memorie e tradizioni liguri 2
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memorie e tradizioni liguri 2
memorie e tradizioni liguri La storia del castagno in Liguria Il primo sfruttamento intensivo del castagno in Liguria cominciò nell’alto Medioevo. La crisi alimentare che colpì l’Italia settentrionale negli ultimi secoli dell’Impero romano aveva già determinato l’abbandono progressivo degli insediamenti costieri in decadenza e il ritorno di molte famiglie alla vita rurale. L’incremento della popolazione, intorno al X secolo, spinse gli uomini ad innestare i selvatici del castagno che crescevano sponta- La raccolta e i mulini La raccolta delle castagne rappresentava uno dei momenti più importanti della vita del contadino, poiché da essa dipendevano l'alimentazione nei lunghi mesi invernali e l'allevamento di maiali, galline e bovini. Questa operazione risvegliava nei borghi un profondo senso di socialità: intere famiglie battevano il bosco dall'alba al tramonto. Era preminente la figura della donna, che riempiva di frutti preziosi ceste, cavagne, e grembiuli di tela (scosà); agli uomini era riservato il compito del trasporto e della battitura. Per estrarre le castagne dai ricci semiaperti si utilizzavano apposite molle, mentre i ricci ancora chiusi venivano ammucchiati ai piedi delle piante e ricoperti di foglie, per preservarli dal gelo: sarebbero serviti più tardi. I1 castagneto veniva ripulito con i rastrelli perché nemmeno una castagna andasse perduta: le foglie, raccolte nelle gabbie, erano usate come lettiera per le bestie e in seguito destinate a concimare le coltivazioni, i ricci vuoti si portavano a casa, per accendere il fuoco. Le castagne venivano distese nel seccatoio (secaesu), che in origine si trovava nella casa stessa, allargate su apposite grate (grè) di legno a maglie strette, e disposte sopra il focolare (foeguà). Sotto si accendeva un fuoco lento e continuo di ricci e fascine: in tal modo il fumo ed il calore filtravano facendo trasudare l'umi- nei nel bosco per ricavarne frutti più grandi e consistenti. Da allora la coltura del castagno cominciò a diffondersi in tutti i territori controllati dalla Repubblica di Genova, anche in Corsica, fino a raggiungere il suo massimo grado nella seconda metà del 1800. Sempre nuove terre venivano abitate, fino alle pendici delle montagne più impervie, e sempre il castagno fedelmente provvedeva alle necessità delle popolazioni, abbracciando ogni borgo abitato. In particolare nel Levante, da dità dalle castagne. A1 termine di questo lungo processo di evaporazione si alimentava un fuoco più vivo per l'essiccazione definitiva. Col tempo il seccatoio venne trasferito all'esterno, in un locale apposito (aberghìn), dove si riunivano la sera le famiglie per le veglie attorno al fuoco. Dove la produzione era particolarmente abbondante, il seccatoio era costruito, in pietra a vista, direttamente nel bosco (ne restano numerose testimonianze nel nostro entroterra). Terminato il periodo di essiccazione, le castagne, ancora calde, venivano avvolte in sacchi di tela e battute sui ceppi, per ripulirle della scorza (pestà e castagne): il contenuto di ogni "pestata" veniva versato in una cesta larga e bassa (vallo) in cui, con movimenti sapienti, si separavano le bucce dai frutti. Le castagne venivano poi setacciate col crevello (per togliere i pezzi rotti), cernite nella sernagioia (un rnezzo tronco scavato) e divise per qualita: le migliori erano destinate ad uso alimentare, con gli scarti si produceva il farinaccio per le bestie, le bucce servivano all’accensione del fuoco (come per il maiale, della castagna non si buttava nulla). Terminata la battitura, le castagne, chiuse in sacchi, venivano trasportate ai mulini per essere macinate e trasformate in farina. L'opera del mugnaio era ricompensata con una parte del macinato, il resto si portava a casa e si riponeva in sacchi o nel bancà. Le veglie La raccolta delle castagne generalmente segnava il termine dei lavori agricoli, e l’inizio del riposo invernale. Con l’ essiccazione, nei villaggi iniziava anche il ciclo delle veglie. Era tradizione contadina, quella di intrattenersi in conversazioni familiari intorno al focolare della cucina, nella stalla o nei seccatoi durante le lunghe serate invernali. Le famiglie si riunivano in un locale ampio e caldo, messo a disposizione dal padrone, al quale veniva corrisposto un contributo per le spese di illuminazione. Ciascuno, discorrendo, svolgeva le proprie attività: c’era chi tesseva, chi filava e chi aggiustava gli attrezzi. Si cantavano canzoni popolari, si raccontavano favole e leggende, si commentavano avvenimenti locali, si celebrava il rito della tradizione orale, il grande libro mai scritto della cultura contadina. Il periodo delle veglie era compreso tra il termine e la ripresa dei lavori agricoli, quindi era differente nelle diverse località, ma possiamo individuarlo genericamente tra gli 2 Chiavari alla valle del Magra, i castagneti erano diffusissimi, tanto che ancora oggi, nella zona di Borzonasca, in valle Sturla, la voce dialettale èrburu (albero) significa castagno. Attraverso le valli del versante marino i castagneti giunsero fino alle spalle dei borghi rivieraschi (a Paraggi, vicino a S. Margherita ancora oggi vivono esemplari praticamente sul mare), mescolandosi agli uliveti e occupando uno spazio di gran lunga più vasto di quello che avevano in origine. L’aumento della popolazione, unito alle nuove prospettive d’oltremare sancì il declino della coltura del castagno: tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 iniziò l’emigrazione verso le Americhe e il Nord Europa. Poi la rivoluzione industriale del dopoguerra determinò l’irreversibile spopolamento delle montagne, attirando nelle città, nelle fabbriche, i giovani contadini in cerca di lavoro. Il castagno è rimasto lassù, testimone di una storia passata, come i contadini che non hanno voluto lasciare le proprie terre, testardi e vecchi... SERVITO IN TAVOLA inizi di ottobre e la fine di aprile. Curiosamente la tradizione contadina tramanda date differenti: diversi proverbi del Ponente ligure avvertono che... San Maté, a veglia a se mette in pé; San Matia, a veglia a l’è finia. San Matteo cade il 21 settembre e San Mattia il 24 febbraio. Uno slittamento forse voluto per far coincidere un ciclo così importante della vita della comunità con la devozione a due santi molto venerati. Delle riunioni serali approfittavano anche i fidanzati per incontrarsi (anâ in veggia in talune località assume il significato di “andare a trovare la fidanzata”). Non mancavano i giochi: tombola, morra, dama, tela o carte. Talvolta si recitavano il rosario e le litanie, guidati dal padrone di casa o dalla persona più anziana. In alcune località era usanza portare con sé alla veglia qualche ciocco di legno per alimentare il fuoco, mentre il mezzo più comune per illuminare i locali era la lampada a olio, detta lume o lanterna: era alimentata generalmente ad olio di sansa, e, in tempi più moderni, a petrolio. Proverbi e modi di dire Sono pochi, nonostante l'onnipresenza della castagna nel mondo contadino. Pochi soprattutto quelli trascrivibili sulle pagine di un giornale: castagna e marroni di skiaffino hanno infatti nel lessico popolare il ben noto significato. Per il resto: Castagna significa anche pugno, calcio, colpo violento. Castagnola: è il petardo che scoppietta come appunto le castagne sul fuoco. Castagnetta: è lo schioc- Il legno L’economia contadina ligure ha sempre fatto largo uso del legno di castagno, impiegandolo nei modi più vari. La sua resistenza alle intemperie ne ha consentito l’uso per la copertura dei tetti, le famose scàndole (scàndua in dialetto significa scheggia) delle case rurali. La corteccia degli alberi giovani serviva per le grondaie ma anche per le staccionate (cioende) che dividevano le proprietà o accompagnavano i sentieri. Col castagno si fabbricavano infissi, finestre, porte, pavimenti e poggioli pensili (lobbie) e anche i mobili di casa provenivano da questa pianta: letti, armadi, madie e bancâ dove si riponevano pane, crusca, farina di castagne e altro. Piatti e posate erano naturalmente di castagno, così come le ciotole (faxelì-ne e frixèlle) per la preparazione delle formaggette, mortai e secchielli. Con i tronchi dei giovani selvatici si producevano le carasse per costruire i carassali, che sostenevano i filari delle vigne; si fabbricavano attrezzi da lavoro: ramazze, rastrelli per la raccolta del fieno, ceste, coffe, corbe e persino flauti. La ricchezza di tannino della pianta permetteva di ricavare estratti utili alle concerie di pelli, un tempo numerose nell’entroterra. Il legno di castagno veniva adoperato come combustibile, malgrado il basso potere calorifico e la non facile combustibilità.Anche il carbone, decisamente inferiore a quello prodotto con faggio, quercia e larice, trovava uso specifico nelle fornaci dei fabbri e nelle fonderie per la sua caratteristica di ardere scoppiettando. Ancora oggi, percorrendo i sentieri dell’entroterra, non è raro incontrare grandi buche annerite, testimonianza di antiche carbonaie: qui la legna, accatastata secondo un ordine preciso, veniva trasformata mediante un processo di lenta combustione. co delle dita. Prendere in castagna: significa cogliere in fallo. Togliere le castagne dal fuoco: togliere d’impaccio. In dialetto: valere comme ‘na castagna baissà (una castagna biascicata) vuol dire contare poco o niente. foto GAL Antola e Penna