LABORATORIO DIDATTICO CLASSE III B 2015-2016
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LABORATORIO DIDATTICO CLASSE III B 2015-2016
LABORATORIO DIDATTICO CLASSE III B 2015-2016 DEL LICEO “D. ALIGHIERI” DI ORBETELLO PRIMO LAVORO DI GRUPPO La parola nel “Decameron” Il tema della parola è sicuramente uno dei temi più importanti del Decameron. La padronanza dei personaggi di Boccaccio nell’uso di quest’arma potente gioca all’interno dell’intreccio narrativo delle novelle un ruolo dominante. Grazie alla loro maestria, al loro uso intelligente del linguaggio molti dei personaggi boccacciani riescono a stravolgere la situazione a proprio vantaggio. Ma le funzioni della parola sono molteplici: oltre ad essere un mezzo per tirarsi fuori da situazioni sfavorevoli, essa ha anche funzione consolatoria, è strumento di mistificazione, ribellione, è un mezzo per conseguire un tornaconto personale e anche per ingannare coloro meno abili di sè. La parola, oltre ad essere protagonista assoluta delle novelle della sesta giornata, acquisisce un ruolo importante anche in altre novelle e sezioni del “Decameron”. Il proemio: L’importanza che Boccaccio attribuisce alla parola è messa in risalto già nel Proemio, in cui l’autore spiega che la sua opera è dedicata alle donne che amano, che a cause del ‘peccato della Fortuna’ non possono trovare alcuna distrazione e consolazione all’infuori delle mura della loro casa. La sua opera si propone quindi come consolazione per le loro pene d’amore, come fonte di piacere, mezzo di evasione e intrattenimento. Tancredi e Ghismunda: la parola della donna diventa mezzo di protesta, di ribellione, atto a difendere un diritto inestimabile quale l’amore. Ghismunda, infatti, dopo essere stata scoperta dal padre con l’amante rivendica la legittimità del suo amore, bisogno naturale e primario che il padre non trovandole un nuovo marito alla morte del primo, le aveva negato. Il suo lungo discorso a Tancredi dimostra che siamo di fronte ad una donna forte, fiera ,dotata di notevole coraggio, dignità, desiderosa di essere protagonista attivo della sua vita. Al contrario di altre donne, quando il padre le rivela di aver scoperto la sua relazione con Guiscardo, lei non cede alle lacrime ma ferma ‘con meravigliosa forza il viso’ e con fermezza risponde al padre chiamandolo per nome. Ghismunda dimistifica abilmente il meccanismo di riscatto e di lusinga del padre affermando di non negare le sue azioni perchè essendo lei di carne il suo desiderio sessuale è più che legittimo. Con coraggio riesce a fa passare suo padre accusatore dalla parte del torto affermando che la sua relazione con Guiscardo in parte è nata anche per colpa sua che non le aveva trovato un nuovo marito, che più volte aveva lodato il suo scudiero davanti a lei e che non aveva favorito l’arricchimento di un giovane più nobile di molti altri per virtù. Nell’arco del dialogo i due ruoli si invertono: Ghismunda che all’inizio ha dovuto ascoltare le minacce del padre alla fine della novella minaccia il primo di fare di sè tutto ciò che lui avrebbe fatto dell’amante e infatti alla fine della storia, dopo aver scoperto che il padre ha fatto uccidere Guiscardo, la giovane si toglie la vita bevendo del veleno da un recipiente nel quale era contenuto il cuore del suo amato. Alla fine è lei ad ottenere la meglio perchè ottiene un risarcimento postumo dato che il padre la seppellisce vicino all’uomo che ama. Opposta, è la situazione nella novella “Lisabetta da Messina” in cui il pianto viene usato come mezzo di comunicazione al posto della parola. Nell’arco della novella emerge il carattere di debolezza della ragazza che dopo aver scoperto dell’uccisione dell’amante da parte dei fratelli, si chiude in sé e non intrattiene con i fratelli alcun tipo di dialogo ma è proprio grazie all’accostamento delle due vicende che Boccaccio fa comprendere al lettore quanto sfaccettature abbia la comunicazione. Andreuccio da Perugia, giovane mercante inesperto è facilmente ingannato da una prostituta che afferma di essere sua sorella e che si impossessa dei suoi soldi. La parola nelle mani della donna divine un mezzo per annebbiare la realtà e modificarla a proprio piacimento; dopo un difficile percorso ricco di ostacoli anche Andreuccio trarrà degli insegnamenti molto importanti dalle sue peripezie: diffidare della gente che lo vuole ingannare e mutare profondamente la realtà è possibile sfruttando la retorica. Calandrino e l'elitropia: il protagonista Calandrino, popolano rozzo e tonto, viene beffato da altri due tipici personaggi burloni con l'aiuto di Maso del Saggio. Essi fanno credere a Calandrino l'esistenza di un minerale che renda invisibili potendo quindi usarlo per scopi illeciti. Calandrino viene quindi ingannato linguisticamente, perché non possiede le doti intellettuali e logiche di Maso del Saggio. Il comico del Decameron si basa su effetti di distorsione e rovesciamento della realtà, che il lettore coglie, ma che sfuggono a chi è vittima della beffa. Inoltre con lo scherzo si ristabilisce anche l'ordine sociale su cui si regge il Decameron chi è dotato di intelligenza sta ad un livello, etico e sociale, superiore rispetto a chi può solo suscitare il riso dell'allegra brigata per la sua ingenuità Melchisedech e il Saladino è la terza novella della prima giornata del Decameron. Qui Boccaccio affronta il tema della tolleranza religiosa, che in questo caso si salda con una nuova visione del mondo (laica ed "aperta", per utilizzare delle categorie moderne) che l'autore con la sua opera propone: l'intelligenza e l'arguzia dei singoli, doti fondamentali dei personaggi delle cento novelle, devono essere valutate liberamente, fuori dai condizionamenti di nascita, fede o ideologia. La vicenda di Melchisedech e del Saladino, pone a confronto il grande sovrano musulmano e un usuraio ebreo. Accade infatti che il Saladino abbia bisogno di un prestito in denaro e si rivolga allora al giudeo Melchisedech, con l’idea di estorcergli i soldi trascinandolo in una discussione religiosa che l'avrebbe necessariamente costretto a tradirsi, così da poter poi pretendere gratuitamente del denaro. Quando Melchisidech, venuto da Alessandria, gli si presenta dinnanzi, il Saladino gli pone questa domanda: “Valente uomo, io ho da più persone inteso che tu se’ savissimo, e nelle cose di Dio senti molto avanti, e per ciò io saprei volentieri da te, quale delle tre leggi tu reputi la verace: o la giudaica, o la saracina o la cristiana”. Saladino - che nelle cronache medievali e nella letteratura coeva al Decameron era un simbolo di magnanimità d'animo e di saggezza - vuole così cogliere in errore su una questione dottrinaria lo sprovveduto Melchisedech. L’usuraio però, esponente della nuova e scaltra classe mercantile, intuisce la trappola tesagli dal Saladino e riesce argutamente ad evitarne l'ira. Melchisedech, facendo ricorso ad un'intelligenza feconda e limpida come quella del suo avversario, risponde al Saladino con una “novelletta”, una specie di narrazione dentro la narrazione che capolvolge le carte in tavola. Il protagonista ricorre a questo apologo (cioè a un racconto con morale annessa), in cui per tradizione secolare, in una certa famiglia il padre assegna al figlio prediletto un anello, facendone l'erede universale. Un giorno però, il "valente uomo", di fronte all'incombenza di indicare il discendente più amato, capisce di dover spezzare l'usanza; fa fondere a un "buon maestro" due altri anelli in tutto e per tutto identici all'originale, e li consegna ai tre figli. Tuttavia, al momento di spartirsi l'eredità, ognuno fa mostra del proprio anello per richiedere solo per sé i beni di famiglia, e - dice Melchisedech - la faccenda è ben lontana dall'essere risolta. L'arguzia dell'ebreo conquista il sultano musulmano, tanto che tra i due nasce un legame di stima e di amicizia. Il prestito di denaro può andare in porto senza inganni e sotterfugi. Con questo racconto Melchisedech offre al Saladino una metafora della condizione dei tre grandi monoteismi, il Cristianesimo, l'Islam e l'Ebraismo: i fedeli di ciascuna religione sono convinti che la vera rivelazione sia stata donata solo a loro, anche se in realtà non si sa con certezza chi detenga la verità (né, per l'ottica relativistica ed antropocentrica su cui è costruito il Decameron, ciò conta davvero). Con la novella di Melchisedech, Boccaccio suggerisce di sostituire alle false presunzioni umane di superiorità di chi pretende di possedere spiegazioni assolute ed universali il ruolo dell’intelligenza e della saggezza, capaci di svelare la vera natura delle persone (e l'intelligenza e l'amore, forze motrici dell'agire umano, sono del resto i temi privilegiati della terza giornata, "sotto il reggimento" di Neifile). E si aggiunga che questa intelligenza non è fine a se stessa, né serve unicamente a riaffermare valori “ideali” come quelli del rispetto e della tolleranza: Melchisedech, con il suo apologo, dimostra al sultano di essere un uomo di valore, capace di utilizzare gli strumenti giusti al momento giusto, coniugando cioè ingegno e Fortuna. I “grandissimi doni” che l’usuraio si guadagna dopo il prestito al Saladino sono allora la controparte economica della conquistata parità intellettuale tra lui e il sovrano musulmano. SECONDO LAVORO DI GRUPPO TRAMA E ANALISI DELLA NOVELLA DI “FRATE CIPOLLA" (DECAMERON,VI,10) Questa novella fa parte della sesta giornata del Decameron e ne occupa la decima posizione. Il tema di questa giornata come sappiamo è l'esaltazione delle capacità della parola; vi sono cioè situazioni complicate che vengono risolte dal personaggio grazie ad una battuta e all'arte della parola. In questa novella troviamo Frate Cipolla che fa parte di un ordine religioso risalente a sant'Antonio Abate; la novella è raccontata da Dioneo. Frate Cipolla giunge a Certaldo (probabilmente luogo di origine di Boccaccio) dove si reca ogni anno a raccogliere le offerte dei devoti; la sua caratteristica è la sua bravura nell'arte oratoria; Boccaccio esagera dicendo che, sentendolo parlare, lo si poteva scambiare per Tullio Cicerone o Quintiliano che erano stati, nel mondo romano, grandi maestri dell’arte oratoria. Frate Cipolla questa volta dichiara che mostrerà loro una reliquia: una piuma appartenuta all'arcangelo Gabriele, caduta nel momento in cui l'arcangelo annunciò a Maria che a breve sarebbe diventata la madre del figlio di Dio. Due amici del frate di nome Giovanni e Biagio sentendo queste parole, e sapendo che la piuma non era altro che quella della coda di un pappagallo, decisero di fargli uno scherzo. Uno dei due, Biagio, doveva intrattenere con chiacchiere il servitore di frate Cipolla e l'altro, Giovanni, doveva sottrarre la piuma al frate; frate Cipolla dopo aver finito la sua predica prese la cassetta, ignaro di quello che era appena successo, ed annunciò un'altra volta ai fedeli che presto avrebbero visto la penna dell'arcangelo. Quando aprì la scatola e vi trovò i carboni messi al posto della piuma, grazie alla sua industria e alla sua abilità di gran oratore riuscì subito a trovare un espediente per risolvere la situazione, e fece passare quei semplici carboni per quelli carboni con i quali era stato bruciato il martire San Lorenzo, giustificando questo scambio per una volontà divina. Una volta finita la messa i due amici gli si avvicinarono per restituirgli la piuma e infine si complimentarono con lui per la sua astuzia e per il suo ingegno. Analisi del testo Frate Cipolla eroe boccacciano. Frate Cipolla possiede l'abilità di superare ostacoli e di trarsi da situazioni difficili grazie alla capacità di dominare la realtà. Il frate è un personaggio negativo, un truffatore che approfitta della credulità degli sprovveduti. Boccaccio mette tra parentesi il giudizio morale e ammira solo la virtù del personaggio. Una realtà parallela costruita dalla parola. Frate Cipolla con la sua parlantina riesce a costruire una vera e propria realtà parallela. Si tratta di un mondo surreale in cui tutto è ambiguo. In questo mondo parallelo le attività usuali divengono fatti strabilianti. Il "carnevalesco". La predica di Frate Cipolla rovescia comicamente i valori costituiti. Il discorso del Frate si regge tutto sul meccanismo del rovesciamento. Al gusto carnevalesco risale anche il doppio senso, con allusioni sia alle realtà gastronomiche che a quelle sessuali. Il discorso di Frate Cipolla appare molto vicino ad una composizione giullaresca. Per costruire il discorso del Frate, Boccaccio ha tenuto presente questa realtà La satira contro il clero. La figura del Frate truffatore sembra contenere una polemica contro il clero. Per la società in cui vive Boccaccio, la corruzione ecclesiastica è una realtà ormai scontata. Lo stesso si può dire dalla polemica contro l'abuso delle reliquie: anche qui si rivela l'atteggiamento di uno spirito ormai adulto e smaliziato. E’ ovvio che un atteggiamento del genere non implica per nulla un disprezzo per la religione in sé e per i suoi principi: Boccaccio resta un convinto credente. Questi atteggiamenti irriverenti sono la ripresa di motivi diffusi della cultura popolare, che ama il rovesciamento parodico del sacro. Per Boccaccio si tratta di un puro divertimento letterario. Fonte: La letteratura del “Baldi-Giusso” TERZO LAVORO DI GRUPPO Lisabetta da Messina racconta la sua storia Non facevo che pensare a lui. Mi ero innamorata di quel ragazzo pisano come mai in vita mia. Il suo nome era Lorenzo. Si occupava della situazione economica dei miei tre fratelli, che non hanno fatto altro che pensare agli affari da quando è morto nostro padre. Io e Lorenzo ci vedevamo ogni sera di nascosto per paura che ci vedessero. Erano passati ormai diversi giorni dall'ultima volta che ci eravamo visti ed il mio amato mi mancava sempre di più. I miei fratelli dicevano di averlo mandato in un luogo per fare loro un servizio... ma io speravo tanto che tornasse da me al più presto. I giorni però continuavano ad avanzare ed il mio Lorenzo non aveva ancora fatto ritorno. Ero veramente disperata e cominciavo a pensare che gli fosse successo qualcosa di brutto. Quella notte tutto ebbe un senso. Lorenzo mi apparve in sogno e mi rivelò cosa gli era accaduto: i miei fratelli lo avevano portato fuori città ingannandolo e lì lo avevano ucciso. Nel sogno mi rivelò persino il punto nel quale era stato sotterrato. Il giorno seguente mi recai insieme alla mia serva nel luogo che mi aveva indicato in sogno Lorenzo la notte precedente. Ed esattamente in quel punto trovai il corpo ormai senza vita. Non potendogli dare una degna sepoltura, decisi di tagliargli la testa, per portarla a casa con me, affinché costituisse il ricordo del nostro breve amore. Arrivata a casa, misi la testa di Lorenzo in un vaso, nel quale coltivai con amore una piantina di basilico. Ogni giorno piangevo sulla pianta ormai cresciuta, bagnata dalle mie lacrime, ed i miei orrendi fratelli, accortisi dello strano comportamento che avevo, trovarono la testa di Lorenzo dentro al vaso e, nel modo più crudele, se ne disfecero. Mi chiamo Lisabetta e questa è la mia storia. Mi distendo sul mio letto e, con un'atroce lentezza, mi lascio andare, invocando il mio vaso, nel quale era seppellito l'amore della mia vita. QUARTO LAVORO DI GRUPPO Il “Decameron” di Pier Paolo Pasolini Il “Decameron” è un film del 1971 scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, tratto dalla più celebre opera, da cui prende il nome: Il “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Il film ebbe diversi problemi con la censura, mentre in altri paesi, soprattutto la Germania ebbe molto successo e vinse l'Orso d'argento al Festival del cinema a Berlino. Pasolini, ispiratosi all'opera boccacciana, rappresenta le novelle più importanti e caratterizzanti riadattandoli in un'atmosfera napoletana. Pasolini esalta inoltre i piaceri, a cui l'uomo non può resistere, come il sesso e la cupidigia, ma anche l'amore e il dolore. Il regista mette in scena dieci novelle: Giornata II, novella V - Il giovane Andreuccio viene truffato due volte, ma finisce col diventare ricco. Giornata IX, novella II - Una badessa riprende una consorella ma è a sua volta ripresa per il medesimo peccato (Tradotta in napoletano da un vecchio ascoltato dalla folla) Giornata III, novella I - Masetto si finge sordo-muto in un convento di curiose monache. Giornata VII, novella II - Peronella è costretta a nascondere il suo amante quando suo marito torna improvvisamente a casa. Giornata I, novella I - Ciappelletto si prende gioco di un prete sul letto di morte. Giornata VI, novella V - L'allievo di Giotto aspetta la giusta ispirazione. Giornata V, novella IV - Caterina dorme sul balcone per incontrare il suo amato la notte. Giornata IV, novella V - I tre fratelli di Lisabetta si vendicano del suo amante. Giornata IX, novella X - Il furbo don Gianni cerca di sedurre la moglie di un suo amico. Giornata VII, novella X - Due amici fanno un patto per scoprire cosa accade dopo la morte. La maggior parte delle novelle sono ambientate in città e la maggior parte dei protagonisti sono mercanti. Nei dialoghi è utilizzato il dialetto napoletano. "Ho scelto Napoli", dirà Pasolini, "perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e, così, di lasciarsi morire". In ben cinque delle novelle l'erotismo ha il sopravvento, inteso come forza vitale e primigenia da recuperare. MUSICA DEL FILM “DECAMERON” di Pierpaolo Pasolini Il film Decameron diretto dall’ attore italiano Pierpaolo Pasolini è una pellicola che tratta alcune delle novelle più famose dell’opera. Durante tutto il film si possono udire vari tipi di musica di tipo popolare (tra cui la canzone napoletana “fenesta ‘ca ucive”). Vi sono anche composizioni originali di Ennio Morricone. QUINTO LAVORO DI GRUPPO RECENSIONE DEL FILM “MARAVIGLIOSO BOCCACCIO” (2015) Regista: Paolo e Vittorio Taviani Genere: Drammatico Attori principali: Riccardo Scamarcio, Carolina Crescentini, Paola Cortellesi, Flavio Parenti, Vittoria Puccini, Josafath Vagni, Kim Rossi Stuart, Lello Arena, Michele Riondino, Kasia Smutniak, Jamin Trnca Trama: Il film è ambientato a Firenze durante il periodo della diffusione della peste, nel 1348; racconta la storia di dieci ragazzi benestanti che si rifugiano in un casale di campagna per fuggire dall'epidemia che si stava diffondendo nella città. Nell'arco di questi dieci giorni i giovani decidono di raccontare una storia ciascuno ogni giorno (tranne il venerdì e il sabato). Ogni giorno vengono eletti un “re” e una “regina”, a cui spettava il compito di decidere quale sarebbe stato l'argomento da trattare in quella giornata. Nel Decameron di Boccaccio il re e la regina venivano incoronati con una corona d'alloro, mentre nel film questa incoronazione non compare. Un' altra differenza tra il film e l'opera originale è la presenza di dieci servi che accompagnano i giovani, i quali non compaiono nel film; inoltre, nel Decameron il servo di Dioneo diventa il maggiordomo dei dieci ragazzi. Il film inizia con la scena di un uomo che, malato di peste, si butta dal campanile di Giotto; in realtà in quel periodo esso era ancora in costruzione. Prima novella trattata nel film: La prima novella che viene trattata nel film è la novella di Monna Catalina (nell' opera originale è la quarta novella della decima giornata). Viene raccontata da Lauretta e il tema della giornata è “gesti di generosità d'animo”. Il racconto parla di Monna Catalina (Vittoria Puccini), sposa di Nicoluccio (Flavio Parenti), un borghese di Firenze. Catalina si ammala e viene allontanata da Firenze dalla famiglia di Nicoluccio, che pensa che la donna sia stata contagiata dalla peste. Durante il viaggio nel quale Catalina viene portata in un casale della famiglia di Nicoluccio, gli uomini che la stanno trasportando pensano che sia morta, e la abbandonano nella cripta di una chiesa nelle vicinanze. Contemporaneamente, la carrozza che trasportava Catalina veniva seguita da Messer Gentile (Riccardo Scamarcio), un uomo follemente innamorato della donna da sempre. Messer Gentile si accorge che Monna Catalina viene lasciata all'interno di una chiesa e decide di entrare. Alla vista della donna amata distesa su una lastra di marmo, si avvicina e le da un bacio; ad un tratto si accorge che in realtà la donna è viva. La prende con sé e la porta a casa sua per farla curare dalla madre. Quando Catalina si rimette, Messer Gentile decide di organizzare un banchetto nel suo casale e fra gli invitati sarà presente Nicoluccio. Durante il banchetto Messer Gentile intraprende un discorso nel quale racconta tra le righe la storia di Catalina, parlando però di un servo abbandonato dal suo signore che viene trovato da un altro, chiedendo ai presenti chi dei due signori avesse il diritto di tenerselo. Tutti gli invitati, particolarmente Nicoluccio, sono d'accordo: il servo spetta al secondo signore, ovvero colui che l'ha trovato. Improvvisamente appare Catalina con il volto ricoperto da un velo, e nel momento in cui esso viene sollevato tutti la riconosco, chiamandola “la Morta”. Messer Gentile spiega che la storia precedentemente raccontata era riferita alla donna e chiede a Nicoluccio se fosse ancora della stessa opinione di prima; Nicoluccio afferma che la sua opinione non è cambiata e che la donna spetterebe a Messer Gentile, tuttavia afferma anche che lui la rivorrebbe con sé. Infine, Gentile Carisendi si tiene Monna Catalina. Differenze tra il Decameron e il film Maraviglioso Boccaccio: • Nell'opera di Boccaccio Monna Catalina è incinta; • Quando Catalina fa la sua comparsa al banchetto non ha il velo e non viene riconosciuta; • Nel finale Messer Gentile restituisce la donna a Nicoluccio. Seconda novella trattata nel film: La seconda novella che viene trattata nel film è la novella di Calandrino (nell' opera originale è la terza novella dell'ottava giornata); viene raccontata da Elissa e il tema del giorno è “beffe reciproche tra uomini e donne”. La novella inizia con Calandrino (Kim Rossi Stuart), Bruno e Buffalmacco che si trovano nello studio del pittore per il quale lavorano. Calandrino è sempre stato oggetto delle beffe di tutti, e in quel momento i suoi compagni decidono di fargli uno scherzo: lo convincono dell'esistenza di una pietra che rende invisibile chi la tocca, l' Elitropia. I tre vanno a cercarla sulle rive del fiume Mugnone e ad un tratto Calandrino crede di averla trovata; gli altri due glielo fanno credere e convincono tutto il paese a stare al gioco e a fare finta che Calandrino sia invisibile. Infatti, mentre l'uomo torna a casa tutti quelli che lo incontrano fingono di non vederlo; rientrato a casa, però, la moglie lo rimprovera per essere arrivato così tardi per il pranzo. In quel momento Calandrino crede che sua moglie sia una strega e che gli abbia fatto perdere i poteri, e inizia a picchiarla. Contemporaneamente arrivano Bruno e Buffalmacco che fermano l'uomo. Differenze tra il Decameron e il film Maraviglioso Boccaccio: • Nel Decameron quando Calandrino torna a casa nella città non c'è nessuno perché è ora di pranzo e gli unici ad essere stati avvertiti dello scherzo sono le guardie delle mura; • Nel finale del film la moglie di Calandrino, per vendicarsi, vuole tirargli la giara in testa; questa scena è assente nel Decameron. Terza novella trattata nel film: La terza novella che viene trattata nel film è la novella della Badessa e le Brache del prete (nell' opera originale è la seconda del nono giorno); viene raccontata da Elisa e il tema della giornata è libero. Il racconto parla di una suora di nome Isabetta (Carolina Crescentini) che ha una relazione segreta con un giovane, amico di famiglia. Una notte i due vengono scoperti dalle altre suore nel convento che si precipitano a chiamare la Madre Superiora (Paola Cortellesi); la badessa, che a sua volta stava passando la notte con il prete, si riveste frettolosamente ed esce dalla sua stanza con le brache del prete in testa al posto del salterio. Isabetta viene rimproverata dalla badessa davanti a tutte le altre suore per umiliarla, finché Isabetta si accorge e fa notare a tutte le altre che la madre superiora porta le brache sulla testa. Dopodiché lei viene lasciata libera di stare con il suo amante e la badessa consiglia a tutte le altre suore di fare come lei e Isabetta. Differenze tra il Decameron e il film Maraviglioso Boccaccio: • Nel film il giovane viene chiuso nella camera dalle suore; • Nel film Isabetta viene fatta inginocchiare sui ceci, mentre il Decameron non presenta questa scena. Quarta novella trattata nel film: La quarta novella che viene trattata nel film è la novella di Tancredi e Ghismunda (nell' opera originale è la prima della quarta giornata); viene raccontata da Fiammetta e il tema della giornata è “amori infelici”. Ghismunda (Kasia Smutniak), dopo la morte del marito torna a vivere con il padre Tancredi (Lello Arena), duca di Salerno e padre molto geloso. Ghismunda conosce e si innamora dello scudiero prediletto del padre, Guiscardo (Michele Riondino), e i due intraprendono una relazione segreta. Un giorno però Tancredi scopre la relazione clandestina e, nonostante le preghiere della figlia, cattura e uccide Guiscardo, facendo trovare il suo cuore alla figlia dentro una coppa d'argento; dopodiché Ghismunda si uccide. Differenze tra il Decameron e il film Maraviglioso Boccaccio: • Nel film traspare particolarmente la gelosia morbosa di Tancredi verso la figlia, a differenza dell' opera originale; • Nel Decameron viene messa più in evidenza la morte di Ghismunda, che muore avvelenata bevendo dalla coppa nella quale si trova il cuore di Guiscardo. Quinta novella trattata nel film: La quinta novella che viene trattata nel film è la novella di Federico degli Alberighi (nel Decameron è la nona novella della quinta giornata); viene raccontata da Fiammetta e il tema del giorno è “amori felici”. La novella parla dell'amore non ricambiato di Federico degli Alberighi (Josafat Vagni) per Monna Giovanna (Jasmine Trinca), fedelissima moglie e madre di un figlio. Per conquistare la donna Federico sperpera tutti i suoi averi e rimane solo con un falcone che diventa il suo migliore amico. Ad un tratto il marito di Giovanna muore e il figlio si ammala, allora i due vanno a vivere in campagna vicino all'unica tenuta rimasta a Federico. Il figlio di Giovanna conosce il falcone e promette alla madre che se lei glielo donasse, lui sarebbe guarito. Allora la donna si reca alla tenuta di Federico e gli chiede di poter pranzare con lui, in modo da chiedergli in dono il falcone. Federico inizialmente è spiazzato perché, essendo molto povero, non ha niente da cucinare alla donna amata; dopo numerosi ripensamenti, decide di cucinare il falcone. Arivati al termine del pranzo, Monna Giovanna si fa coraggio e fa la sua richiesta a Federico. Egli, intristito, le spiega che il falcone è quello che hanno appena mangiato. La donna apprezza il fatto che Federico è disposto a dare qualsiasi cosa per lei, e manda i suoi fratelli a chiedergli se vuole sposarla. Il figlio della donna muore. Differenze tra il Decameron e il film Maraviglioso Boccaccio: Nessuna. Commento: Il film è stato abbastanza interessante ed ha reso bene, nonostante le differenze, l'opera del Decameron. I registi hanno scelto attori adatti ai propri ruoli e la figura che ci è piaciuta di più, con la sua novella, è stata Paola Cortellesi che interpretava la madre superiora nel racconto "La Badessa e le Brache". La colonna sonora utilizzata comprende arie di opere liriche (ad esempio di Verdi e di Rossini). Il film è stato girato in Toscana (Pistoia, Montepulciano) e nel Lazio (Basilica Sant'Ilia e Castello di Montecalvello); è uscito nelle sale cinematografiche il 26 febbraio 2015. SESTO LAVORO DI GRUPPO BOCCACCIO E CHAUCER: LA NOVELLA DEL MUGNAIO E FRATE PUCCIO GIOVANNI BOCCACCIO Nato a Firenze nel 1313, Boccaccio è figlio illegittimo, ma presto legittimato, di un ricco mercante. In gioventù, Boccaccio viene mandato a Napoli, dove impara ad apprezzare la raffinatezza e la cultura della corte angioina. Con il sopraggiungere della crisi finanziaria, che ha dimensioni europee, torna a Firenze e moltiplica il suo impegno di scrittore. Incoraggiato dall'amicizia con Petrarca e con i primi umanisti fiorentini, Boccaccio alterna l'attività letteraria a quella politica. Muore nel 1375, dopo aver scritto molte opere e aver ricoperto numerosi e importanti incarichi pubblici. Dopo la peste del 1348, inizia il suo capolavoro, il Decameron, che concluderà nel 1351: l'opera, una raccolta di cento novelle raccontate da dieci giovani narratori in dieci giorni, non è solo il testo più celebre dello scrittore fiorentino, ma una vera e propria sintesi di tutto il mondo comunale e mercantile del tempo, e uno dei libri più importanti per l'intera narrativa occidentale. Dopo questa magistrale prova, Boccaccio modifica, almeno in parte, i propri interessi di scrittura: successivo al Decameron, oltre ad opere di carattere erudito, è infatti il Corbaccio (1354-1356), un’aspra invettiva contro il genere femminile, che muta profondamente l’atteggiamento dell'autore rispetto alla tematica amorosa. L'ultimo periodo di vita, caratterizzato anche da difficoltà economiche e personali, è insomma per Boccaccio quello della meditazione esistenziale ed intellettuale: alla riscoperta dei classici corrisponde il sempre vivo interesse per Dante, cui Boccaccio dedica un Trattatello in laude (1365, ma la prima redazione è precedente di qualche anno) e una serie di pubbliche letture della Commedia a Firenze. Lo scrittore, ormai anziano e malato, si spegne a Certaldo nel 1375. GEOFFREY CHAUCER Geoffrey Chaucer è stato uno scrittore, poeta, cantante, burocrate e diplomatico inglese, il quale viene spesso riconosciuto come il padre della letteratura inglese. Benché abbia scritto diverse opere importanti, viene di solito ricordato in particolare per il suo capolavoro, pervenutoci incompleto, de I racconti di Canterbury. Alcuni studiosi sostengono inoltre che Chaucer sia stato il primo autore ad aver dimostrato la legittimità letteraria in volgare della lingua inglese. In un'epoca nella quale in Inghilterra la poesia veniva scritta prevalentemente in latino, francese e anglo-normanno, Chaucer fece uso della lingua volgare elevando la lingua inglese del suo tempo a lingua letteraria. Egli nacque nel 1343 a Londra da un mercante di vini, e visse al servizio di tre re (Edoardo III, Riccardo II ed Enrico IV). È noto inoltre che tra il 1368 e il 1378 egli venne in Italia, dove conobbe i testi di Petrarca, Dante e Boccaccio; quest'ultimo, con il suo Decameron, avrebbe poi dato a Chaucer un'ispirazione fondamentale per la scrittura dei Racconti di Canterbury. I racconti di Canterbury sono una raccolta di novelle, scritte in gran parte dopo il 1388, durante la fase inglese della produzione chauceriana. Tuttavia il suo modello letterario è il Decamerone del 1353, dalla quale Chaucer adottò soprattutto il principio organizzativo della trama a cornici, mentre le singole vicende sono opera originale di Chaucer. COMPARAZIONE CHAUCER BOCCACCIO Le opere di Boccaccio e di Chaucer sono una vera e propria miniera, ricca di sorprese. Sia il Decameron che i Racconti di Canterbury sono il primo, riuscitissimo tentativo di utilizzare il volgare come lingua letteraria nei rispettivi Paesi. I loro lavori, inoltre, presentano delle similitudini dovute al fatto che Chaucer, che ha subito l’influenza di Boccaccio, lo traduce e ne inserisce alcuni brani nelle proprie opere. Entrambi, infine, sono lontani dal prototipo dell’intellettuale, figura affatto sconosciuta fino ai tempi recenti: sono uomini veri, interessati alla vivida concretezza del mondo reale, a quella Commedia, non più divina ma umana, che descriveranno nelle loro opere. Decameron È considerata, nel contesto del Trecento europeo, una delle opere più importanti della letteratura, fondatrice della letteratura in prosa in volgare italiano. Ebbe larghissima influenza non solo nella letteratura italiana ed europea (si pensi solo alle Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer), ma anche nelle lettere future, ispirando l’ideale di vita edonistica e dedicata al piacere ed al culto del viver sereno tipici della cultura umanista e rinascimentale. Nella tradizione italiana la prosa di Boccaccio assunse una funzione egemonica specialmente quando, nel Cinquecento, teorici e grammatici la indicarono come modello di riferimento. Canterbury Tales Scritto in versi e in Middle English, già simile all’inglese moderno, ma con commistioni inglese-francese.E’ stato paragonato al Decamerone di Boccaccio – che però è scritto in prosa – per realismo, tipo di comicità e anche tipo di struttura. Sia i Canterbury Tales sia il Decameron sono racconti con una cornice (frame). Un gruppo di persone si intrattengono raccontando storie: i rifugiati dalla peste nel caso del Decameron, il pellegrinaggio a Canterbury per Chaucer. San Valentino e l'Amore il Decameron è una raccolta di cento novelle precedute da un Proemio dove Boccaccio spiega il suo intento: fornire, sullo sfondo di una terribile epidemia, un intrattenimento piacevole per un pubblico composto soprattutto da donne, che, per quanto raffinate ed eleganti, non fanno parte del mondo dei letterati. Visto il genere di lettori, l'argomento principale non può che essere, ovviamente, l'Amore, declinato in tutte le sue forme, da quelle più spirituali alle più licenziose. E qui sta un altro collegamento con Chaucer, a cui, va ascritto il merito di aver consacrato San Valentino come santo patrono dell'Amore. Esistono infatti molti Santi di nome Valentino, e, a parte il fatto che tutti furono martiri, non si sa nulla di loro fino a quando proprio Chaucer compone, in onore delle nozze tra Riccardo II e Anna di Boemia, The Parliament of Fowls, (Il Parlamento degli Uccelli) un poema che associa Cupido a San Valentino, che così diventa il tramite ultraterreno della dimensione dell'Amore cortese. A Boccaccio, invece, risale l'aggettivo 'boccaccesco', che, a torto, è venuto a indicare un tipo di amore tutt'altro che platonico, descritto in alcune novelle del Decameron, a volte rielaborate o citate nei Racconti di Canterbury. Chaucer, che purtroppo non riuscirà a concludere il suo capolavoro, oltre ad alcune storie, riprende da Boccaccio anche lo schema narrativo e lo stile. Come è noto, Boccaccio sceglie dei giovani che si rinchiudono per sfuggire alla peste e Chaucer descrive dei pellegrini incamminati verso la Cattedrale di Canterbury; a tutti costoro viene chiesto a turno di narrare una storia per intrattenere gli altri. Se la cornice è simile, l'esito è diverso: i personaggi del Decameron sono del medesimo ceto e vengono descritti in modo più generico, mentre i pellegrini diretti a Canterbury sono individui veri, con realtà molto diverse tra loro e vengono descritti molto dettagliatamente dall'Autore che, e qui sta l'originalità, è un pellegrino anche lui. Frate Puccio: Il giovane Panfilo cominciò a narrare la sua novella, la quale trattava di un uomo dal nome Puccio di Rinieri, di sua moglie, Elisabetta, una giovane, tra i ventotto e i trenta anni, fresca, bella e rotondetta, la quale per la santità del marito era sempre a dieta, contro la sua volontà, e, quando voleva dormire col marito, lui le raccontava la vita di Cristo o il lamento della Maddalena. In quel periodo tornò da Parigi un monaco conventuale di San Pancrazio, chiamato don Felice, giovanissimo, bello, intelligente e colto. Divenuto amico di frate Puccio, spesso e volentieri , si recava a casa sua a pranzo e a cena ; la moglie del frate, per compiacere il marito, li accudiva volentieri. Il monaco, frequentando la casa, vedendo la donna così bella e rotondetta, ma sofferente, pensò di poter sostituire il marito e togliergli la fatica. Ben presto, astutamente, suscitò in Elisabetta i suoi stessi desideri ; ma era molto difficile incontrarsi perché fr à Puccio non usciva mai di casa. Pensando e ripensando, don Felice escogitò un piano, che gli permettesse di stare in casa con la donna senza sospetto, nonostante anche il frate fosse in casa. Un giorno, mentre era con il frate, gli disse che conosceva bene il suo desiderio di diventare santo e gli poteva insegnare una via per raggiungere la santità rapidamente. Ma il Papa e gli alti prelati, che la usavano, non volevano che si conoscesse perché avrebbero perduto le elemosine dei laici, cui tenevano tanto. Fra Puccio promise solennemente che non ne avrebbe parlato con nessuno. La penitenza consisteva, prima di tutto, nel confessarsi scrupolosamente, nel fare quaranta giorni di digiuno e nell’astinenza rigidissima dal toccare non solo le altre donne, ma anche la propria moglie. Inoltre era opportuno che avesse in casa un luogo da cui, di notte, si potesse vedere il cielo, dove doveva porre una tavola molto grande dove doveva appoggiare la schiena e stare in p iedi, con le braccia aperte, come un crocifisso, e così ! doveva stare fino al mattino. Doveva, nel frattempo, recitare trecento Paternostri e trecento Avemarie in onore della Trinità . Poi, guardando il cielo, doveva sempre ricordare che Dio era il creatore del cielo e della terra e che Cristo era stato sulla croce come lui. All’alba se ne poteva andare nel suo letto a dormire. Al mattino seguente doveva andare in chiesa per udire almeno tre messe e recitare cinquanta Paternostri ,con altrettante Avemarie. In seguito ,doveva pranzare e nel pomeriggio, verso le sei, andare nuovamente in chiesa per recitarvi certe orazioni, senza le quali la penitenza non si poteva fare. Se avesse seguito tutte le indicazioni, già prima di finire la penitenza, avrebbe sentito che cosa meravigliosa era la beatitudine eterna. Frate Puccio, ben determinato, decise che avrebbe cominciato a fare penitenza la domenica successiva e, ritornato a casa ,raccontò ogni cosa alla moglie. Ella, comprendendo il gioco del monaco, assecondò il m arito, promettendo che con lui avrebbe solo digiunato, ma non avrebbe fatto altro. Venuta la domenica, frate Puccio cominciò la penitenza. Il signor monaco, sicuro di non poter essere scoperto, per molte sere andava a cena dalla donna, portando ogni ben di Dio da mangiare e da bere. Poi giaceva con lei fino all’alba, infine, svegliatosi, se ne andava, e frate Puccio tornava nel suo letto. Il luogo scelto per la penitenza si trovava vicino alla camera della donna; durante la notte, i due amanti, nel fare l’amore con troppo ardore, provocavano dei forti rumori. Il frate, senza muoversi, chiamò la moglie e le chiese che cosa faceva. La donna, molto scherzosamente, rispose che era lei che si dimenava perché non poteva dormire per il digiuno. A questo punto Frate Puccio, inguenuamente, credette alle parole della moglie e quasi la rimproverò per la sua persistenza nel voler fare anche lei questo digiuno La donna gli rispose di non preoccuparsi e di continua re nella sua penitenza. E frate Puccio riprese i suoi Paternostri. L! a donna e il signor monaco da quella notte, fecero disporre in un’altra parte della casa un letto, dove stavano, in grande allegria, per tutto il tempo della penitenza di frate Puccio. Nello stesso momento il monaco se ne andava e la donna tornava nel suo letto, vicino al luogo della penitenza, dove rientrava il frate. Procedendo così le cose, la donna, scherzando col monaco, diceva che, grazie alla penitenza che faceva il marito, loro due avevano guadagnato il Paradiso. Quando la penitenza finì, Elisabetta, apprezzando molto i cibi che le aveva fatto assaggiare il monaco, mentre il marito l’aveva tenuta lungamente a dieta, trovò il modo di continuare a nutrirsi con lui. In conclusione, mentre frate Puccio, facendo penitenza, credette di mettersi in Paradiso, ci mise il monaco e la moglie, che con lui viveva nel bisogno di ciò che il monaco le donò abbondantemente. Il Mugnaio: All'idealizzata astrazione del racconto del Cavaliere si contrappone, con quello del Mugnaio ubriaco, un naturalismo d'eccezionale forza e vitalità. Si tratta d'un racconto del genere dei fabliaux, che narra ancora l'amore di due uomini (Nicola e Assalonne) per la stessa donna (Alison), ma alla rarefatta passione cortese si sostituisce una viva animalitá, accompagnata dal gusto della beffa contro il solito marito geloso. La scena si restringe, e dall'esotismo del mondo cavalleresco si passa all'ambiente domestico d'un borgo. Le immagini diventano solide e prosaiche, l'azione puramente fisica. Ambiente e personaggi, tempo e spazio, tutto è accuratamente precisato nei dettagli più impietosi, e ogni dettaglio concorre con perfetta funzionalitá all'effetto della beffa finale. Il falegname aveva da poco sposato una donna che amava più della propria vita e che aveva diciotto anni. Gelosissimo, la teneva chiusa stretta in gabbia, perché lei era una giovane scavezzacollo, mentre lui era vecchio e temeva di restar cornuto. Il giovane studente di canto Nicola ama alla follia Alison, la moglie del falegname Tuttavia pare che il loro amore stia per prendere una brutta piega, allora Nicola decide di ingannare il falegname quindi rimane nascosto nella soffitta per tre giorni. Una notte Martin e Assalonne(di cui il primo omosessuale) si recano di notte sotto la casa del legnaiolo a fare la corte ad Alison. Il giorno dopo il legnaiolo, svegliatosi presto, si reca su in camera di Nicola e lo trova assorto in una profonda meditazione. Egli cerca di capire cosa stia succedendo, Nicola allora si alza e comincia a gridare come un disperato che presto ci sarà un Diluvio Universale peggiore di quello che è capitato a Noè e che subito bisognava fabbricare tre grandi sacche di legno da poter contenere Alison, lui e Nicola stesso. L'uomo sciocco subito si mette a lavoro e poi, da copione, i tre si mettono dentro i pentoloni di legno, appesi ad una trave, ad aspettare il diluvio. Intanto in una chiesa vi è una grande festa alla quale stanno partecipando anche Assalonne e Martin. Quest'ultimo dice di non aver visto per tutto il giorno il legnaiolo e quindi incita l'amico a recarsi dalla sua Alison, che nel frattempo ha invitato nella sua stanza Nicola, dato che il legnaiolo è bello che addormentato. Mentre Alison e Nicola si stanno baciando, Assalonne bussa alla finestra, ma viene rifiutato più volte dalla ragazza. Allora il giovane le chiede un bacio solo e Alison ha la brillante idea di fargli un brutto tiro: dato che è buio, espone dalla finestra il suo sedere e appena le labbra di Assalonne si poggiano sulla pelle, parte un profondo peto. Assalonne fugge via indignato giurando vendetta e il giorno dopo rimedia un ferro ardente. Tornato sotto la stessa finestra chiede ad Alison di affacciarsi un attimo per riavere un altro bacio in cambio di un anello. Allora Nicola pensa di ripagarlo con la stessa moneta della sera precedente ed esibisce il sedere, venendo bruciato proprio nel cavo dell'ano. Urlando, Nicola fugge in bagno, mentre il legnaiolo al grido della parola "acqua", taglia a comando la fune, sfracellandosi al suolo. Le differenze principali tra la novella di Chaucer e quella di Boccaccio sono: -Il linguaggio utilizzato da Chaucer è a volte più triviale di quello di Boccaccio -Chaucer riprende i temi di cui tratta Boccaccio nel “Decameron” -Nel Decameron i 10 ragazzi che raccontano le storie sono aristocratici mentre nei Canterbury Tales ci sono 29 pellegrini di diversa estrazione sociale.