il giardino giapponese

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il giardino giapponese
IL GIARDINO GIAPPONESE
IL GIARDINO GIAPPONESE
Mario Gullì
1.
Introduzione
Il giardino giapponese esprime lo spirito di una tecnica che trae origine dall’attenta analisi dell’ambiente
naturale quale fonte di ispirazione creativa ed esprime, sebbene modificata, la bellezza sperimentata di
una natura incontaminata.
“Non è necessario puntualizzare che il giardino giapponese è universalmente riconosciuto un’ eccezione nell’arte dei
giardini. Prendendo spunto dalla naturale bellezza del paesaggio giapponese ed essendo in armonia con esso, il giardino
giapponese va un passo oltre, diventando il luogo di residenza ideale per gli uomini”. ( Masao Kobayashi, 2002).
Affascinante, spettacolare, meraviglioso e suggestivo sono solo alcuni degli aggettivi usati per esprimere
l’emozione di chi per la prima volta vede un giardino del Sol Levante. Pochi elementi naturali,
sapientemente collocati, sono in grado di creare giochi prospettici e trucchi visivi che danno l’illusione
di uno spazio illimitato.
Acqua, pietre e alberi, sono i tre semplici elementi caratteristici del giardino giapponese, che si
rincorrono, che si specchiano, annunciando le stagioni e segnando il passare del tempo, ma soprattutto
si fondono in un magico scenario, creando suggestive atmosfere che rendono sorprendente ogni
scorcio visivo.
2.
Cenni storici
Nell’evoluzione del giardino giapponese un ruolo fondamentale è stato svolto dalle differenti religioni
che si sono susseguite ed intrecciate durante la storia nipponica. La religione tipica del Giappone è lo
Shintoismo, una religione nazionale molto antica, insieme di venerazioni animistiche della forza della
natura, di culti agricoli e degli antenati. Altra religione propria del popolo giapponese è il Buddismo
diffusosi dall’India nel sesto secolo d.C. assieme alla filosofia Zen. Poco dopo tra il ‘600 e il ‘900 d.C. si
diffuse in Giappone anche il Confucianesimo, religione ispirata alla moderazione, alla saggezza ed alla
meditazione.
Le tre religioni da sempre coesistono e concorrono, dando ispirazione a tutte le espressioni artistiche
nipponiche tra cui la progettazione e la costruzione di giardini.
Il giardino giapponese presenta caratteri del tutto eccezionali rispetto alla tipologia del giardino
europeo. Esso nasce agli inizi del V secolo d.C., importato dalla Cina, ed ha un impronta prettamente
paesistica.
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Nel corso della sua evoluzione, il giardino nipponico va sempre più definendosi nei suoi caratteri
peculiari pur mantenendo, nel complesso, un’estetica di tipo idealistico, legata alla contemplazione della
natura piuttosto che alla sua imitazione.
Con l’introduzione dell’acqua, il giardino nipponico giunge alla “rappresentazione vera e reale della
natura in un piccolo spazio”; ciò porta alla nascita del “giardino-isola” e all’evoluzione di due tipologie
di giardino: “Rinsen”, cioè albero e acqua, e “Sensui”, che significa stagno ed acqua.
Senza dubbio l’impulso più significativo all’elaborazione della “logica” del giardino giapponese, è
fornito dalla filosofia buddista Zen. Sono infatti il gusto della semplicità e della raffinatezza ed il
carattere della serenità a costituire gli elementi pregnanti del giardino, considerato forma d’arte pura,
espressione dell’amore dell’uomo per la natura.
I paesaggi Zen nacquero per aiutare i sacerdoti a comprendere meglio lo Zen e i suoi concetti; alle
origini erano spazi di riflessione in cui ricercare la pace interiore. Composto da rocce, sabbia e
pochissimi o nessun vegetale, il giardino Zen è l’espressione più tipica della semplicità e del
minimalismo della filosofia buddista.
Il termine giapponese utilizzato per definire i giardini Zen è “Karesansui”, giardini di pietra; implicita in
questa definizione vi è una molteplicità di segnali e di simboli che coesistono e si intrecciano in maniera
fluida e scorrevole, nell’intento di riuscire ad esprimere un linguaggio poetico.
Il forte legame del giardino con il paesaggio è evidente nella sua immagine finale che riproduce la
fisionomia e l’unicità del territorio giapponese attraverso l’impiego di elementi esclusivamente naturali.
Pur essendo una forma d’arte autonoma, il giardino giapponese è fortemente legato alla pittura. Di
questa, in particolare di quella ad inchiostro nero, eredita il carattere ombroso e malinconico. Ne deriva
un’impostazione strutturale che predilige gli elementi vetusti e consunti dal tempo, siano essi vegetali,
architettonici od ornamentali; ciò induce alla contemplazione ed alla meditazione, come è proprio della
filosofia Zen.
Il legame con la pittura fa si che proprio alcuni tra i maggiori pittori del XV secolo siano stati i
progettisti di alcuni famosissimi giardini. Valgano per tutti i casi dei giardini di Ryôan-ji e di quello di
Daisen-in, entrambi pensati dal pittore Sôami. Si tratta di giardini di piccole dimensioni, che
riproducono le fattezze di un paesaggio in miniatura; in particolare, il secondo costituisce un esempio
significativo del genere detto “paesaggio secco”: un giardino nel quale l’acqua non è presente, ma in cui
tutti gli elementi sono disposti in modo tale da dare l’impressione che essa vi scorra in mezzo.
Strettamente derivante dal principio della meditazione, è il giardino destinato alla cerimonia del Tè.
Questa, inizialmente riservata all’aristocrazia, nell’epoca democratica di Momoyama (1583 - 1603) viene
estesa a tutta la popolazione, di conseguenza anche questa specifica tipologia di giardino conosce una
maggiore diffusione. Nei “giardini del Tè”, un piccolo sentiero, chiamato “Tobi-ishi”, si dispiega in
modo tortuoso fino a giungere al padiglione della cerimonia nel quale si svolge il rituale.
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L’evoluzione del giardino del Sol Levante porta alla definizione di tre stili: Shin (giardino classico), Gyô
(giardino semi classico) e Sô (giardino di fantasia).
A seconda delle dimensioni dell’area disponibile, il giardino viene concepito per essere osservato e
goduto da un solo punto di vista o da diverse posizioni. In ogni caso esso risulta perfettamente
integrato con l’architettura presente, sia per l’uso dei materiali da costruzione, tutti naturali, sia per la
logica compositiva e progettuale d’insieme.
Anche la casa, concepita come un’architettura articolata ed ariosa, instaura con lo spazio esterno del
giardino una sorta di dialogo continuo. Le varie parti del giardino sono organizzate rispettivamente
secondo lo stile Shin, se prospettano sugli ambienti di rappresentanza; secondo lo stile Gyô se vi si
affacciano la zona pranzo e la zona letto; in ultimo, secondo lo stile Sô se vi si aprono gli ambienti
intimi.
3.
Caratteristiche strutturali e loro evoluzione nel tempo
Molti giardini giapponesi hanno nell’elemento strutturale roccioso, solido, e persistente, il fondamento
della loro composizione. Le pietre sono gli elementi che in maggiore misura conferiscono l’impronta
“paesaggistica” tipica dei giardini giapponesi. Esse vengono scelte tra quelle delle montagne o quelle
delle coste. Le prime servono per realizzare il “paesaggio” del giardino; le seconde vengono riservate ai
fondali dei laghi, alle bordure dei corsi d’acqua o ai sentieri.
In generale, il Giapponese, poco incline alla regolarità e alla simmetria, preferisce delle pietre che
abbiano aspetto, forma e colore naturali. Le rocce non devono essere levigate artificialmente, ma
lavorate solo dai segni del tempo, dall’erosione dell’acqua e del vento; talvolta possono essere ricoperte
in parte da muschio che ne aumenta la patina dell’età e il valore decorativo. Per questo si devono
scartare le pietre troppo regolari, quadrate o sferiche, o dai colori intensi.
Nel giardino ciascuna pietra ha sempre una funzione ben precisa: può servire a riprodurre
realisticamente una tartaruga, un airone o una nave, secondo i miti cari alla tradizione o può venire
impiegata per costruire paesaggi in miniatura in cui si rappresentano monti veri o immaginari, una
cascata, una spiaggia, un impetuoso corso d’acqua. Solitamente le pietre compaiono in gruppi dove ogni
singolo componente non può essere omesso o rimosso senza intaccare l’armonia dell’intera creazione.
Il complesso roccioso deve garantire una sensazione di stabilità, ottenuta poggiando saldamente e
profondamente nel terreno ogni pietra, nel rispetto del suo baricentro e del lato da mostrare; deve
inoltre garantire armonia, nei rapporti reciproci fra le pietre e l’ambiente circostante, e assicurare una
sentore di varietà, grazie alle linee naturali ripetute e combinate in prospettive mutevoli. Seguendo
questi parametri compositivi si imbriglia la forza minerale guidandola lungo una direzione prescelta e si
spinge ciascuna pietra ad esprimere pienamente la propria tensione e potenza.
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Le pietre devono essere collocate in accordo allo studio del terreno e della sabbia e non a caso, devono
avere un determinato colore e dimensioni definite. Secondo la cultura giapponese le pietre possono
divenire poesia e possono trasmettere pace e armonia a colui che le ammira.
Le rocce talvolta raffigurano isole che emergono dall’acqua, questa è rappresentata nei giardini Zen
dalla ghiaia o dalla sabbia. Anche la sabbia, al pari delle pietre, deve essere di colore grigio uniforme ma
con una tonalità differente dalle pietre stesse.
Taizo-in kyoto, la sabbia rappresenta il mare, le pietre rappresentano isole.
L’isola è una delle componenti classiche del giardino giapponese. Con la denominazione “giardinoisola” era solito chiamarsi un tipo particolare di giardino di epoca antica che veniva costruito con
l’intenzione di riprodurre in miniatura un autentico paesaggio marino.
L’acqua aveva anticamente un preciso significato religioso: nei laghetti della venerazione scintoista vi
erano numerose isole ognuna delle quali rappresentava una divinità.
Anche nel “giardino-paradiso” buddista il ruolo dell’acqua non viene meno: la disposizione delle isole
prevedeva invero che il padiglione principale accogliente la divinità, il Budda Amida, venisse eretto
sull’isola più grande in posizione centrale e fosse raggiungibile con ponti.
Quasi tutti i giardini più antichi erano costituiti da un grande lago navigabile. Il “giardino-isola” era
infatti, una autentica espressione del tipico paesaggio costiero orientale. Nei secoli seguenti il lago, senza
perdere la sua importanza compositiva fondamentale, si restringe progressivamente fino a raggiungere,
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talvolta, le dimensioni di un minuto stagno. Con l’avvento della filosofia Zen il lago scompare nella sua
realtà fisica, ma rimane simboleggiato dalla sabbia il cui curato disegno allude al movimento dell’acqua.
Questo processo di miniaturizzazione, propone, come sopra accennato, forme simboliche quali la
tartaruga o l’airone, indicanti rispettivamente longevità e benessere. Molto spesso sulle isole
prevalentemente rocciose in forma di tartaruga il tipico paesaggio costiero viene creato con
l’associazione di esemplari di pino, simbolo di costanza e forza.
L’uso del ponte risale ai più antichi giardini nei quali la presenza dell’acqua era predominante sugli altri
elementi. I ponti attorno al VI e VII secolo d.C. venivano realizzati prevalentemente in legno, o legno e
terra, nella tipica forma curva d’influenza cinese ed erano utilizzati per superare corsi d’acqua di
notevole larghezza. Solo in un secondo momento il ponte viene ad assolvere una funzione puramente
decorativa. Nello stesso giardino, se vi sono più ponti, questi devono essere realizzati di forme diverse
per dare un aspetto armonioso. Nel caso in cui il corso d’acqua abbia una limitata profondità, il ponte
viene realizzato con grosse pietre adeguatamente disposte sul fondale a distanza di passo per consentire
un agevole e divertente guado.
Ponte in legno e pietra in un tipico giardino giapponese.
Le vaschette di pietra vennero introdotte nei giardini giapponesi assieme alla tradizione del giardino del
Tè (XVI secolo), divenendo così elementi irrinunciabili e caratteristici del suo arredo. Ne esistono
fondamentalmente due modelli. Il primo tipo è la vaschetta chiamata “Chotsubachi” di maggiore altezza,
dimensione e semplicità che serve esclusivamente per lavarsi le mani e viene collocata generalmente
nella zona del giardino in cui può essere utilizzata con maggiore consuetudine. L’altro tipo di vasca,
detta “Tsukubai”, viene utilizzata prima di accedere alla cerimonia del Tè ed è formata da una vaschetta
in pietra naturale e da un raggruppamento di rocce impiegate per appoggiare la lanterna di pietra ed il
mestolo di bambù, utensili tipici del rituale del Tè. La “Tsukubai” precisamente è il punto in cui, tramite
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una breve tubazione in bambù (“Kakehi”), si raccoglie l’acqua necessaria per lavarsi le mani, idealmente
per “purificarsi” prima di accedere alla cerimonia.
Giardino a Kyoto,vaschetta Tsukubai.
Anche l’uso della lanterna in pietra risale all’epoca della nascita dei giardini del tè nei quali ogni
elemento anche artificiale doveva concorrere a rispettare l’eleganza e la fedeltà alla natura. La presenza
della lanterna, fino ad allora elemento della dedizione religiosa dei templi, fu in primo luogo motivata da
esigenze funzionali solo in seguito, quasi esclusivamente da ragioni di composizione e decorazione del
giardino.
Villa Imperiale di Katsura a Kyoto, lanterne in pietra.
Pure l’introduzione della pavimentazione in pietra risale al XVI secolo d.C. ed alla necessità di
permettere un comodo passaggio a quanti venivano invitati alla cerimonia del Tè, evitando allo stesso
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tempo il rovinarsi delle delicate superfici a muschio del giardino. Le pavimentazioni devono essere al
tempo stesso funzionali e decorative. L’uso della pietra non deve mai dare l’impressione di monotonia,
regolarità e simmetria pur garantendo sempre l’aspetto funzionale. Suggestiva è l’abitudine di bagnare,
all’arrivo degli ospiti, le superfici dei percorsi in pietra sia per tenerle perfettamente pulite sia per
trasmettere una patina di sottile freschezza al giardino.
La sabbia fu introdotta nel giardino giapponese in origine esclusivamente per motivi funzionali,
specialmente nelle pavimentazioni dei sentieri onde evitare di infangarsi i piedi. Nelle creazioni
“secche” Zen, l’aspetto estetico si sovrappone a quello puramente funzionale. Infatti nella filosofia Zen
il “mare” di sabbia, ideale trasposizione dell’eternità, è l’elemento principale del giardino secco che,
come simbolo della vita meditativa, si contrappone a quello roccioso, simbolo della vita terrena e
materiale. La tecnica Zen miniaturizza il moto ondoso dei fiumi e dei mari utilizzando le superfici
minerali che, in alcuni casi con un voluto significato meditativo, raggiungono una maggiore
preponderanza annullando ogni altro elemento compositivo.
Muri e recinzioni naturali sono elementi architettonici di grande importanza nel giardino nipponico
caratterizzato, nella maggior parte dei casi, da una composizione perfettamente studiata in spazi di
limitate estensioni. Essi infatti rappresentano la necessaria cornice entro la quale il giardino racchiude i
riferimenti e le principali prospettive quasi come quinte teatrali di una accurata scenografia. Queste
delimitazioni possono essere realizzate in vario modo: frequentemente anche solo con l’uso di materiale
vegetale in forma di siepi geometriche potate o il più delle volte, oltre al muro classico tipico
dell’architettura giapponese, esse vengono realizzate utilizzando il bambù in svariatissimi modi. Il caldo
colore del bambù, che può comparire anche come cordolo in altri punti del giardino, contribuisce a
creare un ambiente gradevole, di rustica semplicità ma allo stesso tempo raffinato ed elegante.
L’elemento vegetale pur essendo rivestito di un forte significato simbolico non è mai prevalente rispetto
agli altri elementi costitutivi del giardino del Sol Levante, ma insieme a questi, si integra per raggiungere
la pienezza e l’armonia nella composizione.
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Sanzen-in Kyoto, cespugli plasticamente potati con lanterne in pietra ed elementi religiosi buddisti.
Nella storia del giardino giapponese l’armonia compositiva a volte si è ottenuta anche senza l’apporto
fisico dell’elemento vegetale che, come nei giardini Zen, è stato sovente soltanto evocato nella sua
essenza dalla presenza di muschi sulle rocce adagiate nella sabbia oppure del tutto tralasciato, affidando
al solo elemento minerale il compito di suscitare sensazioni ed emozioni.
Gli alberi e gli arbusti costituiscono sempre un insieme armonico dove una specie non prevale mai
sull’altra. In Giappone guardando l’insieme di una massa vegetale di un giardino si è colpiti dalla sua
particolare tessitura che, quasi accentuazione di un fenomeno naturale, appare stratificata in diversi
livelli orizzontali sospesi con leggerezza gli uni sugli altri. Questo effetto è il risultato di lunghe e
complicate cure manutentive riservate ad ogni elemento verde presente nel giardino. Uno dei
presupposti fondamentali del giardino giapponese e della cultura giapponese in genere è la tipica
ideologia per la quale le forme della natura per raggiungere la perfezione della loro espressività possono
e devono essere imposte dalla mano dell’uomo. Il concetto di controllo della natura da parte dell’uomo
è fondamentale in un giardino giapponese dove l’intervento artificiale sulla forma e sulla crescita di ogni
pianta non è visto come effetto della padronanza del giardiniere sulla natura, ma piuttosto come una
sua cooperazione al raggiungimento della perfezione della forma insita in ogni elemento naturale.
La mano dell’uomo modifica la forma dell’albero già durante la fase di allevamento continuando per
tutta la durata della sua vita nel giardino, attraverso precise tecniche tramandate nei secoli,
essenzialmente raggruppabili in interventi di potatura e legatura. Con la legatura del tronco per mezzo
di particolari fili metallici e il taglio di alcune branche principali si costruisce l’architettura della pianta.
Successivamente con la potatura di mantenimento si asseconda artificialmente la naturale forma dei
rami e della massa fogliare mantenendola inalterata con il trascorrere del tempo.
Per quanto riguarda l’impiego delle essenze arboree ed arbustive si presume l’esclusione di elementi
vegetali di tipo utilitario e al contrario si lascia grande spazio alle essenze sempreverdi, riservando le
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caducifoglie alle parti secondarie del giardino. Vengono preferiti gli alberi a lenta crescita o nani e, in
alcuni casi, si sottopongono gli alberi a crescita veloce a particolari trattamenti; gli arbusti vengono
impiegati sia a foglia caduca che sempreverdi, mentre le piante rampicanti vengono riservate alla
copertura di tralicci e di chioschi e le piante tropicali, tra cui il bambù, alla costruzione di palizzate.
Vegetazione di sempreverdi in un giardino giapponese.
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BIBLIOGRAFIA
- Bertier Francois, “Il giardino Zen” (Electa spa, Venezia 2000)
- Kidder Jr., Edward J., “Giappone. Arte, storia, civiltà” (a cura di Martina Fuga, Mondadori
Electa spa , Milano 2002)
- Lodari Carola, “I giardini del Giappone” (Edagricole, Bologna 1988)
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