la donna s`è desta?

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la donna s`è desta?
LA DONNA
S’È DESTA?
N°1
2011
Progrédire, la rivista che avete in mano, è uno dei primi
atti pubblici di Progré, la nostra neonata associazione.
Non riteniamo che la nascita di una ennesima realtà associativa nell’università di Bologna sia in se stessa una
notizia, le notizie speriamo verranno dalla nostra attività.
Abbiamo quindi scelto di non porre noi stessi al centro di
questo primo numero che tratta di tutt’altro e ci limiteremo a descrivere brevemente qui quello che siamo e quello
che vorremo essere in futuro. Ci rivolgiamo naturalmente
in maniera primaria a chi è studente universitario ora e a
chi ha smesso di esserlo da poco e lavora o cerca lavoro
in quella che è la statisticamente non felice condizione di
questa generazione. Progré nasce dalla presa di coscienza che c’è una forte voglia di fare politica nelle persone
che abbiamo intorno. Persone che appartengono alla
generazione che ormai proverbialmente rischia di essere più povera dei propri genitori, quella che è oggetto
dell’altissima disoccupazione giovanile e sconta la precarizzazione del lavoro. Queste persone esprimono un desiderio politico molto forte che rischia di non poter trovare
applicazione. Le associazioni dedite alla rappresentanza
studentesca assorbono, o dovrebbero assorbire, in essa
buona parte delle loro energie e non paiono per loro natura adatte a svolgere l’elaborazione politico generazio-
nale di cui si parla. Le giovanili di partito molto ridotte nei
numeri rispetto al passato non sembrano certo i luoghi
in cui persone di sensibilità molto diverse possano lavorare vedendo in questo lavoro un fine. Periodicamente si
creano movimenti molto grandi che caratterizzano una
stagione che però perdono poi energia forse anche perché legati ad una solo battaglia, prendiamo ad esempio
due fenomeni diversissimi come l’Onda e il Popolo Viola.
Progré nasce per dare un luogo a questa voglia. Per trasformare attraverso l’esperienza di gruppi di lavoro già
avviati questa esigenza in una critica puntuale, motivata
e circoscritta dell’esistente. Per poter maturare attraverso lo studio un’opinione più consapevole sulle tematiche
del lavoro, dell’università e delle politiche giovanili in un
ambiente che non subisca condizionamenti maggiori di
quello di riconoscersi in un ambito culturale progressista.
Non credo che a questo stadio il progetto sia definibile in
una maniera molto più approfondita di questa perché a
partire da questo sfondo saranno le opinioni e le riunioni
delle prossime settimane e dei prossimi mesi a definirlo
sempre più. Con la speranza che sarete in molti a voler
partecipare a ciò che saremo vi saluto.
Salve a tutti ragazzi e ragazze!
Quello che avete in mano è il primo numero di progrèdire,la rivista della neonata associazione ProgrE’. Uno
strumento di comunicazione, di trasmissione, di esportazione di idee giovani, nate in menti giovani, che hanno
deciso di mettersi insieme e formare una rete. Perchè leggerci? Perchè siamo nuovi, la nostra età media è 24 anni
e vogliamo portare un po’ di colore nel vecchiume della
società attuale, che ci dipinge come generazione senza
valori, attratta solo dai vestiti alla moda e dalle feste in
discoteca. Abbiamo invece scelto di dire che ci siamo, e
non solo in maniera effimera, nascosti dai cartelloni nelle manifestazioni di piazza, ma in maniera costante, con
riflessioni sincere e lucide della nostra società. Questo
primo numero è dedicato alla donna, alle sue mille sfaccettature, e agli uomini che le sono complementari. Ma
è dedicato anche ai lavoratori, alle “vite stonate”, a tutte
le popolazioni del mondo che necessitano di cooperare
tra loro. E’ dedicato a personaggi di ieri,di cui avremmo
bisogno oggi. E’ dedicato a chi si sente stretto in una società che corre così veloce,e sembra non abbia tempo di
ascoltarsi. E’ dedicato a voi che avete deciso di leggerlo
e a noi che, forse con qualche errore, abbiamo messo la
pancia,e non solo la penna, nel realizzarlo
L’analisi
L’analisi
FIAT
(da due da 20 minuti a tre da 10), più
straordinario (da 40 a 200 ore, di cui
120 obbligatorie), più turni di lavoro
(con uno schema articolato in 18 turni settimanali, dal lunedì al sabato 24
ore su 24), meno diritto alla malattia,
meno diritto di sciopero: le deroghe
al contratto collettivo nazionale sono
difese in nome dell’eccezionalità del
caso-Pomigliano. Il 3 novembre l’atto finale: a Pomigliano a produrre
non sarà più Fiat in prima persona
ma la Fipo (Fabbrica Italia Pomigliano), nuova società di proprietà della
Fiat partecipazioni, non aderente a
Confindustria. Il contratto nazionale,
dunque, non si deroga: semplicemente non viene applicato.
più catena,
meno diritti
viaggio negli
ultimi due anni
dell’era
Marchionne
All’inizio fu Termini Imerese, poi vennero Pomigliano e Mirafiori, adesso
è il turno di Melfi e Cassino. Si scrive
Fabbrica Italia, si pronuncia Modernità. È una modernità delineata da
Marchionne il 21 aprile 2010 a margine della riunione del Cda Fiat, in cui
presentò il suo piano Fabbrica Italia:
«Si tratta di aumentare i volumi e di
ridurre i costi. Non c’è null’altro. Non
è complicato». A chi chiede dettagli,
numeri, spiegazioni “l’Italiano scomodo secondo la definizione del Corriere
della Sera (controllato guardo caso al
10% dalla Fiat), risponde: «Vi dò un
consiglio: se si dovesse presentare
un altro Amministratore delegato di
un’azienda estera con un assegno da
5-10 miliardi dicendo ‘voglio investire
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in questo Paese’, facciamoci un grandissimo favore e cerchiamo di non
importunarlo con i dettagli di un progetto che viene finanziato dalla sua
società e fa il bene del Paese». Una
modernità semplice, insomma, che si
raggiunge a piccoli passi, senza fare
domande, senza dare spiegazioni. Si
chiude uno stabilimento, si sposta la
produzione di qualche vettura in Paesi con manodopera a basso costo, si
mettono in competizione gli operai
italiani con quelli serbi e polacchi. La
modernità di Marchionne è una sfida
rivolta allo status quo, alle incrostazioni dei diritti sedimentati nel corso
del ‘900, una sfida che prevede solo
vittorie e non ammette contraddittorio. È un percorso a tappe, biso-
gna fiaccare, umiliare, sconfiggere
il nemico fabbrica per fabbrica. Per
capire cosa sia successo è necessario
ripercorrerle queste tappe, bisogna
tornare indietro ed osservare i campi
in cui si è giocata la partita. Se il lettore vorrà seguirmi, dovremo risalire la
corrente, e provare a vedere uno per
uno i nemici di Marchionne e della sua
Modernità.
Termini Imerese
Tutto partì da Termini Imerese, millecinquecento addetti e un indotto
di oltre cinquecento posti di lavoro:
bisognava chiudere. L’impianto produce in perdita, ha costi di logistica
enormi, «Termini non ha ragione di
esistere». E chiusura fu, o meglio
sarà, entro il 31 dicembre 2011. Annuncio fatto, decisione presa, perché
nel mondo di Marchionne non c’è
spazio per la contrattazione. La storia
di quei millecinquecento operai sulla
via del licenziamento è finita dalla prima alla quinta pagina, per poi rapidamente sparire. Solo il 16 febbraio gli
stabilimenti di Termini hanno riconquistato l’attenzione dei media, con
la firma dell’accordo di programma
“per il rilancio e la reindustrializzazione del polo”, che prevede un investimento di 1 miliardo di euro (di cui 350
milioni pubblici) e 3300 posti di lavoro. Non sappiamo come andrà a finire, ma speriamo che i grandi annunci,
che si sono accompagnati alla firma,
non si perdano nel cumulo di promes-
se di rilancio che la Sicilia colleziona
da decenni.
Pomigliano d’Arco
Nell’estate 2010 è il turno di Pomigliano d’Arco. Gli operai napoletani
alla catena di montaggio, spiegava
Marchionne, si assentavano per le
partite dell’Italia e del Napoli, l’assenteismo cronico dello stabilimento era
da curare con una medicina amara.
E medicina amara fu, come chiedeva quello che il Sole 24 Ore ha eletto
‘l’Uomo dell’anno’. Il 15 giugno 2010
arriva l’accordo di rilancio per Pomigliano. Firmano Cisl, Uil e Ugl. Dicono no Fiom-Cgil e Cobas. L’accordo
rispecchia la massima marchionniana
del 21 aprile, e allora: meno pause
Mirafiori
Da quel momento le voci che vogliono anche Mirafiori fuori da Confindustria si fanno sempre più insistenti,
fino ad essere confermate, il 10 dicembre 2010, dalla stessa presidentessa dell’associazione degli industriali Emma Marcegaglia, all’uscita
da un lungo incontro con l’Ad di Fiat:
«La newco di Mirafiori nasce fuori da
Confindustria». Anche per gli operai
torinesi non esisterà più il sistema
della contrattazione collettiva nazionale. Il 23 dicembre 2010 è il giorno
del nuovo accordo separato. L’intesa sul futuro di Mirafiori vede Cisl,
Uil e Ugl d’accordo, ma non la Fiom
e i Cobas. L’accordo non si discosta
molto da quello previsto a Pomigliano: meno pause, più straordinario,
più turni di lavoro, meno diritto alla
malattia, meno diritto di sciopero.
Il fronte del no mette sotto accusa
la finta trattativa e svela il diktat di
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L’analisi
Marchionne: prendere o lasciare. Ma
non si era detto che Pomigliano era
un caso eccezionale e irrepetibile? Si
era detto, ma così non era, a Mirafiori
se ne ha la certezza. Non si tratta più
di medicine amare da somministrare per curare problemi patologici, si
tratta di un nuovo modello delle relazioni industriali, che da eccezione si fà
regola, per divenire il paradigma della
modernità.
I referendum
In entrambi gli stabilimenti, comunque, i due accordi sono sottoposti a
una condizione: i lavoratori si devono
esprimere tramite referendum aziendale. Il quesito che si pone agli operai è semplice, si tratta di accettare o
respingere la proposta. Se vincono i sì
si va avanti, se vincono i no si chiude
l’impianto e si va a produrre all’estero. Difficile non scorgere l’impostazione ricattatoria. E infatti gli accordi
passano, a Pomigliano, il 22 giugno,
col 63%, a Mirafiori, il 14 gennaio, col
54%.
Lo spin-off
Il 3 gennaio 2011, un nuovo pezzo del
puzzle va a posto: lo spin-off, ovvero la
divisione di Fiat in due società, votato
a settembre 2010 dall’assemblea dei
soci, esordisce in borsa. Quotati separatamente, Fiat spa, che comprende
esclusivamente il comparto auto, e
Fiat Industrial, che comprende invece
i veicoli commerciali e i camion, riportano segno positivo: rispettivamente
+4,91% e +3,05%. Marchionne esulta
e, forte dell’approvazione della borsa
all’operazione di scissione, lancia un
chiaro segnale al fronte sindacale:
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Le interviste di
«La Fiat è capace di produrre vetture operai, “o lavoro o diritti”.
con o senza la Fiom», e pure senza La modernità non ha mai avuto un saConfindustria, alla quale le due socie- pore tanto medievale.
tà non aderiscono.
Nicola Usai
Il destino comune degli operai
Siamo all’oggi. Il 18 gennaio 2011
Marchionne, in un’intervista a Repubblica, svela il prossimo obiettivo.
Rispondendo alla domanda se “dopo
Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino”, l’Ad risponde: «Non c’è alternativa. Non possiamo vivere in due
mondi. Io spero che, visto l’accordo
alla prova, non vorranno vivere nel
secondo mondo nemmeno gli operai». I cinque stabilimenti Fiat in Italia
saranno dunque legati dallo stesso
destino: lavorare di più e con meno
diritti. Un destino cupo, ma si sa, la
modernità non è cosa per tutti. Sicuramente non lo è per gli operai con i
muscoli spezzati dal lavoro seriale
e ripetitivo, condannati dalla competizione globale a ritmi sempre più
intensi di lavoro. Sicuramente non lo
è per le famiglie in cui entrambi i genitori sono operai Fiat e i cui figli sono
costretti a vedere (poco) un genitore
(stanco) per volta. Sicuramente non
lo è per i giovani addetti alla catena
di montaggio, schiavi di una vita programmata sul binomio casa-fabbrica,
anche il sabato. Sicuramente non lo è
per i figli degli operai di Pomigliano,
Mirafiori, Melfi, Cassino, che negli
occhi del padre e della madre vedono la stanchezza delle ore passate in
fabbrica; il sacrificio di ingoiare saliva
resa amara dai fumi delle vernici; il
ricatto di chi dice, con uno stipendio
equivalente a quello di cinquemila
Roberta
Castronuovo
interviste di:
Nicola Usai
Segreterio organizzativo Fim-Cisl Bologna con delega
alle politiche per la contrattazione, il proselitismo e il coordinamento, ci accoglie nella sede della Cisl in Via Milazzo e
accetta di rispondere alle nostre domande. È di ritorno da
un’assemblea in cui si è parlato proprio di Fiat e Miarafiori,
tema di cui si è occupata molto nelle ultime settimane.
Elena
Giustozzi
È molto difficile raggiungere telefonicamente Elena Giustozzi, membro della segreteria Fiom-Bologna, in questi
giorni. Ci dice di essere molto impegnata, gira il territorio
e le fabbriche per parlare della grave situazione del tessuto industriale. Trova comunque il tempo per rispondere
alle nostre domande e parlare di quello che sta succedendo, non solo in Fiat.
1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati,
hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico:
la questione della dignità delle donne e le tematiche
del lavoro. Vede una connessione fra questi due argomenti?
Se per temi attinenti le donne ti riferisci agli scandali del
Presidente del Consiglio, devo registrare che fra le donne
le preoccupazioni sono altre. In questo periodo di crisi, le
lavoratrici si rivolgono al sindacato se hanno problemi sul
posto di lavoro, il problema del premier resta marginale
rispetto a esigenze come la flessibilità negli orari di lavoro, la questione del part-time, etc. Certo, come donna
disapprovo l’atteggiamento del premier nei confronti del
sesso femminile, ma resta il fatto che nelle aziende si affrontano altre problematiche.
1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati,
hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico: la
questione della dignità delle donne e le tematiche del
lavoro. Vede una connessione fra questi due argomenti?
Il risveglio della coscienza collettiva. Non vi e’dubbio che
la crisi economica da una parte e quella culturale, forse
ancora più grave, dall’altra, abbiano fatto da detonatore
a un’energia sociale che negli anni si era assopita, dando
nuova visibilità alla connessione fra individuo e società,
attraverso le importanti e bellissime manifestazioni pacifiche di lavoratori, giovani e donne, che hanno mostrato
una nuova consapevolezza dell’idea che diritti e riconoscimento sociali sono una conquista da rinnovare ogni volta.
2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono seguiti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati
esaltati come simboli della modernità, con il segretario della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000
Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati,
con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne
pensa?
Io sono d’accordo con il mio segretario quando dice che
dobbiamo fare accordi per mantenere posti di lavoro. Il
compito del sindacato non è dire sempre “no”, ma deve
sedersi al tavolo e contrattare. Anche noi sul territorio di
Bologna abbiamo firmato accordi difficili come quello di
Pomigliano, anche unitari ma, per mantenere posti di lavoro e per garantire un futuro ai giovani. Comunque secondo me le due reazioni a cui fai riferimento sono due
2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono seguiti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati
esaltati come simboli della modernità, con il segretario della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000
Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati,
con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne
pensa?
Sono molto critica rispetto a quegli accordi. Prima di tutto, perché i lavoratori hanno dovuto votare sotto la minaccia, esplicita da parte di Marchionne, che la vittoria dei
no avrebbe di fatto annullato l’investimento della FIAT in
quei territori. La maggior parte dei lavoratori ha vissuto
quel referendum come un ricatto, e poiché il portato di
quegli accordi sul sistema delle relazioni industriali e del
diritto del lavoro va ben oltre i cancelli di Pomigliano e
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Le interviste di
modi di fare sindacato. La Fim è dal 2001 che firma accor- Mirafiori, quei lavoratori sono stati costretti ad assumersi
di non condivisi da altre organizzazioni sindacali e nelle una responsabilità troppo grande.
aziende c’è sempre stata una risposta positiva, tant’è che
l’organizzazione continua a crescere.
3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei
nuovi accordi?
3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei Oltre agli aspetti relativi al peggioramento dei ritmi di
nuovi accordi?
lavoro, in quegli accordi viene messo in dubbio il diritto
La salvaguardia dell’occupazione la metterei al primo alla retribuzione durante la malattia e il diritto di sciopeposto; gli aspetti economici senz’altro, con un appesan- ro. Ma non basta: vi è anche una ferita gravissima alla litimento delle buste paga; e infine l’organizzazione del bertà sindacale, sancita dalla Costituzione, e al diritto dei
lavoro. Considero fondamentale che il nuovo metodo lavoratori di eleggere i propri rappresentanti. Inoltre, la
di lavoro consenta di migliorare le condizioni di lavoro, decisione della FIAT di uscire da FEDERMECCANICA e di
quindi di anche di ridurre il rischio di malattie professio- non applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro,
nali e infortuni. I lavoratori ci chiedono di lavorare meglio, rappresenta un attacco frontale a quello che per noi è lo
non meno.
strumento cardine per il riconoscimento su tutto il territorio nazionale dei diritti fondamentali conquistati in anni
4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul di lotte sindacali.
fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche
e a forti tensioni?
4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul
Inizialmente c’è stata un’ipotesi di accordo, ad un’orga- fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche
nizzazione sindacale non piaceva, ad un’altra pareva la e a forti tensioni?
migliore possibile, cioè non la migliore in assoluto, ma la L’unità del mondo del lavoro è sempre stata l’arma che
migliore in quelle precise condizioni, ad esempio a Pomi- ha permesso le maggiori conquiste sindacali. La perdita
gliano con lo stabilimento fermo e tutti gli operai in cassa di questa consapevolezza ha portato, a mio avviso, alcune
integrazione. In seguito, su questi argomenti, si è perso il organizzazioni sindacali a illudersi di poter prendere scorsenso della misura e del rispetto, e questa è la cosa peg- ciatoie per far prevalere il proprio modello di sindacato,
giore. La Fiom ha usato addirittura l’espressione “l’accor- scegliendo come interlocutori privilegiati le controparti e
do della vergogna”, sono state usate parole come :“boia l’attuale Governo, anziché i lavoratori e le altre organizzachi firma”, mi è stata tappata la bocca in più di un’assem- zioni sindacali. Per cercare di porre rimedio a queste tenblea.
sioni, ritengo sia necessario una legge che misuri la reale
rappresentanza delle organizzazioni sindacali nei luoghi
5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per di lavoro, nonché le modalità di partecipazione demomigliorare la posizione della donna nel mondo del la- cratica dei lavoratori alle decisioni che riguardano le loro
voro?
condizioni di lavoro e i loro diritti.
Innanzitutto credo che sarebbe da migliorare il contratto collettivo nazionale per quanto riguarda i permessi e 5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per
il diritto al part time. Poi trovo che ci sia un’incoerenza migliorare la posizione della donna nel mondo del lasconcertante tra quanto dice il ministero della salute, cioè voro?
che i figli vanno allattati almeno fino all’anno di vita e in Finché il carico delle cure parentali sarà appannaggio
maniera esclusiva fino al sesto, e il fatto che la materni- quasi esclusivo delle donne, sarà secondo me difficile
tà obbligatoria arriva solo fino al terzo, massimo quarto superare le discriminazioni nel lavoro. Allora servono più
mese. Anche l’organizzazione degli asili nido sarebbe da servizi nel territorio, e un’applicazione migliore delle legrivedere, perché in quelli pubblici il bimbo viene ammesso gi, che già esistono, mirate ad agevolare la conciliazione
solo a 9 mesi e solo a partire da settembre, ma la mam- dei tempi di vita e di lavoro e le pratiche per la Pari Opma cinque mesi prima deve rientrare al lavoro. Gli orari portunità fra uomo e donna. E, naturalmente, serve una
di apertura, poi, dalle 8 alle 17, coincidono con gli orari di cultura del rispetto che accetti e valorizzi le differenze.
lavoro, creando gravi disagi ai genitori.
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L’analisi
(NON)FEDERALISMO
made in Lega
“Noi non solo
pensiamo in
una lingua,
“Noi non solo pensiamo in una lingua,
ma la lingua pensa con noi o, per essere ancora più espliciti, per noi”. Così
si legge in un magnifico saggio Sulla
lingua del tempo presente di Gustavo
Zagrebelsky, e in effetti, ancora una
volta, siamo di fronte ad un equivoco,
o meglio, ad un abuso linguistico utilizzato per aggirare la realtà e fornirne una scorretta rappresentazione.
L’occasione è la discussione e l’approvazione di quello che politicamente
e giornalisticamente viene definito
“federalismo municipale”. Esso altro non è se non una semplice legge
di autonomia finanziaria dei comuni
che nulla ha a che vedere col concetto molto più serio, complicato e ampio di federalismo, che descrive un
processo di progressiva unificazione
di stati sovrani verso un unico stato
gestore. Tolta alla Lega il vessillo col
quale si forgia e col quale ha costruito la sua forza politica in questi ultimi
anni, passiamo ad analizzare nel me-
rito il provvedimento normativo che
chiameremo, più appropriatamente,
“autonomismo municipale”.Per capire di che cosa si tratta bisogna tornare al 2001, quando la riforma del
titolo V della Costituzione introdusse
il principio della proporzionalità diretta, il quale prevede che le imposte
vadano, almeno in parte, a beneficio
dell’area in cui sono riscosse, secondo
il principio dell’autonomismo fiscale (
anche impropriamente chiamato “federalismo fiscale”), da concretizzare,
successivamente, con legge ordinaria. Un primo passo in questo senso
è stata la legge delega 42 del 2009,
con la quale si è introdotta l’idea di
premiare gli enti locali “virtuosi”,
ossia quelli che non spendono più di
quanto incassano, e si è fissata per il
21 maggio di quest’anno la data di attuazione vera e propria della riforma.
In vista dell’appuntamento è stata
istituita una Commissione bicamerale di trenta parlamentari (la cosid-
detta “Bicameralina”) con il compito
di approvare i decreti attuativi, ossia
i provvedimenti che stabiliscono le
norme di dettaglio su come realizzare
in concreto l’autonomismo fiscale.
Fino ad oggi ne sono stati approvati
tre: quello sull’impropriamente detto
“federalismo demaniale” che attribuisce parte del patrimonio dello Stato,
soprattutto edifici e aree pubbliche,
a comuni, province e regioni; quello
sull’ordinamento di Roma Capitale,
dotata provvisoriamente di autonomie speciali; e quello sui “fabbisogni
standard”, cioè una norma che nelle
intenzioni del legislatore dovrebbe
modificare il criterio attuale di distribuzione delle risorse agli enti locali,
a oggi finanziati sulla base della loro
“spesa storica”.
A concludere questo iter il Governo ha
approvato, salvo poi essere stoppato
dal Presidente Napolitano e rispedito
alle Camere, il decreto sul nuovo fisco
municipale. Esso prevede lo sposta-
9
L’analisi
mento dallo Stato ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali: imposta di registro, ipotecaria e catastale,
Irpef sui redditi fondiari non agrari,
imposta di registro e bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili
ed istituisce una imposta sostitutiva
sui canoni di locazione (cedolare secca sugli affitti). In una prima fase di
avvio, della durata di tre anni, (20112013), gli enti locali riceveranno il gettito dei tributi immobiliari, che manterranno per questo periodo l’assetto
attuale; poi, dall’anno 2014, saranno
introdotte nell’ordinamento fiscale
due nuove forme di tributi comunali:
l’imposta municipale propria (IMU)
e l’imposta municipale secondaria.I
tributi in questione alimenteranno un
Fondo sperimentale di equilibrio, istituito con la finalità di assicurare una
devoluzione ai comuni della fiscalità
immobiliare che risulti progressiva e
territorialmente equilibrata, la cui durata è fissata per un periodo di cinque
anni. Il riparto del Fondo fra i singoli
comuni avverrà tenendo conto dei
fabbisogni standard di spesa (D.Lgs.
n. 216 del 26 novembre 2010) e dei
risultati conseguiti dalle amministrazioni locali nel recupero dell’evasione
fiscale. Per i comuni con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti si prevedono modalità di attribuzione differenziate e semplificate. In corrispondenza del gettito che confluisce nel
Fondo vengono ridotti i trasferimenti
erariali spettanti ai comuni. Al medesimo fine viene stabilita l’attribuzione
allo Stato di una compartecipazione sul gettito dei tributi devoluti ai
comuni. Viene infine istituita – con
decorrenza dall’anno 2011 - una nuo-
10
L’analisi
va imposta sostitutiva sui canoni di
locazione, denominata cedolare secca che, previa opzione da parte del
contribuente, sostituisce l’Irpef sulle
locazioni, le addizionali regionale e
comunale all’imposta sul reddito e le
imposte sui canoni di locazione. Sono
previste due aliquote, una al 21 per
cento per il canone libero e una al 19
per cento per il canone concordato.
La tassa non varierà in base al reddito, ma la percentuale sarà uguale per
tutti i proprietari; oggi invece vengono detratte le spese forfettarie e gli
affitti entrano a far parte del reddito,
su cui poi si pagano le tasse.
Scompare il bonus di 400 milioni previsto come fondo di sostegno per
le famiglie numerose in affitto, ma i
proprietari che sceglieranno di pagare le tasse con un’aliquota secca non
potranno chiedere un aumento del
canone agli inquilini e nemmeno adeguarlo all’indice Istat.
A tutto ciò si affianca la nuova impo-
sta di soggiorno, ossia si da la possibilità a comuni capoluogo di provincia, unioni di comuni e comuni inclusi
negli elenchi regionali delle località
turistiche o città d’arte di istituire una
tassa di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive del
proprio territorio. L’imposta sarà applicata con gradualità, fino a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno,
in proporzione al prezzo. Il gettito è
destinato a finanziare interventi in
materia di turismo, manutenzione,
fruizione e recupero dei beni culturali
e ambientali locali e dei relativi servizi
pubblici locali.
Infine a partire dal 1° aprile 2011 quadruplicano le sanzioni sugli immobili
non dichiarati. Il 75% dell’importo
delle sanzioni è devoluto al comune
dove è ubicato l’immobile.
In sostanza si sostituiscono vecchie
tasse con nuove e si stabiliscono nuovi criteri di finanziamento dei comuni che porteranno, secondo quanto
emerge da recenti studi di settore, ad
un aumento della tassazione per i cittadini proprietari di immobili colpiti
dalla nuova cedolare secca sugli affitti
e ad una diminuzione complessiva di
quasi 500 milioni di euro delle entrate
per i redditi da locazione.
Tutto ciò ha portato a sollevare numerose e variegate critiche al provvedimento anche da parte di coloro
che si dichiarano convinti sostenitori
e promotori del federalismo.
Emblematiche in tal senso sono le
posizioni di Luca Ricolfi, federalista
convinto e autore del libro “Il sacco
del nord” , il quale si esprime in questi
termini in un editoriale pubblicato su
La Stampa. “[…] oggi fra coloro che
si oppongono ai decreti sul federalismo ci sono per la prima volta anche
i veri federalisti, coloro che al federalismo hanno sempre creduto più della
Lega stessa. Politici, amministratori,
studiosi, commentatori politici, il cui
timore non è che il federalismo possa
funzionare, eliminando ogni forma di
parassitismo e assistenzialismo, ma
che il federalismo possa non funzionare affatto, lasciando le cose così
come sono, o addirittura peggiorandole, ad esempio con più tasse e più
spese, o semplicemente con una selva di norme ancora più barocche e intricate di quelle che cerchiamo di lasciarci alle spalle. Oggi capita sempre
più di frequente di leggere e di sentir
dire, non già «sono contro il federalismo, quindi mi oppongo al decreto
sul federalismo municipale», ma piuttosto, «sono federalista, quindi non
posso votare questo decreto».[...] la
novità è questa: oggi chi è veramente
federalista non può non chiedersi se
sia meglio (meno peggio) che il federalismo «à la Calderoli» passi, o sia
meglio che tutto venga affossato per
l’ennesima volta. Io, che ho sempre
difeso il federalismo, il dubbio ce l’ho.
E vi posso dire che altri federalisti
convinti, almeno in privato, confes-
sano di augurarsi che tutto si blocchi,
tali e tante sono le concessioni che
gli artefici del federalismo sono stati
costretti a fare alla rivolta degli interessi costituiti e alla miopia del ceto
politico locale.Questo, che ci piaccia
o no, è l’impropriamente detto “federalismo municipale” modello di quel
federalismo all’italiana, o meglio, in
stile Lega che alla luce dei fatti altro
non è che un semplice spot elettorale.
Michele Forlivesi
11
La società di
La società di
COOPERARE
occhi fissi sul
mondo
Buon giorno, Buenos dias, Bom dia, Good Morning, e chi più
ne ha più ne metta! Si lo so, sarà una banalità, ma è davvero
così:biologicamente parlando le persone tra loro sono tutte
uguali, ed è solo la cultura, la lingua, la storia che differenzia
i popoli, che crea questa varietà davvero splendida ed intrigante. Però spesso succede che le differenze, invece di essere
considerate un valore aggiunto, un fattore positivo della società, sono viste con diffidenza e attaccate poiché considerate
portatrici del male. Per questo è necessaria la Cooperazione.
Cooperazione fra i popoli, fra le diverse genti di uno stesso Stato, ma anche fra le diverse comunità appartenenti a Stati differenti, affinché nessuno sia emarginato, sia considerato feccia.
Collaborazione, perché nessuno debba sentirsi escluso ma al
contrario tutti partecipino attivamente e positivamente alla
Vita del Mondo. Questa rubrica, nella più grande umiltà possibile si pone l’obiettivo di informare e far riflettere riguardo
l’ambito della Cooperazione e del Mondo Sociale. Spesso non
ci si pensa, o lo si fa superficialmente, ma il fenomeno della
compensazione vale anche per gli esseri umani, per la nostra
società. Se da una parte vi e’ un livello di benessere mediamente alto, significa che da un’ altra parte si ha un livello di be-
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nessere mediamente basso. Il problema della nostra realtà sociale è che questa compensazione è stravolta : c’è pochissima
gente che sta bene, molto bene, mentre la maggior parte dei
miliardi di persone vive nella povertà più triste, scoraggiante e
indignante. Mentre Noi, nel parlamento UE, combattiamo per
il diritto al peer to peer, più che legittimo, ci sono tantissime
persone che lottano per un sorso d’acqua, per riuscire ad avere
un tozzo di pane, per difendersi dai continui abusi, violazioni e
torture. Combattono affinché non gli venga strappato l’ultimo
pezzo di terreno, loro unica fonte di sostentamento. Terreno
che poi andrà in proprietà di una qualche multinazionale, la
quale produrrà beni rivolti esclusivamente ai ricchi consumatori occidentali. Intanto, quei poveracci ai quali è stata rubata
la terra, saranno morti di fame. Ovvio, non è solo colpa Nostra.
I popoli dei Paesi del Sud del Mondo dovrebbero ribellarsi di
più. Poi però succede che quando lo fanno, i Nostri governi ci
mettono la manina, tappando le bocche della protesta, e cosi
il tutto finisce in un niente. E quindi sta a noi, alla gente comune che gode di un benessere mediamente alto, fare qualcosa.
Informarsi, informare, aiutare, agire. In una parola: Cooperare.
Un universo
giusto?
vittime e ai familiari di queste di conoscere la verità ed ottenere giustizia.
Bisogna invece permettere a queste
persone, che hanno subito abusi inimmaginabili, di provare a costruirsi una
nuova vita, ad avere nuovamente fiducia nel Sistema che regola la nostra
Società.
Riporto le parole di Rigoberta Manchù,
premio Nobel per la Pace nel 1992, attivista guatemalteca per i diritti delle
popolazioni indigene. E’ l’appello rivolto al Parlamento spagnolo, il quale voleva modificare la definizione di
Giustizia Universale, per restringere i
possibili casi di istruzione di processi.
Rigoberta Manchù dichiara che, grazie alle imputazioni a Pinochet (Cile) e
a Videla (Argentina), operate dall‘Audencia Nacional (Corte Spagnola): “se
abrió una esperanza para las víctimas.
Se abrió una esperanza donde podremos ser eschudas las personas que
vivimos las torturas, las desaparición
forzad, los secuestos, el terrorismo de
estado y el aniquilamiento de muchos
de nuestros pueblos. Por esto creemos
que la Audiencia Nacional ha sentado
un gran precedente en el corazón de la
humanidad”.
Un’azione nel segno della Cooperazione e nel
nome della fratellanza
fra popoli, è la difesa del
Principio di Giustizia Universale.
Noi occidentali dobbiamo lottare affinché questo Principio non scompaia dai
nostri ordinamenti giuridici. Attraverso
la Giustizia Universale, vi è la possibilità che tutti i dittatori, tutti gli autori
di delitti di genocidio, di lesa umanità
ed altri crimini atroci siano giudicati
da qualsiasi tribunale nazionale, indipendentemente dal luogo nel quale
sia stato compiuto il reato e dalla nazionalità dell’autore e delle vittime. In
questa maniera, le vittime avrebbero
la possibilità di ottenere giustizia e
verità, nonostante il proprio sistema
giuridico non sia dotato dell’ imparzialità e indipendenza necessaria per
portare a compimento un processo
così complesso. Incapacità data anche
dall’importanza e dalla notorietà delle
persone implicate ed accusate, spesso
occupanti i vertici del potere di uno
Stato. La Giustizia Universale la si può
vedere come una sorta di solidarietà
giuridica globale. Non scordiamoci che
nel secolo passato, quasi tutti i Paesi
dell’America latina sono stati governati da dittature, nelle quali sono stati
compiuti gli atti più orripilanti : delitti,
violazioni massive di donne di interi villaggi, violazioni dei diritti umani..E secondo voi, gli autori sono stati processati, incarcerati?Chiaramente no! Tutti
a piede libero, grazie all’approvazione Federico Ticchi
delle varie leggi di indulto e di amnistia.
Ma così facendo, si frustra il diritto alle
STATO
DITTATOREA
ANNI
PENA
Cile
Pinochet
1973 - 1990
Riconciliazione Nazionale
Senatore a Vita
Argentina
Videla
1976 - 1981
1983: Ergastolo
1990: Indulto
2007: Corte Penale Federale conferma
l’ergastolo
Guatemala
Brasile
Castillo Armas
Castelo Branco
e altri
1960 - 1996
1964 - 1984
1990: Indulto
1979: Legge di amnistia
Dittature nei principali Stati dell’America Latina.
Come si può ben vedere, le varie leggi
di impunità, indulto o riconciliazione
nazionale hanno hanno reso possibile
l’impunità di queste persone, nonostante gli atroci crimini commessi.
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La copertina di
La copertina di
LA DONNA
S’È DESTA?
13 Febbraio 2011.
Oggi,scendo in piazza
per amore.
Non voglio saperne di delusione, tristez- bianchissimi e le padelle in mano, a ribel- volta, godo del fatto che non m’interessa
za e insofferenza,mi vesto solo di quella larsi con gli stessi oggetti che un tempo le cosa dirà Minzolini. Oggi la piazza, ci serrabbia sana,tanto più forte quanto più relegavano a “regine del focolare”,per dir- ve per guardarci in faccia. Per ricordarci di
grande è l’amore verso l’alternativa a ciò la alla Simone De Beauvoir. “Hai visto quel come siamo fuori dalle realtà fasulle tracui ci stiamo ribellando. So che è tardi per cartellone?Sembra quello del ‘77”,dice smesse dai media e oggi assurte a improfarci sentire, che non avremmo dovuto un’anziana al suo compagno,che la tiene babile modello politico, serve per dirci che
aspettare le debolezze del solito poten- per mano chiedendole di non urlare,di ral- non siamo nemici quando lottiamo, che le
te contornato da prostitute,quel potente lentare il passo o si sentirà male. Ma lei non diverse generazioni possono essere fonte
che fin dall’antichità ci perseguita ricor- lo ascolta e accelera: “dobbiamo fare un di scambio e dialogo,non solo di scontro.
dandoci quanto sia facile(?) per noi don- coro sui giovani,qua ce ne sono tanti”.E a Oggi non ci sono litigi nelle piazze, né
ne riempirci di oro. So che non avremmo me,vengono i brividi. Poi mi guardo attor- energumeni vestiti di nero ad oscurare la
dovuto mai fermarci,mai credere di esse- no, ecco perché mi piacciono tanto le ma- bellezza dei cortei. Non ci sono bandiere
re arrivate, ma oggi non m’importa. Oggi nifestazioni: Vedo i passeggini, i bambini e politiche a far da mantello alle idee che
voglio urlare che ci sono, che sono stanca le mamme trafelate accompagnare le loro sfilano entusiaste, anche se raramente
di essere offesa in tutte le componenti del figlie in bagno, vedo gruppi di ragazzine la politica è stata così presente. La politimio essere donna. Sono stanca di seni nudi tenersi per mano, disegnarsi entusiaste ca come cosa pubblica, quella che non si
sui link di facebook, di donne bellissime e sulle guance il simbolo della pace. Vedo limita a ridondare discorsi triti e sputarli
discinte in televisione, senza parole da un gruppo di amiche adulte,sorridere senza ritegno, quella costruita dal basso,
dire e con tanta carne da mostrare, sono mostrando le loro rughe di espressione quel meraviglioso principio secondo cui a
stanca delle pubblicità ripetitive e vuote, di mentre si chiedono quale slogan cantare fare il nostro destino sono le nostre mani,è
donne senza sguardo che parlano coi loro successivamente. “Chissà cosa diranno- il nostro stomaco,è la nostra grinta. Mi
fianchi. Oggi voglio vedere l’umanità,e la sento dire- Minzolini dirà che siamo cento- guardo intorno,vedo un altro gruppo di
scorgo piena,in tutta la sua irruenza,dal centocinquanta,ammesso che trasmetta donne adulte, coi capelli coloratissimi e i
primo istante. Vedo signore coi capelli la notizia”; ascolto senza amarezza sta- fischietti attaccati al collo. Alzano le brac-
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è di troppi tipi, sappiamo che chi prostituisce le sue idee è più pericoloso di chi prostituisce il suo corpo ma oggi siamo qui per
scegliere da che parte stare. E non sceglieremo la tristezza di una rappresentanza
femminile politica basata su tacchi a spillo
e frasi vuote atte a difendere l’indifendibile. Oggi siamo deste,e scegliamo l’amore
per quei diritti che ci sono stati donati, per
la libertà di poter avere un corpo desiderabile e poterlo donare gratis,a chi ci pare a
noi,per voglia o per amore che sia.
Il corteo è finito,ora tocca ai discorsi. Parla una partigiana, voce ferma,capelli grigi
raccolti. Non posso far altro che commuovermi a sentir parlare chi ha costruito un
cia, uniscono le dita fino a formare il sim- meno che a compierle non sia un immigra- pezzo della nostra storia, chi ha ridato dibolo del femminismo, quell’organo geni- to ubriaco. Oggi non ci dicono che siamo gnità ad un Paese uscito perdente e scontale mimato rivendicato con forza come regine del focolare,oggi ci mostrano che volto dalla guerra. Poi,rifletto sulla parola
simbolo di appartenenza ad un genere che possiamo essere regine dello show. Ce lo resistenza, e il mio pensiero va in Iran, a
troppo spesso era rimasto al margine. E mi dicono nelle pubblicità, nei cartelloni, sui quelle donne imprigionate nel loro velo
fermo ad immaginarle le donne di allora, giornali. I corpi che più spesso riempio- che hanno trovato la forza di scrivere ed
senza uomini nei loro cortei, oppresse da no i mass media, e che inevitabilmente si esportare la loro sottomissione. Va chi reun patriarcato cieco e da una religione che impongono nella visione collettiva sono siste ogni giorno, in un mondo in cui non
le relegava all’angolo,con l’unico compito sempre più magri e perfetti. Non c’è spa- vendersi è considerato (ahinoi) di per sé un
di perpetuare la specie. Immagino la fie- zio per parlare delle donne anoressiche atto eroico. Va a chi cerca di costruire giorrezza nei loro occhi, la necessità di nascon- o bulimiche ,uccise da una malsana idea di no dopo giorno, a chi sceglie di guardare in
dere quelle forme che le differenziavano bellezza, né degli abusi subiti ancora oggi faccia i volti delle proteste, e non a schivardall’uomo,come se così facendo potesse- tra le mura domestiche (il 67% degli stupri le dicendo che non servano a nulla. E poi
ro eliminare le diversità, riappropriarsi di in Italia è opera del partner, fonte ISTAT). va a chi sta zitto, criticando dietro un comOggi però, è una lotta diversa,una lotta puter, dicendo a se stesso e agli altri che
prio da quell’organo rivendicato coi loro comune. Oggi non vogliamo sterminare siamo tutti un popolo di servi, che tanto
gesti. Chiedevano di andare alle urne, di l’”uomo nemico” né essere come lui. Oggi questo è il modo in cui il mondo gira,e non
poter abortire, di poter divorziare. Chie- lo vogliamo accanto,per riprenderci la di- possiamo farci nulla. E allora sorrido, conun mondo che,cavolo, tiravano fuori pro-
devano alle loro congeneri di squarciare il gnità di una lotta di cui abbiamo tratto i tenta di essere scesa in piazza, di essere insilenzio,di denunciare le violenze fisiche e benefici. E lo sappiamo che questa gior- namorata della forza collettiva delle idee,
nata verrà strumentalizzata, lo sappiamo di non essermi persa lo spettacolo di genOggi,tutto,è uguale è diverso. Ci hanno in- che non dev’essere ora,ma anche domani, te che magari voterà partiti differenti,ma
segnato che siamo uguali agli uomini,che dopodomani, sempre. Sappiamo che il oggi,oggi è tutta insieme. Oggi ha scelto di
mentali che ogni giorno le colpivano.
qualcuno ha lottato per darci quello che rispetto per noi deve partire dalle piccole essere sostanza.
abbiamo e nessuno potrà togliercelo. Le scelte di ogni giorno,dal decidere se ci stiatv non parlano più delle violenze sessuali mo a far parlare il nostro corpo al posto Francesca Antonella De Nisi
(oggi in aumento anche sugli uomini),a della bocca. Sappiamo che la prostituzione
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La società di
La società di
PERCHÈ l’8 MARZO?
La donna al tempo del
radical-chic
Sguardi di donne e ragazzine appaiono un po’ dappertutto negli ultimi
tempi, i giornali e le televisioni sembrano calderoni ribollenti di strilli,
frustrazioni e sdegno, espressioni
diverse di un comune senso di rivalsa nei confronti della costruzione
mediatico-commerciale della donna
dell’ultimo ventennio; un arco di tempo durante il quale è avvenuta una
robotizzante trasformazione della
sensualità femminile in un prodotto
codificato e standardizzato in base a
regole, dettate dal copione della irreale tv commerciale.
Gli strilloni della politica, in molti casi,
hanno descritto gli occhi delle manifestanti del “se non ora, quando?”e
la loro forza e voglia di emozionarsi
insieme , scaturita da gravi problematiche sociali e realmente esistenti ,
con un linguaggio stereotipato, inappropriato, il famoso “politichese”.
Tuttavia, tralasciando il Palazzo e la
scatola parlante, cosa pensano e che
faranno le dirette interessate riguardo l’8 Marzo, festa della donna?
“Sono una mamma che lavora circa
otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, per poter uscire solo la Domenica
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a mangiare una pizza con la mia famiglia, altroché shopping e serate con
le amiche..Io l’8 Marzo lavorerò, per
me non è una giornata diversa dalle
altre”, spiega Teresa, precipitandosi
verso la fermata dell’autobus, assorbita dai suoi pensieri. Marina si mostra alquanto indifferente sull’argomento: “ non so cosa farò, penso nulla
di speciale, a parte andare a lezione e
studiare, come tutti i giorni..Per me
queste feste sono inutili, non hanno
senso, è un fatto commerciale”. Michela, mentre serve con gentilezza i
soliti caffè ai soliti colletti bianchi nel
bar in cui lavora, dice: ” io penso sia
importante parlare di noi donne tutti
i giorni, non solo l’8 Marzo, perché,
ad esempio, se io volessi chiedere, in
questo momento, al mio titolare di
poter organizzare il mio orario di lavoro, in modo da renderlo più leggero, dovrei avere la possibilità di poterlo fare tutti i giorni, e senza che questi
mi rida in faccia..”. Nel frattempo
Deborah, bramando una borsa rossa
in vetrina, sembra non veder l’ora di
festeggiare: “andremo in un locale, ci
sarà uno schiuma-party, saremo tantissime ragazze e ci saranno ragazzi
palestrati, il tutto chiaramente in assenza dei fidanzati rompiscatole!”,
afferma entusiasta, e quando le viene chiesto il motivo di questa scelta,
risponde “a me non piace la politica,
non sono una tipa che va in piazza a
gridare senza un motivo, da grande
vorrei fare la giornalista sportiva”.
Sara siede in biblioteca, sfoglia una
rivista di attualità, mostra freschezza
e irradia di idee chi le parla: “nessuno
conosce bene sé stesso, figuriamoci se sia in grado di inquadrare alla
perfezione la situazione femminile al
giorno d’oggi..Si parla tanto e troppo
della donna, eppure sento dire sempre le stesse cose; discutere sull’8
Marzo per me è inutile, sarebbe come
discutere su San Valentino..Se vogliamo porre fine al silenzio dei media
sulle questioni che più ci interessano, dovremmo puntare sulle nostre
capacità: ad esempio, noi donne, col
nostro modo di pensare, potremmo
rendere una discussione banale sul
testo di una canzone, meravigliosamente femminile e unica in quanto
tale, e allo stesso modo riusciremmo
a volare in alto con la nostra curiosità, la nostra operosità e sensibilità,
trattando di questioni socio-politiche
rilevanti; dovremmo solamente ottenere anche l’aiuto degli uomini su
questo punto; il fatto che gli uomini
abbiano più possibilità di far carriera
rispetto a noi donne, dipende dall’assenza di una criticità diversa dal loro
modo di pensare; se riuscissimo a
conquistare lo spazio di criticità quotidiana che ci spetta di diritto, la vita
sarebbe senz’altro meno monotona
e, di certo, più interessante”.
Emergono opinioni difformi tra loro,
segno tangibile di come la società
viva contrasti, evidenziati maggiormente in tal caso, a causa della influenza dei mezzi di comunicazione
e dall’efficacia che alcune parole possono avere se pronunciate in maniera
ripetitiva, in primis dalle personalità
pubbliche.
Si parla in genere del tema legato
all’8 Marzo in vario modo,vengono
compiute analisi che poco hanno
a che fare con la sociologia, che per
nulla rendono l’idea di come il Paese
stia vivendo effettivamente le manifestazioni e i moti dell’ultimo periodo; a riguardo, una volta Alda Merini
disse “mi sveglio sempre in forma e
mi deformo attraverso gli altri”; forse
“la novità” potrebbe consistere nello
svegliarsi e pretendere di poter dar
forma alle idee, sperando di non essere additati di comportamenti da “radical chic”, soltanto per aver richiesto
maggiore parità salariale tra uomini e
donne.
Emanuele Vitale
E AL DI LA’
DELL’OCEANO?
Nelle realtà diverse dalla nostra, esiste una giornata dedicata alla donna?
Per soddisfare questa curiosità, ci pensano tre mie amiche che vivono di
là dell’oceano Atlantico: Livia, una solare ragazza di Recife (Pernambuco),
nord-est del Brasile, che studia nella Universidade Federal de Pernambuco. Andrea , simpaticissima peruviana di Lima, studentessa della Pontificia Universidad Catolica de Perù. Ana, una divertentissima mexicana di
Aguascalientes, frequentante la Universidad Autonoma de Aguascalientes.
1) L’8 marzo, festa della donna,è un giorno particolare nel tuo Paese?E’
una ricorrenza sentita e partecipata?
Livia(Brasile): Si, è una giornata particolare. Gli uomini e le donne regalano fiori e cioccolata. Dovunque, nella strada, nei negozi, le donne ricevono dei presenti. Quest’anno, la giornata di apertura del Carnival di Recife
cade esattamente l’8 marzo, e per omaggiare questa data, canteranno
solo donne.
Andrea(Perù): Solamente da pochi anni la televisione ed i quotidiani menzionano l’8 marzo come festa della donna, ma non si celebra ne si festeggia. Non vengono regalati fiori. Molte donne neppure sanno che esiste un
giorno dedicato a loro!
Ana(Mexico): Non è molto popolare. Molte donne non sono a conoscenza
che l’8 marzo sia la loro giornata.Non riceviamo alcun regalo!!
2) Come festeggiano le ragazze (per esempio qui in Italia solitamente
vanno negli StripClub)?
Livia:Una semplice uscita riservata alle amiche.
Andrea: anche qui dovremmo andare negli Strip club, ma sfortunatamente no(risata)!Le poche donne che celebrano l’8 marzo, e soprattutto le
pochissime che possono permetterselo, al massimo vanno a cenare fuori
o bere qualcosa.
Ana: Disgraziatamente in Messico non festeggiamo negli StripClub, ma
penso che inizerò questa tradizione con le mie amiche (risata)!
4)Nel tuo Paese, il movimento femminista è forte e ben radicato?
Livia: Ci sono solo alcuni gruppi isolati, senza molto seguito. Solo il gruppo che difende i diritti delle lesbiche è abbastanza radicato.
Andrea:Esistono, ma non sono forti come dovrebbero essere. Al massimo, denunciano le imprese di birra che pubblicizzano il prodotto con foto
di donne in bikini.
Ana:Dopo le marce e le proteste degli anni ‘’60, attualmente il movimento femminista continua la sua attività nella vita sociale, in quanto il mercato del lavoro e dell’università è dominato dalle donne .Abbiamo avuto
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La società di
La società di
delle icone femministe molto famose e conosciute : Sor
Juana Ines de la Cruz, scrittrice e religiosa; Frida Kahlo,
famosissima pittrice.
5) Il maschilismo è ancora presente?
Livia:Certamente!Per esempio, le donne guadagnano
molto meno che gli uomini!
Andrea:Si tantissimo. Nonostante che sulla carta le
donne abbiano pieno accesso al mondo del lavoro, il
fenomeno del maschilismo è ancora forte e radicato.
Nelle Ande poi la situazione è ancora più triste:le ragazze non vanno a scuola e la maggioranza fa la casalinga.
In alcune comunità andine esiste una pratica, chiamata “servinacuy”(parola quechua, la lingua degli Incas),
con la quale i padri danno in prestito le proprie figlie ai
possibili futuri mariti, affinché questi le provino, e nel
caso in cui la donna non “funzioni”, la restituiscono alla
famiglia!!
Ana:Tristemente in Messico il maschilismo è molto
comune.La donna viene trattata come un essere inferiore, soprattutto nei piccoli villaggi, molto legati alle
tradizioni
6)Sono frequenti i casi di violenze sulle donne?
Livia:Si molto. La Ley Maria da Penha punisce proprio
questo illecito.
Andrea: Ci sono moltissimi casi di violenze domestiche.
Solo in gennaio, sono state uccise 7 peruviane.
Ana:Si sono frequentissimi. Basti ricordare il femminicidio di Ciudad Juarez:Tragico e sconvolgente.
7) Vi sono donne che occupano ruoli importanti, sia nelle istituzioni Pubbliche che nel Privato?
Livia:Certo! E’ da poco stata eletta la “presidentA” Dilma Roussef!La maggioranza dei brasiliani confida in lei.
Sicuramente è tra le donne più potenti del Mondo!
Andrea:Si. Ci sono Ministre,Amministratrici di grandi imprese,funzionarie pubbliche. Il sindaco di Lima è
donna!
Ana: La proprietaria della Corona (la birra!) è donna. Il
presidente del PRI( Partido Revolucionario Institucional), partito più importante del Paese, è donna!Inoltre
ci sono molte governatrici e sindachesse.Il sindaco di
AguasCalientes, la mia città, è donna!
Federico Ticchi
SPACCATO STORICO
Erano i primi anni del novecento
quando diversi nuclei del movimento
femminista incominciarono a muoversi, anticipando una corrente che
diverse volte nel corso della storia
del secolo ventesimo si rese protagonista . Erano quelli gli anni delle
suffragette, impegnate in una lotta
alimentata da una speranza, quella
dell’estensione del diritto al voto alle
donne, destinata a tramutarsi in realtà, seppur in momenti diversi a seconda delle nazioni. Ma erano anche
gli anni della “Belle Epoque”, anni in
cui, sorretta dalla spinta conferitagli
dalla Seconda rivoluzione industriale prima e da altri fenomeni come la
corsa agli armamenti poi, la produzione si manteneva florida, la richiesta di manodopera aumentava e nelle
fabbriche erano impegnate, in un cre-
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scendo che vedrà il suo apice durante la grande guerra, anche le donne.
Proprio nelle fabbriche andava sempre più consolidandosi fra gli operai
il senso d’appartenenza ad una vera
e propria classe, e la componente
femminile, soggetta a non poche vessazioni, non poteva non far sentire la
propria voce per chiedere il rispetto e
l’acquisizione dei propri diritti. A New
York le cronache del tempo riportano
la notizia di un tragico incendio divampato presso la Triangle Factory il
25 Marzo del 1911. In seguito a questo drammatico evento morirono più
di 140 persone, per lo più donne, anche giovanissime, emigrate dall’Europa. I proprietari della Triangle purché responsabili di aver tenuto sotto
chiave le operaie (il timore era che
potessero rubare), e messisi in salvo
lasciando le vittime al loro destino,
furono assolti. Una sconsiderata politica interna alle fabbriche, foriera
di eventi come il disastro del colosso
industriale newyorkese e totalmente
incurante dei diritti e della sicurezza
delle operaie aveva spinto, stando a
quel che riportano le fonti storiche,
già nel 1910, in occasione del Congresso dell’internazionale socialista
tenutosi a Copenaghen, la componente femminile della convention a
proporre l’istituzione di una giornata
internazionale dedicata alla donna. A
quanto pare però, non fu però scelta
all’unisono la data da destinare alla
celebrazione, anzi l’istituzione venne
ufficializzata in anni diversi a seconda dei Paesi (in Italia ad esempio nel
1922). Difatti, come ha ricordato uno
speciale de La Repubblica uscito l’ 8
Marzo dello scorso anno, nel 2010
si è festeggiato il centenario della
giornata internazionale della donna,
ma proprio dalla lettura dei giornali
è deducibile una certa confusione riguardo alle origini della medesima.
Nel 2004 Il Resto del Carlino rimanda all’incendio della industria tessile
Cotton di New York, incendio secondo le leggende divampato il giorno 8
Marzo del 1908 (alcune fonti, come
Wikipedia, chiamano in causa l’evento come “manipolazione” del disastro
della Triangle Factory), e il quotidiano
Bolognese non è di certo l’unica fonte a far risalire l’istituzione della festa
della donna all’incendio della Cotton.
Dall’altra parte “La Repubblica” celebrando nel 2010 il centenario, ricordò
altresì come momento chiave il congresso di Copenaghen, lo stesso quotidiano nel 1987 pubblicò tuttavia un
articolo dove richiamando le “indagini” di due studiose femministe, vengono smentite le voci che ricollegano
il fatidico incendio del 1908 da una
ANNAMARIA TAGLIAVINI
Per comprendere meglio la nuova fase che sembra essersi inaugurata
nella politica italiana il 13 febbraio 2011 diamo la parola ad Annamaria
Tagliavini, Direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
Dottoressa Tagliavini, il 13 febbraio 2011 oltre un milione di donne e
uomini ha invaso 230 piazze italiane, riunito sotto un unico slogan «Se
non ora, quando?». Come giudica questo evento e quali sono, a suo
avviso, le motivazioni che hanno portato alla protesta?
Mi pare sia stata una giornata importantissima sulla scena politica
italiana. Io, che viaggio molto all’estero, e che mi trovavo all’estero in
quei giorni, non faccio altro che ricevere domande alle quali non so rispondere: perché le donne italiane sopportano il governo Berlusconi,
soprattutto l’immagine che il governo Berlusconi propone della donna. In questo caso, mi sento di dire che la risposta è arrivata dalle piazze, nel senso che le stesse donne italiane hanno deciso di far vedere, e
di far vedere pubblicamente, che non hanno più voglia di sopportare
questa rappresentazione, da un lato irreale, dall’altro fortemente lesiva del loro valore. A me pare che questa manifestazione abbia contribuito al recupero non solo della dignità della donna, che è una parte
del problema, ma anche di un concetto stesso di civiltà che è, in questo momento, sotto scacco nel nostro Paese. I rapporti fra l’uomo e la
donna infatti sono, a mio parere, un’unità di misura del grado di civiltà
di una società. Quindi, evviva la manifestazione del 13 febbraio, e mi
auguro ce ne siano tante altre.
Diverse commentatrici vi hanno descritto criticamente: qualcuna vi
ha definito bacchettone e moraliste o radical chic, altre, come Elena Loewenthal de La Stampa, hanno sostenuto che la dignità della
donna si difende nella vita quotidiana, non in una manifestazione che
chiede le dimissioni del Presidente del Consiglio. Come giudica queste
prese di posizione?
Le giudico queste abbastanza pretestuose. Io sono stata una delle
prime firmatarie dell’appello lanciato da Concita De Gregorio «Se
non ora, quando?», con la consapevolezza che quel documento era
un testo, se vogliamo, abbastanza generico. D’altra parte, è così che
si fa quando si vogliono chiamare in piazza un gran numero di donne
e non un ristretto gruppo di femministe teoricamente schierate. Se si
ha l’obiettivo di mobilitare un gran numero di donne si fa un appello
molto generale, che sia capace di toccare le corde del sentimento
popolare. Io non credo che quel documento avesse alcun contenuto
moralistico: l’ho letto, l’ho riletto e credo che fosse un documento, se
vogliamo, forse un po’ generico, ma utile. La prova che fosse un documento utile sta nella risposta delle persone: è un testo che ha toccato il
cuore di tantissima gente, non soltanto donne peraltro, ma anche uo-
parte e addirittura lo stesso incontro
di Copenaghen dall’altra all’istituzione all’8 Marzo, che risulterebbe essere una pura invenzione, dal punto di
vista “storico”. Fu nel dopoguerra che
la giornata internazionale della donna incominciò ad essere celebrata
con più “chiarezza”, all’ alba di un’era
che vedrà impegnato su nuovi fronti
(aborto, divorzio ecc.) il movimento
femminista.
Enea Conti
mini. Quando il documento è arrivato a me, ho iniziato a farlo circolare
fuori dai giri del femminismo, delle reti delle donne che io frequento
di solito, verso un altro tipo di pubblico. Ho avuto immediatamente
un consenso enorme, anche da parte di donne e uomini che normalmente non fanno politica e che non sono particolarmente interessati
al movimento delle donne. Questo è stato un segno positivo: se si fosse fatto un documento più approfondito, o più sofisticato dal punto di
vista teorico, ci saremmo trovate in 50 in piazza invece che in 50.000.
Io quindi credo che esistano strumenti diversi per finalità diverse: è
chiaro che se vogliamo analizzare il nesso sesso-potere-politica nel
nostro Paese non è certo un volantino di una mezza cartella che può
fare questo tipo di analisi. Se vogliamo scendere in piazza e far vedere
che siamo in tante contro questo tipo di andazzo della società, allora
si fa un volantino più generale, forse anche un po’ demagogico, ma
che sia capace di dare il via, appunto, a questo tipo di mobilitazione.
Penso quindi che le critiche che ci sono state rivolte siano davvero un
pochino pretestuose.
In séguito al successo della manifestazione, il 14 febbraio l’Unità apriva
con il titolo È solo l’inizio: è un fatto, una speranza o un’illusione?
Io penso che sia una volontà. Dopo la manifestazione, infatti, moltissime sono state le donne che ci hanno contattato per chiederci: «E
adesso? Adesso che cosa facciamo?». Il prossimo 8 marzo, invece delle solite manifestazioni, magari anche di notevole spessore culturale,
ma trite e ritrite, cerchiamo di dare continuità a quello che è uscito da
questa piazza. A tal fine, so che è in previsione per l’otto marzo un altro
presidio della piazza, di un paio d’ore, per richiamare l’attenzione su
questo problema. In ogni caso, sono convinta che molte delle persone
che erano alla manifestazione il 13 febbraio, e che hanno voglia di continuare, sapranno darsi i modi per fare di questa giornata qualcosa che
duri appunto tutte le giornate dell’anno, attraverso momenti di mobilitazione, di riflessione, di discussione, di partecipazione, che faranno
di questo 13 febbraio uno spartiacque.
Per concludere, ha dunque senso, nel 2011, festeggiare l’8 marzo?
Sì, penso di sì. Perché dopo questo 13 febbraio questo 8 marzo sarà
ancora più dotato di senso. Il 25 aprile, il primo maggio, l’8 marzo, è
vero, c’è il rischio di fare il solito corteo per portare, in certi casi, le corone di fiori ai caduti, però sono date che non possono essere dimenticate. Sono date di eventi che sono stati pagati con la vita: l’8 marzo
è tale, perché ricorda un gran numero di donne morte in una fabbrica
durante un incidente sul lavoro. Allora non sono episodi da dimenticare, sono episodi da ricordare, magari non soltanto andando a cena
con le amiche o regalando una mimosa, come per anni si è fatto, ma
cercando di riempire questa giornata di contenuti, di una riflessione
comune in un momento che lo richiede assolutamente.
FEDERICA NUZZO
19
La società di
La società di
MADRE DI FAMIGLIE
Il linguaggio attuale, da quello giuridico
a quello economico a quello dell’informazione, descrive la società` in termini di categorie distinte, connotate di
proprie peculiarità e interessi specifici,
impedendo una visione d’insieme e delle interazioni tra queste. Servendoci di
questo stesso linguaggio, nonostante
la limitatezza che comporta, possiamo
dire che una delle più rilevanti di queste
categorie nella nostra società è quella
delle donne immigrate. In Italia, rappresentano più della metà tra gli immigrati regolari, come riportano i rapporti
statistici del 2010 e degli ultimi anni. La
maggior parte di loro svolge mansioni
di collaborazione domestica, ovvero
attività di colf e badanti. I profili sia sociali che economici di questo fenomeno
incidono non soltanto sull’assetto della
società italiana, bensì anche su quello
dei paesi d’origine delle stesse migranti
e sulla crescita ed emancipazione del
ruolo femminile a livello globale.
La sensibile crescita occupazionale di
donne straniere nei ruoli di aiuto domestico e assistenza alla persona ha fatto
conseguire la necessità di una sanatoria che permettesse di far emergere il
rapporto di lavoro irregolare tra datori
e colf e badanti ai fini di un più stringente controllo del fenomeno sul territorio.
Non va poi dimenticato che, per le casse italiane, sanatoria equivale a entrate
economiche, poiché la regolarizzazione
di tali lavoratrici comporta spese a carico del datore di lavoro ed è subordinata al requisito di determinate soglie
reddituali dello stesso. Inoltre, la messa
20
in regola impone al datore una retribu- donne alla famiglia italiana per la quazione non inferiore ai minimi previsti le lavorano, uniti alla lontananza dalla
dal contratto collettivo nazionale di propria, finiscono per divorare le loro
lavoro. Secondo i dati 2010 sarebbero aspettative di intraprendere altri tipi
già emerse circa 300.000 richieste di di carriera lavorativa e soprattutto la
regolarizzazione, sebbene la procedura possibilità di dedicarsi ai propri affetti.
di esamina delle stesse proceda molto Il disagio è reso ancora più forte dalla
a rilento e, con molta probabilità, la rigida disciplina dei ricongiungimenti
poca convenienza per il datore di rego- familiari, che spesso rendono arduo
larizzare funga da disincentivo a farlo. per i familiari rimasti in patria riunirsi
Unico deterrente contro la mancata alla propria congiunta e dal fatto che, in
attivazione della procedura è quello del realtà, la maggior parte delle lavoratrici
rischio di sanzioni connesse al fenome- vorrebbe poi ritornare nel proprio paeno dell’immigrazione irregolare, che se una volta garantito il sostentamento
colpiscono sia le prestatrici di lavoro alla famiglia. Le lavoratrici di cui si è sin
che i datori stessi. Le donne che svol- qui parlato, dunque, rappresentano una
gono le mansioni di colf e badanti sono forza economica, ma ancor di più sociaanello di sostegno di ben due famiglie: le che spinge a riflettere su quale sia il
la propria e quella acquisita per moti- ruolo della donna a livello globale, nei
vi di lavoro. Da una lato, infatti, larga paesi poveri e in quelli più sviluppati,
parte del loro stipendio è destinato alle ma altresì nella famiglia e nelle relazioproprie famiglie d’origine
ni di interdipendenza tra
tramite rimesse all’estero, parte del loro sti- queste e le persone non
e va a costituire una delle pendio è destina- autosufficienti. Si impomaggiori fonti di ricchezza to alle proprie fa- ne , quindi, la necessità
dei loro stati di proveniendi ripensare a un modelmiglie d’origine
za, prevalentemente dell’
lo di società che concili
Europa dell’est e dell’ America latina. lo sviluppo della personalità della donD’altro canto arginano un grosso pro- na con attività lavorative e di assistenza
blema della nostra società, legato alla storicamente svolte dalla stessa, che
carenza di assistenzialismo dello Stato riducono sensibilmente altre possibilità
e di servizi verso le persone dipenden- di scelte di vita.
ti e non autosufficienti. Colf e badanti
vengono a ricoprire un ruolo che nelle Giulia Travain
famiglie vecchio stampo veniva svolto
dalla “donna di casa”, destinata a occuparsi delle cose di famiglia per permettere al marito di dedicarsi al lavoro.
Il tempo e le energie rivolti da queste
DONNE
FEMMINE
E FEMMINE NON
DONNE
più le principesse in attesa di essere salvate a farci da
modello, ma nemmeno le eroine combattenti apparse di
riflesso ai primi movimenti di emancipazione femminili.
Oggi,ci sono le protagoniste bambine già formose e truccate, e il diktat torna ad essere quello di ieri, solo che un po’
meno sottile e molto più volgare: piacere all’uomo o, meglio ancora, agli uomini. L’invito alla seduzione è costante in sempre più aspetti della comunicazione sociale:per
pubblicizzare un divano, c’è bisogno di una donna sedutaci
sopra,possibilmente a gambe aperte e col sorriso ammiccante. Ad un presentatore brillante si affianca sempre più
spesso un corpo senza voce,e ogni programma ha la sua
presenza femminile , molte (troppe) volte al limite dell’inutilità. Maria De Filippi è il nuovo idolo delle moderne generazioni, padrona di casa il cui salotto si riempie di uomini
oggetto e femmine urlanti (e viceversa). Certo, la progressiva lobotomizzazione della comunicazione di massa è un
fenomeno trasversale, che tocca tutti i generi e , ahinoi,
tutte le generazioni. Ma quando questo tocca la donna gli
effetti sono più gravi e devastanti, e un tragico esempio ci
viene dato dalla trasmissione “la pupa e il secchione”, in
cui femmine deliberatamente decidono di essere stupide,
farsi applaudire come tali, e avere successo grazie alla propria ignoranza.
Di trasmissione in trasmissione, di spot in spot, ecco che i
corpi femminili si decuplicano,i capi di abbigliamento si riducono e, come sempre accade, i media influenzano gran
parte dei soggetti che ne sono attratti. Per cui non sorprendiamoci se vediamo bambine truccatissime e seminude, già consce del ruolo di seduzione che giocheranno in
società. Non sorprendiamoci se non sappiamo rispondere
alle tesi dello scarso maschilista di turno che ci dirà “siete voi donne che lo volete, è inutile che fate le vittime”. E
stiamo attente a non cadere nel tranello di chi vuol farci
credere che l’ideologia della supremazia maschile si fermi
al concetto patriarcale della società, al lasciare la donna a
casa a badare ai figli. Quale oppressione è più violenta, infatti, di quella che predica l’incapacità di ragionare del soggetto oppresso? E privilegiare sempre e comunque il corpo
a discapito del pensiero non produce forse gli stessi effetti? Effetti inevitabili se ci trattiamo come dei corpi vuoti
da utilizzare come lasciapassare, anche se ciò avviene in
piccoli contesti, come l’ammiccamento al professore per
farci alzare un voto o l’ accettazione delle infelici battute di
chi dice che “abbiamo il mondo in mano grazie alla figa” .
Se vogliamo ribellarci, dunque, prendiamo le distanze da
questo maschilismo rosa latente ma violento, che parte
dalla più triste delle mancanze umane,la scarsa coscienza
del proprio essere, e si nutre della più grande debolezza
trasversale del nostro tempo: la ricerca dell’apparire, dei
soldi e del potere (mediatico o politico che sia), a qualsiasi
costo.
Che l’uomo medio sia intrinsecamente maschilista è cosa
a cui siamo ben abituate. Lo è dal giorno in cui fu cacciato
dall’eden per colpa della donna tentatrice, che venne punita (da un Dio maschio) con la maledizione di “partorire
con dolore” . E come biasimarlo,il nostro uomo, se le sue
bislacche tesi di superiorità sono state sistematicamente
avallate da buona parte di regimi mono e democratici, e
ancor di più, da tutte le religioni monoteiste- e sappiamo
bene quanto la religione sia in grado di condizionare intere
popolazioni .Il maschilismo dell’uomo, tuttavia, è un movimento di scarsa fantasia, che affannosamente ha cercato di adattarsi al cambiamento dei tempi, adducendo
improbabili giustificazioni storiche, biologiche, culturali
(?). Per ogni epoca il suo clichè,dunque, e il maschilismo
dell’uomo è in men che non si dica smascherato. Già. Se
non ci fossimo noi ad accorrere in soccorso di un’ ideologia
che alla luce delle “moderne legislazioni occidentali”(?) apparirebbe completamente senza senso. Già, proprio noi,
perchè essere donne non è di per sé un valore aggiunto.
La distinzione tra donne e femmine si fa sempre più netta, e pur nell’unità che contraddistingue tutte le ribellioni,
dobbiamo chiederci a chi vogliamo affidare il rispetto della nostra dignità. Sì,perché oggi non attacca più la scusa
del “Non avere scelta” quando si accetta di fare da spalla
silente al presentatore di turno. Quando si sorride compiaciute alla battuta volgare di chi ci guarda il seno e non il
viso,quando si osserva superficialmente, magari sorridendo, quei mondi fatati dei media e di una nuova politica
che costantemente propongono il modello grottesco della
donna sempre più nuda e sempre più zitta. Non siamo qui
a giudicare altre donne, non entriamo nel merito delle vite
di chi ha scelto di farsi pagare per dare un po’ di sé,anche
se il nostro pensiero va a chi è stato costretto a farlo.
Un tempo eravamo educate ad essere obbedienti, oggi
siamo educate ad essere belle fin da bambine:non ci sono Francesca Antonella De Nisi
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La società di
TIME
MIRRORS
I dossier
Va bene ,starete pensando : “Ecco la solita rubrica nostalgica della serie la scuola non è più quella di una volta...
quant’erano belli gli anni settanta , la mia prozia mi raccontava che gli uomini non sono più galanti come ai tempi
suoi” , mentre l’amico scettico commenta : “e va bene lo
sappiamo che non è più il mondo di una volta…basta!”: poi
cambierete pagina .
Non temete, lasciando le analisi storiche a chi di competenza , in questa rubrica ci concentreremo sulle persone e sulle
loro vite che , accomunate da esperienze , luoghi , battaglie
comuni si specchieranno sfidando le leggi del tempo .
Donne e nobel : 2011 , anno del risarcimento morale o ennesima delusione?
Riflesso di ieri….
Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta
e statistiche sono chiare , solo il 4% dei premi Nobel della
storia è stato assegnato a donne.
La maggior parte delle volte infatti , pur avendo partecipato brillantemente alle attività di ricerca , importanti
scienziate , medici , ricercatrici, personaggi straordinari ,
hanno dovuto lasciare il posto ai colleghi uomini una volta
arrivate alla soglia della gratificazione..
L’idea diffusa in molti ambienti è stata – ed è- che una
donna renda meno dell’altro sesso.
“Gli uomini sono più analitici” , o anche “gli uomini affrontano le questioni in modo completamente diverso” sono
le frasi più utilizzate per spiegare perché , a conti fatti , il
sapere universale ha sempre avuto la “firma” di un uomo ,
pur di fronte all’evidenza di donne che smentiscono gior-
Riflesso di oggi….
Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta
fetta dell’opinione pubblica a sostenere il contrario. Nel
1997 la celebre rivista scientifica “Nature” pubblicò un
dossier secondo cui, una ricercatrice deve dimostrarsi due
volte e mezzo più brava per ottenere delle promozioni
pari a quelle di un collega(Wenneras - Wold).
Citare una sola tra le tante Jocelin “di oggi” non solo condurrebbe all’imbarazzo della scelta , ma risulterebbe l’ennesimo modo per far navigare le nostre menti nella comune insoddisfazione , nel pensiero per cui “nel mondo non
funziona niente”.
22
nalmente le varie discussioni “da bar”lavorando sul campo, con cattedre , riconoscimenti , premi nobel o no.
Specchio di “ieri” è Jocelin Bell-Burnell . La storia della
scienziata di Belfast è molto singolare.
In un’epoca in cui non si ipotizzava neppure l’esistenza di
tale corpo celeste , ancora studentessa l’astronoma scoprì
il “pulsar”. Il premio Nobel verrà assegnato al professore
Anthony Ewish , relatore della sua tesi con il quale, dicono
le fonti, ella stesse collaborando al momento della scoperta.
Professoressa alla Cambridge University nonostante i numerosi e prestigiosi premi e le lauree honoris causa ricevute , il nostro peronaggio “di ieri” non verrà mai annoverato
tra i premi Nobel della storia. Un errore casuale?Sarebbe
stato tale se la sua storia non ci rimandasse a quella di Rosalind Franklin , Lise Meitner , Chien Shiung-Wu , Nettie
M.Stevens e tante altre ancora.
Proviamo a darci un taglio :se vi trovate a navigare in rete
fate un salto nel sito www.noppaw.org. Vi accorgerete
che una riconciliazione tra il genere femminile ed il premio Nobel è ancora possibile.
Noppaw (Nobel peace prize for African women) è l’idea
di conferire il Nobel per la pace non ad una donna , ma a
tutte le donne africane , segnando la data storica del primo premio collettivo dal 1901- anno di nascita del premio
-ad oggi.
Dalla Liberia alla Sierra Leone , le donne africane vengono
considerate elemento fondamentale proprio per il modo
con cui affrontano i disastri che colpiscono questi territori
. Per questi specchi di oggi , per Suzane Quare , presiden-
te dell’Association Paglayiri ,Minata Sokodogo ,assistente sociale in Costa D’avorio , per Natalie Denà , associata
all’Enfantes et Jeunes Travailleurs de la Cote d’Ivoire , per
tutte le donne che come loro ogni giorno lottano per la
difesa dei diritti umani in Africa ,questa premiazione sarebbe un traguardo unico non solo per la gratificazione a
livello mondiale , ma soprattutto per lo spirito solidale con
cui il Nobel verrebbe conferito ,quello stesso spirito che
tutte insieme mettono ogni giorno quando affrontano le
non poche difficoltà.
Riportiamo l’appello fatto ai direttori di quotidiani da parte di Solidarietà e Cooperazione Cipsi e “chiAma l’Africa”:
“L’8 marzo dedicate le prime pagine delle vostre testate
alle donne africane e alla loro candidatura al Premio Nobel per la Pace 2011”.
Per aderire all’iniziativa è possibile anche firmare online
visitando un apposito spazio che troverete all’interno della pagina web.
Considerandolo un ottimo risarcimento morale per tutte
le donne a cui questo premio tanto ambito è stato negato , nonché un forte segnale di crescita , non ci resta che
sperare in un sì da parte di Stoccolma .
Laura Pergolizzi
MA CHE STAI A DI’?
Il linguaggio è la nostra chiave d’accesso al mondo. E’ l’arma più potente di descrizione della realtà,che diventa
costruzione quando si tratta di una realtà a noi sconosciuta e percepita quindi solo tramite quello stesso linguaggio, che a sua volta può diventare distruzione quando viene manipolato per stravolgere la percezione della realtà
stessa. Questa rubrica si propone di analizzare alcuni dei termini più utilizzati in ambito politico,giornalistico e
mediatico al fine di restituirci una più corretta visione della realtà.
ESCORT
Escort è una parola inglese che significa “scorta”, o , al maschile, “accompagnatore”. Importato in Italia,
tale termine ha per lo più un’accezione femminile, e si utilizza per
indicare le cosiddette “prostitute di
altro borgo”, elegantemente chiamate “accompagnatrici”, in riferimento al fatto che spesso, in proprio
o tramite delle agenzie, si offrono di
accompagnare il cliente (o la cliente, esistono anche escort uomini) a
cene di lavoro o di semplice intrattenimento, dietro pagamento di
cospicue somme di danaro. Non necessariamente il servizio di accompagnamento si concluderebbe con
l’atto sessuale ed è questa una delle
componenti che farebbero differire
l’escort dalla prostituta. In realtà, digitando su google la parola “escort”,
tra i primi risultati ottenuti si ha una
pagina di annunci di “top escort”,
allegati a immagini di donne impegnate in atti di autoerotismo e rigorosamente in biancheria intima. Tali
annunci riportano i numeri di telefono delle prestatrici di lavoro e le loro
abilità migliori, tutte riguardanti atti
sessuali. Pare difficile immaginare
quindi, come l’attività di una escort
possa limitarsi a un semplice accompagnamento a cena, anche se tale
possibilità è demandata all’arbitrio
della escort stessa. Le altre differenze tra escort e prostitute si ravvisano poi nella diversità di budget
(le escort sono sorprendentemente
costose), nella volontarietà dell’atto e nel luogo della prestazione,
che spesso è un hotel o la casa del
cliente (mentre le ordinarie prostitute si accontentano generalmente
di auto, angoli di strada o case fornite dal protettore). L’ eleganza del-
la escort rispetto ad una prostituta
quindi, non sembra giacere tanto
negli atti compiuti, quanto nel diverso scenario in cui essi si consumano.
E’ ragionevole pensare, pertanto,
che chi condanni la prostituzione
come atto in sé, ugualmente debba
comportarsi nei riguardi dei “servizi
di accompagnamento”, se non vuole esser considerato un ipocrita. Chi
invece crede nel libero arbitrio e nella facoltà di scelta di ognuno di fare
del proprio corpo ciò che più gli aggrada non ha motivo di enfatizzare
sottili differenze e ancor di meno, di
utilizzarle come fossero caratterizzanti di “eleganza” di un mestiere
rispetto ad un altro.
Francesca Antonella De Nisi
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I dossier
I dossier
VITE STONATE
Questa rubrica sarà composta da racconti: racconti di persone, conosciute e non , che vivono diversamente dalla media, che osservano la realtà da una prospettiva differente, a volte innovativa, a volte suscettibile di critiche.
IL MENDICANTE
Giuseppe avanza lungo un viottolo ciondolando, indossa degli stivali
in pelle bucati, tra le braccia stringe
una coperta di lana raggomitolata.
“Qui dentro c’è la mia vita”, dice, fissando rabbuiato l’ingresso di un bar
e incrociando lo sguardo truce di un
cameriere; è difficile, quasi impossibile, pensare che un individuo possa
filtrare la propria vita, in modo da
estrapolare da essa pochi oggetti che
la rappresentino, tanto più pensare
di riuscire a raccattare il tutto in un
fagotto logoro;“non ho avuto scelta,
erano le uniche cose che mi erano rimaste, mi hanno sfrattato e non trovo lavoro”.Quando ci si trova a vivere
una simile esperienza, la vita sembra
diventare una pressa d’acciaio, sotto
il peso della quale la propria dignità
viene irrimediabilmente sbriciolata,
ridotta in macerie; “mi rendo conto
di essere l’ultimo della classe, come
si dice..Lo so..Lo leggo negli occhi
della gente che mi fissa..”.Durante
i primi giorni di povertà, gli sguardi
della gente appaiono compassionevoli oppure indifferenti; dopo anni e
anni vissuti in ginocchio per strada, i
volti delle persone quasi si deformano orribilmente contro te stesso, le
sconfitte personali si conformano ad
essi, e con occhi sbarrati ti ricordano
ogni giorno di far parte di una categoria di persone deboli. Vivere una tale
prova di vita, significa affrontare quo-
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tidianamente la fragilità della propria
condizione, ed è quando si è immersi
nell’incertezza più oscura, che si cerca di pescare dal proprio mare tutto
ciò che possa nutrire una reazione
contraria alle innumerevoli avversità che vorticano attorno a te stesso.
“Mi rincuora svegliarmi al mattino..
Ogni sera, prima di addormentarmi,
temo sia l’ultima volta che possa tenere gli occhi aperti..Cerco di ascoltare quanto più a lungo il mio respiro”.
La routine ci spinge a compiere gesti
ripetitivi e impersonali, quasi inconsciamente; elaboriamo pensieri in
continuazione, discutiamo col nostro
ego di argomenti diversi, evitando
con cura quelli scomodi, quelli che al
solo pensiero ci rendono vulnerabili;
la straordinarietà dell’uomo consiste
nel costituire, al pari dei suoi simili,
un flusso di idee e opinioni diverse
tra loro, sia che ci si trovi in un’ aula
universitaria o in una affollata via del
centro; chi vive perennemente la società perché frequenta esclusivamente la strada, più di ogni altro assorbe
i sentimenti della gente, ed impara
ad osservare e ascoltare.“Osservo la
gente..Sono tutti così indaffarati..Alcuni fingono, sono depress, ma non lo
danno a vedere, vogliono far credere
di aver da fare anche mentre fissano
un volantino per terra. Magari avessi io la sicurezza di lavorare o trovare una famiglia a casa che mi accetti
ancora!”, spiega Giuseppe, offrendo
un sorriso in cambio di un piccolo
dono da un passante; ogni mattina
un signore gli offre un caffè, e poter
entrare per un attimo in un bar al pari
degli altri alleggerisce il fardello dei
luoghi comuni e delle sconfitte che
Giuseppe si porta dietro da tanti anni
di solitudine. Di solito, comunemente si pensa “eh, fanno finta, troppo
facile star lì seduti a chiedere soldi
alla gente..Che vadano a lavorare”:
questa è la voce dell’indifferenza,
un atteggiamento che ci omologa
alla massa informe, al pool genico,
un atteggiamento sviante dinanzi al
timore di poter fare la stessa fine di
un diseredato; la maggior parte degli
uomini fugge da se stessa, ma non
Giuseppe. Nei pochi attimi di intimità che riesce a riservarsi un uomo che
vive in strada, sistema le sue cose in
una specie di fagotto di lana, che porta in spalla, ed ogni giorno trascina
il cumulo delle proprie sconfitte e si
trascina sempre in avanti, a rilento,
sforzandosi di non fermarsi prima di
aver raggiunto una meta, ogni giorno diversa e sconosciuta, “ non ho
paura di affrontare ciò che non posso
conoscere..fa parte del gioco ormai,
secondo me. Purtroppo il mio destino
è quello di dipendere dalla carità altrui”; essere costantemente in bilico,
in equilibrio precario, non viene annoverato nel catalogo dei lavori che una
persona potrebbe compiere, questa
gente non è soggetto di una frase che
potremmo trovare nel comma di un
disegno di legge, questa gente non
fa parte del turbinio dei nostri pensieri. Un mendicante fa parte solo di se
stesso, non possiede nulla, la propria
esistenza è ancorata ad una zattera di
fortuna lanciata verso di lui da un marinaio che abbia voglia di ascoltarlo,
una volta su mille. Chissà se un giorno
Giuseppe riuscirebbe ad abbandonare in un pozzo i timori ed i rimorsi che
lo opprimono, come fanno tutti gli
altri; per adesso, sul fondo giace riflessa soltanto l’immagine sfocata del
suo viso, sopracciglia folte, barba mal
curata, ma tanta, tanta voglia di resistere alla tentazione di far scivolare
dolcemente se stesso, in quel pozzo.
Emanuele Vitale
OTTO MARZO
con in mano un gran frustino
aspetta silvio tra le sedie
come l’orco a pollicino
Chi mi conosce lo sa che sono un po’ (tutto) rincoglionito, in- le studentesse delle medie.
fatti quest’anno avevo pensato che la festa della donna fosse
il 13 febbraio: una manifestazione bellissima dove la donna ha
fatto capire di non essere un oggetto, ma una persona speciale perchè, a differenza dell’uomo, ha con un cuore grande
così. E a differenza di quei comodini con le tette e i culi, fatti
con così tanta plastica che sembra carnevale 12 mesi all’anno,
hanno anche una testa che sa pensare anche ad altro oltre che
ai programmi di merdasec (o mediaset?).Il problema è che
agli “uomini”, o meglio, ai “maschi” (che sono uomini le cui
terminazioni nervose risiedono al 90% nella zona che va tra la
coscia e pancia) piace molto più la suddetta mobilia in lattice
(con libretto di montaggio ikea) che non una vera donna.
C’è poi la categoria “nano malefico magrebino”, a cui non solo
piacciono i mobili, ma adora anche cambiarla tutte le settimane assicurandosi solo prodotti appena usciti di fabbrica, in
genere dalla mora&fede s.p.a. (società per andr...oidi); è talmente tanto ossessionato dalla novità del prodotto che per
trovare roba proprio fresca fresca ne ha combinata una che...
che solo io so, e che voglio raccontare in rima:
davanti a quei cancelli
delle scuole di Milano
si accorsero i bidelli
di un fatto alquanto strano
stava scritto in evidenza
con pallini di mimosa
“se li segui con pazienza
la serata avrai grandiosa”
ed infatti quei pallini
che formavano una scia
se seguiti da vicini
indicavano una via!!
per capire mollan tutto
i bidelli preoccupati
ma non oso dir che lutto
quando furono arrivati!
eran giunti più di cento
ed il posto era vicino
non capite lo sgomento
a legger “villa san martino”.
ma i bidelli con sveltezza
spazzan tutto senza posa
e gettan via nella monnezza
quel tranello di mimosa.
resta senza la serata
il sicofante nano
che infatti è terminata
a nervi tesi e frusta in mano.
E menomale dai...che i bidelli ci hanno messo una pezza
prima che la mettesse lui...
Però la cosa mi fa pensare, ossia: se questa cosa succede
vuol dire che i comodini di cui parlavo prima PURTROPPO
esistono davvero (ad un prezzo di catalago di 7000 euro
iva inclusa)!!!!!
A sto punto ripenso a tutto e capisco che quello che ho
scritto prima sulle donne non è abbastanza, non rende a
pieno...
voi donne siete al contempo....
speciali, ma normali
tranquille, ma aggressive
spensierate, ma complessate
insicure eppure certe
sconclusionate, ma decise
siete luce e siete ombra
notte eppure giorno
rabbia eppure amore
sorriso eppure pianto.
siete dolci ma acidelle
ninfe ma anche furie
complicatissime ma semplicemente donne.
Se di sola polvere è l’uomo, la donna è il soffio di vento che
riesce a spostarla, anche se non si sa dove.
Vi vogliamo bene per questo.
AUGURI!!!
Alessandro Cubattoli
25
I dossier
I dossier
LA LIBRERIA
EMILY DICKINSON
Nei giorni in cui si andava organizzando la manifestazione
del 13 Febbraio, più volte sono stati fatti riferimenti a personaggi femminili di rilievo. In alcune piazze le loro “icone” sono state affisse ai muri con lo scopo di sottolineare
il loro operato civile, il loro contributo offerto all’umanità.
Interessante è stato l’atto di affiancare personalità di altri
tempi con personalità a noi contemporanee (in una del-
le piazze figuravano, ad esempio, Margherita Hack, John
Baez, Grace Slick, ma anche Virginia Woolf , Rosa Luxemburg, Madre Teresa di Calcutta e tantissimi altri volti, ci
teniamo a dirlo, più o meno noti). Noi portiamo in scena
un personaggio storico di riferimento nel panorama letterario, citando alcuni versi della poetessa americana Emily
Dickinson.
La speranza è al centro di sostenute riflessioni nel panorama letterario, sin dai tempi più antichi. Ecco che la
Dickinson ci offre una metafora quanto mai soave della
speranza: un piccolo uccello che canta una melodia senza parole . Forse la speranza non è da considerarsi dal
punto di vista assoluto come “positiva”. Può essere ingannevole, può costituire l’illusione massima, può essere salvifica. E come una melodia senza parole, forse, suscita in noi emozioni diverse a seconda dei nostri umori,
a seconda delle nostre emozioni, ispirazioni, che dobbiamo sforzarci di interpretare. La speranza rasserena,
quieta gli animi, (- e la senti dolcissima – nel vento -),
difficilmente non è ricorsiva nelle situazioni, dona forza
di sopravvivenza per molti (quel “calore” evocato dalla
poetessa). Anche la speranza è dunque assimilabile ad
una divinità bendata, ma capace di ispirare (è diversa
dalla Fortuna), come la piccola creatura “plasmata” da
Emily Dickinson?
Emily nasce nel 1830 a Amherst nel Massachussetts,
muore nel 1886 nella sua città natale, la sua opera è costituita da poesie pubblicate per la maggior parte postume. Della sua biografia ci limitiamo a riferire questo.
L’Emily Dickinson che conosciamo è infatti quella delle
sue liriche: ne riportiamo due integrali che ci parlano di
“speranza” ed “esperienza,” temi simbolici, sia che ci
si rivolga al singolo individuo, sia che ci si rivolga alla
collettività, e alcuni estratti da altri due componimenti,
che ci regalano immagini a dir poco suggestive.
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La “Speranza” è quella cosa piumata Che si viene a posare sull’anima Canta melodia senza paroleE non smette – mai –
E la senti – dolcissima – nel vento –
E dura deve essere la tempesta –
Capace di intimidire il piccolo uccello
Che ha dato calore a tanti –
Io l’ho sentito nel paese più gelido –
E sui mari più alieni –
Eppure mai, nemmeno allo stremo,
ha chiesto una briciola – di me.
Portami il tramonto in una tazza
Sommami le caraffe del mattino
E dimmi quante stillano di rugiada.
Dimmi fin dove salta il mattino –
Le emozioni, i sentimenti, fra cui il dolore e la soffe- Dimmi fin quando dorme colui
renza, sono insiti nella natura biologica dell’uomo, a Che intreccio e lavorò le vastità d’azzurro.
prescindere dai contesti. L’esperienza, tante volte chiamata in causa, ci porta sulla cattiva strada, ed è da qui Scrivimi quante sono le note
che nascono la presunzione, l’arroganza, forse pure la Tra i rami incantati
frustrazione e l’orgoglio. Questa è una lirica intrisa di Raccolte nell’estasi del nuovo pettirosso
un velo di pessimismo equilibrato, allegorica dell’idea
stessa di esperienza, nella sua accezione “negativa” , […..]
ricordando la duplice natura propria ad ogni idea e ad
ogni concetto.
Chiudiamo con due immagini. Come negli alberi i rami
sono quella componente che meglio rappresenta il loro
essere vita, nella mano la visibilità delle vene è espresL’esperienza è una strada tortuosa
sione della vita stessa. Vene che ricordano piccoli rami.
Che la mente – paradossalmente –
Potremmo forse azzardarci a dire che quest’immagine
Preferisce alla mente stessa –
rappresenta la capacità stessa dell’anima poetica di
Con la presunzione di far strada
rintracciare quelle corrispondenze che meglio ci permettono di comprendere la nostra natura così come
Proprio al contrario – Quanto contorta
la realtà che ci circonda. Ed Il bicchiere che si appanna
L’autodisciplina dell’uomo –
a contatto con le labbra accoglie un’impronta insolita,
Che lo costringe a scegliersi con le sue stesse mani
un’impronta che prova un’esistenza, non quindi un pasI dolori cui è stato destinato in precedenza
saggio, non quel viaggio rappresentato dalle piante dei
piedi o dai palmi delle mani.
La natura incontaminata è un motivo che ricorre nella
tradizione poetica in tutta la sua periodizzazione. In Sospetto di essere – viva –
questi versi la Dickinson ci offre una visione totalizzante Nella mia mano i rami
della natura, non tralascia neppure il riferimento al divi- Sono ricchi di campanule
no (spesso presente nella sua opera poetica). Bring me E sulla punta delle dita –
the sunset in a cup, per citare l’originale verso iniziale
(la poesia reale è quella in lingua originale!) suggerisce Tiepido punge il carminio –
un’intonazione romantica associata al desiderio di frui- E se contro le labbra premo
zione di ciò che la natura offre. Straordinario l’accenno Un bicchiere s’appanna –
al motivo musicale, laddove la musica è elemento di E questa è la prova media che sono – viva –
natura, solo codificato dall’uomo, la melodia del pettirosso non può che esser fatta di suoni corrispondenti a [….]
note musicali che attraversano le fronde degli alberi.
Enea Conti
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DIRETTRICE
FRANCESCA ANTONELLA DE NISI
REDAZIONE
ENEA CONTI, MICHELE FORLIVESI, LAURA PERGOLIZZI, LUCA ROSSI, FEDERICO TICCHI, NICOLA USAI, EMANUELE VITALE
GRAFICA
IVAN ANDRES SAAVEDRA ROSAS
COPERTINA
TERESA SAVIANO
HANNO COLLABORATO
ALESSANDRO CUBATTOLI, FEDERICA NUZZO, GIULIA TRAVAIN
CONTATTI
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EVENTI
23 MARZO, FESTA PROGRE', AL LORD LISTER, VIA ZAMBONI 56 (IN FONDO)
24 MARZO, INCONTRO-DIBATTITO SULLA COMPLICATA SITUAZIONE DELLE CARCERI, IN ITALIA E ALL'ESTERO
Rivista mensile dell'associazione Progrè, realizzata con il contributo dell'Alma Mater Studiorum.