Gazzetta: Ai confini dello sport

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Gazzetta: Ai confini dello sport
LUNEDÌ 7 OTTOBRE 2013
STORIE
LA GAZZETTA DELLO SPORT
47
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Ai confini dello sport
4
BOXE
Cuore Holyfield
L’ex milionario
adesso aiuta
i poveri inglesi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
STEFANO BOLDRINI
LONDRA
I muscoli ancora possenti e la mani gigan­
tesche non colpiscono più avversari, ma scarica­
no sacchi di cibo per gli affamati e i senza tetto.
Evander Holyfield è uno dei tanti campioni della
boxe che hanno guadagnato una fortuna e si ri­
trovano, in età matura, senza un soldo in tasca.
Ha venduto, anzi svenduto, tutto, tra investi­
menti sbagliati, gioco d’azzardo, tre divorzi co­
stosi e undici figli da mantenere: una villa da 15
milioni di dollari, cimeli, gioielli, mobili. Tutto.
Ma non è finito k.o.: ha trovato il modo di andare
avanti ed è l’ambasciatore di un’organizzazione
di solidarietà che, nell’ultimo mese, ha aiutato i
poveri dell’Inghilterra. Holyfield è stato avvista­
to nelle mense di Manchester, Gateshead, Burn­
ley, Huddersfield. Alla fine di questo giro, in una
serata­evento per raccogliere fondi, 70 sterline
per il biglietto d’ingresso e una consumazione,
l’ex campione del mondo dei pesi massimi ha
raccontato la sua storia, spiegando come l’incon­
tro con il canadese Yank Barry, un filantropo con
passato da musicista e da promoter discografico,
gli abbia cambiato la vita.
La storia «Fare volontariato è un modo per re­
stituire quello che ho ricevuto quando ero bambi­
no. La solidarietà aiutò mia madre a sfamarci.
Con la boxe ho guadagnato una fortuna, oltre 150
milioni di dollari, ma ho perso tutto. Il mio gran­
de problema è stato l’ignoranza. La mia era una
famiglia poverissima. Mio padre e mia madre era­
no analfabeti. Mio padre non c’era mai. Mia ma­
dre aveva problemi di salute. Io ero il più piccolo
di nove fratelli. Sono diventato ricco con i pugni,
ma ero circondato da persone che chiede­
vano sempre denaro. Era una richiesta
continua. E io davo, davo, davo. Fino a
quando, un bel giorno, non c’era più un
centesimo e allora sono stato costretto a
vendere tutto, anche i ricordi. Sono ripar­
tito da zero, ma per fortuna ho avuto
sempre Dio dalla mia parte, poi un gior­
no ho incontrato Barry. Con lui sto com­
piendo qualcosa di buono. I pugili di og­
gi sono più preparati ad affrontare la
vita. Tyson? L’episodio del morso è un
episodio lontano. Non sono più arrab­
biato con Mike. L’ho perdonato. Io e lui
abbiamo avuto esistenze simili. Povertà,
ignoranza, soldi bruciati. Ormai siamo due
vecchi ex pugili che cercano di rifarsi una
vita. Io ho trovato il riscatto nel volontaria­
to. Dio è la mia stella polare. Se segui le sue
parole, non puoi sbagliare strada».
IRIDATO
MASSIMI
S
La carriera
Iridato in 2
categorie
Evander
Holyfield nasce
il 19 ottobre
1962 in Alabama
ma a due anni si
trasferisce ad
Atlanta.
Professionista
dal 1984,
diventa
campione del
mondo dei
massimi leggeri
nel 1986 e fino
al 1988. Passa
nei massimi e
affronta i più
forti della sua
epoca,
conquistando
tre volte la
corona iridata.
Memorabile la
seconda sfida
con Tyson del
1997, quella del
morso
S
Evander
Holyfield non si
è ancora ritirato
ufficialmente,
anche se non
combatte dal
luglio 2011
4
FOOTBALL
Il nome Pellerossa
è offensivo
Anche Obama
contro Washington
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MASSIMO LOPES PEGNA
Pegnarol
NEW YORK
L’annosa questione la vorrebbe dirimere a
modo suo Amanda Blackhorse, attivista della tri­
bù Navajo, senza mettere in mezzo le scartoffie
legali da azzeccagarbugli: «Vorrei chiedergli se
avrebbe il coraggio di chiamarmi Pellerossa in
mia presenza». Il destinatario della domanda è
Daniel Snyder, dal 1999 proprietario della squa­
dra di football dei Washington Redskins (Pelle­
rossa), da tempo al centro delle proteste dei nati­
vi americani, proprio per via di quel nome ritenu­
to oltraggioso. Le cause in tribunale, l’ultima ini­
ziata proprio da Blackhorse, per ora non hanno
portato da nessuna parte; mentre Snyder ha già
detto che «non cambierà MAI quel nome», sugge­
rendo il tutto maiuscolo come rafforzativo alla
sua testardaggine. Ma in queste ore, gli Indiani
d’America hanno ricevuto un incoraggiante so­
stegno direttamente dal presidente Barack Oba­
ma, che nel corso di un’intervista, sull’argomen­
to si è pronunciato così: «Se fossi il proprietario
di quel team, prenderei in considerazione l’idea
di cambiare nome». Persino più confortante di
uno squillo di tromba da «arrivano i nostri».
Negatività A maggio, la faccenda era riaffiora­
ta grazie a un gruppetto di dieci parlamentari
che avevano inviato una lettera a Snyder, in­
vitandolo a cambiare nome, spiegandogli
come Redskins sia un termine altamente
dispregiativo, offensivo almeno quando
la N­World per gli afro­americani. Sul
tema era stato costretto a fare chia­
rezza anche Roger Goodell, commis­
sioner della potente Nfl di cui i Re­
dskins fanno parte: «Pellerossa non è
un termine negativo, anzi gli viene or­
mai comunemente attribuito un signi­
ficato di coraggio, orgoglio e rispetto».
Belle parole, per la verità condivise pu­
re da qualche rappresentante delle tri­
bù. Ma Goodell qualche settimana fa,
sotto pressione, ha dovuto correg­
gersi: «Se offendiamo una sola
persona, abbiamo l’obbligo quanto­
meno di ascoltare». A dar manforte
alla causa indiana sono arrivati anche
una manciata di famose penne del gior­
nalismo Usa, che nei loro pezzi hanno
deciso di non usare più la parola incri­
minata. Snyder sembra irremovibile,
ma chissà se l’intervento di Obama gli
suggerirà maggiore buon senso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
NOMI
DISCUSSI
S
I cambi
Gli altri casi
Molte squadre
universitarie
con nomignoli
indiani hanno
accettato di
cambiare. La
più famosa è St.
John’s
University: da
Red Men
(Uomini Rossi) a
Red Storm. I
Washington
Bullets
(Pallottole) della
Nba, nel 1997, in
si
ribattezzarono
Wizards
(Maghi). per non
richiamare la
violenza. Ci
sono 61 licei
negli Usa, le cui
squadre si
chiamano
ancora Redskins
S
Il cornerback dei
Washington
Redskins
DeAngelo Hall
festeggia un
touchdown contro
i Lions USA TODAY
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PARALIMPIADI
IL CASO
A SYDNEY
I falsi disabili del
basket spagnolo
Oggi il processo
dopo 13 anni
S
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
FILIPPO MARIA RICCI
filippomricci
MADRID
È che la Spagna ci mette sempre un po’ a veni­
re a patti con le sue truffe sportive. L’Operacion
Puerto dopo 7 anni e mezzo è ancora senza senten­
za definitiva, il processo penale contro i falsi disabi­
li che nel 2000 vinsero l’oro nel basket alle Paralim­
piadi comincia oggi. Le medaglie, quelle furono ri­
tirate già nel dicembre del 2000 quando il caso di­
venne di dominio pubblico e lo scandalo fu tale che
la federazione internazionale escluse i disabili in­
tellettivi e relazionali dai Giochi di Atene e Pechino,
ammettendo difficoltà nei criteri di ammissione
agli eventi sportivi degli atleti.
Dieci truffatori Gli spagnoli si presentarono a
Sydney con 2 atleti che rispondevano ai criteri in­
ternazionali e 10 truffatori. Nove di loro tra oggi e
giovedì saranno giudicati in un tribunale penale di
Madrid insieme a 8 dirigenti del movimento para­
limpico spagnolo dell’epoca. L’accusa è falso conti­
nuato, e rischiano una pena massima di due anni di
carcere per frode sportiva: a meno che non abbiano
altri precedenti penali, se dovessero essere dichia­
rati colpevoli non finiranno in carcere però almeno
sarà fatta luce giudiziaria su una delle pagine più
nere dello sport spagnolo. E non solo: Espn ha mes­
so al terzo posto tra gli scandali sportivi del mondo
la storia del falsi disabili, alle spalle del caso Ben
Johnson e della sconfitta premeditata dei Chicago
White Sox nelle World Series di baseball del 1919.
Lo scandalo dei falsi disabili in
Spagna durò molto poco: dopo
la finale Marca pubblicò una
foto in prima pagina dei vinci­
tori e alcuni membri della spe­
dizione furono immediata­
mente riconosciuti. La ri­
vista spagnola Gigantes
denunciò la truffa, poi
uscì il reportage su Ca­
pital dell’insider Car­
los Ribagorda, un
giornalista e scritto­
re che si era infiltra­
to nella squadra
campione olimpica
come giocatore.
Ora il Comitato
paralimpico spa­
gnolo si è costi­
tuito parte civi­
le. Al giudice l’ul­
tima parola.
Il caso
Dopo
Sydney
Il piano della
Spagna era far
incetta di
medaglie per
attirare gli
sponsor, e così
fu: terza nel
medagliere delle
Paralimpiadi di
Sydney e
pioggia di
denaro. Pare
che l’allora
presidente della
federazione dei
Disabili
intellettivi
Fernando
Martin si sia
impegnato a
restituire
140.000 euro
finiti sul suo
conto e non su
quello degli
sportivi
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Guidare connessi
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S
La Spagna a
Sydney vinse la
medaglia d’oro
nel basket per
disabili intellettivi
battendo la
Russia
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