l`arma dei carabinieri nel sistema di sicurezza partecipata

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l`arma dei carabinieri nel sistema di sicurezza partecipata
L’ARMA DEI CARABINIERI NEL SISTEMA DI SICUREZZA PARTECIPATA
Spunti emersi nel dialogo con Andrea Chittaro
Incontro del 31 Gennaio 2009
E’ difficile parlare di sicurezza quando ci accorgiamo che i dati sbandierati hanno a
che fare con la percezione piuttosto che con dati di pericolo “reale” o di minaccia
delle nostre comunità.
Per arginare questa deriva è consigliabile dare risposte immediate o, forse, è meglio
chiedersi che cosa significa per noi, oggi, comunità? Quali suoi luoghi e non-luoghi?
Quali canali promuovere e utilizzare per raccogliere umori e percezioni? Quali
legami nell’epoca della globalizzazione?
Quale nuova partecipazione nazionale e internazionale di tutti?
Quali strategie di recupero, mediazioni e simboli utilizzare?
Paura e insicurezza ci tengono lontani dall’altro.
L’incontro con il Tenente Colonnello Andrea Chittaro, Comandante del nucleo
informativo di Milano è per noi l’occasione per trarre spunti circa i “germogli di
belle relazioni” per individuarli e svilupparli anche nei nostri contesti.
Lo spirito d’inizio
Ci siamo interrogati per molto tempo su che taglio dare a questo incontro perché il
tema della sicurezza è molto ampio e vasto, così come è ampissimo il territorio
storico e funzionale dell’Arma dei Carabinieri.
Il tema di “Lavori in Corso” e il suo riferimento alla volontà di far “germogliare belle
relazioni” ci ha aiutato a focalizzare il pensiero sul “contesto relazionale” entro il
quale l’Arma dei Carabinieri si muove attualmente.
Farò un accenno storico e ordinativo della nostra Istituzione per rappresentarne il
valore per la nostra società.
L’Arma dei Carabinieri ha quasi duecento anni di storia e per questo, oggi, si trova a
dover affrontare le esigenze di modernizzazione della struttura e del rapporto con i
cittadini.
L’Arma in questo terzo millennio – come probabilmente altre organizzazioni del
pubblico e del privato – cerca di capire cosa pensano i cittadini, in quanto suoi utenti,
attraverso tutta una serie di canali relazionali. Poiché siamo in un’epoca di
comunicazione globale e tutto viaggia sul web chiunque può avere accesso al nostro
sito e scoprire che quello che ci contraddistingue è che abbiamo cinquemila
Marescialli che comandano altrettante Stazioni dei Carabinieri presenti su tutto il
territorio nazionale. Queste Stazioni sono i nostri centri di ascolto e non sono
un’invenzione di oggi in quanto nati circa duecento anni fa.
L’Arma dei Carabinieri è stata fondata da Vittorio Emanuele I con le Regie Patenti,
di cui ricordo un passo importante: “Un corpo di militari per condotta e saviezza
distinti”. Questo è lo spirito indicatore dell’inizio. In tempi molto diversi dai nostri
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c’era un’esigenza differente di sicurezza. Ad esempio, non esistendo un corpo
preposto esclusivamente alla sicurezza dei cittadini, oltre che del Re, si è pensato di
creare l’Arma dei Carabinieri.
Con il progressivo allargarsi dei confini dello Stato Sabaudo, passando per tutti gli
eventi della nostra storia fino a quella repubblicana, l’Arma ha mantenuto questa sua
caratteristica peculiare, ossia di presenza reticolare e, quindi, di prossimità con il
cittadino.
Il sistema di sicurezza in Italia non è presidiato solo dall’Arma dei Carabinieri ma ha
una sua architettura ben chiara. Negli ultimi tempi leggendo i giornali e guardando la
televisione qualche incertezza può essersi ingenerata. Ciò è dovuto a vari motivi che
esulano dal contesto strettamente tecnico e vanno a investire quello politico.
Il contesto relazionale
La sicurezza è diventata uno dei temi principali di ogni campagna elettorale locale o
internazionale. Evidentemente è un problema sentito dai cittadini che, però, corre il
rischio di creare qualche fraintendimento quando se ne parla in modo decontestualizzato dall’aspetto tecnico.
Se, oggi, chiediamo al cittadino: “Secondo te, come funziona il sistema di sicurezza
in Italia?”. Molto probabilmente non lo sa, non sa quali sono le polizie, non sa quali i
loro compiti, chi sta a capo delle operazioni, chi dirige, chi coordina, chi dà le
direttive…
In realtà, il processo è molto semplice, almeno quello tradizionale e normato dalle
leggi italiane. Il sistema presenta un livello centrale, che è il Comitato Nazionale per
l’Ordine e la Sicurezza pubblica, presieduto dal Ministro dell’Interno, del quale fanno
parte tutti i rappresentanti di vertice delle Forze di Polizia, compreso il Comandante
Generale dell’Arma dei Carabinieri. C’è poi un livello decentrato – un sistema locale
– che vede nel Prefetto l’autorità locale di Pubblica Sicurezza, il quale si avvale di un
suo organo consultivo che è il Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza
pubblica.
Allora, quando parliamo di decisioni interne di sicurezza che esulano dall’aspetto
legislativo e badano all’aspetto tecnico, queste sono le sedi naturali di decisione. Non
ce ne sono altre.
In questa catena decisionale l’Arma dei Carabinieri rappresenta un po’ il terminale
sul territorio perché ogni decisione che viene presa, anche a livello centrale, ha poi
bisogno di un ritorno. E chi meglio dell’Arma ha il contatto diretto per tale feedback
dal territorio? Siamo in ogni comune e in ogni più piccola comunità.
Ricordo che, da piccolo, quando nel mio paese d’origine incontravo il Maresciallo dei
Carabinieri, individuavo immediatamente in lui chi difendeva la mia sicurezza. Tutti
noi abbiamo letto Pinocchio e perciò credo che, oltre per merito della sua storia
propria, anche attraverso la letteratura, i film e le fiction, l’Arma dei Carabinieri sia
entrata nell’immaginario collettivo. Essa perciò si rappresenta attraverso differenti
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canali e non solo quello Istituzionale. Di sicuro, fra le varie forze dell’ordine, l’Arma
dei Carabinieri è la forza che più è “entrata” nelle case dei cittadini italiani.
La struttura
Questa organizzazione richiede una macchina piuttosto oliata che ha delle sue
strutture, delle sue guidelines, delle architetture interne che finora hanno mantenuta
inalterata la funzione dell’Arma e il suo operato.
Siamo quasi in centoventimila persone presenti sul territorio nazionale, frazionate in
circa cinquemilacinquecento comandi di vario livello. È una piramide che parte dal
comando di vertice, con sede a Roma, che è il motore operativo di tutta l’Istituzione:
lì si prendono le decisioni strategiche.
Da Roma scendono i livelli organizzativi che passano attraverso comandi
Interregionali, Regionali e Provinciali – che sono il vero e proprio organo operativo –
fino ai comandi di Compagnia e Stazione. Qualcuno afferma che tale meccanismo
potrebbe apparire appesantito perché le decisioni in tutta questa catena vengono
inevitabilmente filtrate.
A tutt’oggi questo è un dibattito aperto che ci porta a pensare anche a nuovi modelli.
Finora però questa struttura ha assicurato la tenuta della funzione, anche perché
nessuna decisione è lasciata in esclusiva al livello gerarchico, proprio perché viene
filtrata e, a volte, anche modificata attraverso gli altri livelli gerarchici.
In ogni caso anche noi ci poniamo la domanda circa la richiesta di semplificazione.
Ad esempio, la prima richiesta che il cittadino fa riguarda proprio la semplificazione
delle procedure. Per questo ci sono le Stazioni con i Marescialli (come il famoso
Rocca, tanto per intenderci) che sono i nostri centri d’ascolto, i nostri punti di
contatto con la cittadinanza. Attraverso questi centri raccogliamo tutto ciò che ci
serve per contribuire al miglioramento della sicurezza partecipata.
La sicurezza partecipata
Non mi stancherò mai di ripeterlo: sicurezza partecipata significa che il cittadino
dev’essere protagonista della sua sicurezza, deve partecipare, non dev’essere uno
spettatore. È un concetto un po’ difficile da digerire per tutti noi. Oggi, però,
abbiamo bisogno di informazione e conoscenza e questa si forma a partire dalle
esperienze di tutti i cittadini.
Da sempre le Istituzioni hanno cercato di mantenere la loro impostazione e la loro
centralità, anche nella decisione. Oggi non può essere più così. Per una serie di motivi
è aumentata la consapevolezza del cittadino di essere “protagonista” e non solo sul
tema della sicurezza ma anche rispetto ad altri dibattiti. Nessuno vuole rimanere
“fuori” o “ai margini” ed è giusto che sia così. Si sta delineando un tentativo di
evoluzione della forma di Stato e il contributo del cittadino diventa fondamentale,
anche sul tema della sicurezza.
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Ci sono spinte federaliste molto forti che non riguardano solo l’ambito fiscale. C’è
chi richiede di federare anche l’attività di polizia per far sì che ogni Regione abbia, di
fatto, la sua polizia. Tratti di legge già lo prevedono: un passo dello Statuto della
regione Sicilia, mai attuato, prevede che la polizia sull’isola venga governata dal
Governatore della Sicilia.
Personalmente non sono d’accordo. Credo che uno Stato debba essere in grado – con
duttilità di manovra e, se vogliamo, di legge – di provvedere alla sicurezza dei
cittadini, senza lasciare all’improvvisazione una materia così delicata che,
parcellizzata, potrebbe essere foriera di disuguaglianze inaccettabili.
Ritengo che uno Stato moderno debba provvedere alla sicurezza dei suoi cittadini.
Perciò, dobbiamo tener conto dei segnali e delle esigenze che arrivano da tutte le
comunità. L’esigenza di sicurezza avvertita a Milano è differente rispetto a quella
avvertita ad Aosta.
E’ in questo senso che è importante lo sviluppo della sicurezza partecipata e se noi
prendiamo atto e teniamo conto di questa realtà, allora, probabilmente, sapremo
adeguare il nostro strumento operativo affinché sia sempre e comunque lo Stato a
provvedere alla sicurezza dei cittadini: magari, con un esempio banale, provvedendo
con cento Carabinieri a Milano e dieci ad Aosta.
Professionalità
Il tema della sicurezza vive una deriva marcatamente sociale Di sicuro ci sono
esigenze che vanno tenute in conto. Ritengo però che l’Arma, presente su tutto il
territorio nazionale, se saprà adeguare al meglio il proprio strumento potrà
ricomporre “certe istanze” che troveranno sfogo nelle strutture di polizia a
competenza generale. Le strutture locali hanno un’importanza fondamentale e una
professionalità, come a Milano, veramente elevata. Sono uno strumento e un supporto
basilare per le forze di polizia: nel rispetto di ambiti, competenze e compiti che
devono essere normati in maniera adeguata affinché non si prescinda dalla potestà
dello Stato in materia di sicurezza.
Alla nostra struttura territoriale si affiancano i nostri reparti speciali o specialistici.
Per fare un esempio, ricordo i Ris, ormai famosi perché entrati nell’immaginario
collettivo.
Anche noi, negli ultimi anni, facciamo quello che fanno le aziende, e cioè
ricerchiamo e favoriamo le specializzazioni, ossia figure professionali che scelgono la
loro nicchia di eccellenza per offrire il miglior servizio possibile.
Dal Governo ci sono stati attribuiti alcuni settori di esclusiva specialità – come i Nas,
gli Ispettorati del Lavoro, la Tutela delle Politiche Agricole, il Nucleo Operativo
Ecologico – tutti reparti con personale ad altissima competenza specifica.
Uno dei reparti più conosciuti è certamente il Raggruppamento Investigazioni
Scientifiche più semplicemente noto come “i RIS” perché i media e le fiction hanno
veicolato l’immaginario collettivo. Ricordo anche Gigi Proietti nei panni del
Maresciallo Rocca. Proietti è un grande attore che riesce a inquadrare bene i diversi
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aspetti di un Maresciallo dei Carabinieri, comprese le sue debolezze umane… La
fiction però rimane tale, nel senso che tende a tratteggiare un mondo abbastanza
virtuoso che forse così virtuoso non è. Resta però il senso generale, ossia quello di
Forze dell’Ordine che sono vicine al cittadino, che parlano con tutti, che si prendono
a cuore – anche oltre l’impegno temporale contrattualmente previsto – i problemi
delle persone.
Secondo me, quello che meglio viene rappresentato dalle fiction, riguardo i Ris, è
l’alto contenuto professionale. I Ris sono un reparto che ci viene invidiato in tutto il
mondo ed in alcuni settori della pratica forense, come lo studio del DNA a fini
investigativi ha pochissimi eguali a livello mondiale.
Oggi il mondo richiede specializzazione: sia il mondo dei cittadini sia quello della
criminalità.
Ci troviamo a combattere organizzazioni criminali che non sono più come ancora le
immaginiamo (per fare un esempio: il mafioso siciliano con la coppola).
La criminalità organizzata è una struttura gestita da menti raffinate, spesso da
incensurati o persone che si sono affermate negli studi o nelle professioni.
Per poter contrastare una controparte del genere ci vuole preparazione e
specializzazione. Non possiamo più pensare di farci aiutare esclusivamente dalla
tradizione e dal buon senso. Sono necessarie competenze elevate. Per questo è stato
scelto di istituire questi reparti speciali anche nel settore delle investigazioni
giudiziarie.
Missioni
Un altro reparto che ci viene invidiato in tutto il mondo è la MSU. Questa unità è
composita e multidisciplinare ed è il punto di riferimento in campo internazionale per
l’Italia, per la Nato e per l’Onu (riguarda anche le missioni fatte sotto la bandiera
delle Nazioni Unite).
In territori e in teatri “difficili” dove la relazione acquista una grande importanza,
dove non è la politica delle armi che premia i tentativi di ricomporre la società – e
poiché queste nazioni sono state o sono tuttora martoriate da guerre interne o esterne
– l’Arma dei Carabinieri si è affacciata sulla scena internazionale con questa sua
struttura.
Nessuna forza di polizia ha saputo rappresentare al meglio questa duplice veste di
Corpo Militare e Forza di Polizia. Soprattutto, nessuna Forza di Polizia ha saputo
creare interazione con le società civili dei luoghi dove eravamo chiamati ad operare
come ha fatto l’Arma dei Carabinieri. Per questo, siamo stati “carpiti” dalle
organizzazioni internazionali.
Non c’è bacchetta magica né competenze straordinarie ma c’è una tradizione che ha
portato l’Arma – così come l’ha portata verso i cittadini delle nostre terre – a parlare
con i cittadini delle terre lontane.
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L’opera non è stata facile. Ricordo sempre quello che è accaduto a Nassirija che
rappresenta, forse, uno dei momenti più alti di questo nostro tentativo di portare un
contributo per la rinascita e la ricostruzione della società irachena.
A Nassirija i Carabinieri erano al centro della città e non alla base americana, ossia
fuori, nel deserto. Questo perché volevano essere presenti, volevano cominciare a
vivere come in un piccolo comando di Stazione nazionale, con una porta aperta:
sempre e per chiunque potesse arrivare.
Questo nostro fare è stato compreso anche da un certo integralismo. Poi, è successo
quello che tutti sappiamo.
Abbiamo partecipato a tutte le principali missioni di “peace keeping” in ambito
internazionale: Balcani, Iraq, Afganistan, Palestina.
Ad esempio, in Palestina il valico di Rafat era presidiato da dieci carabinieri che
facevano quanto era possibile in base agli accordi internazionali.
Uomini, organizzazioni, appartenenze
Riguardo a tutta questa organizzazione credo che ciò che è davvero importante sono
gli uomini: e penso alle figure che hanno fatto grande l’Arma. Poiché siamo a
Milano, ricordo istintivamente il Generale Dalla Chiesa, ma guardo anche a tutti
quegli uomini che hanno fatto di questa professione una vera missione (o lo è
diventata nel momento in cui la loro vita è finita…)
Al di là della struttura e della sua importanza, quello che conta è sempre l’uomo. Non
mi stanco mai di ripeterlo. E se qualcuno afferma: “non siete l’organizzazione
perfetta che volete far sembrare perché avete sbagliato anche voi in certe cose…”
rispondo che siamo e rimaniamo, comunque,uomini.
Dentro la divisa, dentro il ruolo, ci sono uomini con i loro pregi ed i loro difetti. Con
le loro virtù e le loro debolezze.
Però, mi piacerebbe che i cittadini si ricordassero di più di alcuni di loro rispetto ad
altri. Il Generale Dalla Chiesa è certamente uno di questi, perché è colui che ha
sconfitto le Brigate Rosse, che ha tentato di sconfiggere la mafia, che ha inventato
una struttura investigativa che, per quei tempi, era all’avanguardia.
Ripensare a queste persone e a cosa hanno dato, è un po’ il nostro motore.
Oggi viviamo in un’epoca “comoda” in quanto certe emergenze non ci sono più o si
sono attenuate.
Attualmente partiamo da un’impostazione diversa, da condizioni sociali differenti.
Siamo fortunati e ciò va riconosciuto. Per questo, quando la gente ci chiede sicurezza
non dobbiamo girarci dall’altra parte perché è il nostro compito fondamentale: era e
rimane questo. Quei nostri colleghi non si sono girati e perciò hanno perso la vita…
Di questi esempi è costellata la storia dell’Arma: pensiamo anche a Salvo D’Acquisto
per citare le figure più note.
Quello che accomuna i Carabinieri è questo sentirsi investiti, più che di una missione,
di un senso di appartenenza. L’appartenenza “fà” l’Istituzione: come in un’azienda.
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Il senso d’appartenenza in un’azienda fa sì che il manager lavori al di là del suo fine
personale o del suo tornaconto economico, per far crescere la sua azienda e farle
raggiungere dei traguardi.
Lo stesso processo, per chi ci crede, per chi si sente investito di queste responsabilità,
avviene anche da noi. E credo che in un mondo come il nostro ci sia la necessità di
responsabilità, di assunzione di responsabilità.
Non vorrei allontanarmi troppo dal discorso che avevo iniziato prima sulle missioni
internazionali, quindi lascio la parola a Lorenzo Lecchini esperto in missioni
internazionali.
Quel qualcosa in più
Ho partecipato a quattro missioni internazionali dell’Arma. Sono stato in BosniaErzegovina, in Palestina per un anno, in Iraq e in Kosovo. Sono state esperienze
splendide sotto il profilo professionale, meno da quello umano, soprattutto se penso
ai tanti amici che abbiamo perso.
Nelle missioni a cui ho partecipato ciò che mi ha colpito è vedere come la gente del
posto sia stanca, sfiancata da guerre e ferocie che noi non ci possiamo immaginare,
più che cattiva.
Queste popolazioni molto spesso hanno solo bisogno di recuperare quel poco di
fiducia che hanno perso durante i conflitti.
La nostra esperienza – e parlo di quella dei Carabinieri in Italia – è servita
moltissimo, perché uno dei nostri maggiori pregi è quello di saper ascoltare.
Ascoltare le persone, nonostante le notevoli barriere linguistiche, è ciò che ha fatto
avvicinare la gente a noi, che ci ha permesso di intuire che qualcosa stava
succedendo, nella zona in cui stavamo operando, e perciò di intervenire prima che
accadesse.
In Italia ci occupiamo di fenomeni sociali, di eversione, di gruppi anarchici e
sovversivi. All’estero, grazie a questa mia esperienza, se notavo un piccolo manifesto
appeso che poteva apparire anche insignificante, avevo l’interesse a prenderlo e farlo
tradurre. Per fare un esempio, è accaduto che un semplice manifestino scritto in arabo
informasse che ci sarebbe stata una manifestazione di protesta due giorni dopo.
L’averlo fatto tradurre ci ha aiutati, da un punto di vista operativo, a disporre tutto
quanto era necessario e in nostro possesso per prevenire eventuali disordini.
L’MSU è la punta di diamante dell’Arma all’estero, un modello vincente. Hanno
provato in molti a copiarlo e a cercare di migliorarsi, ma non ce l’hanno fatta (ad
esempio i francesi).
Tuttora il nostro modello è invidiato all’estero perché, grazie a questa doppia natura,
militare e civile, abbiamo quel qualcosa in più che la parte strettamente militare non
ha.
Noi siamo quotidianamente in mezzo alla gente, perciò siamo sempre stati un
riferimento.
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All’estero la prima cosa che un Comandante fa è prendere contatto con chi
rappresenta la società in cui operiamo. Può essere chiunque, non è importante che
abbia un ruolo, può essere un capo popolo o un capo tribù. L’importante è che sia un
referente con cui parlare e, soprattutto, che sia disposto a parlare con noi. Questo è
quanto ci ha aiutato moltissimo. Ricordo che a Nassirija – dove andai prima che
accadesse ciò che è accaduto – la gente veniva da noi quotidianamente: veniva per
parlare dei problemi più piccoli, nel senso di quotidiani, ma che noi considereremmo
enormi. Cercavamo di risolvere quello che potevamo, tante volte semplicemente
ascoltando, facendo il possibile, donando vestiti, cibo, medicine. Questo progetto
bellissimo ha una forza incredibile.
In Iraq, quando noi operavamo, c’erano trentadue contingenti internazionali. Ebbene,
tutti sono venuti a vedere la Caserma dei Carabinieri in centro città, a vedere come
mai la gente veniva da noi mentre c’era una incredibile diffidenza verso la parte
militare.
Da noi entrava il capo religioso, il capo famiglia, le famiglie con bambini, i malati..
Qualcuno potrà dire che mettere una base in centro città non è un’idea brillantissima.
L’esercito, che era in pieno deserto, non era possibile attaccarlo, noi invece sì. Ma i
venti chilometri di distanza sono di distanza da tutto. Quindi, non solo
geograficamente ma anche dal cuore della gente.
Il fatto che siano deceduti molti civili attorno alla base testimonia che le persone
erano sempre lì, a partire dai ragazzini.
Nonostante tutto ciò che è successo lo considero tuttora un progetto vincente perché è
stata la più grande dimostrazione di quanto l’essere vicini alle persone, nonostante
differenze culturali enormi, sia di aiuto.
L’MSU è solo uno dei modelli dell’arma all’estero e non lo si trova ovunque. In
Palestina c’erano ben ventuno osservatori internazionali.
Ciò che balza all’occhio è che gli alti comandi militari che gestiscono la missione
riconoscono nell’MSU e nell’Arma dei Carabinieri in generale uno dei principali
strumenti per scardinare la diffidenza delle popolazioni locali.
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