La gestione dell`ictus in un reparto di Medicina Interna. Osservatorio

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La gestione dell`ictus in un reparto di Medicina Interna. Osservatorio
Osservatorio
Vol. 95, N. 3, Marzo 2004
La gestione dell’ictus in un reparto di Medicina Interna.
Limiti e prospettive
Monica Negri, Alessandra Martignoni, Jordan Baccheschi,
Giovanna Santilli, Eugenia Marchesi
Riassunto. Il ricovero presso reparti specificamente “dedicati” è vantaggioso nel ridurre mortalità e grado di disabilità residua nei pazienti colpiti da ictus; tuttavia la loro disomogeneità di distribuzione sul territorio fa sì che la maggior parte dei pazienti venga
ricoverata presso Unità Operative di Medicina Interna. In questo studio ci si è proposti
di misurare nell’anno 2001 la dimensione del problema ictus nell’UO di Medicina Interna, Malattie Vascolari e Metaboliche dell’IRCSS Ospedale S. Matteo di Pavia, di verificare l’adesione alle linee guida e di evidenziare i principali problemi che emergono nella
gestione del paziente con ictus. Nel 2001 sono stati ricoverati 143 casi di ictus: 126 ischemici, 17 emorragici, con età media di 73 anni. I fattori di rischio più frequenti erano la
presenza di ipertensione arteriosa, diabete mellito, fibrillazione atriale e tabagismo. Il
59% dei ricoveri avveniva entro 6 ore dall’insorgenza dei sintomi. Dei 126 casi di ictus
ischemico, il 17,5% è risultato aterotrombotico, il 16,7% cardioembolico, il 23,8% di tipo
lacunare, il 42% ad eziologia non identificata. Si è osservata una prevalenza di sindromi
lacunari del 40%. L’80% dei pazienti è stato sottoposto a tomografia computerizzata, il
50% ha eseguito durante il ricovero un esame ecoDoppler dei tronchi sovraortici e il 38%
un esame ecocardiografico. Il 61% dei pazienti con ictus ischemico è stato trattato precocemente con terapia antiaggregante. La prevalenza di complicanze è stata maggiore nei
soggetti più anziani. La mortalità intraospedaliera è stata del 17%, influenzata dall’età,
dalla presenza di ipertensione arteriosa, di grave compromissione del sensorio all’ingresso, dalla natura cardioembolica e dalla presenza di complicanze. L’adesione alle linee
guida nazionali è risultata scarsa e ciò comporta insufficiente accuratezza nella diagnosi patogenetica e difficoltà nell’effettuare scelte terapeutiche coerenti e corrette. È auspicabile che, almeno in Ospedali di grande utenza, venga identificato, nell’ambito dei reparti di Medicina Interna, uno spazio dedicato alla patologia cerebrovascolare acuta con
personale selezionato, addestrato e motivato.
Parole chiave. Adesione alle linee-guida, ictus.
Summary. Management of stroke in a ward of Internal Medicine. Limits and prospects.
Precocious admission to specifically “dedicated” wards proved to improve reduction of
mortality and degree of residual disability in patients with stroke, even if their inhomogeneous distribution gets most patients admitted to wards of Internal Medicine. We purposed to evaluate the importance of this problem, to check adhesion to the national guidelines and to show the main problems in management of patients with stroke in the
Operative Unit of Internal Medicine, Vascular and Metabolic Diseases of the IRCCS
S. Matteo Hospital of Pavia. 143 patients with stroke were admitted in 2001, 126 were
ischemic, 17 hemorragic; the mean age was of 73. The most frequent risk factors were hypertension, diabetes, smoke and atrial fibrillation. 59% of patients were admitted within 6 hours from onset of symptoms. Within the ischemic subtypes, 17.5% were
atherotrombothic, 16.7% cardioembolic, 23.8% lacunar and 42% with undetermined etiology. Lacunar syndromes were the most part. 80% of patients underwent computed tomography, 50% underwent epiaortic Doppler sonography, 38% echocardiography. 61% of
ischemic subtypes underwent acute antiplatelet treatment. Complications were prevalent
in oldest patients. Mortality of inpatients was 17%, influenced by age, hypertension, severe sensorial compromission at admission, cardioembolism and complications. This
study proved leak of adhesion to national guidelines which brought to inadequate accuracy in diagnosis and difficulty in making correct and coherent therapeutic choices. At
least in great hospitals, “dedicated” areas in wards of Internal Medicine with selected,
trained and motivated staff should be desirable.
Key words. Adhesion to guidelines, stroke.
UO di Medicina Interna, Malattie Vascolari e Metaboliche, IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia.
Pervenuto il 24 marzo 2003.
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Introduzione
Recenti dati provenienti dall’ultimo aggiornamento delle autorevoli linee guida italiane sull’ictus (Stroke Prevention and Educational Awareness, SPREAD 1) confermano che, anche in Italia,
come negli altri Paesi industrializzati, l’ictus è la
terza causa di morte e la prima di causa di invalidità 2,3.
In Italia si stimano 186000 nuovi casi all’anno,
con incidenza massima nei soggetti più anziani4.
Risulta quindi che il 75% degli ictus colpisce l’età
geriatrica 5,6. Inoltre, ad incidenza costante della
patologia, il cambiamento della struttura demografica, con l’aumento di soggetti di età avanzata,
porterà ad un ulteriore incremento del numero di
nuovi casi, superiore a 200.000/anno entro il 2008,
senza includere i casi di recidiva.
In base alle stime nazionali ci si attende che in
tale periodo si verifichino almeno 200 nuovi casi di
ictus all’anno a Pavia e circa 1000 nella provincia.
L’IRCCS Policlinico San Matteo (OSM) di Pavia
è l’unico ospedale della città dotato di Servizio di
Pronto Soccorso Accettazione (PSA): nell’anno
2001 i pazienti con diagnosi di accoglimento di generica malattia cerebrovascolare acuta sono stati
588, in ciò confermando la missione, non solo cittadina, ma anche provinciale ed extraprovinciale
dell’OSM.
Di questi soggetti, circa il 3% è stato ricoverato
in Rianimazione, una percentuale sovrapponibile
ha trovato collocazione nel reparto di Neurochirurgia, un 5% è stato inviato all’IRCCS Istituto
Neurologico C. Mondino della città, privo purtroppo di un servizio di PSA, ma dotato di un Servizio
di Stroke Unit sub intensiva.
La grande maggioranza dei pazienti è stata
pertanto ricoverata nei Reparti di Medicina Generale e nel Presidio Medico dell’OSM, distaccato a
Belgioioso.
Recenti revisioni sistematiche hanno dimostrato che il ricovero precoce, presso Reparti specificamente “dedicati”, sia vantaggioso nel ridurre mortalità e grado di disabilità residua dei pazienti
colpiti da ictus 7,8. Allo stato attuale, la distribuzione disomogenea ed insufficiente, anche su scala nazionale, di strutture specifiche per le patologie cerebrovascolari, comporta che solo una piccola
parte dei soggetti colpiti da ictus acceda a strutture specializzate, per cui i Reparti di Medicina Interna rimangono le Unità di Cura precipuamente
coinvolte nella gestione di questa patologia; d’altro
canto, questa situazione di fatto appare, almeno
sul piano teorico, giustificata dal carattere multidisciplinare di tale patologia.
Anche nella realtà pavese, la verifica dei dati
delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) negli ultimi 5 anni ha mostrato che la diagnosi di
malattia cerebrovascolare acuta si colloca costantemente entro i primi tre posti per frequenza presso la nostra Unità Operativa (UO) di Medicina Interna Malattie Vascolari e Metaboliche.
Data quindi la rilevanza numerica di tale patologia, il nostro Istituto ha cercato di migliorare la
gestione dei pazienti colpiti da ictus, attraverso pe-
riodici incontri di diffusione delle linee guida nazionali e di successivi aggiornamenti, rivolti al personale medico ed infermieristico, anche in collaborazione con altre UO dell’OSM di Pavia.
Finalità
Con questo studio ci si è proposti di misurare in
modo accurato nell’anno 2001 la dimensione del
problema ictus nell’UO di Medicina Interna Malattie Vascolari e Metaboliche, allora dotato di 53
posti-letto; di verificare se ed in che misura la gestione del paziente era coerente con le linee guida
e di evidenziare i principali problemi che si pongono nella realtà dell’UO per la assistenza al paziente con ictus.
Materiali e metodi
Lo studio è di tipo retrospettivo. Sono state selezionate, nell’ambito delle SDO dal 1 gennaio al 31 dicembre 2001, le diagnosi, secondo la classificazione ICD-9
CM, di ictus emorragico (cod 430; 431; 432) o ischemico maggiore (434) oppure le vasculopatie cerebrali acute generiche (436 e 437). Sono state esaminate tutte le
cartelle, verificando l’aderenza delle diagnosi di ictus
ai criteri proposti dall’OMS e sono stati inseriti in un
database alcuni parametri epidemiologici e clinici dei
pazienti. In particolare sono stati rilevati: dati anagrafici, fattori di rischio, modalità di presentazione, indagini diagnostiche, terapia praticata in acuto, evoluzione, classificazione patogenetica dell’ictus,
utilizzando i criteri del Trial Of danaparoid in Acute
Stroke Treatment (TOAST 9,10), e la classificazione di
sede secondo i criteri dell’Oxfordshire Community
Stroke Project (OCSP 11).
Risultati
Dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2001 sono stati ricoverati, nei 53 letti della nostra UO, 143 casi di ictus,
che rappresentano il 7,9% dei ricoveri annui.
Epidemiologia e gravità
Dei 143 pazienti, 119 (83%) venivano ricoverati per
un primo episodio di ictus, mentre in 24 casi (17%) si
trattava di recidive.
I casi di ictus ischemico erano 126 (88%), quelli di ictus emorragico erano 17 (12%). La percentuale di recidive era ugualmente rappresentata nei due gruppi.
L’età media era di 73±12aa, l’81% era di età uguale
o superiore a 65anni.
Nel 59% dei casi il ricovero avveniva entro 6 ore dall’insorgenza dei sintomi, nel 92% dei casi entro le 24 ore.
Circa la gravità dell’ictus al momento del ricovero,
applicando la scala di Glasgow per il coma (GCS), si è riscontrato nel 9% dei casi un punteggio <9; nel 4% un
punteggio compreso fra 10 e 12 e nell’87% un punteggio
fra 13 e 15 (figura 1 alla pagina seguente).
Fattori di rischio
Nella tabella 1 è rappresentata la prevalenza dei fattori di rischio, sia nella casistica globale che in quella
suddivisa fra ictus ischemici ed emorragici.
M. Negri et al.: La gestione dell’ictus in un reparto di Medicina Interna
Figura 1. Punteggio GCS dei pazienti all’ingresso in Reparto.
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Figura 2. Diagnosi eziologica degli ictus ischemici secondo i criteri TOAST.
Tabella 1. - Prevalenza dei fattori di rischio per ictus
nella popolazione considerata.
Fattori
di rischio
Età ≥65 aa
Sesso maschile
Ipertensione arteriosa
Diabete mellito
Fibrillazione atriale
Fumo
Potus
Dislipidemia
Stenosi carotidea
Estroprogestinici
Ictus
Ictus
Ictus
totali ischemici emorragici
(n=143) (n=126)
(n=17)
%
%
%
81
49
67
20
20
20
9
8
3
1
82
49
65
21
21
19
10
10
4
1
76
47
82
29
12
12
6
0
0
0
Inquadramento patogenetico e diagnosi di sede dell’ictus
Dei 126 casi di ictus ischemico, considerando i criteri TOAST, il 17,5% è risultato aterotrombotico, il 16,7%
cardioembolico, il 23,8% di tipo lacunare da occlusione
dei piccoli vasi, ben il 42% risultava ad eziologia non
identificata (figura 2).
In base alla disamina della cartella clinica, seguendo i già citati criteri OCSP per l’individuazione del territorio cerebrale interessato dall’evento ischemico, si è
osservata una prevalenza di sindromi lacunari (LACS)
del 40%, di sindromi complete del circolo anteriore
(TACS) del 27%, di sindromi del circolo posteriore
(POCS) del 12% e di sindromi parziali del circolo anteriore (PACS) del 21% (figura 3).
Per quanto riguarda le indagini diagnostiche, l’80%
dei pazienti è stato sottoposto a tomografia assiale computerizzata (TC) dell’encefalo: di questi il 60% ha eseguito TC encefalo nelle prime 24 ore di degenza, altri 7
(5%) hanno eseguito l’esame entro le 48 ore.
Figura 3. Sede d’interessamento cerebrovascolare negli ictus
ischemici secondo i criteri OCSP.
In tempi successivi, durante il corso del ricovero, altri 22 pazienti (15%) hanno eseguito TC encefalo; in 6
casi (4%) l’esecuzione della TC encefalo è stata differita
dopo la dimissione, in prosecuzione di ricovero. Il 16%
non è stato indagato con TC encefalo.
È interessante notare che nelle prime 24 ore ha eseguito la TC solo il 57% dei pazienti con ictus ischemico
ed il 76% di quelli con ictus emorragico.
La risonanza magnetica nucleare (RMN) nelle prime
ore del ricovero è stata riservata all’1% dei pazienti con
ictus (in soggetti che presentavano un quadro clinico riferibile a deficit del circolo cerebrale posteriore) ed in totale il 5% dei soggetti ha eseguito una RMN prima della dimissione.
72 soggetti (50%) hanno eseguito durante il ricovero
un esame ecoDoppler dei tronchi sovraortici (TSA) e 55
(38%) un esame ecocardiografico.
L’ecoDoppler transcranico non è stato eseguito da
nessun paziente, in quanto in quel periodo non ancora
disponibile nella UO.
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Terapie precedenti l’evento ictale
Riguardo alla terapia che i soggetti seguivano prima
del ricovero, è risultato che l’87% degli ipertesi era in
trattamento. Il 40% con ACE-inibitori, il 38% con Ca-antagonisti , il 18% con beta-bloccanti ed il 17% con diuretici. Solo il 50% dei soggetti identificati come dislipidemici era in terapia ipolipemizzante con statine.
Inoltre il 29% era già in terapia antiaggregante; 5 soggetti risultavano in terapia anticoagulante con dicumarolici (TAO) ma solo 2 di questi presentavano valori di INR
(International Normalized Ratio) in range terapeutico.
La trombosi venosa profonda (TVP) si è presentata
in 3 casi (14%) di ictus ischemico, 1 maschio e 2 femmine, anziani. L’evoluzione emorragica di un ictus ischemico è stata documentata solo in 3 soggetti.
Le piaghe da decubito si sono verificate in 5 casi
(3,5%) sempre in soggetti anziani con ictus ischemico. In
un caso si è verificato sanguinamento gastroenterico in
un soggetto anziano con ictus ischemico trattato con dicumarolici (tabella 3).
Tabella 3. - Distribuzione delle complicanze in relazione all’età.
Terapia della fase acuta
Numero pazienti
Circa il trattamento in fase acuta, è risultato che 78
pazienti con ictus ischemico (61%) hanno assunto dal
momento del ricovero terapia antiaggregante e che i dosaggi più frequentemente utilizzati sono stati ASA
100mg e 250mg. L’eparina a basso peso molecolare è stata utilizzata in 32 casi (22%), la calciparina in 15 casi
(10%) (tabella 2).
Ben il 63% dei pazienti è stato trattato con antiedemigeni (fondamentalmente mannitolo 18% ev), anche se
soltanto nel 36% dei medesimi si era evidenziato importante edema all’esame TC o deterioramento del sensorio.
Complicanze
Febbre
Polmonite
Infezione delle vie urinarie
TVP
Piaghe da decubito
Sepsi
Ictus in evoluzione
Enterorragia in TAO
Infarcimento emorragico
<65 anni
(n=27)
≥65 anni
(n=116)
3
1
5
0
0
1
0
0
2
37
4
23
3
5
3
8
1
1
Tabella 2. - Terapia antiaggregante in fase acuta.
Tipo di farmaco
ASA 500mg
ASA 250mg
ASA 160mg
ASA 100mg
Ticlopidina 250mg
Indobufene 200mg
Lisina acetilsalicilato
Warfarin
Acenocumarolo 4mg
Antiedemigeni (mannitolo 18% ev)
Nadroparina calcica 0,3ml sc
Nadroparina calcica 0,4ml sc
Nadroparina calcica 0,6ml sc
Nadroparina calcica 0,4ml sc bid
Nadroparina calcica 0,6ml sc bid
Calciparina
Numero dei pazienti
trattati
in fase acuta
2
26
5
30
6
3
6
5
8
79
2
6
5
14
5
15
Complicanze
La prevalenza di complicanze è stata decisamente
maggiore nei soggetti di età ≥65 anni (89% dei casi);
complicanze si sono verificate nel 76% dei casi di ictus
emorragico e nel 67% dei casi di ictus ischemici.
In 40 casi (28%) è comparsa febbre. La febbre si accompagnava al 41% degli ictus emorragici e al 26% degli ictus ischemici.
Un’infezione delle vie urinarie (IVU) compariva nel
19% dei casi, con netta prevalenza negli anziani, indipendentemente dal tipo di ictus.
Nel corso della degenza si sono verificati 5 casi di polmonite (3,5%), di cui 4 nei soggetti anziani. Si sono verificati 4 casi di sepsi, di cui 3 in soggetti anziani, tutti
in corso di ictus ischemico.
Durata della degenza ed esito
La durata media della degenza è risultata di 14 ± 8
giorni. Non si sono riscontrate differenze significative di
durata in relazione all’età o al sesso, ma piuttosto in relazione al tipo di ictus (nell’emorragico 15 ± 9 gg, nell’
ischemico 14 ± 7 gg) ed all’insorgenza di complicanze; la
durata aumentava in presenza di TVP (19 ± 10 gg), di
polmonite (23 ± 15 gg) e di sepsi (27 ± 9 gg).
Nella nostra casistica abbiamo avuto una mortalità
intraospedaliera del 17%, senza differenza fra maschi e
femmine, 14% nell’ ictus ischemico e 35% in quello emorragico, sempre in soggetti di età ≥65 anni. Oltre che dall’età, la mortalità è stata fortemente influenzata dalla
presenza di complicanze: su 4 casi di sepsi 3 hanno portato al decesso, su 3 casi di TVP 2 hanno portato al decesso, su 5 casi di polmonite 1 ha portato al decesso
(complicato da sepsi).
Alla dimissione era presente miglioramento clinico
nel 61% dei casi di ictus ischemico e nel 47% dei casi di
ictus emorragico. Stazionarietà alla dimissione è stata
riscontrata nel 14% dei casi (13% negli ischemici e 18%
negli emorragici).
Un deficit motorio residuo è stato documentato nel
35% dei pazienti, più frequentemente nei più anziani
(37%).
Considerando l’esito in relazione all’eziologia, è risultato che nel caso di ictus aterotrombotico non si è verificato alcun decesso; l’86% ha mostrato una ripresa
funzionale, mentre il restante 14% si è mantenuto stazionario.
Nel gruppo di eventi cardioembolici è deceduto il
14% di soggetti, il 72% è migliorato ed il 14% è rimasto
stazionario.
Nel gruppo di ictus lacunari si è avuta mortalità del
10%. Il 70% dei deceduti aveva un punteggio di Glasgow
all’ingresso inferiore a 9 ed un’età maggiore di 75 anni;
un solo paziente dell’età di 72anni è morto per sepsi. Miglioramento si è osservato nel 77% dei pazienti lacunari,
stazionarietà nel 10% e peggioramento nel 3% dei casi.
M. Negri et al.: La gestione dell’ictus in un reparto di Medicina Interna
Commento
Confrontando il numero di ricoveri per ictus
dell’anno 2001 con quelli del triennio 1997-99,
emerge che sia il numero totale sia la percentuale sono aumentati, essendo 112 (7,4%) nel’97; 113
(7,2%) nel’98 e 114 (7,1%) nel’99, mentre rimane
invariato il rapporto fra ischemici ed emorragici.
Questa tendenza può essere dovuta al fatto che
l’incidenza di ictus con il progressivo invecchiamento della popolazione è in aumento, ma in parte può essere espressione del progressivo orientamento verso la cura delle patologie vascolari e
metaboliche dell’UO e della conseguente propensione da parte del Pronto Soccorso a ricoverare in
questa struttura i pazienti affetti da patologie cerebrovascolari.
Come già sottolineato, i pazienti ricoverati per
ictus avevano un’età media elevata, addirittura
l’82% dei casi di ictus ischemico interessava soggetti di più di 65 anni; questo in parte per l’epidemiologia della malattia, in parte anche perché i
più giovani vengono più facilmente selezionati per
essere inviati alla struttura dedicata della Clinica
Neurologica.
Il tempo intercorso fra l’insorgenza dei sintomi
e l’arrivo in ospedale è un parametro molto importante per la prognosi, in quanto consente, attraverso l’adeguata “finestra terapeutica”, interventi più specifici (quali, per esempio, la
trombolisi), ma esprime anche la progressiva sensibilità raggiunta dalla popolazione generale e dai
medici sul territorio ad interpretare correttamente i sintomi ed a considerare la patologia cerebrovascolare come una emergenza. Nella nostra casistica il 59% dei ricoveri avveniva entro 6 ore
dall’insorgenza dei sintomi (manca purtroppo il
dato entro le 3 ore, ormai ritenuto di maggior valore). Questo tempo, che è sovrapponibile a quello
riscontrato da Paciaroni e coll in un lavoro
del’99 12, è sicuramente migliorabile attraverso
adeguate campagne di sensibilizzazione, anche
perché la nostra città è di medie dimensioni ed
usufruisce di un efficiente sistema di emergenza
territoriale con il quale si può fruttuosamente interagire per creare percorsi preferenziali per alcune patologie.
I nostri pazienti sono stati studiati in modo poco accurato e ciò può spiegare perché ben il 40% dei
casi di ictus è risultato ad eziologia non identificata. Se lo scopo della moderna gestione dello stroke
è da un lato l’applicazione delle più moderne terapie quali la trombolisi, valide però per un esiguo
numero di soggetti selezionati, dall’altro il beneficio atteso attualmente su più vasta scala potrebbe
derivare da una più approfondita conoscenza del
meccanismo patogenetico, con conseguente possibilità di strategie terapeutiche mirate e di un’appropriata prevenzione secondaria.
Un’adeguata classificazione dei sottotipi patogenetici si basa su un accurato studio clinico e
strumentale dei pazienti. A questo proposito, dai
nostri dati risulta che l’indagine TC è stata eseguita entro 24 ore nel 60% dei pazienti ed entro 48
ore nel 65% dei casi. Ad una TC nel corso del rico-
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vero è stato sottoposto l’80% dei soggetti, in evidente contrasto con quanto suggerito dalle linee
guida come raccomandazione di grado A. L’esecuzione di una TC encefalo entro 24 ore permette infatti di iniziare al più presto la terapia antitrombotica, secondo le indicazioni convalidate.
Dei pazienti non sottoposti a TC encefalo (13%)
la maggior parte aveva un’ età superiore a 65 anni
e una percentuale rilevante addirittura superiore
a 85 ed in molti casi il quadro era di un deficit ergico isolato. Sembra quindi di poter ipotizzare che
la decisione di non effettuare una diagnosi radiologica possa essere stata motivata dall’età avanzata o dalla modesta gravità del quadro clinico all’ingresso. Tuttavia, un comportamento siffatto
non trova giustificazioni né sotto il profilo etico né
sotto il profilo di risparmio di risorse; infatti, oggi,
un’accurata diagnosi garantisce la più mirata terapia in acuto, con differenze strategiche in rapporto alle caratteristiche di ciascun sottogruppo e
permette una prevenzione secondaria finalizzata
ad evitare recidive invalidanti.
L’obiettiva difficoltà di ottenere in tempi brevi
l’esecuzione della TC encefalo da parte del Servizio di Radiologia spiega in parte perché in molti
casi l’esame è stato eseguito a distanza di 48 ore o
più dall’evento acuto. Ciò è da attribuire sicuramente a problemi contingenti, ma soprattutto al
persistere di radicati pregiudizi verso una patologia per troppo tempo ritenuta povera di efficaci
prospettive terapeutiche. Trascurabile è la percentuale di soggetti che sono stati sottoposti a
RMN, esame d’elezione per le lesioni ischemiche
del circolo cerebrale posteriore,oltre che molto più
sensibile della TC per rilevare precocemente l’ischemia.
La difficoltà di accesso all’utilizzo di tecniche di
imaging radiologico non può essere l’unico motivo
per giustificare la scarsità delle indagini effettuate.
Infatti anche le indagini strumentali disponibili
nella stessa UO, quali l’ecoDoppler TSA e l’ecocardiogramma, risultano decisamente sottoutilizzate
con l’inevitabile conseguenza che la classificazione
dell’ictus secondo i criteri TOAST è stata troppo raramente applicata nel corso del ricovero ed emerge
solo raramente dalla diagnosi di dimissione.
È noto che l’esecuzione dell’ecoDoppler TSA è
riportata dalle linee guida con indicazione di grado A, ma nella nostra realtà anche la sua applicazione risulta piuttosto bassa, compromettendo la
possibilità di identificare i casi di ictus aterotrombotici per un’appropriata terapia medica ed eventuale selezione per la terapia chirurgica.
In uno studio retrospettivo della Mayo Clinic 13
risultava che l’incidenza di eventi aterotrombotici
era 4 volte più frequente nei maschi che nelle femmine e che diabete ed ipertensione erano più comuni nei casi di infarti lacunari. Gli stessi Autori,
successivamente 14, studiando la prognosi a breve
e lungo termine dei diversi sottotipi, sono giunti alla conclusione che i pazienti con ictus lacunare
(20,5%) sono quelli con la prognosi migliore sia in
termini di mortalità che di morbilità.
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Lo studio ha anche accertato che soggetti con ictus aterotrombotico (20,9% dei casi) sono più frequentemente maschi di mezz’età, ipercolesterolemici, fumatori o con potus, e più facilmente recidivano.
La mortalità a breve e a lungo termine è nettamente più elevata negli ictus cardioembolici anche dopo
aggiustamento per i fattori confondenti.
Anche l’ecocardiogramma, pure disponibile nella stessa UO è sottoutilizzato, mentre è una tecnica ormai d’obbligo nella ricerca di fonti emboligene e di cardiopatia ischemica non nota. Non a caso
nella nostra casistica l’ictus cardioembolico è stato dimostrato solo nel 16,7% dei casi, mentre il
gruppo tedesco German Stroke Data Bank Collaborators 15, dopo aver analizzato i dati di 5017 soggetti con ictus ischemico, ha concluso retrospettivamente che il cardioembolismo era presente nel
25,6% dei casi. Inoltre il cardioembolismo è particolarmente frequente nei soggetti di età superiore
a 70 anni ed è associato con la prognosi peggiore.
Circa il trattamento dei pazienti con ictus in fase acuta, le linee guida SPREAD (Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion) indicano con grado di forza A l’utilizzo di ASA per
pazienti non selezionati, qualora non sussistano
indicazioni al trattamento anticoagulante o trombolitico. Nella nostra casistica l’uso di a.acetilsalicilico in fase acuta risulta piuttosto limitato (65%
dei casi con diverse posologie). Più alto del previsto invece è l’uso degli anticoagulanti (32%) la cui
unica indicazione è rappresentata dalla cardioembolia accertata e solo quando una TC abbia documentato una lesione estesa a meno del 30% dell’emisfero colpito senza trasformazione emorragica.
Sorprendentemente alto è l’uso di antiedemigeni,
presente nel 63% dei casi e nel 60% dei casi senza
chiara indicazione.
Considerando l’evoluzione, emerge che la degenza media è risultata di 14 giorni e la mortalità
entro questo breve periodo è stata del 17%, quindi
inferiore rispetto al tasso riportato dallo SPREAD
(30%) che però riferisce la mortalità in fase acuta
ad un periodo di maggior osservazione di 28 giorni.
Per quanto riguarda la nostra casistica non bisogna dimenticare che alcuni dei casi più gravi sono stati ricoverati in Rianimazione ed alcuni sono
deceduti in Pronto Soccorso.
Una percentuale di mortalità a 90 giorni del
14,7%, più alta negli ictus cardioembolici (22,6%)
e più bassa nei lacunari (3%), emerge dai dati della German Stroke Data Bank ma l’intervallo di osservazione non è comparabile al nostro.
Nella nostra serie dei 24 pazienti deceduti, solo 19 avevano eseguito la TC: 10 soggetti presentavano una lesione ischemica, prevalentemente
nel territorio della cerebrale media, 5 una lesione
emorragica, in 10 casi si osservava edema perilesionale, sei casi riconoscevano verosimilmente una
natura cardioembolica.
La mortalità appare quindi correlata all’età,
alla presenza di ipertensione, alla gravità valutata in base alla scala di Glasgow per il coma al
momento del ricovero ed allo sviluppo di complicanze.
L’incidenza di complicanze nella nostra casistica non è molto elevata; inoltre esse si sono verificate prevalentemente nei soggetti anziani con netta prevalenza nei soggetti andati all’exitus.
L’esito riportato sulla cartella clinica alla dimissione sanciva un miglioramento nel 70% dei
casi tra i soggetti di età inferiore a 65 anni e nel
66% tra quelli di età superiore, con la presenza di
deficit motorio residuo nel 37% dei casi tra i più
anziani e nel 26% tra i meno anziani. Purtroppo il
mancato utilizzo di scale di valutazione neurologica e funzionale appropriate rende particolarmente
difficile e quindi scarsamente affidabile la valutazione dell’esito in termini di recupero funzionale
(figura 4).
Figura 4. Esito alla dimissione.
Conclusioni
Dai dati di questo studio emerge che le Divisioni di Medicina Generale rappresentano ancora oggi nella nostra realtà i principali reparti di ricovero per i pazienti colpiti da ictus cerebri, vista la
diffusione disomogenea delle Unità Intensive dedicate all’ictus.
Questo studio è servito fondamentalmente per
rendersi conto che la gestione dell’ictus in una Clinica Medica nel 2001 non era adeguata né sufficiente. Uno studio di questo tipo permette infatti
di prendere coscienza dei limiti esistenti, di ipotizzare le cause e di individuare specifiche possibilità
di miglioramento.
Una scarsa adesione alle linee guida nazionali
nella gestione globale del paziente emerge dal nostro studio. Ciò è evidente innanzitutto a livello
diagnostico, per il sottoutilizzo delle tecniche strumentali anche quando disponibili nella Clinica
stessa. Questo atteggiamento comporta inevitabilmente un insufficiente approfondimento eziopatogenetico (40% di ictus ad eziologia ignota).
M. Negri et al.: La gestione dell’ictus in un reparto di Medicina Interna
Ridotta aderenza è evidente anche nei confronti delle direttive terapeutiche nazionali, con una
difformità e disparità di comportamenti che sembra dimostrare come sopravviva un diffuso e tenace approccio rinunciatario nei confronti di una patologia per molto tempo considerata povera di
prospettive terapeutiche, con qualche analogia con
l’atteggiamento che alcuni decenni fa circondava il
paziente colpito da infarto del miocardio.
Si evidenzia purtroppo un sostanziale insuccesso della strategia attuata localmente nelle diffusione delle linee guida, probabilmente per la difficoltà da parte di molti ad accogliere indicazioni
percepite come astratte e che possono apparire limitative della autonomia professionale od eccessivamente impositive.
Per superare questo problema sembra indispensabile rielaborare le linee guida a livello locale, coinvolgendo nella scelta delle procedure non
solo tutti gli operatori medici ed infermieristici
della struttura, ma anche erogatori di servizi (radiologi, laboratorio d’analisi, servizi di emergenza
intra ed extraospedalieri) in modo che i comportamenti vengano adottati con tempestività e con
maggior convinzione, essendo stati condivisi e ritenuti adeguati alla propria realtà.
È comunque auspicabile che, perlomeno in
grandi ospedali come il San Matteo di Pavia, venga identificato, nell’ambito dei reparti di Medicina
Interna, uno spazio “dedicato” alla patologia cerebrovascolare acuta, spazio adeguatamente attrezzato e composto da personale addestrato e motivato. In questo ambito i comportamenti dovrebbero
essere uniformati per migliorare l’accuratezza della diagnosi e pervenire alla più appropriata terapia, con l’obiettivo ultimo di ridurre gli esiti a distanza e le recidive tipiche di tale patologia. Alle
Unità Internistiche spetta precipuamente il compito di inquadrare il paziente sul piano patogenetico, di prevenire le complicanze immediate, di impostare la prevenzione secondaria, lo screening e
la cura delle comorbilità.
Lo studio evidenzia la necessità di riproporre
un modello formativo al personale medico ed infermieristico secondo modalità più coinvolgenti, rivolte ad individuare i diversi percorsi del paziente
con patologia cerebrovascolare acuta; collaborando
più strettamente con il Servizio di Pronto Soccorso e cercando di valorizzare le molteplici professionalità contenute nell’Ospedale San Matteo di Pavia, valutandone periodicamente l’efficacia.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Monica Negri
Via Menocchio, 22/c
27100 Pavia
E-mail: [email protected]
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