la musica sacra - Fabio Sartorelli

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la musica sacra - Fabio Sartorelli
18/05/2011
IL XVI SECOLO
LA MUSICA SACRA
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L'inizio della riforma luterana viene tradizionalmente fatto coincidere con
la pubblicazione, il 31 ottobre 1517, da parte di Lutero, delle 95 Tesi sulle
indulgenze a Wittenberg in Sassonia, in cui si criticava l'abuso di questa
usanza da parte dei predicatori a lui contemporanei, senza peraltro
mettere in discussione la struttura tradizionale della Chiesa cattolica.
Lo scalpore suscitato dalle Tesi e la denuncia da parte dell'arcivescovo
Alberto di Hohenzollern, banditore dell'indulgenza, fece sì che Lutero
venisse chiamato a Roma a discutere le Tesi. Lutero, grazie alla protezione
dell'Elettore di Sassonia Federico, ottenne che le tesi venissero discusse in
Germania. Ebbe quindi diverse discussioni con teologi, fra cui Johannes
Eck nel 1518, che lo confermarono sempre più nelle sue opinioni, che nel
frattempo diventavano più nette: la Bibbia era la sola autorità, e la
salvezza era dovuta alla sola fede.
La rottura definitiva con Roma avvenne nel 1519, quando Leone X emanò
la bolla Exsurge Domine nella quale si richiedeva a Lutero di ritrattare le
sue dottrine entro 60 giorni. Lutero reagì dando fuoco alla bolla e
bruciando anche i libri di diritto canonico, simbolo dell'autorità romana.
La sentenza definitiva da parte del papa fu la scomunica del 1520.
L’attuazione della Riforma
Per prima cosa, Lutero, per favorire una più diretta partecipazione dei fedeli al culto
divino, prescrisse che i canti e le preghiere si svolgessero in lingua tedesca anziché in
latino come era ovviamente in uso presso tutte le Chiese aderenti al culto cattolicoromano. Per rendere immediatamente operativa questa prescrizione, egli stesso si
impegnò a tradurre dal latino al tedesco le sacre scritture.
Come passo successivo Lutero stabilì l'adozione di semplici, brevi melodie desunte dal
patrimonio popolare tedesco, da cantarsi in Chiesa; anche in questo caso Lutero agì
direttamente (con l'aiuto di Johannes Walter) forte della sua preparazione in campo
musicale: del resto la musica, fin dall'infanzia, costituì il pane quotidiano di Lutero,
ottimo cantore, suonatore di liuto. (esempio)
La sua concezione della musica nasce sulla scorta di quella di S.Agostino che, sia al
tempo del suo trattato (il De Musica) che al tempo in cui qui a Milano incontrò
Ambrogio del quale stimava molto gli inni, aveva riservato ad essa un posto molto
importante nella preghiera: la musica glorifica Dio.
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La concezione della musica nel pensiero di Lutero
"Io credo che ogni cristiano sappia che intonare canti spirituali è una buona cosa,
gradita a Dio. La musica è un dono di Dio. Sono pienamente convinto che dal punto
di vista teologico nessun'arte può stare alla pari della musica. Vorrei trovare parole
per tessere le lodi di questo meraviglioso dono divino, la bella arte della musica...
La musica è il balsamo efficace per calmare, rallegrare e vivificare il cuore di chi è
triste. Ho sempre amato la musica.... E' assolutamente necessario conservare la
musica nella scuola. Bisogna che il maestro di scuola sappia cantare, altrimenti lo
considero una nullità... Bisogna abituare i giovani a quest'arte perché rende gli
uomini buoni, delicati e pronti a tutto. Il canto è l'arte più bella e il migliore
esercizio. Essa non ha nulla da spartire con il mondo; non la si ritrova né di fronte
ai giudici, né nelle controversie. Chi sa cantare non si abbandona né ai dispiaceri
né alla tristezza; è allegro e scaccia gli affanni con le canzoni."
Musica sacra nel CInquecento
LA REAZIONE DELLA CHIESA DI
ROMA
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Preso atto dell'inesorabile avanzata del Protestantesimo nei territori germanici, la
Chiesa cattolica cercò di correre ai ripari convocando un concilio (cioè
un'assemblea di vescovi). Questo si svolse principalmente a Trento, città di confine
tra il mondo latino e quello tedesco, tra il 1545 e il 1563, pur con varie interruzioni.
Una commissione di cardinali, tra cui il celebre Carlo Borromeo, futuro santo, operò
nei due anni che seguirono la chiusura del Concilio di Trento per determinare
l'applicazione pratica delle deliberazioni conciliari riguardanti la musica. Queste si
orientarono in tre direzioni principali.
La prima si volse ad una emendazione del canto gregoriano da tutte le incrostazioni
che i secoli vi avevano deposto, cercando di riportarlo alla purezza originaria. Fu
così deciso di abolire tutti i tropi e quasi tutte le sequenze e si affidò il compito di
redigere una nuova edizione dei libri liturgici al più autorevole compositore che
operasse a Roma, Giovanni Pierluigi da Palestrina, coadiuvato da un altro musicista,
Annibale Zoilo
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Una seconda proposizione conciliare fu l'abolizione di ogni elemento profano
all'interno della liturgia: non solo, dunque, l'eliminazione di musiche
dichiaratamente profane, ma anche di ogni cantus firmus non ricavato dal
gregoriano (come, ad esempio, la celebre canzone L'homme armé su cui
moltissimi compositori, da Dufay a Ockeghem, a Josquin, a Palestrina, avevano
imperniato le loro messe); non erano consentite neppure le cosiddette messe
parodia che fossero costruite su preesistenti composizioni polifoniche profane. I
compositori si adeguarono a queste indicazioni; o, meglio, talvolta finsero di
adeguarsi, poiché spesso omisero di segnalare nel titolo la provenienza profana
dei loro materiali costruttivi, inanellando una serie di messe Sine
nomine ("Senza titolo").
Infine, ciò su cui soprattutto il Concilio di Trento insistette fu la comprensibilità
delle parole: gli intrecci polifonici andavano semplificati, in modo da rispettare
come priorità assoluta la corretta e chiara dizione del testo liturgico; in fondo,
questa era la stessa esigenzache più di due secoli prima aveva indotto il papa
Giovanni XXII ademanare la sua bolla contro l’ars nova. Più volte, soprattutto nel
Quattrocento, le richieste di riforma ecclesiastica avevano propugnato un ritorno
alla semplicità del gregoriano, in opposizione alla lussureggiante artificiosità della
polifonia; nel 1538, addirittura, il vescovo di Modena proibì l'esecuzione di
musiche polifoniche nella sua cattedrale. La Controriforma non fu immune da
questo atteggiamento, tanto che sorse a tal proposito perfino una leggenda, oggi
destituita di ogni fondamento.
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la leggenda
Si narrava che il Concilio di Trento avesse l'intenzione di abolire del tutto la
polifonia. Venuto a conoscenza di ciò, Giovanni Pierluigi da Palestrina avrebbe
composto in tutta fretta una messa (la Missa Papae Marcelli), facendola ascoltare
subito ai padri conciliari. La messa fu giudicata così bella e in essa il sacro testo
trattato in maniera così rispettosa, che papa e vescovi non se la sentirono di
proibirne la diffusione, recedendo così dal loro severo proposito. In effetti, la
Missa Papae Marcelli, seppure quasi sicuramente non composta in occasione del
concilio, è scritta in modo che si percepiscano agevolmente le parole.
Scrivere polifonia rispettando la comprensibilità del testo divenne in quel
periodo uno dei modi di realizzare una messa, a fianco dello stile tradizionale.
Risulta, ad esempio, che il cardinale Borromeo impartisse al maestro di cappella
del duomo di Milano, Vincenzo Ruffo, l'esplicito ordine di comporre una messa di
questo tipo; il musicista si adeguò a tali esigenze, in questa e in messe
successive.
PALESTRINA
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Giovanni Pierluigi da Palestrina nacque nei dintorni di
Roma attorno al 1525. Il suo talento musicale si
manifestò fin dall'infanzia, e venne perciò mandato a
studiare musica nel 1537 come piccolo cantore presso la
scuola della Basilica di Santa Maria Maggiore, rientrando
nella sua città natale attorno al 1544 come organista.
Pierluigi non è un secondo nome di battesimo, bensì la
prima parte del doppio cognome (Pierluigi, e da
Palestrina).
Nel 1550, il vescovo della sua città venne eletto papa con
il nome di Giulio III. Questi lo invitò a seguirlo presso il
Santo Soglio nel 1551, dove venne nominato maestro
della Cappella Giulia e cantore della Cappella Sistina.
Per sua sfortuna, un papa successivo, Paolo IV, costrinse
alle dimissioni tutti i cantori sposati o che avessero
composto opere di musica profana, e Palestrina rientrava
in tutte e due le categorie.
Dovette dunque abbandonare il Vaticano, ma ottenne
immediatamente la direzione musicale di San Giovanni in Laterano (dal
1555) e, successivamente, della Basilica di Santa Maria Maggiore (dal
1561). Rientrò a San Pietro nel 1571.
Nel 1580, alla morte della amata moglie, Lucrezia Gori, ebbe un
momento di crisi mistica, chiese e ottenne di prendere i voti. La sua
vocazione sfumò comunque presto, perché poco dopo sposò una ricca
vedova romana, Virginia Dormoli.
Palestrina fu uno dei pochi e fortunati musicisti della sua epoca a
vantare una brillante carriera pubblica. La sua fama venne riconosciuta
universalmente dai colleghi del tempo, ed i suoi servigi furono richiesti
da diversi dei potenti d'Europa.
Alla sua morte, avvenuta nel 1594, Palestrina venne inumato nella
Basilica di San Pietro durante una cerimonia funebre a cui partecipò
una gran folla di musicisti e di persone comuni.
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Il corpus musicale palestriniano fu scritto prevalentemente a Roma e per
Roma soltanto, ad uso principalmente liturgico: per la Messa e l'Ufficio.
Una buona parte della sua produzione viene fatta risalire al periodo del
suo ultimo incarico nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
L'organico vocale della cappella vaticana era al tempo più vasto di quello di
altre chiese (nel 1594 era composto in tutto da 24 cantori), ma non si
adottò l'uso di strumenti, fatta eccezione per l'organo.
Il linguaggio polifonico di Palestrina non si discosta tanto dalla maniera
tradizionale dei maestri franco fiamminghi (nordici furono i suoi primi
maestri a Roma).
L'arte contrappuntistica di Palestrina si sviluppa soprattutto in direzione
dell'intelligibilità delle parole e di una sonorità ordinata in maniera da
evitare l'enunciazione simultanea di testi diversi.
Per quanto riguarda l'andamento delle linee melodiche è evidente
l'influsso del canto gregoriano di cui aveva approfondito lo studio curando
la “famigerata” Editio Medicea mediante la quale si doveva adeguare lo
stile antico alla sensibilità del tempo.
L’Editio Medicea pubblicata
nel 1614.
Alla sua realizzazione
contribuirono Palestrina,
Annibale Zoilo e più tardi
Felice Anerio e Francesco
Soriano.
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La produzione di Palestrina in sintesi
104 messe
375 mottetti, Magnificat, Lamentazioni di Geremia
42 madrigali spirituali
91 madrigali profani
La produzione di Palestrina è a cappella e fa ricorso, per le voci acute, ai
castrati che proprio allora venivano introdotti negli ambienti romani.
I CASTRATI
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I primi castrati, la maggior parte dei quali con nomi spagnoli, iniziarono a comparire
in Italia alla metà del XVI secolo: il duca di Ferrara Alfonso II d'Este fu uno dei primi
entusiasti di questo nuovo tipo di cantanti. Heinrich Schütz, maestro di cappella di
corte a Monaco nel 1574, disponeva di castrati nel coro ed è probabile che anche il
suo collega, Giovanni Pierluigi da Palestrina, direttore del coro della Basilica di San
Pietro in Roma dal 1576 al 1594, abbia seguito il suo esempio. Nel 1589, con la
bolla Cum pro nostri temporali munere, papa Sisto V riorganizzò il coro di S. Pietro
allo scopo di ammettere castrati nelle sue fila, e nel 1599 i primi due, Pietro Paolo
Folignato e Girolamo Rossini, vennero ammessi nel coro della Cappella Sistina, la
cappella privata del papa (sebbene non sia da escludere che già da prima, dietro
l'eufemismo di "falsettisti", si celassero dei castrati, come Padre Soto, ammesso nel
1562).
L'impiego dei castrati rimpiazzava quello delle voci bianche (che rimanevano tali
solo per pochi anni) e dei falsettisti, dalle voci più deboli e meno affidabili; le
donne non erano ammesse a cantare in chiesa, secondo anche quanto affermava il
detto paolino mulier taceat in ecclesia ("la donna taccia in chiesa") (1 Cor, 14, 34).
Ascolto. A. Moreschi l’ultimo castrato
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Missa Papae Marcelli
anno presunto di composizione: 1562 (un anno prima della fine del Concilio di
Trento)
n. di voci: 6 (due bassi, tre tenori, contralto e soprano)
elementi stilistici : a) spirito declamatorio
b) assenza di cromatisimi (stile diatonico)
c) assenza di un cantus firmus preesistente
Kyrie (audio)
Gloria (audio)
Credo (audio)
Sanctus (audio)
Benedictus (audio)
Agnus Dei I e II (audio)
nota: (L’Agnus Dei è in due parti anziché in tre)
Palestrina
IL MOTTETTO
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Nel Cinquecento si compongono mottetti su testi assai diversi: soprattutto su testi
devozionali dell'epoca, ma anche su brani biblici, o su testi del Proprium; talvolta
addirittura su testi profani in latino (come odi di Orazio o brani dall'Eneide); Messa
e mottetto condividono l'uso del cantus firmus, liturgico o d'invenzione, tecnica
che, tuttavia, nel corso del XVI secolo tende a perdere terreno a vantaggio
dell'unificazione del materiale tematico e dell'equiparazione di tutte le voci, tenor
compreso, nel gioco polifonico-imitativo. Un mottetto in quest'epoca è
sostanzialmente costituito da una serie di segmenti (sezioni) corrispondenti
ciascuno a una frase del testo. Ogni segmento è caratterizzato da uno o più motivi
melodici su cui è intonato il testo relativo, che vengono presentati in imitazione da
tutte le voci (di solito quattro o cinque) oppure omoritmicamente. Possiamo
esemplificare questa tecnica sul mottetto a cinque voci di Giovanni Pierluigi da
Palestrina Sicut lilium inter spinas (pubblicato nel 1569). Il testo del mottetto, tratto
dal Cantico dei cantici (2, 2), recita (i numeri romani si riferiscono ai segmenti del
mottetto) :
I
Sicut lilium inters spinas,
II
sic amica mea
III
inter filias Adae.
IV
Alleluja
traduzione: «Come un giglio tra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle».
Il tema del primo segmento del mottetto (motivo 1) è esposto dalla parte superiore,
il cantus :
La partitura riporta il primo segmento del mottetto. Come si vede, le cinque parti
(cantus, altus, tenor I, tenor II e bassus) entrano in successione, proponendo in
imitazione sistematica, talvolta parzialmente o con leggere modifiche, il motivo 1
esposto dal cantus (le entrate tematiche sono evidenziate).
partitura
Quando le parti non sono impegnate in una entrata tematica procedono in
contrappunto libero. Ogni segmento, interamente composto su una sola frase del
testo, si apre con un’esposizione in imitazione del motivo tematico che lo
caratterizza e si chiude con una cadenza. I diversi segmenti, però, si incastrano
l’un l’altro poiché sulla cadenza entra già il tema del segmento successivo.
audio
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Palestrina
LA MESSA PARODIA
Una parte considerevole della produzione musicale cinquecentesca si fonda
sull'uso di modelli preesistenti. Questi potevano essere utilizzati nei modi più vari:
si va dalla semplice trascrizione per strumenti del modello vocale, come nelle
intavolature, alla citazione esplicita di una sezione del modello in una nuova
composizione, alla semplice sostituzione del testo (sistema assai usato nei
cosiddetti contrafacta). Quanto alla messa, a quelle su cantus firmus e alle messe
parafrasi si affianca nello scorcio del Quattrocento la messa parodia. La tecnica che
ne è a base consiste nel comporre le sezioni di una messa usando una
composizione polifonica come modello. Si trattava di tessere la trama polifonica
delle cinque sezioni dell’Ordinarium sulla falsariga di un mottetto, di una chanson o
di un madrigale preesistente. Sappiamo dai trattati dell'epoca che la trascrizione e
l'adattamento di composizioni polifoniche dei maestri allo scopo di inserirle
all'interno di nuovi pezzi era parte integrante del tirocinio dei giovani compositori.
Pochi teorici, tuttavia, fanno riferimento alla tecnica compositiva della parodia o
imitazione, che implicava l'assunzione non di alcuni frammenti, ma di un'intera
composizione preesistente come modello da elaborare. Eppure questa tecnica, a
partire dalla generazione dei più giovani contemporanei di Josquin fino all'epoca di
Monteverdi, fu una delle più diffuse.
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Il trattato El Melopeo y maestro del cantore, teorico e compositore
bergamasco Domenico Pietro Cerone (inizio sec. XVII) è uno dei pochi a dare
qualche indicazione sulla tecnica compositiva della messa parodia. La prassi
voleva che nella parodia il modo e il numero delle voci rimanessero invariati
rispetto al modello. Cerone aggiunge che ciascuna delle cinque sezioni
dell'Ordinarium (Kyrie – Gloria – Credo – Sanctus – Agnus Dei) deve
iniziare con materiale musicale tratto dall'incipit del modello e chiudersi con
materiale tratto dalla chiusa di quello.
Lo possiamo verificare, ad esempio, nella Missa 'Sicut lilium inter spinas' di
Palestrina, messa parodia che utilizza come modello il mottetto che
abbiamo appena esaminato. Abbiamo visto che in un mottetto a ciascuna
frase del testo corrisponde un segmento dell'intonazione musicale.
Similmente, in una messa ad ogni frase del testo liturgico corrisponde un
segmento musicale che fa parte di una sezione della messa. Il Kyrie, ad
esempio, ha tre segmenti, uno per ognuna delle invocazioni Kyrie eleison,
Christe eleison, Kyrie eleison. Secondo la prassi (codificata dal trattato di
Cerone), il Kyrie I della Missa 'Sicut lilium', come tutte le altre sezioni delle
messa, si apre col materiale melodico proveniente dall’incipit del mottetto.
Inizio mottetto
Inizio messa
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fine primo segmento mottetto
fine primo segmento Messa
fine secondo segmento Messa
Poiché il mottetto Sicut lilium ha quattro segmenti mentre il Kyrie ne ha solo tre
(Kyrie I, Christe, Kyrie II), Palestrina scinde il Kyrie II in due, creando così all'interno di
esso un quarto segmento fittizio in cui può utilizzare i motivi tematici del quarto
segmento del mottetto-modello. La tabella seguente mostra la corrispondenza tra i
segmenti del mottetto e quelli del Kyrie:
partitura
audio
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Venezia fra Rinascimento
e barocco
Scuola veneziana è espressione usata per descrivere i compositori operanti a Venezia
dal 1550 al 1610
Le composizioni policorali veneziane del XVI secolo furono il più importante
fenomeno musicale in Europa ed influenzarono moltissimo la musica europea di quel
periodo.
Diversi fattori determinano la nascita della scuola veneziana. Il più importante fu
l'esistenza della splendida Basilica di San Marco con le due grandi cantorie
contrapposte fornite di organo. In considerazione della spaziosità della basilica si
rese necessario sviluppare uno stile musicale che mettesse a profitto il ritardo del
suono provocato dalle grandi dimensioni della chiesa. In questo modo lo stile
policorale veneziano veneziano si sviluppò nello stile antifonale in cui gruppi di
cantori, accompagnati da strumenti musicali, cantavano in alcuni momenti in
opposizione ed in altri all'unisono uniti dal suono dell'organo.
Il primo compositore a rendere famoso questo effetto fu Adrian Willaert, che
divenne maestro di cappella a San Marco nel 1527 rimanendovi ininterrottamente
fino alla sua morte nel 1562. L'influenza di Willaert era profonda non soltanto per la
sua maestria di compositore ma anche per la sua eccezionale bravura come didatta
tanto che molti veneziani studiarono con lui.
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Adrian Willaert
(c. 7 dicembre 1490 - 1562)
Negli anni dal 1560 al 1570 vi si svilupparono due correnti musicali:
a) una progressista capeggiata da Baldassare Donato
b) una conservatrice con a capo Gioseffo Zarlino che diverrà poi maestro di cappella a
San Marco.
I membri della corrente conservatrice seguivano lo stile polifonico dei fiamminghi. Fra i
nomi: Cipriano de Rore, Zarlino e Claudio Merulo.
I membri della corrente progressista includevano Donato, Giovanni Croce, Andrea e
Giovanni Gabrieli.
Si discusse molto anche sulla opportunità o meno di nominare maestro di cappella anche
compositori stranieri. Alla fine prevalse il gruppo che favoriva i talenti italiani ponendo
fine così alla dominazione dei musicisti stranieri a Venezia.
Nel 1603 fu nominato Giovanni Croce seguito da Giulio Cesare Martinengo nel 1609 e da
Claudio Monteverdi nel 1613.
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Oltre allo stile policorale, Venezia sviluppò anche il genere del "Concerto" (dal
latino con-certare "lottare insieme", "gareggiare insieme"; ma nell'uso
volgare significa "concordare", "mettere d'accordo") che fin dal secolo XVI sta
ad indicare una aggregazione armoniosa, un gruppo numeroso e ben
accordato di cantori e strumentisti (voci e strumenti). Sia Andrea , sia
Giovanni Gabrieli (zio e nipote) eccelsero in questo stile.
Nel 1587 Giovanni pubblicò un volume di Concerti (contenete in prevalenza
composizioni dello zio Andrea), e nel 1597 un libro di Sacrae Symphoniae nel
quale alle opere propriamente liturgiche sono accostate anche delle
composizioni strumentali e 2 sonate (sonata indica un brano appunto da
suonare in contrapposizione a cantar o cantata che implica l'uso delle voci):
fra queste sonate spicca la Sonata pian e forte divenuta celebre per essere la
prima a comprendere delle indicazioni di dinamica. Questa Sonata è inoltre
l’applicazione dello stile policorale (a cori spezzati) all’ambito strumentale.
Fu anche un eccellente didatta: presso di lui si formarono i più importanti
compositori barocchi del nord come Schütz e Hassler.
Partitura - Audio
Giovanni Gabrieli
(Venezia, 1557
Venezia 12 agosto 1612)
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Per comprendere i tratti salienti dello stile veneziano va tenuto innanzi
tutto presente che la Basilica di San Marco non era all'epoca il Duomo di
Venezia, bensì la basilica dei dogi sita a fianco del Palazzo Ducale; di
conseguenza le funzioni sacre che vi si tenevano nelle occasioni più
solenni erano improntate ad una fastosità di tipo celebrativo. Già la
scelta dei testi dei mottetti e la scansione del cerimoniale liturgico erano
fatte ad hoc perché fosse posta in massimo risalto la sacralità
dell'autorità dogale; a ciò si aggiunga la presenza dei due organi con
relativi maestri oltre al maestro di cappella che dirigeva il complesso
musicale nel suo insieme, una particolare predilezione per la policoralità
e per la combinazione di voci e strumenti, e ci si potrà fare un'idea del
fasto sonoro che caratterizzava le funzioni sacre nelle occasioni più
solenni.
Le celebrazioni poi, dalla basilica si spostavano sulla piazza antistante, e
sulle rive, attraversate da corte processionali risonanti di musiche vocali
e strumentali, di cui ci sono rimaste celebri raffigurazioni pittoriche.
Con Giovanni Gabrieli lo stile musicale sacro veneziano
mantiene ed enfatizza i suoi tratti più spettacolari: oltre ai
due cori, che potevano essere rinforzati dalla voce dei due
organi sistemati ciascuno nelle cantorie contrapposte, era
previsto l’impiego di un organico strumentale
comprendente archi e ottoni in numero variabile a seconda
delle circostanze.
Sul finire del Cinquecento, insomma, Venezia ribadisce la
propria indipendenza da Roma anche sul piano delle scelte
musicali. Un fatto tanto più significativo quanto più si pensa
che proprio attorno alla natura della musica sacra, si era
concentrata l’ultima fase del Concilio di Trento, conclusasi
con l’esaltazione dello stile palestriniano a cappella.
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Il Regina Coeli ("Regina del Cielo", o "Regina del Paradiso") è un antico inno
latino cattolico incentrato sulla gloriosa Resurrezione di Nostro Signore Gesù
Cristo e dedicato a Maria, recitato tutti i giorni del tempo pasquale.
Regina coeli, laetare, alleluia:
Quia quem meruisti portare. alleluia,
Resurrexit, sicut dixit, alleluia,
Ora pro nobis Deum, alleluia.
Gaude et laetare, Virgo Maria, alleluia.
Quia surrexit Dominus vere,
alleluia. Oremus.
Regina del cielo, rallegrati, alleluia:
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Gioisci e rallegrati, Vergine Maria, alleluia.
Perché il Signore è veramente risorto,
alleluia. Preghiamo.
Ascolto: Regina coeli, antifona a 12 voci
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