Sacrario di Redipuglia e postazioni del Carso - Scarpa

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Sacrario di Redipuglia e postazioni del Carso - Scarpa
Il Carso
Il Carso è l'altipiano brullo e roccioso che abbraccia Trieste e copre la parte più
orientale del Friuli Venezia Giulia, estendendosi al di là del vecchio confine, in
territorio sloveno. Nella landa carsica, dietro ad ogni roccia può nascondersi un
muricciolo che in passato delimitava il perimetro degli antichi castellieri. O una
fenditura della roccia che si apre poi in una gola spettacolare.
Carso deriva dal tedesco Karst, un termine che a sua volta trae origine dalla parola
indoeuropea “Kar” che significa rupe, roccia. Si tratta di un’anticlinale, cioè una piega
a gobba, allungata in direzione nord-ovest sud-est situata in una vasta area ripartita
fra Slovenia, Croazia e Italia. La parte italiana è conosciuta come “Carso triestino” ed
è limitata a NO dalle alluvioni dell’Isonzo, a NE dal tratto finale del Vipacco, a SE dal
solco della Val Rosandra e a SO dall’Adriatico quindi, la parte rimasta entro i nostri
confini politici, abbraccia, oltre all’intera provincia di Trieste, anche parte di quella di
Gorizia. Il territorio non italiano del Carso si estende a sud verso l’Istria e la Dalmazia
settentrionale e a nord-est verso la zona di Postumia e la Selva di Tarnova, fino alla
pianura di Lubiana.
Il Carso è rappresentato da fenomeni molto tipici, legati alle caratteristiche chimiche e
strutturali delle rocce e all’azione di modellamento da parte degli agenti atmosferici
sulle rocce stesse. Il fenomeno carsico non è limitato alla regione geografica sopra
citata, ma si estende su vaste aree del bacino del Mediterraneo ed extraeuropee dove
i fenomeni sono anche più intensi ed importanti di quelli che si osservano sul Carso
propriamente detto. In realtà la notorietà di questa zona è dovuta al fatto che qui sono
stati studiati per primi, con criteri rigorosamente scientifici, questi fenomeni. Per questo
motivo il termine “carsismo” è stato adottato dalla Geologia ufficiale per definire
qualsiasi territorio che presenti caratteristiche geologiche e morfologiche tipiche di
questa regione.
L'altopiano carsico ha una grande importanza naturalistica, sia per la sua particolare
geologia che per la flora e la fauna che lo caratterizzano. La particolare posizione
geografica, proprio nella zona di passaggio fra il clima atlantico e quello continentale,
crea microclimi che arricchiscono la flora nelle sue specie e ne diversificano il
paesaggio: l'asperità di roccia e pietra, elementi prevalenti del Carso, contrasta con la
vitalità della vegetazione autoctona e della fauna, creando un contrasto visivo
straordinariamente unico e affascinante.
Il Carso Isontino è la parte nord-occidentale del Carso italiano ed è
convenzionalmente separato da esso dalla foce del Timavo. Tristemente noto per
essere stato uno dei maggiori teatri della Grande Guerra e data la presenza di
numerosi resti di opere militari, questo luogo oggi rappresenta una significativa
testimonianza di questo evento. Percorrendo i numerosi itinerari da trekking o in
mountain-bike, potrai scoprire che quasi ogni collina nasconde tra la vegetazione
qualche trincea e fortificazione. Ma oltre alle testimonianze della Grande Guerra, il
Carso Isontino è anche ricco di una natura unica tutta da scoprire: un paesaggio
naturale di rara bellezza, tipici borghi perfettamente inseriti nel contesto ambientale
nel Carso Triestino, la riserva naturale dei laghi di Doberdò e Pietrarossa, i boschi e i
vigneti sparsi in tutta la zona.
Le dodici battaglie dell’Isonzo
Nella storia militare d’Italia l’Isonzo è ricordato soprattutto perché lungo il suo corso,
tra il maggio 1915 e l’ottobre 1917, si svolsero le dodici grandi battaglie contro
l’esercito austroungarico, nelle quali si compendia gran parte della Prima guerra
mondiale sul fronte italiano. Le prime quattro battaglie si svolsero nel 1915 tra giugno
e dicembre ed ebbero carattere di guerra di posizione. Gli obiettivi territoriali raggiunti
furono pressoché trascurabili, ma l’Austria fu obbligata a inviare sul fronte italiano
forze sempre più numerose. In particolare, le prime due battaglie costituirono il
tentativo di alleggerire la pressione tedesca sul fronte orientale, mentre la terza e la
quarta erano volte a diminuire la pressione degli imperi centrali sulla Serbia. Nel
1916, quando si profilò la minaccia della Strafexpedition sul Trentino, vi fu la quinta
battaglia (11-19 marzo), in cui l’offensiva italiana venne respinta. Quindi il generale
Cadorna riprese i preparativi: tra il 27 luglio e il 4 agosto spostò uomini e mezzi dal
Trentino sull’Isonzo (300.000 uomini, 57.000 quadrupedi, 9810 carri) e attaccò di
sorpresa gli austriaci, le cui forze erano relativamente scarse. L’attacco del 6-17
agosto (6ª battaglia dell’Isonzo) portò alla conquista di Gorizia. Venuta meno, anche
per troppa lentezza di esecuzione, la rottura del fronte a oriente di Gorizia, la 7ª (1416 settembre), l’8ª (9-12 ottobre) e la 9ª (31 ottobre-4 novembre 1916) battaglia
rientrarono nello schema degli impegni di logoramento. Nel 1917 si ebbe la 10ª
battaglia dell’Isonzo (12 maggio-7 giugno); l’offensiva italiana fu sferrata sette giorni
dopo la fine di quella franco-britannica. La battaglia superò di gran lunga le nove
precedenti, senza conseguire peraltro lo sfondamento. Si pose mano allora con
mezzi ancora maggiori all’11ª battaglia (17 agosto-15 settembre); l’attacco fece
realizzare una penetrazione di 10 km nel dispositivo di difesa nemico, ma fece
contare numerose perdite tra le truppe italiane. Alla fine della battaglia gli austriaci
disponevano però di sole 24 divisioni, di fronte alle 51 degli italiani. Fu dunque
decisa un’offensiva austro-tedesca volta ad allontanare il pericolo ormai imminente
su Trieste, ricacciando gli italiani di là dalla frontiera dell’Isonzo. La 12 a e ultima
battaglia dell’Isonzo, meglio nota come battaglia di Caporetto, iniziò il 24 ottobre;
dopo un bombardamento di artiglieria durato sei ore, l’attacco austrogermanico
penetrò subito in profondità. Elementi scelti tedeschi travolsero le difese italiane e,
rapidamente progredendo per il fondovalle, raggiunsero Caporetto lo stesso giorno.
Il 26 cadde senza resistenza Monte Maggiore, su cui Cadorna contava come cardine
di una difesa in seconda linea; già alla sera dello stesso giorno, il grosso
dell’esercito italiano era in pericolo, per cui poco dopo la mezzanotte del 27 fu dato
l’ordine definitivo di ritirata. Gli scontri proseguirono poi fino al 12 novembre,
spostandosi dalla zona dell’Isonzo a quella del Tagliamento e poi del Piave.
Sacrario militare di Redipuglia
Monumentale cimitero militare, detto anche Sacrario "dei Centomila", costruito in
provincia di Gorizia in epoca fascista e dedicato alla memoria di oltre 100.000 soldati
italiani caduti durante la prima guerra mondiale nelle zone circostanti, in parte sepolti
inizialmente sull'antistante Colle di Sant'Elia. Il monumento è il fulcro di un parco
commemorativo di oltre 100 ettari che comprende una parte del Carso triestinogoriziano, teatro durante la Grande Guerra di durissime battaglie (battaglie
dell'Isonzo). Le enormi dimensioni e l'ampia area coinvolta a parco della memoria ne
fanno il più grande sacrario militare d'Italia e uno dei più grandi al mondo. L'unica
donna seppellita nel sacrario è una crocerossina morta a 21 anni di nome
Margherita Kaiser Parodi Orlando. La sua tomba si trova al centro del primo gradone
e si distingue perché nella facciata c'è scolpita una grande croce.
Ogni 4 novembre, alla presenza del presidente del Senato, in sostituzione del
presidente della Repubblica impegnato in contemporanea in celebrazioni analoghe
all'Altare della Patria, il sacrario serve come luogo di commemorazione per tutti i
689.000 soldati morti durante la prima guerra mondiale. La grande scalinata di pietra
che forma il sacrario di Redipuglia (dallo sloveno "sredij polije" ovvero “terra di
mezzo") è collocata direttamente davanti alla collina di Sant'Elia, sede del
precedente cimitero di guerra i cui resti furono traslati nell’attuale sacrario
monumentale. Tutta l’area è stata convertita a parco del "ricordo" o della
"rimembranza": gallerie, trincee, crateri, munizioni inesplose e nidi di mitragliatrice
sono stati conservati sul sito a ricordo della guerra.
Il memoriale monumentale è stato progettato da un gruppo di lavoro presieduto
dall'architetto Giovanni Greppi e dallo scultore Giannino Castiglioni. I lavori
iniziarono nel 1935 con un impiego enorme di uomini e mezzi che dopo 3 anni
ininterrotti di lavori permisero l'inaugurazione del monumento il 18
settembre del 1938 alla presenza di Mussolini e di più di 50.000 veterani
della Grande guerra.
L'opera, realizzata sulle pendici del monte Sei Busi, cima aspramente
contesa nella prima fase della Grande guerra (prima, seconda e quarta
battaglia dell'Isonzo), si presenta come uno schieramento militare con alla
base la tomba di Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, comandante della
3ª Armata, cui fanno ala quelle dei suoi generali. La struttura è composta
da tre livelli e rappresenta simbolicamente l'esercito che scende dal
cielo, alla guida del proprio comandante, per percorrere la Via Eroica. In
cima, tre croci richiamano l'immagine del Monte Golgota e la
crocifissione di Cristo.
Recinge simbolicamente l'ingresso al sacrario, ai piedi della monumentale
scalea, una grossa catena d'ancora che appartenne alla torpediniera
"Grado", già appartenuta alla marina austro-ungarica con il nome di
"Triglav" e ceduta all'Italia dopo la fine della guerra. Subito oltre, si
distende in leggero declivio un ampio piazzale, lastricato in pietra del
Carso, attraversato sulla sua linea mediana dalla via Eroica, che corre tra
due file di lastre di bronzo, 19 per lato, di cui ciascuna porta inciso il nome
di una località dove più aspra e sanguinosa fu la lotta. In fondo alla via
Eroica si eleva solenne la gradinata che custodisce, in ordine alfabetico
dal basso verso l'alto, le spoglie di 40.000 caduti noti ed i cui nomi
figurano incisi in singole lapidi di bronzo. La maestosa scalinata, formata
da 22 gradoni (alti 2,5 metri e larghi 12) su cui sono allineate in ordine
alfabetico le tombe dei caduti, sul davanti ed alla base della quale sorge,
isolata quella del duca d'Aosta, comandante della 3ª armata,
fiancheggiata dalle urne dei suoi generali caduti in combattimento, è
simile al poderoso e perfetto schieramento d'una intera grande unità di
centomila soldati.
Il duca d'Aosta, morto nel 1931, chiese di avere l'onore di poter essere qui
deposto tra le migliaia di soldati che persero la vita sul campo di battaglia.
La tomba è ricavata in un monolito in marmo rosso della Val Camonica
del peso di 75 tonnellate. Seguono disposte su ventidue gradoni le salme
dei 39.857 caduti identificati. Le iscrizioni recano tutte la scritta
"Presente", che si rifà al rito d'appello dello squadrismo ove il capo delle
squadre gridava il nome del camerata defunto e la folla inginocchiata
rispondeva con il grido "Presente". Nel ventiduesimo si trovano i resti di
72 marinai e 56 uomini della Guardia di Finanza.
Arrivati al termine della scalinata e dei gradoni, due grandi tombe coperte
da lastre di bronzo custodiscono i resti di oltre 60.330 soldati ignoti.
Oltrepassate si arriva in cima al sacrario dove la visita può continuare
visitando la piccola cappella che custodisce la "Deposizione" e le formelle
della Via Crucis dello scultore Castiglioni. Sopra a questa struttura
religiosa si trovano le tre croci in bronzo. Nella cappella e nelle due sale
adiacenti sono custoditi oggetti personali dei soldati italiani e austroungarici, le fotografie del primo Sacrario di Redipuglia, numerosi
documenti e reperti bellici. Il grande sacrario oggi è una sorta di museo
all'aperto noto come parco della Rimembranza. La memoria della guerra
qui varca i confini nazionali senza distinzione di bandiera. Questo
concetto è ribadito dalla testa in pietra del Cristo dolente, custodito
nell'altare della cappella, ritrovato in una dolina del Carso. Pregevole è il
rivestimento in marmo nero della Cappella, a simboleggiare una lapide
tombale.
Lungo il viale adornato da alti cipressi, segnano il cammino cippi in pietra
carsica con riproduzioni dei cimeli e delle epigrafi che adornavano le
tombe del primo sacrario. Sulla sommità del colle un frammento di
Emanuele Filiberto Duca d'Aosta (Genova 1869 Torino 1931), cugino di Vittorio Emanuele III, entrò a
far parte dell'esercito nel 1905. La sua carriera fu
brillante e dieci anni più tardi, quando venne
ufficializzata la guerra contro l'Austria-Ungheria,
Emanuele Filiberto fu nominato comandante della
Terza Armata nel settore del Basso Isonzo. Il Duca
d'Aosta stabilì la sua sede presso Villa AttemsBresciani a Cervignano del Friuli e guidò gli assalti dei
suoi uomini in tutte le undici battaglie dell'Isonzo.
Durante la Sesta Battaglia contribuì, con la conquista
del Monte San Michele, all'entrata dell'esercito italiano
a Gorizia mentre non riuscì mai a superare le linee
difensive austro-ungariche poste sul Monte Ermada.
Con la disfatta di Caporetto fu costretto a retrocedere
nonostante la sua Armata non fosse stata coinvolta
nei combattimenti. Si dispose lungo il Basso Piave e
dopo la Battaglia Finale riconquistò il terreno perduto
l'anno precedente. Non essendo mai stato sconfitto
sul campo, Emanuele Filiberto venne ribattezzato "Il
Duca Invitto".
colonna romana, proveniente dagli scavi di Aquileia, celebra la memoria dei
caduti di tutte le guerre, "senza distinzione di tempi e di fortune". Sul pianoro,
a Quota 89, si trova l'Osservatorio e un plastico del territorio che evidenzia la
linea di confine all'alba del 24 ottobre 1917, il giorno della Dodicesima
Battaglia dell'Isonzo. L'impianto, considerato il più monumentale ossario di
epoca fascista, incarna "l'apoteosi dell'uguaglianza, dell'anonimità e della
disciplina militare oltre la morte, un trionfo - scolpito nella pietra - dell'istanza
collettiva sull'identità individuale".
Il Monte Son Michele, con i suoi 275 metri sul livello del mare, venne
conquistato il 7 agosto 1916 dopo ripetuti tentativi da parte dei soldati italiani.
Sul San Michele sono visitabili la Caverna gen. Lukachich, il
SchönburgTunnel e la Galleria della III Armata. Ai piedi della balconata, dalla
quale i soldati austro-ungheresi dominavano la valle dell'Isonzo e tenevano
sotto controllo la città di Gorizia, si trova la trincea di prima linea italiana sulla
quale i reparti austro-ungheresi liberarono il gas all'alba del 29 giugno 1916.
Il Monte Sei Busi, che si trova a destra del Sacrario di Redipuglia, presenta
ancora oggi la landa carsica che caratterizzò l'aspro paesaggio carsico agli
inizi del 1900. Sono ancora evidenti e visitabili i resti delle trincee italiane e
austriache nelle quali i soldati combatterono le prime Battaglie dell'Isonzo.
L’esigua distanza fra i due schieramenti fa capire quanto anomala fosse
questa guerra. In alcune zone infatti, la distanza era così ridotta che i soldati
avrebbero potuto colpirsi anche lanciandosi delle pietre. Le targhe che ancor
oggi sono visibili nel "trincerone italiano" ci indicano quali e quando i vari
reparti hanno combattuto nelle varie linee.
Fra le Alture di Palazzo incontriamo ciò che ancor oggi viene chiamata "l'Area
delle Battaglie" dove sono visibili sia linee trincerate italiane e austriache del
'15 sia seconde linee italiane costruite tra il '16 e il '17 (che spesso vennero
costruite su precedenti scavi austriaci). Per occupare questo famoso
fazzoletto di terra persero la vita moltissimi soldati italiani fra i quali anche
Filippo Corridoni, al quale l'amico Benito Mussolini, dopo la fine del conflitto,
fece erigere un totem (costruito su progetto di Francesco Ellero) che tutt’oggi
porta ancora i simboli del regime fascista: mano alta in segno di saluto e
l'aquila che guarda ed est. La trincea più difficile da occupare per le truppe
italiane fu la Trincea delle frasche, situata a poca distanza dal Cippo
Corridoni e caratterizzata da un camminamento sotterraneo che la mette in
collegamento con la vicina Dolina Bersaglieri. Nelle vicinanze della Trincea
delle frasche troviamo il Cippo Brigata Sassari, ad essa dedicato in ricordo
delle sue eroiche gesta durante il periodo bellico.
La Dolina dei Cinquecento nota anche con il nome di Dolina dei
Bersaglieri, per la presenza del fregio di quel reggimento, rappresenta un sito
di notevole interesse storico. Al suo interno, infatti, sono presenti alcuni resti di
ruderi di strutture in muratura di quello che era un posto di medicazione
avanzato per la linea del fronte di San Martino. Interessanti sono i graffiti sulle
pareti di questa struttura, uno raffigurante l’effige del 15° Reggimento
Bersaglieri e l’altro che riporta i nomi degli ufficiali medici che lavoravano
presso il punto medicazione. Durante i lavori è stata scoperta una targa al
centro della dolina, che testimonia la presenza di una fossa comune che
conteneva i corpi di cinquecento soldati. La dolina dei Cinquecento e il Monte
Sei Busi hanno anche ospitato la troupe televisiva della trasmissione di Ulisse
di Alberto Angela, la redazione di TG2 Dossier e diversi produttori di film e
documentari sulla Prima Guerra Mondiale; occasioni queste davvero uniche
che ha fatto conoscere questi siti a livello nazionale ed internazionale.
Sono una creatura
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo