Problemi in psichiatria 42-4307 - Casa Di Cura "Park Villa Napoleon"

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Problemi in psichiatria 42-4307 - Casa Di Cura "Park Villa Napoleon"
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Problemi
in psichiatria
Un irripetibile incontro
culturale 5 Boris Luban-Plozza
e le abilità emotive del
medico 29 Il legame affettivo
con i luoghi nella psicologia
ambientale dell’invecchiamento
37 Un quadro osservazionale
del trattamento a lungo termine
con aripiprazolo sulla sindrome
metabolica 63
42-4307
PROBLEMI IN PSICHIATRIA N. 42-43 SETTEMBRE 2007
Problemi
in psichiatria
Il fine è l’uomo, il principio la terra
Direttore Responsabile
Umberto Dinelli
5.
F. Agresta
Un irripetibile incontro culturale
Comitato di Redazione
Presidenti
Umberto Dinelli
Giovanni Ronca
29. F. Pellegrino
Boris Luban-Plozza e le abilità
emotive del medico
Coeditori
Mario Guazzelli
Gianni Moriani
Pietro Pietrini
37. P. Nadin
Il legame affettivo con i luoghi nella
psicologia ambientale dell’invecchiamento
Comitato Scientifico
Eugenio Aguglia
Nicoletta Brunello
Angela Conte
Maurizio De Vanna
Gianluigi Gigli
Carlo Alberto Madrignani
Roberto Mutani
Paolo Nichelli
Stefano Pallanti
Riccardo Torta
Consulenti Internazionali
Slavko Zihler - Ljubliana, Slovenia
Irvin Feinberg - Davis, California
Raphaël Massarelli - Grenoble, Francia
Questo numero è stato curato da Irene Guerrini
e Cinzia Viti
I disegni sono di Paolo Giordani
63. F. Franza
Un quadro osservazionale del trattamento
a lungo termine con aripiprazolo sulla
sindrome metabolica
Rivista quadrimestrale anno 15° numero 42-43 - Settembre 2007
Editore “Centro per lo studio dell’interazione Neuropsichiatria e Società”. Direzione, redazione, amministrazione: Mestre Galleria Medaglie d’Oro 5/9 - 30174 Mestre-Venezia Tel. 041.983630, Pisa Via Roma, 67 - 56100
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Problemi
in psichiatria
Un irripetibile incontro
culturale 5 Boris Luban-Plozza
e le abilità emotive del
medico 29 Il legame affettivo
con i luoghi nella psicologia
ambientale dell’invecchiamento
37 Un quadro osservazionale
del trattamento a lungo termine
con aripiprazolo sulla sindrome
metabolica 63
42-4307
PARKVILLA
VILLA NAPOLEO
NAPOLEONN
PARK
Casa
di cura
perlele malattie
malattie nervose
Casa
di cura
per
nervose
e l'abitazione psicosociale
e l’abilitazione
psicosociale
31022
PREGANZIOL (TV)
31022
PREGANZIOL
(TV)
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439/441
Via
Tel. 0422
93215/6
0422 93215/6
Direttore
Direttore sanitario
sanitario Dott.
Dott. U.
U. Dinelli
Dinelli
Spec.
Spec. inin Psichiatria
Psichiatriaee
Neuropsichiatria infantile
Neuropsichiatria infantile
***
***
Neuropsichiatria
Neuropsichiatria
***
***
Laboratorio di analisi cliniche
Laboratorio di analisi cliniche
Monitoraggio farmacologico
Monitoraggio farmacologico
e tossicologico
e tossicologico
***
***
Laboratorio di psicologia
Laboratorio di psicologia
Attività espressiva
Attività espressiva
***
***
Animazione
Animazione
***
***
Servizi di: elettroencefalografia
Servizi di: elettroencefalografia
elettromiografia - radiologia
elettromiografia - radiologia
cardiologia - ginecologia
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Un irripetibile
incontro culturale
F. Agresta
1. Primo incontro…
Quando, agli inizi degli anni ’80, andavo in supervisione a Milano da
Sergio Erba e da Laura Tremelloni (per le terapie individuali) e, in seguito, da L. Cofano, P. Sommaruga e da A. D’Amico (per i gruppi) - li voglio
qui ricordare tutti con affetto e riconoscenza - mi ero organizzato, parlando già con Sergio, per fare “un salto” ad Ascona e per partecipare agli
Incontri Internazionali Balint. Sapevo che erano organizzati dal noto Prof.
Boris Luban – Plozza che, in effetti, non conoscevo di persona. Così, già
partecipando ai Gruppi Balint del Ruolo Terapeutico, mi era venuta la
voglia, sì avevo il desiderio, di ritornare in Svizzera, perché avevo partecipato ad altri Congressi, ma di queste esperienze di cui si parlava tra esperti io avevo letto e sentito dire che erano “incontri” ad alto livello internazionale ma non ci avevo mai partecipato. Dal 1976, facevo parte della
Società Italiana di Medicina Psicosomatica (SIMP Abruzzese) e avevo
partecipato a qualche incontro di G. Balint col dott. R. Di Donato.
Comunque, sentivo la necessità di approfondire la pratica (non servono
tante letture al riguardo), e così, prima a Milano e poi in Svizzera, iniziai
la mia formazione “attraverso i G. Balint”. Sapevo che, oltre ai pochi italiani come S. Rusconi, P. L. Sommaruga, P. Parietti e S. Erba, U. Pozzi
(stretto collaboratore di Luban – Plozza) lì a Milano e a Brescia, con i
quali poi avrei avuto altre esperienze sia a Pescara che in altre città, c’erano alcuni pionieri e diretti allievi di Michael Balint, che vivevano o si spostavano in Svizzera, come Luban – Plozza, Sapir, Trenkel, e Rohr (che non
conoscevo). Arrivai la prima volta ad Ascona, da solo, e mi sentivo, da una
parte professionista, e dall’altra uno studente che voleva “imparare” i G.
Balint. Così, presentandomi al Prof. Luban, gli dissi che venivo da
Pescara: lui che conosceva già R. Di Donato, mi disse: “Ma sei venuto solo
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tu?”; “Sì, gli risposi, e le porto i saluti del dottor Di Donato”. E lui:
“Grazie. Sei medico o psicologo?”. “Sono psicologo, però sono professore
anche di filosofia, cioè, sono partito dalla Filosofia e poi mi sono laureato
in Psicologia a Roma…”. “Oh, bene, caro Agresta, anzi, caro Fausto…diamoci del tu”. “Grazie, Professore…, non so se ci riesco”. “Va bene, partecipa ad un Balint con me, poi conoscerai il dott. Sapir, il dott. Garrone di
Ginevra…(il Dott. K. Rohr, quell’anno, non c’era). E aggiunse: “Sono dei
Maestri, sono dei leader dei G. Balint”… Era la settimana prima di Pasqua
- marzo del 1982 - e stavo partecipando ad Ascona ai Gruppi Balint
Internazionali…ecco come conobbi, per la prima volta, il caro Boris, una
persona squisita ed affettuosa, con me e con tutti; oltre all’altissimo livello culturale e professionale che lo distingueva.
Fu un’esperienza nuova: la conduzione di un caso fu proprio chiara e
“diversa” da come avevo avuto esperienza prima. Si percepiva a pelle il
taglio del “medico pratico” ma, soprattutto, del “simbolista”, dell’esperto
della “eterocentratura balintiana”, un esperto di gruppi e di dinamiche
interpersonali. Pensavo di dover “fare un esame”, invece ero felice, ma
anche un po’ più sicuro delle mie capacità professionali. Alla fine delle
Giornate “asconantiche”, così lui mi scriveva negli inviti ad personam (vedi
lettere in Appendice) mi regalò alcuni articoli e mi disse di studiare il suo
manuale Il Malato Psicosomatico…Scoprì anche che mi piaceva la musica
e scoprii che gli piaceva cantare…le serate del sabato sera, di ogni anno,
saranno, poi, riempite di passione musicale e canora… tutti a cantare con
i gruppi di italiani che erano un po’ “emarginati” nelle ore iniziali delle
serate (i tedeschi erano molto numerosi); così la musica ci univa e ci avrebbe accompagnato anche in questa area “balintiana”.
Furono giorni intensi – anche per molti altri anni - in cui conobbi altri
colleghi italiani, svizzeri, francesi, belgi, inglesi, afgani…Altri grandi personaggi, come Enid Balint, ma quello che mi colpì, comunque, era l’eterogeneità dei gruppi Balint, da una parte, con infermieri, psichiatri, suore professionali, neurologi, medici “generalisti”, cardiologi, logopedisti…e, dall’altra, la grande e perfetta organizzazione di Boris e della Sig.ra Wilma che
lo accompagnava discretamente in ogni momento delle “Giornate”.
Conobbi altri colleghi psichiatri, due erano venuti dalla Sicilia, altri dalla
Campania (Elena Capriola, Angelo De Falco che poi proseguiranno, insieme con altri, la tradizione dei G. Balint, come l’amico Ferdinando
Pellegrino). Così, decisi che l’hanno dopo sarei tornato e Boris mi disse di
tenerlo aggiornato sulle attività della SIMP Abruzzese che portavamo
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avanti: “Scrivimi quando vuoi, e ricordati Fausto che bisogna pubblicare
quello che facciamo per far conoscere la psicosomatica e i G. Balint!”. (In
seguito, questa “profezia” si è avverata!).
Nel 1983 ritornai…sempre da solo…ma conobbi molte persone, incontrai
l’amico Minervino, altri amici, poi, Rohr, Trenkel, Garrone. Cominciammo
a pensare di fondare una Rivista di Psicologia che si occupasse, al tempo
stesso, di psicosomatica…Angelo De Falco ne aveva fondato una a Napoli,
e Boris ci diede il primo appoggio internazionale… In effetti, non era facile riunire nove persone per creare una Cooperativa (così diceva Angelo);
passò un po’ di tempo e Boris mi chiedeva: “Allora, caro Fausto, hai fondato la Rivista?”. E io ero orgoglioso di essere “protetto” a così alto livello:
c’era il Ruolo Terapeutico, c’era Psicoterapia e Scienze Umane, certamente lontane dalle nostre possibilità e capacità organizzative e c’era Prospettive in Medicina di De Falco. Così l’anno seguente, una sera sul lungolago
di Ascona (Lago Maggiore), in compagnia di altri amici, decisi che avrei
fondato una Cooperativa che avrebbe pubblicato una Rivista denominata
“Prospettive in Psicologia”, col sottotitolo “Rivista di Psicoterapia, Medicina Psicosomatica, Terapie Cognitivo - Comportamentali, Psicologia Scolastica”. Era il marzo del 1984.
Ho parlato estesamente di questi aspetti nel mio ultimo libricino
“Quotidianità del medico e dello psicologo attraverso la metodica dei gruppi Balint” (2007) in cui valorizzo ed equiparo la figura del medico “Ulisse”
a quella dello Psicologo “Socrate”. Penso che Boris ne avrebbe apprezzato
l’impostazione e la ricostruzione storica e culturale del “fenomeno Balint”
da lui creato ad Ascona. Ciò che mi ha detto K. Rohr, in un ultimo incontro qui a Pescara, e ciò che egli ha scritto nella prefazione al testo, mi riportano alle idee e alle infinite attività culturali e scientifiche di Boris…Un
irripetibile incrocio culturale tra uno psichiatra e uno psicologo…l’ho sempre vista così questa nostra affettuosa amicizia e vicinanza culturale.
2. Congresso Nazionale della SIMP: Pescara
Nel maggio del 1985, la Società Italiana di Medicina Psicosomatica, che
aveva come presidente Romano Di Donato, organizzò il X Congresso
della S.I.M.P. intitolato: “IL CORPO E LA COMUNICAZIONE NON
VERBALE”. Io ero incaricato, oltre che delle incombenze come membro
del Comitato scientifico, delle pubbliche relazioni. Pertanto, la sera stessa del 22, andai con la mia macchina all’aeroporto di Pescara a ricevere gli
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illustri ospiti: Giampaolo Lai, Pierrette Lavanchy, Willy Pasini e Boris
Luban-Plozza. Li accompagnai al Grand Hotel a Montesilvano. L’unica
persona che non conoscevo era il Prof. Pasini con cui, tra l’altro, progettai di fare un’intervista che, per una serie di imprevisti, non fu più realizzata. Il mio obiettivo era quello di intervistare tutti i grandi professori che
mi circondavano e ci riuscii, con l’unica eccezione del Prof. Luban Plozza che mi comunicò, da subito, che non avrebbe mai rilasciato interviste, solo articoli.
In quell’occasione, Luban – Plozza mi disse: “Allora, caro Fausto, faremo
un lavoro a quattro mani”, riferendosi al lavoro sulla famiglia psicosomatica che lui aveva già programmato per la “relazione al Congresso” e che io
avrei dovuto integrare. Inoltre, al Congresso, organizzammo un pomeriggio con un Gruppo Balint anche con lui ed io vi partecipai insieme con
altri. Nel pomeriggio di domenica 25 Maggio, alla fine del Congresso, mi
chiese di accompagnarlo a visitare alcuni paesi tipici d’Abruzzo, poiché
sarebbe ripartito il lunedì mattina. Andammo in macchina a Caramanico
Terme e tra le valli e le montagne d’Abruzzo, attraversando anche a piedi
le stradine del piccolo centro montano, lì mi disse che quel meraviglioso
panorama gli ricordava la sua terra, la sua Svizzera. Mio figlio Mimmo
aveva, allora, sei anni e Luban quel giorno mi disse: “Se tuo figlio farà lo
psicologo, quando verrà in Svizzera potrà passare la dogana con questi soldini, sai mi conoscono un po’ tutti – mi disse sorridendomi. “Questo è regalo dello zio Boris”, come scrisse su un biglietto personale che mi diede
insieme con dei franchi, firmato “affettuosamente dallo zio Boris”. Mio
figlio, oggi, è psicologo e si è laureato all’Università di Roma con una tesi
sui G. Balint. In quell’occasione parlai molto con lui, del futuro della
Psicologia in Italia, anche perché in quegli anni, non esisteva ancora
l’Ordine degli Psicologi, tanto meno quello degli psicoterapeuti. Il piacere
di stare con Boris (così ormai ci chiamavamo per nome) si percepiva senza
pensarci; lo si percepiva guidando attraverso le stradine di Ascona fino a
Locarno, quando qualche volta andai in macchina, o stando assieme al
ristorante o partecipando al Gruppo Balint. Lo si percepiva pelle a pelle,
“corpo a corpo”, nelle parole di M. Sapir, di cui era grande amico, come
nelle parole di K. Rohr.
Al di là delle parole, delle possibilità che mi ha dato e che ci ha dato, tra
la psicologia e la psichiatria, l’incontro con il prof. Boris era un incontro
“trasparente”. Sapeva ascoltare e, nella sua grande capacità intuitiva e
innata di cui era cosciente, spesso ti precedeva, quasi in un dialogo “foca-
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lizzato” e direttivo. Se era Chairman o Moderatore, era “svizzero” nel far
rispettare gli orari dei vari interventi. “Tutti devono parlare; se lei va oltre,
allora l’ultimo non parlerà mai e con calma!”. Così, già dal primo intervento del Relatore, se questi si “allargava” di qualche minuto, dalla platea o
dal posto vicino si poteva osservare Boris che si agitava e cominciava a
scrivere “biglietti” e “bigliettini” , quasi invisibili, che venivano fatti arrivare, nel passamano direttamente ai convenuti, e
nelle mani
dell’Interlocutore del momento: “E’ ora. Prego chiudere il discorso.
Grazie”; oppure, “Siamo fuori orario. Fine tuo intervento. Grazie”. Nel
caso in cui, il relatore avesse continuato a parlare, partivano altri messaggi più duri: ”Devi finire. Prego. Subito altro intervento! Grazie”. E così, la
giusta “castrazione” dava i suoi frutti. Una sera, dopo un Congresso
Mente- Corpo, forse nel 1989, a Milano, eravamo a cena, in uno storico
localino di Piazzale Loreto, un tempo frequentato da noti cantanti come
Celentano, Gaber (immortalati sulle foto appese alla pareti), con alcuni
amici selezionati, insieme con Carlo, un medico e pianista di Firenze (non
ricordo il nome) col quale desiderava passare una serata musicale lontano
dagli occhi del pubblico.
Arriva, all’improvviso un famoso “Personaggio”, che non era stato invitato,
il quale lo salutò in francese: “Bonjour, Boris, comment ça va? Qu’est-ce
que tu fais ici?”; (Ciao, Boris, come va, che ci fai qui?). Boris era imbarazzato perché non sapeva come giustificare la sua presenza lì con noi, mentre sarebbe dovuto andare, evidentemente, con il “Personaggio”…
Arrivano altre persone che si siedono vicino al “Personaggio”… Dopo qualche minuto Boris comincia a scrivere qualcosa su un bigliettino (li portava
sempre in tasca), chiama un cameriere e fa capire che il bigliettino doveva
essere recapitato al “Personaggio”. Dopo dieci minuti, ritorna il cameriere con un altro bigliettino che consegna a Boris il quale, sorridendo, ce lo
legge con gioia: “Mon très cher ami, ne t’inquiète pas à te justifier avec tes
petis messages… Je t’aime bien même si tu m’as dit un mensonge menti!”;
(Carissimo amico, non ti agitare a giustificarti con i tuoi bigliettini… ti
voglio bene lo stesso anche se mi hai detto una bugia!). (Naturalmente mi
ero trascritto queste parole, per le grandi risate del dopo cena!). Il
Personaggio era, infatti, Sapir! Quella sera Boris pensava di finire la serata a canto e musica con noi italiani e quindi si era sganciato dal gruppo di
Sapir. Così fu: terminammo la serata con canti e musica di un pianoforte e
chitarra. E Boris fece una battuta autoironica: “Mi sono salvato con i miei
messaggini!”. Era stato un pioniere degli…SMS.
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3. Ascona: con J. Eccles e con l’ambasciatore di Gorbaciov
Qualche anno dopo, eravamo a pranzo raccolti attorno ad una tavola
rotonda costituita da circa venti persone fra cui Sir John C. Eccles,
Premio Nobel per la medicina ed invitato in Svizzera da B. LubanPlozza come cittadino onorario qualche anno prima. Io e Minervino eravamo gli unici invitati. Ci fu un breve saluto del Prof. Eccles, poi altri personaggi. Posso svelare un piccolo segreto a proposito dei bigliettini.
Quando Boris doveva comunicare qualcosa usava dei bigliettini che teneva nel suo taschino…rigorosamente un vestito con maglia a girocollo.
Come un mago e con la massima naturalezza ti si avvicinava e serioso, col
suo messaggio non verbale ti faceva capire che dovevi “rimanere fermo”,
mentre ti parlava affettuosamente: “Ciao Fausto, come va stamane?
Bene…(nel frattempo aveva infilato un biglietto nel taschino della tua
giacca; tu non dovevi andare a prenderlo!) e… “ci vediamo più tardi. E’
un segreto”, e scappa veloce tra le persone. Io non capivo (“più tardi
dove? – mi domandai). Così il suo messaggio non verbale era questo: “Vai
fuori, dove nessuno ti vede e leggi il bigliettino). Esco dall’Albergo
Ascona, vado tra gli alberi e i giardini, mi guardo bene intorno, sfilo dal
taschino il bigliettino e leggo: “Invito solo per te, Locanda….Ascona:
chiedere informazioni per strada”. Così arrivai e incontrai Minervino il
quale, un po’ dispiaciuto che non mi aveva potuto invitare (mi sembra che
eravamo venuti insieme) mi disse che Boris gli aveva infilato il bigliettino… Ci ritrovammo lì, invitati separatamente…proprio come nei film
girati nella “vecchia” Russia. Seduto di fronte a me c’era il primo ambasciatore di Gorbaciov, a Berna; e a fianco c’era la sua Signora con la quale
ebbi il piacere di parlare, in francese, di psicosomatica. La signora, quando capì di che cosa mi occupassi, mi raccontò che aveva perso da poco la
madre a causa di un cancro alla mammella: era talmente interessata all’argomento, che mi diede l’indirizzo di Berna al quale avrei poi mandato
delle riviste di “Prospettive in Psicologia”. Questi incontri avvenivano ad
Ascona, in quei tipici locali del posto in cui si riunivano tutti i più grandi
artisti del tempo.
I Gruppi Balint non erano, quindi, un qualcosa di isolato nel contesto
mitteleuropeo, ma rappresentavano un fenomeno culturale e spirituale,
all’avanguardia, oltre che scambi di ricerche e di esperienze con un alto
rigore scientifico. Ho delle fotografie, ad esempio, col Dott. Scicluna,
uno psichiatra di Strasburgo che già allora aveva inserito i Gruppi Balint
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nella formazione obbligatoria dei medici belgi; altri in Francia, in
Germania, in Olanda.
Venti anni fa partecipavo ai Gruppi Balint con medici specialisti che portavano casi molto interessanti e che costituivano, per me psicologo alle
prime armi, un grande arricchimento. In questo senso, e non solo, come
vedremo, Luban- Plozza ha dato a me, come ad altri psicologi ed operatori, la possibilità di “incontrare” un ambiente culturale e scientifico altamente stimolante: erano anni in cui la cultura dominante della comunità
internazionale a tratti si contrapponeva all’incontro con lo psicologo,
considerato come colui che “non poteva curare” come il medico.
L’insegnamento di Boris, un uomo fuori dalle convenzioni, ha stimolato
gli altri ad uscire dalle regole “Istituzionali”, dalle troppe divisioni tra
“scuole”: egli ha eseguito l’insegnamento di Balint. Luban- Plozza aveva
ben accolto la mia formazione umanistica, filosofica, il mio interesse per
la musica e l’iniziativa riguardante la rivista “Prospettive in Psicologia”.
Così, per darmi coraggio, mi aveva quindi proposto di realizzare insieme
un lavoro sulla psicosomatica. Ci fu uno scambio a quattro mani, con le
relative spedizioni postali. Ero orgogliosissimo perché avevo messo il
mio nome accanto a quello di Luban-Plozza, Professore ad honorem
all’Università di Heidelberg. Ricordo che la correzione generale avvenne dentro una cabina telefonica internazionale di Piazza Salotto, una
domenica, alle sei di mattina, perché mi disse che più tardi sarebbe
andato a passeggiare in montagna, a Saint Moritz. Da lì, l’amicizia si è
rinforzata ancora di più attraverso uno scambio abbastanza continuo di
articoli, lettere e recensioni, che hanno arricchito sempre più il mio
bagaglio culturale.
In psicosomatica è importante avere come punto di riferimento uno psichiatra, ma la psicosomatica psicodinamica ha un taglio simbolico, relazionale e gruppoanalitico di tipo foulkesiano che appartiene alla figura dello
psicologo. C’è l’incontro, dunque, tra una psicosomatica che parte dalla
medicina ed una psicosomatica che può essere gestita da uno psicologo psicoterapeuta formato. Gliene sarò sempre grato.
4. Il “Salone Balint” al Monte Verità
Durante gli incontri di Ascona, le Relazioni più importanti si svolgevano sul
“Monte Verità” nel Salone Balint. Ma il sabato sera c’era la grande festa
proprio nel Salone Balint. Il gruppetto degli italiani si raccoglieva in una
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saletta più piccola, nella quale c’era il pianoforte, mentre il grande gruppo
proveniente da tutta l’Europa era costituito soprattutto da tedeschi che si
riunivano proprio nel salone più grande.
Il nostro caro amico Boris, non appena sentiva la musica ed il canto di noi
italiani, si avvicinava a noi, che a volte venivamo un po’ emarginati, e ci
introduceva nel grande gruppo che stava lì solo a “mangiare”, senza canti,
senza entusiasmo. Così, Boris ci presentava e ci fondevamo, attraverso la
musica, in una grande famiglia di psichiatri, psicologi e di altre figure professionali di ogni nazione europea, e non solo. Il finale, con fiumi di birra
in cui i “tedeschi” guazzavano alla grande, era un “grazie” da parte di tutti:
tutti cantavano, molti bevevano e mangiavano, e ci “sentivamo” ormai
“accettati” nel “Grande Gruppo”…Infatti, come lui stesso diceva: “La
musica è un aiuto terapeutico non solo come prassi di musicoterapia”.
5. “Un primo lavoro a quattro mani”: “LA FAMIGLIA PSICOSOMATICA
E IL CORPO COME RELAZIONE” di B. Luban – Plozza e F. Agresta:
Prospettive in Psicologia, 1985. Ripubblicato e ampliato con questo titolo
che Boris approvò: “LA FAMIGLIA PSICOSOMATICA” sul testo:
Psicosomatica clinica, Ed. Prospettive in Psicologia, Pescara, 2002
(Riporto, in sintesi, tutti gli articoli pubblicati su Prospettive in Psicologia).
Il paziente psicosomatico trattiene tutto dentro di sé, rimuginando ed
ingoiando i “bocconi amari” ed i sentimenti (la brositimia di F. Antonelli).
La psicopatologia del lattante inizia con la relazione madre-bambino,
costruita sul vissuto della madre e con il contesto della figura del padre e
dei nonni materni e paterni (Lebovici S., 1973; Lebovici S., Soulè M.,
1980; Kreisler L., 1990). Il bambino ed ancor più il lattante, somatizzano
subito, la psiche “salta” direttamente “sul” corpo ed utilizza il linguaggio
non verbale e pre-verbale per veicolare il disagio e lo stress introiettati. Il
bambino può diventare, quindi, un “sintomo rappresentativo”, un sintomo di proiezione di una situazione familiare perturbata. Il corpo, che
parla il linguaggio del dolore e dell’angoscia cronica (i sintomi), deve
essere ascoltato dal terapeuta nel presente relazionale, in cui si ripropone
con significati nascosti e messaggi simbolici da comprendere. Così, il
medico o lo psicologo possono diventare il farmaco del paziente, anche se
non è affatto facile, ad esempio nel caso del paziente psicosomatico adulto, il quale tende a negare il legame esistente tra la sintomatologia psicosomatica e le angosce passate. Nel duale rapporto terapeutico, lo psicolo-
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go non si limiterà alla sola osservazione del corpo del paziente, ma ascolterà un altro linguaggio, analogico e simbolico, che rappresenta l’espressione autentica della sofferenza psicosomatica globale. I disturbi del
paziente psicosomatico sono di tipo “interazionale”, poiché la sua sofferenza si sviluppa inter-agendo con gli altri, nei disagi interpersonali, nei
vissuti familiari cronicizzati ed antichi e che sono stati, poi, reintroiettati
e rivissuti, patologicamente, all’interno del proprio Sé. In accordo con le
ricerche di S. Minuchin e di L. Onnis abbiamo evidenziato gli aspetti
relazionali tipici delle famiglie psicosomatiche che si strutturano con
modelli organizzati ed interattivi, raggruppabili in quattro categorie: l’invischiamento, l’iperprotettività, la rigidità e l’evitamento. Minuchin, inoltre, parla di tre condizioni che agiscono simultaneamente affinché si sviluppino e si mantengano i sintomi in tali famiglie: una determinata organizzazione familiare; il coinvolgimento del figlio nel conflitto tra i genitori stessi; una “debolezza” biologica e/o fisiologica del figlio. Nelle nostre
esperienze possiamo affermare che nella famiglia psicosomatica il corpo
prevale come modalità relazionale ed il sintomo può funzionare come
controllore e regolatore tra due o più membri della famiglia, la quale può
diventare una “palestra di malattia”, quando tra i membri ci sono i
seguenti fattori di disturbo:
1. figure infantili dei genitori che agiscono in senso disgregante;
2. attaccamento materno insufficiente, caratterizzato da rifiuto conscio o
inconscio nei confronti del bambino;
3. famiglie squilibrate con spiccate caratteristiche fobiche, isteriche o
paranoiche;
4. atteggiamenti anomali e gravi malattie dei singoli membri;
5. alleanze di un genitore con un figlio (riproposta edipica) per contrapporsi all’altro;
6. violenze fisiche, verbali e messaggi paradossali da parte del genitore
sul più debole del nucleo familiare.
Per trattare efficacemente questi disturbi che sono di tipo relazionale,
bisogna saper riconoscere le correlazioni all’interno del nucleo familiare,
saper entrare, simbolicamente ed analogicamente, “dentro” il linguaggio
di quella famiglia e saper interpretare quella determinata sintomatologia
come comunicazione non verbale e corporea. E’ opportuno mettere cautamente a confronto tutti i membri della famiglia con i sintomi del paziente, cercando di focalizzare il loro significato di conflitto. Il confronto
intrafamiliare inizia subito, fin dal primo contatto, con l’osservazione da
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parte del terapeuta dell’atteggiamento dei vari componenti familiari e
seguendo il suggerimento di Ackerman, in un colloquio con LubanPlozza, il quale riporta queste riflessioni: “Come entrano? Chi si siede
vicino a chi? Chi guarda chi? Chi evita di guardare chi? Chi parla? Chi sta
a sentire? Chi sorride? Chi sta imbronciato?”. Luban-Plozza indica anche
un sistema finalizzato a “stuzzicare le difese” e che consiste nel cogliere
di sorpresa i membri della famiglia. Così facendo, sarà possibile evidenziare gli schemi vuoti e le formule abitudinarie attraverso le quali vengono affrontati i problemi quotidiani. E poi ci domandiamo: “Chi parla al
posto di chi?”.
Ponendo in relazione paziente, famiglia e corpo, si potrà passare da una
sterile dinamica emozionale ad una situazione in cui sarà possibile dare
“corpo” alle emozioni. Attraverso il confronto intrafamiliare, come mezzo
diagnostico e terapeutico atto a facilitare il rinnovamento di un equilibrio,
i membri della famiglia sono in grado di elaborare modelli di interazione
più adeguati e di assumere , verso il malato psicosomatico, un atteggiamento nuovo che lo aiuti a superare i suoi disturbi.
6. Incroci culturali: “Un secondo lavoro a quattro mani: “LA FATICA:
PROBLEMA O MALATTIA?”, B. Luban – Plozza e F. Agresta.
In questo articolo, pubblicato su Prospettive in Psicologia (n. 1, 1987)
abbiamo affrontato il tema della fatica rintracciandone, innanzitutto, varie
forme: la fatica etichetta, la fatica iconica, la fatica “rifugio”, la fatica “chiamata”. Qualunque sia il significato della fatica, essa avrà funzionato come
allarme protettivo obbligando colui che la prova a fermarsi per interrogare
il proprio organismo, il proprio modo di vivere, il proprio modo di essere o
…per farsi interrogare. In tale quadro, assume un ruolo fondamentale il
medico di famiglia o lo psicologo che divengono parte di una dinamica relazionale in cui non sono semplicemente un’unità, ma risultano legati al
paziente all’interno della coppia terapeutica. L’incontro con il paziente non
si configura, dunque, esclusivamente come confronto di un organo “contro” un sapere , ma diviene l’abbraccio tra un’angoscia ed una compassione. (Commento: Ci fu un lavoro di traduzione, perché Boris me lo inviò in
francese “così ti eserciti per Ascona”, mi diceva; ma le riletture furono tre.
Era puntiglioso e preciso, lui che era poliglotta. Questo articolo era già un
progetto per ciò che oggi va sotto il nome di Burn – out e di Medicina o
Psicologia del benessere).
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7. “E’ un regalo per te, Fausto, e per Prospettive”: “IN RICORDO DEL
MERCOLEDÌ 18 GENNAIO 1978. IL MESSAGGIO DI ERIC FROMM”
(Prospettive in Psicologia, n. 1, 1989).
Luban- Pozza ricorda i giorni in cui, una volta a settimana, si recava a casa di
E. Fromm per gli “Incontri del Mercoledì” diventando, così, suo allievo ed
amico. Aveva fatto avere la cittadinanza onoraria di Grono al celebre Maestro
il quale, da Cuernavaca, in Messico, si era trasferito in Svizzera. Così, aveva
continuato ad incontrarlo ogni mercoledì alla stregua di S. Freud, quando
riuniva nella casa viennese i suoi seguaci negli “Incontri del Mercoledì”!
Luban-Plozza afferma: “ Mentre quasi tutti gli scienziati si concentrano su
di un’unica disciplina di cui possono proclamarsi specialisti, Fromm tenta
di ottenere una visione d’insieme che comprenda i risultati conseguiti nei
più diversi rami dello scibile. Per questo tiene conto, nelle sue indagini, dei
sintomi di patologie analizzabili in sede scientifica, delle strutture sociali e
delle decisioni di carattere politico”. Prosegue Boris: “Per Fromm, il problema fondamentale è quello di vedere l’uomo, di vedere l’altro uomo che
è accanto a noi, ma soprattutto di conoscere l’uomo che è in noi”. Ad
Ascona nel 1977, alla propulsione del 5° Incontro Balint, egli disse che
bisogna rendere conscio l’inconscio, sostituire l’irrazionale con la consapevolezza e modificare il carattere, che è una parte fondamentale della nostra
personalità, attraverso l’ “operazione liberante”. La libertà si configura
come coscienza delle reali possibilità e delle loro conseguenze, in contrasto con la credenza nelle possibilità false o irreali che distruggono il nostro
potenziale di libertà. Essere uomini liberi significa fare dello sviluppo di
tutte le potenzialità l’autentico scopo della propria vita. Curare significa,
per Fromm, rimuovere gli ostacoli che impediscono agli impulsi verso
l’amore di essere efficaci. Il futuro della psicoanalisi è che torni a diventare una teoria critica e criticata che aiuti non solo l’uomo cosiddetto malato,
ma anche l’uomo sano in una società malata”.
8. “BIBLIOTERAPIA - DALLA LETTERATURA UN AUSILIO TERAPEUTICO?” (Prospettive in Psicologia, Gennaio 1988, n. 1).
Altro aspetto importante di questo incontro era questo. La stima di Boris
verso i suoi amici ed allievi si trasformava anche nella “droga della biblioterapia”. Sui vantaggi psicologici della lettura, della scrittura e della musica nelle parole di Boris, che, in parte ho riportato in una prefazione scritta
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su un libro di poesie di un mio cugino medico – possiamo leggere una
breve sintesi….Questo articolo me lo inviò con un bigliettino: “Per favore,
caro Direttore, pubblicare subito, mi interessa! Fammi sapere”. Naturalmente, non potevo dire “al prossimo numero”…tolsi un articolo di un altro
collaboratore “minore” e lo accontentai, ma accontentavo me e tutti i lettori che potevano apprezzare la vasta cultura e la visione globale della
medicina e della psicologia del nostro caro amico Boris (così mi scriveva:
“Tuo Amico, Boris”). In questo articolo, egli sottolinea che l’agenzia sovietica Novisti ha diffuso nel 1986 un articolo del medico V. Nikolaev che rivaluta la “biblioterapia”, cioè “la cura mediante libri opportunamente scelti”
o addirittura “la prevenzione delle malattie” attraverso di essi. Il professore Kutanin di Saratov avrebbe ottenuto “ottimi risultati” con la biblioterapia “in casi di malattia del sistema nervoso e di vari organi interni”. La letteratura infatti fa capire che non si è soli nella malattia; talvolta rafforza
perfino le possibilità espressive – migliore comunicazione con il medico –
stimola l’identificazione ma nel contempo distoglie da se stessi; mette in
atto la forza terapeutica del simbolo e rende attenti ai limiti della vita, permettendo di intravedere la necessità stessa della malattia e della sofferenza. Ma la medaglia può avere il suo rovescio: “Alcune opere scadenti di
divulgazione medica sono la causa delle cosiddette “nevrosi bibliogeniche”.
I lettori più impressionabili ne ricavano un timore ossessivo di fronte a
determinate malattie. Certe malattie si accentuano o si nevrotizzano con la
pratica del libro (Intellettualizzazione come difesa). Il testo letterario agisce, attraverso la natura antropologica della malattia, a seconda della sensibilità, della forza o della fragilità del paziente. La letteratura comunque
non sostituirà mai la psicoterapia o la somatoterapia; costituisce però un
elemento importante da non sottovalutare. Si può concludere affermando
che significato della malattia e significato della letteratura si congiungono
nel significato della vita.
9. Prospettive e possibilità terapeutiche della musica di B. Luban –
Plozza…(n. 2, 2005).
Questo lavoro, me lo aveva inviato anni prima. Poi l’ho pubblicato, in
memoria. Il Prof. Luban – Plozza ci conduce nell’antica Grecia e ricorda
che gli antichi attribuivano all’armonia ed al ritmo il potere educativo della
musica. Già Platone, nella sua opera Lo stato scriveva: “L’educazione attraverso la musica è la migliore perché il ritmo e l’armonia penetrano nel più
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profondo dell’anima e se ne impossessano, donano saggezza e ragione a
colui che ne beneficia”. Aristotele, invece, incluse la musica non solo nella
profilassi psico-igienica ma anche in una concezione terapeutica capace di
influenzare gli avvenimenti della vita affettiva. Per catarsi musicale, egli
intende la scarica delle pulsioni emotive eccessive e morbose.
Anche Lessing sostiene che la musica può provocare una “catarsi interiore”, ossia una “purificazione”. Bacone, nel XVI secolo, affermava: “Per
essere buono ed efficace il medico deve conoscere le regole dell’armonia
musicale”. Più recentemente, la musica ed il movimento sono stati utilizzati anche per “sopprimere con la magia” i pericolosi morsi di serpenti e ragni
velenosi come la tarantola, tanto che da lì proviene il nome di Tarantella ad
una danza diffusa nell’Italia meridionale. Ognuno di noi conosce e sente i
meccanismi di reciprocità tra la musica e la percezione corporea. Ogni processo di percezione della realtà è intimamente legato al cammino biografico, all’esperienza, all’abitudine di comportamento ed al livello di perfezionamento raggiunto. Questo legame è testimoniato da sensazioni a noi familiari come quella di “brividi sulla schiena” o “del cuore che scoppia di
gioia”. Le relazioni tra musica, emozione e funzioni fisiologiche possono
costituire un’unità psicosomatica, l’assimilazione del vissuto musicale.
Infatti, ogni sensazione musicale traduce simultaneamente un elemento
del vissuto emozionale e somatico. La musica, inoltre, può darci un’altra
concezione personale ed una relazione diversa di fronte a se stessi ed agli
altri. Ogni uomo ha il suo profilo ritmico che può essere sviluppato individualmente. Non esistono persone inadatte al ritmo ed ognuno ha un bisogno naturale di ritmo che corrisponde al diritto naturale ad appagarlo. La
musicalità si sviluppa verso i sei anni e tutto ciò che appartiene all’irrazionale può esprimersi, soprattutto nel ragazzo, attraverso il gioco della sua
mobilità ritmica e mediante la danza. Grazie al movimento, egli conquista
l’indipendenza e la responsabilità delle proprie azioni. Il ritmo insegna al
bambino, mediante il suo inconscio e nell’immediato, a cogliere la musica
attraverso tutto il suo corpo e ciò avviene anche nel bambino diversamente abile, spesso più sensibile all’impronta dei sensi e delle emozioni.
Inoltre, già durante la gestazione il ritmo del polso sarebbe per il bambino
un fattore inconscio di sollievo; Salk ha evidenziato l’azione calmante del
battito del cuore ed ha indicato come durante la gestazione questa cadenza si situi in un rapporto 1 a 2 con la pulsazione del bambino e costituisca
un fattore di calma inconsapevole. Perciò, dopo la nascita, il neonato cullato da questo ritmo potrebbe addormentarsi meglio.
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10. Nell’ articolo “Aspetti Psicosomatici in Cardiologia” B. Luban - Pozza
sostiene che un infarto del miocardio comporta una grave esperienza di
pericolo imminente di morte che non può non apportare mutamenti nella
vita di un uomo (1989). Si tratta di un “tremendo” viaggio ai confini della
sopravvivenza ed è per questo che il ritorno a casa dell’infartuato dal ricovero ospedaliero, prima in un centro di terapia intensiva, ci ricorda un po’
il ritorno di Ulisse nella sua Itaca, dopo le peregrinazioni e l’esposizione ai
mortali pericoli. Chi torna a casa dopo un infarto deve reintegrarsi nel suo
gruppo familiare, rinunciando a talune abitudini radicate, cambiando, alle
volte, totalmente il suo stile di vita. In tutto ciò può essere aiutato dal personale sanitario, che deve trasmettere al paziente informazioni chiare e
comprensibili sulle sue condizioni di salute e sulle sue reali esigenze: si
tratta di una vera e propria “educazione alla salute”. Non di rado occorrono anche interventi psicoterapeutici sul malato e sui suoi familiari.
11. Luban - Pozza, nell’ articolo “La Bulimia e Malattie Gastrointestinali”,
afferma che la bulimia (etimologicamente “fame da bue”) è associata ad
eccessi alimentari seguiti da vomito e defecazioni indotti (1992).(Parte del
testo “Il malato Psicosomatico”, Astrolabio, 1996).
Questi pazienti danno un’impressione iniziale di forza, indipendenza,
ambizione, sincerità e anche di autocontrollo. Ma la loro immagine esteriore differisce enormemente da quella che hanno di se stessi: di vuoto estremo e assenza di scopi. Inoltre indulgono in umori pessimistici o depressivi
derivanti da modelli di pensiero e di comportamento che alimentano sentimenti di impotenza, di vergogna, di colpa e inadeguatezza. Oltre al comportamento alimentare anche il sistema digestivo è estremamente adatto a
riflettere somaticamente problemi di sicurezza e di protezione; il cibo rappresenta la forma primaria di possesso per assicurare l’esistenza, mentre la
digestione è la prima di tutte le forme di “gestione” e di utilizzo di una cosa
acquisita. La bulimia diventa sintomo di un’aspirazione regressiva alla sicurezza di fronte a richieste eccessive.
12. Mancato articolo a quattro mani… e RECENSIONI DI LIBRI DI
LUBAN - PLOZZA
Ho ricevuto questo manoscritto da Luban - Plozza poco tempo prima che
ci lasciasse; da questo avrei dovuto estrapolare le argomentazioni relative
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alle psicosomatosi e ai gruppi Balint. Tutto ciò per rinnovare quell’“irripetibile incrocio culturale” tra uno psichiatra e uno psicologo psicosomatista.
Naturalmente Boris mi inviava diversi libri da recensire oltre a tutte le notizie riguardo agli incontri e ai convegni. Questo manoscritto, stampato, poi,
come libro: “Il medico come terapia. L’alleanza terapeutica” (Boris LubanPlozza et al., CST, 2001), e con la recensione del dott. Domenico Agresta
su “Prospettive in Libreria”, n.1, 2004), propone la relazione/alleanza
medico - paziente come il vero e forse unico contributo alla comprensione
della malattia e, soprattutto, del malato. Si aggiunge a questo una fiducia
“spontanea” e sincera ad una formazione alla relazione e ad una continua e
partecipativa conoscenza del malato e della diagnosi, secondo il metodo dei
gruppi Balint. Solo una formazione attraverso il lavoro dei gruppi Balint
permette, secondo questa visione, di creare quella che si definisce una
“tacita alleanza terapeutica”, che porta a comprendere la strutturazione e
l’organizzazione della malattia. Quest’ultima, come aveva già proposto M.
Balint, è parte della personalità del paziente che la “porta”, la consegna al
medico; anche quest’ultimo fa parte della malattia e di questa sofferenza
nel corpo e nella mente. Si crea così, come spiega il Prof. Luban-Plozza, un
vero e proprio “triangolo relazionale: malato - medico - medicina”. A tale
proposito le possibilità terapeutiche non sono solo farmacologiche e/o prettamente mediche, ma anche psicologiche, relazionali e di sostegno. Infine,
è chiaro che nella buona e/o in una più probabile guarigione il medico, in
particolare, deve porsi non come droga, cioè come una sostanza che crea
in realtà squilibrio e tensione nel malato nonché dipendenza, ma deve
soprattutto porsi e “dosarsi” proprio come una medicina.
Nel capitolo sulle psicosomatosi l’Autore sostiene che, fin dai primi minuti,
il contatto con il paziente può svelare il motivo fondamentale per cui siamo
stati consultati: premessa essenziale è dunque quella di sapere ascoltare.
Inoltre, non sapendo i pazienti psicosomatici esternare le proprie emozioni,
è necessario che il medico trovi una modalità di accesso a tali emozioni,
adottando innanzitutto il silenzio attivo, assumendo cioè il ruolo dell’ascoltatore capace di prestare attenzione proprio a ciò che viene taciuto. Molti
disturbi psicosomatici affondano le loro radici nei disturbi di relazione all’interno della famiglia o nella fissazione di stereotipi comportamentali della
coppia. I sintomi del paziente rappresentano infatti un fenomeno patologico del gruppo in cui egli vive. Questo punto di vista è importante perché
mette in evidenza il conflitto psicosociale: bisogna perciò tener conto, oltre
che della personalità del paziente, anche della sua situazione sociale.
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Riguardo al capitolo sui gruppi Balint, la complessità dell’incontro tra
medico e paziente trae origine dalla molteplicità dei desideri e delle aspettative del malato. Quest’ultimo, già nel primo colloquio, non porta al medico soltanto il suo corpo malato, ma anche la paura e i problemi psicologici
o sociali che ne conseguono. Il medico ha la facoltà di registrare queste
notizie e di incoraggiare il paziente ed aiutarlo a verbalizzare le sue difficoltà. Oggetto dell’ indagine dei gruppi Balint è la relazione medico – paziente: si tratta di una relazione di tipo oggettuale, in cui il paziente trasferisce
sul medico un determinato comportamento relazionale, strettamente correlato a quel tipo di relazioni che egli ha avuto con gli oggetti della sua
prima fase di socializzazione (genitori, “significant others”). Per questo è
necessario che il medico possa elaborare questo rapporto con il paziente
nell’ambito di un gruppo di colleghi e precisamente in un gruppo coordinato da un conduttore dotato di un’adeguata formazione ed esperienza.
Attraverso questa “esperienza” il medico può capire il paziente e avvicinarsi all’essenza della relazione. Ho recensito diversi libri, in particolare:
“Il medico come medicina”, scritto da B. Luban – Pozza, è un libro sempre
attuale ed è dedicato alla delicata e impegnativa abilità del medico nel rapporto di fiducia con il paziente ed alla valorizzazione di tutte le sue relazioni umane in campo sociale. Qui ogni paziente è visto come un caso singolo, immerso in un complesso insieme di interrelazioni personali.
Il libro “Il terzo orecchio - Dalle forme dell’ascolto alla musicoterapia”,
(con Prefazione di von Karajan), scritto dall’illustre amico e psicosomatologo Luban – Pozza e dal concertista – pianista Delli Ponti, è un lavoro che
esce dagli schemi ripetitivi sulle “biografie” di illustri personaggi. Infatti lo
studio patografico, storico – musicale, le innumerevoli ricerche sulle scritture, sulle “lettere” e così via rappresentano una sintesi tra l’orecchio
musicale, il simbolismo e l’interpretazione che si avvicina al “senso analitico” delle Opere e dei Musicisti studiati. Il Terzo Orecchio, le potenzialità della mente, “la mente attiva” pongono “la materia sonora in uno spazio
artistico e la fa vivere con ricca partecipazione personale, afferendone i
significati nascosti” (Dalle forme dell’ascolto alla musicoterapica” (1991).
13. Psiche e alimentazione di B. Luban - Plozza
(Associazione svizzera per l’alimentazione-collana di opuscoli)
Luban scrisse un opuscolo “Psiche e alimentazione” e, ad Ascona, mi regalò una copia di questo libello con la seguente dedica:“Con affettuoso ricor-
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do, Boris”. Locarno, 1991. In una serata, in cui scattammo molte foto, c’erano G. Lai, P. Lvanchy, E. Gilléron, K. Rohr (che accompagnai a piedi da
Monte Verità alla stazione di Ascona, passeggiando e parlando) e Antonino.
In questo breve trattato sugli aspetti psicologici dell’alimentazione il Prof.
Luban-Plozza espone quelle che sono le abitudini alimentari e le patologie
ad esse correlate. Nel corso della storia l’alimentazione è sempre stata associata alla vita e alla forza, mentre la mancanza di alimentazione e, quindi il
dimagrimento, alla debolezza e alla diminuzione di potenza. L’alimentazione viene anche ritenuta una delle attività sociali di base che lega gli
uomini ad un gruppo determinato. Gli usi e i costumi per la consumazione
del cibo sono simboli di appartenenza e cambiamenti di tali usi possono
rappresentare un gesto di divorzio dal gruppo.
Un altro aspetto importante trattato nell’articolo del Prof. Luban-Plozza è
il ruolo determinante che ha la funzione di nutrirsi nelle prime ore di vita
del neonato. L’allattamento procura al neonato il primo conforto al suo
malessere fisico. Il soddisfacimento della fame induce nel bambino una
sensazione di sicurezza, di benessere e di sentirsi amato. Quando questo
rituale viene sentito dal bambino come sensazione sgradevole può porre le
basi per un comportamento alimentare futuro errato. Parliamo quindi di
anoressia, rifiuto del cibo, e di iperfagia, eccessiva assunzione di cibo. Nel
secondo caso si tratta di obesità “psicosomatica” dove la causa patogena è
da identificarsi in cause psicologiche quasi sempre inconsce. Il ruolo della
madre continua ad essere fondamentale, spesso si attacca al bambino attraverso cibo che diventa il mezzo della materializzazione dell’amore che essa
prova verso lui.
14. I suggerimenti, gli studi e gli ultimi ricordi
La forza che trasmetteva Boris a noi giovani era l’amore per lo studio e per
la ricerca. Rappresentava un vulcano che ti invogliava a riflettere, a creare,
a pensare, a far “uscire” dal tuo mondo le tue idee, le tue capacità, la tua
personalità. Così mi incitava a leggere un articolo…(“l’hai letto,
Fausto…ecco la fotocopia, ti serve per la tua Rivista”). Quando mi ha inviato l’articolo di musicoterapia scritto in tedesco ha aggiunto: “Naturalmente,
la tua traduttrice deve inviare copia al sottoscritto prima di pubblicare. Se
non è psicologa, trova un’altra che studia psicologia! Attendo tue notizie.
Tuo Boris. Urgente”. Dopo la prima stesura e traduzione, non avendo trovato una traduttrice psicologa, mi ha scritto. “Devi tu “tradurre come psi-
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cologo, in italiano “psicologico”. Traduzione troppo arida, leggi bene tu e
“traduci” col cuore e con la mente. Ciao, Boris. Rinviare prego!”. Alla fine,
ricorsi a mio fratello, che è linguista e anche musicista…
Qualche anno fa, mi arriva una lettera: “Caro Fausto, ti prego riscrivimi la Biografia, correggila e stampala dal tuo tipografo…ma già nel
1985, mi chiese di preparargli una prima biografia per l’Università di
Oxford e gliela feci stampare dal tipografo della mia Rivista. Rimase
contento e, così, mi chiese di nuovo la stampa aggiornata. Questi suggerimenti dal “Maestro” mi hanno stimolato ad essere molto più preciso, più attento, specialmente nella correzione delle bozze, degli articoli e come lavoro di pubblicista. Mi comunicò anche che aveva ricevuto
il premio Albert Schweitzer per la Medicina Sociale negli Stati Uniti.
Quando otteneva altri riconoscimenti mi inviava la fotocopia dell’articolo della stampa e ci teneva a farlo sapere e mi chiedeva di diffonderlo. Allora arrivavano volantino, brochure: qualche volta erano tanti e
non potevo presentarli tutti alla stampa della Rivista. Lui capiva e non
mi diceva niente. In questo suo aspetto umano e di narcisismo positivo
poneva sempre il “rispetto” della persona, valorizzando il significato
della sofferenza come stimolo alla crescita, alla stregua dell’aiuto umanitario e del valore dell’amicizia. “Chiedere, si può, mi diceva, ma non
si può avere tutto”. Questo il senso del suo messaggio ai giovani, ai suoi
pazienti che rispettava come persone. L’ultima volta che siamo stati
insieme al Congresso della SIMP a Siena, io dovevo andare a Roma e
mi chiese più volte di stare insieme la sera a cena. Purtroppo non potei
rimanere e così quella fu l’ultima volta che parlammo, per poco…ma
mi invitò lo stesso ad Ascona…anche se sapevamo che non stava bene.
Tutto ciò che ci ha dato ha avuto dei frutti. Naturalmente, i G. Balint,
per quel che mi riguarda hanno avuto fortuna. Innumerevoli richieste
di conduzione di Gruppi: per medici, per psicologi, nei Convegni, nei
Congressi, per privati, nella Scuola di Specializzazione IPAAE di
Pescara e, da quest’anno, all’Università di Chieti per merito del Prof.
M. Fulcheri, Ordinario di Psicologia Clinica, grande amico che mi è
stato presentato sia dal Prof. M. Reda che dall’amico Antonino
Minervino. Un grazie a K. Rohr che ci “segue” ancora e che testimonia
il lavoro di Boris, e a tutti coloro che seguono la “traccia indelebile”
dell’Amico Prof. B. Luban – Plozza”. Il piccolo contributo è quello di
trasmettere ai giovani questo messaggio, attraverso la pratica e con la
testimonianza scritta del mio libricino: “Quotidianità del medico e
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dello psicologo attraverso la metodica dei G. Balint (2007). Sulla copertina c’è la foto del Lungolago di Ascona, sede degli “Incontri
Internazionali Balint”.
Appendice.
Per finire…voglio pubblicare alcune tra le tante lettere, le più brevi ma molto affettuose, che il caro Prof. Boris mi ha inviato nel tempo (il timbro sulla busta e sulla
lettera era inconfondibile: “URGENTE”). Chiudo anche questo mio personale ricordo, con la sua “INTERNATIONAL BIOGRAPHICAL CENTRE” da me curata e
fatta stampare.
Ascona, 04.06.85
Caro Fausto.
Grazie per l’invio!
Ammesso da correggere, modificare, ampliare come meglio ritieni. Ma
fammi sapere quando riceverò il nuovo testo a quattro mani.
Con amicizia, tuo Boris (questa riguardava l’articolo sulla “Famiglia Psicosomatica” scritto a “quattro mani” – come mi diceva…
…………..
Ascona, 10.05.87
Caro Direttore,
la “tua” Rivista” , come quella “musicale”, mi piace ed è molto interessante. Come mi chiedi, certamente puoi mettere il mio nome tra i Collaboratori scientifici in tutte le tue manifestazioni di “Psicosomatica”…il prossimo anno alla serata musicale si suona con tutti i pazienti del Centro di
Psicosomatica. Ci conto.
A presto,
con amicizia
Boris
…………….
Ascona, 10.02.90
(di ritorno da Strasburgo)
Prego far conoscere i Colloqui 1990, con cordialissimo invito (gratuiti!
anche ai tuoi amici).
Inscrizioni entro il 07.04.90 al mio indirizzo. Patrocinio per tuo Convegno
a Pescara. Ne parleremo ad Ascona.
Cari saluti, Boris
24
….
Ascona, 03.04.92
Caro Fausto
Per il 1993 sarei eventualmente disponibile per un Seminario a Pescara
imperniato sulla nuova psicosomatica. Grazie per oggi! Non possiamo
accettare ulteriori inscrizioni, perché pienissimo (Salvo Zendrini per la
sera). Dove albergherete?
Vobis corde, Boris
…….
Ascona, 20.11.94
Caro Fausto,
purtroppo non ricevo più tue notizie, né ufficiali, né personali, né la
Rivista.
Ti avevo invitato più volte, indirettamente anche a Losanna, e ti dicevo che
sarei venuto volentieri da Voi per conferenze nel 1995.
Grato per il Vostro sostegno (recensioni libri, pubblicità Ascona), a presto,
toto corde asconantica. Boris
….
Ascona, 10.12.95
Caro Fausto, condurremo un G. Balint a Losanna. Gilliéron e io siamo
d’accordo sul tuo nome e Antonino (noi gruppi in lingua italiana), con Sapir
e gli altri maestri…
So che ti ha detto Gilliéron già a Verona ai Seminari.
Seguirà programma Federazione Internazionale Balint, ma organizzerà
Università di Losanna.
Un caro abbraccio
A presto Boris
……………
Ascona, 08.02.00
Caro Fausto,
pronto a sostenere le tue Malattie psicosomatiche (il tuo volume!); ti prego
di mandarci 2-3 esemplari, urgentemente.
Verrei anche a Pescara, pro Nuove Prospettive.
Con affettuoso ricordo e invito asconantico, in antica amicizia.
Numerosi, anche ad personam. Tuo Boris
25
…..
Ascona, 21.03.01
Grazie, caro Fausto!
Sempre a disposizione, con affettuoso invito per Ascona.
Prego far conoscere i nuovi libri, con intenso impegno tuo.
Per la Rivista telefonami una sera (dopo le 20). Vobis toto corde, tuo Boris
…..
Ascona, 24.01.02
Caro Fausto,
ricevo ora la tua Rivista. Gratulor toto corde!
Peccato non citare Ascona, ufficialmente “Capitale Balint dell’Europa
meridionale”…
Grato per le tue critiche (ndr “recensioni”) dei nuovi libri e per tue notizie.
A presto. Con l’invito sempre affettuoso, ad honorem, per Ascona, tuo Boris
….
Ascona, 08.11.02
Caro Direttore,
con sempre cordiale invito ad honorem l’auspicio collaborativi per i
nostri libri.
Potresti farli conoscere subito?
In antica amicizia asconantica, Boris
P.S. Sapevamo che stava male… una E-mail di Minervino, suo stretto amico e collaboratore fino agli ultimi giorni, annunciava la dipartita del caro Prof. Boris: era la vigilia di Natale del 2002.
Nota: Ringrazio per la collaborazione le giovani psicologhe: la Dott.ssa Alessandra D’Amato,
la Dott.ssa Annabice Guardiani, la Dott.ssa Maria Antonietta Martelli, la Dott.ssa Stefania
Vitiello e lo studente Andrea Mosca, per la ricerca delle fonti e per la revisione generale di
questo contributo. Insieme col gruppo della SIMP e insieme col gruppo del Centro Studi di
Psicologia e di Psicosomatica Clinica, della SIMP e del GRP, questi giovani seguono la psicosomatica e i G. Balint da qualche anno, grazie anche allo studio del pensiero di B. Luban –
Plozza e grazie al lavoro pratico che proseguiamo con K. Rohr, che è venuto a Pescara per il
III Convegno Nazionale sulla “Psicosomatica e i Gruppi Balint”(29 settembre /1 e 2 ottobre).
Ha coordinato i lavori, col Dott. K. Rohr e il Dott. F. Agresta, il Prof. M. Fulcheri, Ordinario
d Psicologia Clinica Univ. di Chieti – Pescara, insieme col Dott. G. Bontempo, Presidente
Ordine Psicologi Regione Abruzzo. Una manifestazione in cui si è parlato anche di Ascona e
del Prof. B. Luban – Plozza.
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INTERNATIONAL BIOGRAPHICAL CENTRE
BORIS LUBAN-PLOZZA,
Prof. Dr. med. Dr. h.c.
CH-6612 ASCONA
Nato a San Gallo il 29 giugno 1923, laurea in medicina e chirurgia a Berna, training ad orientamento analitico. Ha svolto attività di medico di famiglia a Grono
(Grigioni) fino al 1966, dirigendo anche la Clinica San Rocco. Ha fondato nel 1966
il Reparto di Psicosomatica nella Clinica S. Croce, Orselina-Locarno.
Allievo e amico di Michael Balint, Erich Fromm, Carlo Lorenzo Cazzullo, dal
1960 promuove colloqui internazionali, prima a Grono - con Michael Balint nel
1961-, indi nel Canton Ticino. Dal 1971 coordina, a livello scientifico, gli incontri Internazionali di Ascona per la formazione e l’aggiornamento di medici, studenti in medicina e personale parasanitario secondo il Modello Ascona, riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Salute e dal Consiglio d’Europa, il
Centro di documentazione di Ascona, e i gruppi “Monte Verità”, aperti anche a
pazienti e familiari.
Nel 1962 fu delegato del Consiglio Federale alla Conferenza mondiale per l’educazione sanitaria a Filadelfia.
E’ membro fondatore dell’Associazione Internazionale di Medicina Psicosomatica; presidente onorario dell’Unione Europea di Medicina Sociale; presidente
della Fondazione Internazionale “Erich Fromm” con sede a Firenze, Palazzo
Vecchio; vice presidente della Federazione Internazionale per la Medicina Preventiva; presidente onorario dell’Associazione Internazionale per l'arte in terapia,
fondata ad Ascona nel 1984.
Ha conseguito la Libera Docenza in Psichiatria in Italia nel 1966, con l’incarico di
Docente in Medicina Psicosomatica presso la Scuola di Specializzazione in
Psichiatria dell’Università di Milano, diretta dal Prof. C. L. Cazzullo. Professore
ad honorem presso l’Università di Heidelberg dal 1973, è stato pure incaricato di
Psicologia Medica presso l’Università di Friburgo.
Tra le altre distinzioni ha ricevuto nel 1968 il premio culturale “Italia” e nel 1977
l’Ambrogino d’oro della città di Milano per meriti scientifici; nel 1982 il premio
Alfons Fischer in Germania per l’attività accademica; nel 1984 la distinzione Ernst
Von Bergmann per il promovimento della formazione e dell’aggiornamento di
medici e studenti dell’Associazione Medica Tedesca; nel 1985 la medaglia Michael
Balint; nel 1987 il Premio San Luca per la medicina umanistica a Barcellona; nel
1988 il massimo riconoscimento dell’Accademia Magiara per le Scienze, della
Fondazione Nuova Ciencia a Buenos Aires, della Società di Scienze Mediche
della Tunisia e del Sudafrica.
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Nel 1988 è stato insignito - come unico straniero - della Medaglia d’oro al merito
della Sanità Pubblica a Roma e anche del Premio del Governo grigionese per la
Cultura. Presso l’Università della North Carolina, USA, gli è stato consegnato il
Premio Internazionale Albert Schweitzer for Humanities per meriti umanitari e
pionieristici nel campo medico, con un particolare riconoscimento del Presidente
George Bush.
E’ presidente della Fondazione di Medicina psicosomatica e sociale; vicepresidente della Fondazione Pro Senectute; presidente della Commissione Famiglia e
Salute della Società Svizzera di Utilità Pubblica; già presidente dell’Associazione
Svizzera degli Scrittori Medici e dell'Associazione per la Giornata del Malato.
L’Associazione medica e l’Istituto universitario Bechterew di San Pietroburgo
l’hanno nominato membro onorario del Senato accademico.
Nel 1982 è stato invitato dall’Università di Dokkyo (Giappone), con distinzione ad
honorem. Idem per il Tokyo Medical College nel 1994, Tokyo Medical University
nel 1997 e Nankai University (Cina) nel 1999. Nel 1984 e stato invitato quale
Visiting Professor dell’Università di California (Departments of Family and
Community Medicine and Psichiatry); nello stesso anno è stato designato esperto
e consulente per il settore Sanità del Consiglio d’Europa; nel 1985 ha partecipato
alla Consultazione O.M.S. a Tashkent. E’ cittadino onorario del Comune di
Braggio e del Comune di Grono. E’ stato nominato cittadino benemerito della
Città di Ljubljana per pionieristici meriti umanitari, con la medaglia dell’università per benemerenze. Ha ricevuto la Croce d’Onore austriaca per le Arti e le
Scienze come pure il Sigillo per meriti scientifici dell’Università di Graz. Dalle
Accademie mediche dell’India, della Polonia e della Croazia nel 1993 è stato
nominato honorary yellow.
Nel 1993 l’Università di Bucarest lo nominava professore ad honorem conferendogli la medaglia “Carolus Davila”, nel 1996 l’Università Semmelweis a Budapest
e l’Università di Pecs. Dal 1994 è membro del Consiglio Scientifico del nuovo
Istituto di ricerche per la famiglia presso l’Università di Friburgo.
Le Università di Szeged (nel 1989); di Cluj, Iasi, Costanza, Bucarest (nel 1993);
Kiev, Odessa, Dniepropetrovsk (nel 1996), Minsk, Vitebsk, Gomel, Oradea (nel
2000); Voronesk, Simferopol, Jvanofrankovsk, Ternopol, Lugansk, Kharkov, Varna
(2001) gli hanno conferito il dottorato honoris causa; l’Università di Buenos Aires
(de Flores) il dottorato honoris causa in psicologia; anche l'università di Musicologia di Bucarest lo nominava Dr.h.c.. Cittadino benemerito di Spoleto, Deruta,
Varese, Ascona ha ricevuto nel 1999 la medaglia dell'Università di Mantova e il
sigillo delle Università di Perugia, di Debrecen e di Bratislava. L’Università
Internazionale Albert Schweitzer l’ha nominato Prorettore, l’Albert Schweitzer
World Academy of Medicine dottore honoris causa.
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BIBLIOGRAFIA
1. La famiglia psicosomatica, con G.P. Magni, Piccin: Padova, 1981;
2. II medico come medicina, Piccin: Padova, 1983;
3. Erich Fromm, con F. Cusimano Puleio: Milano, 1984;
4. Introduzione ai gruppi Balint, con U. Pozzi, Piccin: Padova, 1985, 2a ed. Prefazione
Erich Fromm;
5. II terzo orecchio: dalle forme dell'ascolto alla musicoterapia, con M. Delli Ponti,
Centro Scientifico, Torino, 1998, 4a ed. Prefazione Sir John C. Eccles. Introduzione
Herbert von Karajan;
6. Dinamica dei conflitti familiari, con D. Ritschl, Armando: Roma, 1991;
7. II malato psicosomatico, con W. Poldinger e F. Kroger, Astrolabio: Roma, 1996,
Prefazione M. Balint (anche in francese, tedesco, spagnolo, portoghese, inglese,
russo, ucraino, polacco, ungherese, sloveno, rumeno, greco, giapponese, cinese,
persiano, bulgaro);
8. Come convivere con lo stress - Stategie per vincere I'ansia, con T. Carlevaro Centro
Scientifico, Biblioteca della Salute, Torino, 1999, 7a ed. (anche in tedesco, russo,
sloveno, rumeno, ucraino, inglese);
9. I depressi e i loro famigliari, con R. Osterwalder e T. Carlevaro, Società Svizzera di
Utilità Pubblica, 1999, 5a ed. (anche in tedesco e francese);
10. La società senza riposo - Essere ogni giorno, con G. Martignoni Centro Scientifico,
Torino, 2000
11. Inventare il presente, con G. Martignoni, Centro Scientifico, Torino, 2000;
12. Dialogo medico-paziente - Dalla relazione alla nuova psicosomatica, con A. Musso
Centro Scientifico, Torino, 2000;
13. II medico come terapia – L’alleanza con il paziente, con K. Laederach-Hofmann,
L. Knaak, H.H. Dickhaut Centro Scientifico, Torino, 2001;
14. Ponti di vita - Vie della salute, Centro Scientifico, Torino, 2001;
15. Un’eta da abitare, Fabio Moser - Rita Pezzati - Boris Luban-Plozza, Bollati
Boringhieri Torino, 2002;
16. La musica e l’anima - Viaggio nel linguaggio dei sentimenti, con Carlo Delli Noci, 2002;
17. II coraggio di essere. L’esperienza di Erich Fromm, Claudio Bonvecchio, Boris
Luban-Plozza, 2002;
18. Psicosomatica della vita quotidiana, con Luciano Casolari, Ferdinando Pellegrino, 2002.
29
Boris Luban-Plozza e
le abilità emotive del medico
F. Pellegrino
Nel 2004 ho pubblicato il libro La comunicazione in medicina (1) che
dedicavo a Boris Luban-Pozza venuto meno proprio mentre lo stavo scrivendo, sollecitato dal suo costante incoraggiamento ad affrontare un tema
a lui molto caro.
Ho conosciuto Boris nel 1996, quando ancora studente in medicina partecipai ad Ascona al “Premio Balint”, da allora mi sono recato più volte in
Svizzera, ho partecipato per anni ai Gruppi Balint, secondo il modello di
Ascona, e più volte ho invitato Boris a Salerno. La sua opera ed il suo pensiero sono stati per me un punto di riferimento costante, ma soprattutto la
ricchezza più grande è stata la sua amicizia, il suo calore ed affetto, la sua
spinta alla creatività e alla vitalità, fino alla fine.
Del suo pensiero due sono gli insegnamenti che in questa sede mi preme
sottolineare e per i quali Boris nelle sue opere, ispirandosi agli insegnamenti di Michael Balint, ha sempre posto in rilievo e valorizzato con
l’esperienza dei Gruppi Balint.
Il primo insegnamento nasce dall’assunto che nessun operatore sanitario
può operare con serenità ed empatia se non ha un buon equilibrio psichico, il secondo nasce dalla constatazione che le abilità comunicazionali e
relazionali non si possono apprendere dai libri, ma attraverso l’esperienza
del lavoro di gruppo, mettendosi in discussione, osservando e riflettendo
sul proprio modo di relazionarsi a se stessi e agli altri, con spirito critico
ma soprattutto con quella flessibilità che consenta di modificare nel tempo quegli aspetti della personalità che limitano l’empatia.
Queste riflessioni appaiono come presupposti fondamentali per l’agire
professionale, in un momento in cui la Sanità è in crisi, come appare in
crisi il rapporto medico-paziente. E sicuramente nel pensiero e nell’opera di Boris l’assunto principale risuona con un monito ad essere attenti a
non cercarsi alibi, a non deresponsabilizzarsi, a non pensare e ritenere che
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la formazione psicologica debba essere di esclusiva pertinenza degli psichiatri o degli psicologici. Boris ha sempre riconosciuto i limiti della formazione universitaria, per quanto ha potuto e realizzato ha cercato di sensibilizzare il mondo accademico a ritagliare più spazio per la psicologia
medica, per la formazione psicologica del medico; ciò nella consapevolezza dell’attuale scarsa sensibilità – non solo in Italia – in tale ambito.
Tuttavia Boris ha sempre creduto e sostenuto che la responsabilità della vita
degli altri richiede una formazione profonda, richiede l’acquisizione di strumenti psicologici idonei a cogliere la natura della sofferenza umana e la codifica del disagio psichico; ha quindi sempre sostenuto che ciascun operatore
possa – e debba - farsi carico di un percorso formativo personale, non istituzionale (pur auspicato!) che possa colmare i limiti formativi universitari.
Intorno a sé Boris ha raccolto il consenso di migliaia di professionisti che
nel mondo hanno accolto questo invito e che continuano a lavorare organizzando percorsi formativi specifici che rappresentano un punto di riferimento vitale per la formazione psicologica del medico e più in generale
per ogni operatore della salute.
Già Balint affermava che “lo strumento della psicoterapia è il medico stesso. Ciò implica che egli deve costantemente badare ad essere in buono
stato ed in condizioni di buon funzionamento.
Come è difficile operare con bisturi non affilato, ottenere radiografie precise con un apparecchio difettoso (…) così il medico non è in grado di
ascoltare come si deve se non è in buona forma” (2).
Nell’attuale contesto sociale il ruolo del medico è diventato più difficile da
sostenere, e sicuramente – oltre agli aspetti che disciplinano il Sistema
Sanitario Nazionale – ci si ritrova ad affrontare problematiche un tempo
inesistenti o comunque meno impattanti.
Il medico si ritrova infatti a gestire situazioni complesse in cui si intrecciano problematiche organiche e psichiche, si pensi ai risvolti psicologici
della cardiologia o dell’oncologia, dei trapianti d’organo o dell’AIDS.
Ma si ritrova anche a fronteggiare l’aumento delle patologie croniche
(salute residua) che rende particolarmente rilevante la necessità di adottare un metodo clinico che consenta sia al medico che al malato di affrontare le difficoltà di convivenza con malattie che non si possono “sconfiggere”, dovendo imparare a rimodulare gli obiettivi terapeutici verso la
promozione della qualità della vita (3)
“Ma… il medico – si chiede Boris - ha realmente tempo per un dialogo
più intenso con i pazienti? Possiede di fatto le capacità sufficienti?” (4).
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L’introduzione in sanità di metodologie di gestione aziendale, senza nulla
togliere al rapporto umano e professionale tra il medico ed il paziente, sta
rivoluzionando l’intero assetto organizzativo e comporta per il medico l’assunzione di un atteggiamento innovativo nei confronti del proprio operato, in ragione della necessità di raggiungere una migliore efficienza in rapporto alle risorse disponibili.
Oggi viene richiesta flessibilità, competenza e maggiore professionalità,
quali esiti di una formazione alla professione più globale, che comprende
aspetti tecnici, psicologici, manageriali.
Per la propria sopravvivenza il medico deve saper adottare specifiche strategie psicologiche utili a meglio gestire la complessità della realtà professionale quotidiana e ciò può essere appreso attraverso specifici programmi di addestramento all’autonomia grazie ai quali è possibile imparare a:
- esprimere più liberamente le emozioni
- affrontare lo stress con maggiore efficacia ed autonomia
- contare di più sulle proprie forze
Non basta essere bravi medici, tecnici specializzati in precisi ambiti della
medicina e della chirurgia.
Occorre avere una buona conoscenza di specifiche nozioni di psicologia
utili sia per gestire il rapporto interpersonale in ambito lavorativo sia,
soprattutto, per poter conoscere il mondo interiore dei pazienti, presupposto per qualsiasi forma di relazione e comunicazione ed in linea con un
approccio olistico o psicosomatico, in cui diventa centrale l’uomo (5).
La medesima malattia, pur presentando caratteristiche uniformi che la
rendono riconoscibile da malato a malato (è uguale per tutti i pazienti) è
vista anche in ciò che distingue un paziente dall’altro, nel modo, cioè, in
cui ciascun malato la vive a seconda della propria storia.
Per cogliere l’unicità della sofferenza Boris ha più volte richiamato la necessità di affinare l’ascolto e per ascoltare bene è necessario liberarsi di quello
che abbiamo in mente e sentire ciò che occupa invece quella degli altri.
L’attenzione contraffatta non funziona, allenarsi per ascoltare “con il terzo
orecchio” (6) vuol dire affinare l’intuito empatico, per rendere possibile
una reale comprensione della sofferenza del paziente.
La mente emozionale e quella razionale operano così in grande armonia
con le loro modalità di conoscenza che pur diverse si integrano reciprocamente per guidarci nella realtà.
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In questo senso la medicina psicosomatica è un modo di esercitare la
medicina in qualunque sua branca, e quindi non è una specializzazione.
La medicina psicosomatica è una corrente di pensiero che ha l’obiettivo di (7):
a. riumanizzare il rapporto medico-paziente
b. recuperare lo stile di un’arte sanitaria centrata più sul malato che
sulla malattia
c. restituire la giusta e opportuna dignità sia a chi soffre sia a chi cura
d. integrare, fra i fattori di rischio delle malattie fisiche, le variabili di
personalità, gli stili di vita, i modelli comportamentali, le relazioni
interpersonali.
Il medico ha difficoltà ad agire, teme che il paziente gli porti via molto
tempo, teme di coinvolgersi troppo e che ciò non sia compito suo. Può
quindi essere indotto a prescrivere esami e farmaci. Tuttavia anche quando il dolore è “fisico” non bisogna esimersi dall’esercitare fin dall’inizio
un’influenza psicoterapeutica. Ogni incontro con il medico ha il suo effetto sul paziente, il quale rileva nel medico questa sua “risonanza comunicativa”.
Anche il paziente osserva il medico, il suo modo di comunicare, il suo
modo di credere nei farmaci, la sua fiducia nella “risoluzione” del problema. Vi è quindi sempre un’analisi reciproca della situazione e vi sono delle
aspettative da parte del paziente.
Negli ultimi anni la sensibilità del medico verso queste problematiche è
cresciuta sensibilmente, così l’entusiasmo verso la professione, nonostante la “fatica che quotidianamente” occorre affrontare.
Tale entusiasmo e sensibilità è certamente importante – ha sempre sostenuto Boris - per favorire quel processo di formazione psicologica che non
ha fine, ma che giorno dopo giorno evolve in modo continuo, lasciando
che l’esperienza acquisita diventi un valore formativo che consolida nel
tempo la predisposizione ad apprendere dall’esperienza stessa che in questo modo diventa momento di formazione e crescita.
L’opera futura sarà quella di favorire contesti di apprendimento esperienziali, che vadano a valorizzare e ad arricchire non solo il bagaglio di conoscenze scientifiche del medico, quanto anche la sua competenza emotiva
e relazionale.
Alcune recenti indagini (7) si sono proposte di valutare il livello di abilità
emotiva presente negli operatori che è stato poi correlato al grado di sod-
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disfazione professionale al fine di identificare gli strumenti che consentono l’utilizzo ottimale delle risorse psicologiche individuali.
L’abilità emotiva riscontrata nei medici è stata elevata, così come appare
alto il livello di soddisfazione professionale anche se si ha la consapevolezza che la professione può essere causa di disturbi come ansia e tensione,
stanchezza, depressione e anche motivo di minore efficienza lavorativa,
irritabilità e superficialità nel rapporto con il paziente.
I dati raccolti indicano che esiste una diretta correlazione tra il grado di
soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale delle abilità emotive;
ciò che manca è spesso la consapevolezza di possedere tale abilità, di
riflettere sul ruolo che possono avere nella gestione del quotidiano, sull’importanza che hanno nel favorire livelli ottimali di qualità di vita.
L’opera di Boris Luban-Plozza può pertanto essere un esplicito invito a
imparare a riconoscere e gestire in modo ottimale le risorse psicologiche
di cui si dispone in quanto l’impegno professionale quotidiano comporta
in ogni caso un notevole dispendio di energia sia fisica che psichica.
“Il farmaco di gran lunga più usato in medicina generale è il medico stesso” sosteneva Balint. Tuttavia il “buon senso” non basta, occorre una formazione specifica, una riflessione sul proprio modo di essere e di relazionarsi agli altri.
Partendo da questi dati e riflettendo su di essi sono state elaborate specifiche strategie di addestramento attraverso lavori di gruppo, inseriti nel
contesto di corsi ECM, che impegnano il professionista nell’acquisizione
di una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni; ciò rende più trasparente il rapporto con se stessi, consentendo un migliore accesso alle
emozioni del paziente (empatia).
Lavorare in gruppo, esprimere emozioni e condividerle con gli altri colleghi affina quindi la capacità clinica di giudizio e consente di porre le basi
di un rapporto di fiducia che vede medico e paziente alleati lungo il percorso di malattia. Ciò appare anche determinante per la codificazione
della gestione della giusta distanza emotiva con il paziente, al fine di evitare, da un lato, un distacco emotivo che limita la relazione e, dall’altro, un
eccessivo coinvolgimento emotivo che può diventare un carico aggiuntivo
difficile da gestire.
Nella modulazione di tale distanza il rapporto cresce e si struttura nel
tempo ed il medico impara a riappropriarsi di una dimensione emotiva
che lo pone in condizione di riconoscere e gestire al meglio le più importanti emozioni che ricorrono nella relazione con gli altri.
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Questo processo apporta benefici anche sul versante personale; la capacità di decodificare e gestire le proprie emozioni aiuta a promuovere il
benessere e a riconoscere i limiti umani e professionali dell’agire quotidiano, facilitando l’attuazione di uno stile di vita più funzionale (3).
“Lavorare in gruppo – scrive uno dei partecipanti - mi è servito molto
anche a ragionare sulla spesa umana di questo lavoro e mi sono accorto di
essere davvero una rana in pentola... così ora finisco prima la sera e suono
in una nuova big band”. Una consapevolezza ritrovata attraverso un
momento di riflessione che è servito a rileggere, per meglio gestire, il carico emotivo della professione sanitaria ritenuta a rischio per lo sviluppo di
patologie da stress lavorativo come la sindrome del burn-out (8, 9).
L’esperienza emozionale dei lavori di gruppo – così come ha sempre insegnato Boris - appare quindi di fondamentale importanza per la gestione
delle risorse umane in ambito lavorativo, ma anche come modalità di
attuare strategie di supervisione del lavoro svolto e come strategia di prevenzione di dinamiche psicologiche che possono confluire in strutturazioni psicopatologiche (8).
Costruire un gruppo funzionale richiede costanza e impegno progressivo.
Essendo un’esperienza vissuta in prima persona richiede una partecipazione attiva e diretta, duratura nel tempo, tale da garantire una “modificazione notevole, seppur parziale, della personalità del medico” (2).
Nel contesto della formazione ECM si ritiene quindi importante implementare questo tipo di esperienza che rafforza l’identità medica nei suoi
aspetti umani e professionali e consolida metodologie di insegnamento e
apprendimento proprie dell’andragogia (10, 11).
E’ questo credo sia l’insegnamento più importante che l’opera di Boris ci
ha lasciato ed è così che mi piace ricordarlo, con ciò che oggi riesco ad
essere e a fare grazie al suo aiuto, alla sua presenza che vivo con l’entusiasmo di sempre, e alla ricchezza dei libri e dei tanti scritti che mi ha inviato e che conservo con amorevole cura.
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BIBLIOGRAFIA
1. Pellegrino F, La comunicazione in Medicina, Mediserve, Milano-Firenze-Napoli, 2004
2. Balint M, The Doctor, his Pazient and the Illness, Pitman Medical Publishing Co.
Ldt, London 1957 (tr. It. Medico, paziente e malattia, Feltrinelli Editore, 1990)
3. Cosmacini G, Il mestiere di medico, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000
4. Luban-Plozza, Pöldinger W, Kröger F, Il malato psicosomatico e la sua cura, Casa
Editrice Astrolabio, Roma, 1992
5. Moja EA, Vegni E, La visita medica centrata sul paziente, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2000
6. Delli Ponti M, Luban-Plozza B, Il terzo orecchio, Centro Scientifico Torinese,
Torino, 1991
7. Consensus Statement su Medicina Psicosomatica e formazione psicologica del
medico. Medicina Psicosomatica, volume 42, numero 3, 1997, Società Editrice
Universo, Roma.
8. Pellegrino F, La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino, 2002
9. Pellegrino F, Oltre lo stress, burn-out o logorio professionale, Centro Scientifico
Editore, Torino, 2007
10. Pellegrino F, Filocamo G, La gestione dello stress lavorativo, MD Medicinae
Doctor, XII, 11/12: 4-7, 2005
11. Pellegrino F, Valorizzare le risorse umane, Mediserve, Milano-Firenze-Napoli,
2007
37
Il legame affettivo con i luoghi
nella psicologia ambientale
dellÕi nvecchiamento
P. Nadin
In questo lavoro si vuole evidenziare un aspetto particolare, l’attaccamento ai luoghi, termine sul quale solo recentemente c’è stato accordo, del più
ampio tema del rapporto uomo-ambiente; si vuole osservarlo in particolar modo riguardo gli anziani tenendo in considerazione i diversi modi in
cui è stato interpretato l’invecchiamento nel tempo.
Generalmente l’ultima parte della vita era considerata una fase di lento ed
inesorabile declino: basti ricordare a questo proposito la teoria del “massimo adolescenziale” che descriveva la vita come una parabola in cui il
punto più alto della curva era raggiunto intorno ai 20-25 anni: da qui
cominciava un declino inesorabile.
Negli anni ’80 un approccio più realistico, la prospettiva life-span, cioè
della psicologia dell’arco di vita (Baltes, Reese, 1986), riconosceva una
grande importanza alle differenze individuali cosicché l’invecchiamento
diventava un fenomeno complesso, che variava da persona a persona.
In quest’ottica di vita intesa come un lungo percorso di sviluppo, di cui la vecchiaia è solo una parte, in cui sono presenti sia i guadagni sia le perdite, risulta importante studiare il rapporto tra l’anziano e l’ambiente, visto come fattore facilitante di supporto oppure come ostacolo in un processo di interazione
esplicabile in un vissuto di autonomia-dipendenza che ha le sue origini nel
rapporto tra il bambino e la madre-ambiente (Baroni, 1999b; Baroni, 2003).
E’ possibile tracciare un parallelo tra l’infanzia e la vecchiaia, due periodi
della vita in cui siamo più deboli poiché si riduce la nostra competenza
ambientale, cioè la capacità di far fronte ai compiti ambientali , inversamente proporzionale alla dipendenza ambientale; il venir meno della
competenza ambientale rende l’individuo più vulnerabile alla pressione
ambientale, secondo la docility hypothesis di Lawton (1985).
La dipendenza ambientale è un altro tema in cui si possono paragonare
l’anziano e il bambino; il bambino sviluppa un sentimento di attaccamen-
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to all’ambiente che lo circonda e si identifica, nelle prime fasi dello sviluppo, con la madre-ambiente (Baroni, 1999b; Baroni, 2003); pian piano il
bambino crea un suo stile di attaccamento, derivante dall’interazione con
la figura di accadimento, che utilizzerà poi con ogni persona.
Dal concetto di attaccamento alle persone si cerca di delineare un collegamento con l’attaccamento ai luoghi, anche se questo è ancora oggetto di
discussione: stabiliamo dei legami di tipo affettivo con dei luoghi verso i
quali abbiamo una qualche forma di dipendenza: ciò ha anche una grande
importanza per il mantenimento della nostra identità. Anche l’anziano che
si trova a vivere una condizione di scarsa competenza e quindi di maggior
dipendenza dall’ambiente, tenderà a sviluppare un forte senso di attaccamento ai luoghi per soddisfare varie esigenze: un senso di continuità, una
maggiore sensazione di controllo, mantenere un senso di familiarità, ecc…
In questo processo entrano a far parte sia determinanti fisiche, ad esempio le risorse che un ambiente può offrire ai bisogni del soggetto, che di
personalità: basti pensare al concetto di place identity (Proshansky, 1983)
cioè l’insieme delle dimensioni che definiscono l’identità di una persona
in relazione all’ambiente fisico.
Quello che si vuole evidenziare, in rapporto al concetto di attaccamento ai
luoghi, sono le sue caratteristiche in relazione all’età anziana. Sicuramente
può assumere una maggior forza rispetto ad altre età, rendendo l’anziano
meno flessibile ad eventuali cambiamenti; l’eventuale rottura può essere più
dolorosa e traumatica perché si toglie all’anziano un ambiente rassicurante,
familiare, che può aiutare l’anziano che si trova ad affrontare una minore
competenza ambientale dovuta al declino fisico e cognitivo; può portare un
anziano a continuare a vivere in un ambiente a lui dannoso per la difficoltà a
separarsene; l’attaccamento può essere quindi un fattore aggravante la dipendenza ambientale dell’anziano. E’ quindi interesse di questo lavoro offrire
una panoramica delle conoscenze concernenti questo tema, che necessita di
ulteriori approfondimenti avendo avuto uno sviluppo abbastanza recente così
come il più ampio tema del rapporto tra invecchiamento e ambiente.
L’ATTACCAMENTO AI LUOGHI
Concetti introduttivi
In questo paragrafo si cercherà di affrontare il tema dell’ attaccamento ai
luoghi dalle sue origini ad oggi, attraverso i lavori più importanti sul
tema. Bisogna certamente sottolineare che l’attaccamento ai luoghi è
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parte del più vasto tema del rapporto tra uomo e ambiente, oggetto d’indagine principale della psicologia ambientale cioè della “disciplina che si
occupa delle interazioni e delle relazioni tra le persone e il loro ambiente”
(Proshansky, 1987) , non solo l’ambiente fisico, naturale o costruito, ma
anche l’ambiente sociale, che non è quasi mai separabile dall’ambiente
fisico (Baroni, 1998). Fin dai suoi inizi la psicologia ambientale aveva
concentrato l’attenzione più sugli aspetti cognitivi e comportamentali del
rapporto uomo-ambiente, tralasciando quelli affettivi; ed è proprio a questo settore dell’esperienza umana costituito dalle dinamiche affettive che
intervengono nei rapporti che le persone stabiliscono con i luoghi dove
nascono, vivono, agiscono, e con le altre persone che in quei luoghi vivono e operano che appartiene la tematica dell’attaccamento ai luoghi
(Giuliani, 2004a).
E’ indubbio che ognuno di noi conosca, almeno in parte, aspetti e caratteristiche di questa dimensione affettiva che può essere esplicitata anche in
molti ambiti della nostra vita quotidiana: raffigurazioni, idealizzazioni,
opere d’arte, letterarie, ecc...
All’ambiente verso cui proviamo un affetto, è strettamente connesso un
gruppo di persone, una comunità, verso i quali ci legano rapporti di comunanza, fratellanza oppure di diversità, avversione: in ogni caso l’insieme
dei legami affettivi verso un luogo e verso la comunità che in esso si trova
ha conseguenze nel definire la nostra identità, nel dare senso alla nostra
vita, arricchendola di scopi, valori, significati (Giuliani, 2004a).
Come precedentemente accennato, la valutazione dei legami affettivi con
i luoghi è stata ritenuta secondaria agli aspetti cognitivi e comportamentali e questa scarsa attenzione si può riscontrare anche nella pluralità di termini usati per indicare i legami affettivi con i luoghi: radicamento (rootedness), senso del luogo (sense of place), sentimento di appartenenza (belongingness), attaccamento (attachment), identità di luogo (place identity), in
quanto derivante da una confuso approccio al tema.
Recentemente, da metà degli anni ’80 in poi, c’è stata una certa convergenza sull’uso del termine attaccamento (Altman, Low, 1992; Giuliani,
Feldman, 1993) cercando un parallelo con la teoria dell’attaccamento
di Bowlby.
Come vedremo, tra le due teorie esistono punti di contatto ma anche
molte differenze: non si può certo pensare, ad esempio, che la teoria dell’attaccamento ai luoghi abbia lo stesso potere predittivo di quella dei
legami personali.
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La teoria dell’attaccamento nelle relazioni interpersonali
Il legame di attaccamento, secondo la teoria di Bowlby, è quella particolare relazione che si instaura tra il bambino e la persona adulta che si prende cura di lui a partire dalla nascita: garantisce un senso di benessere,
sicurezza dai pericoli esterni e dalle tensioni interne; ha quindi una funzione evolutiva (Simonelli, Calvo, 2002).
Il legame sarà mantenuto dai comportamenti di attaccamento che hanno
la funzione di assicurare la vicinanza fisica del bambino con la figura di
attaccamento, sia come segnali per favorire l’avvicinamento sia per determinare l’avvicinamento vero e proprio alla figura di riferimento
(Simonelli, Calvo, 2002).
L’insieme delle esperienze di interazione, durante lo sviluppo, con la figura principale e quelle secondarie di attaccamento, determineranno nel
bambino la formazione di strutture cognitive o rappresentazioni del
mondo e delle persone, i modelli operativi interni, che guideranno la sua
interpretazione del mondo (Giuliani, 2004a).
Si verranno a determinare perciò dei modelli di attaccamento che diverranno lo schema dei rapporti affettivi di una persona con tutti gli altri, non
solo con le figure di attaccamento: è questa la capacità predittiva del sistema di attaccamento.
Tornando al tema dell’attaccamento ai luoghi, visto che la sua definizione
è abbastanza recente, cerchiamo di vedere da dove nasce o meglio cerchiamo di vedere quali altre indagini lo hanno preceduto.
I primi lavori della psicologia ambientale sull’attaccamento ai luoghi
Uno dei primi lavori che si sono occupati dei legami affettivi con i luoghi
è stato lo studio di Fried del 1963 sugli effetti psicologici del trasferimento forzato della popolazione di un quartiere periferico di Boston, il West
End, nel corso di un programma di riassetto urbano.
Lo studio, basato su interviste prima e dopo il trasferimento, evidenziò la
presenza di reazioni emotive analoghe al senso di dolore provato per la
perdita di una persona cara: Fried teorizzò che lo spostamento forzato dal
luogo di residenza rappresentasse una rottura nel senso di continuità degli
individui perchè risultavano compromesse due componenti fondamentali
della loro identità: l’identità spaziale e l’identità di gruppo; questo testimoniava la presenza di una certa qual forma di attaccamento al luogo di
residenza (Giuliani, 2004a).
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Dopo questo lavoro iniziale la nozione di attaccamento scompare per quasi
un ventennio dalle discussioni in psicologia ambientale; negli anni Ottanta
si impone come oggetto di studio anche in rapporto al tema più ampio dei
rapporti affettivi con i luoghi, soprattutto in connessione con gli studi di
altri settori disciplinari: la sociologia di comunità e la geografia umana.
In campo sociologico, a quel tempo, si dibatteva sulla dissoluzione delle
comunità locali come conseguenza della vita urbana moderna: il concetto
di attaccamento alla comunità o di senso di appartenenza fanno parte
della nozione stessa di comunità locale; vari studi parlano dell’importanza
del sentimento di appartenenza, di attaccamento alla comunità, di grado
di partecipazione agli avvenimenti, ecc…
L’attaccamento al luogo compare anche negli studi di geografia umana
soprattutto ad indirizzo fenomenologico che pongono in evidenza la centralità dei luoghi nell’esperienza umana.
Sono lavori che si rifanno a teorie di tipo più filosofico che psicologico: ad
esempio il concetto heideggeriano di “esserci” definisce l’esistenza dell’uomo come “essere-nel-mondo” in cui mondo significa l’insieme delle
relazioni tra l’uomo, gli altri uomini e le cose: in questo intreccio si sviluppa una situazione emotiva o tonalità affettiva, gli affetti sono universali e necessari, per una relazione autentica con il mondo (Giuliani, 2004a).
Ambiente e identità
La nozione di attaccamento attira sempre più interesse soprattutto negli
anni Novanta investendo più ambiti di ricerca: ad esempio quelli relativi
alla qualità dell’ambiente, dell’identità, della territorialità.
L’importanza dell’ambiente per lo sviluppo psicologico della persona,
della sua identità, trova un primo interesse nel lavoro di Fried quando
parla di identità spaziale e viene ripreso più avanti da Proshansky, Fabian,
Kaminoff (1983) i quali parlano di place identity o identità di luogo
descrivendo “una sub-struttura dell’identità del Sé che consiste in cognizioni del mondo fisico in cui l’individuo vive. Tali cognizioni sono memorie, idee, sentimenti, atteggiamenti, valori, preferenze, significati, schemi
di comportamenti ed esperienze relativi alla varietà e complessità dei
contesti fisici che definiscono l’esistenza quotidiana di ciascun essere
umano. Nucleo centrale delle cognizioni relative all’ambiente fisico è il
cosiddetto passato ambientale della persona: i luoghi, gli spazi e le loro
caratteristiche che sono serviti alla soddisfazione dei bisogni biologici,
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psicologici, sociali e culturali della persona” (Proshansky et al., 1983).
Nel definire la propria identità ogni persona deve differenziarsi dagli altri,
anche tramite la relazione con vari ambienti che definiscono e strutturano
la vita di tutti i giorni.
Il passato ambientale non è solo il ricordo degli ambienti fisici sperimentati dalla persona, ma consiste in un insieme di cognizioni che riflettono le
credenze e gli atteggiamenti dell’individuo verso l’ambiente stesso.
L’identità di luogo, essendo parte dell’identità, può variare nel tempo, soggetta ai cambiamenti connessi con il ciclo di vita.
L’identità di luogo, secondo questi autori, assolve a cinque funzioni psicologiche:
a) è fonte di riconoscimento per l’individuo, come membro appartenente ad un determinato luogo;
b) concorre alla determinazione dei significati con i quali si definisce se
stessi;
c) permette la soddisfazione delle esigenze espressive;
d) funge da mediazione nei confronti dei cambiamenti che avvengono
nel ciclo di vita;
e) consente di difendersi dall’ansia grazie alle cognizioni relative agli
ambienti dannosi e pericolosi (Proshansky et al., 1983; Arace, 2007).
Se, quindi, l’ambiente che ci circonda, con cui siamo in relazione, concorre alla definizione della nostra identità, è logico pensare che il nostro rapporto con quell’ambiente debba essere di tipo continuativo, condizione
necessaria a dare un senso di continuità al Sé; questa costanza di rapporto porterà inevitabilmente all’instaurarsi di sentimenti di attaccamento
personale ai luoghi, di un senso di appartenenza, di radicamento.
I processi cognitivi, che si sviluppano per la formazione dell’identità di
luogo sono uguali a quelli per altre strutture cognitive; l’insieme di cognizioni così formato servirà come una sorta di schema o script per riconoscere e comprendere le esperienze future con il mondo fisico (Proshansky
et al., 1983; Giani Gallino, 2007).
I legami con un luogo: territorialità
Un altro concetto importante per questa discussione è quello della territorialità, le sue funzioni, le modalità che i soggetti escogitano per dimostrare la loro presenza sul territorio, i sentimenti che legano le persone ad
un territorio, ecc…
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Un importante contributo sulla territorialità venne dato da Altman, il
quale riteneva si potessero definire tre tipi di territori in base alla durata
dell’occupazione e della centralità psicologica:
1) territori primari, come la nostra casa o la nostra camera da letto;
2) territori secondari, accessibili anche a un numero limitato di altre
persone, ma sempre abbastanza controllabili da noi, come la nostra
scuola, o una biblioteca a cui siamo iscritti;
3) territori pubblici, in cui il primo che arriva occupa un posto e lo occupa per breve tempo (Brown, 1987).
Un ulteriore approfondimento sul tema lo troviamo nel lavoro della Brown
la quale, descrive lo sviluppo dei diversi approcci alla territorialità, dapprima in un’ottica prettamente biologica ad una più sociale: all’inizio la territorialità era concepita come necessaria per la regolazione dagli invasori, poi
viene vista come sistema di mediazione delle interazioni sociali.
Questo cambiamento di paradigma trova riscontro anche nelle diverse
definizioni della territorialità, le prime concernenti aspetti più di demarcazione, controllo e difesa dello spazio, le seconde riguardanti aspetti di identificazione psicologica con i luoghi, benefici organizzativi (Brown, 1987).
Un’altra differenza la si nota anche nei diversi sistemi di demarcazione e
personalizzazione del territorio: in un contesto di attenzione agli aspetti di
difesa del territorio acquisteranno maggiore importanza marcatori territoriali fisici chiari, evidenti, che separino nettamente i territori vietandone
l’intrusione; in un quadro di maggiore rilevanza degli aspetti di interazione sociale e di espressione della identità del singolo o di una comunità
saranno predominanti marcatori territoriali meno evidenti, meno definiti,
variabili alle diverse esigenze che devono soddisfare.
Un contributo importante alla nostra discussione riguarda il confronto tra
territorialità e identità: il territorio può essere luogo di rappresentazione
di sé stessi attraverso le scelte di personalizzazione, che acquisiscono una
rilevanza sociale perché consentono di mostrarci agli altri, di far nascere
impressioni e aspettative su di noi; anche la proprietà e l’uso degli oggetti può avere un forte carattere comunicativo.
Anche gli stati psicologici associati all’occupazione, alla demarcazione, alla
difesa dello spazio, all’attività di controllo che esercitiamo sul territorio
stesso sono espressione della nostra identità (Brown, 1987).
Se questa è l’importanza che può assumere un territorio è logico pensare
al sentimento di attaccamento che ci lega allo stesso: naturalmente questo
legame varierà a seconda del tipo di rapporto che si sarà instaurato con il
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territorio stesso, per la durata della presenza in quel luogo, il coinvolgimento nella sua gestione, la possibilità di personalizzazione, la capacità o
meno del territorio di rappresentare la nostra identità, la facilità o meno
con cui favorisce la formazione di interazioni sociali, ecc…
Luoghi nel tempo: la residenzialità
Nel valutare l’importanza che un luogo, un territorio, possono avere per
una persona, viene considerato un fattore rilevante per la formazione di
un legame la continuità nel rapporto con un luogo e la lunghezza del rapporto stesso.
Questo fattore è stato indagato da Feldman (1990) che, conscia dell’importanza della continuità delle esperienze residenziali per la formazione
di legami affettivi con un luogo di residenza, si chiedeva come gli americani, quale massimo esempio di una società mobile, potessero comunque
provare sentimenti di attaccamento verso i luoghi in cui risiedevano.
Le considerazioni iniziali riguardavano i diversi termini usati per descrivere le esperienze delle persone di un profondo sentimento di relazione con
i dintorni della casa, con le unità abitative: radicamento, l’essere a casa,
identità spaziale, identità di luogo, ecc…
Questi termini indicano un’intensa e positiva esperienza di legami psicologici con i dintorni della casa che diventa spazio esperenziale, luogo di
comfort, di sicurezza, cura, preoccupazione; la formazione di questi legami comportano dolore e senso di frammentazione del sé in caso di trasferimento forzato, rifiuto a muoversi anche in caso di pericolo o difficoltà
(Feldman, 1990).
Per molti studiosi c’è una spaccatura crescente tra luoghi e persone per
vari motivi: la perdita di uno stile di vita passato legato al luogo in cui una
persona rimaneva sempre nello stesso posto, dalla nascita alla morte, e il
passaggio ad uno stile di vita in cui predominano i cambiamenti, sia per
l’alta frequenza di spostamenti residenziali, sia per il progresso degli strumenti tecnologici di trasporto e comunicazione che favoriscono la mobilità, sia per la standardizzazione dello stile delle costruzioni; per altri studiosi invece non c’è un forte aumento della mobilità né una minore importanza dei luoghi della casa nella vita degli americani: gli spostamenti
avvengono più che altro tra centro e periferia e se comportano l’uscita
dalla città le scelte residenziali mostrano una certa coerenza, un certo
senso di continuità (Feldman, 1990).
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Vari autori si sono interessati alla formazione dei legami psicologici con la
casa e i suoi dintorni, geografi, fenomenologi, psicologi, trovando alcuni
punti in comune:
a) i legami si sviluppano con una lunga permanenza in un ambiente residenziale cosicché i dintorni della casa diventano un unico luogo di
attività familiari, conosciute e prevedibili;
b) i legami psicologici con i dintorni della casa sono spesso inconsci o
dati per scontati; questi legami includono un senso di integrazione, di
appartenenza, di sicurezza.
Il fornire continuamente interpretazioni sull’ambiente della casa e le attività connesse è, al contempo, un modo per conoscere e sviluppare i propri sentimenti, le proprie credenze e valutazioni sul proprio sé e sul proprio ruolo sociale; un soddisfacente coinvolgimento con la casa e i suoi
dintorni, la fanno diventare un simbolo durevole del sé, della continuità
delle esperienze, di ciò che è importante per gli abitanti (Feldman, 1990).
Molti studi si sono concentrati sull’ambiente specifico della casa tranne
Proshansky che aveva sottolineato come i legami psicologici con un luogo
funzionino tanspazialmente, trascendano cioè una relazione con un luogo
specifico: una città può creare una “tipologia urbana” di personalità,
legando una persona non a un luogo specifico ma una tipologia di luogo.
Sembra quasi che nel rapportarsi a un luogo una persona attui un processo di categorizzazione simile a quello per le persone: si creano strutture di
conoscenza che organizzano le aspettative verso un determinato luogo,
strutture che si sviluppano e si modificano continuamente tramite l’esperienza diretta o vicaria veicolate attraverso un sistema di comunicazione
formale o informale.
Quindi, l’esperienza di un legame psicologico con un specifico tipo di
luogo si può generalizzare all’esperienza con quel tipo di luogo, creando
così una relazione tra l’identità del soggetto e la categoria d’insediamento.
Si può infatti definire, adattando Proshansky, la settlement identity, cioè
l’identità di insediamento (o identità di tipologia residenziale) come “la
costellazione di idee, sentimenti, credenze, preferenze, valori, mete,
consapevoli o inconsapevoli, tendenze comportamentali e abilità che
legano l’identità di una persona a un tipo di insediamento e forniscono
le predisposizioni all’impegno futuro con quel tipo di insediamento”
(Feldman, 1990).
L’identità di insediamento serve a fornire conoscenze e abilità per conoscere nuovi ambienti residenziali, trasferire legami affettivi e simbolici,
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mantenere alcune proprietà dei luoghi della casa per supportare e riaffermare la propria identità.
La stessa ipotesi la troviamo confermata in uno studio empirico del 1996
condotto in un area metropolitana di Chicago per indagare la storia residenziale degli abitanti di quel luogo; le risposte confermano che la mobilità non necessariamente implica la perdita dei legami con i luoghi, soprattutto sviluppando legami a un tipo di insediamento, mantenuti anche
attraverso movimenti per mantenere la residenza in quel tipo di luogo.
Una esperienza residenziale a lungo termine, anche se soddisfacente, non
necessariamente comporta lo sviluppo di attaccamenti ad un tipo di insediamento; le differenti esperienze personali di ognuno supportano o inibiscono processi di attaccamento a tipi di insediamento (Feldman, 1996).
Un altro lavoro si è interessato degli spostamenti delle persone e dei loro
legami ai luoghi (Churchman e Mitrani, 1997) indagando il ruolo dell’ambiente fisico in uno shock culturale o, più semplicemente, osservando l’attaccamento al luogo in un contesto di migrazione in particolare quella
dall’Unione Sovietica ad Israele, che ha interessato un grande numero di
persone nel triennio 1989-1992: una migrazione intensa e traumatica sia
per i migranti che per il paese ospitante.
La ricerca avviene tramite interviste a 60 studenti universitari, indagando
due variabili ritenute importanti per il grado di attaccamento al luogo, al
nuovo ambiente: la differenza percepita tra i due paesi a più livelli, di
città, di quartiere, di palazzi e di appartamento e la motivazione a spostarsi verso Israele.
Alcuni elementi sembrano contribuire a predire la natura dello shock culturale sperimentato: fattori personali, fattori interpersonali (presenza
gruppo di supporto), fattori biologici (stato di salute), fattori di controllo
(sull’esperienza), grado di differenza culturale tra vecchio e nuovo
ambiente, grado e qualità delle informazioni sul nuovo ambiente, attitudini e politiche del paese ospitante verso i migranti.
L’ipotesi è che la formazione di un positivo attaccamento al luogo sia indicatore dell’assenza di uno shock culturale o del successo nell’affrontarlo.
I risultati indicano che all’aumentare delle differenze apprezzate, maggiore
sarà l’attaccamento; oltre al numero è importante anche la direzione delle
differenze: se l’apprezzamento si dirige verso il nuovo ambiente ciò favorirà
l’attaccamento allo stesso, se il favore sarà predominante verso il vecchio
ambiente non si formerà un attaccamento al nuovo luogo e compariranno
sentimenti di nostalgia verso il vecchio (Churchman e Mitrani, 1997).
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Fattori che risultano, dalle risposte, essere predittivi di un buon attaccamento e quindi di un minore shock risultano essere una forte motivazione alla migrazione, un buon stato fisico, la presenza della famiglia o di
amici nel paese ospitante, un forte controllo sulla situazione, le differenze
percepite, quantità di tempo di residenza nel nuovo paese.
Il luogo come nostra immagine
Come abbiamo visto nei lavori di Proshansky, Brown e Feldman, la relazione tra luogo, o più in generale l’ambiente, e una persona, non è così
nascosta anzi, sembra piuttosto presente nei nostri comportamenti, nelle
nostre scelte residenziali o di gestione del territorio.
In questo contesto si inserisce il lavoro di Hull che si riferisce al concetto
di congruità dell’immagine, cioè alla corrispondenza tra i significati e i
valori associati a un luogo e l’immagine di sé di una persona; si presume
che all’aumentare della congruenza aumenti l’attaccamento a un luogo
(Hull, 1992); la congruità dell’immagine come un piccolo pezzo di un più
largo, complesso, insieme di forze che contribuiscono all’attaccamento a
un luogo di una persona.
Ci sono tre concetti utili per capire la congruità dell’immagine:
1) immagine sociale (social imageability), definita da Stokols come la
capacità di un ambiente di trasmettere ai propri utilizzatori significati importanti e socialmente rilevanti;
2) il Sé esteso (the extended self), cioè la componente dell’identità di sè
definita da luoghi, oggetti e persone con cui uno è associato: quando
una persona sceglie di dedicare del tempo ad un luogo, un oggetto, fa
una scelta che definisce chi è. Viene usato per esprimere la propria
immagine: il paesaggio, la sua disposizione, la personalizzazione hanno
la funzione di informare i visitatori delle proprie credenze, valori, stili
di vita; una persona può sentirsi non rappresentata dal suo luogo;
3) identità di luogo (place identity), che influenza, come un prototipo o
uno schema, il modo di valutare il passato e il presente. Proshansky
ritiene la congruità dell’immagine come la discrepanza tra identità di
luogo e caratteristiche dell’ambiente: ciò creerà un tentativo di ridurre
se non eliminare questa discrepanza: a) alterando l’immagine sociale
dell’ambiente manipolandolo (personalizzazione), b) alterando l’identità di sé conformandosi alla situazione, c) sentirsi deprivati dei propri
diritti a causa del luogo, non sviluppando attaccamento (Hull, 1992).
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Nella conclusione di questo lavoro viene fatta un’analisi dei rapporti tra
attaccamento ai luoghi e congruità dell’immagine: l’uso continuo di uno
spazio comporta l’attribuzione allo stesso di un insieme di significati, valori, attributi che lo rendono in grado di “esprimere” l’immagine della
comunità che vi vive; ciò renderà quel luogo vicino, congruente alle identità dei soggetti che vi abitano: tale congruenza promuoverà lo sviluppo
dell’attaccamento a quel luogo.
In fondo, il lavoro di Hull sembra in linea con quello di Proshansky e della
Feldman nel sottolineare la connessione molto forte tra l’identità della
persona e caratteristiche del luogo in cui vive, per determinare una congruenza necessaria per un senso di soddisfazione e quindi per favorire un
sentimento di attaccamento verso quel luogo che la persona sente come
proprio, consono alla propria identità.
Complessità del rapporto uomo-ambiente: il senso del luogo
Nel definire le relazioni tra persone e luoghi vengono usati svariati termini da parte di varie discipline; ad esempio si è cercato di evidenziare le
differenze tra spazi (spaces) e luoghi (places) sottolineando come siano gli
uomini, che creano il luogo dotando di significato lo spazio, in rapporto
all’uso che ne fanno.
Si usa il termine senso del luogo per indicare la relazione con i luoghi in
senso generale, comprendendo aspetti cognitivi, affettivi e comportamentali; per alcuni l’identità di luogo rappresenta la parte cognitiva, l’attaccamento ai luoghi quella emotiva (Arace, 2007).
Un altro lavoro (Hay, 1998) utilizza il termine “senso del luogo” facendo
notare come si differenzi dall’attaccamento al luogo nel considerare il contesto geografico e sociale dei legami ai luoghi, così come dà importanza
agli aspetti estetici, agli antenati e al risiedere o meno in quel luogo.
Il lavoro si basa su una serie di interviste svolte in un arcipelago del
Pacifico ad abitanti, villeggianti, proprietari di case per le vacanze, immigrati, ecc…
Vengono usati tre contesti per esaminare lo sviluppo del senso del luogo:
a) stato residenziale nel luogo;
b) fase di vita;
c) sviluppo del legame di coppia adulto.
In rapporto al primo contesto le ipotesi sono che lo status residenziale
condizioni fortemente il senso del luogo, infatti c’è una gradazione che va
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da un senso del luogo superficiale tipico del turista o di chi è comunque
di passaggio, ad un senso più profondo, definito culturale, tipico di chi ha
una lunga storia residenziale in quel luogo, un coinvolgimento nella comunità, nella sua storia, nelle sue tradizioni, ecc…
Al primo tipo di senso corrisponderanno manifestazioni di apprezzamento di tipo estetico, al secondo tipo espressioni di appartenenza, radicamento, sicurezza, coinvolgimento con quel luogo; tra questi due estremi
troviamo altri tipi di senso del luogo, parziale, personale, ancestrale.
La seconda dimensione riguarda una suddivisione del ciclo di vita in più
fasi, basandosi anche sul lavoro di Erikson, Hay divide così il suo campione: 1) dall’infanzia alla pubertà, 2) adolescenza (dalla pubertà ai 20 anni),
3) giovani adulti (fino ai 30-35 anni), 4) adulti (fino a circa 60 anni), 5) giovani anziani (fino a circa 70 anni), 6) vecchi-vecchi; questo tipo di valutazione del senso del luogo, in base alla fase di vita, presume che la persona
abbia passato la maggior parte della vita in quel ambiente, così da poter
fare un parallelo tra le caratteristiche delle varie fasi e il senso del luogo
connesso (Hay, 1998).
E’ indubbio che ogni fase di vita abbia delle conquiste e delle perdite, sia
connotata da necessità di cambiamento o sicurezza, perciò è lecito presupporre che il senso del luogo si adegui a quella fase.
Nelle risposte del campione si nota come il senso del luogo “segua” le fasi
di vita: dal livello embrionale dell’infanzia in cui la conoscenza del luogo
è ancora ridotta spazialmente, i bambini frequentano la casa, la scuola e
gli spazi per giocare con gli amici, e temporalmente perché è ancora breve
il tempo passato in quel luogo; al livello di maggiore conoscenza e senso
di appartenenza delle fasi della vita adulta e anziana in cui la persona
accumula un insieme rilevante di esperienze, piacevoli e non, quali la formazione di una famiglia, la nascita dei figli, dei nipoti, le amicizie, la partecipazione agli eventi della comunità, la morte dei propri cari, ecc…
La terza dimensione riguarda lo sviluppo dei legami di coppia adulti e le
loro similarità con lo sviluppo del senso del luogo; prima di osservare i legami di coppia adulti Hay esamina la formazione del primo importante legame di coppia, citando gli studi sull’attaccamento di Bowlby e della
Ainsworth, cioè quello tra la madre e il bambino, le cui caratteristiche saranno prodromiche dei futuri legami che il bambino svilupperà da adulto.
Negli attaccamenti adulti come in quelli infantili c’è la ricerca, per bisogno di sicurezza in fasi di stress, della prossimità alla figura di attaccamento; c’è angoscia per una separazione inspiegabile dalla figura e gioia per la
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riunione; queste caratteristiche sono frequenti anche nei legami che le
persone stabiliscono con i luoghi.
Nel prototipo del rapporto di coppia adulto, il matrimonio, si possono
individuare alcune fasi importanti che Hay riassume ed esemplifica così:
il corteggiamento, il matrimonio e l’accudimento dei figli, il ritiro (e
morte coniuge).
Nel periodo del corteggiamento tutto sembra speciale, anche il luogo in
cui si sviluppa quell’amore: può risultare difficile quindi spostarsi frequentemente da quel posto e quindi il senso del luogo acquista una sua
importanza.
Il periodo del matrimonio e dell’accudimento dei figli è un periodo intenso in cui la coppia si radica in un luogo, sia per quanto riguarda il lavoro,
le amicizie, la partecipazione alla vita della comunità, elementi che rafforzano il senso del luogo; alcuni problemi potrebbero sorgere nei casi in cui
uno dei due coniugi debba spostarsi per motivi di lavoro, oppure quando
c’è una separazione dei coniugi: in questi casi il senso del luogo ne risente fortemente.
Un altro periodo importante è quello del ritiro e dell’eventuale morte del
coniuge: il ritiro, connesso al pensionamento, modifica fortemente lo stile
di vita delle persone sia per un minor coinvolgimento nella vita sociale
attiva, sia per le eventuali perdite di capacità fisiche o anche per quelle di
persone care, amici, coetanei, ecc…
Ecco perché in questa fase della vita le persone cercano delle sicurezze,
dei punti fermi che trovano almeno in parte nei luoghi in cui hanno sempre vissuto e provato la maggior parte delle loro esperienze significative
della vita, positive o negative che siano.
Un altro aspetto importante da sottolineare è il fatto che il senso del luogo
ha una dimensione per lo più soggettiva ma evidentemente, dagli esempi
appena mostrati, ne ha anche una sociale o di comunità e una storica nel
senso che il nostro personale senso del luogo si sviluppa attingendo anche
da quello degli altri soggetti con cui siamo in relazione e da quello di chi
ci ha preceduto e che ci tramanda la sua esperienza.
I legami affettivi con i luoghi: l’attaccamento ai luoghi
I lavori fino ad ora presentati rappresentano la cornice teorica che ha preceduto la definizione dell’attaccamento ai luoghi, concetto espresso in
maniera più approfondita nei lavori che seguiranno.
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Uno studio condotto tramite delle interviste ad alcuni abitanti di Roma
(Giuliani, 1991), collega le differenze individuali nell’esperienza di legami
affettivi verso la casa, con le diverse rappresentazioni mentali di sé che
ognuno sviluppa durante l’arco di vita.
All’inizio viene definito il legame di attaccamento con qualunque oggetto,
come stato di benessere connesso alla vicinanza a quell’oggetto e stato di
angoscia legato alla perdita o lontananza; il legame è connesso ad una serie
di comportamenti, i comportamenti di attaccamento, che servono a mantenere il contatto con l’oggetto.
Spesso non c’è consapevolezza del legame se non per la perdita o l’idea di
essa; è accessibile agli altri tramite i comportamenti o le espressioni verbali di autodescrizione.
I comportamenti, interpretati come indicatori di attaccamento, sono collegati a rappresentazioni mentali, o modelli operativi interni, che nascono
dalle continue transazioni con il mondo e che guidano il comportamento
di attaccamento.
I modelli operativi interni sembrano compatibili con la teoria dell’identità di luogo, con l’insieme di cognizioni, idee, memorie, che guidano il
comportamento verso l’ambiente (Giuliani, 1991).
Vengono poi evidenziati gli elementi principali delle rappresentazioni mentali:
a) le dimensioni caratterizzanti la rappresentazione di Sé: l’orientamento nel tempo di Sé.
Nella rappresentazione di sé acquista importanza il fattore tempo per
il fatto che ci sono cambiamenti durante l’arco di vita e anche per un
diverso orientamento o verso il futuro, con la prevalenza di piani e
aspirazioni, o verso il passato, con la maggior frequenza di memorie e
reminiscenze.
L’orientamento di sé in rapporto alla casa è connesso anche alla fase
di vita: una persona anziana sarà orientata al passato e avrà difficoltà
a stabilire nuovi attaccamenti e rinforzerà quindi quelli esistenti,
mentre un giovane sarà orientato al futuro e ciò faciliterà la formazione di un nuovo legame di attaccamento (Giuliani, 1991).
Un altro elemento di distinzione riguardante il Sé è la contrapposizione tra nomadismo e sedentarietà elementi della rappresentazione di
sé sicuramente più stabili e meno dipendenti dalla fase di vita rispetto all’orientamento.
b) le dimensioni caratterizzanti la rappresentazione dell’oggetto: varietà
ed estensione degli oggetti d’attaccamento.
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Sono la quantità e la varietà, l’attaccamento può rivolgersi ad un singolo oggetto o a più oggetti differenti; la loro estensione, lo spazio che
occupano, se sono limitati alla casa o coinvolgono il quartiere, la città,
ecc…; il grado di identità attribuita all’oggetto, una sorta di antropomorfizzazione dell’oggetto al quale vengono riconosciute delle qualità umane. In questo senso è importante vedere quale sia il grado di
congruenza o somiglianza tra l’oggetto e la nostra identità, cioè quanto ci sentiamo rappresentati dall’oggetto stesso.
c) le dimensioni caratterizzanti la rappresentazione delle relazioni Sé/
oggetto.
Sono l’intensità delle loro relazioni, definita dal loro numero o varietà e
dall’importanza che hanno per i soggetti; la loro qualità, se sono cioè
relazioni di tipo pratico funzionale, simbolico, funzionale; l’orientamento delle relazioni nel senso della modificazione o della preservazione,
che favoriscono o inibiscono il radicamento, l’attaccamento; la stabilità
e la temporaneità con cui il soggetto percepisce la propria relazione con
la casa correla con la possibilità di stabilire un attaccamento alla casa.
Esistono poi le dimensioni dell’esperienza di attaccamento:
j) il riconoscimento dell’esistenza o della non esistenza dell’attaccamento
alla casa: la non esistenza per mancanza di attaccamenti precedenti, una
attitudine a una mancanza di attaccamenti, o per un attaccamento precedente; l’esistenza prende in considerazione: 1) l’intensità dell’affetto o
la sofferenza per la perdita, 2) la qualità dell’affetto, le sue connotazioni
emotive, 3) la durata, cioè se l’esperienza è prolungata o transitoria;
k) un’altra dimensione è l’inclinazione, la non inclinazione o il rifiuto a
sviluppare legami affettivi con la casa;
l) la capacità di ristabilire nuovi attaccamenti seguenti a episodi di perdita e il grado in cui un luogo di attaccamento può essere rimpiazzato da un altro (Giuliani, 1991).
Uno dei lavori più completi e significativi sull’attaccamento ai luoghi è
Place Attachment di Altman e Low, un libro in cui trovano spazio contributi di vari autori incentrati principalmente su tre temi generali:
1) i legami affettivi a vari livelli di ambiente fisico;
2) la descrizione e la spiegazione di modelli di legami affettivi in differenti fasi di vita;
3) i molteplici processi, biologici, psicologici, esperenziali, sociali e culturali, che sono implicati nell’associare la persona e i gruppi al luogo
(Giuliani, 1993).
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In questa discussione viene dato spazio ad alcuni lavori di questo libro:
uno di questi cerca di dare una visione generale ed esaustiva dell’attaccamento ai luoghi, esaminandone i fondamenti multidisciplinari, identificando i suoi vari aspetti, individuando il suo potenziale, dando una cornice teorica per guidare la futura ricerca (Low e Altman, 1992).
Nella parte iniziale gli autori si concentrano sul contesto che ha preceduto e in parte inibito lo sviluppo dell’attaccamento al luogo; all’inizio l’interesse proveniva maggiormente dalla prospettiva fenomenologica, che
enfatizzava le uniche esperienze soggettive; poiché i primi studi uomoambiente erano dominati da una impronta positivista, la prospettiva fenomenologica venne trascurata per essere ripresa recentemente.
Un altro fattore che ha inibito l’interesse verso l’attaccamento al luogo è
stata la predominanza, a livello culturale, di una società che enfatizza l’instabilità, la mobilità, il cambiamento, piuttosto che l’attaccamento.
Le scienze sociali si occupavano, per lo più di processi sincronici più che
diacronici, di comparazioni cross-culturali piuttosto che di cambiamento
all’interno delle stesse culture; il luogo, per molti studiosi non era una
categoria di studio.
Anche i primi psicologi che si occupavano della relazione uomo-ambiente
davano più importanza agli aspetti cognitivi; nel tempo, insieme ai sociologi che si occupavano di uso dello spazio, spazio personale, territorialità,
il loro interesse si diresse maggiormente verso gli aspetti affettivi: alienazione, radicamento ad un luogo, diventarono termini comuni (Low e
Altman, 1992).
Il concetto di attaccamento al luogo era ed è connesso ad altri termini
quali identità di luogo, senso del luogo, radicamento; il termine stesso di
attaccamento ha conosciuto varie fasi: all’inizio era meno definito , poi gli
studiosi cercarono di definirlo con più rigore, sottolineandone la multidimensionalità, ora si cerca di renderlo sempre più stringente così da utilizzarlo per definire linee di ricerca e applicazioni pratiche (Low e
Altman, 1992).
Gli autori, nel cercare di definire alcune assunzioni di base dell’attaccamento sottolineano la sua capacità di essere un concetto integrante che
incorpora vari aspetti, qualità, caratteristiche che possono essere riassunte in modelli di:
1) attaccamenti: principalmente l’attenzione è rivolta agli affetti, alle
emozioni, ai sentimenti, ma non bisogna dimenticare aspetti cognitivi
(pensieri, conoscenze e credenze) e pratiche (azioni e comportamenti);
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2) luoghi che variano per dimensione (oggetto, casa, quartiere, regione),
specificità, tangibilità (reali o simbolici);
3) differenti attori coinvolti (individui, gruppi, culture);
4) differenti relazioni sociali (individuali, gruppi e culture);
5) aspetti temporali (lineari, ciclici) (Low e Altman, 1992).
Nell’articolo vengono evidenziati anche i processi implicati nello sviluppo
degli attaccamenti ai luoghi:
1) processi biologici, includono adattamenti psicologici ed evolutivi della specie umana all’ambiente;
2) processi ambientali, riguardano anch’essi le relazioni persona-luogo
(assomigliano ai processi adattivi biologici), sono incorporati nelle strategie culturali;
3) processi psicologici, quelli maggiormente studiati, implicati nell’infanzia per la formazione dell’attaccamento, nella vita adulta per il
mantenimento o la rottura del legame;
4) processi socioculturali, evidenziano come gli attaccamenti ai luoghi
coinvolgano significati culturalmente condivisi (Low e Altman, 1992).
La parte finale si occupa dei ruoli e degli scopi dell’attaccamento al luogo:
fornire un senso di sicurezza e stimolazione, rilassamento dai ruoli formali, l’opportunità di essere creativi; legare una persona con la famiglia, con
gli amici, legarla ad altre persone simbolicamente fornendo reminiscenze
dell’infanzia, dei genitori, degli antenati; legare le persone alla religione,
alla nazione o alla cultura attraverso gli aspetti simbolici associati ai luoghi.
Gli autori concludono sottolineando come l’attaccamento al luogo possa
contribuire alla formazione, al mantenimento e alla preservazione dell’identità di una persona, di un gruppo, di una cultura, funzioni psicologiche e sociali già implicate nelle valutazione di Proshansky et al. (1983).
Un altro argomento di interesse di cui si occupa questo libro riguarda
l’attaccamento alla comunità, considerato un aspetto del sentimento
verso la comunità; attraverso interviste fatte ad alcuni americani si propone di indagare sui vari aspetti del sentimento che viene suddiviso in tre
ambiti di ricerca:
a) la soddisfazione di comunità: esamina come le persone valutano il
luogo in cui risiedono tramite misure di valutazione soggettiva della
comunità, del quartiere. Dall’indagine risultano importanti il contesto socio-spaziale, la qualità dell’ambiente e la percezione della stessa.
b) l’attaccamento alla comunità: si valutano i legami emozionali verso la
comunità, il sentirsi a casa, la difficoltà a muoversi dalla comunità.
55
L’attaccamento, a differenza della soddisfazione non è fortemente legato ad aspetti oggettivi dell’ambiente o agli aspetti di valutazione soggettiva ma attribuisce importanza alla residenzialità a lungo termine perché aumenta i legami sociali, all’integrazione sociale; differisce tra tipologie di persone: è maggiore per gli anziani per la maggiore durata di
residenzialità e il maggiore coinvolgimento nella vita della comunità.
c) l’identità di comunità: le esperienze biografiche con un luogo lo trasformano facendolo diventare un estensione del sé; il luogo è impregnato di significati e valori in cui una comunità si rispecchia; l’ambiente locale può mostrare il senso di radicamento delle varie identità
sociali rinforzandolo; l’identità di comunità ci mostra le complesse
relazioni tra il sentimento di comunità e la mobilità della comunità
(Hummon,1992).
L’analisi poi si sposta sul confronto tra senso del luogo e sentimento di
comunità: l’autore considera il senso del luogo in modo duale, ovvero
composto dalla prospettiva di comunità, il modo in cui una persona
pensa generalmente alla natura e alle qualità della comunità in cui vive,
e dal sentimento verso la comunità, inteso come la reazione emozionale
all’ambiente.
Il senso del luogo può essere sentito come radicamento, può essere percepito come alienazione da un luogo soprattutto in caso di mobilità forzata, ecc..
Distruzione dell’attaccamento ai luoghi
Anche questa parte della discussione si rifà ad un capitolo del libro di
Altman e Low che riguarda il tema della distruzione dell’ attaccamento al
luogo e dell’analisi delle conseguenze per la vita delle persone.
All’inizio si riassumono alcuni concetti riguardanti gli attaccamenti al
luogo:
1) gli attaccamenti al luogo sono parti integranti delle definizioni di sé,
includendo aspetti dell’identità individuali e comuni; le distruzioni
minacciano le definizioni di sé.
2) gli attaccamenti ai luoghi forniscono stabilità e cambiamento: le
distruzioni minacciano di schiacciare gli umani con il cambiamento
3) gli attaccamenti al luogo sono olistici, sfaccettati e includono vari
livelli di scala ambientale; le distruzioni devono essere esaminate per
i loro aspetti olistici, sfaccettati e multiscala.
56
4) le distruzioni possono essere comprese esaminando le loro funzioni
riguardanti l’individualità-la comunità e di stabilità-cambiamento
sulle fasi di predistruzione, distruzione, postdistruzione.
Le distruzioni vengono mostrate da due punti di vista, uno riguarda quelle dovute a cambiamenti nei processi che ci legano al luogo, l’altro riguarda quelle dovute a cambiamenti nei luoghi.
Per il primo tipo di distruzione viene preso ad esempio il furto come
evento disgregatore dei processi che lega le persone al luogo; basti pensare al valore della casa, elemento di sicurezza e stabilità, per capire come
il furto sia destabilizzante per coloro che ci abitano, soprattutto perché le
vittime si trovano impreparate, non mettono in conto che può accadere
anche a loro.
Il furto rompe quindi l’attaccamento alla casa e la reazione sarà più negativa quanto più era forte il legame con l’abitazione; in fondo la vittima
riponeva, anche inconsciamente, la sicurezza della propria casa anche nel
quartiere e nella comunità, per cui si viene a incrinare il legame anche nei
loro confronti; i proprietari si trovano a contrastare l’atteggiamento della
polizia che nella ricerca delle prove depersonalizza l’ambiente, impedendo così alle vittime di riprendere immediatamente contatto e ripersonalizzare il territorio.
Poiché la casa è un luogo ricco di significati connessi alle identità delle
persone come individui, come membri di famiglia e come vicini, il furto
destabilizza la possibilità della famiglia di identificarsi con la casa e il quartiere, di ritenersi stabilmente al sicuro in quel luogo, avvisa i vicini che non
possono più sentirsi sicuri.
Siccome l’attaccamento coinvolge i luoghi e le persone e i processi che
sono alla base dei legami luoghi-persone, il furto rappresenta un distruzione dei processi di legame (Brown e Perkins,1992).
Il secondo punto di vista da cui guardare le distruzioni degli attaccamenti è quello dei cambiamenti nei luoghi, attraverso due esempi, uno riguardante un caso di trasferimento volontario, l’altro un caso di trasferimento
involontario; in entrambi l’analisi percorre le tre fasi di predistruzione,
distruzione e postdistruzione.
Nel caso di un trasferimento volontario le difficoltà diminuiscono per la
motivazione del o dei soggetti che attenua il dolore per la perdita di un
luogo; ciò sarà ancor più vero nei casi in cui ci sia una forma di anticipazione del momento del trasferimento per esempio discutendo, in fase di
predistruzione, del fatto con le altre persone coinvolte, conoscendo in
57
anticipo sia le procedure del trasferimento, cercando di sentirsi attori
volontari, cioè la fase di distruzione, conoscere le caratteristiche del
nuovo luogo e cercare di mantenere contatti con quello vecchio, fase di
postdistruzione.
Questo consentirà da un lato un momento di anticipazione e di connessione ad una nuova vita, una fase di scelta e di connessione con il trasferimento, una minore nostalgia del luogo lasciato e una maggiore facilità di
identificarsi con il nuovo luogo.
Nel caso invece del trasferimento involontario, quale ad esempio un disastro naturale o progetti di riqualificazione urbana, i sentimenti negativi
connessi alla rottura saranno più forti per il senso di impotenza e la difficoltà a gestire la situazione sia prima che dopo il disastro.
In fase di predistruzione non ci può essere un momento di anticipazione
dell’evento tranne che, in alcuni casi specifici, per la consapevolezza di
vivere in un luogo a rischio; è importante la presenza di forti legami sociali, l’essere parte di una comunità: saranno utili nelle fasi successive.
In fase di distruzione tornano utili i legami stabiliti prima perché aiutano a passare le difficoltà nel trovarsi magari senza casa, nell’aver perso
amici e parenti o a gestire uno spostamento forzato di abitazione in caso
di trasferimento.
La fase di postdistruzione prevede momenti delicati per l’intervento, nei
casi di disastri, di persone esterne che si impossessano del territorio e lo
gestiscono autonomamente: ciò da un lato è utile e necessario ma, come
nel caso della polizia dopo il furto, inibisce o complica il tentativo autonomo del singolo e della comunità di riappropriazione del proprio territorio
e di ricostituzione dei legami sociali precedenti il disastro; in casi di trasferimento involontario può essere difficile ricreare un senso di familiarità, un senso di continuità tra vecchi e nuovi ambienti, tra vecchie e nuove
esperienze: in tutto ciò possono acquistare una valenza moderatrice le
caratteristiche positive del nuovo ambiente, ad esempio se trasmette un
senso di fruibilità o sicurezza, e la comunità, se è rimasta la stessa o con
pochi cambiamenti, se consente una condivisione delle preoccupazioni o
un aiuto nella gestione del nuovo ambiente, ecc…
Un aspetto importante riguarda l’importanza della collettività nel superare le rotture degli attaccamenti perché le carenze individuali possono
essere completate dal supporto della comunità; è altresì importante la presenza di una rete di relazioni sociali anche in fase di predistruzione che,
se mantenuta anche in fase di postdistruzione, riesce a fornire alle perso-
58
ne un senso di stabilità e continuità, elementi utili nella definizione della
propria identità.
Le distruzioni non sono sempre così traumatiche, spesso avvengono più
lentamente: sono deterioramenti nella sicurezza percepita della propria
casa, nell’aspetto del proprio quartiere, anche per un aumento del traffico o per usi commerciali.
Distruzioni possono verificarsi anche per cambiamenti delle persone,
come la morte, il divorzio, disabilità fisiche che possono distruggere l’attaccamento alla casa, l’aumento del crimine, la migrazione, che possono
distruggere l’attaccamento alla comunità (Brown e Perkins,1992).
Nella parte conclusiva si sottolinea come questi ultimi aspetti necessitino di ulteriori approfondimenti, così come è necessario approfondire
le caratteristiche comuni alle fasi di pre e postdistruzione, l’importanza della mancanza di risorse nella fase dei postdistruzione e la scarsa
consapevolezza da parte delle autorità che si interessano del trasferimento, della rilevanza degli attaccamenti ai luoghi delle persone che
vanno ad aiutare.
L’attaccamento ai luoghi: un fatto sociale o estetico?
In tutti i lavori fin qui elencati i luoghi erano visti solo come ambienti
sociali, definibili solo in base alle persone che in esso si trovano; due autori, Hidalgo e Hernandez, recentemente si sono chiesti se l’attaccamento
non debba formarsi anche in base alle caratteristiche fisiche del luogo; si
sono anche domandati come mai negli studi sull’attaccamento al luogo ci
si riferisse quasi sempre alla dimensione del quartiere e non si prendessero in esame altri luoghi.
Gli autori iniziano descrivendo le vicissitudini del concetto di attaccamento al luogo e il consenso su di esso abbastanza recente; analizzano poi la
tendenza di vedere spesso questo attaccamento riferito al quartiere e la
spiegano come in parte dovuta all’influenza degli studi sulla soddisfazione
residenziale, legati a quelli sull’attaccamento ai luoghi e in parte per un
assunzione implicita che quello sia il livello di attaccamento più forte.
La loro indagine si svolge intervistando alcune persone di varie zone di
Santa Cruz de Tenerife (Spagna), cercando di valutare il grado di attaccamento a tre differenti livelli spaziali, la casa, il quartiere e la città e due
dimensioni, quella fisica e quella sociale e analizzando le differenze tra di
loro (Hidalgo e Hernandez, 2001).
59
I risultati della ricerca ci indicano che l’attaccamento al quartiere non è il
più forte, anzi il più debole; la città è più forte per l’attaccamento fisico
mentre la casa è più forte per l’attaccamento sociale; l’attaccamento sociale è più grande di quello fisico in tutti i casi; inoltre l’attaccamento delle
donne risulta più forte in tutti i casi così come quello degli anziani; i giovani sono più legati alla città, quelli della fascia d’età intermedia sono più
legati alla casa e i più anziani non presentano differenze tra i tre livelli; non
si sono riscontrate differenze per quanto riguarda le classi sociali (Hidalgo
e Hernandez, 2001).
Quanti sono gli attaccamenti ai luoghi?
Fino ad ora si è sempre parlato di un solo attaccamento, escludendo la possibilità che ne possano esistere contemporaneamente degli altri e che un attaccamento possa essere sostituito da un altro (Giuliani, Ferrara, Barabotti, 2003).
Spesso, uno degli elementi ritenuti importanti nella formazione dei legami di attaccamento era la stabilità residenziale, ma è stata considerata non
essenziale: basti pensare agli Stati Uniti, dove la mobilità residenziale è
molto alta e dove comunque si formano legami al luogo.
Sentimenti non solo verso il luogo, ma anche verso le comunità che vi abitano hanno un forte impatto nella formazione della nostra identità, riempiendo la nostra vita di significati; indubbiamente la rottura di questi legami diminuisce il nostro benessere, soprattutto se avvengono in fasi delicate della nostra vita, come la vecchiaia.
Intendendo l’attaccamento come il legame affettivo tra un individuo e un
luogo, accompagnato dal desiderio di essere vicino a quel luogo (Giuliani,
1991), si possono individuare tre differenti processi che risultano in un
processo di attaccamento:
a) attaccamento funzionale: l’attaccamento deriva da una valutazione
positiva della qualità del luogo per quanto riguarda i propri bisogni,
cioè il modo in cui l’ambiente permette la realizzazione di certe funzioni; ha una base più cognitiva che affettiva; la stabilità in quel luogo
rimane se il luogo risulta soddisfacente per i propri bisogni.
b) attaccamento simbolico: deriva dal significato che il luogo ha per
l’identità di una persona, riguarda anche luoghi importanti non per la
vita quotidiana; l’importanza di un luogo per l’identità in una fase
della vita può non essere la stessa in altre fasi; la stabilità ha valore
solo se c’è congruenza tra identità e luogo.
60
c) attaccamento affettivo: deriva da una lunga residenza e da familiarità,
ha una base più emozionale che funzionale; si verifica se il luogo soddisfa i bisogni emotivi di sicurezza e benessere psicologico, costituisce
la base territoriale della nostra esistenza; diventa più evidente in
periodi di grande fragilità.
Non si escludono a vicenda, possono coesistere come componenti che formano un attaccamento al luogo o più attaccamenti (Giuliani,Ferrara,
Barabotti, 2003).
La ricerca, condotta tra gli abitanti di un villaggio per piloti dell’aeronautica e le loro mogli, quindi soggetti con alta mobilità, cerca di scoprire
come gli attaccamenti ai luoghi passati rimangano e incidano sulla possibilità di formare nuovi legami.
I risultati confermano che l’alta mobilità residenziale non inibisce la formazione di forti legami con i luoghi di residenza, anche se bisogna considerare che il campione preso in esame è particolare perchè abituato
alla mobilità; è altresì emerso che la proprietà correla positivamente con
l’attaccamento.
Le persone, per contrastare gli effetti della mobilità, sembrano sviluppare una maggiore facilità di stabilire legami, non per questo dimenticano i
luoghi passati di residenza, perché i luoghi, al di là della residenza, rivestono un ruolo simbolico, soprattutto se è il luogo di nascita, anche per la
presenza di forti interazioni sociali (Giuliani, Ferrara, Barabotti, 2003).
Può essere interessante analizzare il rapporto tra le preferenze residenziali e l’attaccamento attraverso il corso della vita; per residenziale si intende
un luogo privato, in contrapposizione a quelli pubblici,come il luogo di
lavoro (Giuliani, 2004b).
Il luogo privato per eccellenza è sicuramente la casa che può avere la doppia accezione di house (abitazione), più impersonale, definita dalle sue
strutture fisiche o di home (casa) definita da un insieme di significati simbolici ed emozionali dell’esperienza di vita: trasmette sicurezza, controllo,
riflette le proprie idee e i valori ma può essere connotata anche negativamente come simbolo di oppressione, staticità (Giuliani, 2004b).
L’attaccamento è stato spesso studiato anche in rapporto alla soddisfazione residenziale, alla mobilità e alle preferenze: la soddisfazione riguarda
più un appagamento dei bisogni, in relazione all’ambiente reale, la preferenza riguarda più un appagamento dei desideri anche in relazione ad un
ambiente ideale e implica una scelta tra alternative; entrambe sono predittive di intenzioni comportamentali e comportamenti reali.
61
L’attaccamento si sviluppa anche verso luoghi con cui c’è familiarità e soddisfazione, perciò è inevitabile interessarsi delle preferenze e della soddisfazione verso la casa come luogo in cui sentirsi rappresentati; ciò può avvenire solo tramite un processo di appropriazione, di personalizzazione, un
tentativo di trovare una congruenza tra noi e l’ambiente in cui viviamo.
Le nostre preferenze non sono solo aspetti individuali ma sono anche culturalmente, socialmente condivisi; dobbiamo tenere conto anche di come
la casa è inserita in un quartiere in una città, se l’ubicazione favorisce la
formazione di nuovi legami sociali o consente quelli precedenti, requisiti
necessari per favorire la formazione di un legame positivo tra la persona e
il luogo (Giuliani, 2004b).
Attaccamento e attaccamento ai luoghi: similitudini e differenze
In conclusione, dopo aver esposto quelli che mi sembravano i lavori
più interessanti sul tema ritorniamo ad un aspetto trattato all’inizio,
ovvero il parallelo tra la teoria dell’attaccamento dei legami personali
e quella dell’attaccamento al luogo in base all’analisi che svolge la
Giuliani riprendendo una definizione delle caratteristiche di un legame affettivo:
1) durata lunga: è una caratteristica comune ai legami affettivi e ai legami ai luoghi, la comunanza prolungata con una persona o un luogo;
può non esserci consapevolezza del legame con il luogo; c’è stata una
scarsa indagine sulla molteplicità dei legami con i luoghi mentre con
le persone i rapporti variano a seconda della fase di vita anche se quello con le figure primarie riveste sempre un ruolo importante così
come quello con i luoghi d’infanzia;
2) l’unicità della figura di attaccamento: non esistono luoghi unici, come
l’oggetto di attaccamento, esistono quelli più o meno importanti, evocativi; più luoghi possono svolgere funzioni simili;
3) desiderio di rimanere in contatto con la figura di attaccamento: non
può essere paragonato al desiderio di stabilità residenziale perchè
possiamo evocare il luogo ogni volta che vogliamo, mentalmente o
tramite un oggetto che lo ricorda. Quello che è simile è il sentimento
complementare alla gioia di ritrovarsi ovvero la sofferenza per le separazioni o per la perdita, ampiamente dimostrate in ricerche sul trasferimento residenziale, anche se l’allontanamento da un luogo non sempre è una perdita;
62
4) ricerca di sicurezza e benessere: sicuramente per alcuni luoghi questo
è vero, soprattutto per la casa o meglio home, come insieme anche di
significati ed esperienze, consente di radicarsi, di sentirsi a proprio
agio, al sicuro; il legame varia poi anche in funzione delle età della vita:
ad esempio nell’infanzia e nella vecchiaia è più forte (Giuliani, 2004a).
Le somiglianze sono perciò l’importanza delle funzioni psicologiche, per
il benessere degli individui, la diversa rilevanza nelle varie fasi di vita, la
persistenza dei legami nel tempo, le reazioni di dolore alla perdita.
Le differenze riguardano l’adozione di un quadro di riferimento evolutivo
per uno, socio-culturale per l’altro; diversi modi di vedere lo sviluppo, più
concentrata sull’infanzia una, più variegata in rapporto alla fase di vita l’altra; uso del termine attaccamento, forse per i luoghi servirebbe il termine
attaccamenti ma questo come altri temi necessita di ulteriori approfondimenti (Giuliani, 2004a).
(1 continua)
63
Un quadro osservazionale del
trattamento a lungo termine
con aripiprazolo sulla
sindrome metabolica
F. Franza
Introduzione
Negli ultimi anni un crescente numero di descrizioni riguardanti la comparsa di alterazioni metaboliche lipidiche e glucidiche, di modificazioni del
peso corporeo in pazienti in trattamento con antipsicotici atipici è stato
pubblicato in letteratura1, 2. Gli antipsicotici, sia quelli di prima generazione che di seconda generazione, sono composti che possiedono un ampio
spettro di azione capace di attenuare una miriade di sintomi psicopatologici. Come classe farmacologica, gli antipsicotici di seconda generazione possiedono diversi vantaggi terapeutici rispetto agli antipsicotici di più vecchia
generazione (ad es., miglioramento del profilo cognitivo, riduzione della
inclinazione agli effetti indesiderati neurologici)3. L’utilizzo, quindi, degli
atipici negli ultimi anni ha determinato la comparsa di importanti benefici
dal punto di vista terapeutico in molti pazienti affetti da disturbi mentali
come la schizofrenia. Il consolidato e prolungato utilizzo di questi nuovi
composti, tuttavia, ha evidenziato la comparsa di importanti disturbi metabolici che ne hanno determinato una maggiore attenzione nella somministrazione. Le alterazioni metaboliche si manifestano più frequentemente
nei pazienti psichiatrici e possono contribuire alla comparsa di gravi malattie metaboliche e cardiovascolari, con conseguente aumento del tasso di
mortalità in questa popolazione. Da qui la necessità di prendere nota degli
effetti indesiderati associati al trattamento e di prestare attenzione alle
1
2
3
Newcomer JW. Metabolic considerations in the use of antipsychotic medications: a review of recent evidence. J Clin Psychiatry.
2007;68 Suppl 1:20-7.
Olfson M, Marcus SC, Corey-Lisle P, Tuomari AV, Hines P, L'Italien GJ. Hyperlipidemia following treatment with antipsychotic
medications. Am J Psychiatry. 2006 Oct;163(10):1821-5.
McIntyre RS, Soczynska JK, Bordbar K, Konarski JZ. Antipsychotic-associated weight gain. In: Managing Metabolic Abnormalities
in the Psychiatrically Ill (Bermudes RA, Keck PE, McElroy SL, eds), American Psychiatric Publishing, Inc.
Washington, London, 165-201, 2007
64
alterazioni metaboliche ad esso correlate, in quanto queste alterazione rappresentano un fattore di rischio modificabile che può contribuire alla comparsa di gravi disfunzioni metaboliche e di mortalità nei pazienti con
disturbi mentali maggiori4. Mentre nell’ultimo decennio si osservava l’introduzione in commercio dei nuovi antipsicotici (clozapina, risperidone,
olanzapina, quetiapina, zipasidone, aripiprazolo, amisulpiride) l’organizzazione Mondiale della Sanità, lanciava l’allarme dell’aumento esponenziale
nella popolazione mondiale generale delle alterazioni metaboliche e dell’incremento ponderale5. Contemporaneamente a questa osservazione, il
mondo scientifico e clinico psichiatrico iniziava ad osservare nei propri
pazienti in trattamento con i nuovi antipsicotici un numero crescente di
alterazioni del profilo metabolico.
La sindrome metabolica
Nel 1998 un gruppo di esperti sponsorizzati dalla WHO definiva i criteri
diagnostici per la Sindrome Metabolica la quale è definita come un disturbo metabolico costituito da un insieme di fattori di rischio intercorrelati
che agiscono direttamente nel promuovere lo sviluppo di malattie aterosclerotiche cardiovascolari (ASCVD). Questa costellazione di fattori metabolici di rischio comprende l’ipertensione, le dislipidemie, le alterazioni
glicemiche (responsabile dello sviluppo del diabete mellito tipo II) e l’obesità. Tuttavia, la definizione della sindrome metabolica è stata per molto
tempo controversa ed è attualmente oggetto di continue critiche e revisionivi6. Nel 2001, l’Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of
High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III, o ATP III)7
effettuò un aggiornamento delle linee guida per la valutazione e la gestione dei livelli di colesterolo che includeva una definizione e raccomandazioni per il trattamento della sindrome metabolica. Secondo i criteri del
l’ATP III, la sindrome metabolica comprende una costellazione di fattori di
rischio per l’insorgenza di diabete tipo 2 e malattie ateroslerotiche. Le
caratteristiche della sindrome sono l’obesità addominale, la dislipidemia
4
Kane JM, Meltzer HY, Carson WH Jr, McQuade RD, Marcus RN, Sanchez R; Aripiprazole Study Group. Aripiprazole for treatment-resistant schizophrenia: results of a multicenter, randomized, double-blind, comparison study versus perphenazine. J Clin
Psychiatry. 2007 Feb;68(2):213-23.
5
World Health Organization. Global strategy on diet, physical activity and health, 2003. Disponibile a:
http://www.who.int/hpr/NPH/docs/gs_obesity.pdf. Accesso febbraio 2007
6
Pratley RE. Metabolic syndrome: why the controversy? Curr Diab Rep 2007 Feb;7(1):56-9.
7
Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults. Executive summary of the Third
Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High
Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III). JAMA. 2001;285:2486-2497.
65
aterogenica (elevati trigliceridi, basso HDL), la pressione elevata, l’insulino-resistenza con o senza intolleranza al glucosio, uno stato protrombotico
e uno stato proinfiammatorio.
Tabella 1. Sindrome Metabolica. Criteri diagnostici NCEP-ATP III
*La diagnosi è stabilita quando > 3 dei seguenti fattori di rischio sono presenti
Fattori di rischio
Livelli di definizione
Obesità addominale
(circonferenza addominale)
Uomini
> 102 cm (> 40 in)
Donne
> 88 cm (> 35 in)
Trigliceridemia
HDL-C
Uomini
150 mg/dL
< 40 mg/dL
Donne
< 50 mg/dL
Pressione sanguigna
Glicemia a digiuno
130/ 85 mm Hg
>110 ( 100**) mg/dL
** 2003 New ADA IFG criteria (Diabetes Care)
Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults. JAMA. 2001;285:2486-2497
Questi “fattori di rischio lipidico o non lipidico di origine metabolica” non
solo aumentano il rischio di diabete tipo 2, possono aumentare il rischio di
patologie cardiovascolari coronariche. Nel 2003, la American Diabetes
Association ha raccomandato di ridurre il limite della glicemia a digiuno da
110 mg/dL a 100 mg/dlL8. I criteri diagnostici dell’ATP III hanno rappresentato il modello diagnostico più utilizzato anche se negli ultimi anni si è
osservata una esplosione del numero di criteri diagnostici per la Sindrome
Metabolica da parte di diverse associazioni scientifiche; tra questi i più
importanti e recenti sono i criteri diagnostici della AHA/NHLBI9 e della
IDF10. I criteri sviluppati seguono quelli della ATP III con maggiore evidenza dell’importanza dell’obesità centrale, identificata come circonferenza addominale, che rappresenta l’elemento identificativo della sindrome
metabolica.
8
The Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus: Follow-up report on the diagnosis of diabetes
mellitus. Diabetes Care 26:3160-3167,20037.
9
Grundy SM, Brewer HB, Cleeman JI, Smith SC, Lenfant D, for the Conference Participants. Definition of metabolic syndrome:
report of the National, Heart, Lung, and Blood Institute/American Heart Association conference on scientific issues related to
definition. Circulation. 2004;109:433-438.
10
Grundy SM, Brewer HB, Cleeman JI, Smith SC, Lenfant D, for the Conference Participants. Definition of metabolic syndrome:
report of the National, Heart, Lung, and Blood Institute/American Heart Association conference on scientific issues related to
definition. Circulation. 2004;109:433-438.
66
L’importanza della Sindrome metabolica è dovuta alla osservazione che
essa rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo sia del
Diabete Mellito Tipo 2 che delle malattie cardiovascolari (CVD); la maggior parte degli esperti ritengono che la distribuzione del grasso (adiposità) nel corpo sia il fattore chiave di questa sindrome e che la distribuzione
del grasso addominale, particolarmente l’adiposità viscerale (nel tessuto
adiposo viscerale), aumenti il rischio di dislipidemia, dell’intolleranza al
glucosio, e dei disturbi CV11. L’adiposità (particolarmente per la quantità di
grasso viscerale) aumenta il rischio di sviluppare l’insulino-resistenza.
• Rischio di sviluppare I-R:
- Sovrappeso (BMI ? 25) = 50%
- Sovrappeso + TG > 150 mg/dl = 70%
- Sindrome Metabolica= 78%
L’insulino-resistenza può essere in parte dovuta alla quantità di acidi grassi liberi secreti dal tessuto adiposo che può ridurre la sensibilità del muscolo scheletrico e del fegato agli effetti dell’insulina e anche l’impatto della
funzione delle cellule beta pancreatiche, con riduzione della secrezione
insulinica. L’insulino-resistenza è associata con un peggior controllo glicemico, con aumento dei TG plasmatici, con riduzione delle lipoproteine
HD (HDL-C), aumento della pressione sanguigna, aumentato rischio di
viscosità vascolare e aumento dei markers infiammatori, tutti elementi
associati ad un aumentato rischio di sviluppare CVD (Disturbi
Cardiovascolari). Così, i markers dell’insulino-resistenza, quali elevati livelli dei TG plasmatici a digiuno, possono essere la chiave nel monitoraggio e
nella valutazione dei pazienti a rischio per lo sviluppo di Sindrome metabolica e CVD.
Antipsicotici e Sindrome Metabolica
Negli ultimi anni con l’introduzione in commercio dei nuovi antipsicotici
atipici sono iniziate a comparire in letteratura numerose segnalazioni
riguardanti l’incremento delle problematiche metaboliche nei pazienti
trattati con questi farmaci. Queste segnalazioni hanno trovano una corrispondenza nella pratica clinica ed in particolare si sono manifestate più fre11
Assmann G, et al. Harmonizing the Definition of the Metabolic Syndrome: Comparison of the Criteria of the ATP III and the
International Diabetes Federation in United States American and European Populations. Am J Cardiol. 2007 Feb 15;99(4):541-8.
Disponibile in: www.idt.org/webdata/docs/IDF_Metasyndrome_definition.pdf
67
quentemente e con maggiore intensità in alcuni composti, quali la clozapina e l’olanzapina. Nel 2004 è stato pubblicato un report sull’impatto degli
antipsicotici sui rischi del diabete e del CDV da parte di diverse associazioni sanitarie americane12. Come mostrato nella tabella 2 il report conclude
che la clozapina e l’olanzapina sono fortemente associate con un elevato
incremento del peso corporeo, con un aumentato rischio di Diabete tipo 2
e di dislipidemia. Il risperidone e la quetiapina producono un aumento di
peso intermedio con risultati discrepanti riguardo l’insorgenza di diabete e
della dislipidemia. L’aripiprazolo e lo ziprasidone hanno mostrato rischio
più basso di incremento ponderale, con nessuna evidenza di effetti indesiderati per rischio di diabete e dislipidemia.
Tabella 2. Alterazioni Metaboliche con antipsicotici atipici
Incremento ponderale
Rischio Diabete
Dislipidemia
Clozapina
+++
+
+
Olanzapina
+++
+
+
American Psychiatric
Risperidone
++
D
D
Association;
Quetiapina
++
D
D
Ziprasidone
+/-
-
-
Aripiprazolo
+/-
-
-
Farmaco
American Diabetes
Association;
American Association of
Clinical Endocrinologist;
D: risultati discrepanti
North American Association
+ : incremento; -: nessun effetto
for the Study of Obesity
Questi dati concordano con i dati ottenuti con l’impiego dell’ aripiprazolo
che non hanno evidenziato variazioni significative dei parametri metabolici nei pazienti trattati con questa molecole. Tuttavia, i dati disponibili in letteratura sono modesti e scarsi e orientano verso una ridotta o nulla interferenza con i valori basali del profilo glicidico e lipidico. L’obiettivo del
nostro studio oservazionale è stato quello di valutare eventuali modificazioni del profilo metabolico nei pazienti schizofrenici trattati per più di un
anno con aripiprazolo, osservati durante la nostra quotidiana pratica ambulatoriale.
12
Assmann G, et al. Harmonizing the Definition of the Metabolic Syndrome: Comparison of the Criteria of the ATP III and the
International Diabetes Federation in United States American and European Populations. Am J Cardiol. 2007 Feb 15;99(4):541-8.
Disponibile in: www.idt.org/webdata/docs/IDF_Metasyndrome_definition.pdf
68
Materiale e Metodo
Abbiamo analizzato un gruppo di pazienti schizofrenici diagnosticati
secondo i criteri del DSM-IV-TR. Un gruppo di 56 soggetti (42 maschi
e 14 femmine) sono stati osservati per un periodo di 9 mesi e un altro
gruppo di 32 soggetti (28 maschi e 4 femmine) per un periodo di 18 mesi
durante visite cliniche stabilite nella nostra pratica clinica quotidiana
(Tabella 3).
Tabella 3. Caratteristiche demografiche, cliniche e terapeutiche
Periodo osservazione
Campione pazienti
9 mesi
18 mesi
Totale
56
32
Maschi
42
28
Femmine
14
4
Età media (range)
35,5 (± 23,4) anni
Dose iniziale aripiprazolo (media±DS)
8,59 mg/die (DS= ± 3,17)
Dose di mantenimento(media±DS)
13,07 mg/die (DS± 5,40)
Le visite sono state programmate all’inizio del trattamento (baseline o T0)
e successivamente dopo 1 (T1), 3 (T2), 9 (T3), 12 (T4) e 18 (T5) mesi dall’inizio della terapia. Durante ciascuna visita di controllo, oltre all’efficacia
terapeutica, sono stati registrati alcuni parametri biologici quali la pressione arteriosa, il profilo lipidico e glicidico, il profilo enzimatico epatico,
l’emocromo con formula leucocitaria, l’elettrocardiogramma, il peso corporeo e il BMI. I dati raccolti sono stati analizzati statisticamente utilizzando
le funzioni statistiche del EZAnalyze Version 2.5 mediante la valutazione
del t di Student per campioni appaiati alla baseline, a 9 mesi [T0 vs T3], e
8 mesi [T0 vs T5].
Risultati
I risultati hanno sottolineato una variazione statisticamente significativa del
profilo lipidico ma non hanno evidenziato una riduzione dei valori al tempo
T5 vs T0. Analizzando alcuni risultati possiamo sottolineare che i valori
medi del colesterolo totale sono risultati a T0: 202,67 mg/dl vs T3: 194,71
mg/dl[p: 0,051], vs T5: 185,81 [p:<.001].
I valori medi dei livelli dei trigliceridi sono stati al tempo T0: 206,10 mg/dl
69
vs T3:190,16 mg/dl [p: 0,060] e vs T5: 176,71 [p: 0,108]. I risultati ottenuti dall’analisi dei valori glicemici non hanno riscontato differenze statisticamente significative (T0: 87,69mg/dl vs T3:85,19 mg/dl [p:0.149]); vs T5:
83,53 mg/dl [p: 0,014]. (Vedi Figura 1)
Figura 1 Variazioni Metabolismo Glicidico e Lipidico
250
200
Colesterolo
mg/dL
Trigliceridi
150
Glicemia
100
50
0
TO
T1
T2
T3
T4
T5
Non sono state riscontrate alterazioni statisticamente significative dei valori dell’emocromo, dell ‘ECG, dei livelli enzimatici epatici e della pressione
arteriosa (Vedi figura 2). La registrazione del peso corporeo effettuata
durante il periodo di osservazione non ha evidenziato variazioni statisticamente significative di questo parametro. I principali valori medi del peso
corporeo riscontrati sono stati i seguenti: T0:76,05 vs T3:74,6 [p: 0,780]; vs
T5: 74,96 [p: 0,135]. (Figura 3)
Figura 2. Variazioni PA
70
Figura 3. Variazioni peso corporeo
Conclusioni
L’osservazione dell’alta incidenza di alterazioni metaboliche indotte da
alcuni antipsicotici atipici è ormai largamente accettata dalla letteratura
internazionale e confermata dalle osservazione che ciascun clinico effettua
durante la propria pratica quotidiana. Sebbene sia generalmente accettato
che gli antipsicotici tipici differiscono tra di loro per il rischio di effetti
indesiderati diabetici, i sottostanti meccanismi farmacologici sono sconosciuti. I risultati ottenuti con il nostro studio osservazionale confermano
l’azione positiva dell’aripiprazolo in termini di efficacia e di sicurezza e
sembra che questa molecola non determini significative modificazioni dei
parametri metabolici e di altri parametri biologici (PA, ECG, emocromo,
enzimi epatici). Malgrado i limiti dello studio rappresentativo di un campione numericamente ridotto, dell’assenza di un gruppo di controllo, della
contemporanea assunzione di alter sostanze (ma non di altri antipsicotici)
questi dati possono rappresentare un quadro reale della nostra pratica clinica quotidiana.
71
Problemi in psichiatria
1
L. Covolo
P. i. P.
P. i. P.
U. Dinelli
P. i. P.
U. Dinelli
2
P. i. P.
U. Dinelli
M. Polo
P. i. P.
D. Labozzetta
R. Milani G. Mottola
M. Mascolo
U. Dinelli
3
P. i. P.
G. Sogliani
U. Dinelli
F. De Pieri
P. i. P.
4
F. De Lorenzo
M. Cibin V. Zavan
U. Dinelli
5
P. i. P.
U. Dinelli
M. Mascolo
M. De Vanna M.L. Ronchese
Psichiatria e società
Il camice e le ortiche
Lettera ad una madre
Sorella morte
La scatola nera
Schizofrenia, appuntamento mancato con l'orologio
della vita
Salsominore
Credenze, sette, psicopatologia
Il razionale psichiatrico
La psichiatria divorzia
La psichiatria dell'8 settembre
Il fiore che uccide
Il tramonto sul cervello
Un’alternativa terapeutica nella patologia demenziale
Elogio della follia
Nessun dorma
Psichiatria amarcord
Il cervello ozioso
I passeri della società
La santa anoressia
Elogio della follia
Pietà l'è morta
La vigna del signore
Si nasce o si diventa?
Elogio della follia
Colpo di sole
L’età libera
Memoria e cognitività nel vecchio
Quando scende la notte
72
6
P. i. P.
U. Dinelli
F. De Grandis
Fumeria d’oppio
L’ombra schizofrenica
La parola alata
Elogio della follia
7
G. Moriani
P. i. P.
D. Goldoni G. Moriani
U. Dinelli
Il cervello alla sbarra
Scacco matto al neurone
Una mente per l’ecologia
Una ecologia per la mente
8
U. Dinelli
Un cuore in inverno
9
P. i. P.
E. Aguglia R. D'Aronco
U. Dinelli
E. Burgio
Cassonetto Italia
Trieste tra psicoanalisi, territorio e biologia molecolare
Fuori le prove, dottor Freud!
Lontano da qui, nostalgia mito modernità
10
P.Pietrini A.Gemignani M.Guazzelli
U. Dinelli
E. Burgio
Sulla lateralizzazione emisferica cerebrale
L’altra metà del cielo
Una deplorevole confusione di sentimenti
11
U. Dinelli G. Ronca
G. Tononi
M. Guazzelli
G. Ronca
P. Pietrini
A. Lattanzi
E. Burgio
M.L. Zardini
Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Per un modello interpretativo della mente
Depressione: arcipelago o continente?
Le scienze di base nello sviluppo della psichiatria
La qualità
Sulla materia della mente
Immaginazione collettiva, contagio e “sistemi esperti”
Dall’ospedale alla famiglia: la psichiatria fatta in casa
12
A. Bertolino D.R. Weinberger
M. Guazzelli I. Guerrini G. Nelli
D. Mainardi
I. Guerrini G. Nelli G. Giovacchini
P. Panicucci
E. Ottavini A. Conte
Fisiopatologia della schizofrenia e sviluppo del cervello
L’alcolismo nella prospettiva psichiatrica
Dissonanza tra evoluzione biologica e culturale
Studio clinico biologico della familiarità nella
dipendenza
Il macrofago uno dei principali attori dell'omeostasi
73
E. Burgio
A. Gobetti
P. Sortino
13
A. De Bartolomeis
R. Massarelli A. Gemignani
M. Guazzelli
P. Pietrini M.L. Furey
G. Moriani
M. Galzigna
U. Dinelli
E. Burgio
E. Canger
14
E. Balaban
M. Guazzelli I. Guerrini
G. Giovacchini
M.C.E. Maschio M.Diomedi F.Placidi
M.Valente M.Zamagni G.L. Gigli
E. Mutani M. Zibetti
G. Moriani
P. Zoffoli
E. Falchi
15
A. Dani S. Berettini F. Scarpa
E. Panicucci
M. Guazzelli M.L. Monosi E. Ricciardi
M. De Vanna M. Carmignani E. Aguglia
C.A. Madrignani
M. Bertani
M. Sarà
U. Dinelli
R. Cammilleri
16
A. Berti
U. Dinelli P. De Marco S. Sartorelli
L.Palagini L.Giuntoli P.Panicucci
P.Ardito M.Guazzelli
L. Rizzi
Tristano, l’arvicola di prateria e “l’errore di Cartesio”
Scasso dei palistorti
La psichiatria da vicino
Plasticità neuronale ed espressione genica
Immagini della mente
Variante visiva della malattia di Alzheimer
Il sapere uncinato
Gli archivi della follia, utilità di un approccio storico
Le colonne d’Ercole
Vita d’artista
Epilessia non è follia
Un nuovo approccio allo studio dell’istinto
Ansia e depressione: punti o linea?
Il trattamento dell’insonnia con antidepressivi
Il fenomeno “kindling” dall’epilessia alla psicopatologia
Psichiatria e potere: il caso sovietico
Il nonsense: un mondo sospeso tra logos e caos
Condizionamento software sull’uomo
Follia e giustizia, l’O.P.G.
Intelligenze naturali, intelligenze artificiali
Etica e ricerca psicofarmacologica
Condotte suicidarie e disturbi mentali
Marginalia
Foucalt e la psicoanalisi
Interazione fra ambiente, citoplasma e genoma
L’anello mancante
Lo psichiatra e le streghe
Sessualità: compromesso tra perversione pulsionale e
norma culturale
Mortalità e attesa di vita come strumento di valutazione gestionale in psichiatria
Trattamento integrato della cronicità psichiatrica
La conoscenza del linguaggio
74
E. Burgio
P. Zoffoli
17
E. Rasore U. Menichini F. Giberti
I. Feinberg M. Guazzelli
Medici, guaritori e ciarlatani
I contraccolpi della deformità fisica
In tema di psichiatria e medicina di base
Modello neurobiologico delle allucinazioni e
del pensiero schizofrenico
E. Aguglia P. Peressutti A. Riolo
A. Battista F. Franza
P. i. P.
E. Burgio
C. Madrignani
I disturbi somatoformi, un approccio complesso
Burn-out e assistenza psichiatrica
La vita secondo Luc Montagnier
Sosia, nostro contemporaneo
De te fabula agitur
18
S.Pallanti L.Quercioli R.Di Rubbo M.Francardi
G.F. Azzone
M. De Vanna F. Bin R. Zaina
I. Almaric
P. Pellegrini M. Zirilli
E. Burgio
U. Dinelli
F. De Grandis
Studio sullo spettro ossessivo-compulsivo
L'etica medica tra scienza, morale e diritto
Psicopatologia e alcool, un inseguimento infinito
Il rasoio diagnostico nell’esordio psicotico
Clozapina e schizofrenia resistente
Il sogno di Jean Diaz
Nuovi saperi crescono
Pillole o parole
19
C.L. Bensch
R. Torta A. Cicolin R. Mutani
C. Di Clemente
U. Dinelli
C. Madrignani
E. Burgio
U. Dinelli
Etologia del gioco
Depressione e sclerosi multipla
Gli stadi del cambiamento nella dipendenza
La psichiatria dei castori
Fra il dire e il fare ovvero “la didattica”
L’incerta identità di Arthur Derwin
La bottega della psichiatria
20
D. Williams
R. Torta A. Cicolin R. Mutani
P. Pellegrini P. Gaibazzi
S. Regazzoni
M. Lejoyeux J. Adès
E. Burgio
U. Dinelli
C. Samonà
Il mio e il loro autismo
Sclerosi multipla: il problema cognitivo
Schizofrenia e sofferenza somatica
Jorge Luis Borges: l’io e l’altro
Il gioco d’azzardo patologico epidemiologia e
biologia
“Siamo tutti in pericolo”
Il cervello e la sua complessità
Fratelli
75
21
S. Pallanti L.Quercioli E. Sogaro
E. Massarelli A. Geminiani
A. Baita A. Pes B.Carpiniello
E. Rasore U. Menichini
U. Dinelli
G. Bernanos
Psico-pato-logia: il fenomeno del daydreaming
Dalla conoscenza alla comprensione della natura
Depressione e qualità soggettiva di vita
La realtà sociale del paziente psichiatrico
Il secolo della psicoanalisi
Diario di un curato di campagna
22
M. Guazzelli P. Panicucci
M. De Vanna
M. Schiavone
I. Gasquet
A. Jeanneau M. Rufo
E. Burgio
U. Dinelli
S. Vassalli
Benzodiazepine tra sospensione e ricaduta
La depressione al femminile
Etica e psichiatria/1
Epidemiologia dei disturbi depressivi
Clinica della depressione nell’adolescente
L'anno prossimo a Lourdes
Sindromi paucisintomatiche e sdifferenziazione cerebrale
Marco e Mattio
23
M. Giacometti
P. Dolso G.L. Gigli
E. Rasore U. Menechini M. Mollica
G. Sciaccaluga F. Gabrielli
M. Polo
E. Burgio
G. Moriani
S. Dionisio M. Guazzelli
P. McGrath
24
D. Susanetti
S. Pallanti L. Quercioli A. Pazzagli
I. Siri E. Badino C. Gambarino R. Torta
P. Pellegrini
G. Moriani
25
M. Guazzelli
G. Giovacchini M. Guazzelli
P. Pietrini
D. Susanetti
P.i.P.
S. Bertoli P. Pellegrini M. Gatti
M. Zirilli
Le emozioni tra cognitivismo e psicoanalisi
Ipersonnia e dintorni
Aspetti psicosomatici della voce
L’etnopsichiatria in Mozambico
Il senso della memoria
La via nazista al salutismo
Odore di sesamo
Follia
Il teatro tragico della mania
Ansia sociale, disturbi di personalità e clozapina
Psiconcologia oggi
Schizofrenia resistente: contributi psicodinamici
Autoingannarsi per sopravvivere?
Dieci inverni dieci primavere
Le basi biologiche del decadimento cognitivo
La mente e il giorno
L’arcipelago della spesa psichiatrica
Costi e redditi in schizofrenia
76
F. Moscato L. Luise U. Menichini E. Rasore
U. Dinelli
E. Burgio
F. Battaglia
S. Vassalli
L’approccio integrato al paziente psicotico
Dieci anni e un libro
In puntuale ritardo
Karl Jaspers
La notte della cometa
26
B. Luban-Plozza
C. Beltrame G. Moriani M. Polo
U. Dinelli
G.M. Raimondi
U. Dinelli
D. Orlandi
E. Da Rotterdam
Balint, tra psicoanalisi e medicina
I frutti puri impazziscono: etnopsichiatria e
dintorni
Tra Kant e Hegel, filogenesi della coscienza
Sulla psichiatria della scelta
La cultura del narcisismo
Elogio della follia
27
G. Pasqualotto
R. Polano
G.M. Raimondi
G. Collot
S. Voltolina
P. Pellegrini R. Baroni D. Pizzo
U. Dinelli
F. Dostoevskij
28
E. Gamba R. Torta
U. Dinelli
A. Giuffrida
S. Parpajola R. Vinciarelli C. Viti
U. Dinelli
R Baroni P. Pellegrini
F. Franza
S. Voltolina
29
P.i.P.
F. Ricciardi M.L. Furey E. Pani
M. Guazzelli P. Pietrini
R. Bonito Oliva
L. Orsi P. Mortara P. Caroppo C. Manzone
R. Mutani
U. Dinelli
Percorsi malinconici tra oriente ed occidente
Prove tecniche di psicoterapia di gruppo con
adolescenti
Oltre l’intelletto Kantiano
La struttura del linguaggio e la comunicazione
Della perduta Medea
Studio retrospettivo sugli utenti
Schizofrenia oggi
L’idiota
Anoressia santa e anoressia nervosa
La ferita della psichiatria
Il corpo pensante
Studio di riabilitazione applicata
Dal lavoro di gruppo al gruppo di lavoro
Studio clinico sulla fobia sociale
Del bambino che gioca
In memoria
Nuove metodologie di esplorazione del cervello
Il sonno della filosofia
Cervelletto e cognitività
Isteria, una bugia?
77
AA. VV.
G. Pontiggia
La febbre gialla
Nati due volte
30
S. Pellegrini
M. Giacometti
S. Martinuc U. Dinelli
D. Merigliano
M. Lovrecic
M. Guazzelli
U. Dinelli
La biologia molecolare nello studio della psicopatologia
Una malattia della volontà, l’abulia
La logica della scoperta scientifica
L’approccio costruttivista all'utilizzo del sogno
Le basi biologiche delle dipendenze
La psicoterapia della Crisi Emozionale
Gerald M. Edelman
31
M. Tocchet
M. Michieletto
A. Bani, M. Miniatti
La pagina
U. Dinelli
Strumenti mediatici e psicopatologia
Morfologia del disturbo dislessico
Suicidio: comunicazionee dissimulazione
Levar la mano su di sè
I maestri della mente, Jerri A. Fodore
32
D. Susanetti
G. Perugi, G. Tusini,
A. Nassimbeni, H.S. Akiskal
U. Dinelli
A. Manelli, F. Fermi
P. Pellegrini
U. Dinelli
G. Berto
Nuvole, tra immaginazione e malinconia
Spettro bipolare e sindromi cliniche associate
La contaminazione giudiziaria della psichiatria
Una storia di riabilitazione
Pet Therapy in psichiatria
I maestri della mente, Michael S. Gazzaniga
Il male oscuro
33
G. Minichiello
M. Giacometti
C. Forcolin
R. Roberti
S. Voltolina
U. Dinelli
G. Flaubert
Dal lazzaretto al manicomio: M. Foucault
Temperamento carattere personalità, un percorso storico
L’impatto del divorzio sui figli
Psichiatria, demenze e bioetica
Di chi ama e fa ciò che vuole
I maestri della mente, Irenaus Eibl-Eibesfeldt
Madame Bovary
34
F. Nicolai
P. Pellegrini
G. Minichiello
C. Viti, S. Parpajola, U. Dinelli
M. Clement, C. Verdot, R. Massarelli
Per un modello neurale del linguaggio
Qualità della vita, dei servizi, delle relazioni
Il dionisiaco giovanile
La linea d’ombra: credenze, superstizioni, esorcismi
L’attività fisica in detenzione
78
Anonimo
F. Battaglia
M. Guazzelli
35
C. Gentili, L. Palagini,
S. Pellegrini, M. Guazzelli
L. Roscioni
E. Ricciardi, C. Gentili,
N.V. Watson, P. Petrini
M. Guazzelli
G. Arina
S. Voltolina
L. Pirandello
Fondazione Ravasi
Di qua e di là del muro
Psicopatologia e fenomenologia jaspersiana
Viaggio nel cervello linguistico
Insonnia e depressione: evidenze per un nuovo
atteggiamento dello pschiatra
Utopia e cura: l’internamento manicomiale
Verso la comprensione delle differenze di genere
Cerami e la sindrome di Tourette
Il governo della follia
Di Leuconoe che ha perso i colori che ha
La signora Frolle il signor Ponza, suo genero
La carta delle direttive anticipate: prove tecniche di
testamento biologico
36
P. Bianco, U. Dinelli
F. Nicolai
A. Battista, U. Dinelli, F. Franza
Per uno statuto di qualità in psichiatria
Parlare e non dire. Dire e non parlare
Valutazione di esito e switching con antipsicotici
37
U. Dinelli
N. Sferco
A. Frasson
G. Bettetini
L. Rossi
QI: Quoziente di Intelligenza o Questione Intrigante
La malleabilità del Quoziente d’Intelligenza
Otto Kernberg: lettura critica
Dal neurone alla rete: i modi della comunicazione
Le componenti degli atteggiamenti interetnici
38
M.S. Angeletti
U. Dinelli
G. Del Puente, F. Pezzoni
Dichiarazione di un re
S. Voltolina
39
M. Cusinato
W. Colesso
M. Guazzelli, C. Gentili
R. Bonito Oliva
A. Frasson
Sintomi in cammino verso la schizofrenia
Il Gene agile
Ataque de nervios, uno studio transculturale
Storia dell’Hopital general (1662) alle origini della
cura morale
Di chi cammina con i piedi per terra e la testa per aria
Lo stato degli studi sull'alcolismo: la frattura tra
ricerca e clinica
La competenza relazionale dei soggetti alcolisti
Identità e riconoscimento: dalla psicologia alle
neuroscienze
Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli
Diagnosi e trattamento dell’alcolismo
La ragion di stato, lo stato che perde la ragione
79
40
M. Mazzonetto, U. Dinelli
P. Pellegrini
j. Attuil
U. Dinelli
S. Voltolina
Ritardo mentale e integrazione
La buona pratica in salute mentale
Il sistema psichiatrico italiano
Elogio alla critica
Di Ione che viene
41
F. Nicolai
A. Giavedoni, F. Molfino,
F. Zappoli Thyron
F. Aquino
U. Dinelli
A. Tabucchi
Noi e l’altro
Un eccesso di somiglianza: riflessioni su un gruppo
di pazienti bulimiche
Alcol e interessi economici: chi detta davvero le regole?
Psicopatologia e sacro
Voci
IONE
2a EDIZ
Problemi
in psichiatria
Il fine è l’uomo, il principio la terra
Hanno scritto questo numero
F. Agresta,
Psicologo, Istituto di Psicologia Clinica
Università “G. D’Annunzio” Chieti - Pescara
F. Franza,
Psichiatra, “Villa dei Pini”, Avellino
P. Nadin,
Psicologo, facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Padova
F. Pellegrino,
Psichiatra, Direttore UOSM Salerno 1
42-4307
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ SOLIAN 200 mg COMPRESSE - SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa contiene: SOLIAN 200 mg
COMPRESSE Principio attivo: amisulpride 200 mg. Ogni compressa rivestita contiene: SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE Principio attivo: amisulpride 400 mg. Per gli eccipienti vedere sez. 6.1 3. FORMA FARMACEUTICA SOLIAN 200 mg COMPRESSE: 30 compresse divisibili dosate a 200 mg di principio attivo, per
uso orale. SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE: 30 compresse rivestite divisibili dosate a 400 mg di principio attivo, per uso orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Solian è indicato per il
trattamento dei disturbi psicotici acuti e cronici nei quali i sintomi positivi (come delirio, allucinazione, disturbi del
pensiero) e/o sintomi negativi (come appiattimento dell’affettività, ritiro emotivo e sociale) sono prevalenti, includendo pazienti caratterizzati da sintomi negativi predominanti. 4.2 Posologia e modo di somministrazione
Negli episodi psicotici acuti si raccomanda dosi comprese fra 400 e 800 mg/die. In alcuni pazienti la dose giornaliera può essere aumentata fino a 1200 mg/die. La sicurezza d’impiego di dosi superiori a 1200 mg/die non è
stata valutata in modo definitivo; tali dosaggi sono pertanto sconsigliati. Non è richiesto un incremento progressivo della dose all’inizio del trattamento con SOLIAN. Le dosi devono essere adattate secondo la risposta individuale. Nei pazienti con sintomi misti positivi e negativi, le dosi devono essere adattate per ottenere il
controllo ottimale dei sintomi positivi. La terapia di mantenimento deve essere stabilita individualmente sulla
base della dose minima efficace. In pazienti caratterizzati da sintomi negativi predominanti sono raccomandate dosi comprese tra 50 e 300 mg/die. Le dosi devono essere adattate secondo la risposta individuale.
Per dosi di SOLIAN superiori a 400 mg la somministrazione deve essere suddivisa in due assunzioni giornaliere.
Pazienti anziani: SOLIAN deve essere impiegato con particolare attenzione per il possibile rischio di ipotensione o sedazione. Solian è controindicato nei bambini fino alla pubertà, non essendone stata ancora accertata la sicurezza d’impiego. Insufficienza renale: l’amisulpride viene eliminata per via renale. Nell’insufficienza
renale il dosaggio deve essere ridotto alla metà in pazienti con clearance della creatinina compresa fra 30 e 60
ml/min e ad un terzo in pazienti con clearance della creatinina compresa tra 10 e 30 ml/min. Poichè non vi è esperienza in pazienti con insufficienza renale grave (clearance della creatinina inferiore a 10 ml/min) si raccomanda
particolare cautela in questi pazienti (vedere sez. 4.4). Insufficienza epatica: non dovrebbe essere necessaria
una riduzione del dosaggio dal momento che il farmaco viene scarsamente metabolizzato. 4.3 Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo, o uno qualsiasi degli eccipienti ed a sostanze strettamente correlate. Concomitanza di tumori prolattino-dipendenti come ad esempio i prolattinomi dell’ipofisi e i tumori mammari. Feocromocitoma. Bambini fino alla pubertà. Gravidanza e allattamento. In donne in età fertile che non usino adeguati
mezzi contraccettivi. (vedere sez. 4.6). Associazione con i seguenti farmaci, per la possibile insorgenza di torsioni
di punta: - antiaritmici di classe Ia quali chinidina, disopiramide; - antiaritmici di classe III quali amiodarone, sotalolo; - altri farmaci quali bepridil, cisapride, sultopride, tioridazina, metadone e.v., eritromicina e.v., vincamina
e.v., halofantrina, pentamidina, sparfloxacina. Associazione con levodopa (Vedere sez. “Interazioni”). 4.4 Speciali
avvertenze e precauzioni per l’uso Come con altri farmaci neurolettici, può manifestarsi un insieme di sintomi
denominato sindrome neurolettica maligna, caratterizzata da ipertermia, rigidità muscolare, instabilità del sistema
autonomo e CPK elevata. In caso di ipertermia, in modo particolare quando le dosi giornaliere sono elevate, si
consiglia di sospendere la somministrazione di qualunque farmaco antipsicotico, compreso amisulpride. Amisulpride viene eliminato per via renale. In caso di insufficienza renale la dose deve essere ridotta o può essere
prescritto un trattamento intermittente (vedere sez. 4.2). Amisulpride può abbassare la soglia epilettogena. Pertanto i pazienti con anamnesi positiva per episodi epilettici dovranno essere controllati attentamente durante la
terapia con amisulpride. Come per tutti i farmaci neurolettici, amisulpride deve essere usato con particolare cautela nei pazienti anziani per il possibile rischio di ipotensione o sedazione. Come nel caso di altri dopamino-antagonisti, è richiesta particolare cautela nella prescrizione di Amisulpride in pazienti parkinsoniani, in quanto il
farmaco può causare un peggioramento della malattia. Amisulpride deve essere utilizzato soltanto quando il trattamento neurolettico non può essere evitato. La soluzione orale non deve essere bevuta in un liquido che contiene alcol. In pazienti trattati con alcuni antipsicotici atipici, fra cui amisulpride, è stata osservata iperglicemia.
Pertanto i pazienti con diagnosi certa di diabete mellito o con fattori di rischio per diabete dovranno essere sottoposti a un appropriato monitoraggio glicemico se in terapia con amisulpride . Eventi cerebrovascolari In studi
clinici randomizzati versus placebo condotti in una popolazione di pazienti anziani con demenza trattati con alcuni antipsicotici atipici è stato osservato un aumento di circa tre volte del rischio di eventi cerebrovascolari. Il
meccanismo di tale aumento del rischio non è noto. Non può essere escluso un aumento del rischio per altri antipsicotici o in altre popolazioni di pazienti. Solian deve essere usato con cautela in pazienti con fattori di rischio
per stroke. Prolungamento dell’intervallo QT Usare con cautela nei pazienti con malattie cardiovascolari o con
una storia familiare di prolungamento QT. Evitare una terapia concomitante con altri neurolettici. Amisulpride determina un prolungamento dose-dipendente dell’intervallo QT( vedere sez.4.8). È noto che questo effetto aumenta il rischio di aritmie ventricolari gravi, quali torsioni di punta. Prima della somministrazione e, se possibile,
in funzione dello stato clinico del paziente, si raccomanda il monitoraggio dei fattori che potrebbero favorire l’insorgenza di tale disturbo del ritmo, quali ad esempio: - bradicardia inferiore a 55 battiti al minuto; - squilibrio elettrolitico, in particolare ipokaliemia; - intervallo QT prolungato congenito o acquisito; - trattamento in corso con
farmaci in grado di indurre marcata bradicardia (<55 bpm), ipokaliemia, diminuzione della conduzione intracardiaca o prolungamento dell’intervallo QTc (vedere sez. 4.5). SOLIAN compresse e SOLIAN compresse rivestite
contengono lattosio; non sono quindi adatte per i soggetti con deficit di lattasi, galattosemia o sindrome
da malassorbimento di glucosio/galattosio. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione Quando i neurolettici sono somministrati in concomitanza con farmaci che prolungano il QT il rischio di insorgenza di aritmie cardiache aumenta. Associazioni controindicate Farmaci in grado di provocare torsioni di
punta: - antiaritmici di classe Ia, quali chinidina, disopiramide; - antiaritmici di classe III, quali amiodarone, sotalolo; - altri farmaci quali bepridil, cisapride, sultopride, tioridazina, metadone e.v., eritromicina e.v. vincamina e.v.,
halofantrina, pentamidina, sparfloxacina. Levodopa: antagonismo reciproco degli effetti tra levodopa e neurolettici. Non somministare in concomitanza con farmaci che determinano alterazioni degli elettroliti, come ad
esempio farmaci che provocano ipokalemia quali diuretici ipokalemici, lassativi stimolanti, amfotericina B e.v., glicocorticoidi, tetracosactidi. Associazioni sconsigliate Amisulpride, può aumentare gli effetti centrali dell’alcol.
Farmaci che aumentano il rischio di torsioni di punta o possono prolungare il QT: - farmaci che inducono bradicardia: beta-bloccanti, bloccanti del canale del calcio quali diltiazem e verapamil, clonidina, guanfacina; digitalici; - neurolettici quali pimozide, aloperidolo, antidepressivi imipraminici, litio. Associazioni da considerare con
attenzione: - Farmaci depressivi del SNC compresi narcotici, anestetici, analgesici, sedativi anti-istaminici H1, barbiturici, benzodiazepine e altri farmaci ansiolitici, clonidina e derivati; - Farmaci anti-ipertensivi e altri preparati
ipotensivi. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Negli animali, l’amisulpride non ha evidenziato una tossicità diretta sulla funzione riproduttiva. È stato osservato un calo di fertilità legato agli effetti farmacologici del
farmaco (effetto mediato dalla prolattina). Non sono stati o:servati effetti teratogeni. I dati clinici di esposizione
al farmaco in gravidanza sono molto limitati. Pertanto l’innocuità di amisulpride durante la gravidanza non è stata
accertata nella specie umana. L’uso in gravidanza non è raccomandato a meno che il beneficio atteso giustifichi i rischi potenziali. Se amisulpride è somministrato durante la gravidanza il neonato può manifestare effetti indesiderati da farmaco; un appropriato monitoraggio deve quindi essere preso in considerazione Allattamento Non
è noto se amisulpride venga escreto nel latte materno; pertanto l’uso durante l’allattamento al seno è controindicato. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Anche quando impiegato secondo
quanto raccomandato, SOLIAN può causare sonnolenza e quindi compromette la capacità di guidare autoveicoli o di utilizzare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati Gli effetti collaterali sono stati ordinati in classi di frequenze,
utilizzando la seguente convenzione: molto comuni (> 1/10); comuni ( > 1/100; < 1/10); non comuni (> 1/1000; <
1/100); rari ( > 1/10.000; < 1/1.000); molto rari (< 1/10.000); frequenza non nota ( non può essere stimata in base
ai dati disponibili). Dati da Studi Clinici I seguenti effetti collaterali sono stati osservati in studi clinici controllati.
Si deve notare come in alcuni casi può essere difficile distinguere gli eventi avversi dai sintomi della sottostante
malattia. Disturbi Sistema Nervoso Molto comuni: Possono comparire sintomi extrapiramidali come: tremore, rigidità, ipocinesi, ipersalivazione, acatisia, discinesia. Questi sintomi sono generalmente lievi ai dosaggi ottimali
e parzialmente reversibili con la somministrazione di farmaci antiparkinson, anche senza la sospensione di amisulpride. L’incidenza di sintomi extrapiramidali, correlata alla dose, rimane estremamente bassa nel trattamento
di pazienti con sintomi negativi predominanti, a dosi comprese fra 50 e 300 mg/die. Comuni: Può comparire distonia acuta (torcicollo spasmodico, crisi oculogire, trisma), che è reversibile con la somministrazione di un farmaco antiparkinson, anche senza sospendere la terapia con amisulpride. Sonnolenza. Non Comuni: È stata
riportata discinesia tardiva caratterizzata da movimenti ritmici involontari prevalentemente a carico della lingua
e/o del viso, solitamente in seguito a somministrazione protratta di SOLIAN. Il trattamento con farmaci antiparkinson è inefficace o può indurre l’aggravamento dei sintomi. Convulsioni. Disturbi Psichiatrici Comuni: Insonnia, ansia, agitazione, anomalie dell’orgasmo. Disturbi Gastrointestinali Comuni: stipsi, nausea, vomito, secchezza
delle fauci, dispepsia. Disturbi Endocrini Comuni: Amisulpride causa un aumento dei livelli di prolattina plasmatica reversibili dopo la sospensione del farmaco. Tale aumento può essere associato alla comparsa di galattorrea, amenorrea, ginecomastia, mastodinia e disfunzione erettile. Disturbi Metabolici e Nutrizionali Non comuni:
Iperglicemia (vedere se. 4.4). Disturbi Cardiovascolari Comuni: ipotensione. Non Comuni: bradicardia e palpitazione. Esami di laboratorio e antropometrici Comuni: aumento di peso. Non Comuni: innalzamento degli enzimi
epatici soprattutto transaminasi. Disturbi Sistema Immunitario Non Comuni: Reazioni allergiche. Dati da postmarketing Le seguenti reazioni avverse sono state riportate solo come segnalazioni spontanee: Disturbi del Sistema Nervoso: frequenza non Nota: Sindrome Neurolettica Maligna (vedere sez. 4.4). Disturbi Cardiaci: sono stati
osservati con Solian o altri farmaci della stessa classe: - casi rari di prolungamento del QT, aritmie ventricolari
come torsione di punta, tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare ed arresto cardiaco; - casi molto rari di
morte improvvisa. 4.9 Sovradosaggio L’esperienza di casi di sovradosaggio con amisulpride è limitata. Sono stati
riportati sintomi da accentuazione dei noti effetti farmacologici del farmaco quali sonnolenza o sedazione, coma,
ipotensione e sintomi extrapiramidali. In caso di sovradosaggio acuto occorre considerare la possibilità di assunzione di più farmaci. Dal momento che amisulpride è scarsamente dializzabile, per eliminare il farmaco l’emodialisi non è utile. Non esiste un antidoto specifico per amisulpride; pertanto devono essere istituite misure di
sostegno adeguate e si raccomanda una supervisione attenta delle funzioni vitali: continuo monitoraggio cardiaco
(rischio prolungamento intervallo QT) fino a quando il paziente non si sia stabilizzato. In caso si manifestino gravi
sintomi extrapiramidali somministrare farmaci anticolinergici. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà
farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Psicolettici, benzamidi - Codice ATC: N05AL05 L’amisulpride si lega selettivamente con elevata affinità ai sottotipi di recettori dopaminergici umani D2/D3, mentre è
priva di affinità per i sottotipi di recettori D1, D4 e D5. Diversamente dai neurolettici classici e atipici, l’amisulpride
non possiede alcuna affinità per i recettori serotoninergici, alfa-adrenergici, H1-istaminergici e colinergici. Inoltre
non si lega ai siti sigma. Nell’animale, a dosi elevate, l’amisulpride blocca preferenzialmente i recettori D2 postsinaptici situati nelle strutture limbiche rispetto a quelli situati nel corpo striato. A differenza dei neurolettici classici, non induce catalessi e non determina ipersensibilità dei recettori D2 anche dopo trattamenti ripetuti. A basse
dosi blocca preferenzialmente i recettori pre-sinaptici D1/D2, determinando il rilascio di dopamina, responsabile
degli effetti disinibenti del farmaco. Questo profilo farmacologico atipico può spiegare l’effetto antipsicotico dell’amisulpride alle dosi maggiori, attraverso il blocco dei recettori dopaminergici post sinaptici e la sua efficacia
contro i sintomi negativi, alle dosi minori, attraverso il blocco dei recettori dopaminergici pre sinaptici. Inoltre, la
ridotta tendenza dell’amisulpride ad indurre effetti collaterali extrapiramidali può essere correlata alla sua preferenziale attività limbica. Negli studi clinici con inclusione di pazienti schizofrenici con esacerbazioni acute, SOLIAN ha migliorato significativamente i sintomi secondari negativi così come i sintomi affettivi quali l’umore
depresso ed il rallentamento. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Nell’uomo, l’amisulpride presenta due picchi di
assorbimento: il primo che viene raggiunto rapidamente ad un’ora dalla dose e il secondo nel giro di 3-4 ore
dalla somministrazione. Le concentrazioni plasmatiche sono rispettivamente di 39±3 e di 54±4 ng/ml dopo una
dose di 50 mg. Il volume di distribuzione è di 5.8 l/kg; poichè il legame con le proteine plasmatiche è basso (16%)
eventuali interazioni con altri farmaci sono improbabili. La biodisponibilità assoluta è del 48%. L’amisulpride
viene debolmente metabolizzata; sono stati identificati due metaboliti inattivi, che corrispondono circa al 4% della
dose. Dopo somministrazione di dosi ripetute non vi è accumulo di amisulpride e le proprietà farmacocinetiche
del prodotto restano invariate. L’emivita di eliminazione dell’amisulpride, dopo una somministrazione orale, è di
circa 12 ore. L’amisulpride viene escreta per via renale come farmaco immodificato. Il 50% di una dose somministrata per via endovenosa viene escreto per via urinaria; il 90% di questa viene eliminato nelle prime 24 ore. La
clearance renale è nell’ordine di 20l/h o 330ml/min. Un pasto ricco di carboidrati (con la parte liquida pari al 68%)
diminuisce significativamente le AUC, il Tmax e la Cmax dell’amisulpride, mentre, dopo un pasto ad alto contenuto
di grassi non è stata osservata nessuna variazione dei parametri cinetici sopra descritti. Comunque il significato
di queste evidenze nell’uso clinico di routine non è noto. Insufficienza epatica: dato che il farmaco viene scarsamente metabolizzato non dovrebbe essere necessaria una riduzione del dosaggio nei pazienti con insufficienza epatica. Insufficienza renale: l’emivita di eliminazione è immodificata nei pazienti con insufficienza renale
ma la clearance sistemica si riduce da 2.5 a 3 volte. Nell’insufficienza renale lieve l’AUC dell’amisulpride aumenta
2 volte, mentre un aumento di 10 volte si osserva nell’insufficienza renale moderata (vedere sez. 4.2). L’esperienza
è comunque limitata e non vi sono dati a dosi superiori a 50 mg. L’amisulpride viene scarsamente dializzata. Alcuni dati di farmacocinetica nei pazienti anziani (> 65 anni) mostrano un aumento del 10-30% della Cmax, del T1/2
e dell’AUC dopo una singola dose di 50 mg. Non sono disponibili dati dopo dosi ripetute. 5.3 Dati preclinici di
sicurezza Una valutazione globale degli studi di tollerabilità indica che l’amisulpride non comporta rischi generali, organo-specifici, teratogeni, mutageni o cancerogeni. Le variazioni osservate nei ratti e nei cani a dosi inferiori alla massima dose tollerata sono frutto di effetti farmacologici o prive di rilevante significato tossicologico,
alle condizioni testate. Le dosi massime tollerate nel ratto (200 mg/Kg/die) e nel cane (120 mg/kg/die) sono
espresse come AUC, rispettivamente 2 e 7 volte maggiori dei dosaggi massimi raccomandati nell’uomo. Nessun rischio carcinogenico rilevante per l’uomo é stato identificato nel topo (fino a 120 mg/Kg/die) e nel ratto
(fino a 240 mg/Kg/die) considerando che il dosaggio somministrato nel ratto corrisponde a 1,5 - 4,5 volte l’AUC
attesa per l’uomo. Gli studi riproduttivi condotti nel ratto, nel coniglio e nel topo non mostrano alcun potenziale
teratogeno. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti SOLIAN 200 mg COMPRESSE:
Eccipienti: carbossimetilamido sodico (tipo A), lattosio monoidrato, cellulosa microcristallina, ipromellosa, magnesio stearato. SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE Eccipienti: amido sodio glicolato (tipo A), lattosio
monoidrato, cellulosa microcristallina, ipromellosio, magnesio stearato. Rivestimento della compressa: ipromellosio, cellulosa microcristallina, polyoxyl stearato 40, titanio diossido (E171). 6.2 Incompatibilità Non nota. 6.3
Validità Compresse e compresse rivestite: 3 anni. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione Compresse
e compresse rivestite: Nessuna particolare precauzione per la conservazione. Conservare a temperatura ambiente. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Astuccio da 30 compresse in blister bianco opaco PVC/All. 7.
TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO sanofi-aventis S.p.A. – Viale L. Bodio,
37/B - Milano. 8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO SOLIAN 200 mg
COMPRESSE: AIC n° 033462021 - SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE: AIC n° 033462045 9. DATA DI
PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE SOLIAN 200 mg COMPRESSE Dicembre
1999/ Rinnovo Dicembre 2004; SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE Gennaio 2000 / Rinnovo Dicembre
2004 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO: Giugno 2007. Prezzo SOLIAN 200 mg COMPRESSE - € 36.16;
SOLIAN 400 mg COMPRESSE RIVESTITE - € 72.26
Classe di rimborsabilità: A. Regime di dispensazione: RR.