Prova 9

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Le regole non scritte che lo sport ha inventato
Iniziamo dal significato. Fair play significa, letteralmente, leale gioco, e cioè
gioco leale. Lo Zingarelli1 lo definisce “comportamento corretto e gentile”e
anche “capacità di trattare gli altri nel modo dovuto”. De Mauro2 lo ritiene
“comportamento signorile improntato a cortesia”. Da questo termine, il mio
amico Tommasi trasse il titolo di una trasmissione sportiva, e quando un
collega gli chiese ragione della sua anglofilia rispose: “Da noi non esiste
termine equivalente”.
A simili riflessioni mi ha spinto la decisione della Fiorentina di srotolare un
tappeto sull’erba dello stadio Comunale, e di allinearvi i suoi calciatori
perché stringessero la mano agli avversari: i vincitori interisti. Decisione –
mi dicono amici toscani – vivamente disapprovata da molti tifosi, perché
l’iniziativa avrebbe portato male. Pare adesso che la Lega Calcio sia stata
favorevolmente impressionata dall’idea, e voglia rendere abituale la stretta
di mano finale, comunissima non soltanto nel rugby, ma nell’hockey su
ghiaccio, la pallavolo e altri sport. […]
Di recente, la televisione ha mostrato in molte case le immagini del
mondiale di rugby, vinto dal Sudafrica. Per i non addetti, hanno suscitato
stupore vivissimo certi scontri da cavalieri antiqui3 (quello dell’inglese
Jason Robinson e del capitano dei Wallabies Stirling Mortlock l’ho negli
occhi) dopo i quali gli omoni si sollevavano per stringersi la mano, e magari
giungere a un buffetto o addirittura a una carezza. Esempio, mi pare, di quel
che significa la parola fair play. Io stesso avevo avuto qualche perplessità il
giorno in cui ero venuto a trovarmi sulla metropolitana della Porte
d’Auteuil, subito dopo la fine di un Campionato di Francia tra il Tolosa e lo
Stade Français. Memore di una brutta avventura nei dintorni di San Siro, mi
ero fatto piccino piccino, temendo mi si potesse scambiare per un partigiano
degli sconfitti. Ma ero rimasto incredulo, nel vedere i sostenitori (rifiuto di
definirli tifosi) del vincitore Stade Français offrire birre ai tolosani, e
deriderli tanto amabilmente da suscitare un allegro scambio di battute. Fair
play anche questo.
Ma non di solo rugby vive il fair play. In seguito a un curioso equivoco, mi
avviene di essere invitato annualmente a un test match di cricket che si
svolge nello stadio di Melbourne, un campetto da centodiecimila spettatori
contiguo a quelli di tennis. Non mi sorprendo più se, alle cinque, mentre in
Spagna si uccidono i tori, il match di cricket si interrompe, e tutti, spettatori
e giocatori, se ne vanno conversando amabilmente a prendere un tè. Sono un
bel po’ di anni che seguo cerimonie simili: e mai, ripeto mai, ho assistito a
uno scontro tra quei duri degli australiani e i loro ospiti, spesso giunti
dall’India o dal Pakistan, e quindi scuretti. Un dettaglio che è lungi
dall’aiutare, nel calcio. Non voglio dire qui che tra i mille giocatori di
football non esista assolutamente fair play: giungo addirittura a ricordarne
un esempio che val più delle future passatoie di fine match. La volta in cui,
1
Lo Zingarelli: è un famoso dizionario italiano.
De Mauro: è l’autore di un altro famoso dizionario.
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Antiqui: antichi
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1
all’Olimpico, De Rossi suggerì all’arbitro che quello che appariva rigore
non era tale.
Ma nel mio amato tennis il fair play è da sempre la regola. Si ricorda un
intervento presso l’arbitro del mitico barone Von Cramm, che non accettò
un successo in Coppa Davis informando di esser stato sfiorato dall’ultima
palla avversaria, finita out. Su su fino a Andy Roddick, che giusto due anni
fa, sul Centrale del Foro italico, rifiutò la vittoria contro lo spagnolo
Verbasco, vittoria dovuta all’errore di un giudice di battuta. E finì per
perdere la partita, ma non la stima di sé, e di tutti gli spettatori.
Vorrei chiudere con un piccolo episodio che ho già riferito su queste pagine.
Nel corso della prima domenica di Wimbledon si giocava tradizionalmente
un match di cricket tra giocatori e giornalisti. Ammesso tra i giornalisti,
stavo pavoneggiandomi per l’ormai sicura vittoria, quando all’improvviso i
nostri lanciatori iniziarono a passare la palla all’avversario armato di mazza.
Incredulo, e anche un po’ infastidito, chiesi al nostro capitano se fossimo
ammattiti. “Per nulla – rispose lui – Qui da noi è una tradizione che gli
ospiti non possano essere battuti”.
Due volte fair play.
(G. Clerici, La Repubblica, 7 dicembre 2007)
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parole.
2. Immagina di aver letto sul giornale l’articolo di Gianni Clerici, e di
scrivergli una risposta. (150 – 200 parole).
3. Il “comportamento corretto e gentile” dovrebbe essere esteso a tutto
il nostro comportamento, non solo nell’ambito sportivo. Questo
avviene, secondo te, nella società di oggi? Rispondi esprimendo la
tua opinione in un testo argomentativo. (200 – 250 parole)
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