Musica nella Liturgia gennaio 2007

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Musica nella Liturgia gennaio 2007
A cura del
Dipartimento
di Evangelizzazione
Ucebi - sezione musica
Su questo numero:
Non ci sono più le campane di una volta
Testimonianza in Musica
L'intercultura dal punto di vista
pastorale e musicale
Lo shofar, uno strumento per migliorarsi
Segui il tempo, batti il ritmo
L'animazione musicale nella liturgia
L'innario arcobaleno
Filippo Paradiso, poeta pugliese
Gennaio 2007
Non ci sono più le campane di una volta!
rmai è una dato di fatto: il computer, l’alta
tecnologia, sono entrati prepotentemente nella
nostra vita, nelle nostre case e… anche in
chiesa? Certo. La tecnologia ha iniziato a entrare
nelle chiese, probabilmente, da quando le campane
(e relativo campanaro) sono state sostituite da un
impianto di riproduzione sonoro, potente, programmabile, sempre efficiente. Certo, la nostalgia per quel
suono rimane; come la nostalgia per il suono degli
organi a canne che, unici strumenti ammessi in luogo
di culto, accompagnavano gli inni storici anche delle
nostre chiese. Se ci fermassimo qui saremmo travolti
da un moto di nostalgia immobilizzante; niente di più
sbagliato: il campanaro è giusto che si riposi, mentre
il nostro caro organista, oggi, può sfoggiare le meraviglie della tecnologia e usarle al meglio nel servizio
alla chiesa. Certo che se non abbiamo l’organista è
sicuramente un peccato, ma… pazienza! Potremo
continuare a cantare inni vecchi e nuovi con l’ausilio
di tecnologia ormai alla portata di tutti..
Penso che la rivoluzione più importante dell’era
digitale che stiamo vivendo sia proprio questa: la
condivisone delle idee in tempi brevissimi e con
mezzi accessibili. E non è cosa da poco. Oggi possiamo scambiarci in tempo reale inni, composti o trascritti, in formati a tutti fruibili, come l’MP3 o, meglio,
il formato MIDI (che ormai anche i telefonini posso
suonare!). Possiamo scaricare, in questo formato, l’intero Innario Cristiano, o ricevere per e-mail l’ultima
proposta del nostro gruppo di Musica nella Liturgia,
suonarlo in chiesa la domenica stessa per impararlo
e rispondere riguardo le nostre impressioni.
Naturalmente la rivoluzione tecnologica non
riguarda solo il lato musicale dell’animazione. Oggi,
con un computer portatile e un videoproiettore da
400 euro (ricordate quanto costavano i proiettori a
pellicola una volta? Inaccessibili ai più!) possiamo
proiettare presentazioni video/musicali che ognuno,
con la sua fantasia e sensibilità, può creare e condividere a migliaia di chilometri di distanza.
Tuttavia bisogna fare attenzione: la condivisione
delle idee e delle informazioni è portata, ormai, così
all’estremo, che diventa importante formarsi, imparare, per riuscire a capire e per discernere nel mare
magnum dell’informazione e dell’informatica scremando tutto ciò che non ci fa crescere da ciò che
può giocare un ruolo decisivo per il nostro lavoro.
Capire l’importanza di questa rivoluzione è la
sfida che ci viene posta oggi dalle nuove generazioni, ormai abituate a canali di informazione completamente diversi e dalle tecnologie che, se da un
lato rischiano di ingabbiarci nella rincorsa all’ultimo
prodotto, dall’altro possono essere la risorsa più
importate per un risveglio dell’animazione liturgica.
Sono opportunità importanti i cui sviluppi possiamo
solo intravvedere, ma con i quali dobbiamo fare i
conti per non trovarci a “Mettere le toppe nuove sui
vestiti vecchi” (Marco 2, 19-22), rischiando di strappare toppe e vestiti.
Pietro Romeo
Musica nella Liturgia è una pubblicazione in aggiunta al Seminatore. Numero 5 - gennaio 2007 (Direttrice responsabile Marta
D’Auria - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 5894 del 23/7/1957) a cura del Dipartimento di Evangelizzazione dell’Ucebi, fotocopiato in proprio e non in vendita. Si regge soprattutto sulle offerte (inviare a: Segreteria Amministrativa Ucebi, Rosetta Uccello
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Ogni autrice o autore di articoli ed inni è direttamente responsabile di ciò che pubblica e delle informazioni che divulga. Lo stesso vale per i materiali coperti da copyright per cui è a responsabilità delle autrici o autori che pubblicano inni o articoli coperti
da copyright ottenerne l’autorizzazione d’uso. Musica nella Liturgia si propone come obiettivo quello di divulgare notizie, informazioni, storie, studi, inni, in riferimento a contenuti e spazi di fede nel Dio creatore del cielo e della terra.
IL DVD: anche per questo numero è stato elaborato un DVD con immagini, interviste, musiche ed inni per le nostre chiese,
tutto in forma simpaticamente amatoriale e senza nessuna pretesa di competere con le riprese professionali! Oggi il mondo
delle immagini è diventato così sofisticato e coinvolgente che non oseremmo mai paraganarci agli addetti ai lavori. Anche
qui, proposte, suggerimenti, critiche per I prossimi dvd saranno sempre ben accolti.
Testimonianza in musica: Non foglie, no
A cura di Daniela Mastantuoni
Ci sono inni che ti accompagnano per tutta la vita,
questo è uno di essi, credo di averlo sempre ascoltato, fin da bambina, lo cantava mia nonna, in casa
come in chiesa, insieme alla comunità in cui sono
nata e in cui sono cresciuta.
Forse nessun inno come questo mi dà la sensazione
del tempo che scorre, un tempo che ci fa crescere,
ci invecchia, ci cambia, e che pure non porta con sé
l’angoscia del deterioramento, del lento consumarsi
del nostro essere, della nostra esistenza.
In questo canto il tempo non ha un potere devastante, è piuttosto un luogo dove si incontra Dio, e dove
si sperimenta la vita.
Dio è nella forza piena e gioiosa della gioventù,
quando siamo pieni di entusiasmo e forse non ancora appesantiti dalle delusioni inevitabili che ciascuno
di noi vive,
Dio è nel tempo della maturità quando forse hai strumenti per capire di più e servire meglio,
Dio è nella tenerezza infinita che ti accoglie quando ti
guardi indietro e vedi la tua vita e sei tentato di credere che il tuo tempo migliore sia passato.
Le parole di questo canto mi dicono che non c’è un
tempo migliore, c’è solo il tempo che Dio ci offre
giorno dopo giorno e che prende per sé ogni cosa
della nostra vita.
Il tempo che Dio ci offre è nella possibilità di vivere
ogni cosa alla sua presenza, di mettere davanti a Lui
tutto ciò che amiamo, i nostri beni, i nostri affetti nella
certezza che tutto ciò che gli affidiamo e doniamo
viene custodito nel tempo, perché sì, siamo tanto
simili alle foglie portate via dal vento e anche i nostri
desideri, le cose che siamo riusciti a realizzare lo sono,
ma davanti a Dio vorremmo essere meno “leggeri”,
vorremmo avere la consistenza di un frutto ed essere
belli come i fiori.
Uno di questi fiori, il più bello è quello che possiamo
offrire a Dio con la nostra mente, con i nostri pensieri,
con la nostra meditazione.
Ognuno di noi può lodare, cantare e pensare a Dio.
Pensare a lui e su di lui è il primo modo che abbiamo per esistere e per resistere al tempo, perché “chi
medita giorno e notte sulla legge del Signore diventa
come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà
il suo frutto nella sua stagione e il cui fogliame non
appassisce”.
Questo inno più di tutti mi ricorda la promessa di questo salmo.
L’intercultura dal punto di vista pastorale e musicale:
la musica tra la realtà delle chiese italiane e quelle dei migranti
a cura di Carlo Lella
anche dalla antica mancanza di fondi per cui non
abbiamo potuto incentivare scuole di musica accanto
a quelle teologiche, non abbiamo potuto formare
musicisti professionisti di chiesa, i nostri e le nostre
musiciste oggi professionisti si sono formati per altre
vie e sicuramente non lavorano per le chiese, se non
volontariamente ed episodicamente.
Dunque non abbiamo avuto la possibilità di creare dei
quadri (parola che oggi non si usa più...) che a loro
volta facilitassero la conoscenza di nuove forme musicali, nuove letterature.
L’innologia delle chiese battiste
Incomincio dandovi una non buona notizia. Non sarò
breve perché il tema è complesso e occorre aprire
linee di dibattiti in vista dei nuovi progetti che sono
stati avviati. Chiedo dunque scusa alle lettrici ed ai lettori, ma è l'articolo di orientamento del primo numero
2007, e come tale la responsabilità è grande!
Introduzione
Dunque cominciamo dicendo che l’innologia delle
chiese battiste appare da subito un campo molto vasto
nel quale complessa è la ricerca dei suoi elementi
caratteristici.
Non sfugge infatti il valore di questa tradizione innologica soprattutto oggi con tutta la produzione della
musica gospel, ma anche di inni tradizionali secondo
il modello del corale della Riforma e con l’aggiunta
di timbri musicali tipici dei compositori e compositrici
battiste, fino ad arrivare a tutta l’innologia battista
moderna sia anglosassone sia nordamericana sia
sudamericana sia africana, le cui radici partono dall’Inghilterra del XVII secolo e dalle colonie americane
fondate dai coloni inglesi.
Tengo a precisare che di questo patrimonio noi battisti
italiani ne sappiamo ben poco. Non voglio iniziare la mia
relazione con una nota polemica, ma è un dato di fatto.
Questa mancanza di conoscenza tuttavia non risiede
in una volontà di non voler sapere, ma è stata dettata
Tornando alle nostre radici, alla luce del ruolo centrale che il canto svolge nella vita delle chiese battiste,
sorprenderà sapere che il canto comunitario in molte
delle chiese battiste del XVII secolo non era visto come
una buona pratica.
A quel tempo infatti alcune chiese, sia in Inghilterra
che in America, si opponevano vigorosamente al “cantare promiscuo” cioè al cantare insieme a coloro che
non erano né battezzati né tanto meno membri di
chiesa.
E questa opposizione riguardava anche alcune versioni
dei salmi cantati che venivano strutturati secondo il
modello del canto strofico e metrico in quanto essi,
secondo alcune espressioni del tempo, erano “man
made” cioè “manipolati da mano umana”.
Tuttavia non tutte le comunità battiste aderirono a que-
sto tipo di atteggiamento verso il canto, sviluppando al
contrario un’innologia che man mano accompagnò
tutti i momenti di culto e di comunione cristiana.
E, comunque, anche in questo caso ci sono comunità
battiste che usano solo il Baptist Hymnal ed altre che
stampano un proprio innario che parte dal Baptist
Hymnal e al quale vengono aggiunti i canti e gl’inni
che più si adattano alla comunità locale.
Questa caratteristica peculiare, cioè di essere in un
certo senso liberi nelle compilazioni e nelle scelte,
influenza anche le melodie e il carattere generale della
musica innologica battista.
Se noi in Italia quando cantiamo un inno lo vogliamo
cantare allo stesso modo senza variazione alcuna,
spesso fuori dell’Italia un inno può essere cambiato e
trasformato a secondo delle esigenze dei tempi storici
e delle comunità nelle sue variegate componenti.
In America, ma anche in Inghilterra, come anche
in altre comunità sudamericane, caraibiche ecc.. un
inno tradizionale non lo si abbandona, ma lo si propone anche secondo gli stili dei linguaggi moderni. E,
soprattutto, si evita di toglierlo dagli innari. È chiaro
che questo non accade sempre, e realtà battiste estere
che propongono un modello simile al nostro ci sono.
Possiamo dire che una delle caratteristiche che hanno
accompagnato e accompagnano tutt’oggi l’inno battista è che ogni comunità sviluppa e segue una propria
idea di canto, così come nella scelta degli innari, per
cui divieti o scelte imposte in genere non vengono
accettati. Ciò accade per il principio congregazionalista
delle chiese battiste per il quale è fatta salva l’autonomia di ogni chiesa locale.
In altre parole, e ci riferiamo in particolare all’Inghilterra e all’America, ogni comunità è libera di cantare
qualsiasi canto o di scegliere qualsiasi innario che si
ritenga conforme e condiviso dalla comunità locale.
Il concetto che vi sia un unico innario per tutte le
comunità è stato storicamente mal sopportato e spesso non adottato, anche in Italia dove ci sono chiese
che ancora cantano inni dell’Innario del 1922 o che
hanno compilato delle proprie raccolte e non hanno
mai cantato da un innario “ufficiale”.
Ogni comunità è libera di cantare canti o di scegliere
innari che si ritengano conformi e condivisi dalla
comunità locale.
L’innologia delle chiese battiste in Italia
Il risultato di questa scelta, mi riferisco soprattutto
all’estero, è stata un’enorme produzione di innari e di
inni (si calcola che ad oggi siano stati prodotti più di
200 innari, ognuno con non meno di 700/800 inni).
Tuttavia ad un certo momento si decise di creare un
punto di riferimento che fu, ed è ancora oggi, il Baptist
Hymnal, l’innario battista ristampato e rinnovato in
genere ogni due o tre anni.
In Italia oggi si può ormai dire che l’innario che sia
stato davvero un punto di riferimento delle chiese battiste insieme alle altre chiese evengeliche è stato quello
del 1922, ristampato poi nelle edizioni successive nelle
quali in genere veniva presentata un'appendice con
canti nuovi, fino all’edizione nuova del 1969 e l’ultima
del 2000.
Ma attenzione che anche per questo innario, quello
del ‘22, non mancarono le polemiche perché nel compilare questa raccolta furono tralasciati molti altri canti
caratteristici di alcune chiese battiste e non solo.
L’Innario "Alleluia" pubblicato dall’Amei con il lavoro
del pastore Enrico Paschetto era appunto sorto anche
come proposta aggiuntiva alle scelte effettuate dalla
commissione dell’innario del 1922.
Se fossimo stati in America la raccolta “Alleluia” dell’Amei sarebbe diventata un innario con riedizioni fino
ai nostri giorni, dato il valore di questa pubblicazione non solo dal punto di vista della scelta degl’inni,
ma anche perché aveva anticipato i tempi aprendo il
campo all’innologia dell’ecumene internazionale, così,
come io ho definito un’area innologica moderna. Ma
poiché siamo in Italia...
Tutto il resto della storia a noi è ormai ben nota, ma va
conclusa dicendo che con l’innario cristiano del 2000,
togliendo tutte le problematiche che non ha risolto, a
torto o a ragione a noi non interessa il giudizio, tuttavia
esso ha aperto la strada ad un’idea che era sorta già
tempo prima con il fratello Ezio Ponzo della commissione Grume (Gruppo musica evangelica) della Fcei.
Qual è questa idea?
ma c’è chi nonostante tutto si è opposto dicendo che va
bene che è stato tolto il fallo, ma quel fallo non era un
fallo qualunque, bensì di Teodoro Pietrocola Rossetti,
rivoluzionario mazziniano e abile evangelista.
Forse, per favorire la mediazione con i più ancorati alla
tradizione basterebbe proporre le due versioni nello
stesso innario, sia quella originale che quella rivisitata.
Direte: e quanto diventerebbe grande il nostro innario?
Risposta: innanzitutto non tutti gl’inni classici necessitano di una revisione e poi che cosa sono i nostri innari
rispetto a quelli citati prima con almeno 800 inni?
L’opposizione a questa tecnica, quella della revisione,
nasce però anche da un’idea culturale che ci accompagna. E apriamo qui un altro punto di discussione.
L’inno: opera d’arte o canto di testimonianza?
La revisione dei testi degl’inni tradizionali nell’incontro interculturale.
L’idea della revisione dei testi è sicuramente una tappa
fondamentale per favorire l’intercultura. Idea contestatissima fino ad oggi, ed io stesso non saprei dirvi
se ne sarei totalmente a favore, sicuramente non avrei
le competenze per agire in tal senso. Ma dal punto di
vista dell’interculturalità, se vogliamo entrare in questo
specifico, le opposizioni alla revisione dei testi “arcaici”
rimangono infruttuose e la proposta di lasciare tutto
così come è non aiuta la riflessione sull’incontro interculturale che è oggi una realtà delle nostre chiese.
Ma perché questa contrarietà? Secondo me perché
è un campo letterario molto complesso e difficile,
dove solo validi esperti potrebbero offrirci versioni
autorevoli. Inoltre c’è la questione del rispetto dell’originalità. Tuttavia, se andiamo a vedere alcune revisioni
dall’innario 2000, non ci può sfuggire il famoso inno
Così qual sono, n. 184. Ricorderete che, nella vecchia versione, sia dell’innario del 1922 che del 1969
(rispettivamente al numero 102 e 167) la parola “fallo”
ripetuta più volte ed in più posizioni creava non pochi
imbarazzi.
La versione che ci è stata data è una buona versione,
Facciamo un esempio a noi molto vicino: la Bibbia.
Oggi noi non leggiamo più l’antica versione della
Diodati se non nel nostro studio, per le nostre ricerche,
per un gusto letterario; utilizzeremo semmai la versione riveduta della Diodati o la riveduta di Luzzi o ancora
la Nuova Riveduta.
Osserviamo le differenze su un testo:
La Diodati originaria. Luca 10: 1 ORA, dopo queste
cose, il Signore ne ordinò ancora altri settanta, e li
mandò a due a due dinanzi a sè, in ogni città, e luogo,
ove egli avea da venire. 2 Diceva loro adunque: Bene
è la ricolta grande, ma gli operai son pochi; pregate
adunque il Signor della ricolta che spinga degli operai
nella sua ricolta.
Versione Nuova Riveduta:1 Dopo queste cose, il
Signore ne designò altri settanta e li mandò a due a
due davanti a sé, in ogni città e luogo dove egli stava
per recarsi. 2 E diceva loro: «La mèsse è grande, ma
gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della
mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse.
lingue. E ho fatto la scoperta dell’acqua calda: i ragazzi
e le ragazze del gruppo musicale conoscevano molti di
questi inni tradizionali. E li hanno riconosciuti perché
leggendo le parole nella loro lingua e ripetendo un po’
il motivo hanno detto: ah! ma sì, questo lo conosciamo!
Quindi una volta ripassati al momento del culto proprio quei canti sono stati cantati nelle diverse lingue
che appartenevano ai vari gruppi linguistici presenti
nella comunità.
E la comunità così composita ha partecipato al canto
perché ci si riconosceva insieme, pur se nelle differenze linguistiche e con inni diversi rispetto a quelli usuali,
ma che ricordavano le chiese di origine dalle quali
erano andati via. In quell’occasione molti mi dissero:
“questo inno lo cantavo nella mia chiesa, eravamo più
di cinquecento!”.
Inoltre, in questa ricerca, ho notato che i canti più
“riformati”, se vogliamo usare questo termine, erano
i meno tradotti, nel senso che li trovavo in inglese, in
tedesco chiaramente, ma non sempre in altre lingue, a
differenza invece dei canti di origine metodista, conosciutissimi, o del movimento del pietismo dal 1700 in
poi, ecc...
Questo chiaramente ci porta ad una considerazione
che ci deve aiutare nella nostra crescita interculturale: è
falso che i nostri fratelli e sorelle migranti non abbiano
un repertorio di inni tradizionali ed è falso che non li
cantino mai.
È vero però che risulta difficile imparare termini italiani
arcaici così come li troviamo nei nostri inni, e non solo
per loro; sfido chiunque tra voi a tradurmi subito frasi
del tipo:
Fra i nembi e le procelle, di quest’umana vita, ne porge
solo aìta la croce di Gesù... sicuramente dovremo tradurre prima “procelle”, poi “aita” mentre per i “nembi”
vorremmo sperare che ancora si sappia che si parla di
nuvole e di nuvole cariche di pioggia.
Allora o li proponiamo nelle rispettive lingue di appartenenza (inglese, spagnolo...) o li adattiamo ad un
linguaggio corrente o li spieghiamo ogni volta; oppure
noi ce li cantiamo e noi ce li suoniamo fino a quando,
noi, viviamo.
Sta di fatto che in quel culto, ritornando all’esperienza,
si cantarono inni di diverse tradizioni e molti dei fratelli
e sorelle africani, sudamericani, portoghesi, vennero
da me e mi dissero: “ah! finalmente un culto con la
batteria al posto suo, senza far troppo chiasso e gli
Si potrebbe obiettare che la musica, la poesia, sono
un’altra cosa. L’inno è... ma si potrebbe anche rispondere con le parole di Martin Lutero il quale ai suoi
musicisti e ai suoi cori lanciò un messaggio ben chiaro:
le vostre opere musicali e la vostra bravura canora li
presenterete sui palcoscenici dei teatri, al vostro pubblico. Invece, in chiesa, si canta e si suona per lodare il
Signore e tutta la comunità deve esserne partecipe.
Dunque, secondo un principio protestante l’inno è
prima di tutto atto di testimonianza e come tale deve
essere canto vivente cioè attuale. E nulla toglie che
potrà essere anche “opera d’arte”, ma al primo posto è
La Parola cioè il linguaggio.
Dati di esperienza interculturale nel linguaggio
Quest’ultima affermazione, forse teologicamente azzardata nel coniugare Parola-linguaggio, non è tuttavia
un’affermazione teorica ma si basa su varie esperienze.
Ve ne riporto qualcuna che ci potrà aiutare nella delineazione di alcune linee guida per favorire lo scambio
“interculturale”.
Mi è capitato di proporre dei canti tradizionali a dei
gruppi musicali dai quali non avevo mai sentito cantare
neppure un inno tradizionale. In genere erano gruppi
formati da giovani.
Se voi sentite dire che una comunità non canta inni
tradizionali, e parlo ora nello specifico di una comunità
di migranti, immediatamente pensate che non li conoscano.
Quale è stata la mia metodologia per favorire lo scambio interculturale tra una innologia diciamo “nostra”
(pur se il maggior numero di inni che le comunità italiane cantano, e parlo dei nostri inni tradizionali, sono
inni importati dall’estero) ed una innologia diversa
dalla nostra?
Innanzitutto sono andato a scegliere inni che avevano
il corrispondente testo in inglese, in spagnolo, in portoghese, in francese.
Ad esempio l’inno A Dio sia la gloria con il testo originario To God be the glory che troviamo nell’innario
cristiano al n. 50.
Li ho trascritti ponendo nella linea melodica le quattro
strumenti rispettosi delle nostre voci”.
La stessa esperienza è stata riproposta l’anno scorso,
parlo del 2006, per il Festival Gospel a Rovigo con
identico risultato. Anche in questo caso c’era un gruppo di giovani che ha guidato l’assemblea con le stesse
modalità.
Certo, per fare questo occorre un lavoro specialistico
alle spalle. Molti di voi vivranno la frustazione di non
veder realizzata una situazione simile nel proprio contesto. E la sensazione è che o ci si adegua o non c’è
niente da fare.
e nelle melodie che sono stati cambiati mentre il fratello
africano o la sorella sudamericana i suoi inni ce l’ha,
spesso li conosce a memoria e se li porta dal suo paese.
E quando arriva in Italia li vorrebbe cantare in un modo
più partecipato, ma soprattutto, vorrebbe cantare.
Questo disagio nelle nostre comunità si esprime anche
in altri modi: non poche volte mi è capito di sentire dai
pulpiti affermazioni, davanti alla comunità che si prepara al canto, del tipo “scusate ma purtroppo oggi manca
il musicista e dobbiamo cantare senza la musica: ma il
canto che cos’è se non “musica” per eccellenza. La
comunità che canta è la musica. E questo è oltretutto
un principio protestante.
Del resto lo sappiamo tutti che la voce è il più antico
strumento del mondo.
Per un fratello o sorella africani, che ci sia il musicista
o no, non è un problema; il canto sgorgherà sempre
dalla sua gola perché la musica la ricerca dentro di sè
sapendo che, solo dentro di sè, troverà la musica.
Imparare ad ascoltare:
nuova prospettiva dell’intercultura
Il disagio nel cantare
A questo punto mi potreste chiedere: ma è solo un
problema di linguaggio arcaico?
È sicuro che basti tradurre inni antichi per favorire uno
scambio interculturale?
Allora vi rispondo che o inno antico o inno moderno il
problema è sempre quello del linguaggio.
Linguaggio sia della parola che della musica.
Linguaggio che determina anche atteggiamenti, modi
di essere nella comunità. Linguaggio che determina la
comprensione della realtà quotidiana. Ecco perché il
binomio teologico prima enunciato: Parola-linguaggio.
Inoltre, i fratelli e sorelle migranti che arrivano nelle
nostre chiese trovano spesso una situazione complicata
o meglio di disagio, per cui o ci sono chiese che cantano
quasi esclusivamente i canti tradizionali dell’innario,
spesso con andamento molto lento, spesso facendosi
coinvolgere dall’organista quando c’è, per cui è la comunità che accompagna l’organista che fa tutto e canta
tutto; o ci sono chiese che non riescono quasi più a cantare perché non si riconoscono più ad esempio nei testi
Penso che l’incontro sul piano dell’interculturalità si
fondi anche “sulle competenze”, per cui non basta la
buona passione.
Ma non basta neanche la tecnica perché occorre una
attitudine particolarissima: quella di essere osservatore e osservatrice senza giudizi e pregiudizi. E questa
“tecnica” è un insegnamento che ho ricevuto dal mio
amico Antonio Celano, operatore musicale socio-culturale, che i lettori e le lettrici di M e L ben conoscono
per i suoi precedenti articoli.
E attenzione, questa particolare predisposizione, che
nel processo della conoscenza è il dato fondante, non
deve appartenere però solo alle comunità italiane.
Spesso il giudizio ed il pregiudizio è reciproco per cui
da un lato se non si cantano “gli inni veri” facciamo
solo canzoncine da intrattenimento, dall’altro se non
danziamo o non cantiamo con ritmi da batteria siamo
solo vecchi in estinzione.
Il primo dato da superare è questo giudicarsi reciproco
che non fa bene a nessuno perché appunto ci incatena.
La musica in questo può dare un grande aiuto, sia per
le esperienze che vi ho raccontato sia perché è nel
carattere della melodia quello di riuscire a far dire e
immaginare cose che le parole non possono tradurre.
seria attività di formazione.
A questo riguardo vorrei porre la vostra attenzione sul
fatto che questa idea dell’osservare senza giudizi e pregiudizi è anche la competenza più alta per un animatore ed una animatrice, parlo del ministero che io svolgo.
Infatti, sarà un principio metodologico che verrà introdotto, spiegato ed analizzato nella scuola di formazione per animatori ed animatrici musicali che avremo in
Febbraio ad Ecumene.
Quindi, per concludere, credo che sia finito o dobbiamo far finire, per il nostro cammino nell’intercultura, il
tempo della “buona volontà”, del “vogliamoci comunque bene” cioè di un buonismo che alimenta solo
insoddisfazioni e conflitti. E spero che finisca anche
l’idea di relegare alle nuove generazioni la possibilità di
sdrammatizzare i conflitti di oggi.
Io credo che, invece, sia la generazione di oggi che
deve avviare il tempo di uno studio ed approfondimento con progetti concreti.
Questo, affinché le generazioni del domani possano
rafforzare la testimonianza evangelica in un reciproco
riconoscimento dei doni di ciascuno e di ciascuna di
noi, dirigendosi subito verso altre terre promesse che
il Signore, così come ha fatto con Abramo, con Mosè,
indicherà ad ogni nuova generazione.
Certo, spesso ciò in cui la musica riesce non così vale
per i musicisti. Ecco perché dobbiamo avviarci alla formazione dei nostri animatori e animatrici, dei “nostri
quadri”, alla loro valorizzazione per un cammino interculturale basato non sull’improvvisazione, ma su una
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Lo shofar: un suono per migliorarsi,
per tornare a Dio e a se stessi
a cura di Deborah D’Auria
“E nel settimo mese, nel primo del mese, sarà per voi
adunanza sacra non farete alcun lavoro servile, giorno del suono tremolante sarà per voi”
(Numeri 29,1)
Questa forma è comune nella maggior parte degli
strumenti a fiato, e quindi come tale, per noi, è priva
di interesse, ma è singolare come la riflessione dei
maestri ebrei sia maturata anche intorno a questo
elemento di per sé marginale, traendone un ulteriore
insegnamento.
La radice della parola shofar significa “migliorarsi” e
dunque il suono che si produce da esso deve rispettare delle tonalità, nonché delle pause che rispecchiano
gli stati d’animo di colui che si appresta a compiere
uno sforzo per migliorare se stesso, quasi a indicare
che se chiediamo, come dice il salmista, in condizione
“di angustia e di ristrettezza”, tanto più ampia sarà la
risposta che ci verrà data.
Il corno è curvo, proprio perché anche lo stato
Il primo giorno del mese indicato dal verso, è il primo
di Tishrì, giorno in cui comincia la festa di Rosh Hashanah, comunemente nota come il Capodanno ebraico. Questa festa celebra la nascita del primo uomo
e comincia con la preghiera che apre i dieci giorni di
penitenza e si conclude con Yom Kippur, il giorno dell’espiazione e della riconciliazione.
Durante la festa di Rosh Ha-shanah, la liturgia
ebraica prevede che si suoni più volte lo shofar,
uno strumento ottenuto dal corno di ariete la cui
imboccatura (dalla quale si soffia) è molto stretta, mentre la parte terminale da cui fuoriesce il
suono è molto larga.
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d’animo dev’essere tale.
Lo stato d’animo di colui che si avvia verso un cammino di teshuvà. Letteralmente questa parola significa
“ritorno” e sta a indicare un ritorno a Dio, alla Torah,
a se stessi e alla propria autenticità. Comunemente il
termine viene anche tradotto con risposta o pentimento, perché indica un’azione di ritorno sui propri passi,
di riparazione delle lacerazioni provocate; una forma
di risposta che l’uomo deve dare a Dio, agli altri e a se
stesso, ed è per tale motivo che durante la liturgia, lo
shofar deve emettere anche tre tipi di suoni diversi.
comune ha tenuto stretta e in vita la catena delle
toledot (generazioni), uomini e donne che da fede
a fede hanno raccontato “del patto ch’Egli firmò con
loro…”(Ezech.16,60).
Lo shofar col suo suono evoca un episodio biblico, che
consente di ritornare alle proprie radici, ai padri, al
montone sacrificato al posto di Isacco, infatti secondo i
maestri del Talmud, la mitzwah dello shofar è collegata
al ricordo della “akedat Yitzchak”, il mancato sacrificio
di Isacco. Del resto ciò lo si evince già dalla provenienza del corno, che, come già affermato, è di ariete e non
di bovino, questo perché, altrimenti, sarebbe associato
al “peccato” del vitello d’oro.
Dunque il suono dello shofar, ci dice che è giunto il
momento di ricordare e di farsi ricordare da Dio, ma
ancor di più, è giunto il momento di legarsi ad un
buon ricordo, quello dei Padri ai quali fu fatta una promessa che si perpetua di generazione in generazione.
Ma il ricordo non guarda solo al passato, infatti esso
dev’essere proiettato verso il futuro, al quale ci si arriva vivendo pienamente il tempo presente nell’ascolto
di quella voce che ci chiama e dice “Io sarò con te…”
Il primo suono si chiama teruà, si tratta di un suono
ondulato che deve esprimere un sentimento di tremore; ad esso succede lo shevarim un suono spezzato
paragonabile ad un singhiozzo, infine si udrà un suono
di tekià, cioè un suono liscio e prolungato.
Attraverso questi tipi di suoni, si potrà in qualche
modo tradurre simbolicamente e in termini sonori ciò
che avviene quando si fa penitenza. Quindi il suono
dello shofar è espressione della teshuvà che allo stesso tempo fa nascere una duplice sensazione: quella
della colpa che ci fa tremare e singhiozzare e quella
di una raggiunta serenità, perché confessata la colpa,
riconosciutala, essa non deve schiacciarci.
L’ascolto del suono dello shofar, inoltre rientra tra i
precetti positivi, così come ricorda il primo verso del
capitolo 29 del libro dei Numeri. Uno degli elementi
fondamentali del precetto dello shofar è il ricordo; la
Torah si riferisce ad esso non solo come Yom Teruà, per
l’appunto giorno del suono tremolante della Teruà, ma
anche come Zichron Teruà, ossia ricordo della Teruà.
Quello di ricordare è un imperativo ricorrente in tutta
la tradizione ebraica biblica e postbiblica, il ricordo
Per sorridere:
Due amici, a causa di un litigio, non si sono più frequentati per anni ma un bel giorno, all’uscita del
Kippur, decidono di riconciliarsi.
Si stringono le mani e uno dice all’altro:
“È tradizione farsi gli auguri all’uscita di kippur…”
“Bene allora! Ti auguro esattamente tutto quello che tu
auguri a me…”.
“Accidenti a te! Ecco che ricominci!”.
Tratto da M. A. Ouakin-D. Rotnemer “Così giovane e già ebreo”
Piemme 2000
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Segui il Tempo, batti il Ritmo
Primi rudimenti d’approccio allo studio della Batteria e delle Percussioni
a cura di Ennio Romolo Epifania
altro per mezzo di semplici frasi ritmiche strutturate in
codici di comunicazione istintivi.
Notizie di vario genere sulla vita quotidiana, gli annunci
dei festeggiamenti, ricorrenze, matrimoni, nascite piuttosto che decessi e richieste di aiuto, quindi dichiarazioni di guerra o la fine delle ostilità, se non il semplice
scorrere dei giorni, nelle varie fasi dell’alternarsi delle
stagioni, correvano sul filo delle emozioni e della sensibilità del battitore/suonatore e la grande espressività
del più primitivo degli strumenti il tamburo rituale
iniziando così a comunicare ballando e cantando.
1) La Percussione e primi codici di comunicazione:
Facciamo prima di tutto, due chiacchiere sull’origine
del ritmo…Vi và?
Tutto ha avuto inizio in Africa con l’origine dell’umanità..… già! Proprio con la nascita dell’uomo e la necessità dei primi
codici di comunicazione e trasmissione delle informazioni a distanza, dato che il gesto più semplice oltre
che più istintivo ed efficace per produrre un suono era
la percussione di un oggetto contro l’altro, gli uomini e
le donne primitivi trasmettevano, da un villaggio ad un
Su di un semplice membranofono pelle tesa sul bordo
di un tronco cavo, nell’accezione volgare il cosi detto
classico “tam-tam”, scorreva la vita quotidiana nell’antichità fino ad assurgere al ruolo di cantastorie/medium
della socialità tutta e nella sua interezza, onnipresente
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ed evocato nelle cerimonie di ogni genere oltre che nei
metodi terapeutici e curativi di patologie anche gravi
come la schizofrenia e/o l’attenuazione del dolore nei
pazienti oncologici, cosi come reso noto dai più recenti
studi effettuati con i rilevamenti dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità ma già presente in letteratura
con numerosi trattati medico-scentifici sul tema opera
di diversi grandi studiosi come Gilbert Rouget ed il
suo “Musica e tance” su tutti.
La musica è un ponte
Per arrivare al cielo.
(Alì Farka Touré da ”Solo Nero” di V.Franchini)
• Il Ritmo, parametro fondamentale del linguaggio
musicale nel cui ambito possono essere fatti rientrare
tutti gli aspetti inerenti la durata dei suoni.
Nella musica d’arte occidentale schematicamente si
può riassumere in due distinte concezioni fondamentali :
I) Metrica quantitativa, forma espressiva alla base
della poesia classica e cioè l’organizzazione delle unità
di durata indivisibili (tempi primi) e loro multipli, oltre
il regolare ricorrere degli accenti privilegiati (es. canto
gregoriano, liturgico siriano e russo ortodosso, rinascimentale ecc.).
II) Organizzazione di unità di durata (multipli e sottomultipli) in schemi regolari dette misure con accenti
forti e deboli in sedi fisse.
Ad oggi il ritmo varia a seconda dell’interpretazione
che l’esecutore vuole dare della partitura del semplice
brano e/o testo musicale.
Il Rullante, la Cadenza:
2) Il Tempo, il Ritmo:
Ora facciamo un salto… e poi un altro … di molti
secoli, oplà ed il tamburo viene adottato e non per un
caso travolto e stravolto dalla “cultura occidentale” per
essere utilizzato a fini militari modificato nella struttura
logica e tecnologica e quindi nel suo utilizzo, in “attrezzo leggero e portabile, utile all’uso del segnare e/o
scandire il tempo di marcia alle truppe”:
• il Tempo, valore assoluto di durata che nel corso
di un’esecuzione musicale si dà alle varie unità di valore, cioè, in altri termini, la velocità con cui una certa
composizione viene eseguita. Sino alla prima metà
del sec. XVII veniva riconosciuto alle singole di nota
(breve, semibreve ecc.) un valore assoluto di durata
dal tactus (unità di misura del tempo in epoca rinascimentale relativa alla figura di nota corrispondente
al battito medio del polso umano). Successivamente si
rese necessaria l’apposizione, all’inizio di ciascun brano
musicale, di indicazioni di tempo o andamenti (allegro,
andante, adagio ecc.).
Solo nel 1816 arriva l’invenzione del metronomo di Malzel.
14
nasce il Rullante moderno tamburo a doppia membrana con cordiera suonato per mezzo di bacchette di
legno.
La Batteria:
Malgrado il suo utilizzo a fini non proprio ludici e benefici per cui era nato, il rullante grazie alla sua struttura
serve a sviluppare nuove tecniche su strutture poliritmiche e quindi ad aprire nuovi orizzonti all’uso della
percussione nella musica moderna.
Dapprima il tempo di marcia appunto; strutture di
ritmo semplice divise in quarti con una cadenza
ed un uso specifico, poi mano a mano che l’uso dello
strumento torna ad essere meno vincolante e vincolato
si inizia ad arricchire, grazie anche all’utilizzo delle
bacchette e dal rimbalzo delle stesse sulla pelle tesa al
livello superiore, sempre più di ritmi composti e complessi detti rulli (da cui il nome) sostenuto anche dall’effetto provocato dalla cordiera posta a contatto della
seconda pelle tesa al livello inferiore dello strumento.
“Il popolo africano è stato disperso nel mondo, sia
volontariamente sia con la forza. Esiste un legame spirituale e culturale che trascende il tempo e lo spazio,
in cui si capisce che l’Africa è la nostra terra, la nostra
Madrepatria e che questo punto di riferimento si mantiene ovunque sia la parte del mondo in cui abitiamo.
La Diaspora non è solo il non/luogo dove abitano gli
africani, è molto di più: è una coscienza, è un ambiente
spirituale che ci sostiene, che coinvolge, che fomenta creatività, che ci ispira e ci insegna, che promuove la nostra
liberazione come popolo, che ci abbraccia e ci ama.”
Nasce quindi la Batteria, inserita a pieno titolo in una
grande rivoluzione culturale ed espressiva e denominata Jazz, una serie di tamburi direttamente derivati dal
doumdoumba, insieme di tamburi di antica tradizione
africana ed utilizzata come parte integrante dell’organico di orchestre di musica leggera e popolare.
La batteria si presenta così da subito con una sua
grande dignità, da poco più che un metronomo ad uso
degli altri strumenti dell’organico nell’utilizzo classico,
le percussioni assurgono al ruolo di strumento solista
particolarmente adatto ai virtuosismi di grandi interpreti che ne hanno determinato l’affermazione totale e
definitiva, grazie alla preponderanza della cultura africana e dei suoi esponenti che ne hanno approfondito
lo studio ad uso di tutti.
La Musica fa parte di quel sistema di principi che è
capace di dare forza e potere all’atmosfera.
Suddividendo la triplice radice della M U S I C A si
ottengono Melodia, Armonia, e Ritmo.
Attraverso lo studio della Batteria l’obiettivo deve essere di permettere un avvicinamento scientifico al dinamico campo del Ritmo e di ricercare sempre differenti
(Don Moye. The Art ensamble of Chicago)
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mezzi per sviluppare le grandi possibilità
delle percussioni, piuttosto che inutili quanto sbrigativi “ nuovi metodi rapidi”.
Non si deve suonare la batteria se non si
prova piacere a farlo.
Troppi batteristi manifestano uno sforzo
invece di un godimento e la ragione di ciò
e da ricercarsi sempre in una imperfetta
padronanza delle possibilità dello strumento.
Un modo artistico di suonare la batteria
lo si può raggiungere solo e soltanto tanto
dopo anni di svariate esperienze musicali
ed emotive, il raggiungimento di tale obiettivo dipende dallo sviluppo graduale di una
individuale personalità musicale.
(Gene Krupa)
Ultimo ma non ultimo consiglio che mi
sento di dare è: “divorate” ogni genere di
musica leggendo, guardando ma soprattutto ascoltando di tutto e di più senza limiti di
nessun genere, solo così si può allargare la
propria coscienza e conoscenza ed approfondirla veramente.
“Per l’estrazione delle cose segrete del
cuore non esiste altra via che l’acciarino
dell’ascolto”
(Al Ghazali, “Libro sui suoni dell’ascolto e
della trance” XII sec.d.c.)
Ennio Romolo Epifania, nato a Bari, il 6 agosto 1958, all’età di 17 anni debutta alla batteria con “Susie Q”
band rock- blues. In seguito partecipa al progetto artistico”Funkfulla”, fusione di melodie mediterranee e
ritmi funky-disco, che sfocia nella realizzazione di un Centro di Attività Musicale polivalente, del quale si
occuperà come direttore artistico (1990-’95). La sua personale ricerca artistico-musicale lo porterà verso
le culture “Altre” del Sud del Mondo. Produce alcuni importanti esempi di opere musicali di recupero
delle tradizioni popolari, delle culture di trasmissione orale e poetiche non scritte, una su tutte la collaborazione con Enzo Delre, raro esempio ancora superstite di cantastorie (1995). Cura in qualità di direttore artistico l’edizione di “MaranjaPoint” live in Bologna (1998). Suona e produce “Flash” con “Les Avares
e G.Cellamare” (2000). Ad oggi è impegnato in un laboratorio di studio e ricerca sul tema della “La Trance
indotta dal Tamburo” - viaggio alla ricerca delle radici culturali di antica tradizione Africana “Le Docteur
Djambe”, a cui è associato il progetto artistico “Musiche Sconfinanti” - percorsi di liberazione della musica,
attraverso la contaminazione di generi, culture e linguaggi diversi per mezzo della improvvisazione pura.
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L’Animazione musicale nella liturgia
A cura di Luca Baratto e Carlo Lella
da Internet molti di questi suoni simulati. Vi indichiamo per esempio un sito dove potete scaricare suoni:
http://www.tuttogratis.it/musica_gratis/effetti_sonori_e_rumori_gratis.html
Tali suoni qui li indicheremo con: suoni SFX.
Culto mattutino della XIV Assemblea Fcei
3 Novembre 2006, Roma
Tema del culto: cose vecchie e cose nuove
Sezione A
• Insegnamento canti del culto
- Terra e cielo cantano insieme
- Per la tua grazia
- Lode a te, mio Signor
- Il messaggio che oggi annunciamo
(vedi nelle pagine seguenti in Musica e Musiche)
• Apertura: canto di lode
(la comunità si alza in piedi)
Terra e cielo cantano insieme (3 strofe)
Per la realizzazione dell’animazione in questo culto
occorrono un tavolo di grandezza media coperto con
un drappo colorato o con una tovaglia sempre dai
colori tenui. Tavolo da porre in una posizione visibili
a tutti e a tutte. Gli oggetti in aggiunta da porre sulla
tavola possono essere ad esempio la Bibbia aperta
ed una luce su un angolo del tavolo (candela ecc…).
Saranno coinvolti oltre che il pastore o la pastora chiaramente, il liturgista, che indicheremo con la lettera P,
un lettore, indicato con L, un o una musicista, con la
M, e una sorella o un fratello, con C che dovrà simulare i gesti preposti. Alla persona che verrà coinvolta si
chiederà di premunirsi di un orologio, un paio di lenti,
una penna e un mazzo di chiavi, e chiaramente le scarpe che si presume avrà già con sé.
Per quanto riguarda gli effetti sonori (opzionali) da
riprodurre nella sezione A, che accompagneranno
i gesti, sono realizzati con dei suoni che la tastiera
riproduce tramite un Canvas, cioè un simulatore di
suoni che viene applicato su un mixer dove si collega
sia il Canvas che la tastiera. Tali suoni possono essere
comunque riprodotti anche in altri modi, ad esempio
registrandoli su cd e riproducendoli appunto con un
lettore oppure sul vostro computer. È facile scaricare
(la comunità è invitata a sedersi)
• Confessione di peccato:
Inizia: 1. M: Suono SFX: il camminare
Mentre il suono SFX continua, C si avvicina al tavolo,
si toglie le scarpe e le pone sul pavimento in una zona
centrale vicino al tavolo.
Il M termina Suono SFX: il camminare
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- breve pausa di silenzio
L: Signore, mi tolgo le mie scarpe – che hanno la
forma del mio piede e delle mie comodità
Inno: Per la tua grazia (1ª e 4ª strofe)
2. M: Suono SFX: l’orologio
• Introduzione:
Mentre il suono SFX continua, C si slaccia l’orologio dal
polso e lo pone sul tavolo.
Il M termina Il Suono SFX: l’orologio
P: Se Dio fa ogni cosa nuova, che cosa facciamo delle
cose che già abbiamo e che usiamo tutti i giorni della
nostra vita?
Far nuove tutte le cose, significa anche rinnovare ciò
che abbiamo, per far diventare nuovo ciò che è apparentemente tutti i giorni uguale. Cose vecchie e cose
nuove.
Sezione B
- breve pausa di silenzio
L: Signore, mi slaccio l’orologio, il modo in cui organizzo il mio tempo
3. M: inno Per la tua Grazia (solo strumentale)
Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del
regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale
tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie,
(Matteo 13.52)
- Frase responsoriale cantata dalla comunità: Lode a
te, mio Signor, lode a te, mio solo redentor!
Mentre M suona l’inno in sottofondo, C si toglie lentamente gli occhiali e li pone sul tavolo.
Il M termina di suonare l’inno in sottofondo.
- breve pausa di silenzio
L: Signore, mi tolgo i miei occhiali, depongo la mia
visuale sul mondo
Nel nome di Dio, vi porto il lieto annuncio, l’annuncio
che solo può trasformare la vostra vita…
Il Dio di bontà vi ha conosciuti prima che voi lo conosceste, vi ha accolti, prima che voi lo chiedeste, vi dona
la redenzione che cercate.
- Lode a te…
4. M: Suono SFX: warm pad o tappeto di archi
Mentre il suono SFX continua, C mette su un tavolo
una penna e le chiavi di casa
Il M termina di suonare Suono SFX: warm pad
- breve pausa di silenzio
Andate e gettate il seme che avete ricevuto. Solo ciò
che saprete donare porterà frutto, solo ciò che offrirete
anche ad altri sarà la vostra ricchezza, solo l’amore che
avete ricevuto e condiviso trasformerà il mondo.
- Lode a te…
L: Signore, metto sul tavolo la mia penna, che rappresenta il mio lavoro e le chiavi di casa, la mia sicurezza.
(da: Roots Worship)
• Annuncio della grazia:
(la comunità è invitata ad alzarsi in piedi)
(da “E tutto il popolo dica: Amen” Commissione BMV per il
culto e la liturgia. Testo liturgico: Caterina Duprè; musica e testo
originale del responsorio cantato: anonimo - kenya; testo italiano del responsorio cantato: Gianna Sciclone)
• Predicazione
- Silenzio di riflessione dopo la predicazione
Sezione C
P: Signore,
Riprendo le mie scarpe per camminare nelle tue vie
(subito dopo la lettura) M: Suono SFX: il cammino
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P: mi rimetto l’orologio per vivere secondo i tuoi tempi
(subito dopo la lettura) M: Suono SFX: l’orologio
• Canto di chiusura e Benedizione:
(la comunità è invitata ad alzarsi in piedi)
P: mi infilo di nuovo gli occhiali per guardare al tuo
mondo
(subito dopo la lettura e solo strumentale) M: inno Per
la tua Grazia
Inno: il messaggio che oggi annunciamo (1a str.)
P: apro la mia penna per scrivere le tue parole
riprendo le mie chiavi per aprire le mie porte.
(subito dopo la lettura il M incomincia a suonare l’inno:
Il messaggio che oggi annunciamo)
P: Che il Signore, che fa ogni cosa nuova, ci benedica e
ci guardi, faccia risplendere il suo volto sopra di noi e ci
sia propizio, volga verso di noi il suo sguardo e ci dia la
pace. Amen.
(- il M continua a suonare in sottofondo l’inno : Il messaggio)
Inno: il messaggio che oggi annunciamo (2a str.)
(testo tratto da: Partners in Learning)
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Musica & Musiche
L’Innario arcobaleno
Sarebbe bello che le comunità cantassero uno stesso
canto in piu lingue, quando a cantare ci sono fratelli
e sorelle provenienti da paesi dove si parla una lingua
diversa. E’ come dire: voglio cantare insieme a te, così
come tu canti insieme a me. Cantare a colori è il modo
nuovo di essere chiesa.
Molti dei nostri canti sono stati tradotti da un’altra
lingua, sono stati pensati e scritti in una lingua diversa
dall’italiano. Ed è in quella lingua che possono dare il
meglio di sé.
Riuscire a cantare un canto nella lingua in cui è
stato scritto ci porta a gustare qualcosa di unico,
perché ogni lingua ha la sua particolarità e spesso
noi non siamo in grado di tradurre esattamente,
cioè usando le stesse parole, da una lingua ad
un’altra. Non solo perché, come si dice: “Il traduttore è traditore, dato che è costretto ad usare parole
differenti, con significati a volte diversi, perché non
sempre in una lingua ci sono termini perfettamente equivalenti; ma il traduttore di canti spesso è
costretto “a tradire” la lingua d’origine di un canto
per questioni di metrica.
Un canto nella lingua in cui è stato scritto ci trasmette la
vita della comunità che lo ha scritto e cantato per primo,
quindi un innario multilingue è anche incontro con l’ecumene cristiana, in tutta la sua ricchezza e diversità.
Dunque sono lieto che la redazione di Musica nella
liturgia abbia accolto la domanda che ho prima posto:
da dove cominciare?
In questo numero il percorso che ci viene proposto
in Musica & Musiche comincia con un inno classico
“da non dimenticare”, un inno classico “da imparare”, avvicinandoci man mano ad una porta “ideale”
che apro con gioia e che ci introduce nelle stanze
preparateci da Musica nella liturgia dove alcuni
inni sono stati riportati in più lingue, lì dove sono
state trovate le diverse traduzioni, facendo sì che
pian piano questa armonia di linguaggi diversi si
potrà consolidare assumendo il carattere di una
innologia che non vuole proporre una babele linguistica per confondere le menti, ma che ci aiuterà
a riscoprire l’armonia della diversità che è tipica
della chiesa di Gesù Cristo.
Il modo nuovo di essere chiesa
di Carmine Bianchi
Da alcuni anni oramai,
le nostre chiese, si sono
colorate della presenza
di fratelli e sorelle provenienti da altri paesi.
Portano le loro storie, i
loro cibi, i loro abiti, e
le loro lingue. In Italia
devono imparare a mangiare altri cibi, a indossare altri
abiti e a parlare un’altra lingua. Molti di loro però nelle
nostre chiese cercano di condividere il loro modo di
essere…per cui spesso arrivano in chiesa con i loro
abiti tradizionali, alle agapi portano i loro cibi e inizia
così la condivisione.
Una chiesa che accoglie sa accettare la diversità,
apprezzarla e integrarla.
La lingua però è un problema che rimane.
Spesso i nostri fratelli e le nostre sorelle immigrate al
momento delle preghiere libere prendono il coraggio
a quattro mani e pregano nelle loro lingue native,
e sono contenti, quando gli altri membri di chiesa,
anche se non sono stati in grado di comprendere la
loro preghiera, alla fine, in coro dicono AMEN: così sia,
fratello, sorella, così sia perché ho fiducia che la tua
preghiera è anche la mia preghiera, perché tu sei uno
con me nel Signore, nel suo corpo, di cui noi siamo
membra diverse.
E’ essenziale pregare nella propria lingua, questo ci fa
sentire a casa.
Il canto è preghiera…è importante cantare nella propria lingua per sentirsi a casa, accolti nella chiesa del
Signore.
Ecco perché il Dipartimento di Evangelizzazione
sogna insieme ai battisti italiani un canto a colori, un
innario arcobaleno. La proposta che vi facciamo è un
innario multilingue. Da dove cominciare?
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Melodie di inni classici: da non dimenticare
21
Melodie di inni classici: ancora da imparare
22
Animazione musicale per la liturgia
Inni del culto del terzo giorno. XIV Assemblea Fcei
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25
Lode a Te
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27
Nuovi Inni: Domenico D’Elia
28
29
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La redazione si presenta
Carlo Lella, Chiesa battista di
Napoli, via Foria, operatore
diaconale dell’UCEBI (Unione
Cristiana Evangelica Battista d’Italia). Responsabile della sezione musica del Dipartimento di
Evangelizzazione. Coordinatore
di “Musica nella Liturgia”
[email protected]
Deborah D’Auria, Chiesa battista di Napoli, via Foria, assistente universitaria per la cattedra di Storia delle religioni
del mediterraneo, animatrice
di arte figurative nelle scuole domenicali, curatrice della
rubrica Toledot per l’ebraismo inserita nella pubblicazione “Oltre” di informazione cristiana globale. È
referente di “Musica nella Liturgia” per la sezione
musica ed ebraismo.
[email protected]
Elisa Baglieri, Chiesa ecumenica di Albano, lavora presso
la Federazione delle Chiese
Evangeliche, nell’ambito della
redazione di Protestantantesimo
con mansioni di segretaria di
redazione e produzione, e all’occorenza anche di consulente
musicale. Collabora con “Musica
nella Liturgia” nella ricerca di materiali audio-visivi e per
la rubrica di informazioni via [email protected]
Francesco Romeo, Chiesa
Battista di Milano, via Pinamonte,
canto artistico, voce di baritono.
Fa p a r t e d e l C o m p l e s s o
Internazionale Cameristico di
Milano dove, insieme ad altri
professionisti di diverse nazionalità, esegue concerti di musica sacra e classica, con finalità
di beneficenza. Referente di
“Musica nella Liturgia” per la parte -recupero e
traduzioni di inni classici – soprattutto della tradizione
anglo-sassone.
[email protected]
Pietro Romeo, Chiesa battista di
Rivoli, animatore musicale, grafico impaginatore per il Settimanale
Riforma, giornale delle chiese
battiste valdesie metodiste italiane. Impaginatore e grafico della
pubblicazione “Il Seminatore”
e di “Musica nella Liturgia” del
Dipartimento di Evangelizzazione.
[email protected]
Virginia Mariani, insegnante di
lettere, animatrice musicale, è
particolarmente impegnata nelle
attività della FDEI (Federazione
Donne Evangeliche in Italia),
dove opera sia come segretaria
nazionale che come animatrice
musicale. Collabora con Musica
nella Liturgia.
Domenico D’Elia, di professione medico chirurgo, è animatore musicale e svolge da
oltre 25 anni il proprio ministero presso la Chiesa Battista
di Mottola e presso le Chiese
dell’ACEB/PL (Associazione
delle Chiese Battiste di Puglia
e Basilicata). È specializzato nel settore della musica cristiana contemporanea
(Contemporary Christian Music) che suscita sempre più
interesse nelle comunità evangeliche. Nello specifico si
occupa del vasto e multiforme segmento dedicato alla
Lode e Adorazione (Praise and Worship) e nell’ambito
degli inni dell’Ecumene internazionale. E in questa direzione sono le traduzioni e gli adattamenti in italiano di
decine di canti offerti a Musica nella Liturgia. [email protected]
[email protected]
Giovanni Annunziata, il tipografo. Vive ad Arzano, un
comune dell’area napoletana. Giovanni è il figlio di una
“colonna” della comunità battista di Arzano, Anna Zecchetella
Annunziata. Un ringraziamento al lavoro di Giovanni che fa
con tanta dedizione e passione
insieme a Luisa Capuozzo.
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Quando incontriamo l’oscurità
Quando incontriamo l’oscurità improvvisa,
un nuovo sapere si confronta col dolore,
quando dure malattie ci colpiscono,
la rabbia canta a squarciagola,
“Dio, buon Dio, noi ti chiediamo perché”
e piangiamo tutto il perduto.
Toppa dopo toppa la trapunta è fatta,
Filo dopo fili, i colori composti,
tenuti dalle lacrime, in ricchi ricami,
gli amori han toccato e conosciuto la nostra vita,
famiglie di indicibile dolore
tenuti insieme, ancora sole.
Amico, curando l’afflitto,
risvegliaci al mondo condiviso,
brilla attraverso noi, divina compassione
spera tra i nostri cuori disperati,
costruendo con le pietre scartate
nuove comunità d’amore.
Solo Tu, santo Amore,
ci sostieni con forza incrollabile,
dal nostro nascere al nostro morire,
dona uno scopo al nostro esistere
accoglici, anche se affranti
aspettaci,
e chiama il nostro nome.
Filippo Paradiso
Gioia del Colle, 2006
Adattamento della poesia di Shirley Murray:
When our lives know sudden shadow
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