Stare accanto nelle ultime fasi della vita intervento di Marinella
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Stare accanto nelle ultime fasi della vita intervento di Marinella
Stare accanto nelle ultime fasi della vita intervento di Marinella Cellai Auditorium della Facoltà di Medicina e Chirurgia Università Cattolica del Sacro Cuore Roma - 8 Marzo 2012 Quando mi è stato chiesto di parlare dei “bisogni veri” dei malati e dei loro familiari mi sono vista scorrere davanti agli occhi del ricordo le immagini delle tante storie di accompagnamento vissute nei miei 32 anni di volontariato. Mi sono così resa conto, con un certo stupore perché non mi ero mai soffermata su questo aspetto, di quanto alcuni bisogni, quelli più evidenti e macroscopici, fossero cambiati nel tempo con il cambiare della società nella quale viviamo (basta pensare a cosa ha significato l’avvento delle badanti! La stessa parola “badante” è un termine di nuovo conio e mi viene in mente che nei primi anni ’90 ho letto sulla prima pagina del Corriere della Salute un articolo del Prof. Spinsanti intitolato “cosa farebbero i nostri malati se non ci fossero i peruviani?) ma, al contrario, di quanto fossero rimasti immutati, e forse lo rimarranno sempre, quei bisogni che si potrebbero definire transmaterialistici, che a me piace definire “sottili” ed esistenziali Credo anche che nel momento in cui una persona, soprattutto se malata, percepisce un bisogno qualsiasi, quello sia un “bisogno vero”. Ma mi è venuto anche da riflettere su cosa sia in realtà quello che noi definiamo con il termine “bisogno”. La risposta che mi è venuta alla mente è stata: una carenza, un vuoto, una necessità che richiede di essere compensata. Bisogni espressi e bisogni inespressi, che sono forse i più profondi, i più importanti: quelli che è più difficile far salire in superficie. Talvolta magari, anche se percepiti, non riconosciuti dal malato stesso. Sono anche ben consapevole che, per quanto riguarda il malato, il primo e più importante bisogno è quello che il dolore fisico sia reso tollerabile perché se il dolore è intollerabile non c’è né qualità di vita, né qualità di morte! Una volta ottenuto il controllo del dolore, sempre guardando il mio film del ricordo e tralasciando i bisogni legati al corpo mi balza agli occhi come il bisogno più importante sia quello di essere ascoltati e di sentire ascoltati i propri bisogni. È di sollievo poter parlare dei propri bisogni, anche quando non possono venire soddisfatti. Il poterli nominare dà loro valore e riconoscimento. Il poter esprimere il proprio bisogno ha dunque un valore co-terapeutico nel percorso di cura Il malato si sentirà accolto per quello che è: soggetto e non oggetto, si sentirà un po’ meglio e il sollievo dal cuore si espanderà al corpo intero Quindi la necessità di poter comunicare con una persona disponibile ad accogliere, senza giudizio, i bisogni, le paure, le emozioni, le domande rimaste fino ad allora senza risposte e quindi ecco il bisogno di essere informato e rassicurato. -1- E ancora, il bisogno di non essere lasciati soli, “mai più soli e abbandonati, come ha scritto Gigi Ghirotti nel suo memorabile libro “Nel tunnel della malattia”. Il bisogno di non sentirmi solo, di sentire che qualcuno mi tiene per mano e mi accompagna nel sentiero accidentato che mi trovo davanti! Il bisogno di non sentirsi soli è strettamente correlato al bisogno di informazione e rassicurazione. L’incertezza, l’evasività nelle risposte lasciano spazio alle fantasie negative e ai fantasmi che queste evocano. Ecco dunque che ritorniamo al grande capitolo dell’ascolto empatico che accoglie quelle paure, aiuta a dipanarle, elaborarle e fronteggiarle sdrammatizzandole. Il “conoscerle” le renderà meno nemiche e spaventose! Se potrà esprimersi il malato potrà anche recuperare la sua dignità di persona, forse calpestata, e potrà essere considerato per quello che è nel qui ed ora ma anche per quella che è stata la sua esistenza e che non può essere cancellata con un colpo di spugna. Un corpo devastato può infatti nascondere un’essenza integra che va rispettata. Un corpo devastato ha bisogno di ricevere sguardi di tenerezza perché chi lo occupa possa accettarne il degrado. Si tratta di ascoltare, con le orecchie, con il cuore, con la mente, con gli occhi ma soprattutto con la volontà di capire ciò che l’altro ci vuole comunicare al di là delle parole. E c’è ancora il bisogno di essere aiutato a ricapitolare la propria vita, a mettere su un filo rosso tutti gli avvenimenti che hanno dato un senso alla propria vita e che consentono anche di rivalutare la propria esistenza e lasciare una specie di eredità spirituale a chi rimane. E poi ci sono quelli che si possono definire i bisogni negati, negati spesso proprio dai familiari.: mi viene in mente l’impedimento a parlare della propria morte, dei propri desideri a questa correlati, oppure l’impedimento a ricevere ad esempio determinate cure complementari identificate dal malato stesso. Le ragioni possono essere molteplici: dall’incapacità dei familiare a “reggere” il confronto con la morte imminente del congiunto “a viso aperto”, a forme di gelosia o dominio esclusivo dell’iter terapeutico prescelto per il proprio caro. Una sofferenza nella sofferenza! E per ultimo ma non certo ultimo in ordine di importanza, il bisogno di contatto! Il contatto è uno straordinario mezzo di comunicazione che va molto… oltre le parole, mette in comunicazione due anime, due cuori, va a toccare le emozioni profonde, consola, solleva, accompagna. Nel palmo della mano e nell’arco plantare è posizionato il maggior numero di recettori di sensazioni ed è proprio attraverso un semplice contenimento della mano che si può stare in comunicazione con l’altro anche nel più assoluto silenzio. C’è una particolare modalità di contatto, secondo il metodo del Nurturing Touch per accompagnare il morente in quello che io definisco -2- l’attraversamento del ponte. In questo modo il morente non si sentirà solo nel suo ultimo viaggio e il familiare non avrà poi sensi di colpa per non aver saputo stare accanto al suo caro. Ci sono tanti modi per “esserci” per “stare con” e ognuno deve trovare quello che è più congeniale per stabilire una forte relazione di aiuto. Ma i bisogni del malato non possono essere considerati senza… allargare il campo ai bisogni dei familiari. Perché malato e familiari costituiscono un’unica unità sofferente e anche i familiari in un certo senso “si ammalano” quando si ammala il loro congiunto. Bisogni che sono estremamente variabili e mutevoli anche in considerazione della fase di malattia. Dalla diagnosi alla fase acuta è il tempo del “fare”, della “ricerca”,delle “scelte”, insomma della grande attività e dell’impostazione di un certo tipo di comunicazione con il congiunto: tutta la verità, nessuna verità, una via di mezzo? Da questa grande prima scelta dipenderà poi tutto il problema della comunicazione con lui, più o meno difficile a seconda della scelta fatta: dalla condivisione più totale e che quasi sempre favorisce un migliore iter terapeutico, alla congiura del silenzio, che è fonte, ancora una volta, di sofferenza nella sofferenza! Ma quando la fase acuta procede verso la fase finale, non è più il tempo del “fare” bensì quello dello “stare”: un tempo molto più difficile e che dà origine a bisogni molto diversi rispetto ai precedenti e diversi anche a seconda dei precedenti equilibri familiari. C’è il familiare che non riconosce e/o annulla completamente i propri bisogni, votato al sacrificio più totale per esaudire solo quelli del congiunto. E c’è il familiare che ha un miglior controllo delle proprie emozioni e percepisce bisogni diversi ogni giorno perché diversa è la situazione da un giorno all’altro. Ma, riconosciuti o no, i bisogni (mancanze, carenze, vuoti come abbiamo detto all’inizio) sono sempre, dai più evidenti: mancanza di sonno, di pause, di riposo, ai più “sottili”. Bisogno di comprensione e apprezzamento per l’enorme sforzo che si sta facendo, di carezze, di coccole, di poter piangere liberamente per liberarsi da tanta tristezza, di poter dar voce alle paure che la fanno da padrone, paura di non saper vivere senza la persona amata, paura che la vita non abbia più alcun senso, paura di non farcela economicamente, paura della solitudine. Questa è forse la più grande delle paure “paura di rimanere soli”, soprattutto quando chi se ne va è il coniuge dopo una lunga vita vissuta insieme. E allora quale è il bisogno sempre presente, anche in quei familiari che al primo approccio sembrano molto chiusi nel loro dolore? Il bisogno di essere ascoltati, bisogno di ricevere un massaggio alle spalle per sciogliere le dolorose contratture dovute alla tensione, bisogno di poter parlare e non solo delle proprie emozioni e delle proprie paure, ma anche di -3- sciocchezze, di cibo, di cose allegre perché si deve poter “vivere” per permettere al proprio caro di “morire vivendo” e non di “vivere morendo”, per poterlo accompagnare con tenerezza, amore e condivisione dandogli anche, come ultimo atto di amore, il… permesso di morire! Scaletta Bisogni macroscopici cambiati nel tempo Bisogni sottili immutati -4- badanti Sempre bisogno vero Cosa è un bisogno’ Bisogni espressi e inespressi Primo: dolore Ascoltati e ascoltati i bisogni Soggetto e non oggetto Sollievo dal cuore al corpo Comunicare persona disponibile ….i nformazione e rassicurazione Non lasciati soli Info e rassicur. Risposte evasive fantasie negative e fantasmi Ascolto empatico ore4cchie ecc. Dignità calpestata sguardi tenerezza Filo rosso Bisogni negati Bisogno di contatto9 Familiari Fare Sacrificio comunicazione stare controllo Bisogni. Palesi Massaggio N.T. accompagnamento e sottili apprezzamento, coccole, piangere - parlare di emozioni, sentimenti e sciocchezze - -5- paure permesso -6-