Afanasev - Vassilissa la bella - analisi

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Afanasev - Vassilissa la bella - analisi
Aleksandr Nikolaevic Afanas'ev
Vassilissa la bella - analisi
IC 16 Verona
Vassilissa la bella
Aleksandr Nikolaevic Afanas'ev
(da Antiche fiabe russe, Vasilisa prekrasnaja)
Commento
Nella fiaba "Vassilissa la bella", raccolta da A. N. Afanas'ev, il padre mercante, rimasto vedovo, si
risposa con una vedova, avente già due figlie, per trovare una madre alla sua unica figlia di otto
anni, Vassilissa.
Siccome era bellissima, suscitava molta invidia da parte delle altre due sorellastre, e la matrigna, più
il tempo passava e più l'angariava con mille faccende domestiche, per farla abbruttire velocemente,
volendo far sposare prima le sue due figliole, che però venivano snobbate dai vari pretendenti.
Tuttavia Vassilissa eseguiva senza alcuno sforzo tutte le mansioni, perché la propria madre, sul letto
di morte, le aveva donato una bambolina magica, da nutrire in caso di gravi difficoltà: in tal modo
era la bambola stessa che, dopo aver mangiato, eseguiva tutti i lavori.
Vedendo che non riuscivano nei loro intenti, la madre, d'accordo con le figlie, obbliga Vassilissa a
recarsi nel bosco per trovare il fuoco con cui poter lavorare quand'era buio.
Nel bosco viveva la strega cattiva, detta "baba-jaga", che - secondo loro - avrebbe dovuto uccidere
Vassilissa, in quanto "mangiatrice di esseri umani".
In effetti, all'inizio la strega tratta la fanciulla come una serva, senza riuscire a capacitarsi nel
vederla eseguire perfettamente tutte le mansioni richieste. Quando le chiede il segreto di questa
bravura, Vassilissa, invece di dire che il merito stava nella sua bambolina, rivela alla strega ch'era
stata "benedetta" da sua madre poco prima ch'essa morisse.
Al sentire questo la strega la caccia di casa, ma non prima d'averle dato un teschio magico, che di
notte s'illuminava. Quando Vassilissa lo porta a casa, il teschio non smette mai di fissare con gli
occhi di fuoco la matrigna e le sue due figlie, che ad un certo punto s'inceneriscono.
Vassilissa seppellisce il teschio e va a vivere da un'anziana signora senza figli, mettendosi a filare
un telo di lino sottilissimo, che la padrona di casa regala allo zar, il quale la ricompensa con molti
doni.
Tuttavia lo zar non riusciva a trovare nessuno in grado di fargli delle camicie con un tessuto così
fine, per cui manda qualcuno a cercare la vecchia, che naturalmente fa il nome di Vassilissa, che in
un batter d'occhio produce una dozzina di bellissime camicie.
Lo zar, vedendo di persona Vassilissa, se ne innamora e decide di sposarla, facendo felice il padre
di lei e l'anziana signora che l'aveva ospitata, i quali vanno a vivere a corte. Vassilissa, finché visse,
portò sempre con sé la bambolina.
Questo racconto popolare sembra essere stato prodotto in un momento di transizione da un mondo
basato esclusivamente sull'autoconsumo (espresso appunto dalla baba-jaga, che vive nel bosco
senza che le manchi nulla) a un mondo basato su un'agricoltura in crisi, che ha bisogno, per
sopravvivere, di un oggetto magico come la bambolina, di un padre che deve fare il mercante sulle
lunghe distanze, di una produzione artigianale di qualità, rivolta al mercato.
Nella casa di Vassilissa sono tutti mercanti: il padre (che ha bisogno di assentarsi per lungo tempo a
motivo dei suoi traffici), la madre e la matrigna. Quindi si può presumere che la casa non fosse
proprio in campagna, ma almeno in un piccolo borgo urbano, tant'è che la matrigna è in grado di
acquistare una seconda abitazione nei pressi del bosco, quando decide di eliminare Vassilissa.
Forse il padre e la madre della fanciulla erano di origine contadina: di sicuro di più la madre, che
consegna alla figlia un oggetto magico (una sorta di "corredo fatato"), indicante una credenza
superstiziosa, retaggio del passato. Il padre non appare superstizioso, ma risulta anche del tutto
insignificante nel contesto della fiaba: per campare deve svolgere un mestiere molto rischioso anche
se redditizio, alla ricerca di merci rare e pregiate, da poter vendere alle classi altolocate; il suo
secondo matrimonio è dettato dalla necessità di accudire una figlia ancora troppo piccola; non
interferisce mai sui rapporti tra la matrigna e Vassilissa, anzi ignora del tutto le angherie che la
figlia deve subire. Il padre era dunque benestante, ma non al punto da non aver bisogno di compiere
lunghi e faticosi viaggi d'affari.
Vladimir Propp sostiene che bambole di questo tipo fungevano da sostituto di chi era morto, una
sorta di anima del defunto a disposizione dei parenti vivi che l'avevano amato. Tuttavia qui, se la
esamina da un punto di vista sociologico, essa sembra rappresentare il desiderio contadino di poter
avere un amico fidato, un sostegno che lo aiuti nei momenti particolarmente difficili, non per
trattarlo come il feudatario trattava i propri servi, ma riservandogli ogni cura, dandogli da mangiare
il meglio, pur di avere l'aiuto richiesto. La bambola-feticcio rappresenta qualcosa che lega il
presente (borghese) al passato (pre-borghese), un qualcosa che probabilmente si trasmetteva tra le
generazioni e che però il padre, più individualista, aveva dimenticato o rimosso.
In tutto il bacino del Mediterraneo tra gli agricoltori preistorici la bambola rappresentava la fertilità
dei campi e degli esseri umani e quindi era un augurio di fecondità. Se questa usanza trovasse
riscontri in Russia, in tale fiaba non saremmo in presenza solo di un rito di iniziazione (il passaggio
della giovane al mondo degli adulti), ma vi sarebbe un riferimento anche alla fertilità, visibile nel
finale della fiaba, in cui Vassilissa sposa lo zar.
Nel bosco invece vive il personaggio più controverso di questa fiaba: la baba-jaga, definita come
una che "non si lasciava avvicinare da nessuno" e "si mangiava gli uomini come pulcini". Insomma
una sorta di femminista ante-litteram.
Tra le due, la vecchia strega e la matrigna, apparentemente sembra difficile dire chi sia più cattiva.
Le vessazioni sono pressoché analoghe, anche se della strega non viene detto che "sfogava la sua
cattiveria picchiando Vassilissa", per quanto non le facesse fare lavori artigianali ma solo servili.
Eppure essa viene presentata come più rozza e incivile della matrigna, benché dotata di maggiori
poteri, i quali, peraltro, vengono esercitati esclusivamente nel bosco, lontano dalla "civiltà", a
contatto col solo "mondo naturale", primitivo, dipinto in maniera magica e fiabesca, non senza
aspetti macabri e orrorifici, dove tutte le cose morte sono vive e pericolose.
Vassilissa però, da buona cristiana (si segna prima di entrare nel bosco), non ha paura né dei tre
cavalieri che rappresentano lo scorrere del tempo (e, se vogliamo, anche l'esigenza, da parte della
strega, di avere uomini virtuali al proprio servizio), né di quegli organi umani che la strega usa
come strumenti domestici.
La baba-jaga ha una voracità infinita, è una grande conoscitrice di alimenti boschivi, che trasforma
col pestello nel mortaio: lo fa in un modo del tutto inconsueto, a testimonianza che quella pratica
era andata in disuso nei villaggi rurali o meglio nei borghi, ove era stata sostituita dalle macine e dai
mulini. Sicché, per descriverla, il narratore la rende fantastica, quasi ridicola, come cosa da
trogloditi: se ne stava "a cavalcioni su un mortaio, l'incitava col pestello, trascinandosi dietro la
scopa". Difficile non vedere, in questo refrain, una descrizione erotico-caricaturale: il mortaio non
sembra neppure essere uno strumento di lavoro, ma un artificio per caratterizzare meglio un
personaggio bizzarro, inquietante, se non addirittura volgare.
Questo mondo pre-cristiano e, per molti versi, persino pre-pagano, in quanto la baba-jaga non ha
alcuna divinità da adorare e sembra del tutto autosufficiente sul piano economico-materiale, è un
mondo che viene rispettato da Vassilissa, che, di fronte alla strega, s'era subito "inchinata
profondamente" e, nel corso della sua permanenza in casa di lei, non può nascondere la sua
meraviglia di fronte "all'abbondanza d'ogni cosa".
Anche la matrigna e le sue figliole erano "cristiane", ma in modo "borghese", per cui odiavano tutto
quanto non apparteneva alla loro mentalità affaristica e individualistica. Invece Vassilissa, almeno
in questa prima parte della fiaba, sembra avere un comportamento più vicino al mondo rurale, che
forse aveva ereditato dalla madre.
La baba-jaga rappresenta la potenza della natura selvaggia, indomita, per lo più misteriosa,
inaccessibile, che Vassilissa vuole rispettare, pur non essendone un'abituale frequentatrice. Non c'è
in lei un sentimento di orgoglio, di disprezzo, di superiorità. Questo peraltro le permette d'interagire
con la strega.
Qui si ha l'impressione che l'autore della fiaba si sia servito di una cristiana di origine contadina per
dimostrare che per vincere le insidie di un certo modo "borghese" di vivere il cristianesimo,
occorreva rifarsi a tradizioni pre-cristiane, possibilmente addirittura pre-pagane. E' la baba-jaga
infatti che fornisce a Vassilissa lo strumento con cui liberarsi definitivamente del proprio
antagonista domestico, che muore come se fosse stato vinto da un forte senso di colpa, non potendo
reggere lo sguardo del teschio giusto giudice, che condanna senza appello le tre donne a una morte
vergognosa, in quanto di loro nessuno si ricorderà più nulla.
Non poteva esser Vassilissa a eliminarle intenzionalmente, proprio perché lei rappresenta il
cristianesimo etico, e la sua bambolina compie solo azioni buone, tant'è che quando il teschio
uccide le tre nemiche, ciò avviene a sua insaputa, e quando si rende conto di quale strumento di
morte potesse diventare quel teschio sempre luminoso, lo seppellisce subito dopo essere rimasta
sola, continuando a credere che per le proprie esigenze la bambolina sia più che sufficiente.
Ma la cosa più sorprendente della baba-jaga, in netto contrasto col suo modo ferino di condurre
l'esistenza, è la capacità di elaborare pensieri speculativi, filosofici. Quando Vassilissa s'azzarda a
volerle chiedere qualcosa sulla natura dei tre cavalli, la strega risponde: "non tutte le domande
portano buon pro; molto saprai, presto invecchierai". Che cosa voleva dire?
Ce lo spiega Propp, quando scrive - nelle Radici storiche dei racconti di magia - che la baba-jaga
non faceva altro che ribadire un principio ancestrale, secondo cui il narratore anziano aveva il
dovere di raccontare tutto agli iniziati solo in punto di morte, al fine di lasciare la propria sapienza
in eredità: "raccontare tutto" voleva dire "accingersi a morire". Ecco perché la baba-jaga - quasi
sentendosi offesa - non vuole rispondere a tutte le domande di Vassilissa, ovvero la mette
sull'avviso dicendole di non farne troppe.
E forse c'è di più. La baba-jaga voleva difendere le sue conoscenze naturalistiche, sempre più
minacciate da una civiltà che da tempo aveva smesso d'essere boschiva, silvestre. La sua sembra
essere una denuncia dello stile di vita borghese, impostato su un'esigenza subdola di sapere le cose.
La strega chiede alla giovane di non voler diventare troppo "sapiente", di accontentarsi di una
scienza utile all'esistenza.
D'altra parte la baba-jaga, su questo argomento, ne sa qualcosa: i frutti amari di questa conoscenza
invadente, presuntuosa, li ha già dovuti mangiare tutti; per questo odia gli uomini e la loro civiltà e
non si fida neanche di una bella e brava ragazza come Vassilissa, di cui pur sa quanto sia angariata
da insopportabili parenti acquisiti.
La strega appare "cattiva" solo allo sguardo borghese, "evoluto", della matrigna e delle sue figlie,
mentre a Vassilissa appare come una disadattata, un infelice emarginata dalla storia, che
sicuramente merita un'interazione umana, benché la ragazza s'accorga molto presto di poterla
avvicinare solo fino a un certo punto.
Alla baba-jaga infatti non va di andare oltre un certo livello di confidenza, anche perché di
Vassilissa soprattutto non sopporta il suo essere "cristiana". Ecco perché, quando si rende conto che
la giovane riesce a fare i lavori perfettamente a motivo della "benedizione" ricevuta dalla madre
morente, la caccia subito di casa, avendo il terrore - evidentemente per esperienza - che il
cristianesimo (religione per eccellenza di popoli stanziali, massimamente ambigua tra quelli
urbanizzati) possa indurla a cambiare stile di vita, cioè a uscire dalla foresta.
La strega s'era già accorta che Vassilissa era una "cristiana" prima ancora d'incontrarla:
semplicemente dall'odore. L'espressione "Fu-Fu, sento odor di russo" è equivalente a quella detta
nelle fiabe italiane: "Ucci-Ucci, sento odor di cristianucci". Qui non si è in presenza di una semplice
trasposizione di atteggiamento, nel senso che invece di avere un vivo che teme l'odore di un morto,
è il morto che teme l'odore del vivo, benché la trasposizione sia servita per abbruttire ulteriormente
la strega. Vassilissa rappresenta piuttosto un tipo di presente temuto dal passato, che è sì morto ma
non ancora sepolto e che per questa ragione - ecco l'origine della trasposizione - incute paura
all'uomo (il russo) che l'ha rinnegato per vivere una civiltà urbanizzata, o comunque stanziale, in
quanto l'agricoltura ha preso il sopravvento sulla caccia e sulla raccolta spontanea dei frutti
boschivi.
La strega sta tutelando le ultime tribù ancestrali, residenti ancora nelle foreste, che si sono
incattivite contro l'uomo civilizzato, che tende a sfruttare senza ritegno le loro risorse naturali. Gli
uomini emanano cattivo odore appunto perché sono vivi e quindi pericolosi. E Vassilissa, per la
baba-jaga, è solo un'eccezione che conferma la regola. Non può lasciarsi ulteriormente ingannare
dalla sua gentilezza d'animo: ne va di mezzo la sua stessa sopravvivenza.
Il racconto sarebbe potuto finire nel punto in cui la matrigna e le figlie son ridotte in cenere dal
teschio della strega. Da lì infatti partono molte varianti. Nella versione di Afanas'ev il finale getta
una luce sinistra sulla stessa Vassilissa, che, dopo tante avventure, sembra aver imparato la tecnica
del raggiro per poter diventare "molto benestante".
Vediamo infatti come si comporta. Vassilissa ha paura del teschio illuminato, che sembra essere
dotato di vita propria e che sa soltanto uccidere (in questo caso gli antagonisti), senza fare alcun
vero bene (non è magico come la bambolina, che agisce solo dopo averle dato da mangiare).
Pertanto, essendo troppo pericoloso (in quanto rappresenta la superstizione pagana), non le resta che
seppellirlo.
Vassilissa aveva già superato la prova, accettando di andare nel bosco "cattivo" e trovando quanto
le occorreva per soddisfare le richieste delle antagoniste; e il destino aveva voluto che il
superamento della prova coincidesse anche con l'eliminazione fisica delle antagoniste. Vassilissa
non vuole restare nel bosco, ma non vuole neppure diventare cristiano-borghese. Ora che cosa vuol
fare per emanciparsi del tutto?
I nemici le impedivano di farsi strada nella vita urbana, approfittando della sua cultura contadina,
che ritenevano ingenua, arretrata e che però s'era rilevata astuta, in quanto aveva saputo tener testa
alla strega, ottenendo favori e conoscenze, nei cui confronti la cultura urbana s'era rivelata
impreparata.
La prova (che in fondo è stata una prova di iniziazione) può diventare occasione di emancipazione
sociale, cioè di rottura definitiva nei confronti della civiltà pre-classista ma anche nei confronti del
passato rurale. Confidando nella sua grande abilità artigianale, Vassilissa può aspirare a un
matrimonio con un borghese di successo, più importante del padre.
Ma anche qui il destino l'ha aiutata più di quanto sperato. Tramite l'anziana signora che la ospitava
(le conoscenze sono sempre fondamentali quando ci si vuole emancipare) Vassilissa riesce persino
a incuriosire lo zar in persona. Immaginando d'averlo incantato col suo manufatto e già pregustando
le delizie d'una vita di corte, in mezzo ai nobili di sangue, lei "si lavò, si pettinò, si vestì e sedette
accanto alla finestra"...
Testi di Afanasjev Aleksandr N.
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Vassilissa e la Baba Jaga. Con CD Audio, Parazzoli Paola, 2007, Fabbri
Antiche fiabe russe, Einaudi, Torino 1974
Fiabe russe, 2000, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Le bestie del bosco, 1993, Giunti Editore
I sette Simeoni, 1994, Giunti Editore
Due Ivan, Einaudi Ragazzi, 1997
Fiabe russe proibite, Garzanti Libri 1992
Il Re del mare e la Vassilissa, Panini Franco Cosimo 1993
La principessa rana, Comma 22 (illustrato) 2010
Le grandi fiabe russe, De Agostini Ragazzi (illustrato) 1994
Testi di Vladimir Propp
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Morfologia della fiaba-Le radici storiche dei racconti di magia, Ediz. integrali, Newton
Compton 2012
Morfologia della fiaba, 2000, Einaudi
Feste agrarie russe. Una ricerca storico-etnografica, 1994, Dedalo
Le radici storiche dei racconti di fate, 1985, Bollati Boringhieri
La fiaba russa. Lezioni inedite, 1990, Einaudi
I canti popolari russi, 1966, Einaudi
Comicità e riso, Einaudi
Edipo alla luce del folclore, Einaudi 1997
Testi sulle fiabe russe
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Medvedev N. Gennadij, Fiabe russe, 2010, Besa
Fiabe russe, a cura di Poesio C., 2005, Giunti Editore
Bilibine Ivan J., Fiabe russe, 1999, Motta Junior
Vedi anche scheda su V. Propp