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DAI MINOICI AI MICENEI Una fine improvvisa Uno degli scali commerciali minoici più importanti, il primo che si incontrava navigando verso la Grecia, fu senza dubbio quello dell'isola di Thera, oggi detta Santorini. L’isola, che giace nel mare a circa 120 chilometri a nord di Creta, fu teatro di una spaventosa catastrofe naturale, un'esplosione vulcanica che secondo una celebre teoria sarebbe stata la causa principale anche del declino improvviso della civiltà minoica. In effetti, attorno al 1450 a.C, tutti i palazzi minoici, eccettuato il palazzo di Cnosso, furono quasi simultaneamente e distrutti da quello che molti archeologi sono ancora incerti se descrivere come un complesso di conflitti armati e di sommovimenti politici o come una serie di potenti cataclismi. È un fatto, comunque, che la maggior parte degli edifici furono incendiati e crollarono. Nella stesa Cnosso, inoltre, gli scribi passarono a utilizzare un nuovo tipo di scrittura derivato dalla lineare A, la cosiddetta lineare B; tale scrittura, che siamo ormai in grado di leggere e capire, testimonia che questo palazzo venne occupato da una popolazione di lingua diversa, proveniente dalla terraferma greca: i Micenei1. Il ricordo di Agamennone e la civiltà micenea Tra il 2000 e il 1800 a.C, mentre a Creta si costruivano i primi palazzi, la penisola ellenica era stata infatti occupata da popoli di lingua indoeuropea provenienti quasi sicuramente dai Balcani, che oggi consideriamo gli antenati dei Greci del millennio successivo. I nuovi arrivati, dopo una fase di assestamento, durante la quale subirono sicuramente una condizione di subalternità e un profondo influsso culturale da parte della più evoluta civiltà minoica, eressero in varie zone della penisola potenti cittadelle fortificate, dall'interno delle quali i loro monarchi esercitavano il potere sul territorio circostante. Il più noto di questi centri era sicuramente, fin dall'antichità, quello di Micene, nella regione greca dell'Argolide. Proprio qui difatti si recò a intraprendere una fortunata campagna di scavi l'archeologo tedesco Heinrich Schliemann, che nel 1876 riportò integralmente alla luce la celebre Porta dei Leoni, ingresso monumentale della cittadella e un intero palazzo fortificato affiancato da una serie di tombe regali. Ma fu soprattutto il ricchissimo corredo funebre ritrovato all'interno delle sepolture a impressionare lo scopritore e i suoi contemporanei: ornamenti d'oro e d'altri materiali preziosi di ottima fattura, tra cui una maschera funebre passata alla storia come la maschera di Agamennone. Schliemann, che pochi anni prima aveva già individuato l'antica città di Troia, non ebbe dubbi nell'attribuire quella inestimabile maschera funeraria proprio all’omerico re di Micene. La risonanza che ebbe quella scoperta fu tale da spingere gli studiosi a chiamare senz'altro "micenea" la civiltà che stava venendo alla luce. In seguito, ricerche sul campo più accurate e condotte con metodo scientifico stabilirono che i corredi ritrovati erano in realtà databili a circa quattro secoli prima, e che quindi erano errate anche gran parte delle sue entusiastiche identificazioni. Sebbene ancor oggi la sua personalità faccia molto discutere, tuttavia nessuno da allora ha potuto mettere in dubbio che una grande civiltà della fine l'età del bronzo ha preceduto, sul continente ellenico, la ben più nota civiltà greca. 1 Una fondamentale scoperta avvenuta nel secolo scorso è stata quella della decifrazione della scrittura lineare B trovata a Cnosso e in Grecia, all'interno degli archivi di alcuni palazzi micenei. I caratteri erano tracciati su alcune tavolette destinate a essere semplicemente essiccate e poi distrutte di anno in anno, ma gli incendi che demolirono numerosi palazzi verso la fine dell'età micenea (tra il XIII e il XII secolo a.C), le sottoposero a un provvidenziale processo di cottura che le ha conservate fino ai giorni nostri. Fu un giovane britannico, l'architetto Michel Ventris, a leggere per primo nel 1952 i caratteri di queste tavolette e a riconoscere la lingua di chi le aveva incise. La soluzione fu resa possibile grazie alla corretta ipotesi del Ventris che i segni fossero segni sillabici utilizzati per annotare il greco. Si scoprì quindi che i Micenei, o Achei dell'età del bronzo (contrariamente ai Minoici che forse non erano neppure di lingua indoeuropea), parlavano e scrivevano in una sorta di greco antichissimo, molto simile a quello usato dai Greci del millennio successivo. I MICENEI: UNA CIVILTÀ GUERRIERA Le monarchie micenee Dopo Micene, altre cittadelle fortificate dello stesso periodo (XVI-XIII secolo a.C), sempre circondate da possenti cinte di mura dette ciclopiche, vennero alla luce in Grecia. Fu subito chiaro che si trattava di altrettanti centri politici di una società dalle seguenti caratteristiche sostanzialmente omogenee: forma di governo monarchica, forte accentramento politico e amministrativo, economia basata - oltre che sull'agricoltura - sulla guerra e il commercio (che anticamente non veniva distinto dalla pirateria). Nell'ultima e più sviluppata fase dell'età del bronzo (XVI-XIII secolo a.C.) gli Stati micenei vissero quindi la loro epoca di maggior splendore. È questa anche l'età delle grandiose, monumentali tombe a falsa cupola, dette thóloi, tra le quali la più famosa è senza dubbio quella risalente al 1300 circa, convenzionalmente chiamata Tesoro d'Atreo, con esplicito riferimento al padre di Agamennone. Micene fu forse il maggiore, ma non certo l'unico importante centro dell'epoca: al di fuori dell’Argolide, Pilo (nella regione della Messenia) e Tebe (in quella della Beozia) furono senza dubbio le città più potenti. Pilo e Micene si dividevano sicuramente il controllo di gran parte del Peloponneso: sappiamo, per esempio, che la Messenia, la regione di Pilo, era divisa in due province, una interna e una esterna, a loro volta frazionate in distretti minori, a capo dei quali erano posti ufficiali distrettuali. L’Argolide, d'altra parte, era attraversata da una rete stradale che collegava tra loro i centri principali (non dimentichiamo che sicuramente a partire dalla metà del II millennio fu introdotto l'uso del carro da guerra con ruote a raggi trainato da cavalli). L'amministrazione e il governo A capo delle monarchie micenee era sicuramente il wànax. Il sovrano miceneo, contrariamente a quello dell’Egitto e di molti popoli dell’area mesopotamica, non era un re-dio, ma svolgeva un ruolo sacerdotale, poiché presiedeva agli atti di culto. Egli non divideva comunque il suo potere e il suo prestigio con una classe di sacerdoti e non sono stati rinvenuti edifici templari autonomi di età micenea. A fianco del sovrano ricopriva poi un ruolo importantissimo il lawagétas, che guidava il gruppo di guerrieri in armi, laòs A livello locale era invece il basilèus, autorità minore cui erano affidati compiti di distribuzione delle materie prime e di organizzazione del lavoro. Erano ovviamente presenti anche gli schiavi, utilizzati per lavori a vantaggio dell'autorità centrale. Tutta questa articolata amministrazione era resa possibile dalla scrupolosa annotazione scritta di tutte le operazioni economiche e delle disposizioni regali riguardanti uomini, mezzi e risorse, che ancora possiamo leggere nelle tavolette d'argilla ritrovate negli archivi di alcuni dei palazzi maggiori, come quelli di Cnosso, Pilo e Tebe, secondo le modalità tipiche dell'economia palaziale. Economia ed espansione dei regni micenei Come accade per la massima parte delle civiltà antiche, anche alla base dell'economia micenea troviamo l'agricoltura, rivolta in special modo a quella che è stata definita la triade mediterranea (grano, ulivo e vite), e la pastorizia (principalmente ovini e caprini). Non è un caso che le regioni che videro il sorgere dei principali centri micenei, l'Argolide, la Messenia, la Tessaglia e la Beozia, contengano anche le più fertili ed estese pianure dell'Eliade. Ma la vera svolta fu determinata, secondo molti studiosi, dal sorgere del commercio. La Grecia micenea seppe infatti porsi al centro tra due sistemi di scambio di diversa natura: quello marittimo gestito dalla "talassocrazia" minoica, collegato all'Oriente, e quello terrestre, basato sul trasporto di merci dall'Europa continentale (stagno, ambra, oro). I celebri bronzisti micenei, fondendo poi lo stagno con il rame di provenienza cipriota, creavano i loro capolavori (armi, bacili, utensili) non solo per le esigenze interne, ma anche per l'esportazione. Inoltre, dopo il crollo della potenza minoica, gli stessi abitanti del continente si lanciarono sul mare e divennero abili navigatori, fondando basi commerciali in molte zone del Mediterraneo: dalle isole Eolie al golfo di Taranto, dalla Sicilia orien- tale a Tell el-Amarna in Egitto e Ugarit in Siria. Cospicui resti di ceramiche e di altri prodotti artigianali micenei fanno pensare a installazioni stabili se non a vere e proprie colonie. Lo spirito di scoperta e insieme i rischi e i timori che accompagnavano l'apertura di nuove rotte a occidente hanno lasciato probabilmente un loro riflesso nelle descrizioni favolistiche e avventurose delle peripezie di Odisseo (Ulisse), riversate alcuni secoli dopo nel famoso poema omerico, l'Odissea, il quale certo riutilizzava materiali narrativi antichissimi. In ambito egeo, a Rodi e a Mi-leto, in Asia Minore, abbiamo invece la testimonianza dell'esistenza non solo di città, ma forse di regni micenei. Gli Ahhiyawa nominati nei testi hittiti del XIV e XIII secolo con il rispetto e la considerazione che si ha verso una grande potenza straniera sono probabilmente da identificarsi con gli Achei, e la loro capitale Millawanda con la città di Mileto. La guerra di Troia Anche Troia, la città della Frigia posta in posizione strategica per il controllo delle rotte provenienti dal Mar Nero, nonché per l'attraversamento dello Stretto dei Dardanelli, il più rapido passaggio dall'Europa all'Asia, presenta vasellame miceneo in diverse fasi della sua esistenza. Essa fu distrutta più volte e altrettante volte fu ricostruita, come testimoniano i suoi numerosi strati archeologici sovrapposti. La città di Troia del VI strato, dotata di splendide mura a blocchi regolari affacciate sulla piana alluvionale dei fiumi Scamandro e Simoenta, fu anch'essa devastata intorno al 1250 a.C. Tale data coincide con una di quelle indicate già dagli antichi per l'assedio e la successiva distruzione da parte degli Achei nella celebre impresa cantata da Omero nell'Iliade. Enorme fu quindi lo scalpore suscitato dallo Schliemann, quando, a seguito di una campagna di scavi condotta tra il 1870 e il 1873, annunziò al mondo intero di aver rinvenuto le rovine dell'antica città di Troia esattamente laddove Omero l'aveva collocata, vale a dire in prossimità dello Stretto dei Dardanelli, e di avervi individuato le tracce di un incendio distruttivo. L’ipotesi che siano stati davvero gli Achei a distruggerla, coalizzati in una grande spedizione d'oltremare effettuata all'apice della loro potenza, con a capo magari il potente wànax di Micene, ha fatto e farà scorrere fiumi d'inchiostro tra crìtici e sostenitori, anche se difficilmente potrà essere dimostrata in maniera inconfutabile. L'INVASIONE DORICA E LA PRIMA COLONIZZAZIONE Il declino del mondo miceneo La guerra di Troia sarebbe stata comunque l'ultima grande impresa espansionistica micenea. Le ricerche archeologiche mostrano che, a partire dal XII secolo, le possenti cittadelle micenee della madrepatria vengono distrutte o abbandonate, e per i tre secoli successivi non vengono più innalzate costruzioni altrettanto monumentali. Il commercio e la navigazione riducono i loro orizzonti rinchiudendosi in un'area limitata del Mediterraneo orientale e lasciando così molte delle principali rotte marittime in mano agli intraprendenti marinai fenici. In seguito al collasso dell'ordine politico, che era garantito dal potere del wànax, i palazzi non esercitano più la loro funzione organizzativa e di controllo sulla vita della comunità e sul territorio circostante, e ciò provoca un processo di frammentazione territoriale congiunto a movimenti migratori di alcune popolazioni. Infatti, mentre le tavolette in Lineare B si esprimevano in una lingua sostanzialmente comune a tutta l'area dei palazzi al termine di questi secoli (XII-IX secolo a.C.) la lingua greca appare suddivisa in cinque grandi gruppi dialettali: ionico-attico, eolico, arcado-cipriota, nordoccidentale, dorico. La prima colonizzazione verso l'Asia Minore Le zone che risultano all'avanguardia in quest'epoca dai caratteri confusi e incerti sono comunque diverse da quelle del periodo precedente. L’Attica e la vicina grande isola dell'Eubea manifestano una maggiore vitalità, tanto che da esse, secondo la tradizione, sarebbe partito il principale flusso migratorio che attraversò l'Egeo per stabilire colonie nella fascia centrale dell'Anatolia, in Asia Minore, detta poi Ionia dal dialetto greco parlato dagli occupanti. Il complesso di movimenti di popolazioni greche verso le coste e le isole dell'Asia Minore prende il nome di prima colonizzazione (XI-IX secolo a.C). L'ipotesi dorica Quali furono le cause di tanti cambiamenti? La tradizione riportata dagli scrittori e dai poeti greci ci parla di un travagliato periodo di conflitti e contrasti interni che avrebbero colpito i remi micenei dopo il ritorno dei vari re dalla spedizione contro Troia. La tragica faida di sangue degli Atridi (la famiglia di Agamennone, che verrà ucciso dalla moglie Clitemnestra e poi vendicato dal figlio Oreste, che ucciderà a sua volta la madre) sarà portata più volte sulle scene teatrali ateniesi del V secolo; la difficile lotta per la riconquista del proprio regno, sostenuta vittoriosamente da Ulisse e perduta invece da Diomede, sarà oggetto dell'Odissea e di altri racconti epici, i quali ci parlano di una serie di "ritorni" (i nòstoi) che avvengono, per la maggior parte dei condottieri achei, in una Grecia in preda al caos e alle lotte per il potere. Una seconda tradizione, altrettanto diffusa fin dal VII secolo a.C, ritiene poi per certa la cosiddetta invasione dorica (1104 a.C.?). I Dori, una stirpe bellicosa di lingua greca, fino ad allora vissuta nella parte centro-settentrionale della penisola, erano guidati, secondo la leggenda, dai figli dell'eroe Eracle, detti Eràclidi, e avrebbero via via occupato alcune delle regioni nelle quali il regime miceneo era entrato già in crisi: l'Argolide, la Laconia, la Messenia e la zona dell'istmo peloponnesiaco, detta Corinzia. La loro irruzione avrebbe provocato la serie di flussi migratori degli Ioni e degli Eoli verso le coste dell'Anatolia e l'isola di Cipro, e poi furono anche i Dori medesimi a migrare. Altre ipotesi sulla fine Alcuni studiosi contemporanei, per spiegare il tramonto della civiltà micenea hanno quindi proposto altre ipotesi: • assalti di popoli non greci (per esempio i "popoli del mare" che, più o meno nello stesso periodo, devastarono il Mediterraneo orientale abbattendo l'impero hittita e attaccando perfino l'Egitto); • ribellioni interne di ceti più umili o schiavi. Nulla impedisce di pensare, comunque, che una o più d'una di queste ipotesi possano costituire la causa primaria del declino dei palazzi micenei e che, successivamente, gli invasori dorici si siano spostati da una regione all'altra della penisola (causa secondaria), provocandone la definitiva caduta e occupando il "vuoto di potere" creato dai precedenti sconvolgimenti. In ogni caso, la civiltà ellenica che esce da questi secoli poveri di testimonianze esplicite, perciò detti "secoli bui" è caratterizzata da importanti elementi di novità, che ne fanno qualcosa di sostanzialmente diverso dalla precedente civiltà micenea. IL MEDIOEVO ELLENICO: UNA NUOVA CIVILTÀ I cosiddetti "secoli bui" Sarebbe assai interessante possedere una documentazione adeguata sulla fase originaria di una civiltà che ha esercitato un così notevole influsso. Purtroppo questi secoli, che vanno dalla metà del XII al IX a.C, non hanno lasciato testimonianze scritte di alcun genere. A partire dalla seconda parte dell’VIII secolo, tuttavia, compariranno le prime tracce di quella scrittura alfabetica che i mercanti greci avevano appreso e perfezionato dai Fenici, e che poi, attraverso l'intermediazione etrusca, fu trasmessa ai Romani. Essa costituisce ancor oggi il sistema di scrittura più diffuso del globo. Il fatto che si sia passati da un tipo di scrittura ancora complicato da usare, come la Lineare B dei Micenei, a un altro più semplice e nello stesso tempo più agile, fa ritenere che in questo periodo, che è stato definito dei secoli bui, si siano verificate profonde trasformazioni sociali e culturali, associate a migrazioni e spostamenti di popoli. L’espressione "secoli bui" non deve però suggerire l'idea che si sia trattato esclusivamente di un'epoca di decadenza o di regresso. Sebbene per qualche tempo in Grecia non si trovino grandi monumenti, né concentrazioni di abitanti o di ricchezze, né raffinati prodotti artistici, è però proprio in questo periodo che si formano quegli elementi nuovi che costituiranno la base della civiltà ellenica. Essa appare fin dal principio assai diversa non solo da quella minoico-micenea, ma anche da tutte le altre civiltà dell'Oriente asiatico e mediterraneo. Frammentati e diversificati L’elemento di rottura più appariscente rispetto al centralizzato e culturalmente omogeneo mondo miceneo è senz'altro quello dell'estrema frammentazione e diversificazione della nuova società ellenica. Un numero notevolissimo di piccole comumità completamente autonome e indipendenti tra loro, appaiono disperse sull'accidentato e montuoso suolo greco, nella miriade di grandi e piccole isole dell'Egeo e lungo le coste frastagliate della Ionia. Ogni centro abitato tenderà ad avere una propria forma di governo e proprie divinità prona, a elaborare un proprio calendario, un proprio sistema di misura e addirittura una propria grafia alfabetica, poiché le stesse lettere verranno scritte in modo diverso a seconda delle località (solo dal 400 a.C. ca. si imporrà la grafia che ancor oggi viene utilizzata e studiata come “alfabeto greco" nelle nostre scuole). Come sostenne giustamente lo storico Gustave Glotz, frammentazione e diversificazione costituirono "la principale caratteristica della Grecia antica", ma anche "la ragione profonda di tutte le sue grandezze e debolezze". Infatti, da un lato esse spinsero la Grecia sulla strada di una straordinaria evoluzione politica e culturale, ma dall'altro la resero, almeno a partire da un certo momento, più vulnerabile rispetto alle vicine entità statali maggiormente coese. Fonti archeologiche Sul piano materiale tre elementi indicano il passaggio a una nuova fase della storia. Il primo è l'introduzione in Grecia della lavorazione del ferro (età del ferro). Gli artigiani greci, per costruire armi o utensili con lama o punta, possono ora ricorrere a un solo metallo, anziché a una lega di due, il rame e lo stagno, necessaria per creare il bronzo. Inoltre il ferro era molto più duro del bronzo, più diffuso e facilmente disponibile nel bacino mediterraneo rispetto allo stagno, che doveva essere importato addirittura dall'Europa settentrionale. Il secondo dato archeologico è il passaggio a un nuovo tipo di sepoltura: non più quello a inumazione tipico dell'età micenea (cioè il seppellimento del corpo umano), ma quello a incinerazione o cremazione (prima di essere sepolto, il corpo viene bruciato e le sue ceneri raccolte in un contenitore, in genere un'urna). È questo per esempio il tipo di cerimonia funebre che vediamo utilizzato per gli eroi dell'Iliade. Sul piano artistico, infine, si afferma tra il X e l'VIII secolo lo stile di decorazione ceramica detto geometrico, basato su schemi figurativi regolari, circolari e rettilinei ripetuti in sequenza sulla sua superficie. Viene eliminato il naturalismo animalistico tipico dell'arte minoico-micenea, e l'interesse per gli elementi reali si concentra semmai nella rappresentazione di piccole figure umane, potentemente semplificate e sintetizzate in pochi tratti essenziali. Fonti letterarie Al di là degli scarsi ritrovamenti archeologici, è però possibile ricorrere a una testimonianza inestimabile per descrivere quest’epoca di passaggio, detta perciò anche medioevo ellenico (medioevo significa "età di mezzo"). È infatti probabile che i poemi omerici, l'Iliade e l’Odissea, anche se si riferiscono a vicende ambientate nella fase finale del mondo miceneo (la spedizione contro Troia e il difficile ritorno in patria degli eroi achei), descrivano in realtà costumi, rapporti di potere, concezioni morali tipiche dell'età immediatamente successiva, cioè proprio quella dei "secoli bui". Si può così tentare di ricostruire, sia pure con molta cautela, 1a società ellenica. LA SOCIETÀ OMERICA: TRA MONARCHIA E ARISTOCRAZIA Due modi diversi di essere re: dal wanax al basilèus Lo stato miceneo era retto dalla figura dominante e solitaria del wànax. Da Omero in poi, invece, la parola prevalentemente usata per indicare il re è basilèus, termine che già nelle tavolette in lineare B indicava un funzionario locale, sottomesso all'autorità centrale. Il crollo delle monarchie micenee aveva lasciato campo libero all'autonomia delle numerose comunità periferiche, le quali riconobbero nel basilèus la loro nuova guida politica e militare. Ma questo "re" non era precisamente un "monarca", non esercitava il potere in modo incondizionato e assoluto (cioè sciolto da vincoli o da controlli). Anzitutto, egli appare circondato da altri re, tant'è vero che il termine basilèus viene molto spesso citato al plurale. A Troia, nel campo militare acheo, gli altri re non si fanno certo sottomettere dal comandante supremo Agamennone, il quale, per esempio, non potrà far nulla per impedire all'irato Achille di ritirarsi dalla battaglia, provocando così gravi danni all'esercito alleato. Per convincerlo a tornare, arriverà a promettergli una figlia in sposa e il dono di alcune città: ma neppure così riuscirà a persuaderlo. Compaiono il Consiglio (boulé) e l'Assemblea (agorà) Inoltre il re, perfino lo stesso Agamennone, che a volte viene ancora appellato con il vecchio titolo di ànax, non è mai lasciato solo nelle sue decisioni. Di fronte a scelte importanti, egli riunisce i capi degli altri contingenti a consiglio (boulé): essi vengono definiti come "gli anziani", anche se non sempre ciò corrisponde a una realtà anagrafica. Nell'ambito del consiglio, che nei poemi omerici viene riunito parecchie volte, gli altri membri discutono, propongono, a volte criticano apertamente la posizione del re, anche se a lui spetta sempre la decisione finale. In certi casi, addirittura, il consiglio si riunisce di fronte all'assemblea di tutto l'esercito in armi, chiamata agorà, che disapprova con il silenzio o acclama con favore le proposte dei capi. Uomini liberi Insomma, sebbene l'ultima decisione (che questo appunto significa il greco boulé) spetti sempre e comunque al re, egli non può non tenere conto del parere dei suoi interlocutori. Anche se nelle comunità omeriche non esistono leggi scritte cui fare riferimento, ma solo consuetudini tramandate oralmente, e anche se non esiste ancora la pratica del voto, è evidente che ci troviamo già in presenza di un sistema politico in cui le decisioni vengono prese attraverso la discussione e il confronto tra le varie opinioni; il re si trova di fronte non a sudditi, ma a uomini liberi, quantunque di rango inferiore. I migliori tra i guerrieri del re, coloro che vengono chiamati suoi hétairoi ("compagni"), lo seguono nelle sue imprese, dividendone il bottino, ne accudiscono la persona e la tenda durante le spedizioni militari, e lo difendono nel momento del pericolo. Tale ruolo, simile a quello di un fidato amico e scudiero, sarà per esempio ricoperto da Patroclo a fianco del più giovane Achille. Il basiléus inoltre non ha alcun legame privilegiato con gli dèi, tale da distinguerlo dagli altri uomini. Non solo non è egli stesso un dio o un suo rappresentante, come nei regimi teocratici, ma non è neppure un grande sacerdote. E, d'altra parte non è in alcun modo legato o condizionato nel suo agire da una casta sacerdotale, che nell'antica Grecia non esisterà mai. Dal potere del re (monarchia) a quello dei "migliori" (aristocrazia) Al termine del medioevo ellenico il regime monarchico appare già in piena crisi. Secondo il racconto dell'Odissee, nell'isola di Itaca, in assenza di Ulisse, i pretendenti (i Proci), occupano la sua reggia consumandone i beni, fanno pressione sulla regina Penelope affinché sposi uno di loro, e arrivano ad attentare alla vita del giovane principe Telemaco: questi giovani nobili rappresentano, sotto vari aspetti, quel nuovo ceto aristocratico che soppianterà in breve tempo l'autorità regia in quasi tutto il mondo greco. Oltre che ai prolungati banchetti, i pretendenti si dedicano infatti alle gare di atletica con il lancio del disco e del giavellotto, al canto e alla danza, tutte attività tipiche dell'aristocrazia. Riuniti nelle grande sala del focolare si dilettano inoltre ad ascoltare il canto poetico degli aèdi ispirato alle imprese degli eroi e alle vicende degli dèi. Già nel corso dell'VIII secolo, dunque, una nobiltà terriera, bellicosa e insofferente di qualunque autorità superiore, si impadronisce quasi dappertutto del potere gestendolo in assoluta autonomia. Discendenti da una famiglia illustre, il génos, i nuovi signori si definiranno orgogliosamente "i migliori" (àristoi). La guerra e i pubblici consigli saranno gli ambiti in cui competeranno tra loro, cercando di essere allo stesso tempo, come dice Omero (IX, 443), "abili parlatori ed tutori d'imprese". LA SOCIETÀ OMERICA: L'ECONOMIA E IL DÈMOS II popolo (dèmos) e gli schiavi I poemi omerici citano solo di sfuggita, soprattutto nell'Odissea, personaggi di basso livello sociale come mendicanti, artigiani o schiavi. Ma ciò non deve farci dimenticare che anche la società degli albori della storia greca era composta da strati di popolazione diversi tra loro. La distinzione sociale principale del mondo omerico era quella esistente tra gli àristoi e il resto del popolo, detto dèmos, costituito in gran parte da contadini liberi. Gli schiavi costituivano, evidentemente, un gruppo a parte: essi erano il frutto di scorrerie effettuate a scopo di rapina in terre straniere, nel corso delle quali era prassi uccidere tutti i maschi adulti e impadronirsi di donne e bambini, destinati a servire nelle dimore dei vincitori. Tra i liberi, invece, il più basso gradino della scala sociale era occupato dai teti, braccianti rimasti senza averi e senza terra, che vendevano la propria opera ai proprietari terrieri in cambio di un modesto salario. Una posizione ambigua occupavano invece gli artigiani, detti demiurghi: essi erano fabbri, falegnami, guaritori, ma anche indovini, artisti, aèdi o araldi. Essi non erano legati a una particolare comunità, ma vagavano spesso da un centro abitato all'altro per offrire le proprie prestazioni. Un'economia domestica Contrariamente all'organizzazione produttiva centralizzata del mondo miceneo, diretta dal palazzo regale, quella che troviamo al termine dei medioevo ellenico è essenzialmente un'economia domestica. La stessa parola economia, del resto, di origine greca, significa originariamente "amministrazione della casa" (óikos). La casa è qui intesa complessivamente come dimora, come gruppo familiare e come proprietà. Come dimora, essa è composta da un cortile, da stalle, da un portico per gli ospiti, da depositi di beni e di armi, dalle stanze per le donne (poi dette gineceo) e soprattutto dalla sala centrale con il focolare e i sedili per il banchetto degli uomini. Come gruppo familiare, l’óikos comprende i genitori e i figli, ma anche gli schiavi. Dei suoi componenti solo il maschio adulto è completamente libero; la donna non lo è mai pienamente, in quanto sottoposta prima all'autorità paterna, poi a quella del marito; i figli maschi non lo sono ancora, in quanto minorenni; gli schiavi – infine – non lo sono per definizione. Come proprietà essa è composta non solo dagli edifici, ma anche dal lotto di terra detto kléros, in genere ereditario. L’oikos è dunque anche un'unità produttiva. In essa si producono, si lavorano e si conservano quasi tutti i beni che servono a mantenere i suoi abitanti. Non per questo la casa è del tutto autosufficiente. Mentre la donna dirige le attività che si svolgono all'interno (allevamento dei figli, tessitura, vigilanza della servitù), l'attività dell'uomo è infatti prevalentemente rivolta verso l'esterno. A seconda del suo grado di benessere, egli partecipa o meno agli affari pubblici, può saltuariamente dedicarsi alla compravendita di beni al fine di integrare le risorse domestiche oppure avviare una vera e propria attività commerciale. Tuttavia gli scambi a lunga distanza non sono esenti da rischi, anche a causa della pirateria. Esiodo: squilibri sociali e amministrazione della giustizia Il fatto che il diritto consuetudinario stabilisse la divisione del podere paterno tra tutti i figli maschi legittimi portava spesso a una frammentazione della proprietà agricola, la quale a volte non bastava più a sostentare con sicurezza il nuovo nucleo familiare; per i piccoli proprietari, inoltre, c'è sempre la possibilità che un rovescio della fortuna, sotto forma di siccità, di carestia, di malattia, porti alla rovina economica l'intero gruppo familiare, riducendo i suoi componenti al rango di teti, o addirittura a quello di schiavi, per non aver potuto saldare i debiti contratti nelle avversità. Il poeta Esiodo, nel suo Le Opere e i Giorni, ci descrive un mondo più quotidiano, più duro, più concreto rispetto a quello epico, fatto di lavoro, di fatiche, di piccole e grandi ingiustizie: le liti e i contrasti giudiziari, soprattutto in assenza di leggi scritte, sono un'altra fonte di rischio per il piccolo proprietario, poiché i re, che hanno funzione di arbitri in tali casi, non sono sempre animati da spirito di equità e il loro arbitrato richiede sempre l'esborso di un compenso dalle parti in causa, sicché Esiodo non esita a definirli “mangiatori di doni". I conflitti sociali e le lotte per l'uguaglianza politica che agiteranno in seguito la storia greca dimostrano che Esiodo aveva individuato alcuni dei problemi che porteranno alla ricerca di forme di organizzazione civica nella Grecia dei secoli successivi.