Lo Spazio della Pratica - Tui

Transcript

Lo Spazio della Pratica - Tui
Lo Spazio della Pratica
Elaborazione di discorsi con i Maestri Paolo Raccagni e Yves Kieffer
Dispensa A Cura di Yuri Debbi
Da appassionato praticante occidentale quale sono, mi sono ritrovato ad interrogarmi su quale fosse il
nome che, per tradizione, i praticanti taoisti cinesi dessero al “Luogo della Pratica”.
Influenzato dai libri letti, dai film visti, e dalle immagini storiche degli antichi Templi, ero affascinato
dall’idea, più o meno conscia, di essere parte di una pratica in qualche modo spirituale e tradizionale, che
doveva, per forza, prevedere un luogo “speciale” e “sacro” nel quale, inalterata da millenni, si svolgesse
una praticata solo per “iniziati”, con un loro preciso e codificato modo di vestire, un linguaggio ermetico e
preciso e gesti segreti uguali dall’inizio dei tempi.
Già pregustavo l’equivalente cinese e taoista del rigoroso e “mistico” DOJO Giapponese: un luogo di
misurata pace e profondo silenzio, integerrimo rigore ed essenzialità, sudore e sacrificio; un luogo
punteggiato da severe immagini di antichi Maestri, potenti ed essenziali calligrafie e Simboli esoterici che
richiamavano altrettanti atavici poteri e perdute leggende dal sapore squisitamente orientale.
Un luogo “per pochi eletti”, isolato da un mondo sempre più caotico e perso nel suo insulso correre in
circolo punteggiato di “gente comune”.
Finché, discutendone con i miei maestri ed osservando ciò che accade realmente nel mondo (e soprattutto
in Cina) è emerso che per quanto riguarda il nome DOJO, non esiste un vero e proprio equivalente cinese;
loro utilizzano il termine GUAN o, in cantonese, KWOON.
Entrambi questi nomi, alludono al luogo dove si praticano gli allenamenti per le “arti marziali” cinesi e non
è sempre detto che ci si riferisca ad una palestra, almeno nei termini che noi conosciamo.
Per il pragmatismo che caratterizza i cinesi, un GUAN (o KWOON) può essere anche uno scantinato, un
campo di patate, il balcone di casa o un marciapiede (in un filmato si è visto un vecchio insegnante che
faceva una dimostrazione su un pianerottolo di fronte un ascensore...).
C'è quindi, una certa differenza tra la concezione di DOJO per i giapponesi e di GUAN per i cinesi: il DOJO è
concepito come scuola in tutta la sua interezza, dall'insegnante al luogo dalle pratiche, ai riti e perché no
dai KAMI i numi protettori.
Sono i Giapponesi ad avere il concetto di DOJO, il luogo dove si studia o si segue la “VIA”.
Per i Cinesi, la VIA (DAO) va seguita ovunque e non solo in un luogo chiuso e prestabilito!
Tant'è che in cinese, non si usa neanche la traduzione di BUDO (pressappoco "Via della Guerra" o “Via del
Guerriero”), che sarebbe "WU TAO" o “WU DAO”, ma si usa “WU SHU” (Emblematico no!?).
Dobbiamo quindi ammettere che siamo stati talmente influenzati dalla visione Giapponese, arrivata a noi
tramite il Judo, il Karate (Giapponese solo da poche decadi), l'Aikido, e perfino lo Zen (setta minoritaria
nello stesso Giappone ed importato dal Buddismo Chàn Cinese), che usiamo quelle immagini, rafforzate dai
libri e dai film, come pietra di paragone per giudicare la nostra pratica; sentendoci a volte sminuiti o
incapaci di praticare se l’abito non è perfetto, il luogo non è perfetto e mistico, il cuscino che abbiamo
sotto il culo non è realizzato con materiali rari e assolutamente naturali intessuti da eremiti sperduti nelle
grotte del Nepal.
Se è davvero importante, come insegna il Maestro Georges Charles, che “la Pratica si adatti al Praticante”,
allora dobbiamo anche capire che siamo noi a creare il nostro “Luogo della Pratica” proprio come si fa
tramite e, nello specifico, alla fine del saluto nel Dao Yin Qi Gong.
Questo non significa che taluni abiti, accessori per la pratica e luoghi, non siano per certi versi “migliori” o
più consoni di altri per “aiutarci” nella pratica, ma tutto questo non deve limitarci o farci perdere fiducia.
Il SALUTO RITUALE (JING LI) che apre, separa e chiude le diverse sequenze del Dao Yin Fa Qi Gong,
racchiude in se molteplici valenze e significati, dal più concreto al più sottile e complesso, ma osserviamolo
per un istante considerando la valenza che ha rispetto al luogo della pratica: con una serie di successive
aperture e chiusure, inspirazioni ed espirazioni, il praticante traccia una linea verticale che collega,
attraverso di se, TERRA (DI), UOMO (REN) e CIELO (TIAN), le Tre Potenze; nel farlo, unisce il palmo sinistro
al pugno destro nel mudra che rappresenta l’unione di YIN e YANG, ombra e luce, Luna e Sole, femminile e
maschile, nella Chiarezza (MING) del TAO, per un attimo unisce le mani a livello della fronte e si inchina
indicando (ma anche conferendo) rispetto e sacralità per il luogo in cui si trova .
In fine, aprendo le braccia e disegnando nell’aria una sfera che lo avvolge, delimita uno spazio sacro, un
proprio luogo di pratica, in un certo senso, lo purifica, per poi entrarci con un simbolico passo in avanti.
Questo “Luogo” della mente e del cuore, questo spazio vitale, ma anche il vero e proprio spazio fisico che
ha descritto ed aperto è reso “speciale” dalla sua intenzione (YI) ed ovunque la persona si trovi, su di un
monte sacro sperduto nei contrafforti indiani o cinesi, nella piccola sala di una palestra di quartiere
piuttosto che in un parchetto a fianco della propria casa o, perfino in un pianerottolo o in un garage, esso
ha la stessa dignità del più austero ed antico monastero Taoista immerso fra monti nebbiosi o dei vuoti,
austeri e silenziosi spazi dei Templi Zen.
Dal saluto iniziale che apre la pratica a quello finale che la conclude, ovunque noi siamo, quello è il “Luogo
della Pratica”: un posto speciale, probabilmente visibile solo a pochi (forse anche solo da noi), non perché
riservato a iniziati, ma perché in pochi si permetteranno di accorgersi che esso esiste ed è un luogo unico,
immerso nel “Qui ed Ora”; frammento di spazio e tempo che ci appartiene in cui Terra, Uomo e Cielo sono
connessi e le differenze unite… O almeno, dove ci si prova…
Ancora di più, quando si pratica assieme a più persone, tramite il saluto collettivo di tutto il gruppo, si
uniscono tutte quelle piccole bolle, quegli spazi speciali, in un unico luogo “sacro”, un “tempio”, creato
dall’intenzione (YI) dei compagni di pratica in qualsiasi luogo del mondo questo succeda.
Bibliografia
Insegnamenti di Paolo Raccagni e Yves Kieffer