diritto europeo - Ordine Avvocati Milano
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DIRITTO EUROPEO LE PROCEDURE DI INSOLVENZA NELLA NUOVA DISCIPLINA COMUNITARIA (*) È ben noto quanto slancio abbia ripreso la Comunità Europea, divenuta Unione, a partire dal Trattato di Maastricht e quelli di Amsterdam e Nizza. Tra gli altri risultati conseguiti dall'Unione vi è stata l'emanazione di alcuni fondamentali Regolamenti e tra di essi, quelli che realizzano un vero e proprio diritto comune europeo nel vasto campo della giustizia civile. Ne ha tempestivamente segnalato la novità e le caratteristiche Fausto Pocar nella Rivista di Diritto Internazionale Privato e Processuale, anno 2000, pag. 873 e ss. Sono poi seguiti studi approfonditi, tra i quali si segnalano, nell'ordine cronologico, il saggio della Queirolo, Disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza, in Comunicazioni e Studi, vol. XXII, 2002, pp. 903/958, ed ancora il volume di Patrizia De Cesari, Diritto Internazionale Privato e Processuale Comunitario, edito da Giappichelli nel 2003, e quello di Sergio Carbone, Manlio Frigo e Luigi Fumagalli, Diritto Processuale Civile e Commerciale Comunitario, edito da Giuffrè nel 2004. Nella medesima collezione (Contratti e Commercio Internazionale) e nello stesso anno esce un altro volume della De Cesari e di Galeazzo Montella, intitolato « Le procedure di insolvenza nella nuova disciplina comunitaria ». La presente nota si riferisce a tale ultima pubblicazione, che fornisce il commento più esteso alla importante riscrittura del diritto fallimentare. * (*) Considerazioni dell'Avv. Prof. Piero Ziccardi, Emerito nell'Università di Milano, in nota al libro di Patrizia De Cesari e Galeazzo Montella su « Le procedure di insolvenza nella nuova disciplina comunitaria » Commentario articolo per articolo del regolamento CE n. 1346/2000 Giuffrè Ed. 2004. Il volume è suddiviso in tre parti, a loro volta suddivise in capitoli, salvo la prima « Le fonti in materia di insolvenza transfrontaliera » della De Cesari, che è di un solo capitolo. La parte seconda, che presenta il Regolamento in due Sezioni, ed anche il capitolo, relativo alle disposizioni preliminari, della parte Terza, dedicata al commento del Regolamento articolo per articolo, sono della De Cesari, mentre sono opera di Galeazzo Montella tutti i successivi capitoli della Parte Terza. L'opera di cui scriviamo mette in evidenza come, nello spazio giudiziario europeo, il Regolamento comunitario n. 1346/2000 rappresenti la prima disciplina organica della insolvenza detta transfrontaliera, intendendosi per tale quella che si estende, sia dalla parte del debitore, sia da quella dei creditori, al di là dei confini di un solo Stato. La disciplina che il Regolamento attua è basata sulla possibilità dell'apertura, accanto alla procedura principale, di una o più procedure secondarie in altri Stati membri sul patrimonio dello stesso debitore. Tali procedure sono però soggette ad un complesso sistema di subordinazione e coordinamento reciproci, che potrebbe forse rivelarsi alquanto complicato. L'opera procede al commento analitico di tutti i singoli articoli di cui si compone il Regolamento, con costante riferimento al suo impatto sulla normativa nazionale e sulla prassi dei nostri tribunali, consentendo di evidenziare le numerose norme che innovano direttamente nella disciplina concorsuale nazionale, assumendo, in molti punti, anche non marginali, la veste di diritto comune interno. Sta di fatto che, all'indomani stesso del perfezionamento della fonte comunitaria, si affrettavano ad emanare leggi interne sulla materia Stati membri dell'Unione, quali la Germania, l'Olanda e la Spagna (tutte pubblicate nel volume). Ed a noi sembra che l'Italia non dovrebbe tardare a seguire l'esempio anche per rimediare alle non poche lacune, incertezze e contraddizioni accumulatesi nella legislazione italiana. Ed anche al fine di prevenire (e dunque evitare) stravolgimenti delle regole nelle quali non di rado l'astuzia dei litiganti coinvolge in interpretazioni assai dubbie la giurisprudenza, come è accaduto per esempio con l'utilizzazione come criterio principale di giurisdizione del criterio suppletivo di competenza territoriale (utilizzabile se e quando sussiste la giurisdizione), quello della residenza della parte attrice, che potrebbe anche essere utilizzabile, ma soltanto se altrimenti mancasse qualsiasi altro foro competente. Un'altra questione di notevole rilievo, che potrebbe trovare risposta nel Regolamento, è quella dei termini di prescrizione delle azioni giudiziarie miranti al recupero alla massa dei pagamenti soggetti all'azione revocatoria. La questione è di grande rilievo se si considera quanto elevate siano le differenze tra le diverse legislazioni sul punto della prescrizione: si passa dai cinque anni (elevabili nelle procedure di amministrazione straordinaria) riconosciuti dagli interpreti della legge italiana (che manca di norme espresse) ai due anni (ma era un anno solo sino al 2000) della recente legge tedesca e ad altri termini, tutti assai meno ampi di quello della legge italiana. La risposta al quesito suddetto ed agli altri numerosi, individuati e considerati dagli autori del libro, la si trova nella fondamentale « norma di chiusura » dell'ultima parte dell'art. 13, che va tenuta ben presente. « Non si applica l'art. 4, paragrafo 2, lettera m) quando chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori prova che: — Tale atto è soggetto alla legge di uno Stato membro diverso dallo Stato di apertura. — Tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo ». Nell'ampio commento degli autori, a questa norma viene dato tutto il risalto che merita e non vi è nulla da aggiungere, salvo ricavarne proprio la risposta al quesito sopraccennato con riguardo alla prescrizione, ossia, per l'esattezza, con riguardo alla sorte dei pagamenti effettuati, per forniture da altre imprese, negli anni precedenti alla dichiarazione di insolvenza. Il pagamento è un atto dovuto dall'acquirente al fornitore e dunque da localizzare nel domicilio del venditore, quale creditore della somma dovuta. Ne consegue la rilevanza dei termini di prescrizione sanciti dalla legge corrispondente. Va detto peraltro che sul punto suaccennato non vi sono precedenti giurisprudenziali significativi, ed é probabile che tale assenza dipenda dalle conseguenze della ubicazione della somma corrisposta come prezzo delle forniture. Se infatti quel prezzo appare perseguibile nell'ambito territoriale della procedura fallimentare, sarebbe inimmaginabile escluderlo dalla revocatoria, e non risultano infatti precedenti. Se quel prezzo è stato invece corrisposto alla sede estera del fornitore, è presumibile che il curatore abbia trascurato od escluso la possibilità di pretenderlo. A conclusione di queste note conviene sottolineare quanto insistano gli autori sulla natura complessa del Regolamento che da una parte si caratterizza come disciplina comunitaria dei conflitti di legge e di giurisdizione, ma, dall'altra, si estende a fornire una normazione direttamente valevole nell'intera Unione Europea. Tale duplicità si risolve nella prevalenza della normazione comunitaria rispetto a quella dei singoli Stati membri della Unione, ossia nella sovrapposizione del Regolamento alle singole normative degli Stati membri. Ne consegue la coesistenza nelle singole nazioni di una disciplina concernente le procedure di insolvenza prive di elementi di estraneità, che rimane del tutto immutata; di una seconda valevole nell'ambito della Unione Europea, e di una terza che vale nei rapporti di ciascuno degli Stati dell'Unione con Stati terzi. Da tale complessità è scaturita la riscrittura della legge interna già effettuata, come ricordato in precedenza, da Germania, Olanda e Spagna. *** Il Regolamento sulle procedure di insolvenza è il punto di arrivo (sia pure limitatamente all'Unione Europea) dei tentativi risalenti a tempi ormai remoti di porre in essere una disciplina della materia a livello internazionale. È lecito esprimere la speranza che da codesta realizzazione possano muovere iniziative per estenderne i principi anche al di là dell'Unione Europea. PROBLEMI APPLICATIVI DEL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO NELL'ORDINAMENTO ITALIANO (*) 1. Mandato di arresto europeo e garanzie fondamentali dell'ordinamento italiano: aspetti problematici L'impellente necessità di dare attuazione interna alla decisionequadro sul mandato di arresto europeo (1) ha dato vita a contrasti non solo tra gli schieramenti politici, ma anche tra gli interpreti della legge relativamente ad alcuni aspetti innovativi, per le ripercussioni che questi potrebbero avere rispetto agli ordinamenti interni dei vari Paesi (2). È dunque opportuno verificare se lo strumento del mandato di arresto europeo risulti in grado di rispettare le garanzie fondamentali riconosciute dalla nostra Carta Costituzionale e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (3). Coloro che ritengono che l'attuazione della decisione-quadro si ponga in contrasto con la normativa nazionale (4) vedono nel * (*) Annalisa Negrelli, Specializzanda alla Scuola di Specializzazione per le professioni legali di Milano. 1 Decisione-quadro del Consiglio Europeo relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna del 13 giugno 2002, 2002/584 GAI, in G.U.C.E. 18 luglio 2002, L-190. 2 Tra coloro che sostengono che le differenze intercorrenti tra mandato di arresto europeo e estradizione comportino problemi di compatibilità costituzionale: PALUMBO, Intervento sul mandato di arresto europeo, Convegno di Sirmione, 2 ottobre 2003; VASSALLI, Habeas corpus e spazio comune di giustizia, il mandato di arresto europeo vìola il principio di eguaglianza, in Dir. & Giust., 20 luglio 2002, 28; BARLETTA, Il mandato di arresto europeo, in Atti del Convegno di Sirmione, cit. Contra: SELVAGGI, Il mandato di arresto europeo alla prova dei fatti, in Cass. pen., 2002; SIRACUSANO, Mandato di arresto europeo e durata ragionevole del processo, in Dir. it. pen. e proc., 2003; CHIAVARIO, Giustizia: il mandato di cattura europeo mette a nudo le contraddizioni italiane, in Guida al Dir., 2001, 49. 3 Si darebbe effetto e validità, sul territorio dello Stato richiesto, alla legge penale di un altro Stato, approvata da un Parlamento che funziona con un procedimento legislativo diverso, eletto da cittadini appartenenti ad uno Stato diverso da quello di esecuzione del mandato e tutto ciò nell'assenza di un quadro costituzionale comune che garantisca gli stessi standard di tutele e diritti, un corretto bilanciamento dei poteri ed un sistema di governo e contrappesi efficiente, adeguato e democratico. 4 RANDAZZO, Mandato di arresto europeo, sì all'attuazione, ma senza calpestare la nostra Costituzione, in Guida al dir., n. 45/2003, p. 12; CAIANIELLO-VASSALLI, Parere sul mandato di arresto europeo, in Cass. pen., 2002, p. 445 e ss.; VASSALLI, Ecco perché è incostituzionale il mandato di arresto europeo, in Dir. & Giust., 4 giugno 2002; BARLETTA, Relazione tenuta al Convegno di Sirmione, 2 ottobre 2003; FRIGO, DELLA VALLE, DOMINIONI, CONTE, Relazioni tenute al Convegno di Cernobbio del 18 maggio 2002; CELOTTO, I problemi del mandato di arresto europeo, 11 febbraio 2003; GALANTINI, Prime osservazioni sul mandato di arresto europeo, in Il foro mandato di arresto europeo un istituto inconciliabile con l'ordinamento interno. Difatti, l'attuazione di tale strumento, così come articolato nella decisione-quadro, comporta innanzitutto una deroga a princìpi quali la fondamentale tutela della libertà personale, come prevista dall'art. 13, in accordo con gli artt. 104 e 111 della Costituzione. In questa prospettiva il mandato viola, in primo luogo, la competenza spettante all'autorità giudiziaria ad emettere ordini di custodia, e, di conseguenza, la riserva di legge sulle forme e sui casi, l'obbligo di motivazione e di ricorribilità in cassazione per violazione di legge contro il provvedimento emesso dalla Corte d'appello. Il mandato comporterebbe, poi, la violazione di principi quali la tassatività delle norme penali, disattendendo la riserva di legge in tale materia, e quindi il principio di legalità e di necessaria determinatezza della fattispecie penale, come previsti dall'art. 13 c.p. e dall'art. 25 comma 2 Cost., in quanto l'istituto, eliminato il principio della doppia incriminazione, all'art. 2 introduce una lista di 32 reati che non rispecchia tali principi e costituisce semplicemente una sommaria e generica enunciazione di « oggetti rilevanti » per il diritto penale. In base a queste disposizioni pertanto si legittimerebbe l'emissione di un mandato con esclusivo riferimento alla legislazione dello Stato emittente e alle pene da questo stabilite, disponendo espressamente che lo Stato richiesto, « indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato », debba consegnare la persona qualora questa abbia commesso una delle 32 ipotesi di reato riportate, formulate con una tale vaghezza da potere includere un numero di figure criminose maggiore rispetto a quello previsto sulla carta (5). L'elenco contenuto nella decisione-quadro si limita ad indicare generici fatti o comportamenti che costituiscono un disvalore, secondo la comune opinione, ed è solo questo ambrosiano, 2002, 2, p. 268 e ss.; CAMALDO, Mandato di arresto europeo e principi fondamentali, in questa Rivista, 2003, n. 1, p. 65; SIRACUSANO, Mandato di arresto europeo e durata ragionevole del processo, in Dir. it. pen. e proc., 2003, p. 889 e ss.; GUALTIERI, Mandato di arresto europeo: davvero superato (e superabile) il principio di doppia incriminazione?, in Dir. pen. e proc., 2004, 1, p. 115; AGNOLI, Il mandato di arresto europeo contro la Costituzione italiana, in Identità europea, online, dicembre 2001. 5 Si pensi alle innumerevoli fattispecie concrete che possono essere ricomprese nelle categorie « racket e estorsioni », « riciclaggio di proventi di reato », « criminalità informatica », « criminalità ambientale » piuttosto che « terrorismo ». disvalore a corrispondere ad altrettante e concrete figure di reato negli ordinamenti degli Stati membri. Ognuna di queste fattispecie rappresenta un modello generale. A queste impostazioni si oppongono coloro i quali sostengono che, sebbene la lista dei reati prescinda dalla doppia incriminazione, non si possa parlare di una sua « abolizione » e quindi dell'insorgere dell'obbligo, per il Paese richiesto, di dare esecuzione ad un provvedimento anche per un fatto che non trovi riscontro, come reato, nel suo ordinamento. In verità, la lista è stata formata sulla presunzione che, per i 32 reati, la doppia incriminazione sussista, sia cioè presupposta. La decisione-quadro si limita infatti a stabilire la non necessarietà di un controllo da parte dello Stato richiesto, dal momento che è « già stata effettuata una valutazione tipica circa l'esistenza del requisito in questione », in merito a reati considerati comuni a tutte le legislazioni (6). Ciò significa che l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, ove si prescinda dalla doppia incriminazione del fatto, viene esentata dal compito di verificarne la sussistenza, poiché se ne presume la sussistenza (7). Lo stesso vaglio effettuato dallo Stato di esecuzione sulla sussistenza del requisito della doppia incriminazione pare oggi una delle maggiori ragioni di lentezza e inefficacia della procedura di estradizione. A tal fine si richiedono infatti operazioni quali la trasmissione ed il raffronto tra le normative dei due Stati, che si rivelano non sempre agevoli e rapide, date le diverse tecniche 6 Così SELVAGGI, Il mandato di arresto europeo alla prova dei fatti, in Cass. pen., 2002, p. 2978 e ss., per il quale « si elimina il presupposto della doppia incriminazione, con l'aggiunta di una consistente indeterminatezza delle fattispecie penali; non si può parlare di abolizione del requisito sic et simpliciter, con la conseguenza che viene imposta allo Stato di esecuzione la consegna anche per un fatto non preveduto come reato nel suo ordinamento. È vero che l'art. 2.2 prescinde dalla previsione bilaterale del fatto come reato nel suo ordinamento. In realtà la presuppone. L'esperienza giuridica degli Stati membri evidenzia che i reati elencati sono comuni, sì che la previsione normativa si limita a stabilire la non necessità della valutazione sulla doppia incriminazione, avendo già operato una sorta di valutazione tipica circa l'esistenza del requisito in questione ». 7 Ma secondo il parere di un'altra voce, questa « presunzione non può essere considerata assoluta », in quanto diversamente si incorrerebbe nella violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, stabiliti dall'art. 25 comma 2 della Costituzione. Cfr. GUALTIERI, Mandato di arresto europeo: davvero superato (e superabile) il principio di doppia incriminazione?, in Dir. pen. e proc., 2004, 1, p. 115 e ss.. normative ed interpretative e le stesse differenze lessicali esistenti tra i vari sistemi nazionali (8). Al contrario, la scelta del sistema della lista di reati costituisce una risposta efficiente, oltre che pratica, alle esigenze di semplificazione delle procedure dell'estradizione tradizionale poiché, « l'indicazione del solo nomen iuris di un reato dovrebbe consentire, da un lato, l'immediata individuazione da parte del componente dell'organismo comune del fatto offensivo, dall'altro, un adattamento alla flessibilità del reato durante la fase investigativa » (9). L'assenza di fattispecie perfettamente omologhe tra gli Stati membri impone ai giudici il dovere di verificare, comunque, se un dato comportamento abbia o no gli elementi fondamentali tipici di una delle tipologie criminose indicate. Di conseguenza, l'eventuale deficit di tassatività della norma penale, secondo l'orientamento più conservatore, pregiudica non solo il principio di obbligatorietà dell'azione penale, poiché viene vulnerata l'integrità del criterio di verifica dell'osservanza di tale obbligo, ma altresì il diritto di difesa previsto dall'art. 24 cost., poiché impedisce all'imputato di confrontarsi con una imputazione precisa e con un fatto non equivoco. Ancora, l'istituto deroga ai princìpi costituzionali in materia di estradizione, previsti dagli artt. 10 e 26 della Costituzione, in merito alla protezione e promozione dei diritti fondamentali la cui prevalenza deve essere garantita con riguardo a tutte le norme e leggi, anche internazionali, pattizie o consuetudinarie che siano. Eliminato il procedimento di estradizione e sgombrato il campo da ogni verifica preliminare, l'automatismo nell'esecuzione del mandato di arresto europeo avrebbe l'effetto di consentire la restrizione della libertà personale con un atto, non motivato, proveniente da un'autorità giudiziaria che non appartiene all'ordine autonomo e indipendente. Resta, poi, aperta la questione del divieto di estradizione per reati politici, tutelato nella Costituzione italiana sia per i cittadini, sia per gli stranieri. 8 BRUTI LIBERATI-PATRONE, Il mandato di arresto europeo, in Quest. Giust., 2002, 1, p. 75. ROSI, L'elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo: l'Unione europea lancia il cuore oltre l'ostacolo, in Dir. pen. e proc., 2004, 3, p. 377 e ss. 9 Infine, la decisione-quadro oltrepassa le limitazioni previste dagli articoli 31 e 34 del Trattato sull'Unione Europea: la lista dei crimini, infatti, eccede le indicazioni contenute nell'art. 31 lett. e) e non rispetta l'art. 34 comma 2, lett. d), violando le competenze delle autorità nazionali con riguardo alla scelta in merito alle forme e agli strumenti da adottare. Coloro che, invece, sono favorevoli ad una attuazione del mandato di arresto europeo, così come prospettato dalla decisionequadro (10), vedono in questo istituto la « naturale conseguenza » della creazione di uno spazio europeo, entro il quale si può circolare senza controlli alle frontiere (11). A tale spazio fisico corrisponde uno spazio giuridico, definito come un'area che accoglie gli stessi valori fondamentali di libertà e democrazia, oltre che le garanzie di rispetto di tali valori, sanciti nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, (Cedu), ratificata da tutti e 25 gli Stati che fanno parte dell'Unione europea, e garantiti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nonché, in larga misura, dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee. Le garanzie previste dalla decisione-quadro appaiono idonee a tutelare i diritti fondamentali della persona sottoposta a misura cautelare, essendo previsto un controllo da parte dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione in relazione ai presupposti necessari per l'applicazione del mandato di arresto europeo. Anzitutto, è assicurato il rispetto delle garanzie dell'imputato o condannato, secondo quanto disposto dalle regole del giusto processo contenute nella Cedu. Nel caso in cui, poi, sia disposta una pena detentiva, questa potrà essere scontata nello Stato in cui l'individuo abbia maggiori possibilità di reinserirsi; tra l'altro si prevede addirittura che il soggetto possa essere rimesso in libertà 10 CALVI, Relazione tenuta al Convegno di Cernobbio, 18 maggio 2002; SELVAGGI-VILLONI, Questioni reali e non sul mandato di arresto europeo, in Cass. pen. 2002, p. 445 e ss.; CASSESE, Il recepimento da parte italiana della decisione-quadro sul mandato di arresto europeo, in Dir. pen. e proc., 2003, 12, p. 1565 e ss.; ROSI, L'elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo: l'UE lancia il cuore oltre l'ostacolo, in Dir. pen e proc., 2004, 3, p. 377 e ss.; CHIAVARIO, Giustizia: il mandato di cattura europeo mette a nudo le contraddizioni italiane, in Guida al Dir., editoriale, 2001, 49, p. 11; CALVANESE-DE AMICIS, Via libera dell'assemblea di Strasburgo al mandato di cattura formato europa, in Guida al Dir., 2002, 6, p. 104 e ss.; BRUTI LIBERATI-PATRONE, Il mandato di arresto europeo, in Quest. Giust., 2002, 1, p. 71 e ss. 11 CASSESE, Mandato di arresto europeo e costituzione, in Il mulino online, quaderni costituzionali, 16 novembre 2003. qualora fornisca adeguate garanzie in ordine alla sua presenza al processo. 2. Lo stato dei lavori parlamentari per l'attuazione interna del mandato di arresto europeo. In base all'art. 34 della decisione-quadro, tutti i Paesi membri erano tenuti ad adeguare le rispettive normative nazionali alla decisione-quadro entro il 31 dicembre 2003. A partire dal 1 gennaio 2004 le regole contenute in questo atto hanno soppiantato le corrispondenti previsioni di una serie di convenzioni in materia di estradizione. Pertanto, tutte le richieste pervenute fino al 1 gennaio 2004 continuano ad essere trattate sulla scorta degli strumenti precedentemente esistenti, mentre quelle successive a tale data sono assoggettate alle norme interne di attuazione della decisione-quadro, a meno che non vi sia una esplicita riserva da parte dello Stato membro (12). Tuttavia, in base a quella che viene definita clause guillottine (13), anche in caso di mancato adeguamento interno alla nuova disciplina, il mandato di arresto europeo entra comunque in vigore in ciascuno Stato, senza possibilità di continuare a fare riferimento al meccanismo dell'estradizione. Nonostante la previsione dei suddetti termini, l'Italia non è stata affatto sollecita nel dare attuazione alla decisione quadro. 2.1. Il progetti di legge presentati da maggioranza e opposizione Nelle more di un'iniziativa parlamentare da parte della maggioranza, per poter far decollare il dibattito alla Camera, è stato necessario attendere una proposta di legge da parte dell'opposizione, il « Ddl Kessler », presentato il 30 luglio 2003 come Atto Camera 4246, contenente « norme di recepimento della decisione-quadro del 12 L'art. 26 comma 1 dispone infatti che al momento dell'adozione lo Stato può « fare una dichiarazione secondo cui, in qualità di Stato dell'esecuzione continuerà a trattare » secondo la tradizionale procedura di estradizione le richieste relative a reati commessi prima di una certa data precisata. Gli Stati che si sono avvalsi di tale clausola, ovvero Francia, Italia e Austria, rispettivamente Italia e Austria dichiarano che continueranno a trattare, conformemente alle norme vigenti in materia di estradizione, le richieste antecedenti al 7 agosto 2002, mentre la Francia quelle antecedenti al 1 novembre 1993. 13 Espressione usata da BARBE, Un triple Etape pour le troisième pilier de l'Union Européenne: mandat d'arrêt européen, terrorism et Eurojust, in Revue du Marché comm. et de l'Union Eur., gennaio 2002, 454, p. 7. 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna ». Il 24 settembre 2003, è stata nominata una Commissione Giustizia della Camera (relatori Gaetano Pecorella e Giovanni Kessler), con il compito di elaborare un testo da sottoporre al giudizio e al voto dell'Assemblea. Tale testo si discosta di gran lunga da quello predisposto dall'opposizione, dal momento che il « Ddl Kessler » non è in grado di ovviare ai contrasti con l'ordinamento italiano che, secondo il parere della maggioranza e della dottrina più conservatrice, la decisione-quadro comporta. È, difatti, irrinunciabile che la consegna, a fronte di un mandato di arresto europeo, non possa essere ammessa per reati politici, come stabilito dagli artt. 10 e 26 Cost. Al pari, non può essere ammessa la violazione del principio di legalità, che si verifica, invece, nei casi in cui non è prevista la doppia incriminazione, ovvero la violazione dei principi di tassatività e di necessaria determinatezza della fattispecie penale, che caratterizza, al contrario, le generiche tipologie di reati elencati all'art. 2 comma 2 della decisione-quadro. Inconcepibile appare anche la possibilità, prevista dall'art. 2 comma 3, di ampliare i 32 reati, in quanto, altrimenti, si rischia di estendere la già grave violazione della doppia incriminazione. Un ulteriore contrasto concerne la possibilità di consegna indiscriminata del minore, senza alcuna valutazione sulla sua reale capacità di intendere e di volere, in quanto comporta una violazione dell'art. 27, dal momento che non è possibile estendere la responsabilità penale all'incapace. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di motivazione della misura cautelare, art. 7, unitamente al fatto che possa essere disposta senza rispettare i limiti di pena di cui all'art. 280 c.p.p., anche in assenza dei requisiti previsti dall'art. 273 c.p.p., e per fatti non costituenti reato per il nostro ordinamento, realizza un insanabile contrasto con gli artt. 3, 13 e 111 Cost. Occorre, invece garantire questi aspetti in modo tale da riproporre, innanzitutto, le tutele previste dal procedimento de libertate vigente nel nostro sistema. Le misure cautelari, impugnabili, non possono consentire una privazione della libertà illimitata, in quanto devono essere previsti termini massimi. Per quanto riguarda la pena da eseguire, questa deve avere funzione rieducativa, e, se breve, deve essere sostituibile con una pena pecuniaria. Infine devono essere richiamati i principi contenuti nella Cedu, relativi al giusto processo e quelli previsti dalla Costituzione italiana. 2.2. Il testo proposto dalle Camere penali presentato come nuovo progetto di legge Le Camere Penali, non condividendo la proposta dell'opposizione, a loro volta, hanno presentato ai capigruppo della maggioranza un testo, predisposto come « schema di legge delega per l'attuazione della decisione-quadro n. 584 GAI/2002 » redatto da Giuseppe Frigo, e per la parte attinente al diritto europeo da Massimo Panebianco, nell'ambito dei lavori del Comitato istituito presso il dipartimento delle Politiche comunitarie. Esso contiene criteri relativi a mandati di arresto provenienti da un altro Stato membro per il procedimento e per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, artt. 4 e 5, e relativi a mandati di arresto diretti ad altro Stato membro, art. 7. A differenza del « Ddl Kessler », il testo elaborato si è adeguato ai punti sopra enunciati mostrando una perfetta aderenza al quadro costituzionale e legislativo italiano. Difatti, è stato formulato in modo tale da impedire l'introduzione di alternativi sistemi de libertate, contrastanti con i principi interni e da garantire il vaglio degli elementi indiziari e delle esigenze cautelari che il codice di procedura penale italiano prevede come presupposti essenziali per la privazione della libertà personale. Nel pieno rispetto delle garanzie procedurali e costituzionali a tutela della libertà del cittadino, esso dispone che la misura applicata possa essere impugnata; prevede inoltre limiti temporali massimi per la restituzione della libertà e garantisce che la pena sia comminata secondo un'effettiva funzione rieducativa. Peraltro è il primo testo a predisporre un diverso trattamento in favore dell'imputato minorenne. Tale proposta, accolta dagli esponenti di quattro partiti, è stata presentata in Parlamento come Atto Camera 4431 (firmatario Buemi) e Atto Camera 4436 (firmatari Mascia e Pisapia), unitamente al disegno di legge licenziato dalla Commissione. Il testo presentato è ripartito in 3 Titoli, il primo relativo alle disposizioni di principio, il secondo al recepimento interno del mandato di arresto europeo, e in particolare alla procedura attiva e passiva di consegna, infine, il terzo, alle disposizioni transitorie e finali. Per quanto riguarda le modifiche apportate in tali sedute, è stato accolto l'emendamento all'art. 2, vincolando così l'esecuzione del mandato di arresto europeo al rispetto dei principi della Costituzione italiana, e infatti « l'Italia darà esecuzione al mandato solo nei confronti degli stati che rispettano i principi e le regole contenuti nella Costituzione della Repubblica attinenti al giusto processo, compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni penali ». In base al nuovo testo, in materia di procedura passiva di consegna, si prevede che, perché l'Italia possa eseguire un mandato di arresto europeo proveniente da un altro Stato membro, il giudice interno debba verificare che il provvedimento rispetti i principi fondamentali nazionali, evitando che vengano violati diritti e garanzie irrinunciabili (art. 2 comma 3). Stabilisce, inoltre, che possa essere disposto un provvedimento restrittivo della libertà personale solo se l'ordinanza che lo prevede sia stata emessa da un giudice, sulla base di un fondato motivo (art. 1 comma 3 e art. 9), garantendo così un giusto processo e la presunzione di innocenza. La persona giudicata deve avere diritto al doppio grado di giurisdizione. Per questo motivo, spetta alla Corte d'appello verificare l'esistenza dei presupposti per la consegna e il provvedimento può comunque essere impugnato in cassazione anche nel merito (artt. 5 e 22). Nel testo sono state inserite alcune doverose garanzie rispetto al principio di legalità, alla tassatività della norma penale, al requisito della c.d. doppia punibilità (artt. 7 e 8), sono state definite le singole fattispecie criminose, onde evitare interpretazioni e applicazioni estensive estremamente pericolose (art. 8). È stato previsto un limite di durata della detenzione, eventualmente disposta in attesa della decisione di consegna del destinatario del mandato (artt. 13, 14, 17 e 21). È stato salvaguardato il principio della funzione anche rieducativa della pena (art. 19) e, nel contempo, sono stati osservati i precetti previsti dagli artt. 10, 13, 26 e 27 della Costituzione, eliminando l'obbligo di trasferire in un altro Paese, e senza il doveroso controllo giurisdizionale, persone accusate di reati politici. Si è garantito così un effettivo, e non solo formale, diritto alla libertà, alla sicurezza, al diritto di difesa e ad un equo processo. Per quanto riguarda i restanti articoli del disegno di legge, questi si occupano di disciplinare dettagliatamente il procedimento per l'esecuzione del mandato di arresto europeo, ovvero le ipotesi in cui la Corte d'appello ha l'obbligo di rifiutare la consegna (artt. 18 e 25), i casi di concorso di richieste di consegna (art. 20), di sospensione o rinvio della consegna (art. 23), di consegna temporanea (art. 24), e richiamano infine l'applicazione del principio di specialità (art. 26). Disciplina poi la procedura attiva di consegna, la materia delle misure reali, nonché le disposizioni finali e transitorie e il relativo regime di applicazione. Alla luce degli emendamenti presentati dalla Commissione e approvati in sede parlamentare, il disegno dell'opposizione è stato sostituito con un nuovo testo, che ha assorbito peraltro i disegni di legge 4331 e 4336, ed è stato varato dalla Camera in data 12 maggio 2004, come « disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione-quadro ». Trasmesso al Senato il 13 maggio 2004 e nominata una commissione Giustizia del Senato (relatore Luigi Bobbio), l'Atto Senato 2958, discusso nella seduta del 14 settembre 2004, è stato oggetto di esame in Commissione il 16 settembre e di conseguenti modifiche. Relativamente all'art. 1 comma 1 si è ritenuto più corretto correlare alle disposizioni interne, piuttosto che alle disposizioni della decisione-quadro, il limite della necessaria compatibilità delle medesime con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali. Peraltro, è stato rimeditato il riferimento esclusivo ai « principi supremi » dell'ordinamento costituzionale, dovendosi sottolineare invece la necessità che siano pienamente rispettati tutti i precetti costituzionali. Per quanto riguarda le disposizioni dell'ultimo comma dell'art. 2, che legittimano lo Stato italiano al rifiuto della consegna soltanto in caso di « grave e persistente violazione » da parte dello Stato richiedente dei principi e delle garanzie costituzionali, sono sorte perplessità. In base a queste previsioni, si rischiava di lasciare privi di tutela casi che, pur sostanziandosi in una « grave violazione » di principi fondamentali, non soddisfacevano il requisito della « persistenza della violazione ». Per quanto riguarda la riserva parlamentare in materia di modifica dell'art. 2 comma 2 della decisione-quadro, il testo è stato ritenuto sostanzialmente condivisibile. In riferimento all'ultimo comma dell'art.4, si è ammesso, in condizioni di reciprocità, la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie, prescrivendo in tal caso all'autorità giudiziaria italiana l'obbligo di informare immediatamente il Ministro della giustizia. Su questo punto è apparso opportuno un rafforzamento della disposizione al fine di evitare che tale obbligo rimanesse inevaso, in assenza di sanzioni. Quanto invece all'art. 6, in materia di contenuto del mandato di arresto europeo nella procedura passiva di consegna, in primo luogo è stata ritenuta insufficiente la previsione del comma 3 dell'art. 5 nella parte in cui fa riferimento all'obbligo di allegazione di una copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta di mandato di arresto europeo. Risulta invece necessario fornire, se non la copia originale, una copia autentica o conforme al provvedimento. In secondo luogo, si è reso necessario rafforzare le disposizioni relative all'obbligo di indicazione del tipo e della durata della pena. In merito all'art. 8, si è ritenuto che provvedesse adeguatamente a tipizzare le ipotesi in presenza delle quali si ammette la consegna indipendentemente dalla verifica del requisito della doppia incriminazione. In relazione al comma 5 dell'art. 9, ai sensi del quale, in materia di misure cautelari preventive, « si osservano in quanto applicabili le disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito in materia di misure cautelari personali fatta eccezione per gli artt. 273, commi 1 e 1-bis, 274 comma 1 lettere a) e c), e 280 », è parso contraddittorio il mancato richiamo del comma 1 dell'art. 273. Il testo, emendato dalla Commissione e licenziato dal Senato è stato poi trasmesso alla Camera che ne ha approvato il contenuto in data 23 febbraio 2005. La Camera ha trasmesso al Senato il testo con ulteriori emendamenti che riguardano in primo luogo la bocciatura dell'art. 4 in merito al ruolo di filtro politico attribuito al Ministro della giustizia. In secondo luogo, sono state rimesse in discussione le condizioni approvate precedentemente che regolavano il meccanismo di consegna dei ricercati agli altri Paesi europei. In base al testo precedente, il mandato di arresto europeo scattava in presenza di « indizi sufficienti », secondo il nuovo testo è necessaria la presenza di « gravi indizi », e di conseguenza sono stati reintrodotti criteri di maggiore rigidità. Un aspetto peculiare che si ripropone riguarda poi, il diverso regime di disciplina delle sentenze pronunciate in absentia del condannato, tra Italia e Europa (14). A tal riguardo, la decisione-quadro all'art. 5.1 dispone che « se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata in absentia, e se l'interessato non è stato citato personalmente, né altrimenti informato della data e del luogo dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna può essere subordinata alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto di un mandato di arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere prese a giudizio ». Il fatto che una sentenza di condanna sia stata resa in absentia non rappresenta un ostacolo all'esecuzione del mandato di arresto europeo emesso in conseguenza. Occorre, però, che l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione comunichi a quella dello Stato emittente l'opposizione dell'imputato contumace. Ciò è possibile solo se l'assenza della 14 È opportuno ricordare che questa diversità di disciplina ha comportato condanne contro il nostro paese da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. La Corte si è posta il problema di verificare se la struttura del giudizio contumaciale del sistema italiano fosse compatibile con le indicazioni delle garanzie minime richieste dalla Risoluzione n. 11 del 1975. In particolare, nelle pronunce « Colozza », in Cass. pen., 1985, p. 1284, e « Rubinat », in Cass. pen., 1985, p. 1251 e ss., la Corte ha la prova dell'assoluta inadeguatezza della disciplina vigente. Nel primo caso, infatti, l'autorità giudiziaria italiana aveva dichiarato l'irriperibilità e poi la latitanza dell'imputato presumendo la volontà del soggetto a sottrarsi al giudizio. La Corte, in merito, esplicitò il principio secondo cui « la rinuncia all'esercizio di un diritto garantito dalla Convenzione deve risultare provata in maniera non equivoca ». Del tutto analogo il secondo caso, con l'unica differenza che aveva ad oggetto un procedimento di estradizione attiva in Francia. persona sia dovuta alla mancata conoscenza dell'udienza, e non invece ad una sua scelta. Allo stato dei fatti la normativa nazionale, qualora l'Italia rivestisse il ruolo di Stato emittente, non potrebbe garantire la rinnovazione automatica del giudizio, così come disposta dall'art. 5. Ne consegue perciò che la legge di attuazione interna della decisione-quadro dovrebbe risolvere tale questione, in modo da offrire alla persona da consegnare, la possibilità di richiedere un nuovo processo nel nostro Stato, qualora il precedente si sia svolto in sua assenza. Il 17 marzo 2005, il Senato ha approvato in sede deliberante il disegno di legge, ripristinando l'art. 4 riguardante l'autorità centrale individuata nel Ministro della giustizia, e ha rimandato il testo alla Camera che a questo punto dovrà esaminare nuovamente il progetto e sigillare la legge. N.d.r. In data 12 aprile 2005, la Camera ha approvato la legge. MANDATO DI ARRESTO EUROPEO L'attuazione della decisione quadro nei ventiquattro Paesi dell'Unione (*) 1. « Dum Roma deliberat, Saguntum [vivet] ». Mentre il nostro Paese discute se e come dare attuazione alla decisione quadro in tema di mandato europeo, il 23.2.2005 la Commissione ha reso noto il Rapporto sull'attuazione della Decisione (2002/584/GAI) in tutti gli altri 24 Paesi dell'Unione, ove da tempo il provvedimento comunitario ha avuto esecuzione. Il documento, disponibile solo in inglese (Commission Staff working document, Annex to the Report from the Commission base on Article 34 of the Council Framework Decision of 13 June 2002 on the European arrest warrent and the surrender procedures between Member States, SEC(2005)267- COM(2005) 63 final (15)), non contiene dati sull'applicazione del nuovo istituto ma, conformemente a quanto previsto dall'art. 34 della Decisione quadro, delinea, in modo particolarmente esauriente, le misure adottate dai singoli ordinamenti dei Paesi membri per conformarsi a quanto previsto nella Decisione (16). Anche una sommaria lettura del documento consente di riconoscere lo spazio attribuito a ciascun ordinamento nell'attuazione del provvedimento e conferma come, in attesa di una futura armonizzazione del diritto penale europeo, al momento lo strumento della cooperazione intergovernativa sia comunque idoneo ad assicurare il rispetto delle pur differenti tradizioni giuridiche nazionali, in uno scenario comune, sotto il controllo della Commissione. 2. Tra le innumerevoli riflessioni oggetto del Rapporto, possono essere ricordate anzitutto quelle relative all'art. 2 della Decisione, dedicato al « campo d'applicazione del mandato d'arresto europeo », con riferimento ai reati che consentono la consegna * (*) Francesca Ruggieri, straordinario di diritto processuale penale alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università dell'Insubria, sede di Como. 15 Il documento è reperibile, unitamente al rapporto all'indirizzo http://europa.eu.int/ comm/justicehome/doc-centre/criminal/printer/doc-criminal-intro-en.htm 16 I relativi provvedimenti possono essere letti in http://ue.eu.int/cms3Applications/applications/PolJu/details.asp?lang=IT&cmsid=720&id=71; di tutti è disponibile, oltre ovviamente al testo in lingua originale, la traduzione in inglese. indipendentemente dalla doppia incriminazione. In conformità a quanto previsto, 17 Stati hanno recepito la lista integralmente, 4 hanno omesso alcuni reati, gli altri hanno accorpato alcune figure criminose in uniche fattispecie. La Commissione rimarca in particolare la scelta belga che, avendo precisato che l'aborto e l'eutanasia non rientrano nella categoria dell'« omicidio volontario, lesioni personali gravi », non ha rispettato la Decisione che attribuisce il potere di specificare i reati allo Stato emittente e non a quello di esecuzione. A questo proposito la Commissione ricorda altresì che, ai sensi dell'art. 2 comma 3 della Decisione Quadro, alcuni Stati membri hanno sollevato l'opportunità di rivedere la lista dei reati in discorso, proprio in relazione all'aborto, all'eutanasia e al possesso di droga. Sempre con riguardo all'elenco dei reati che non richiedono la doppia incriminabilità per la consegna in base al mandato d'arresto europeo, scelte diverse sono state effettuate dai Paesi membri anche in relazione alla riconducibilità o meno alle singole ipotesi criminose contenute nella lista delle figure del tentativo e del concorso di persone (« attempt and complicity »). Mentre il problema non si è posto per il sistema polacco, il cui codice penale tratta entrambe le suddette manifestazioni di reato alla stessa stregua del reato consumato, 15 Stati membri hanno ritenuto di dover precisare che ritengono abolito il principio di doppia incriminabilità anche per queste due forme di espressione di illecito; l'Estonia e l'Irlanda hanno invece esplicitamente dichiarato che in questo casi richiederanno il requisito della doppia incriminabilità. 3. Si consideri quindi la normativa introdotta dai sistemi nazionali ai sensi degli artt 3 e 4 della Decisione quadro (rispettivamente in tema di « motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo » e di « motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo ») ovvero quella che ha dato attuazione alla « determinazione delle autorità giudiziari competenti » (art. 6). Nessun problema si è posto nella ricezione dell'art. 3: in particolare né del comma 1 di questo articolo, relativo all'amnistia (peraltro non considerato né dall'Olanda né dal Regno Unito, dove l'istituto non esiste, e « tradotto » in Danimarca con il più restrittivo istituto della grazia, « pardon ») né del comma 3 della medesima disposizione, dettata a proposito dei minori. In alcune materie vi è un assoluta coincidenza tra le pur diverse tradizioni dei sistemi giuridici dei Paesi membri. Dove tale comunanza manca, vi è spazio per le differenze. Nel commentare l'art. 3, la Commissione sottolinea anche come alcuni Stati abbiano previsto motivi di non esecuzione non indicati nella Decisione Quadro: è il caso, ad esempio, della Olanda, che non applicherà la Decisione per la consegna di personale militare straniero, assoggettata, invece, ai relativi accordi con i Paesi alleati ovvero del Regno Unito, che ha previsto una specifica clausola in tema di « ostaggi », alla luce della relativa Convenzione internazionale del 1987. L'art. 4, a sua volta, ha dato luogo ad interpretazioni differenziate perché diversa è stata la natura, vincolante o meno, attribuita dagli Stati ai singoli motivi di non esecuzione. Il comma 1 in relazione alle ipotesi della non integrazione di un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, ad esempio, è stato recepito da 15 Stati membri come motivo vincolante, da 7 come motivo opzionale, mentre l'Estonia non l'ha nemmeno preso in considerazione. Il comma 6, che prevede la non esecuzione del mandato allorché lo Stato di esecuzione, ove la persona ricercata dimora o risieda o ne sia cittadino, si impegni ad eseguire la pena per cui il mandato è stato emesso, è stato recepito come motivo vincolante da 7 Stati, facoltativo in altri 11. 4. Il ruolo della Commissione è volto ad assicurare il rispetto della Decisione Quadro, soprattutto con riguardo alle finalità perseguite dal provvedimento, esplicitamente diretto a snellire le procedure di estradizione nel rispetto del principio del mutuo riconoscimento reciproco. A questo proposito è significativo quanto rilevato nel Rapporto con riguardo all'autorità giudiziaria di cui all'art. 6 della Decisione Quadro. Dopo aver notato che la norma è stata recepita senza particolare difficoltà da tutti i ventiquattro Stati membri, la Commissione, invero, censura le scelte di alcuni Stati (in particolare Lituania ed Estonia) perché si riferiscono ancora al Ministro della Giustizia, in luogo di una « autorità giudiziaria », senza staccarsi quindi dal tradizionale sistema di cooperazione giudiziaria che l'istituto del mandato di arresto mira proprio a sostituire. 5. Anche se fugace, lo sguardo sulle disposizioni che, nei 24 Stati membri dell'Unione, hanno recepito la Decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, si immalinconisce allorché ci si soffermi sui ritardi del nostro Paese. Ad oltre un anno (17) dalla data entro cui l'Italia avrebbe dovuto dare attuazione al provvedimento dell'Unione (come è noto gli Stati avrebbero dovuto dotarsi delle misure all'uopo necessarie entro il 31.12.2003) è impensabile ridiscutere un percorso che, oramai dai tempi di Tampere (1999), mira all'avvicinamento tra gli ordinamenti nazionali nell'ambito dello spazio di sicurezza, libertà e giustizia. Si tratta, piuttosto, di considerare, all'interno di quegli accordi, un percorso che ci ha sempre visto protagonisti e che, per preconcetti non sempre del tutto giustificati, rischia ora di isolarci sul piano internazionale proprio in uno dei settori più delicati e sensibili, la cooperazione giudiziaria. 17 La presente nota è stata licenziata per la stampa il 31.3.2005.