Il decollo industriale dell`Italia - Dipartimento di Scienze politiche e

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Il decollo industriale dell`Italia - Dipartimento di Scienze politiche e
Il decollo industriale dell’Italia
• Nel XVIII secolo il primato dell’Italia era ormai un
ricordo.
• La penisola appariva prevalentemente agricola,
arretrata e con tutti i segnali del sottosviluppo.
• Dal XVI secolo, il Mediterraneo era stato relegato
a un ruolo di secondo piano e la frammentazione
politica dell’Italia aveva contribuito al declino.
• L’occupazione napoleonica aveva introdotto in
Italia sistemi giuridici e amministrativi più
avanzati ma aveva avuto risvolti negativi
sull’economia (imposte francesi e interruzione dei
normali traffici commerciali).
• In Italia mancanza le materie prime, come ferro e
carbone, che erano alla base dei nuovi sviluppi
industriali.
• Le caratteristiche fisiche della penisola facevano
ostacolo allo sviluppo economico razionale: alle grandi
distanze tra nord e sud, da cui derivavano alti costi di
trasporto, si univano le difficoltà di collegamento tra
ovest ed est a causa della catena appenninica.
• Le condizioni climatiche rendevano parte del territorio
inadatto alla coltivazione, mentre la frammentazione
politica accompagnava la frammentazione economica,
con i commerci gravati da barriere doganali e tariffarie.
• La parola “Italia” rappresentava più un’“espressione
geografica” più che una realtà politicamente o
economicamente esistente.
• L’industrializzazione
dell’Europa
centrosettentrionale aveva approfondito il divario
regionale, favorendo le regioni del nord che
già potevano vantare contatti commerciali e
una sia pur limitata esperienza industriale,
rispetto a quelle del sud in cui continuò a
dominare una classe di proprietari terrieri
legati al latifondo e scarsamente propensi agli
investimenti per il miglioramento agricolo o
per l’industria.
• Alla fine delle guerre napoleoniche il Pil procapite, che ancora nel 1700 era l’80% di quello
britannico, si era ridotto al 53%.
Facevano da ostacolo allo sviluppo:
• La lenta crescita della popolazione: fra metà
Settecento e metà Ottocento la popolazione
passò da 15,5 a meno di 25 milioni (incremento
intorno al 60%, inferiore a quello di altri paesi).
• Le dotazioni geografiche e naturali: terreno poco
fertile e solo per metà della sua estensione
arabile; poche le zone pianeggianti; scarse le
risorse minerarie.
• Il sistema dei trasporti: strade insufficienti; non
esisteva una rete fluviale interna; distanze molto
grandi e costi elevati.
• La scarsa disponibilità di capitali e l’assenza di un
mercato nazionale.
• I prodotti italiani erano costosi e non
concorrenziali sui mercati internazionali; il
mercato interno era ristretto a causa del
permanere di un’agricoltura di sussistenza.
• Il Risorgimento fu frutto di una attività politica e
militare condotta “dall’alto”, senza trasformazioni
sociali ed economiche di fondo, con l’apparato
dirigente degli stati che veniva incorporato nel
nuovo Regno e la conservazione di strutture ed
equilibri sociali preesistenti.
• Al momento dell’unificazione il 60% della
popolazione era analfabeta; la massa della
popolazione pagò il processo di unificazione in
termini di aumento di imposte.
Dove si lavorava:
• L’agricoltura era l’attività prevalente (69,7%
della popolazione attiva) seguita da industria
(18,1%) e servizi (12,2%).
Conseguenze economiche del Risorgimento:
• abbattimento
delle
barriere
interne,
unificazione amministrativa e monetaria (lira
italiana introdotta nel 1862), presenza di un
nuovo codice civile e commerciale, tutti fattori
favorevoli alla creazione di un mercato interno
più ampio e uniforme.
• Vi erano tre banche di emissione: Banca
Nazionale Sarda (dal 1866 Banca Nazionale del
Regno d’Italia), Banca Nazionale Toscana,
Banca Toscana di Credito; poi anche Banco di
Napoli e Banco di Sicilia e, dopo l’annessione
di Roma nel 1870, la Banca Romana.
• Processo condotto dall’alto e guidato dalla
classe dominate settentrionale, finì per acuire
gli svantaggi delle regioni meno sviluppate,
soprattutto del sud, che si trovarono a pagare
la concorrenza delle regioni più efficienti del
nord e la pesante pressione fiscale necessaria
a pagare il carico debitorio del nuovo stato.
Il periodo dopo il 1861 si può dividere in tre
periodi:
• il ventennio successivo all’Unità (1861-1880),
durante il quale il paese gettò le basi della sua
crescita puntando soprattutto sull’agricoltura;
• la fase 1881-1896, segnata dalla crisi agraria e
dalla scelta a favore dell’industrializzazione;
• la fase 1897-1914, in cui si realizzò il primo
decollo industriale, il cosiddetto “take off”
italiano.
• Ponendo uguale a 100 il Pil del 1861, esso
giunse a 131 nel 1896 e a 198 nel 1913.
1861-1880
• Scelta del libero scambio; dal 1861 al 1872 le
esportazioni crebbero da 478 milioni di lire a
1,3 miliardi, anche grazie all’accresciuta
produzione agricola che permise di
commercializzare molti prodotti della terra.
• Investimenti in opere pubbliche: la viabilità
ordinaria aumentò del 60%; si cercò di portare
ovunque il telegrafo; le ferrovie, che
contavano 2.800 chilometri nel 1861, nel 1880
contavano 9.500 chilometri.
• Grandi quantità di capitali impiegate nelle
costruzioni ferroviarie, imponendo uno sforzo
gravoso al bilancio; essendo il paese privo di
materie prime e di industrie pesanti, gran
parte dei materiali dovette essere importata.
• 1865 privatizzazione della rete ferroviaria; ma
già pochi anni dopo lo Stato dovette di nuovo
intervenire per riacquistare alcune linee.
• 1885 la rete ferroviaria passava allo Stato,
affidata in gestione a tre società private.
• 1905 nazionalizzazione delle ferrovie.
• La costruzione delle ferrovie innescò lo
sviluppo di altri settori (industria meccanica,
metallurgica, siderurgica) e fece da stimolo
agli investimenti nelle industrie e in alcuni
settori dell’agricoltura.
• Le ferrovie accorciarono le distanze (non solo
fisiche), ridussero le differenze regionali e
resero più efficace l’unità politica.
• L’intervento statale fu decisivo nel creare
artificialmente un settore di industria pesante,
grazie anche al ritorno del protezionismo negli
anni ’80.
• Industrie dipendenti da protezioni tariffarie e
altre forme di assistenza; interessate alle
forniture di armamenti e quindi ruolo di
pressione nell’orientare la politica estera e
coloniale del governo, che dirottò ulteriormente
le poche risorse disponibili verso usi improduttivi.
• Dualismo: accanto a un numero ridotto di grandi
imprese che potevano paragonarsi a quelle dei
paesi più avanzati, sopravviveva un gran numero
di piccole industrie arretrate e un settore agricolo
ancora esteso e con una struttura precapitalistica.
• Nel 1866, con la terza guerra d’indipendenza, fu
introdotta l’inconvertibilità della moneta (corso
forzoso), fino al 1883.
1881-1896
• La congiuntura economica negativa degli anni 1870
sorprese il nuovo stato ancora in una posizione
finanziaria difficile.
• L’arrivo del grano americano e russo determinò un
crollo dei prezzi agricoli.
• La crisi agraria e la crescita delle fabbriche portarono
industriali e proprietari terrieri a coalizzarsi per
chiedere un ritorno al protezionismo; nuove tariffe
(1878 e 1887).
• Guerra commerciale con la Francia (1888-1891): per
alcuni anni gli scambi commerciali fra i due paesi
risultarono compromessi, con gravi conseguenze
soprattutto per l’Italia, che aveva nella Francia il suo
principale partner commerciale.
• Nel 1888-1894 si ebbe una crisi economica e bancaria.
• Speculazioni edilizie; le imprese coinvolte furono sostenute
dalle banche, ma quando il boom delle costruzioni a Roma
per la capitale e a Napoli per il risanamento cessò, molte
società si trovarono in difficoltà e trascinarono con loro
anche gli istituti bancari.
• Scandalo della Banca Romana (1893): la Banca Romana, a
fronte dei 60 milioni autorizzati, per cui possedeva
sufficienti riserve auree, aveva emesso biglietti di banca per
113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni
emesse in serie doppia.
• Furono ridotti a tre gli istituti di emissione: Banca d’Italia
(nata dalla fusione di Banca Nazionale del Regno d’Italia,
Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana di Credito),
Banco di Napoli e Banco di Sicilia; la Banca Romana fu
messa in liquidazione.
• Si istituirono le banche miste per il finanziamento delle
industrie: Banca Commerciale Italiana (1894) e Credito
Italiano (1895).
• Anni 1870 e 1880 non favorevoli alla crescita
di un paese ritardatario.
• Il surplus sociale derivante dal lavoro agricolo
continua a essere destinato ad impieghi
improduttivi o a un mercato di beni di lusso e
di servizi, che non favorisce un’industria
diffusa.
• Le alte imposte gravanti sulla popolazione
limitano il potere d’acquisto dei consumatori
più poveri e quindi il mercato dei manufatti
rimane limitato.
1897-1914
• Decollo industriale italiano 1896-1914 (crisi
ciclica del 1907).
• Spinta politica all’industrializzazione.
• Rimase in vigore la svolta protezionista con le
tariffe doganali del 1878 e del 1887.
• Lo Stato aumentò gli aiuti diretti e indiretti
all’industria pesante.
• Nacque il “triangolo industriale”: Piemonte,
Liguria, Lombardia.
• Industria tessile
• I progressi più importanti si registrarono nell’industria
cotoniera: si avvantaggiò della tariffa del 1878; i
prodotti riuscirono a conquistare il mercato interno e
internazionale; grandi fabbriche in Piemonte,
Lombardia e nel Mezzogiorno, ma rimase anche una
tradizione di industrie a carattere familiare.
• L’industria della lana conobbe uno sviluppo più lento
ma continuo; si diffuse in Piemonte (Biella), nel Veneto
(Schio e Valdagno), in Toscana (Prato); prevalsero le
piccole imprese, tranne rare eccezioni (fabbrica di
Alessandro Rossi di Schio).
• L’industria della seta mantenne una quota importante
(circa un terzo) del mercato mondiale; ruolo molto
importante (mantenne l’Italia sui mercati internazionali
anche nei momenti più difficili, integrò i redditi delle
famiglie contadine, permise l’accumulazione di
capitale).
• Industria siderurgica
• Conobbe un notevole sviluppo, appoggiata
dallo Stato e sostenuta dalla Banca
Commerciale e dal Credito italiano.
• 1884 nacque la Terni, che si avvantaggiò della
tariffa doganale del 1887.
• 1905 nacque l’Ilva, per la gestione dello
stabilimento a ciclo integrale di Bagnoli, vicino
a Napoli.
• Alla vigilia della Grande Guerra la produzione
di acciaio aveva raggiunto quasi un milione di
tonnellate (ma la Germania ne produceva 17
milioni).
• Industria meccanica
• Conobbe uno sviluppo minore, anche perché meno
protetta dai dazi doganali.
• Si sviluppò la produzione di locomotive e carrozze
ferroviarie, di navi a vapore in ferro, di motori elettrici,
di biciclette e automobili.
• 1853 a Genova era nato l’Ansaldo (produzione di
locomotive e navi), poi passata sotto il controllo della
famiglia Perrone.
• Le automobili erano fabbricate da una sessantina di
piccoli produttori (Isotta Fraschini, Lancia, Alfa,
Bianchi).
• 1899 a Torino nacque la Fiat, su iniziativa di un gruppo
di esponenti della nobiltà e della ricca borghesia
torinese; nel 1914 deteneva la metà dell’intera
produzione nazionale di automobili.
• Industria chimica e industria della gomma
(Pirelli, 1872).
• Industria elettrica: sfruttava i corsi d’acqua;
attirò molti capitali dalle banche miste;
l’iniziatore di questo ramo fu Giuseppe
Colombo, fondatore della società Edison
(1884).
• Nel 1914 il consumo pro-capite italiano di
elettricità era superiore a quello della Gran
Bretagna.
• Industria delle armi: poté avvantaggiarsi di un
forte aiuto statale, reso necessario dalla
debolezza dell’industria pesante.
• Sia per le industrie pesanti che per quelle basate sulle
nuove
tecnologie
fondamentale
furono
il
finanziamento delle banche e il ruolo dello Stato.
• Nel 1914 l’Italia appariva ormai sotto molti aspetti un
paese industriale avanzatoi.
• Nel periodo 1896-1914 tassi di crescita intorno al 6,7%.
• Industrializzazione “macrocefala”: impulso dato
all’industria pesante dall’intervento statale e dal
sostegno bancario; concentrazione industriale;
industrializzazione limitata a pochi settori e ad aree
geografiche ristrette.
• Dualismo
economico:
accanto
a
un’Italia
industrializzata e avanzata continuava a coesistere un
paese che mostrava molteplici segnali di
disorganizzazione sociale e di arretratezza.
• Alla vigilia della Grande Guerra la struttura
economica italiana era tipica di un paese
ritardatario.
• Settore moderno, avanzato e accentrato, che
interessava soprattutto l’industria pesante; le
industrie di questi settori tendevano a unirsi in
cartelli e accordi verticali, sostenute dalle grandi
banche di investimento.
• L’agricoltura rimaneva preponderante ed era
caratterizzata da scarsa produttività e basso
potere di acquisto.
• Il mercato interno per un’industria moderna che
produceva su larga scala rimaneva ristretto;
l’industria continuava a dipendere dagli aiuti
statali sotto forma di commesse o di protezione
doganale.
• Industrie dipendenti dalle banche e banche
dipendenti dalla prosperità industriale.
• Blocco di interessi in grado di influenzare le
decisioni politiche.
• L’economia italiana aveva fatto grandi progressi
ma non era riuscita a superare i ritardi ereditari.
• Grandi disparità regionali non superate ma anzi
accentuate dall’unificazione politica.
• La Grande guerra (1915-18) fu un forte incentivo
per il settore industriale più moderno ma acuì le
contraddizioni esistenti favorendo una crisi
sociale che aprì strada all’ascesa del fascismo.