michelangelo buonarroti

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michelangelo buonarroti
MICHELANGELO BUONARROTI
“IL MONDO HA MOLTI RE E
UN SOL MICHELAGNOLO”
(PIETRO ARETINO)
SPINELLI RICCARDO
ELETTARI MATTIA
BECCALLI MATTEO
ROVERA EMANUELE
1
INDICE
Le opere attraverso la vita
• La pietà vaticana
4
• Il David
6
• Il Tondo Doni
8
• Gli affreschi della cappella Sistina
10
• Il Giudizio Universale
13
• Piazza del Campidoglio
15
• La pietà Rondanini
17
• Bibliografia
18
2
M
ichelangelo Buonarroti nacque a Caprese, nella Val Tiberina, il 6 marzo del
1475.
Egli sin da bambino coltivò la passione per la scultura, vivendo anche il suo
periodo migliore della sua infanzia presso la sua balia, moglie di uno scalpellino. Lo
ricorderà spesso con nostalgia, come di un angolo di Paradiso, insieme al ricordo della
balia. Quando sarà grande, Michelangelo scherzando, dirà spesso che, la passione per la
scultura, gli è venuta succhiando il latte della buona e brava balia, moglie dello
scalpellino.
Nella propria famiglia, non vi erano precedenti di artisti, e il padre quando venne il
momento di pensare al suo avvenire, lo mandò agli studi umanistici, presso il
Maestro Francesco di Urbino. Ma Michelangelo, deluse subito il maestro, l'unica materia
dove si applicava era il disegno, e tutto il resto non gli interessava. Il padre, usò spesso
il bastone con lui, ma senza ottenere ragione.
All'età di tredici anni, abbandonò il padre, e andò a bottega come apprendista a
Firenze, presso un noto artista pittore dell'epoca, Domenico Ghirlandaio. Sembra
proprio, che Michelangelo, lavorò poco nella bottega, in quanto era sempre in urto col
Ghirlandaio, proprio per la sua bravura, che stava lentamente nascendo.
Dopo appena un anno, Michelangelo se ne andò, per frequentare una libera scuola di
scultura e di copia, istituita da Lorenzo dei Medici, e in quel periodo diretta dal
Bertoldo, allievo di Donatello. Smanioso di distinguersi rispetto agli altri allievi, e
superbo al punto giusto, Michelangelo non tardò a farsi notare addirittura dallo stesso
Lorenzo dei Medici, che lo prese a simpatia, e sotto la sua protezione, portandolo nel
giro ristretto dei suoi amici, tra cui vi erano i noti umanisti Marsilio Ficino e Angelo
Poliziano.
Quest'ultimo soprattutto, lo iniziò ai segreti del mondo “classico”, e delle opere dei
grandi artisti classici dell'antichità e della Grecia. Finalmente, l'artista si trovava in
mezzo a gente raffinata, desiderosa di portare a Firenze lo splendore dell'Atene di
Platone e Aristotele.
Michelangelo non era un bell'uomo dall'aspetto. Aveva statura media, spalle larghe,
capelli neri e ricci e una barbetta, che gli incorniciava il viso. Il famoso pugno subito,
sferrato da Piero Torrigiani, il quale, dopo una giornata trascorsa nella cappella
Brancacci, offeso da uno scherzo forse troppo spinto del Buonarroti, non riuscì a
resistere alla tentazione di rifilargli un cazzotto, lo sfregiò per tutta la vita.
L'infelicità e lo scontento che lo accompagnarono per tutta la vita, però non fu dovuta
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al fatto della sua non bellezza fisica, ma fu invece, un male inguaribile dell'anima, che
lo contaminò fino al punto, di invocare tante volte la morte. Sembrava quasi che avesse
una doppia personalità, un altro se stesso, che non gli dava tregua né di giorno né di
notte e che nessuna soddisfazione riusciva a placare. Questo genio, lo spingeva
continuamente ad osare l’inosabile, a far violenza alle leggi della natura, addirittura a
non tenere in conto, le pur legittime esigenze del corpo. A proposito di questo, si
conoscono alcuni episodi assurdi dell’incredibile vita di questo artista.
Michelangelo, si sa che si nutriva poco e male, che non riusciva mai a dormire a
sufficienza, che si trascurava nel vestire, e addirittura che si umiliava e si maltrattava
fisicamente.
Egli fu un toscanaccio bizzoso e a volte prepotente, che addirittura osava misurarsi
faccia a faccia con Papi e imperatori, perché era conscio della propria grandezza
artistica. Ma nel proprio intimo, era un uomo lacerato da passioni contrastanti, che non
gli davano tregua, e alle quale egli non sapeva imporre un freno, che è il dominio
sovrano della nostra intelligenza.
Nel 1496 lasciò la città di Firenze e si trasferì a Roma dove su commissione del
cardinale Jean Bilheres realizzò la Pietà.
LA PIETÁ VATICANA
E' una scultura a tutto tondo in marmo di Carrara, l'altezza è di cm 174, la larghezza alla
base è di 195 e la profondità 69 cm.
Michelangelo e il Cardinale Bilhéres de Lagraulas, Abate di S. Dionigi e ambasciatore di
Carlo VIII presso Alessandro VI, firmarono il contratto per quest'opera il 26 o il 27 agosto,
alla presenza garante del banchiere Jacopo Galli perchè essa fosse terminata entro un
anno. Il marmo per quest'opera fu fatto giungere da Carrara.
L'esecuzione della Pietà risale ad una fase dell'esperienza creativa del Buonarroti
durante la quale è ancora determinante la formazione avvenuta in ambito fiorentino.
Il gruppo della Madre e del Figlio è una forma insita nella materia, che si libera grazie ai
geniali colpi del martello e idealmente si iscrive in un triangolo. Scolpita subito dopo
l'immagine pagana e sensuale del Bacco, la Pietà presenta forti particolari anatomici,
specie nelle finiture dei panneggi, con effetti di traslucido e di ritmo monumentale. La
perfezione tecnica è semplicemente sbalorditiva. Sulla fascia che attraversa il petto
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della Vergine é scritto in caratteri lapidari romani compenetranti "Michael Angelus
Bonarotus Florent Faciebat".
E' l'unica opera firmata di Michelangelo, forse perché rappresenta la prima creazione
assolutamente personale, non legata all'imitazione o contraffazione dell'antico. A chi gli
faceva notare l'estrema giovinezza della Vergine rispetto al Cristo, Michelangelo
spiegava "che le donne caste molto più fresche si mantengono che le non caste".
La sua Pietà ha aspetti inediti e addirittura eversivi per certi tratti iconografici che
urtarono la sensibilità di luterani e controriformisti, tant'è vero che la scultura,
terminata nel 1499, fu collocata nella chiesa romana di S. Petronilla (e il fatto che il
Cardinale Bilhéres fosse poi qui sepolto ha fatto supporre anche ad una commissione per
la propria tomba) e subì vari spostamenti, prima di essere collocata definitivamente nel
1749 nella Cappella del Crocefisso alla basilica di S. Pietro.
Nel 1736 l'opera subì un restauro alle
dita della mano destra della Vergine.
Un folle nel giorno di Pentecoste, il
21 maggio del 1972 infierì con un
martello
sul
gruppo,
vibrando
quindici colpi e distaccando una
cinquantina
di
frammenti
che,
raccolti, sono poi stati riutilizzati al
meglio nel restauro occorso.
Il gruppo rappresenta il tema della
"Pietà" ovvero la Vergine Maria che
tiene in grembo e contempla il corpo
morto del figlio. Quest'opera non
Pietà, 1498-1499. Marmo, altezza 174 cm, lunghezza 195 cm. Città rappresenta però il dolore straziante
del Vaticano, Basilica di San Pietro
di una madre alla quale hanno ucciso
ingiustamente il figlio e neanche il corpo martoriato di Gesù, Michelangelo rappresenta
la vita e la morte riuniti insieme a raggiungere la perfezione divina.
Si spiega così la scelta della forma piramidale che dalla base, salendo a spirale conduce
al vertice, ossia all'unità. Le pieghe nella veste della Vergine sono molto abbondanti ed
hanno lo scopo di far risaltare maggiormente, per contrasto, la bellezza, la ricercatezza,
la finezza del corpo nudo del Cristo.
La perfezione di questo e del volto della Madonna rappresentano il superamento delle
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fattezze terrene e il raggiungimento della bellezza ideale. Questo spiega anche la
"giovinezza" della Vergine in confronto a Gesù. Ella viene rappresentata sedicenne per
simboleggiare la sua immacolatezza non corrotta da peccato alcuno. La bellezza delle
figure e l'estrema raffinatezza della lavorazione del marmo di Carrara, levigato con
batuffoli di paglia, donano alle figure suprema dignità facendole elevare al di sopra
della realtà umana.
Il gruppo si presenta come appoggiato su di un piano laterale formato dalle rocce sulle
quali siede la Vergine, questa percezione é data dallo spessore relativamente esiguo
rispetto all'altezza e dal fatto che il punto di vista di Michelangelo é sempre uno solo:
quello frontale.
Inoltre si narra che riguardo alla "Pietà", egli si trovò per caso ad ascoltare alcuni dotti
che ammiravano il suo Capolavoro attribuendo però il manufatto a un altro artista del
tempo. Indispettito e preso da orgoglio giovanile, una sera, quando l'Opera già era stata
esposta al pubblico, si armò di martello e scalpello e incise il suo nome sulla fascia che
attraversa obliquamente il seno della Vergine. Sembra che questa sia la sua unica
scultura firmata.
Nel 1501, tornato a Firenze, gli viene commissionata una scultura rappresentante
il David che doveva essere collocata presso il duomo.
IL DAVID
Invece di essere collocata in uno dei contrafforti esterni posti nella zona absidale della
cattedrale di Santa Maria del Fiore, sua destinazione originaria, la statua del David di
Michelangelo fu sistemata nel cuore della città, in Piazza della Signoria, proprio davanti
a Palazzo Vecchio, sede del governo.
L'eroe biblico che aveva combattuto per la libertà venne eletto dai fiorentini, simbolo
della nuova repubblica, come emblema dei più alti valori civici della società
rinascimentale.
È la prima statua nuda del periodo rinascimentale, rappresentazione visiva della potenza
umana. L'impianto è classico: il movimento chiastico procede dal basso verso l'alto, dalle
gambe levigate passando per il busto possente, fino ad arrivare alla testa, sede del
pensiero e della ragione.
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Da notare che la scultura è caratterizzata da forme perfettamente chiuse e regolari.
Nel David di Michelangelo, il blocco di marmo era stato precedentemente sbozzato da
Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476 ma entrambi gli artisti
abbandonarono la scultura giudicando il marmo troppo fragile.
Il marmo infine presentava una grande
quantità
di
venature
dette
taròli,
che
Michelangelo provvide a stuccare e ricoprire
con malta di calce restituendo alla superficie
la sua levigatezza.
Quando il David di Michelangelo fu ultimato il
Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini decise
di
collocarla
in
Piazza
della
Signoria
trasferendo il valore simbolico del David da
un contesto religioso ad uno civile.
Michelangelo
rifinì
il
David
sul
posto
dipingendo in oro il tronco d'albero dietro la
gamba destra e aggiungendo delle ghirlande
di ottone con foglie in rame dorato che
cingevano
la
fionda. Nel
basamento
marmo
del
testa
1512
e
una
accentuando
David
di
la
cinghia
della
saetta colpì
la
il
fragilità
del
Michelangelo
che
presentava dei cedimenti all'altezza delle
caviglie.
Durante la seconda cacciata dei Medici da
David, 1501-1504. Marmo, altezza 410 cm. Firenze,
Galleria dell’Accademia
Firenze nel 1527, ci furono dei tumulti in
città: un gruppo di repubblicani asserragliati in Palazzo Vecchio per difendersi dagli
oppositori lanciarono dalle finestre pietre, tegole e mobili, che danneggiarono
seriamente la statua del David di Michelangelo causando la frantumazione del braccio
sinistro in tre pezzi e la scheggiatura della fionda all'altezza della spalla.
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il trasferimento nella
Galleria dell'Accademia di Firenze dove si trova tuttora, mentre in Piazza della Signoria
venne collocata una copia nel 1910.
Michelangelo, al contrario dei precedenti, trasmette un'idea di forza assolutamente
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autosufficiente, espressa nel momento di tensione che precede la battaglia,
contrariamente a Donatello e Verrocchio che rappresentano i loro soggetti nel momento
successivo e quindi trionfanti su Golia.
Si narra che, mentre Michelangelo stava scolpendo il David, un funzionario fiorentino
fosse venuto per controllare il suo lavoro, e, volendo criticare l’opera, disse che il naso
dell’eroe biblico era imperfetto. Allora, Michelangelo, non volendo cambiare la statua
poiché già soddisfatto, fece finta di scalpellare il difetto, mentre faceva cadere dalla
mano della polvere di marmo per simulare il lavoro. Dopo poche scalpellate chiese al
funzionario se era soddisfatto del miglioramento, ed egli rispose di sì, e se ne andò via
contento.
Sempre a Firenze, per il matrimonio di Agnolo Doni, eseguì una tavola rappresentante
la Sacra Famiglia, conosciuta con il nome di Tondo Doni. Il dipinto è anche di
fondamentale importanza nella storia dell'arte, poiché pone le basi per quello che sarà
il manierismo: sicuramente è uno dei dipinti emblematici e importanti del Cinquecento
italiano.
TONDO DONI
Il Tondo Doni è un dipinto a tempera su tavola circolare dal diametro di 120 cm databile
al 1506-1508 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Esso possiede
tuttora la cornice originale, probabilmente disegnata dallo stesso Michelangelo. Questo
dipinto inoltre ha una certa rilevanza perché è l'unica opera su supporto mobile
dell'artista.
La Sacra Famiglia è composta come un gruppo scultoreo al centro del tondo: la Madonna
in primo piano, contrariamente a tutta l'iconografia antecedente, non ha il Bambino in
primo piano, ma si volta per prenderlo da Giuseppe, che è inginocchiato dietro di lei.
Essa, accoccolata a terra, ha appena smesso di leggere il libro che ora è chiuso e
abbandonato sul suo manto fra le gambe. Gesù, rubicondo e ricciuto, sta acconciando i
capelli della madre.
Il gesto di Maria le fa compiere una torsione che genera un moto a serpentina di grande
originalità. Quest'ipotetica spirale di linee di forza, unita alla composizione piramidale
che ha il vertice nella testa di Giuseppe, genera un forte effetto dinamico, che si adatta
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perfettamente alla forma del tondo, proiettandosi anche al di fuori verso lo spettatore.
Un altro triangolo, di senso inverso, è composto dalle teste e le braccia dei protagonisti,
attirando ulteriormente l'attenzione sul gruppo e preannunciando gli annodati
collegamenti gestuali dei manieristi.
Le ginocchia di
Maria in
primo piano e il blocco dietro
del
figlio
e
configurano
dello
una
emisferica,
sposo
superficie
mentre
seconda
una
semisfera
è
accennata in profondità dagli
ignudi: viene così a comporsi
uno
spazio
pittorico
perfettamente
sferico
contenuto entro la cornice
circolare.
In secondo piano, emergente
da una cavità con davanti
una sorta di muretto grigio,
Tondo Doni, 1504. Tempera su tavola, diametro 120 cm. Firenze, Galleria
degli Uffizi
si
vede
Giovanni
il
piccolo
Battista
e
san
più
lontano una fascia di ignudi appoggiati a un emiciclo di rocce spezzate; sullo sfondo
infine si vede un paesaggio definito sinteticamente, con un lago, un prato e montagne
che sfumano in lontananza davanti a un cielo azzurrino.
I colori sono audacemente vivaci, luminosi, squillanti, cangianti e "algidi". I corpi sono
trattati in maniera scultorea, chiaroscurati e spiccati dal fondo della tavola tramite una
linea di contorno netta e decisa: del resto, Michelangelo riteneva che la migliore pittura
fosse quella che maggiormente si avvicinava alla scultura, cioè quella che possedeva il
più elevato grado di plasticità possibile.
Uno dei punti su cui la critica si è più concentrata è l'interpretazione da dare al dipinto.
Una tra le proposte più accreditate vede le figure sacre come un simbolo dell'età di
Cristo, che prende il sopravvento sull'età pagana “ante legem”, simboleggiata dagli
"ignudi", ricordando i neofiti che si spogliano per ricevere il battesimo. In questo senso il
muretto sarebbe il confine tra presente e passato, con il Battista che vi si trova molto
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vicino in quanto "Precursore", cioè la figura più immediatamente anticipatoria di Gesù,
alla soglia della nuova era. Maria e Giuseppe sarebbero emblemi dell'umanità “sub
lege”, Gesù dell'umanità “sub Gratia”.
La Madonna ha un libro appoggiato sulle ginocchia e, in quanto personificazione della
Chiesa, simboleggia l'attività teologica e divulgativa dei contenuti dottrinari.
Un curioso aneddoto è legato alla storia del Tondo Doni. Infatti, quando Michelangelo lo
terminò, lo fece portare da un suo apprendista ad Agnolo Doni, il quale riuscì a
strappare al giovane ragazzo un prezzo minore di quello pattuito. Quando l’artista se
ne accorse, andò su tutte le furie, e si fece riportare il dipinto. Così, messer Doni andò
a parlarci, e il furbo artista gli disse che se voleva il quadro, doveva pagarlo al doppio
del prezzo, e così avvenne.
Nella primavera del 1508, Michelangelo accetta l’incarico di dipingere la volta
della Cappella Sistina; accetta controvoglia, afferma di non essere un pittore e teme di
allontanarsi troppo dal progetto in corso, quello della tomba di papa Giulio. Ad essa
lavorò fino al 1512.
La cappella era stata costruita dallo zio di Giulio II, Sisto IV, intorno al 1475; il
programma iconografico insiste sulla superiorità della religione cristiana su quella
ebraica, di Cristo su Mosè, del Nuovo Testamento sull’Antico.
GLI AFFRESCHI MICHELANGIOLESCHI DELLA
CAPPELLA SISTINA
Michelangelo decorò tutto il registro superiore delle pareti della cappella Sistina con
sedici lunette, di cui due distrutte per far spazio al Giudizio Universale nel 1537-1541,
che incorniciano gli archi delle finestre e che si trovano sopra la serie dei ritratti dei
primi pontefici entro nicchie.
Per quanto riguarda la volta vera e propria essa è composta innanzitutto da
otto vele sopra le lunette dei lati maggiori e quattro pennacchi, agli angoli, sulle lunette
dei lati minori e su quelle d'estremità nei lati maggiori.
Ai lati delle vele si trovano i troni dei Veggenti, Profeti e Sibille, entro una finta
impaginazione architettonica, in cui sono presenti anche coppie di Nudi bronzei.
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La fascia centrale della volta è riempita infine con nove Storie della Genesi, inquadrate
dalla continuazione delle membrature architettoniche ai lati di troni, sulle quali sono
seduti giovani "ignudi”. I diversi elementi sono incessantemente concatenati entro un
partito architettonico complesso, che rivela le indubbie capacità di Michelangelo anche
in campo architettonico, destinate a rivelarsi pienamente negli ultimi decenni della sua
attività.
Volta della Cappella Sistina, 1508-1512. Affresco, 13x36 m. Città del Vaticano
È stato notato che se l'architettura della volta fosse realmente costruita, essa sarebbe
enormemente sporgente e incombente, soprattutto se paragonata all'ornamentazione
quattrocentesca sottostante, che invece è tutta tesa a sfondare la parete verso
l'esterno. L'enorme costruzione michelangiolesca ottiene così l'effetto di un titanico
peso, caricato però sulle esili paraste dipinte dei registri sottostanti, che grava addosso
allo spettatore minacciando di precipitare, all'insegna di una rappresentazione pittorica
tesa e totale, in cui si ha la sensazione inconscia di pericolo per l'entità sovrumana degli
sforzi in atto.
Di grande utilità, per la nitida lettura di ogni elemento, fu il ricorso a una tavolozza
brillante, ricchi di cangianti che facilitano la distinzione, anche a grande distanza, di
ogni particolare
Il tema generale degli affreschi della volta è il mistero della Creazione di Dio, che
raggiunge il culmine nella realizzazione dell'uomo a sua immagine e somiglianza. Con
l'incarnazione di Cristo, oltre a riscattare l'umanità dal peccato originale, si raggiunge il
perfetto e ultimo compimento della creazione divina, innalzando l'uomo ancora di più
verso Dio. In questo senso appare più chiara la celebrazione che fa Michelangelo della
bellezza del corpo umano nudo.
Inoltre la volta celebra la concordanza fra Antico e Nuovo Testamento, dove il primo
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prefigura il secondo, e la previsione della venuta di Cristo in ambito ebraico con i profeti
e pagano con le sibille.
Michelangelo, dipingendo le storie della Genesi, invertì l'ordine cronologico degli eventi:
iniziò con l'ebbrezza di Noè per arrivare alla rappresentazione dell'Essere Supremo.
Il più celebre di questo ciclo di affreschi è sicuramente la creazione di Adamo. Su uno
sfondo naturale spoglio e poco caratterizzato, simboleggiante l'alba del mondo, sta
semidistesa la figura giovane e atletica di Adamo, che da un pendio erboso, quasi sul
ciglio di un abisso, fa per sollevarsi da terra, tendendo un braccio verso l'Eterno, che si
avvicina in volo entro un nimbo angelico.
Dio, con la veste purpurea, è circondato da un gruppo d'angeli. Il gruppo divino è
inserito in un grande manto violetto, gonfio di vento, che abbraccia l'Eterno e gli angeli
con una curva dinamica, che ricorda una conchiglia.
Straordinaria è l'invenzione degli indici alzati delle braccia protese, un attimo prima di
entrare in contatto, come efficacissima metafora della scintilla vitale che passa dal
Creatore alla creatura forgiata, di straordinaria bellezza che riflette la perfezione e la
potenza divina, ridestandola.
Il momento così immortalato acquista un valore eterno e universale, sospeso in un
trepidante avvicinamento che non avviene, ma è già perfettamente intellegibile. Alcuni
pensano che il contatto che non avviene tra le due dita sia voluto, per sottolineare
l'irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell'uomo.
Morto il pontefice Giulio II, Michelangelo costruì un sepolcro monumentale con
un’imponente statua di Mosè. Il nuovo Papa Leone X inviò Michelangelo a Firenze per
completare la facciata di San Lorenzo e per la costruzione della Sagrestia Nuova, della
Biblioteca e delle Tombe dei Medici, per le quali eseguì le sculture del Giorno e
della Notte.
Nel 1534 si stabilì definitivamente a Roma accettando l'incarico di dipingere il Giudizio
Universale nella parete di fondo della cappella Sistina.
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IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Il Giudizio Universale è un affresco (13,7x12,2 m) di Michelangelo Buonarroti, realizzato
tra il 1536 e il 1541 per decorare la parete dietro l'altare della Cappella Sistina.
Si tratta di una delle più grandiose rappresentazioni della parusia, ovvero dell'evento
dell'ultima venuta alla fine dei tempi del Cristo per inaugurare il Regno di Dio, nonché di
un capolavoro dell'arte occidentale in generale, amato e celebrato in tutto il mondo.
Nella rappresentazione si
possono vedere: In alto,
nelle lunette gli angeli
con
i
simboli
della
passione, sotto a questi,
le schiere
dei
santi
e
beati, con al centro Cristo
giudice
e
la
Madonna;
ancora sotto, nella zona
centrale,
gli angeli
al
centro,
tubicini
che
annunciano il Giudizio, a
sinistra
gli eletti che
volano in Paradiso e a
destra
i dannati che
cadono nell'inferno.
Giudizio Universale, 1536-1541. Affresco, 13,70x12,20 m. Città del Vaticano,
Cappella Sistina.
In basso a sinistra è rappresentata la Resurrezione della carne e a destra Caronte che
raccoglie i dannati sulla barca.
Il Giudizio di Michelangelo ha suscitato molte polemiche quando è stato scoperto, nel
1541, per diversi motivi. Innanzitutto per l'interpretazione troppo libera, non ha
rispettato le regole della prospettiva tradizionale, perché ogni figura ha una sua
"prospettiva personale”; poiché manca un'armonia spaziale complessiva: ci sono
contrapposizioni di gruppi isolati di figure, con arretramenti e avanzamenti, per i cambi
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di dimensioni: per esempio Cristo giudice gigantesco rispetto alle figure più basse che
dovrebbero essere più vicine a noi e apparire più grandi.
Insomma, si è rimproverata a Michelangelo proprio la sua enorme potenza creativa, la
sua
capacità
eccezionale
di
superare
i
tradizionali
canoni
rappresentativi.
A questo si aggiunge lo scandalo per l'esibizione del nudo. Quest'ultimo motivo di critica
e di incomprensione, ha portato alla copertura delle figure con i panneggi eseguiti da
Daniele da Volterra che proprio per questo viene ricordato con l’epiteto di
“braghettone”.
Cristo giudice, gigantesco, atletico, al centro, in una nuvola luminosa, è l'immagine della
giustizia divina, superiore ed estranea a quella umana.
Forma il centro di un immenso vortice, come una centrifuga, intorno al quale ruota tutto
l'insieme di queste masse umane, che si muovono a grappoli, a gorghi.
Compie questo gesto fatale che dà l'avvio al movimento di rotazione, indicato dalla
salita faticosa degli eletti e dalla caduta frenata dei dannati. E' una circolazione lenta,
ma inesorabile e continua.
Le figure hanno perso la bellezza fisica di quelle della volta, affrescata dallo stesso
Michelangelo
più
di
vent'anni
prima,
perchè
esprimono
la condizione
tragica
dell'esistenza umana. L'umanità che risorge, in basso a sinistra, ha un aspetto pauroso: i
morti escono dalle tombe ancora scheletri e si incarnano via via, rappresentati con corpi
pesanti e goffi, effetti macabri e impastati nel fango. Il ritorno alla vita è visto in modo
tutt'altro che trionfale, ma come una riconquista faticosa e difficile.
I dannati sono personaggi disperati e terrorizzati, che si agitano inutilmente, tentano di
salire al cielo e vengono fatti precipitare o trascinati via malamente, sia dagli angeli che
dai demoni.
I santi sono figure atletiche ed eroiche, si veda per esempio il san Sebastiano, ma hanno
espressioni spaventate e sconvolte. Davanti all'evento terribile hanno gesti di sconcerto,
di stupore.
L'unica figura impassibile è quella di Cristo giudice.
Dopo la morte di Bramante vari architetti si susseguirono per portare a termine il
progetto per la fabbrica di San Pietro e nel 1547 Paolo III affidò i lavori a Michelangelo
che intervenne nella zona absidale, ma i lavori vennero conclusi solo dopo la sua morte
con la costruzione della cupola che lui aveva progettato, ma che probabilmente fu
modificata.
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Con il trasferimento sul Campidoglio della statua equestre di Marc'Aurelio, simbolo
dell'autorità imperiale e per estensione della continuità tra la Roma imperiale e quella
papale, il papa incaricò Michelangelo, nel 1538, di studiare la ristrutturazione
della piazza, centro dell'amministrazione civile romana fin dal Medioevo e in stato di
degrado.
PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO
Michelangelo Buonarroti riprogettò completamente la piazza, disegnandola in tutti i
particolari e facendola volgere non più verso il Foro Romano ma verso la Basilica di San
Pietro, che rappresentava il nuovo centro politico della città.
Roma, Piazza del Campidoglio. Veduta aerea
Si racconta che la risistemazione della piazza gli fu commissionata dall'allora papa Paolo
III, il quale si era vergognato dello stato in cui versava il celebre colle, infatti già
dal Medioevo il luogo era in un tale stato di abbandono da essere chiamato anche "colle
caprino", in quanto era utilizzato per il pascolo delle capre dopo il percorso trionfale
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organizzato a Roma in onore di Carlo V nel 1536.
Michelangelo conservò l'orientamento obliquo delle preesistenze, ottenendo uno spazio
aperto a pianta leggermente trapezoidale, sulla quale allineò le nuove facciate, al fine
di espandere la prospettiva verso il fuoco visivo costituito dal Palazzo Senatorio.
Allo scopo pensò di costruire un nuovo palazzo, detto per questo Palazzo Nuovo, per
chiudere la prospettiva verso la Chiesa di Santa Maria in Aracoeli eliminando lo sterrato
esistente; ridisegnò il Palazzo dei Conservatori eliminando tutte le strutture precedenti
e armonizzandolo con il Palazzo Senatorio, a cui aggiunse una doppia scalinata che
serviva per accedere al nuovo ingresso, non più rivolto verso i fori ma verso la piazza; il
Buonarroti progettò anche la scalinata della Cordonata e la balaustra da cui ci si affaccia
alla sottostante piazza.
La statua equestre di Marco Aurelio in bronzo dorato, precedentemente situata in piazza
San Giovanni venne posizionata al centro da Michelangelo, a cui Paolo III aveva
commissionato di studiarne la precisa collocazione; la statua originale, dopo lungo
restauro che ha anche riportato alla luce delle tracce di doratura, è oggi conservata
nei Musei Capitolini, mentre sulla piazza è stata messa una sua copia.
I lavori andarono così a rilento che Michelangelo poté vedere il compimento solo della
doppia scalinata che serviva per il nuovo accesso al Palazzo Senatorio, con il
posizionamento delle due statue raffiguranti il “Nilo” e il “Tevere”. La facciata e la
sommità della torre erano ancora incompleti, mentre il Palazzo Nuovo non era neanche
stato iniziato.
Era diventato ossessionato nel lavoro, anche quando ormai non aveva rivali, ed era
conosciuto e stimato da tutti. Andava a scegliere lui personalmente i materiali nelle
cave. Si occupava del loro trasporto, a Firenze o a Roma, e ciò gli portava via molto
tempo prezioso, che poteva usare per creare con il suo genio. Nessuno però poteva
fargli notare queste sue manie, che iniziava a gridare che tutti lo tradivano, e che non
si poteva fidare di nessuno. Le immani fatiche lo portarono molte volte ad ammalarsi,
ma lui non voleva mai sentire parlare di medici e dottori. Strillava che si poteva guarire
da solo, senza l'aiuto di nessuno.
L'ultima delle sue opere è la Pietà Rondanini che non riuscì a completare, oggi si trova
al Castello Sforzesco di Milano.
Michelangelo Buonarroti morì il 18 febbraio del 1564 a Roma nella sua casa presso il
Foro di Traiano.
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LA PIETÁ RONDANINI
La Pietà Rondanini è una scultura marmorea alta 195 cm di Michelangelo Buonarroti,
scolpita nel 1552-1553 e rilavorata dal 1555 circa al 1564; oggi è conservata nel Castello
Sforzesco a Milano. Si tratta dell'ultima opera dell'autore che secondo le fonti vi lavorò
fino a pochi giorni prima di morire.
La nuova composizione in verticale fu altamente innovativa e dimostrò le capacità
inventive dell'artista ormai ottantenne.
Nel gruppo si alternano parti condotte a termine,
riferibili alla prima stesura, e parti non finite,
legate ai ripensamenti della seconda versione mai
compiuta. Le parti condotte a termine sono un
braccio destro di Cristo, staccato dal resto del
corpo e rotto a un'altezza poco sopra il gomito, le
gambe del Redentore e tracce di un diverso
orientamento del volto della Vergine. Le parti
relative alla nuova elaborazione sono invece il
nuovo volto e il corpo della Vergine, il torso
magrissimo e la testa di Cristo.
Tutta l'attenzione dell'artista è concentrata sul
rapporto tra madre e figlio morto.
Il torso del Salvatore, leggermente piegato in
Pietà Rondanini, 1552-1564. Marmo, altezza 195
avanti, è schiacciato contro il corpo della Vergine
cm. Milano, Castello Sforzesco
quasi a formare un toccante tutt'uno, con una grande tensione emotiva. Maria infatti
non sembra più reggere il figlio, ma i due sembrano piuttosto unirsi in un abbraccio che
comunque non riesce a trattenere il corpo di Cristo, il quale sembra scivolare via
inerme, come rivela la progressiva e inevitabile piega delle gambe. La stessa Maria
mostra una figura aerea e senza peso, che non si sforza di trattenere il corpo del figlio.
Se guardata di lato, la statua appare curva in avanti; questa curvatura dà un senso di
slancio verso l'alto come forse è dato intendere da un episodio come la morte di Cristo
prossimo alla Resurrezione.
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BIBLIOGRAFIA
• Itinerario dell’arte, di G. Cricco e F. di Teodoro – Zanichelli
• Dal Quattrocento all’Impressionismo, di G. Dorfles – Atlas
• Michelangelo pittore, di C. Luchinat – 24 ore cultura
• www.wikipedia.it
• www.storiadellarte.com
• www.michelangelo.it
• www.stilearte.it
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