diritto europeo - Ordine Avvocati Milano

Transcript

diritto europeo - Ordine Avvocati Milano
DIRITTO EUROPEO
LE PROCEDURE DI INSOLVENZA NELLA NUOVA
DISCIPLINA COMUNITARIA (*)
È ben noto quanto slancio abbia ripreso la Comunità Europea,
divenuta Unione, a partire dal Trattato di Maastricht e quelli di
Amsterdam e Nizza. Tra gli altri risultati conseguiti dall'Unione vi è
stata l'emanazione di alcuni fondamentali Regolamenti e tra di essi,
quelli che realizzano un vero e proprio diritto comune europeo nel
vasto campo della giustizia civile. Ne ha tempestivamente segnalato
la novità e le caratteristiche Fausto Pocar nella Rivista di Diritto
Internazionale Privato e Processuale, anno 2000, pag. 873 e ss.
Sono poi seguiti studi approfonditi, tra i quali si segnalano,
nell'ordine cronologico, il saggio della Queirolo, Disciplina
comunitaria delle procedure di insolvenza, in Comunicazioni e
Studi, vol. XXII, 2002, pp. 903/958, ed ancora il volume di Patrizia
De Cesari, Diritto Internazionale Privato e Processuale
Comunitario, edito da Giappichelli nel 2003, e quello di Sergio
Carbone, Manlio Frigo e Luigi Fumagalli, Diritto Processuale Civile
e Commerciale Comunitario, edito da Giuffrè nel 2004.
Nella medesima collezione (Contratti e Commercio
Internazionale) e nello stesso anno esce un altro volume della De
Cesari e di Galeazzo Montella, intitolato « Le procedure di
insolvenza nella nuova disciplina comunitaria ».
La presente nota si riferisce a tale ultima pubblicazione, che
fornisce il commento più esteso alla importante riscrittura del diritto
fallimentare.
*
(*) Considerazioni dell'Avv. Prof. Piero Ziccardi, Emerito nell'Università di Milano, in
nota al libro di Patrizia De Cesari e Galeazzo Montella su « Le procedure di insolvenza nella nuova
disciplina comunitaria » Commentario articolo per articolo del regolamento CE n. 1346/2000 Giuffrè Ed. 2004.
Il volume è suddiviso in tre parti, a loro volta suddivise in
capitoli, salvo la prima « Le fonti in materia di insolvenza
transfrontaliera » della De Cesari, che è di un solo capitolo.
La parte seconda, che presenta il Regolamento in due Sezioni,
ed anche il capitolo, relativo alle disposizioni preliminari, della parte
Terza, dedicata al commento del Regolamento articolo per articolo,
sono della De Cesari, mentre sono opera di Galeazzo Montella tutti i
successivi capitoli della Parte Terza.
L'opera di cui scriviamo mette in evidenza come, nello spazio
giudiziario europeo, il Regolamento comunitario n. 1346/2000
rappresenti la prima disciplina organica della insolvenza detta
transfrontaliera, intendendosi per tale quella che si estende, sia dalla
parte del debitore, sia da quella dei creditori, al di là dei confini di un
solo Stato.
La disciplina che il Regolamento attua è basata sulla possibilità
dell'apertura, accanto alla procedura principale, di una o più
procedure secondarie in altri Stati membri sul patrimonio dello
stesso debitore. Tali procedure sono però soggette ad un complesso
sistema di subordinazione e coordinamento reciproci, che potrebbe
forse rivelarsi alquanto complicato.
L'opera procede al commento analitico di tutti i singoli articoli
di cui si compone il Regolamento, con costante riferimento al suo
impatto sulla normativa nazionale e sulla prassi dei nostri tribunali,
consentendo di evidenziare le numerose norme che innovano
direttamente nella disciplina concorsuale nazionale, assumendo, in
molti punti, anche non marginali, la veste di diritto comune interno.
Sta di fatto che, all'indomani stesso del perfezionamento della
fonte comunitaria, si affrettavano ad emanare leggi interne sulla
materia Stati membri dell'Unione, quali la Germania, l'Olanda e la
Spagna (tutte pubblicate nel volume). Ed a noi sembra che l'Italia
non dovrebbe tardare a seguire l'esempio anche per rimediare alle
non poche lacune, incertezze e contraddizioni accumulatesi nella
legislazione italiana. Ed anche al fine di prevenire (e dunque evitare)
stravolgimenti delle regole nelle quali non di rado l'astuzia dei
litiganti coinvolge in interpretazioni assai dubbie la giurisprudenza,
come è accaduto per esempio con l'utilizzazione come criterio
principale di giurisdizione del criterio suppletivo di competenza
territoriale (utilizzabile se e quando sussiste la giurisdizione), quello
della residenza della parte attrice, che potrebbe anche essere
utilizzabile, ma soltanto se altrimenti mancasse qualsiasi altro foro
competente.
Un'altra questione di notevole rilievo, che potrebbe trovare
risposta nel Regolamento, è quella dei termini di prescrizione delle
azioni giudiziarie miranti al recupero alla massa dei pagamenti
soggetti all'azione revocatoria. La questione è di grande rilievo se si
considera quanto elevate siano le differenze tra le diverse
legislazioni sul punto della prescrizione: si passa dai cinque anni
(elevabili nelle procedure di amministrazione straordinaria)
riconosciuti dagli interpreti della legge italiana (che manca di norme
espresse) ai due anni (ma era un anno solo sino al 2000) della
recente legge tedesca e ad altri termini, tutti assai meno ampi di
quello della legge italiana.
La risposta al quesito suddetto ed agli altri numerosi,
individuati e considerati dagli autori del libro, la si trova nella
fondamentale « norma di chiusura » dell'ultima parte dell'art. 13, che
va tenuta ben presente.
« Non si applica l'art. 4, paragrafo 2, lettera m) quando chi ha
beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori
prova che:
— Tale atto è soggetto alla legge di uno Stato membro diverso
dallo Stato di apertura.
— Tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale
atto con alcun mezzo ».
Nell'ampio commento degli autori, a questa norma viene dato
tutto il risalto che merita e non vi è nulla da aggiungere, salvo
ricavarne proprio la risposta al quesito sopraccennato con riguardo
alla prescrizione, ossia, per l'esattezza, con riguardo alla sorte dei
pagamenti effettuati, per forniture da altre imprese, negli anni
precedenti alla dichiarazione di insolvenza.
Il pagamento è un atto dovuto dall'acquirente al fornitore e
dunque da localizzare nel domicilio del venditore, quale creditore
della somma dovuta. Ne consegue la rilevanza dei termini di
prescrizione sanciti dalla legge corrispondente.
Va detto peraltro che sul punto suaccennato non vi sono
precedenti giurisprudenziali significativi, ed é probabile che tale
assenza dipenda dalle conseguenze della ubicazione della somma
corrisposta come prezzo delle forniture.
Se infatti quel prezzo appare perseguibile nell'ambito
territoriale della procedura fallimentare, sarebbe inimmaginabile
escluderlo dalla revocatoria, e non risultano infatti precedenti. Se
quel prezzo è stato invece corrisposto alla sede estera del fornitore, è
presumibile che il curatore abbia trascurato od escluso la possibilità
di pretenderlo.
A conclusione di queste note conviene sottolineare quanto
insistano gli autori sulla natura complessa del Regolamento che da
una parte si caratterizza come disciplina comunitaria dei conflitti di
legge e di giurisdizione, ma, dall'altra, si estende a fornire una
normazione direttamente valevole nell'intera Unione Europea.
Tale duplicità si risolve nella prevalenza della normazione
comunitaria rispetto a quella dei singoli Stati membri della Unione,
ossia nella sovrapposizione del Regolamento alle singole normative
degli Stati membri. Ne consegue la coesistenza nelle singole nazioni
di una disciplina concernente le procedure di insolvenza prive di
elementi di estraneità, che rimane del tutto immutata; di una seconda
valevole nell'ambito della Unione Europea, e di una terza che vale
nei rapporti di ciascuno degli Stati dell'Unione con Stati terzi.
Da tale complessità è scaturita la riscrittura della legge interna
già effettuata, come ricordato in precedenza, da Germania, Olanda e
Spagna.
***
Il Regolamento sulle procedure di insolvenza è il punto di
arrivo (sia pure limitatamente all'Unione Europea) dei tentativi
risalenti a tempi ormai remoti di porre in essere una disciplina della
materia a livello internazionale. È lecito esprimere la speranza che
da codesta realizzazione possano muovere iniziative per estenderne i
principi anche al di là dell'Unione Europea.
PROBLEMI APPLICATIVI DEL MANDATO
DI ARRESTO EUROPEO
NELL'ORDINAMENTO ITALIANO (*)
1. Mandato di arresto europeo e garanzie fondamentali
dell'ordinamento italiano: aspetti problematici
L'impellente necessità di dare attuazione interna alla decisionequadro sul mandato di arresto europeo (1) ha dato vita a contrasti non
solo tra gli schieramenti politici, ma anche tra gli interpreti della
legge relativamente ad alcuni aspetti innovativi, per le ripercussioni
che questi potrebbero avere rispetto agli ordinamenti interni dei vari
Paesi (2).
È dunque opportuno verificare se lo strumento del mandato di
arresto europeo risulti in grado di rispettare le garanzie fondamentali
riconosciute dalla nostra Carta Costituzionale e dalla Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo (3).
Coloro che ritengono che l'attuazione della decisione-quadro si
ponga in contrasto con la normativa nazionale (4) vedono nel
*
(*) Annalisa Negrelli, Specializzanda alla Scuola di Specializzazione per le professioni
legali di Milano.
1
Decisione-quadro del Consiglio Europeo relativa al mandato di arresto europeo e alle
procedure di consegna del 13 giugno 2002, 2002/584 GAI, in G.U.C.E. 18 luglio 2002, L-190.
2
Tra coloro che sostengono che le differenze intercorrenti tra mandato di arresto europeo e
estradizione comportino problemi di compatibilità costituzionale: PALUMBO, Intervento sul mandato
di arresto europeo, Convegno di Sirmione, 2 ottobre 2003; VASSALLI, Habeas corpus e spazio
comune di giustizia, il mandato di arresto europeo vìola il principio di eguaglianza, in Dir. &
Giust., 20 luglio 2002, 28; BARLETTA, Il mandato di arresto europeo, in Atti del Convegno di
Sirmione, cit. Contra: SELVAGGI, Il mandato di arresto europeo alla prova dei fatti, in Cass. pen.,
2002; SIRACUSANO, Mandato di arresto europeo e durata ragionevole del processo, in Dir. it. pen. e
proc., 2003; CHIAVARIO, Giustizia: il mandato di cattura europeo mette a nudo le contraddizioni
italiane, in Guida al Dir., 2001, 49.
3
Si darebbe effetto e validità, sul territorio dello Stato richiesto, alla legge penale di un altro
Stato, approvata da un Parlamento che funziona con un procedimento legislativo diverso, eletto da
cittadini appartenenti ad uno Stato diverso da quello di esecuzione del mandato e tutto ciò
nell'assenza di un quadro costituzionale comune che garantisca gli stessi standard di tutele e diritti,
un corretto bilanciamento dei poteri ed un sistema di governo e contrappesi efficiente, adeguato e
democratico.
4
RANDAZZO, Mandato di arresto europeo, sì all'attuazione, ma senza calpestare la nostra
Costituzione, in Guida al dir., n. 45/2003, p. 12; CAIANIELLO-VASSALLI, Parere sul mandato di
arresto europeo, in Cass. pen., 2002, p. 445 e ss.; VASSALLI, Ecco perché è incostituzionale il
mandato di arresto europeo, in Dir. & Giust., 4 giugno 2002; BARLETTA, Relazione tenuta al
Convegno di Sirmione, 2 ottobre 2003; FRIGO, DELLA VALLE, DOMINIONI, CONTE, Relazioni tenute al
Convegno di Cernobbio del 18 maggio 2002; CELOTTO, I problemi del mandato di arresto europeo,
11 febbraio 2003; GALANTINI, Prime osservazioni sul mandato di arresto europeo, in Il foro
mandato di arresto europeo un istituto inconciliabile con
l'ordinamento interno. Difatti, l'attuazione di tale strumento, così
come articolato nella decisione-quadro, comporta innanzitutto una
deroga a princìpi quali la fondamentale tutela della libertà personale,
come prevista dall'art. 13, in accordo con gli artt. 104 e 111 della
Costituzione. In questa prospettiva il mandato viola, in primo luogo,
la competenza spettante all'autorità giudiziaria ad emettere ordini di
custodia, e, di conseguenza, la riserva di legge sulle forme e sui casi,
l'obbligo di motivazione e di ricorribilità in cassazione per
violazione di legge contro il provvedimento emesso dalla Corte
d'appello.
Il mandato comporterebbe, poi, la violazione di principi quali la
tassatività delle norme penali, disattendendo la riserva di legge in
tale materia, e quindi il principio di legalità e di necessaria
determinatezza della fattispecie penale, come previsti dall'art. 13 c.p.
e dall'art. 25 comma 2 Cost., in quanto l'istituto, eliminato il
principio della doppia incriminazione, all'art. 2 introduce una lista di
32 reati che non rispecchia tali principi e costituisce semplicemente
una sommaria e generica enunciazione di « oggetti rilevanti » per il
diritto penale. In base a queste disposizioni pertanto si
legittimerebbe l'emissione di un mandato con esclusivo riferimento
alla legislazione dello Stato emittente e alle pene da questo stabilite,
disponendo espressamente che lo Stato richiesto, «
indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato », debba
consegnare la persona qualora questa abbia commesso una delle 32
ipotesi di reato riportate, formulate con una tale vaghezza da potere
includere un numero di figure criminose maggiore rispetto a quello
previsto sulla carta (5). L'elenco contenuto nella decisione-quadro si
limita ad indicare generici fatti o comportamenti che costituiscono
un disvalore, secondo la comune opinione, ed è solo questo
ambrosiano, 2002, 2, p. 268 e ss.; CAMALDO, Mandato di arresto europeo e principi fondamentali,
in questa Rivista, 2003, n. 1, p. 65; SIRACUSANO, Mandato di arresto europeo e durata ragionevole
del processo, in Dir. it. pen. e proc., 2003, p. 889 e ss.; GUALTIERI, Mandato di arresto europeo:
davvero superato (e superabile) il principio di doppia incriminazione?, in Dir. pen. e proc., 2004,
1, p. 115; AGNOLI, Il mandato di arresto europeo contro la Costituzione italiana, in Identità
europea, online, dicembre 2001.
5
Si pensi alle innumerevoli fattispecie concrete che possono essere ricomprese nelle
categorie « racket e estorsioni », « riciclaggio di proventi di reato », « criminalità informatica », «
criminalità ambientale » piuttosto che « terrorismo ».
disvalore a corrispondere ad altrettante e concrete figure di reato
negli ordinamenti degli Stati membri. Ognuna di queste fattispecie
rappresenta un modello generale.
A queste impostazioni si oppongono coloro i quali sostengono
che, sebbene la lista dei reati prescinda dalla doppia incriminazione,
non si possa parlare di una sua « abolizione » e quindi dell'insorgere
dell'obbligo, per il Paese richiesto, di dare esecuzione ad un
provvedimento anche per un fatto che non trovi riscontro, come
reato, nel suo ordinamento. In verità, la lista è stata formata sulla
presunzione che, per i 32 reati, la doppia incriminazione sussista, sia
cioè presupposta. La decisione-quadro si limita infatti a stabilire la
non necessarietà di un controllo da parte dello Stato richiesto, dal
momento che è « già stata effettuata una valutazione tipica circa
l'esistenza del requisito in questione », in merito a reati considerati
comuni a tutte le legislazioni (6). Ciò significa che l'autorità
giudiziaria dello Stato di esecuzione, ove si prescinda dalla doppia
incriminazione del fatto, viene esentata dal compito di verificarne la
sussistenza, poiché se ne presume la sussistenza (7).
Lo stesso vaglio effettuato dallo Stato di esecuzione sulla
sussistenza del requisito della doppia incriminazione pare oggi una
delle maggiori ragioni di lentezza e inefficacia della procedura di
estradizione. A tal fine si richiedono infatti operazioni quali la
trasmissione ed il raffronto tra le normative dei due Stati, che si
rivelano non sempre agevoli e rapide, date le diverse tecniche
6
Così SELVAGGI, Il mandato di arresto europeo alla prova dei fatti, in Cass. pen., 2002, p.
2978 e ss., per il quale « si elimina il presupposto della doppia incriminazione, con l'aggiunta di
una consistente indeterminatezza delle fattispecie penali; non si può parlare di abolizione del
requisito sic et simpliciter, con la conseguenza che viene imposta allo Stato di esecuzione la
consegna anche per un fatto non preveduto come reato nel suo ordinamento. È vero che l'art. 2.2
prescinde dalla previsione bilaterale del fatto come reato nel suo ordinamento. In realtà la
presuppone. L'esperienza giuridica degli Stati membri evidenzia che i reati elencati sono comuni,
sì che la previsione normativa si limita a stabilire la non necessità della valutazione sulla doppia
incriminazione, avendo già operato una sorta di valutazione tipica circa l'esistenza del requisito in
questione ».
7
Ma secondo il parere di un'altra voce, questa « presunzione non può essere considerata
assoluta », in quanto diversamente si incorrerebbe nella violazione dei principi di tassatività e di
riserva di legge, stabiliti dall'art. 25 comma 2 della Costituzione. Cfr. GUALTIERI, Mandato di
arresto europeo: davvero superato (e superabile) il principio di doppia incriminazione?, in Dir.
pen. e proc., 2004, 1, p. 115 e ss..
normative ed interpretative e le stesse differenze lessicali esistenti
tra i vari sistemi nazionali (8).
Al contrario, la scelta del sistema della lista di reati costituisce
una risposta efficiente, oltre che pratica, alle esigenze di
semplificazione delle procedure dell'estradizione tradizionale
poiché, « l'indicazione del solo nomen iuris di un reato dovrebbe
consentire, da un lato, l'immediata individuazione da parte del
componente dell'organismo comune del fatto offensivo, dall'altro, un
adattamento alla flessibilità del reato durante la fase investigativa »
(9). L'assenza di fattispecie perfettamente omologhe tra gli Stati
membri impone ai giudici il dovere di verificare, comunque, se un
dato comportamento abbia o no gli elementi fondamentali tipici di
una delle tipologie criminose indicate.
Di conseguenza, l'eventuale deficit di tassatività della norma
penale, secondo l'orientamento più conservatore, pregiudica non solo
il principio di obbligatorietà dell'azione penale, poiché viene
vulnerata l'integrità del criterio di verifica dell'osservanza di tale
obbligo, ma altresì il diritto di difesa previsto dall'art. 24 cost.,
poiché impedisce all'imputato di confrontarsi con una imputazione
precisa e con un fatto non equivoco.
Ancora, l'istituto deroga ai princìpi costituzionali in materia di
estradizione, previsti dagli artt. 10 e 26 della Costituzione, in merito
alla protezione e promozione dei diritti fondamentali la cui
prevalenza deve essere garantita con riguardo a tutte le norme e
leggi, anche internazionali, pattizie o consuetudinarie che siano.
Eliminato il procedimento di estradizione e sgombrato il campo da
ogni verifica preliminare, l'automatismo nell'esecuzione del mandato
di arresto europeo avrebbe l'effetto di consentire la restrizione della
libertà personale con un atto, non motivato, proveniente da
un'autorità giudiziaria che non appartiene all'ordine autonomo e
indipendente. Resta, poi, aperta la questione del divieto di
estradizione per reati politici, tutelato nella Costituzione italiana sia
per i cittadini, sia per gli stranieri.
8
BRUTI LIBERATI-PATRONE, Il mandato di arresto europeo, in Quest. Giust., 2002, 1, p. 75.
ROSI, L'elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo: l'Unione europea
lancia il cuore oltre l'ostacolo, in Dir. pen. e proc., 2004, 3, p. 377 e ss.
9
Infine, la decisione-quadro oltrepassa le limitazioni previste
dagli articoli 31 e 34 del Trattato sull'Unione Europea: la lista dei
crimini, infatti, eccede le indicazioni contenute nell'art. 31 lett. e) e
non rispetta l'art. 34 comma 2, lett. d), violando le competenze delle
autorità nazionali con riguardo alla scelta in merito alle forme e agli
strumenti da adottare.
Coloro che, invece, sono favorevoli ad una attuazione del
mandato di arresto europeo, così come prospettato dalla decisionequadro (10), vedono in questo istituto la « naturale conseguenza »
della creazione di uno spazio europeo, entro il quale si può circolare
senza controlli alle frontiere (11). A tale spazio fisico corrisponde
uno spazio giuridico, definito come un'area che accoglie gli stessi
valori fondamentali di libertà e democrazia, oltre che le garanzie di
rispetto di tali valori, sanciti nella Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo, (Cedu), ratificata da tutti e 25 gli Stati che fanno parte
dell'Unione europea, e garantiti dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo nonché, in larga misura, dalla Corte di Giustizia delle
Comunità europee.
Le garanzie previste dalla decisione-quadro appaiono idonee a
tutelare i diritti fondamentali della persona sottoposta a misura
cautelare, essendo previsto un controllo da parte dell'autorità
giudiziaria dell'esecuzione in relazione ai presupposti necessari per
l'applicazione del mandato di arresto europeo.
Anzitutto, è assicurato il rispetto delle garanzie dell'imputato o
condannato, secondo quanto disposto dalle regole del giusto
processo contenute nella Cedu. Nel caso in cui, poi, sia disposta una
pena detentiva, questa potrà essere scontata nello Stato in cui
l'individuo abbia maggiori possibilità di reinserirsi; tra l'altro si
prevede addirittura che il soggetto possa essere rimesso in libertà
10
CALVI, Relazione tenuta al Convegno di Cernobbio, 18 maggio 2002; SELVAGGI-VILLONI,
Questioni reali e non sul mandato di arresto europeo, in Cass. pen. 2002, p. 445 e ss.; CASSESE, Il
recepimento da parte italiana della decisione-quadro sul mandato di arresto europeo, in Dir. pen.
e proc., 2003, 12, p. 1565 e ss.; ROSI, L'elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto
europeo: l'UE lancia il cuore oltre l'ostacolo, in Dir. pen e proc., 2004, 3, p. 377 e ss.; CHIAVARIO,
Giustizia: il mandato di cattura europeo mette a nudo le contraddizioni italiane, in Guida al Dir.,
editoriale, 2001, 49, p. 11; CALVANESE-DE AMICIS, Via libera dell'assemblea di Strasburgo al
mandato di cattura formato europa, in Guida al Dir., 2002, 6, p. 104 e ss.; BRUTI LIBERATI-PATRONE,
Il mandato di arresto europeo, in Quest. Giust., 2002, 1, p. 71 e ss.
11
CASSESE, Mandato di arresto europeo e costituzione, in Il mulino online, quaderni
costituzionali, 16 novembre 2003.
qualora fornisca adeguate garanzie in ordine alla sua presenza al
processo.
2. Lo stato dei lavori parlamentari per l'attuazione interna del
mandato di arresto europeo.
In base all'art. 34 della decisione-quadro, tutti i Paesi membri
erano tenuti ad adeguare le rispettive normative nazionali alla
decisione-quadro entro il 31 dicembre 2003. A partire dal 1 gennaio
2004 le regole contenute in questo atto hanno soppiantato le
corrispondenti previsioni di una serie di convenzioni in materia di
estradizione. Pertanto, tutte le richieste pervenute fino al 1 gennaio
2004 continuano ad essere trattate sulla scorta degli strumenti
precedentemente esistenti, mentre quelle successive a tale data sono
assoggettate alle norme interne di attuazione della decisione-quadro,
a meno che non vi sia una esplicita riserva da parte dello Stato
membro (12). Tuttavia, in base a quella che viene definita clause
guillottine (13), anche in caso di mancato adeguamento interno alla
nuova disciplina, il mandato di arresto europeo entra comunque in
vigore in ciascuno Stato, senza possibilità di continuare a fare
riferimento al meccanismo dell'estradizione. Nonostante la
previsione dei suddetti termini, l'Italia non è stata affatto sollecita nel
dare attuazione alla decisione quadro.
2.1. Il progetti di legge presentati da maggioranza e opposizione
Nelle more di un'iniziativa parlamentare da parte della
maggioranza, per poter far decollare il dibattito alla Camera, è stato
necessario attendere una proposta di legge da parte dell'opposizione,
il « Ddl Kessler », presentato il 30 luglio 2003 come Atto Camera
4246, contenente « norme di recepimento della decisione-quadro del
12
L'art. 26 comma 1 dispone infatti che al momento dell'adozione lo Stato può « fare una
dichiarazione secondo cui, in qualità di Stato dell'esecuzione continuerà a trattare » secondo la
tradizionale procedura di estradizione le richieste relative a reati commessi prima di una certa data
precisata. Gli Stati che si sono avvalsi di tale clausola, ovvero Francia, Italia e Austria,
rispettivamente Italia e Austria dichiarano che continueranno a trattare, conformemente alle norme
vigenti in materia di estradizione, le richieste antecedenti al 7 agosto 2002, mentre la Francia quelle
antecedenti al 1 novembre 1993.
13
Espressione usata da BARBE, Un triple Etape pour le troisième pilier de l'Union
Européenne: mandat d'arrêt européen, terrorism et Eurojust, in Revue du Marché comm. et de
l'Union Eur., gennaio 2002, 454, p. 7.
13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle
procedure di consegna ».
Il 24 settembre 2003, è stata nominata una Commissione
Giustizia della Camera (relatori Gaetano Pecorella e Giovanni
Kessler), con il compito di elaborare un testo da sottoporre al
giudizio e al voto dell'Assemblea. Tale testo si discosta di gran lunga
da quello predisposto dall'opposizione, dal momento che il « Ddl
Kessler » non è in grado di ovviare ai contrasti con l'ordinamento
italiano che, secondo il parere della maggioranza e della dottrina più
conservatrice, la decisione-quadro comporta.
È, difatti, irrinunciabile che la consegna, a fronte di un mandato
di arresto europeo, non possa essere ammessa per reati politici, come
stabilito dagli artt. 10 e 26 Cost. Al pari, non può essere ammessa la
violazione del principio di legalità, che si verifica, invece, nei casi in
cui non è prevista la doppia incriminazione, ovvero la violazione dei
principi di tassatività e di necessaria determinatezza della fattispecie
penale, che caratterizza, al contrario, le generiche tipologie di reati
elencati all'art. 2 comma 2 della decisione-quadro. Inconcepibile
appare anche la possibilità, prevista dall'art. 2 comma 3, di ampliare
i 32 reati, in quanto, altrimenti, si rischia di estendere la già grave
violazione della doppia incriminazione. Un ulteriore contrasto
concerne la possibilità di consegna indiscriminata del minore, senza
alcuna valutazione sulla sua reale capacità di intendere e di volere, in
quanto comporta una violazione dell'art. 27, dal momento che non è
possibile estendere la responsabilità penale all'incapace. Inoltre, la
mancata previsione di un obbligo di motivazione della misura
cautelare, art. 7, unitamente al fatto che possa essere disposta senza
rispettare i limiti di pena di cui all'art. 280 c.p.p., anche in assenza
dei requisiti previsti dall'art. 273 c.p.p., e per fatti non costituenti
reato per il nostro ordinamento, realizza un insanabile contrasto con
gli artt. 3, 13 e 111 Cost.
Occorre, invece garantire questi aspetti in modo tale da
riproporre, innanzitutto, le tutele previste dal procedimento de
libertate vigente nel nostro sistema. Le misure cautelari,
impugnabili, non possono consentire una privazione della libertà
illimitata, in quanto devono essere previsti termini massimi. Per
quanto riguarda la pena da eseguire, questa deve avere funzione
rieducativa, e, se breve, deve essere sostituibile con una pena
pecuniaria. Infine devono essere richiamati i principi contenuti nella
Cedu, relativi al giusto processo e quelli previsti dalla Costituzione
italiana.
2.2. Il testo proposto dalle Camere penali presentato come nuovo
progetto di legge
Le Camere Penali, non condividendo la proposta
dell'opposizione, a loro volta, hanno presentato ai capigruppo della
maggioranza un testo, predisposto come « schema di legge delega
per l'attuazione della decisione-quadro n. 584 GAI/2002 » redatto da
Giuseppe Frigo, e per la parte attinente al diritto europeo da
Massimo Panebianco, nell'ambito dei lavori del Comitato istituito
presso il dipartimento delle Politiche comunitarie. Esso contiene
criteri relativi a mandati di arresto provenienti da un altro Stato
membro per il procedimento e per l'esecuzione di una pena o di una
misura di sicurezza, artt. 4 e 5, e relativi a mandati di arresto diretti
ad altro Stato membro, art. 7.
A differenza del « Ddl Kessler », il testo elaborato si è adeguato
ai punti sopra enunciati mostrando una perfetta aderenza al quadro
costituzionale e legislativo italiano. Difatti, è stato formulato in
modo tale da impedire l'introduzione di alternativi sistemi de
libertate, contrastanti con i principi interni e da garantire il vaglio
degli elementi indiziari e delle esigenze cautelari che il codice di
procedura penale italiano prevede come presupposti essenziali per la
privazione della libertà personale. Nel pieno rispetto delle garanzie
procedurali e costituzionali a tutela della libertà del cittadino, esso
dispone che la misura applicata possa essere impugnata; prevede
inoltre limiti temporali massimi per la restituzione della libertà e
garantisce che la pena sia comminata secondo un'effettiva funzione
rieducativa. Peraltro è il primo testo a predisporre un diverso
trattamento in favore dell'imputato minorenne.
Tale proposta, accolta dagli esponenti di quattro partiti, è stata
presentata in Parlamento come Atto Camera 4431 (firmatario
Buemi) e Atto Camera 4436 (firmatari Mascia e Pisapia),
unitamente al disegno di legge licenziato dalla Commissione.
Il testo presentato è ripartito in 3 Titoli, il primo relativo alle
disposizioni di principio, il secondo al recepimento interno del
mandato di arresto europeo, e in particolare alla procedura attiva e
passiva di consegna, infine, il terzo, alle disposizioni transitorie e
finali.
Per quanto riguarda le modifiche apportate in tali sedute, è stato
accolto l'emendamento all'art. 2, vincolando così l'esecuzione del
mandato di arresto europeo al rispetto dei principi della Costituzione
italiana, e infatti « l'Italia darà esecuzione al mandato solo nei
confronti degli stati che rispettano i principi e le regole contenuti
nella Costituzione della Repubblica attinenti al giusto processo,
compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in
relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché
quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni
penali ». In base al nuovo testo, in materia di procedura passiva di
consegna, si prevede che, perché l'Italia possa eseguire un mandato
di arresto europeo proveniente da un altro Stato membro, il giudice
interno debba verificare che il provvedimento rispetti i principi
fondamentali nazionali, evitando che vengano violati diritti e
garanzie irrinunciabili (art. 2 comma 3). Stabilisce, inoltre, che possa
essere disposto un provvedimento restrittivo della libertà personale
solo se l'ordinanza che lo prevede sia stata emessa da un giudice,
sulla base di un fondato motivo (art. 1 comma 3 e art. 9), garantendo
così un giusto processo e la presunzione di innocenza.
La persona giudicata deve avere diritto al doppio grado di
giurisdizione. Per questo motivo, spetta alla Corte d'appello
verificare l'esistenza dei presupposti per la consegna e il
provvedimento può comunque essere impugnato in cassazione anche
nel merito (artt. 5 e 22).
Nel testo sono state inserite alcune doverose garanzie rispetto al
principio di legalità, alla tassatività della norma penale, al requisito
della c.d. doppia punibilità (artt. 7 e 8), sono state definite le singole
fattispecie criminose, onde evitare interpretazioni e applicazioni
estensive estremamente pericolose (art. 8). È stato previsto un limite
di durata della detenzione, eventualmente disposta in attesa della
decisione di consegna del destinatario del mandato (artt. 13, 14, 17 e
21). È stato salvaguardato il principio della funzione anche
rieducativa della pena (art. 19) e, nel contempo, sono stati osservati i
precetti previsti dagli artt. 10, 13, 26 e 27 della Costituzione,
eliminando l'obbligo di trasferire in un altro Paese, e senza il
doveroso controllo giurisdizionale, persone accusate di reati politici.
Si è garantito così un effettivo, e non solo formale, diritto alla
libertà, alla sicurezza, al diritto di difesa e ad un equo processo.
Per quanto riguarda i restanti articoli del disegno di legge,
questi si occupano di disciplinare dettagliatamente il procedimento
per l'esecuzione del mandato di arresto europeo, ovvero le ipotesi in
cui la Corte d'appello ha l'obbligo di rifiutare la consegna (artt. 18 e
25), i casi di concorso di richieste di consegna (art. 20), di
sospensione o rinvio della consegna (art. 23), di consegna
temporanea (art. 24), e richiamano infine l'applicazione del principio
di specialità (art. 26). Disciplina poi la procedura attiva di consegna,
la materia delle misure reali, nonché le disposizioni finali e
transitorie e il relativo regime di applicazione.
Alla luce degli emendamenti presentati dalla Commissione e
approvati in sede parlamentare, il disegno dell'opposizione è stato
sostituito con un nuovo testo, che ha assorbito peraltro i disegni di
legge 4331 e 4336, ed è stato varato dalla Camera in data 12 maggio
2004, come « disposizioni per conformare il diritto interno alla
decisione-quadro ».
Trasmesso al Senato il 13 maggio 2004 e nominata una
commissione Giustizia del Senato (relatore Luigi Bobbio), l'Atto
Senato 2958, discusso nella seduta del 14 settembre 2004, è stato
oggetto di esame in Commissione il 16 settembre e di conseguenti
modifiche.
Relativamente all'art. 1 comma 1 si è ritenuto più corretto
correlare alle disposizioni interne, piuttosto che alle disposizioni
della decisione-quadro, il limite della necessaria compatibilità delle
medesime con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di
diritti fondamentali. Peraltro, è stato rimeditato il riferimento
esclusivo ai « principi supremi » dell'ordinamento costituzionale,
dovendosi sottolineare invece la necessità che siano pienamente
rispettati tutti i precetti costituzionali.
Per quanto riguarda le disposizioni dell'ultimo comma dell'art.
2, che legittimano lo Stato italiano al rifiuto della consegna soltanto
in caso di « grave e persistente violazione » da parte dello Stato
richiedente dei principi e delle garanzie costituzionali, sono sorte
perplessità. In base a queste previsioni, si rischiava di lasciare privi
di tutela casi che, pur sostanziandosi in una « grave violazione » di
principi fondamentali, non soddisfacevano il requisito della «
persistenza della violazione ».
Per quanto riguarda la riserva parlamentare in materia di
modifica dell'art. 2 comma 2 della decisione-quadro, il testo è stato
ritenuto sostanzialmente condivisibile.
In riferimento all'ultimo comma dell'art.4, si è ammesso, in
condizioni di reciprocità, la corrispondenza diretta tra autorità
giudiziarie, prescrivendo in tal caso all'autorità giudiziaria italiana
l'obbligo di informare immediatamente il Ministro della giustizia. Su
questo punto è apparso opportuno un rafforzamento della
disposizione al fine di evitare che tale obbligo rimanesse inevaso, in
assenza di sanzioni.
Quanto invece all'art. 6, in materia di contenuto del mandato di
arresto europeo nella procedura passiva di consegna, in primo luogo
è stata ritenuta insufficiente la previsione del comma 3 dell'art. 5
nella parte in cui fa riferimento all'obbligo di allegazione di una
copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della
sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla
richiesta di mandato di arresto europeo. Risulta invece necessario
fornire, se non la copia originale, una copia autentica o conforme al
provvedimento. In secondo luogo, si è reso necessario rafforzare le
disposizioni relative all'obbligo di indicazione del tipo e della durata
della pena.
In merito all'art. 8, si è ritenuto che provvedesse adeguatamente
a tipizzare le ipotesi in presenza delle quali si ammette la consegna
indipendentemente dalla verifica del requisito della doppia
incriminazione.
In relazione al comma 5 dell'art. 9, ai sensi del quale, in materia
di misure cautelari preventive, « si osservano in quanto applicabili le
disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito in materia di
misure cautelari personali fatta eccezione per gli artt. 273, commi 1
e 1-bis, 274 comma 1 lettere a) e c), e 280 », è parso contraddittorio
il mancato richiamo del comma 1 dell'art. 273.
Il testo, emendato dalla Commissione e licenziato dal Senato è
stato poi trasmesso alla Camera che ne ha approvato il contenuto in
data 23 febbraio 2005.
La Camera ha trasmesso al Senato il testo con ulteriori
emendamenti che riguardano in primo luogo la bocciatura dell'art. 4
in merito al ruolo di filtro politico attribuito al Ministro della
giustizia.
In secondo luogo, sono state rimesse in discussione le
condizioni approvate precedentemente che regolavano il
meccanismo di consegna dei ricercati agli altri Paesi europei. In base
al testo precedente, il mandato di arresto europeo scattava in
presenza di « indizi sufficienti », secondo il nuovo testo è necessaria
la presenza di « gravi indizi », e di conseguenza sono stati
reintrodotti criteri di maggiore rigidità.
Un aspetto peculiare che si ripropone riguarda poi, il diverso
regime di disciplina delle sentenze pronunciate in absentia del
condannato, tra Italia e Europa (14).
A tal riguardo, la decisione-quadro all'art. 5.1 dispone che « se
il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione
di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante
decisione pronunciata in absentia, e se l'interessato non è stato
citato personalmente, né altrimenti informato della data e del luogo
dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia,
la consegna può essere subordinata alla condizione che l'autorità
giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a
garantire alle persone oggetto di un mandato di arresto europeo la
possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro
emittente e di essere prese a giudizio ». Il fatto che una sentenza di
condanna sia stata resa in absentia non rappresenta un ostacolo
all'esecuzione del mandato di arresto europeo emesso in
conseguenza. Occorre, però, che l'autorità giudiziaria dello Stato di
esecuzione comunichi a quella dello Stato emittente l'opposizione
dell'imputato contumace. Ciò è possibile solo se l'assenza della
14
È opportuno ricordare che questa diversità di disciplina ha comportato condanne contro il
nostro paese da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. La Corte si è posta il problema di
verificare se la struttura del giudizio contumaciale del sistema italiano fosse compatibile con le
indicazioni delle garanzie minime richieste dalla Risoluzione n. 11 del 1975. In particolare, nelle
pronunce « Colozza », in Cass. pen., 1985, p. 1284, e « Rubinat », in Cass. pen., 1985, p. 1251 e
ss., la Corte ha la prova dell'assoluta inadeguatezza della disciplina vigente. Nel primo caso, infatti,
l'autorità giudiziaria italiana aveva dichiarato l'irriperibilità e poi la latitanza dell'imputato
presumendo la volontà del soggetto a sottrarsi al giudizio. La Corte, in merito, esplicitò il principio
secondo cui « la rinuncia all'esercizio di un diritto garantito dalla Convenzione deve risultare
provata in maniera non equivoca ». Del tutto analogo il secondo caso, con l'unica differenza che
aveva ad oggetto un procedimento di estradizione attiva in Francia.
persona sia dovuta alla mancata conoscenza dell'udienza, e non
invece ad una sua scelta.
Allo stato dei fatti la normativa nazionale, qualora l'Italia
rivestisse il ruolo di Stato emittente, non potrebbe garantire la
rinnovazione automatica del giudizio, così come disposta dall'art. 5.
Ne consegue perciò che la legge di attuazione interna della
decisione-quadro dovrebbe risolvere tale questione, in modo da
offrire alla persona da consegnare, la possibilità di richiedere un
nuovo processo nel nostro Stato, qualora il precedente si sia svolto
in sua assenza.
Il 17 marzo 2005, il Senato ha approvato in sede deliberante il
disegno di legge, ripristinando l'art. 4 riguardante l'autorità centrale
individuata nel Ministro della giustizia, e ha rimandato il testo alla
Camera che a questo punto dovrà esaminare nuovamente il progetto
e sigillare la legge.
N.d.r. In data 12 aprile 2005, la Camera ha approvato la legge.
MANDATO DI ARRESTO EUROPEO
L'attuazione della decisione quadro nei ventiquattro Paesi dell'Unione (*)
1. « Dum Roma deliberat, Saguntum [vivet] ». Mentre il nostro
Paese discute se e come dare attuazione alla decisione quadro in
tema di mandato europeo, il 23.2.2005 la Commissione ha reso noto
il Rapporto sull'attuazione della Decisione (2002/584/GAI) in tutti
gli altri 24 Paesi dell'Unione, ove da tempo il provvedimento
comunitario ha avuto esecuzione.
Il documento, disponibile solo in inglese (Commission Staff
working document, Annex to the Report from the Commission base
on Article 34 of the Council Framework Decision of 13 June 2002
on the European arrest warrent and the surrender procedures
between Member States, SEC(2005)267- COM(2005) 63 final (15)),
non contiene dati sull'applicazione del nuovo istituto ma,
conformemente a quanto previsto dall'art. 34 della Decisione quadro,
delinea, in modo particolarmente esauriente, le misure adottate dai
singoli ordinamenti dei Paesi membri per conformarsi a quanto
previsto nella Decisione (16). Anche una sommaria lettura del
documento consente di riconoscere lo spazio attribuito a ciascun
ordinamento nell'attuazione del provvedimento e conferma come, in
attesa di una futura armonizzazione del diritto penale europeo, al
momento lo strumento della cooperazione intergovernativa sia
comunque idoneo ad assicurare il rispetto delle pur differenti
tradizioni giuridiche nazionali, in uno scenario comune, sotto il
controllo della Commissione.
2. Tra le innumerevoli riflessioni oggetto del Rapporto, possono
essere ricordate anzitutto quelle relative all'art. 2 della Decisione,
dedicato al « campo d'applicazione del mandato d'arresto europeo
», con riferimento ai reati che consentono la consegna
*
(*) Francesca Ruggieri, straordinario di diritto processuale penale alla Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università dell'Insubria, sede di Como.
15
Il documento è reperibile, unitamente al rapporto all'indirizzo http://europa.eu.int/
comm/justicehome/doc-centre/criminal/printer/doc-criminal-intro-en.htm
16
I relativi provvedimenti possono essere letti in http://ue.eu.int/cms3Applications/applications/PolJu/details.asp?lang=IT&cmsid=720&id=71; di tutti è disponibile,
oltre ovviamente al testo in lingua originale, la traduzione in inglese.
indipendentemente dalla doppia incriminazione. In conformità a
quanto previsto, 17 Stati hanno recepito la lista integralmente, 4
hanno omesso alcuni reati, gli altri hanno accorpato alcune figure
criminose in uniche fattispecie. La Commissione rimarca in
particolare la scelta belga che, avendo precisato che l'aborto e
l'eutanasia non rientrano nella categoria dell'« omicidio volontario,
lesioni personali gravi », non ha rispettato la Decisione che
attribuisce il potere di specificare i reati allo Stato emittente e non a
quello di esecuzione. A questo proposito la Commissione ricorda
altresì che, ai sensi dell'art. 2 comma 3 della Decisione Quadro,
alcuni Stati membri hanno sollevato l'opportunità di rivedere la lista
dei reati in discorso, proprio in relazione all'aborto, all'eutanasia e al
possesso di droga.
Sempre con riguardo all'elenco dei reati che non richiedono la
doppia incriminabilità per la consegna in base al mandato d'arresto
europeo, scelte diverse sono state effettuate dai Paesi membri anche
in relazione alla riconducibilità o meno alle singole ipotesi criminose
contenute nella lista delle figure del tentativo e del concorso di
persone (« attempt and complicity »). Mentre il problema non si è
posto per il sistema polacco, il cui codice penale tratta entrambe le
suddette manifestazioni di reato alla stessa stregua del reato
consumato, 15 Stati membri hanno ritenuto di dover precisare che
ritengono abolito il principio di doppia incriminabilità anche per
queste due forme di espressione di illecito; l'Estonia e l'Irlanda
hanno invece esplicitamente dichiarato che in questo casi
richiederanno il requisito della doppia incriminabilità.
3. Si consideri quindi la normativa introdotta dai sistemi
nazionali ai sensi degli artt 3 e 4 della Decisione quadro
(rispettivamente in tema di « motivi di non esecuzione obbligatoria
del mandato di arresto europeo » e di « motivi di non esecuzione
facoltativa del mandato di arresto europeo ») ovvero quella che ha
dato attuazione alla « determinazione delle autorità giudiziari
competenti » (art. 6).
Nessun problema si è posto nella ricezione dell'art. 3: in
particolare né del comma 1 di questo articolo, relativo all'amnistia
(peraltro non considerato né dall'Olanda né dal Regno Unito, dove
l'istituto non esiste, e « tradotto » in Danimarca con il più restrittivo
istituto della grazia, « pardon ») né del comma 3 della medesima
disposizione, dettata a proposito dei minori. In alcune materie vi è
un assoluta coincidenza tra le pur diverse tradizioni dei sistemi
giuridici dei Paesi membri.
Dove tale comunanza manca, vi è spazio per le differenze. Nel
commentare l'art. 3, la Commissione sottolinea anche come alcuni
Stati abbiano previsto motivi di non esecuzione non indicati nella
Decisione Quadro: è il caso, ad esempio, della Olanda, che non
applicherà la Decisione per la consegna di personale militare
straniero, assoggettata, invece, ai relativi accordi con i Paesi alleati
ovvero del Regno Unito, che ha previsto una specifica clausola in
tema di « ostaggi », alla luce della relativa Convenzione
internazionale del 1987.
L'art. 4, a sua volta, ha dato luogo ad interpretazioni
differenziate perché diversa è stata la natura, vincolante o meno,
attribuita dagli Stati ai singoli motivi di non esecuzione. Il comma 1
in relazione alle ipotesi della non integrazione di un reato ai sensi
della legge dello Stato membro di esecuzione, ad esempio, è stato
recepito da 15 Stati membri come motivo vincolante, da 7 come
motivo opzionale, mentre l'Estonia non l'ha nemmeno preso in
considerazione. Il comma 6, che prevede la non esecuzione del
mandato allorché lo Stato di esecuzione, ove la persona ricercata
dimora o risieda o ne sia cittadino, si impegni ad eseguire la pena
per cui il mandato è stato emesso, è stato recepito come motivo
vincolante da 7 Stati, facoltativo in altri 11.
4. Il ruolo della Commissione è volto ad assicurare il rispetto
della Decisione Quadro, soprattutto con riguardo alle finalità
perseguite dal provvedimento, esplicitamente diretto a snellire le
procedure di estradizione nel rispetto del principio del mutuo
riconoscimento reciproco.
A questo proposito è significativo quanto rilevato nel Rapporto
con riguardo all'autorità giudiziaria di cui all'art. 6 della Decisione
Quadro. Dopo aver notato che la norma è stata recepita senza
particolare difficoltà da tutti i ventiquattro Stati membri, la
Commissione, invero, censura le scelte di alcuni Stati (in particolare
Lituania ed Estonia) perché si riferiscono ancora al Ministro della
Giustizia, in luogo di una « autorità giudiziaria », senza staccarsi
quindi dal tradizionale sistema di cooperazione giudiziaria che
l'istituto del mandato di arresto mira proprio a sostituire.
5. Anche se fugace, lo sguardo sulle disposizioni che, nei 24
Stati membri dell'Unione, hanno recepito la Decisione quadro sul
mandato d'arresto europeo, si immalinconisce allorché ci si soffermi
sui ritardi del nostro Paese. Ad oltre un anno (17) dalla data entro cui
l'Italia avrebbe dovuto dare attuazione al provvedimento dell'Unione
(come è noto gli Stati avrebbero dovuto dotarsi delle misure all'uopo
necessarie entro il 31.12.2003) è impensabile ridiscutere un percorso
che, oramai dai tempi di Tampere (1999), mira all'avvicinamento tra
gli ordinamenti nazionali nell'ambito dello spazio di sicurezza,
libertà e giustizia. Si tratta, piuttosto, di considerare, all'interno di
quegli accordi, un percorso che ci ha sempre visto protagonisti e che,
per preconcetti non sempre del tutto giustificati, rischia ora di
isolarci sul piano internazionale proprio in uno dei settori più
delicati e sensibili, la cooperazione giudiziaria.
17
La presente nota è stata licenziata per la stampa il 31.3.2005.