introduzione alla filosofia delle scienze umane e sociali

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introduzione alla filosofia delle scienze umane e sociali
EMILIO ROGER CIURANA
INTRODUZIONE
ALLA FILOSOFIA DELLE
SCIENZE UMANE E SOCIALI
Traduzione e introduzione di
Fabio Gembillo
Le Lettere
SOMMARIO
Emilio Roger Ciurana e la filosofia delle scienze umane e sociali,
di Fabio Gembillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
7
Introduzione all’edizione italiana,
di Emilio Roger Ciurana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Introduzione,
di Emilio Roger Ciurana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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I. La struttura sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
II. L’azione e il cambiamento sociale: la necessità
del soggetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
III. Epistemologia delle scienze sociali e umane (1) . . . . .
IV. Epistemologia delle scienze sociali e umane (2)
Concetti/Paradigma/Metafore . . . . . . . . . . . . . . . .
V. L’ identità e la comunicazione interculturale nell’era
planetaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Appendice 1. Educare per la comunicazione interculturale
in Europa e nell’era planetaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 95
Appendice 2. Per comprendere la complessità della
relazione tra educazione/società/cultura . . . . . . . . . . . . » 110
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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I
LA STRUTTURA SOCIALE
Uno dei concetti più utilizzati nel campo delle scienze sociali e
umane è il concetto di “struttura”. Allo stesso tempo, come affermano molti studiosi, è uno dei concetti più ingarbugliati a causa del
suo largo utilizzo1.
Senza alcun dubbio il concetto di “struttura” ci spinge a immaginare una totalità integrata, un tutto ben collegato, per cui diciamo per esempio che un lavoro è “ben strutturato”. Vale a dire,
ogni cosa in questo lavoro sta al suo posto in buona e armoniosa relazione con le altre. Si tratta di un tutto ben combinato, armonico.
Si tratta di un ordine. L’importanza non è nelle parti bensì nella relazione di ogni parte rispetto alle altre. L’importanza sta nella struttura, più ancora, nella totalità strutturale. Si può comprendere pertanto che la fisiologia, la teoria degli insiemi, la linguistica di Saussure e di Jakobson, che tanto hanno influito sullo strutturalismo di
Lévi-Strauss, l’opera di Durkheim, la psicologia di Piaget, la filosofia di Althusser, etc., stiano al polo opposto, ognuno a suo modo, da ciò che si conosce nel campo delle scienze sociali e umane
come “individualismo metodologico”.
Nonostante il fatto che abbia scritto che il concetto di struttura sia ingarbugliato, e anche inafferrabile2, è possibile districare, a
1
Cfr. S. Giner - E. Lamo de Espinosa - C. Torres, Diccionario de Sociologia, Alianza Editorial, Madrid 1998.
2 Per uno sviluppo di questa problematica al fine di definire il concetto di “struttura” è interessante l’opera di M. Beltrán Villalba, La estructura social, Ariel, Barcelona 2004.
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partire dalle differenti posizioni strutturaliste, una serie di elementi comuni che, allo stesso tempo, ci mostrano le sue carenze e la necessità di abbandonare tale concetto per sostituirlo con un concetto più interessante come quello di “organizzazione”. Vediamo allora una serie di caratteristiche che potrebbero definire ciò che in
generale è lo strutturalismo nel campo delle scienze sociali e umane: a) per un verso si sostiene una visione totalizzante e integrata del
sistema; b) preferenza per l’ordine e la stabilità rispetto al movimento e alla diacronia; c) al momento di spiegare la realtà sociale
si fa riferimento a livelli di realtà profondi che sarebbero quelli che
determinano e spiegano il livello del visibile; d) in questo senso la
struttura condiziona l’azione umana e il nostro modo di pensare.
Tirando le somme, al di sotto dei fenomeni di superficie si incontrano strutture che sono, precisamente, quelle che causano e determinano questi fenomeni e a partire dalle quali si possono spiegare i fenomeni di superficie. L’azione sociale richiederebbe, allora, di essere rinviata alla sua situazione strutturale, che è quella che
spiega questa azione. L’attore praticamente è un’astrazione inutile
e poco esplicativa.
La struttura del solido: l’ordine e la chiusura del sistema
Il concetto di “struttura” è una delle manifestazioni più chiare dell’influenza del platonismo nelle scienze sociali e umane, e dell’influenza del paradigma dell’ordine, che dagli inizi della scienza classica è dominata da esso. Un paradigma che mostra di entrare in crisi a partire dal XX secolo con i contributi della meccanica quantistica, della termodinamica dei processi irreversibili e delle conseguenze della relatività einsteiniana. Però si tratta di un paradigma
che seguitò a prevalere, più di quanto fosse desiderabile, nella teoria sociale pur avendo poco a che fare con gli strutturalismi, i funzionalismi, e certe teorie sistemiche. Di fatto, A. Wilden, per esaltare
la componente determinista e chiusa di tale modo di pensare, ha affermato a suo tempo che la struttura è sinonimo di legge e ordine3.
3
Cfr. A. Wilden, Sistema y estructura, Alianza Editorial, Madrid 1979.
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Di fatto quando si è soliti parlare di struttura sociale come “sistema”, si insiste su un concetto chiuso di sistema. Anche il padre della moderna teoria dei sistemi L. von Bertalanffy definiva “male” il
sistema quando lo considerava “un’unione di elementi che interagiscono”. E in questo senso si parla di “analisi dei sistemi” per numerazione e riduzione dei suoi presunti elementi e relazioni. Però,
come afferma J. L. Le Moigne «un sistema è un sistema e non
un’unione». Un sistema è più che una struttura. È movimento,
azione. È per questo che A. Giddens per esempio parla di processo di strutturazione cercando di dare movimento alla struttura, tuttavia questo autore spiega meglio come si mantiene e si riproduce
la struttura piuttosto che i processi di cambiamento (ci parla degli
individui che nei loro processi riproducono la struttura, e certamente si tratta di riproduzione, come accade nell’uso della grammatica, però comunque si tratta di cambiamento). Però qual è l’organizzazione del sistema? Come cambia il sistema? Come sarebbe
possibile la storia in un ambito privo di trasformazioni? Di fatto,
niente di più sconveniente per pensare la società nell’era planetaria che un concetto strutturale di società, perché esso, come il funzionalismo, ci mantiene dentro una concezione sociale di società in
cui non esistono i soggetti-attori. Ancor più quando siamo così
lontani, nell’era della comunicazione interculturale, da un concetto di Stato-contenitore uniforme, a cui si riduceva il concetto di società nell’epoca iniziale della modernità.
La concezione struttural/funzionalista della società di fatto è un
solido; non la vedo come per lo più sembra essere: un fenomeno
fluido, morfogenetico, auto-organizzazionale, aperto. Non vedo
che, come affermava N. Elias, ciò che noi esseri umani formiamo
gli uni con gli altri non è cemento. Detto altrimenti, noi esseri umani siamo soggetti con capacità di azione autonoma4, o come dice A.
Touraine, siamo soggetti con capacità di soggettivazione, con capacità di creazione di nuovi significati.
A mio parere, un approccio organizzazionale al fenomeno sociale ci può fornire elementi per una comprensione più corretta di
4 Cfr. E. Roger Ciurana, Complejidad y autonomìa del sujeto, «Trasversales», N. 3,
2006, pp. 32-35.
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questo fenomeno che, usando la metafora di H. Atlan5, si posiziona tra il cristallo e il fumo. Tra l’ordine del cristallo e la dispersione del fumo. Tra l’identità strutturale del solido e l’organizzazione
del fluido: un’identità prodotta nella dialogica, quella dello spazio
pubblico.
Verso un modello morfogenetico del divenire sociale e umano:
l’organizzazione del liquido6.
La società, come l’essere umano, è un campo fluido di relazioni in costante creazione di nuovi significati. Pertanto un sistema che
crea nuovi significati non può essere un sistema chiuso, ma, piuttosto un sistema aperto che interagisce con altri sistemi. Laddove
vi è interazione si rendono possibili le influenze, gli scontri, le inimicizie e le complementarità tra gli elementi del sistema. L’autonomia del sistema è un’autonomia dipendente, eco-dipendente: ha
bisogno delle relazioni con l’esterno per creare la sua autorganizzazione. Né nel mondo fisico, né nel mondo biologico, né nel mondo socio-culturale e psicologico, un sistema può organizzarsi autonomamente, senza relazione con altri sistemi. In sintesi, a fronte
della dicotomia sistema chiuso/sistema aperto è possibile pensare
in termini di sistemi relativamente aperti. Lo stesso vale per la dicotomia che si è generata per lungo tempo nella teoria sociale tra
individualismo/olismo (su cui torneremo in seguito).
Si può affermare, da un’approssimazione morfogenetica, che
i processi sociali sono processi organizzazionali. Proponiamo allora una serie di definizioni concettuali e teoriche che ci aiuteranno
ad andare oltre lo struttural-funzionalismo e che ci permetteranno di entrare in una modalità di pensiero organizzazionale, cioè
complesso.
Si può intendere per “sistema” un’unità globale organizzata a
partire da interrelazioni tra elementi e azioni. Si tratta di una uni-
5 Cfr. H. Atlan, Entre le cristal et la fumée.Essai sur l’organisation du vivant, Seuil,
Paris 1979.
6 Ciò che si espone in questa sezione ha come finalità principale quella di mostrare
la scarsa pertinenza delle visioni funzionaliste e strutturaliste della società. Per altro verso, insistendo sull’idea di relazione, di fluidità e di creazione si tratta di mostrare che
la società non può essere pensata dalla società. Abbiamo bisogno di reintrodurre la forza organizzante/disorganizzante del soggetto.
LA STRUTTURA SOCIALE
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tas multiplex (Morin), un’unità di e nella diversità. Altro concetto
fondamentale è il concetto di “organizzazione”; si tratta della disposizione delle relazioni tra le parti in seno al sistema. Questa disposizione delle relazioni delle parti è quella che fa emergere quest’unità complessa, questa globalità aperta, alla quale diamo il nome di “sistema”: un’unità dotata di nuove qualità sconosciute a livello delle parti prese separatamente o isolate. Se esaminiamo la parola “isolate” può risultare non adeguata a capire ciò che il sistema
è, perché gli elementi isolati non interagiscono, perché ridurre la
“totalità” alla mera somma delle parti isolate, atomiche, non ci
porta alla comprensione del sistema; il sistema scompare. È in questo senso che si può dire che un sistema non si può “analizzare”. La
relativa permanenza del sistema viene assicurata dall’organizzazione delle relazioni tra le parti. Detto altrimenti: a valutare le perturbazioni di cui il sistema può risentire è l’attività auto-eco-ri-organizzante, quella che può mantenere l’autonomia del sistema. Più
in la e più in qua dell’organizzazione solamente possiamo incontrare la dispersione7. Possiamo comprendere che il tutto è ben più
che la somma delle parti. Il “ben più che” non deve essere inteso
in forma additiva, ma deve essere pensato in forma qualitativa:
emergono qualità nuove che non si incontrano nelle parti prese isolatamente. Già Durkheim intuì quest’idea nella sua opera Le regole del metodo sociologico, quando opponendosi alle spiegazioni individualiste del sociale diceva che la società è un sistema che possiede una realtà specifica dotata di caratteristiche proprie. Ma Durkheim non solo mercificò la sua idea di società separando la totalità sociale dagli individui a tal punto che, per questo motivo, non
fu capace di rendersi conto che le spiegazioni a partire dagli individui sono, comunque, fondamentali. Nella tradizione comtiana, la
sociologia di Durkheim è olista, mostra efficacemente l’internazionalizzazione dell’ordine “dall’alto” però disdegna l’azione dei sog-
7 La termodinamica dei processi irreversibili mostra l’emergenza dell’ordine organizzazionale a partire dalle cosiddette “strutture dissipative”. Cfr. I. Prigogine - I.
Stengers, La nouvelle alliance. Metamorphose de la science, Gallimard, Paris 1979. Vedere degli stessi autori anche Entre le temps et l’éternité, Fayard, Paris 1988. È lo stesso Prigogine che ha scritto sulla possibilità di considerare la società come una struttura dissipativa creatrice di un ordine a partire dal disordine.
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getti. È una spiegazione della società dalla società e dalla coercizione sociale. Fa dell’attore sociale un’illusione.
Manteniamo ferma l’idea, “la somma delle parti” non è la somma numerica bensì il prodotto dell’organizzazione sistemica8. Inoltre, dobbiamo fissare l’attenzione su un altro principio sistemico
basilare e molto interessante che sembra affermare il contrario del
principio precedente, però non è così; si tratta di questo: il tutto è
meno della somma delle parti. Questo vuol dire che possiamo parlare di sistema organizzato quando gli elementi che lo compongono non possono realizzare tutti i loro stati possibili. Vale a dire, l’organizzazione degli elementi introduce costrizioni interne che inibiscono o sopprimono qualità di cui le parti dispongono prese separatamente. È chiaro: il contrario dell’organizzazione sarebbe l’indipendenza totale degli elementi.
Che il tutto sia più e meno della somma delle parti, è un modo
per dire che l’organizzazione del sistema è l’organizzazione della
differenza senza eliminare la differenza. Differenti disposizioni delle parti fanno emergere differenti tipi di organizzazione sistemica.
L’interessante di questa proposta si ritrova nell’idea di relazione e
di ricorsività tra tutto e parti. Si tratta della proposizione di Pascal,
raccolta da Morin, che dice che è impossibile pensare il tutto senza pensare le parti come pensare le parti senza riferirsi al tutto9.
Pertanto, tutto e parti stanno in relazione ricorsiva e co-produttiva, co-organizzativa, co-dipendente. È per questo che un concetto
tanto usato oggi come quello di “identità” non è pensabile senza essere complessificato, ovvero, senza essere visto nella sua circolarità e ricorsività tra il globale e la parte e nella sua eco-dipendenza.
La costruzione dell’identità è un processo ricorsivo, i cui prodotti
8 Cfr. W. Buckley, La sociologia y la teoria moderna de sistemas. Amorrortu, Argentina 1982, p. 71. Cfr. E. Morin, La Methode, vol. I, Paris, Seuil 1977. Si raccomanda di leggere la concezione sistemico-organizzazionale di Morin nella prima parte di
questo volume. Cfr. anche A. Aracil Máquinas, Sistemas y modelos. Un ensayo sobre sistemica, Tecnos, Madrid 1986.
9 «Pertanto essendo tutte le cose causate e causanti, adiuvate e audiuvanti, mediate
e immediate, e mantenendosi tutte unite tramite un legame naturale e impercettibile
che lega le più lontane e le più differenti, ritengo impossibile conoscere le parti senza
conoscere il tutto, così come conoscere il tutto senza conoscere particolarmente le parti». B. Pascal, Pensamientos, Edicion Lafuma, Alianza Editorial, Madrid 1981, p. 199.
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sono necessari perché il processo è un processo a spirale aperta e
non rinchiudibile, nella quale il mezzo ci informa e realizza l’autoorganizzazione. Lo vedremo nel V capitolo.
Emergenze e morfogenesi sistemiche sono inseparabili. Parliamo di “morfogenesi” perché l’organizzazione sistemica dà forma
nello spazio e nel tempo a una realtà nuova, a un’unità complessa,
a un sistema. La forma dello spazio sociale è inseparabile dai tipi di
interazione e movimenti degli individui che la producono. Parliamo di “forma” perché si dà il movimento organizzazionale che
produce e mantiene una certa stabilità. Però si tratta di una stabilità in e per il movimento, in e per l’azione. Si tratta di un ordine organizzazionale, inseparabile dal disordine organizzazionale.
Sintetizzando, possiamo affermare quanto segue: siamo molto
lontani da una concezione del sistema inteso a partire dalla totalità,
dal punto di vista strutturale/funzionalista, ordinatore, armonico.
Parlare di sistema organizzato implica parlare di opposizioni, di antagonismi, di attrazioni e di complementarità in un medesimo spazio-tempo. Dalla concezione di sistema che qui stiamo teorizzando,
si può dire che non è possibile l’esistenza del sistema se non vi sono differenze, originalità, al livello degli elementi che non sono assorbiti dal tutto. Che non sono determinati dalla totalità. Il contrario è l’ordine della struttura. A fronte di una concezione della società
che determina dall’alto le azioni dei soggetti, a fronte della visione
strutturale/funzionalista, bisogna avanzare nella direzione del soggetto-attore sociale. Un soggetto capace di creare autonomia a partire dalla e contro la società. Un soggetto non assoggettato.
È pur vero che perché esista un ordine organizzazionale, le
forze di attrazione devono prevalere sulle forze antagoniste. Non
meno certo è che in un tutto armonico, il cambiamento non può
avere luogo. La complessità organizzazionale, dai sistemi biologici
fino ai sistemi bio-socio-culturali, è la complessità che emerge nonostante e con gli antagonismi e i conflitti10 che possono essere tan10 Abbiamo urgente bisogno di riscattare, nella loro positività, categorie come
quelle di “antagonismi”, “conflitto”, “disordine”, “incertezza”, etc. Si tratta di categorie parecchio disprezzate dalle teorie sociali e politiche deterministe e conservatrici. Si tratta di categorie che non fanno parte della scienza classica (che è servita da modello per la scienza sociale). Però sono categorie fondamentali che devono accompa-
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to germe di distruzione quanto base per nuove riorganizzazioni.
Non possiamo pertanto sottovalutare il potenziale intrinsecamente organizzazionale del disordine. Lo spazio sociale, come l’essere
umano, sono “sistemi” autopoietici, capaci di generare nuove creazioni, capaci di mantenersi nella dialogica delle complementarità,
antagonismi di interessi, significati. Lo spazio sociale, aperto, pubblico, contraddittorio, dialogico, è l’espressione del vivo del soggetto.
gnare il soggetto: quello che è capace di domandare, di interrogare, di ripensare, di
mantenere la propria volontà di conoscere, vale a dire quello che può funzionare da
agente perturbatore in un sistema regolato. Quello che interroga le istituzioni stabilizzate.