Le malattie mentali, i soldati della Prima guerra mondiale e il Sant

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Le malattie mentali, i soldati della Prima guerra mondiale e il Sant
Le malattie mentali, i soldati della Prima guerra
mondiale e il Sant’Artemio di Treviso
di Gerardo Favaretto. Direttore Dipartimento di Salute Mentale Az. Ulss 9
Si sono scritte milioni di parole sulla guerra, forse di più degli uomini uccisi e feriti, forse di più dei proiettili
sparati da fucili e cannoni. Parole che nella tragedia aspirano a raccontare storie di eroi o di vittime. Parole
che ripetono incessantemente il motto degli antichi guerrieri greci: “ è caro agli dei chi muore giovane“.
Parole che raccontano di vittorie, di gloria e di disperazione, di desertici orizzonti della catastrofe e della
retorica di avere prevalso sul nemico. Non vi è dubbio però che il modo di ricordare, raccontare e di
conoscere la guerra è profondamente cambiato dopo la prima guerra mondiale. Da lì non sono più bastate
le parole per poter descrivere dolore, angosce e rabbia, freddo e paura, parole adeguate a raccontare la
ineluttabile disperazione di essere soli di fronte alla morte che si è portata via molti .
Tutto è definitivamente cambiato a partire dal Novecento, dall'avvento della modernità, delle masse, delle
macchine. La tecnica disegna un confine dal quale è impossibile tornare indietro e dal quale sarà da allora in
poi impossibile dimenticare di averlo varcato. Macchine serve che diverranno padrone, macchine sterminatrici,
dissacrartici dei corpi. Macchine e tecniche che faranno morire nei primi minuti di battaglia più persone di
quante ne siano morte in guerre precedenti e che faranno contare a milioni i morti, alla fine della guerra:
una intera nazione cancellata dalla terra.
Interrogarsi sul rapporto fra la prima guerra mondiale e la follia resta una ardito paradosso. Anche nel caso ,
come il nostro, nel quale si voglia rivedere quale ruolo e quale parte abbia giocato l'allora nuovissimo
ospedale psichiatrico di Treviso: per quali persone questo istituto divenne rifugio e via di allontanamento da
un fronte drammatico e pieno di morte, per quanti infine la rottura della dimensione emotiva significò prima
ancora di ogni ferita al corpo, la impossibilità a svolgere quello che la disciplina di guerra chiama, e qui
davvero c'è molto da discutere, il proprio dovere.
L'insana ragione della guerra e la follia degli uomini costituisce, quindi la base delle riflessioni di un evento
che rappresenta, agli inizi del novecento qualcosa che condizionerà in modo definitivo ed irreversibile l'epoca
successiva. Un evento epocale appunto.
Per comprendere lo specifico aspetto di questo evento bisogna però tornare a entrare brevemente nei
termini del dibattito che caratterizzava la Psichiatria italiana all'epoca della prima guerra mondiale.
Reduce da una recente riforma (1904) che istituiva gli ospedali psichiatrici in un paese relativamente giovane
nella sua unità, la Psichiatria era, in quegli anni, percorsa da confronti significativi e da radicali
contrapposizioni.
La legge del 1904 veniva promulgata anche inconseguenza di uno scandalo su come venivano gli alienati
incatenati e maltrattati, scandalo che aveva richiamato l'attenzione dell'intera nazione e che traeva origine
dal lavoro di una commissione di indagine condotta dal prof. Belmondo, illustre cattedratico a Padova,
presso l'istituto Fatebenefratelli a San Servolo di Venezia allora già uno dei principali manicomi del Veneto.
Pur essendo però specialità alquanto recente (la società Freniatrica nata nella seconda metà dell'ottocento ,
aveva richiesto l'istituzione dell'insegnamento di Psichiatria solo nel 1892) la Psichiatria poteva contare su
una cultura della psiche e della follia millenaria e di una solida tradizione culturale e istituzionale iniziata fin
dai primi dell'ottocento. Tale cultura agli inizi del novecento è eterogenea e vede molte interpretazioni in
tutta Europa. In tutte le nazioni, è diffusa, e dominante, specie nelle Università, la convinzione che la
malattia mentale sia una malattia del cervello di cui ancora non si conoscono chiaramente cause e
meccanismi. In questo contesto il confine attuale fra Neurologia e Psichiatria è ancora impreciso e tutto da
tracciare anche se fin dai tempi di Pinel, ossia dai primi dell'ottocento, si distinguono malattie mentali curabili,
dalle alterazioni fisiche del cervello e del sistema nervoso in generale per le quali decisamente più scarsi
sono gli effetti delle cure . Sulla natura dei sintomi e sul loro determinarsi e sulla loro cura “morale”
tramite insegnamenti e organizzazione manicomiale esiste un importante dibattito in tutta Europa traendo
origine eredi della ottocentesca teoria delle passioni, teoria che stava alla base del trattamento “morale
“ delle emozioni e della mente, prima fra gli orientamenti psicologici e pedagogici basata sulla convinzione
che la ragione , indebolita, avesse perso il controllo delle passioni e ne fosse a queste sovrastata.
Le nuove teorie sostengono che i fatti psichici seguono un determinismo psichico ovvero che, i sintomi
neurotici siano il risultato di una catena di eventi consequenziali e dotati di potere causale per cui da eventi
emotivi e da conflitti e traumi interiori si determinano, poi, condizioni psicopatologiche. Fra il primo e il
secondo decennio del novecento nasce e si diffonde la psicoanalisi , scrivono le loro opere fondamentali non
solo Freud ma anche Eugen Bleuer, Pierre Janet e Karl Jaspers autori importantissimi che pure non
saranno riconosciuti immediatamente nel nostro paese.
Questi dibattiti sulla teoria della mente all'inizio della guerra ebbero un peso rilevante: i soldati che si
ammalavano e che sempre più numerosi avrebbero dimostrato sintomi nervosi erano degenerati che
venivano rivelati dalle difficoltà belliche ma che alla base avevano una condizione di debolezza costituzionale
o era la guerra ad essere generatrice di traumi tramite eventi che in modo del tutto universale potevano
creare disturbi mentali ed emotivi: era dunque la guerra la responsabile delle difficoltà che i soldati
dimostravano a decine di migliaia o erano invece i più deboli, i degenerati, i simulatori, a presentare questi
disturbi? E nel caso fosse la guerra come agiva il trauma sul sistema nervoso? Quali erano i meccanismi
profondi con cui si generavano i tanti quadri clinici che venivano ricoverati negli ospedali? E, ancora se era la
guerra la causa dei disturbi nervosi, i soldati avevano diritto a un risarcimento?
E' con questi interrogativi, più o meno esplicitati che comincia il lavoro degli psichiatri durante la guerra. La
guerra anche nel nostro paese viene vista come un grande “laboratorio” che fornirà informazioni su
comportamento e sul funzionamento di numeri “importanti e indiscutibilmente significativi “ di persone. In
grado dunque di fornire risposte a questi interrogativi. La guerra poi dovrà fornire la dimostrazione della
indispensabilità della scienza psichiatrica e delle sue istituzioni dimostrando l'utilità e riconoscendo l'efficacia
del supporto che dovrà fornire il servizio psichiatrico di guerra. Questioni che sembrano molto teoriche in
realtà diventano piuttosto concrete e legate sia alla gestione degli ammalati sia alla identità stessa della
nuova assistenza manicomiale.
Dal punto di vista clinico gli psichiatri italiani, convinti assertori della natura biologica del disturbo mentale,
si trovano i difficoltà ad ammettere che una genesi traumatica potesse essere alla base di sintomi psichici
quanto più erano propensi a credere che una sorta di vulnerabilità temperamentale e costituzionale , erede
delle teorie di Cesare Lombroso, potesse essere alla base dei comportamenti folli riscontrati in molti soldati.
Da qui, poi, al vedere alla base della missione della psichiatria quella di dover depurare l'esercito dei
combattenti dalle eccezioni inquinanti di malati costituzionali che sono di intralcio al lavoro delle truppe,
come, in modi diversi, molti dei più noti psichiatri italiani scriveranno nelle riviste dell'epoca, il passo è breve.
Il servizio psichiatrico di guerra Italiano ebbe una organizzazione puntuale e articolata. Ad ogni armata fu
associato un consulente; il coordinatore generale di tutta l'attività psichiatrica fu Augusto Tamburini
consulente della prima armata; delle altre furono consulenti Bianchi, Arturo Morselli e Alberti tutti noti
alienisti dell'epoca. Il sistema prevedeva soccorso negli ospedali da campo per poi passare agli ospedali di
tappa, sostanzialmente di passaggio e smistamento per poi poggiarsi su molti degli ospedali ricavati nei
manicomi e su alcune cliniche specializzate. Fra gli ospedali di zona Treviso era uno dei principali ed era
diretto dal Dott. Luigi Zanon dal Bò, direttore di san Artemio fin dalla sua apertura. A Treviso faceva
riferimento la 3° armata ma non era escluso poter trovare fra i ricoverati militari di altre armate.
Treviso accolse, fino al 1917, il maggior numero di militari rispetto agli altri ospedali del Veneto: 1575 di
poco superiore a Padova , 1556 . In occasione della disfatta di Caporetto S Artemio venne evacuato e quindi ,
ovviamente non accolse più nuovi casi.
Particolare non irrilevante dal S. Artemio dipendevano delle case di salute, dei cronicari , collocati a Crocetta,
Valdobbiadene, Oderzo , Mogliano alcuni dei quali in occasione della ritirata dell'esercito passarono sotto il
controllo degli austriaci con esiti per la sopravvivenza dei malati e della malate ivi accolte davvero disastrosi
come Zanon dal Bo stesso relazionerà già alla fine del 1918. I dati della relazione di Zanon dal Bo sull'esito
di tale gestione sono terrificanti: una mortalità in media del 70 % per cento causata a sovraffollamento e
fame nel periodo che va dalla occupazione alla fine della guerra.
Si calcola che circa in tutto il paese circa 40.000 persone furono valutate durante la guerra per motivi legati
a disturbi nervosi; un numero davvero inferiore a quello degli altri paesi e verosimilmente sottostimato. Di
fronte ai comportamenti di fuga, simulazione , diserzione l'atteggiamento dei comandi sarà molto repressivo.
Soldati mandati all'assalto sotto la minaccia di mitragliatrici “amiche”, soldati considerati disertori
sommariamente giustiziati. Gli autolesionisti saranno un numero incalcolabile, difficile da determinare, ma
sicuramente superiore alle poche migliaia di cui parlano le statistiche ufficiali. E' facile immaginare se
fossero calcolati tutti questi casi il numero dei soldati con difficoltà potrebbe facilmente raggiungere un
numero molto superiore a quelli valutati per motivi nervosi. Un numero importante anche per i massacri
della prima guerra.
Negli Ospedaletti di prima linea,dove di solito venivano ricoverati tutti coloro che erano giudicati bisognosi di
cure immediate e di valutazioni urgenti venivano portati anche tutti i soldati sotto shock, non reattivi, in un
evidente stato di alterazione mentale. Una volta valutati anche nell'ospedale di tappa principale potevano
essere avviati presso uno degli ospedali principali con del funzioni psichiatriche fra cui il S. Artemio.
Del passaggio di circa 1600 militari fra truppa (84 %) sottufficiali (6 %) e ufficiali(10%) ritroviamo oggi
traccia nei registri e negli archivi delle cartelle cliniche. Fra i documenti si trovano valutazioni delle
commissioni medico militari, relazioni cliniche, rapporti sul funzionamento dell'ospedale. Le cartelle
contengono oltre ai documenti di ingresso e ai diari clinici documenti di altro tipo, qualche foto, lettere mai
inviate e lettere giunte dalla famiglia, corrispondenze con i sindaci, provvedimenti sul destino del militare. I
soldati che arrivano in ospedale sono spesso confusi. Molti sono mutatici, ovvero non parlano, altri sembrano
continuare a vivere in un incubo , vedono morti intorno a loro e sentono rumori di guerra. Alcuni sobbalzano
a ogni minimo rumore, sono spaventati , temono che una minaccia possa celarsi dietro ogni ombra e ogni
momento. Poi ci sono quelli che invece si sentono stanchi svuotati pravi di energia, oppressi dal loro stesso
essere al mondo, tristi sconfortati. Altri ancora sono agitati , furiosi , aggressivi .
I soldati ricoverati a S Artemio saranno studiati , indagati conosciuti nelle loro vite , relazioni , abitudini .
Quasi il 40 % non ricevono una classica diagnosi ma vengono valutati di “ non competenza” ovvero non
mostrano un evidente malattia psichiatrica ma un quadro più lieve, di prognosi benigna che si risolverà
probabilmente con un periodo di riposo.
Negata dal punto di vista medico l'influenza dello shock sulle emozioni e sulla condizione nervosa, fatto
ampiamente riconosciuto in tutti gli altri paesi belligeranti, riappare, anche in Italia nella forma di una
prognosi favorevole e il riconosciuto diritto al riposo.
Per altri invece ci saranno diagnosi psichiatriche più note, più consuete; amenza , demenza, melanconia,
psicosi cui non sempre seguirà la dimissione con consiglio di riposo ma il prolungamento del ricovero fino al
ricovero definitivo.
Spesso i familiari con angoscia chiedono notizie lasciando trasparire lo sgomento di sapere il figlio ricoverato
in manicomio. Spesso le notizie sono tempestive in altri casi lo sono meno. Succede anche che dopo aver
rassicurato la famiglia comunicando lo stato di perfetta salute del ricoverato il direttore debba scrivere dopo
una settimana che lo stesso è deceduto.
E la follia dove sta?
Per gli psichiatri è difficile capire dove sta il limite: chi è stato colpito da eventi talmente intensi da un punto
di vista emotivo da perdere la ragione? Chi è invece il degenerato, il difettuale da eliminare? Il sospetto di un
difetto costituzionale, caratteriale spinse molti psichiatri specie all'inizio del conflitto ad auspicare una sorta di
eugenetica, di selezione degli alterati dal corpo sano dell'esercito. Tematica poi tristemente ripresa dal
fascismo e soprattutto dal nazismo una quindicina di anni dopo .
Le considerazioni morali, sulle abitudini, e quelle più propriamente mediche si sovrappongono. Sempre vien
chiesto al sindaco del comune di provenienza o ai carabinieri, talvolta ,di indagare e riferire sulla famiglia,
sul soggetto.
I sindaci raccontano di storie di gente normale; contadini che lavorano la terra, padri di famiglia, con mogli e
genitori speso preoccupati e premurosi. In qualche caso, è vero, è noto il comportamento poco morale della
persona, l'abuso di alcool. Spesso la persona proviene da famiglie poverissime, indigenti, altre volte pero' la
famiglia provvede al sostentamento del congiunto ed è in grado di accoglierlo nel caso dovesse tornare a
casa.
Che i casi di paralisi e di tremore o di mutismo e di confusione che si ricoverano provenienti dal fronte
fossero casi di neurosi, causata dalla violenza delle esperienze e delle condizioni al fronte era difficile da
ammettere e spesso la cosa migliore era aspettare la soluzione spontanea del problema .
La cure sono abbastanza relative. Il regime dietetico, l'osservazione quotidiana, le licenze sono la traccia
seguita per tutti, a quei casi chiari di malattia mentale segue invece l'internamento in ospedale psichiatrico a
titolo definivo utilizzando quella legge del 1904 su manicomi e ricoveri tanto voluta ma che già nel 1918 gli
psichiatri giudicheranno inadeguata e vetusta.
Certo esistono i bagni freddi, le terapie faradiche basate su scariche elettriche, quelle febbrili oppure cure
basate sull'ipnosi e sulla catarsi emotiv,a ma a Sant’Artemio non abbiamo una diffusione importante di
queste pratiche. Alcune delle forme suddette peraltro hanno poco di terapeutico.
La “cura“ tramite corrente elettrica applicata per condizionare la persone a reagire a comportamenti di
scarsa reattività o ritenuti ingiustamente di volontaria passivizzazione ebbe delle applicazioni decisamente
sadiche ed in più parti di Europa fu nel dopoguerra oggetto di commissioni di indagine.
Gli psichiatri poi sono pochi, molto personale è stato richiamato al fronte; in realtà si pensa che
l'accudimento manicomiale e l'assistenza di base siano le cure migliori che si possono dare a una persona
che dimostra una difficoltà mentale o emotiva.
Il direttore dell'ospedale psichiatrico di Treviso, come già detto è Luigi Zanon dal Bo'. Discepolo di Belmondo
che è il professore di psichiatria a Padova e direttore dell'ospedale psichiatrico patavino, Zanon dal Bo' è
uomo di grandi aperture culturali, favorevole a una assistenza illuminata e non restrittiva e di sostanziosa
formazione scientifica (la sua biblioteca personale sarà donata dagli eredi alla sua morte all'ospedale
psichiatrico e contiene tutte le principali opere dell'epoca sulla guerra e sui traumi mentali da guerra).
Nel 1921 pubblicherà un suo commento sulla esistenza di psicosi da guerra, quindi di malattie mentali
causate dal conflitto. Il suo scritto è un attenta raccolta di una imponente bibliografia, oltre 200 titoli in
lingua straniera e in italiano. Ancora oggi troviamo le sue sottolineature e le sue note sparse fra i vari libri
che ha consultato. Nonostante la vasta esperienza e i tanti casi e testi consultati egli conclude, in
quell'epoca, che non si poteva certo attribuire alla guerra la causa di tanti disturbi mentali osservati e che
questi stessi disturbi mentali , forse lievemente meno gravi di quelli consueti non differivano però dai classici
disturbi mentali riscontrati in tempo di pace fra la popolazione civile in nessun modo per qualità sintomi e
prognosi.
L'evoluzione delle diagnostica in Psichiatria gli darà torto, come pure la notevole attenzione che dagli anni 80
in poi si è sviluppata intorno agli “scemi di guerra”. Certo non si può togliere un pensiero e una ricerca dal
suo contesto ma forse alla fine si può lasciar parola a uno dei tanti scritti di un soldato ricoverato del
S.Artemio : “la mia vita e gravemente perseguitata di martiri e di croci perpetue e di suplizi. Il mio povero
cuore purga sempre di continuo levatemi quel capello di pezza che ho sulla testa quella faccia che mi
perseguita giorno e notte e he mi mette martiri nella mia vita io mi chiamo Foglio ma sono destinato a non
parlare vorrei domandare a voi dotore una cosa io mi sento la volontà di parlare ma oh paura di essere preso
dal destino . Lei mi deve dare un consiglio come devo fare per parlare le mie paure sono tante la faccia he
gira sempre davanti ai miei ohhi mi tormenta e mi destina male . Il mio cuore he giorno e notte mi purga e
sofre molto la mia vita piena di suplisi”
NOTA
Esiste una bibliografia importante relativa a questi argomenti non riportata qui vista la natura discorsiva del
testo .
Mi è doveroso citare però il lavoro di Bruna Bianchi La follia e la fuga Bulzoni editore Roma 2001 ; di Nicola
Bettiol Feriti nell'anima , Storie di Sodati dai manicomi del veneto 1915-1918 Istresco ; Treviso, 2008 . Fra i
testi storici A. Tamburini et al. L'assistenza agli alienati in Italia e nelle varie nazioni , 1918 e naturalmente
L.Zanon dal Bò Se esistono particolari forme di psicosi in dipendenza dalla guerra Archivio generale di Neurol.
Psichiat. e Psicoanal. 1921, II, I pag 1