compiti e obiettivi della mediazione familiare

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compiti e obiettivi della mediazione familiare
COMPITI E OBIETTIVI DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE:
facilitare il raggiungimento di un accordo o favorire un processo di crescita?
di Laura Innocenti Torelli
1. Finalità della mediazione e obiettivi del mediatore familiare
La mediazione è un intervento che permette di trattare i conflitti, è una sorta di negoziato tra le
parti in lite assistito da un terzo che cerca di trovare strategie per facilitare il raggiungimento di un
accordo. Si parla di giustizia informale perché non sottostà a quelle formalità e a quei vincoli tipici
delle procedure giudiziarie e di giustizia alternativa per sottolineare la diversità della logica
sottostante a tale trattamento dei conflitti rispetto alle decisioni giudiziarie.
Ci sono molte definizioni di “mediazione”, ma per la maggior parte di esse il compito specifico del
mediatore è quello di fornire una cornice strutturata che permetta alle parti di raggiungere una
decisione circa il conflitto che le divide. È dunque del mediatore la responsabilità di definire le
strategie per giungere alla soluzione del problema e quindi lo svolgimento del processo di
negoziazione, ma sono le parti che devono trovare la soluzione del problema e precisare il
contenuto dell’accordo.
Ciò che caratterizza la mediazione, rendendola alternativa rispetto alla decisione giudiziaria, è il
fatto che le parti mantengono il controllo sugli accordi; infatti il mediatore si limita a creare le
condizioni perché le parti possano, esse stesse, prendere una decisione, consentendo così ai
configgenti di riappropriarsi della capacità di gestire i conflitti.
A differenza della decisione giudiziaria, con la quale si decide chi ha ragione e chi ha torto, la
mediazione dovrebbe permettere di individuare una soluzione che soddisfi in parte le richieste di
entrambe le parti in conflitto, consentendo a ciascuno di vincere e perdere qualcosa allo stesso
tempo.
Ma affinché si riattivi la comunicazione e si giunga ad un accordo, è fondamentale ricostruire
l’identità delle parti in conflitto; la mediazione è dunque un processo durante il quale le parti
arrivano a stabilire una nuova modalità relazionale, a ridefinire la relazione stessa sulla base di una
diversa definizione dei reciproci ruoli.
Secondo Castelli “la mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono
liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderati di un grave
conflitto”1, quindi la principale finalità della mediazione è la gestione del conflitto che, attraverso il
processo di mediazione, dovrebbe evolvere permettendo la trasformazione della relazione tra le
parti.
Il mediatore viene perciò definito un esperto del processo di soluzione dei conflitti e una figura
neutrale, cioè imparziale e non giudicante, il che permette di aiutare le parti a raggiungere i loro
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Castelli 1996, pag. 5
obiettivi in piena libertà decisionale. Infatti, mentre le parti vedono soltanto il proprio punto di
vista, il mediatore – grazie alla sua posizione di terzietà – è in grado di cogliere sia le differenze
che gli aspetti comuni ai soggetti in conflitto e di preparare il terreno sulla base del quale far
ripartire la comunicazione.
Il mediatore familiare si occupa di quella forma di mediazione che si applica nelle situazioni di
separazione e divorzio, qualora sorgano conflitti tra i coniugi. Egli non ha l’obiettivo di trovare un
accordo tra le parti al fine di evitare la separazione o il divorzio, ma quello di ridurre al minimo gli
effetti negativi del conflitto, di ristabilire la comunicazione fra i coniugi e di favorire la
riorganizzazione delle relazioni tra le parti in modo da tenere in considerazione i bisogni di ogni
membro della famiglia, a partire da quelli dei figli. Infatti la mediazione familiare, oltre a favorire
l’accordo fra le parti, deve promuovere decisioni che siano nell’interesse dei minori e che
favoriscano una responsabilità genitoriale condivisa.
De Bernart sostiene che la finalità del mediatore è quella di sfruttare le potenzialità del conflitto
per portare il sistema familiare ad un diverso stato di equilibrio, per cui l’obiettivo non è tanto
risolvere il conflitto, quanto impedire che esso pregiudichi il mantenimento della responsabilità
genitoriale.
La mediazione familiare si pone l’obiettivo di favorire il mantenimento della comunicazione e di un
rapporto collaborativo tra i genitori dopo la separazione e il divorzio, tenendo sempre ben separati
il livello della relazione tra i coniugi dal livello della relazione genitoriale: se il divorzio pone fine ai
rapporti di coppia non può porre fine alla genitorialità, la quale permane nonostante il conflitto di
coppia.
La peculiarità degli accordi presi con l’aiuto di un mediatore familiare risiede nella possibilità di
prestare attenzione agli aspetti psicologici ed emotivi del conflitto, il che facilita l’individuazione di
soluzioni a livello pratico e l’organizzazione della vita quotidiana. Inoltre la mediazione familiare, a
differenza degli interventi in ambito giudiziario, prevedendo la responsabilità diretta delle parti
nella definizione degli accordi, favorisce una migliore accettazione, e quindi un maggior rispetto,
degli accordi stessi rispetto a quelli “imposti” dal giudice; la mediazione familiare infatti è uno
strumento che favorisce la riappropriazione della capacità di decisione in una situazione di crisi in
cui normalmente gli individui sperimentano un senso di impotenza che li mette nella condizione di
abdicare dal loro ruolo.
Riassumendo, il mediatore familiare si occupa di favorire accordi su questioni concrete tenendo
conto dei bisogni delle parti in conflitto e degli eventuali figli, dando per scontata la capacità delle
parti di prendere decisioni sulle questioni che le riguardano; la sua attenzione non è rivolta al
passato ma è orientata al futuro, cioè alle intenzioni espresse dalle parti su come organizzare le
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loro relazioni circa le questioni che continueranno a riguardarli nonostante la separazione o il
divorzio.
2. Come ottenere la collaborazione degli ex partner nell’ottica della situazione di
diritto e della cogenitorialità
È opinione condivisa che la cogenitorialità rappresenta la condizione ideale per garantire il
benessere dei minori. Ma la collaborazione e l’accordo tra gli ex coniugi dovrebbe essere
spontanea ed amichevole ed è per questo che dovrebbero essere visti con favore gli spazi
extragiudiziali in cui possono essere messe in atto strategie volte a ridurre la conflittualità e a
sostenere il processo di negoziazione, spazi come quello della mediazione familiare.
Nell’ottica del diritto del minore a ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi i genitori e a
mantenere rapporti continuativi e significativi con ciascun genitore e con gli ascendenti di entrambi
gli ambiti parentali, occorre considerare l’affidamento condiviso come il più adatto alle esigenze dei
figli. Infatti, l’affidamento condiviso si fonda sul presupposto che con la separazione coniugale non
viene meno la coppia genitoriale; entrambi i genitori continuano a mantenere eguali diritti e doveri
nei confronti dei figli, nonché la facoltà di poterli esercitare. In sostanza, entrambi i genitori
mantengono la titolarità e l’esercizio della potestà anche dopo la separazione e il divorzio.
Nella nuova normativa – Legge 8 febbraio 2006, n° 54 “Disposizioni in materia di separazione dei
genitori e affidamento condiviso dei figli” – in cui si modifica l’art. 155 del codice civile, si stabilisce
a grandi linee che:
•
i figli di regola sono affidati ad entrambi i genitori;
•
i figli hanno diritto a mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambi gli ambiti
parentali;
•
per quanto riguarda la frequentazione, è riconosciuta una flessibilità all’interno di regole
precise e tenendo conto delle esigenze dei figli, ma comunque entrambi i genitori hanno
l’obbligo di presenza e partecipazione;
•
per quanto riguarda l’abitazione, il giudice stabilisce i tempi di permanenza dei figli presso
ciascun genitore, tenendo conto delle esigenze dei figli;
•
la casa è assegnata in funzione dei vantaggi dei figli;
•
la potestà è esercitata da entrambi i genitori;
•
ciascun genitore deve prendersi cura dei figli e deve provvedere a mantenerli in misura
proporzionale al reddito;
•
i figli maggiorenni sono titolari dell’eventuale assegno perequativo destinato al loro
mantenimento.
In tale normativa si ravvisa il tentativo di superare alcuni tra i conflitti più frequenti tra ex coniugi
(come la questione del pagamento dell’assegno di mantenimento ai figli e l’assegnazione della casa
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familiare). Così facendo però si rimanda all’accordo fra i genitori alcune delle decisioni più
importanti, senza dare dei criteri di riferimento per guidare le scelte delle parti, anche se tra i
poteri del giudice vi è quello di sospendere l’adozione dei provvedimenti per consentire lo svolgersi
di una mediazione familiare con l’obiettivo di raggiungere un accordo nell’interesse dei figli.
Lo spirito di cui la nuova legge è sintesi, è che il diritto del minore alla relazione con entrambi i
genitori è preminente e prioritario rispetto alle esigenze dei genitori; questo fa sì che i genitori
abbiano doveri precisi nei confronti dei figli, di cui il primo è senz’altro quello di raggiungere un
accordo. In questo senso la diffusione di forme di intervento che, come la mediazione familiare,
cercano di favorire l’accordo delle parti, appare fondamentale e quindi da promuovere. Infatti la
mediazione familiare, come già detto sopra, è un intervento in cui un terzo “neutrale” aiuta una
coppia che si sta separando a costruire i propri accordi ristabilendo un canale comunicativo volto a
riorganizzare le relazioni familiari.
Tale percorso, quindi, rappresenta una valida alternativa alla via giudiziaria perché può fornire un
efficace supporto, tanto più “se precede l’accesso ai canali giudiziari e l’accendersi di un
contenzioso che, inevitabilmente, inasprisce i rapporti e scava all’interno della coppia un solco che
è più difficile superare”.
Ciononostante alla mediazione familiare, come si è visto sopra, è stato riconosciuto solo un ruolo
molto marginale nel nuovo testo di legge (art. 155 sexies), in quanto non è stato ritenuto corretto
rendere obbligatorio tale percorso, né una informazione preventiva sull’esistenza di una tale
opportunità.
Si può comunque concludere che se la legge non promuove il ricorso alla mediazione familiare,
spetta ai mediatori stessi farsi promotori di questo intervento, facendosi conoscere ed invitando le
coppie in via di separazione a tentare questo processo, possibilmente prima di andare
dall’avvocato e/o dal giudice. Non c’è dubbio, infatti, che quando vi è difficoltà a dialogare, quando
le persone non riescono da sole a trovare le risorse per uscire dall’impasse in cui si vengono a
trovare nel momento della separazione, la mediazione familiare risulta un tentativo doveroso, se
non la soluzione a questo tipo di problemi.
3. Come aiutare gli ex partner a riconoscere la propria identità personale e genitoriale.
I mediatori familiari si fanno portatori di una nuova logica nella gestione del conflitto tra coniugi in
corso di separazione, logica che si connota come alternativa a quella antagonista (portata avanti
dagli operatori del diritto) e che trasferisce la responsabilità decisionale alle parti. In questa logica
non vi è un vincente e un perdente, ma si cerca di far vincere il più possibile entrambi, con il
risultato di avere due “mezze vittorie” e due “mezze sconfitte”. Si tratta dunque di una logica del
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compromesso e della conciliazione, in cui il mediatore agisce nell’interesse dell’intero nucleo
familiare.
In mediazione gli individui sono considerati soggetti che ricoprono un preciso ruolo all’interno della
famiglia e l’oggetto di attenzione dei mediatori familiari non sono i diritti soggettivi, ma i bisogni di
tutti i componenti della famiglia.
Essendo compito del mediatore aiutare le parti a prendere le decisioni, egli non dà consigli né
esprime opinioni personali, ma fa in modo di promuovere la responsabilità dei genitori
nell’assunzione delle decisioni. Si può pertanto dire che la mediazione familiare è un intervento
orientato all’“empowerment”, cioè al potenziamento delle capacità individuali, al fine di affrontare
con maggiore efficacia le situazioni problematiche. Infatti, con la mediazione familiare i genitori si
riappropriano della loro genitorialità e della loro capacità di scelta, riuscendo a prendere decisioni
per i propri figli senza farsi imporre le condizioni dall’alto (ovvero dal giudice).
Inoltre, stimolare la riflessione e la comunicazione aiuta a costruire nuove modalità relazionali e
questo è un prerequisito fondamentale per definire accordi che abbiano la possibilità di essere
attuati e di durare nel tempo.
Questo non significa che il mediatore debba individuare le ragioni del conflitto e/o interpretare la
situazione familiare (compito questo di un terapeuta): il suo compito è quello di lavorare per
definire un accordo, utilizzando le interpretazioni fornite dalle parti stesse. Il mediatore lavora sulle
interpretazioni che vengono dai genitori per far sì che essi valutino insieme quello che è successo e
trovino la loro soluzione.
Obiettivo principale della mediazione è, pertanto, far sì che le parti imparino a gestire
autonomamente il conflitto, individuando spazi di accordo anche in situazioni di forte
contrapposizione; ma questi spazi comuni si possono trovare solo se si riesce a gestire gli aspetti
emotivi del conflitto, come i sentimenti di rabbia, delusione, senso di ingiustizia, desiderio di rivalsa
che contribuiscono ad accentuare e “cronicizzare” i conflitti tipici della separazione. Solo così gli ex
coniugi possono arrivare a riconoscere che è comunque possibile trovare soluzioni che tutelino i
figli e siano plausibili nonostante la dolorosità dell’evento.
Il benessere dei figli rappresenta la primaria finalità dell’intervento di mediazione.
Si è visto che le caratteristiche dell’intervento di mediazione riguardano la possibilità di aiutare le
parti a raggiungere un accordo in modo tale da poter mantenere la responsabilità sulle decisioni
prese e da promuovere una logica di conciliazione degli interessi.
Nel perseguire queste finalità generali, però, i mediatori familiari possono privilegiare il
raggiungimento di accordi che soddisfino più o meno tutti i componenti della famiglia (mediatori
orientati all’accordo)
oppure prediligere
una
promozione
del cambiamento che
investa
principalmente la percezione del ruolo genitoriale (mediatori orientati alla genitorialità); in questo
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caso, si ha la necessità di promuovere un certo modo di percepirsi e di comportarsi come genitori
separati. La differenza tra i due approcci sta nel fatto che nel primo caso il mediatore è impegnato
a promuovere il modo più efficiente e “rapido” di risolvere i conflitti, mentre nel secondo caso è
impegnato a favorire una soluzione dei conflitti a partire da una ridefinizione dei rapporti tra gli ex
coniugi.
Infatti in mediazione, nel definire gli accordi, è possibile anche lasciare spazio a considerazioni
legate agli aspetti emotivi e relazionali del conflitto: la mediazione può offrire la possibilità di
riflettere sui cambiamenti che la separazione coniugale porterà nelle vite degli ex coniugi e in
quelle dei loro figli.
La coppia che si sta separando ha la necessità di fare un lavoro sulla rappresentazione della
relazione con i figli, di esplicitare i ruoli di padre e madre, di comunicarsi di cosa è fatta la
quotidianità dei figli; questo può far riaccendere i conflitti se non si sono fatti gli adattamenti
giusti, cioè se i genitori non si sono spostati dal lavoro sul conflitto di coppia al lavoro sulla
costruzione della genitorialità: conflitto di coppia e genitorialità possono coesistere, ma necessitano
di un lavoro di rielaborazione delle relazioni o, per meglio dire, di trovare nuove modalità
relazionali tra genitori e figli e tra ex partner.
Infatti, secondo questo “modello”, tra le finalità della mediazione vi è anche il sostegno psicologico
nella fase di ridefinizione delle identità individuali conseguenti alla separazione. In questa ottica,
anche gli accordi sono nuove organizzazioni di vita da sperimentare, ed è qui che il mediatore può
fare molto, nell’aiutare le parti a riorganizzare la propria vita e a gestire tutti i cambiamenti che gli
ex coniugi devono affrontare. Quindi la mediazione è ritenuta molto importante indipendentemente
dal raggiungimento di un accordo finale: quel che più conta è fare un lavoro utile, evitando che il
conflitto aumenti, dare un sostegno psicologico alla crisi di identità che gli ex coniugi
inevitabilmente attraversano durante la separazione, crisi che porta con sé dubbi sul proprio
valore, sulle proprie capacità, sull’immagine di sé. È fondamentale aiutare le persone che si stanno
separando a capire che è il matrimonio quello che sta fallendo, non la persona e che la persona
può ancora costruire qualcosa.
La mediazione familiare può, inoltre, offrire un sostegno riguardo alle competenze genitoriali,
infatti coloro che sino ad ora sono stati in grado di prendere decisioni per i propri figli possono
trovarsi, a causa della sofferenza generata dalla separazione, in una tale vulnerabilità da essere
momentaneamente non più in grado di considerare in maniera adeguata le esigenze dei figli,
perché il loro dolore è tale da non riuscire a distogliere l’attenzione da sé. Così il mediatore può
aiutare i genitori a rifocalizzare il proprio sguardo sui figli, a prendere decisioni che abbiano come
punto di riferimento i bisogni dei figli, a costruire nella separazione una modalità diversa, ma
comunque efficace, di stare con i propri figli, cioè a definire modalità relazionali tra genitori e figli
che siano in grado di garantire il benessere di questi ultimi.
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Grazie all’intervento di mediazione i genitori possono comprendere e sperimentare che il loro
legame come genitori dura tutta la vita, anche quando la relazione coniugale finisce; i genitori
devono essere messi in grado di recuperare una responsabilità genitoriale (spesso tolta dalla
separazione) tale da permettere loro di assumere decisioni concordate.
La mediazione familiare deve, dunque, favorire la cogenitorialità (o genitorialità condivisa)
fornendo sia un sostegno psicologico temporaneo, sia un percorso di acquisizione di nuove
modalità relazionali.
CONCLUSIONI
La mediazione familiare può essere considerata, quindi, un intervento che accompagna coloro che
si trovano nella condizione di dover chiarire le proprie relazioni affettive, di dover prendere
decisioni e di dover affermare le proprie esigenze, quando le risorse personali non sono sufficienti.
Io ritengo, con Cigoli, che sia molto importante dare spazio alla dimensione emotivo-affettiva
legata agli aspetti pratici che ci vengono portati in mediazione; il momento della mediazione,
infatti, è una sorta di passaggio tra due organizzazioni intrapsichiche – quella prima e quella dopo
la separazione – e quindi funge da spazio transizionale in cui i due partner possono circoscrivere le
proprie angosce e trovare la capacità di affrontare la situazione di disordine in cui si trovano.
Il divorzio è un passaggio complesso che mette a repentaglio l’organizzazione intrapsichica dei
soggetti che lo “subiscono” e la mediazione familiare può accompagnare tale periodo critico,
prevenendo il disagio degli adulti coinvolti nonché dei figli. La coppia, infatti, si trova
improvvisamente e forzatamente costretta a rivedere ciò che ha ricevuto dal legame e ciò che gli è
mancato, e ad affrontare il dolore della separazione e l’elaborazione del lutto legato alla perdita e
alla sconfitta. È per questo che le persone che si stanno separando ricercano il legame affettivo
con le cose (i beni materiali, ma a volte anche i figli) come un rimedio al senso di perdita: in
questa situazione qualunque oggetto può rappresentare un punto di riferimento importante ed
essere investito di significati personali e relazionali.
Il “divorzio psichico” non è un percorso individuale, ma un lavoro di coppia che consiste nel cercare
di separare la funzione genitoriale da quella coniugale, impresa non facile se si pensa che
solitamente le persone affidano al legame coniugale importanti parti di sé da proteggere o sanare.
La mediazione, quindi, si pone come una risorsa nella transizione della famiglia da una condizIone
a un’altra, transizione che difficilmente avviene se accanto ai bisogni, alle paure e ai desideri
esplicitati dai soggetti che si stanno separando non emergono anche i sentimenti sottostanti di
delusione, rabbia, tradimento e vendetta. Per facilitare questo passaggio, occorre che il mediatore
accompagni la coppia e la aiuti a recuperare una fiducia nel legame che permetta di trovare
soluzioni soddisfacenti per i figli. Infatti per poter raggiungere degli accordi che siano rispettati nel
tempo, occorre che i due partner sentano che il legame della coppia genitoriale non si è
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frantumato, ma continua ad esistere (anche se con obiettivi diversi) ed è affidabile nonostante la
frattura coniugale. Se non si arriva a padroneggiare i sentimenti provati e ad affrontare le proprie
paure, il contenuto dell’accordo rischia di non essere attuato.
Per me, dunque, la mediazione familiare è una modalità alternativa di affrontare i conflitti che si
basa sulla responsabilizzazione della coppia, con l’obiettivo di accompagnarla anche in un processo
di crescita personale e relazionale: si cerca di imparare, dall’esperienza fatta, un modo diverso di
relazionarsi all’altro ed una nuova modalità di affrontare i momenti di “crisi”.
***
BIBLIOGRAFIA
Cigoli V., Psicologia della separazione e del divorzio, Società editrice Il Mulino, 1998 Bologna
Haynes J.M. – Buzzi I., Introduzione alla mediazione familiare, Giuffrè Editore, 1996 Milano
Mazzei D., La mediazione familiare, Raffaello Cortina Editore, 2002 Milano
Maglietta M., L’affidamento condiviso dei figli, Franco Angeli, 2006 Milano
Quadrelli I., Mediare conflitti ricostruire relazioni, Donzelli Editore, 2005 Roma
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