NOVlTà DAl TRlBUNALl - Cc-Ti

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NOVlTà DAl TRlBUNALl - Cc-Ti
Dirit to
di Simona Morosini Marconi, Responsabile Servizio giuridico Cc-Ti
Novità dai tribunali
Gravidanza annunciata dopo il licenziamento: un
inconveniente per i datori di lavoro
Il Tribunale federale (TF), sconfessando i tribunali del
Canton Vaud, ha sentenziato che le donne in gravidanza
sono in linea di principio protette dai licenziamenti anche
se comunicano la loro gravidanza all’ex datore di lavoro
solo dopo la fine dei rapporti di lavoro, riservato tuttavia
il caso dell’abuso di diritto (sentenza 4A_552/2008 del
12 marzo 2009).
I giudici federali hanno così accolto il ricorso di una cameriera licenziata il 24 gennaio 2006 con effetto al 28
febbraio 2006. Il licenziamento era stato notificato a
seguito dell’avvicendamento nella gestione dell’esercizio
pubblico. Contestualmente era stata prevista l’assunzione di una nuova cameriera, la quale aveva ripreso l’attività
a partire dal 1° marzo 2006.
Sennonché, il 28 marzo 2006 la “ex” dipendente informava il datore di lavoro che al momento della disdetta si
trovava in gravidanza e che riteneva pertanto nullo il licenziamento, offrendo altresì di riprendere l’attività. Aditi
dalla dipendente, i tribunali vodesi hanno ritenuto tardivo
e contrario al principio della buona fede l’annuncio ex
post della gravidanza. Avendo la dipendente taciuto la
propria gravidanza, andrebbe presunto ch’ella abbia irrevocabilmente accettato la disdetta. I primi giudici hanno
quindi negato qualsivoglia obbligo di pagamento del salario da parte del datore di lavoro per il periodo successivo
la fine dei rapporti di lavoro.
Il TF ha invece rammentato che l’art. 336c cpv. 1 lett.c
del Codice delle obbligazioni non subordina la protezione
dal licenziamento all’annuncio dello stato di gravidanza.
In altre parole la legge non prevede un termine entro
il quale comunicare tale informazione al datore di lavoro. Inoltre, secondo il TF, solo circostanze eccezionali
consentono al datore di lavoro di prevalersi dell’abuso
di diritto. I giudici federali hanno quindi esaminato le
circostanze del caso, onde assicurarsi che non vi fosse
abuso da parte della dipendente. Ne hanno concluso
che tutto “portasse a credere” che la dipendente non
fosse conscia del fatto che un licenziamento durante la
gravidanza fosse nullo. Nella misura in cui, ancora prima
del licenziamento, era stata prevista la sostituzione della
dipendente, non le poteva peraltro essere rimproverato di
non avere tempestivamente informato il datore di lavoro. Così, l’interesse della dipendente alla protezione dal
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licenziamento prevale su quella del datore di lavoro ad
organizzarsi per occupare un posto vacante.
Le conseguenze pecuniarie, per il datore di lavoro, non
sono state decise dal TF, il quale ha rinviato il dossier per
decisione su questo punto al Tribunale cantonale.
Interessante rilevare che, a differenza della Svizzera, le
legislazioni francese e germanica prevedono espressamente un termine entro il quale, in caso di licenziamento,
la dipendente è tenuta ad informare il datore di lavoro
sulla gravidanza in corso, pena la perenzione del diritto
al salario. Tale soluzione ci sembra del tutto sensata ed
equilibrata. Casi come quello suesposto sarebbero quasi certamente evitati, ivi comprese le acrobatiche argomentazioni per scartare l’ipotesi dell’abuso, con enorme
risparmio di tempo e denaro per i datori di lavoro e pace
dei tribunali.
Parità salariale uomo-donna: attenzione alla
questione della proporzionalità
Il Tribunale federale si è recentemente pronunciato anche
su un caso di discriminazione salariale tra due dipendenti
di sesso opposto (Sentenza 4A_449/2008 del 25 febbraio 2009).
La dipendente, un’assistente sociale al servizio di una
fondazione del Cantone Friborgo, obiettava al fatto che
un suo collega guadagnasse il 16% più di lei (ovvero
circa 1000 franchi mensili), nonostante una formazione
(diploma di assistente sociale), mansioni e responsabilità identiche. La donna era stata alle dipendenze della
fondazione dal 1996 al 2004. Il datore di lavoro ha però
addotto che il dipendente di sesso maschile era stato
assunto un anno e mezzo prima e vantava sette anni
di esperienza in più rispetto alla donna. Egli era inoltre
bilingue e, considerando il Cantone di attività, poteva
interagire con clientela sia germanofona che francofona. La donna aveva inoltre lavorato per 3 anni al 70%,
sull’arco dei 9 anni in cui era stata alle dipendenze della
Fondazione.
Secondo l’art. 6 della Legge federale sulla parità dei sessi, una discriminazione è presunta se il lavoratore la rende
verosimile. Spetta invece al datore di lavoro provare (e
non solo rendere verosimile) che non vi è discriminazione
salariale legata al sesso dei dipendenti e che la disparità
di trattamento verte su motivi oggettivi. Non è sufficiente
che il datore di lavoro invochi un qualsivoglia motivo: deve
dimostrare di perseguire uno scopo obiettivo rispondente
ad un bisogno aziendale e che le misure discriminatorie
adottate mirano al raggiungimento di tale scopo. In genere, la formazione, l’anzianità di servizio, le qualifiche,
l’esperienza, il settore di attività, le prestazioni effettuate, i rischi oppure i compiti inclusi nel mansionario influiscono sul valore della prestazione lavorativa e giustificano
una disparità di salario. Le differenze possono anche giustificarsi per motivi non direttamente inerenti l’attività in
causa e fondarsi su considerazioni sociali quali gli oneri
familiari o l’età. Occorre inoltre che la disparità rispetti il
principio della proporzionalità.
L’anzianità di servizio e l’esperienza professionale sono
state nel caso concreto riconosciute come fattori suscettibili d’influenzare il valore stesso del lavoro e giustificare
una differenza di trattamento. Quanto al bilinguismo, il
fatto che nel caso esaminato dal TF il collega potesse occuparsi anche dei clienti germanofoni è stato pure
giudicato come un aspetto della prestazione lavorativa
meritante un riconoscimento salariale, segnatamente in
un Cantone bilingue come Friborgo.
Dovendo però esaminare la proporzionalità nella disparità
salariale, il Tribunale federale ha ritenuto che la differenza d’anzianità di servizio di un anno e mezzo, rispettivamente il fatto che la donna avesse lavorato al 70% per
alcuni anni fossero fattori ininfluenti e non giustificanti
una differenza salariale. Secondo il Tribunale federale, la
datrice di lavoro non ha quindi provato che la disparità di
trattamento non fosse “in alcun modo” dettata da motivi
legati al sesso e, pertanto, ha ritenuto una violazione della
Legge federale sulla parità dei sessi. Detto Tribunale ha
inoltre ritenuto che i 7 anni di esperienza supplementari
vantati dal dipendente di sesso maschile, unitamente al
fattore linguistico, giustificassero uno scarto salariale,
ma non ampio come quello attuato dal datore di lavoro
(16%). Ha pertanto ammesso una differenza salariale
limitatamente all’8,5%, condannando di conseguenza la
datrice di lavoro a corrispondere fr. 17'926 a titolo di
salari arretrati, oltre interessi.
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