivelatori di una situazione di crisi, il tribunale avesse facoltà di invitare gli amministratori a valutare l’opportunità di accedere alla procedura di composizione concordata della crisi. 7 L’art. 11 del d.d.l. istituiva presso le camere di commercio di ogni provincia un pubblico registro, costituente un’apposita banca dati di tutte le comunicazioni pervenute ed indicate negli artt. 8, 9 e 10. Ne derivava chiaramente una vera e propria pubblicità dei sintomi della crisi probabilmente maggiore rispetto al carattere prevalentemente confidenziale che caratterizza la procedura di allerta nell’ordinamento francese. L’art. 12 stabiliva la necessità che i ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia, promuovessero la costituzione di società a partecipazione pubblica maggioritaria con i compiti di analisi delle situazioni di crisi delle imprese e di supporto alla loro soluzione, anche attraverso lo svolgimento di servizi di assistenza, consulenza e promozione di soluzioni concordate fra debitore e creditori, prevedendo anche la stipula di convenzioni con società private selezionate al fine dello svolgimento di detti servizi5. Tutto ciò, come sappiamo, non ha trovato alcuno spazio, né alcuna apposita disciplina nel testo di alcuno dei provvedimenti che tra il 2005 e il 2007 sono stati promulgati nell’ambito della riforma della legge fallimentare. Ci si deve chiedere se questo mutamento radicale di politica legislativa sia dipeso da ragioni di opportunità o financo da dubbi di legittimità. Per mio conto escluderei radicalmente entrambe le ipotesi, essendo opportuna senz’altro ogni forma di prevenzione che abbia carattere oggettivo ed idoneità ad impedire il successivo probabile sviluppo nefasto degli eventi. Le sanzioni di qualunque specie civili o penali non hanno mai questa valenza bensì quella assai più tenue di radicarsi esclusivamente sul piano soggettivo e psicologico del sanzionando. Più problematica può essere considerata la legittimità delle misure di allerta quali sono previste nell’ordinamento francese e quali erano previste nel disegno di legge di riforma Trevisanato. 5 Il testo del progetto Trevisanato con relativa relazione e con altri disegni di legge i quali anch’essi prevedevano misure di allerta è rinvenibile ne “La riforma delle procedure concorsuali. I progetti”, a cura di A. Jorio e S. Fortunato, Milano, Giuffrè, 2004. 8 Sull’argomento non credo di poter spendere alcuna motivazione del mio convincimento che è quello che le misure di allerta comunque configurate siano legittime per ordinamenti come il nostro e come quello francese ispirati entrambe a quanto è prescritto testualmente dall’art. 41, 2° e 3° co. della Costituzione. Diversa risulta ovviamente la concezione anglosassone, spagnola ed anche germanica. 3. L’inadeguatezza ed incompletezza delle attuali previsioni normative che possano garantire una prevenzione della crisi. E’ bene peraltro verificare il grado di prevenzione delle crisi di impresa eventualmente ottenibile alla stregua di alcune rilevanti norme che almeno per le società di capitali hanno costituito oggetto di ampia revisione ed innovazione. Si tratta in particolare delle norme sul controllo del collegio sindacale e degli organi di revisione contabile di cui agli artt. 2406, 2408 e 2409, nonché di quelle norme che attribuiscono anche ai soci di intraprendere determinate iniziative. Ed invero in taluni casi, senza peraltro che vi sia alcuna specifica previsione che colleghi l’applicazione di queste norme al fenomeno della prevenzione della crisi, quest’ultima ne può risultare in qualche modo favorita, sia pure entro limiti ristretti. Per quanto riguarda l’art. 2406, ove è previsto che in caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge e dove è inoltre previsto che il collegio sindacale possa altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare esso stesso l’assemblea qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante 9 gravità e vi sia urgente necessità di provvedere, si segnala che nell’espressione “fatto censurabile di rilevante gravità” possono annidarsi anche comportamenti suscettibili di essere valutati dal collegio sindacale di particolare gravità anche in vista del loro rilievo diretto o indiretto sulla determinazione causale di difficoltà di ordine patrimoniale o finanziario o anche puramente economico e persino di ordine organizzativo tali da lasciar presagire una crisi imminente. Lo stesso è a dirsi in relazione a quanto è previsto dall’art. 2408 con riferimento alla posizione del socio: quest’ultimo può infatti denunziare ogni fatto che ritenga censurabile al collegio sindacale6. Qualora la denunzia sia fatta da una determinata percentuale variabile fra il ventesimo del capitale sociale per le società chiuse e il cinquantesimo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio sindacale deve indagare senza indugio sui fatti denunziati dai soci e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea, così come deve, nelle ipotesi previste dal 2° co. dell’art. 2406, convocare l’assemblea. Infine l’art. 2409 post riforma7 stabilisce che se vi è fondato sospetto che gli amministratori in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o il ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, possono denunziare i fatti al tribunale. Si tratta di presupposti per la verità limitati e neanche coincidenti con quelli previsti nell’art. 70 del t.u. bancario sull’amministrazione straordinaria delle banche, ove fra i suoi presupposti vi è anche quello della previsione di perdite del patrimonio ed analogamente dell’amministrazione straordinaria prevista dal t.u. della intermediazione finanziaria, ove lo scioglimento degli 6 In argomento si v. diffusamente F. GHEZZI, Collegio sindacale controllo contabile, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, sub. art. 2397-2407 septies c.c., Giuffrè, Milano, 2005, 273 ss.. 7 Sul nuovo testo dell’art. 2409 cfr. V. SALAFIA, Commento all’art. 2409, in Collegio sindacale controllo contabile, cit. loc. cit., 299 ss.. 10 organi con funzione di amministrazione e di controllo degli intermediari finanziari è previsto in caso di gravi perdite del patrimonio della società. Ma ciò che in definitiva rileva sotto il profilo del nostro tema è che l’eventualità, ancorché in limitata correlazione con le norme in discorso, sembra confermata dal comma 6° dell’art. 2409, ove è previsto che l’amministratore giudiziario, oltre alla resa del conto al tribunale e la convocazione dell’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci, possa proporre se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale. Quel che sembra del tutto mancante nel nostro sistema sulla prevenzione delle crisi è ciò che a ben vedere costituisce l’aspetto a mio giudizio più rilevante: non vi è infatti alcuno spazio, almeno a livello testuale, perché si colgano, si rilevino e si affrontino tempestivamente pericoli di crisi che non dipendano da comportamenti dell’apparato dirigente in violazione di norme di legge e di statuto o comunque irregolari, come è testimoniato dalla circostanza che ogni ipotesi suscettibile di determinare una immediata ed efficace reazione da parte dei controllori e dei soci, appare essere soltanto costituita da irregolarità o da fatti censurabili già compiuti da parte dell’organo gestorio, anche se di carattere organizzativo. La nostra legge apparentemente non consente, in alcun modo, per contro, che il controllo correttamente ed indipendentemente esercitato possa dar luogo a tentativi idonei a rimuovere tutti quegli elementi che in un modo o nell’altro depongano nella valutazione dei controllori e dei soci per un attenuamento della continuità aziendale, valore che, come sappiamo, integra l’efficienza di qualunque impresa. Ed è essenzialmente quest’ultimo il principale fattore per il quale le misure di allerta sono previste, come si è visto, nell’ordinamento francese, ed erano altresì previste nel disegno di legge Trevisanato. 11 Tutto ciò suscita una qualche desolazione ed un bilancio particolarmente severo sulla nostra disciplina sul tema della prevenzione delle crisi di impresa. Perché se è vero che in molti casi la causa delle crisi di impresa può essere costituita da atti di mala gestio, nelle diverse accezioni che questo termine può avere, sappiamo bene che le cause delle crisi di impresa ben possono imputarsi a fattori che nulla hanno a che vedere con comportamenti censurabili degli organi gestori e della organizzazione dell’impresa. Sappiamo altresì che le cause delle crisi di impresa spesso sono imputabili a fattori esterni all’impresa stessa ma tuttavia in grado di condizionarne il funzionamento e l’efficienza e dove dunque anche i comportamenti più virtuosi possono apparire del tutto ininfluenti. È utile in conclusione rilevare che da sempre esiste una importante e vastissime bibliografia sulla fisiologia dell’impresa la quale appositamente si occupa della diagnosi dei processi degenerativi. Ma si tratta di una bibliografia cui i giuristi di solito non sono partecipi. Essa infatti è stata elaborata dagli studiosi di economia aziendale di ogni paese e qui in Italia, in particolare, da studiosi di elevato prestigio quali Capaldo, Cassandro, Coda, Grassini, Guatri e numerosi altri. Questa poderosa letteratura appare ispirata da una particolare esigenza primaria costituita essenzialmente dalla rilevazione della natura della causa, rapportata soprattutto all’oggetto dell’attività di impresa, inserita nell’ambito del suo mercato di riferimento e dalle dimensioni della stessa. Ebbene non mi sembra che allo stato i nostri giuristi si siano dimostrati particolarmente propensi a farsi carico di recepire le conclusioni della dottrina economica cui mi riferivo. Ma è soprattutto il legislatore che non se ne è fatto alcun carico. 4. Una ipotesi diversa da esplorare. 12 Desidero a questo punto non già proporre de iure condendo un sistema diverso e più pregnante capace di contribuire a risolvere il rilevante problema che ho prospettato, bensì assai più semplicemente invitare coloro che ne risultino interessati ad esplorare l’ipotesi di un accentramento della materia che faccia capo all’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato. Come sappiamo è questo un organismo la cui ispirazione di fondo è quella di garantire la concorrenza e che conseguentemente non sarebbe in astratto deputato ad ingerirsi laddove l’impresa non appaia in condizione di resistere nel mercato e per l’effetto possa vedere addirittura con favore la loro naturale espulsione. Senonché se solo si leggano attentamente le riflessioni contenute in un recente articolo8 e se poi se ne approfondiscano gli sviluppi successivi della stessa dottrina italiana9 e si esamini la ormai ampia ed anche remota casistica internazionale sull’applicazione della c.d. failing firm defence doctrine, si noterà come il compito dell’autorità garante non sia soltanto quello di regolare la concorrenza fra imprese, bensì sia anche e soprattutto quello di garantire l’efficienza delle stesse, giungendo fino al punto di autorizzare concentrazioni, finanche restrittive degli assetti concorrenziali del mercato interessato, fra imprese in difficoltà o persino fallite con altre entità che dimostrino che attraverso la predetta concentrazione potrebbero essere evitati o comunque fortemente attenuati i cc.dd. costi sociali, perché suo tramite si possa meglio soddisfare un’altra numerosa serie di interesse economici, quali la migliore protezione degli investimenti, la possibile migliore soddisfazione dei crediti, la conservazione dell’occupazione e con essa la conservazione di un reddito con conseguente capacità di spesa. 8 Mi riferisco a G. GUIZZI, Concentrazioni tra imprese e insolvenza. Appunti a margine del caso Alitalia, in Riv. dir. comm., 2009, I, 337 ss.. 9 Si v. in particolare il Saggio di M. MAGGIOLINO e F. GHEZZI, Crisi di impresa e diritto antitrust, di imminente pubblicazione, in Riv. soc., 2011, ove ogni altro opportuno riferimento alla dottrina e alla copiosa giurisprudenza comunitaria e statunitense sul tema. 13 Tutti questi elementi e tutti tali da costituire interessi sociali indiscutibili possono concorrere a garantire il miglior funzionamento del sistema economico nel suo complesso e renderlo perciò per l’appunto efficiente. Qualora si convenisse su questa moderna impostazione dei compiti dell’autorità garante non apparirebbe più del tutto peregrino addirittura attribuire a quest’ultima una funzione istituzionale di prevenzione delle crisi di impresa10. 10 Del resto il nucleo fondamentale del ruolo dell’Autorità garante nelle crisi di impresa e la sua possibile accentuazione era già stato colto perfettamente da F. CORSI, in Impresa e mercato in una nuova legge fallimentare, in Giur. comm., 1995, 329 ss. 14