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Appunti del corso di Pedagogia della comunicazione sociale 2011-2012 Tema del corso Prospettive empatiche dell’educazione nella letteratura scientifica più recente. Frans de Waal, zoologo ed etologo, è specializzato nello studio dei primati. È nato in Olanda e attualmente insegna psicologia alla National Primate Research Center di Atlanta, dove conduce le sue ricerche. Tra le sue opere, due saggi tradotti in tutto il mondo: La politica degli scimpanzé (1984), Far la pace tra le scimmie (1990), Naturalmente buoni (Garzanti, 1997). Del suo ultimo libro ha dichiarato: «L'avidità ha fatto il suo tempo. Ora è il momento dell'empatia. La natura umana ci offre un grande aiuto in questa impresa. Certo, la biologia è spesso chiamata in causa per giustificare una società basata su principi egoistici, ma non dovremmo mai dimenticare che essa ha anche prodotti il collante che tiene insieme le comunità. E' lo stesso collante che tiene insieme molti altri animali. Vivere in armonia con gli altri, agire in modo coordinato e prendersi cura dei bisognosi non sono caratteristiche esclusive della nostra specie. L'empatia umana ha alle spalle una lunga storia evolutiva». Come spiega Frans de Waal, la cooperazione e la responsabilità sociale hanno un ruolo fondamentale in diversi gruppi animali. Questi comportamenti “altruistici” non sono comparsi all'improvviso: si sono infatti radicati nel corso della lunga storia dell'evoluzione. Non sono una caratteristica esclusiva della nostra specie: gli scimpanzé chiedono una porzione di cibo allungando una mano con il palmo rivolto verso l'alto; alcune specie animali hanno sviluppato un certo senso dell'equità e della giustizia; ed è probabile che i mammiferi provino piacere ad aiutare gli altri, come noi ci sentiamo meglio quando ci comportiamo bene. Fino a poco fa l’empatia non veniva presa sul serio dalla scienza. Era considerato un argomento assurdo e classificata tra fenomeni sovrannaturali come l’astrologia o la telepatia. Difficile, almeno fino a trent’anni fa, trovare riscontri su questo argomento. Tutto ciò che aveva a che fare con l’empatia veniva considerato come qualcosa di indeterminato, “roba per deboli di cuore, più adatta alle riviste femminili che alla scienza dura e pura” (p.125). Oggi invece la letteratura sull’argomento si è venuta infittendo sulla base di studi e osservazioni scientifiche, da osservatori e campi disciplinari diversi. Mettendo a confronto le più recenti acquisizioni dell'etologia e il pensiero dei maggiori pensatori politici, Frans de Waal ci offre una riflessione importante sulla nostra società e sulle motivazioni più profonde di ciascuno di noi. In un'età di profonde inquietudini e trasformazioni, L'età dell'empatia ci fa capire che vivere in armonia con gli altri, agire in modo coordinato e prendersi cura di chi ha bisogno non sono caratteristiche esclusive della nostra specie. Partendo dall'osservazione dell'uomo e di altri animali, ci offre suggerimenti di grande attualità politica. “L’avidità è bene; è giusta e funziona” diceva il finanziere d’assalto in Wall Street, nel film di Oliver Stone. Si tratta allora di capire – per de Waal - quale sia l’essenza dello spirito evolutivo. Nella natura umana – nelle scienze sociali – è tipicamente hobbesiana. Per un biologo che si occupa anche dell’interazione tra natura umana e società tuttavia, l’affermazione di Hobbes Homo homini lupus è discutibile, perché parte da presupposti falsi osservati su una specie diversa. A differenza di altri, il biologo non cerca di giustificare una particolare ideologia, vuole sapere cos’è la natura umana. Da dove viene. Se lo spirito evolutivo sta davvero tutto nell’avidità come amano credere i conservatori, anche se non credono che l’evoluzione sia una realtà. I conservatori americani ad es. non credono nella teoria darwiniana bensì nel darwinismo sociale che non assiste né malati né deboli poiché per natura debbono cavarsela da soli o perire. Di recente, un senatore dell’Arizona ha dichiarato di aver votato contro la sanità gratuita per le partorienti, perché lui non ne ha avuto e presume di non averne mai bisogno! “Usiamo il cellulare – afferma de Waal – , pilotiamo aerei, ma in sostanza la nostra psicologia è quella di un primate sociale”. ….. Anna Maria Meneghini, Sentire e Condividere, Seid Editori, Firenze 2010, pp.240 Eu 25,00 Il concetto di empatia della Meneghini nasce nell’ambito dell’opera d’arte: utilizzato nella seconda metà dell'Ottocento in relazione al godimento estetico, solo successivamente si è diffuso in ambito filosofico e poi psicologico. Nel 1905 Lipps ricorse al termine Einfühlung (ein = dentro; fühlen = sentire) per sottolineare come il piacere estetico non risieda nell'oggetto ma nel suo goderne da parte del soggetto, l'opera dell'artista è "compartecipata", non solo osservata. Pochi anni più tardi Titchener coniò il termine "empatia" (dal greco empàtheia) intendendo con esso quel rapporto con persone o oggetti che implica una tendenza naturale a "sentire dentro" e ad esprimere con il proprio corpo l'espressività dell'oggetto o dell'altro: osservando il gesto in una persona si proietta se stessi sull'altro, si tende a manifestarne i gesti e a provare ciò che l'altro sta provando. A cento anni di distanza, l'empatia viene oggi considerata fondamentale per la comprensione degli altri, per la condivisione degli affetti e per un buon funzionamento delle relazioni sociali. Essa è alla base delle relazioni significative degli esseri 1 umani e attraverso le sue diverse forme si suppone caratterizzare i legami interpersonali. Nel bambino, mano a mano che si sviluppa la differenziazione tra sé e altro da sé, si passa dal contagio emotivo a forme diverse di empatia. Così, anche nell'adulto, la condivisione empatica permette di andare oltre l'idea di emozione come fenomeno puramente privato, dando conto della possibile compartecipazione dei vissuti affettivi tra due o più persone. Attraverso l'analisi delle sue componenti emotive e cognitive, il libro traccia una panoramica dei principali studi e modelli proposti in campo psicologico relativamente al fenomeno empatico, integrandoli con le recenti acquisizioni delle neuroscienze, nella convinzione che una maggiore conoscenza dell'empatia passi proprio attraverso il "dialogo" tra i due approcci. Nei due suoi più recenti volumi (Civiltà dell’empatia, 2010 e La Terza Rivoluzione industriale, 2011, Rifkin parte dall’ apparente paradosso che la vita dell’uomo non sia mai stata davvero raccontata, e che solo grazie a recenti scoperte nella neurologia e nelle scienze dell’età evolutiva, siamo in grado di sfatare alcuni pregiudizi sulla natura umana, rimuovendo una radicata convinzione che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi e dominati dall’interesse personale. Paradossalmente tuttavia l’espansione della coscienza umana, resa possibile dall’espansione della sensibilità empatica, ha comportato un enorme impiego di risorse naturali che ha condotto a un drastico deterioramento della salute del pianeta. Al centro della storia umana egli pone dunque questa paradossale relazione che intercorre tra EMPATIA ed ENTROPIA. Nelle tre parti del suo volume ricostruisce l’affascinante storia dello sviluppo dell’empatia nell’uomo (dal nostro antico passato mitologico all’ascesa delle civiltà tecnologiche) attraverso questo permanente dualismo. Il paradosso è che mentre l’empatia si va estendendo dalla biosfera e a tutte le creature viventi sulla terra, sfortunatamente ciò avviene in un momento in cui le strutture economiche stanno assorbendo rapidamente le risorse della terra e minacciano la biosfera. Da una parte dunque avanza l’espansione empatica, dall’altra aumenta l’entropia. Stiamo cercando di contenere la spinta entropica nel momento in cui il pianeta geopolitico è più fortemente compromesso. Siamo riusciti a empatizzare con gli orsi polari e i pinguini proprio quando i ghiacciai si vanno sciogliendo a causa del riscaldamento globale. La previsione è che per il 2030 potrebbe non esserci più ghiaccio a coprire il Polo Nord (cfr.altri dati scientifici a pag.26). Osservare la storia economica attraverso la lente dell’Empatia consente all’Autore di scoprire aspetti fin qui nascosti, che rovesciano le interpretazioni che si sono avute nell’Età Moderna sulla natura dell’uomo. Ne esce fuori quello che Rifkin definisce un “nuovo arazzo sociale”, tessuto con l’apporto di discipline diverse nell’ambito delle scienze umane: dalla letteratura alle arti, dalla teologia alla filosofia; dall’antropologia alla sociologia; dalle scienze politiche alla psicologia, alla teoria della comunicazione. Viviamo nell’Era dei grandi rischi. Le forze profonde della terra sembrano risvegliarsi tutte insieme, spezzando gli equilibri raggiunti da secoli e millenni, e mettendo in pericolo la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali. Dissesti climatici e geologici, scioglimento dei ghiacciai, terremoti ai massimi gradi di magnitudo, maremoti: onde anomale degli tsunami (New Orleans, Haiti, Sri Lanka, Giappone). Lo scontro tra le piattaforme continentali e le rovine che ne derivano producono centinaia di migliaia di morti e di senza tetto. La nostra specie, che sembra aver raggiunto un punto clou dell’evoluzione, soffre per le ferite inferte al proprio ecosistema a partire almeno dalla prima rivoluzione industriale. Non c’è un’uscita di sicurezza. Siamo perciò obbligati a immaginare altre modalità dello stare al mondo: dobbiamo apprendere per tempo a rispettare la natura che abbiamo piegato e sfruttato; dobbiamo riscoprire nell’antropogenesi, ossia nella memoria profonda della specie, le risorse della mutualità compassionevole (nel senso etimologico del termine che implica relazione, comunicazione, condivisione). Rovesciare il tavolo del turbocapitalismo, ossia di un’organizzazione pervicacemente profittevole delle risorse, non sarà facile. Ma le tecnologie di rete aprono a una ragionevole speranza; esse consentiranno forse di correggere la deriva entropica a vantaggio di una connettività più inclusiva. L’ondata di energia positiva sollevata dalle popolazioni tra la sponda atlantica e l’oceano indiano al grido di pane e libertà ha fatto del web un punto di raccolta e di comunicazione essenziale. Si tratta di uno tsunami sociale, di intensità analoga al fenomeno geologico che sconvolge gli oceani. La stessa emergenza energetica – ha spiegato l’A. nel suo tour europeo di presentazione di questo suo ultimo libro – può essere affrontata beneficiando del modello reticolare di Internet, in un sistema di distribuzione dell’energia rinnovabile, su scala planetaria. The Age of Empaty consta di tre parti ciascuna delle quali comprende 5 capitoli: La prima parte è dedicata all’esame della nuova visione della natura umana che sta emergendo con la scoperta dell’ Homo Empaticus nell’ambito delle scienze umane e naturali. La seconda parte analizza le correnti empatiche e le grandi trasformazioni della coscienza che hanno accompagnato ogni civiltà, ciascuna più complessa e più affamata di energia della precedenteLa terza parte illustra l’attuale corsa verso la massima empatia globale sullo sfondo di una sempre più accelerata distruzione entropica della biosfera terrestre. L’attenzione qui è posta alla Terza Rivoluzione industriale che sta inaugurando una nuova era di capitalismo distribuito e 2 creando le condizioni per una coscienza biosferica. Nelle pagine finali Rifkin avanza la suggestiva ipotesi della fine dell’età della ragione profittevole e strumentale che starebbe per essere sostituita dall’era dell’empatia. C’è solo da chiedersi se potremo disporre del tempo necessario perché questa rivoluzione culturale si compia, considerate le gravi condizioni in cui versa il pianeta. PARTE PRIMA HOMO EMPATICUS Rifkin spiega bene le conseguenze del fatto che oggi, nel terzo millennio, siamo ancora in gran parte dipendenti dalle idee sulla natura umana formulate nei secoli XVIII-XX (Bacone, Locke, Cartesio, Smith, Freud ecc.). Idee peraltro già messe in discussione dai loro stessi coevi (Goethe, ad es. riteneva che il migliore approccio alla natura sia quello partecipato, più che quello freddo dell’osservatore distaccato della cosa, o delle cose in sé). La predisposizione all’empatia è integrata al nostro stesso sistema biologico, ma solo negli ultimi cento anni questo atteggiamento ha potuto progredire su basi scientifiche, grazie alle teorie evoluzionistiche di Darwin e ai contributi di scienziati della mente che, a partire da Melanie KLEIN, sbrecciarono le mura della fortezza freudiana, introducendo una visione diversa della natura umana. Una nuova generazione di biologi, filosofi, psicologi, linguisti e neuro scienziati avrebbe spostato il principio del cogito moderno a vantaggio del principio di partecipazione. Partecipo, ergo sum. Un approccio nuovo della natura umana che riscriverà la storia dell’uomo, gettando le basi di una nascente Era dell’empatia. Per il filosofo Michail BACHTIN essere significa comunicare: essere per l’altro e, attraverso l’altro, per sé. Prima di lui, gli Enciclopedisti, sia pure in una impostazione ancora meccanicistica del mondo, avevano definito la comunicazione come una trasmissione di energia tra corpi; trasmissione di energia: un moto che un corpo imprime a un altro corpo, trasmettendogli energia. Che differenza rispetto al mondo di Cartesio, dove ciascuna mente opera indipendentemente ed è incorporea, e perciò non ha necessità di entrare in relazione con l’altro al fine di conoscersi e sperimentare l’esistenza altrui. La grande trasformazione dal cogito al partecipo, colloca l’empatia al centro della stessa storia dell’uomo. Un posto che sempre avuto, ma che solo oggi abbiamo riconosciuto. Henryk SKOLIMOWSKI parla a tale proposito di un legame di partecipazione (= prender parte a un’azione). Se riconosciamo questo legame riconosciamo l’empatia. Diversamente dalla simpatia che è più passiva, l’empatia – una volta riconosciuta – richiede agli scienziati della psiche, ai medici e agli operatori sociali in generale, comportamenti attivi: la disponibilità, ad es., da parte degli stessi sperimentatori, a diventare essi stessi parte dell’esperienza dell’altro e di condividerne le emozioni. L’Empatia si rivelò subito come un concetto nuovo e potente, diventando oggetto di controversie negli ambienti accademici. Tra il XIX e il XX sec.ebbe i primi e principali teorici in Theodor LIPPS e Robert VISCHER. Il sentire dentro della parola Einfülung mostra come l’Empatia sia un circuito psicofisico utile alla conoscenza di sé e degli altri. È dai segnale esterni emessi dal corpo della persona che abbiamo di fronte che comprendiamo cosa accade “dentro” di lei. Ed è proprio in virtù di questa relazione dialettica IO-TU – come nota Edith STEIN che il nostro io si edifica Empatici si nasce o si diventa è la domanda conseguente che di recente si pone Andrea Pinotti (Empatia.Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza, Roma-Bari 2012.) E se J.F. Lyotard si domanda se l’iperreale televisivo non ci abbia resi indifferenti alla sofferenza umana (cfr. pure Blumenberg, Naufragio con spettatore), Pinotti si chiede “che destino attena l’empatia di un mondo – l’era di Facebook – in cui la dimensione dell’intersoggettività non può oramai essere ricondotta all’interazione fra due o più soggetti in carne ed ossa che si guardano negli occhi, finestre dell’anima” (Recensione ad A.Pinotti di A.LiVigni,Sole24ore n,14,15.01.2012 pag.35). (aggiunta del 25 genn.2012) George Herbert MEAD, filosofo e psicologo, affermava che ogni essere umano si mette nei panni dell’altro per valutarne i pensieri, i comportamenti, le intenzioni e rispondere con una reazione adeguata. Ed era d’accordo con lui il più noto psicologo Jean PIAGET, pronto ad ammettere che fin da 3 bambino l’individuo acquisisce capacità sempre più sofisticate di “leggere” l’altro in modo da stabilire relazioni sociali. Altri psicologi, con inclinazioni più romantiche avrebbero poi considerato l’empatia uno stato affettivo o emotivo, ma con una componente cognitiva. Più spesso, come suggerisce Martin HOFFMAN, l’empatia lavora a un livello più profondo; è una risposta alla sofferenza dell’altro, ma anche alla sua gioia (la gioia però è più rara ed evanescente; molto più di quanto non sia difficile smaltire un dolore). La condivisione empatica della gioia di un nostro simile deriva da una conoscenza personale dei suoi sforzi per raggiungere un obiettivo. L’interesse per gli effetti dell’empatia dunque si è sviluppato solo di recente, nel corso del ‘900, quando essa è diventata un argomento di grande importanza per molte discipline: dalla medicina alla gestione delle risorse umane. Dobbiamo considerare Sigmund FREUD come l’ultimo grande esponente del materialismo. Nelle sue tesi confluiscono le argomentazioni materialiste dell’illuminismo settecentesco e una versione secolarizzata del concetto di natura umana, fallace e depravata, derivata dalla dottrina medievale della Chiesa. Allineandosi alla teoria utilitaristica del Settecento Freud concepì la vita umana scissa tra due polarità: da una parte l’uomo tende a evitare il dolore; dall’altra, a cercare il piacere. Considerò perciò l’utile e il piacevole la molla di ogni attività umana, giungendo alla conclusione che il prototipo di ogni felicità è nell’Eros. La spinta verso la soddisfazione sessuale è così potente da far diventare tutta la vita uno strumento per raggiungere il piacere. L’erotismo genitale è posto al centro della vita stessa. Lasciato senza controllo, e guidato dalla Libido, l’uomo si trasforma in “bestia selvaggia”, alla quale resta estraneo il rispetto per la propria specie. Nello schema freudiano, la civiltà è una sorta di compromesso che l’uomo ha accettato malvolentieri, e al solo scopo di barattare una parte delle sue possibilità di felicità per un po’ di sicurezza. Non ci volle molto perché questa nuova visione erotizzata della natura umana venisse applicata da un suo contemporaneo, John B. WATSON (altro pioniere nel campo della psicologia) al nascente settore della pubblicità di massa. Afferma Rifkin che gran parte del successo del capitalismo consumistico del secolo passato fu dovuto – almeno in buona parte – all’erotizzazione dei desideri e alla sessualizzazione del consumo. Gli annunci pubblicitari del resto sono intrisi di riferimenti erotici. Come molti suoi contemporanei, Freud fu costretto a scontrarsi con i nuovi principi della termodinamica e con la legge della conservazione dell’energia1, le quali indicano come l’organismo biologico e le comunità viventi siano coinvolte in una lotta incessante per creare ordine, contro il freno dell’entropia, dell’equilibrio e della morte. Se l’uomo si limitasse a essere uno strumento di distruzione e di morte, la sua natura non sarebbe compatibile né con la teoria dell’evoluzione biologica, né con le leggi newtoniane della termodinamica. Freud trovò una via d’uscita a questa empasse delineando il concetto di pulsione di morte, (che forse gli venne da una sua allieva, Cristina Spielrain, allieva pure di Jung) sarebbe diventato il fulcro della sua visione della natura umana. Questo concetto cominciò a prender corpo in un suo scritto del 1920, dal titolo Al di là del principio del piacere (vol.IX delle Opere, Boringhieri). Oltre alla pulsione di conservare la sostanza vivente e legarla in unità sempre più vaste, esiste un’altra pulsione, opposta, che mira a dissolvere questa unità e a ricondurla allo stato primordiale inorganico. Dunque, oltre all’Eros, una pulsione di morte, ossia un impulso all’aggressività e alla distruzione, nel senso che l’essere vivente distrugge qualcos’altro di animato o di inanimato, anziché se stesso. La limitazione di questa aggressività verso l’esterno porta come conseguenza la intensificazione dell’autodistruzione. In prima istanza la pulsione di morte si manifesta in forma di sadismo; in seconda 1 Le leggi della termodinamica sono legate al nome di Einstein. La prima (legge della conservazione) enuncia che l’energia non può essere né creata né distrutta. Che la sua quantità totale rimarrà inalterata fino alla fine. La seconda enuncia che l’energia fluisce sempre in direzione vettoriale: dal caldo al freddo, dal concentrato al disperso; dall’ordine al disordine. Sulla base di questa seconda legge, quando l’energia si trasforma una parte di essa si perde nello stesso processo di trasformazione. Questa perdita è detta ENTROPIA, termine coniato dal fisico Rudolf Clausius nel 1868. Fu il biologo Harold Blum a spiegare come la biologia sia perfettamente coerente con le leggi della termodinamica. Tanto più evoluta è una specie nella gerarchia della natura, tanta più energia richiede per conservarsi e tanta più entropia genera nel processo messo in atto per mantenersi in vita. L’antropologo Leslie White giunse alla conclusione che una cultura è tanto più evoluta quanto maggiore è la quantità di energia utilizzata pro-capite per trasformare l’energia in lavoro. Le grandi rivoluzioni economiche della storia si sono verificate grazie alla concomitanza di nuovi regimi energetici e lo sviluppo della comunicazione. Le nuove rivoluzioni delle comunicazioni diventano i nuovi meccanismi di comando e di controllo del flusso di energia nella civiltà. Cfr Rifkin, op. cit.pp.26-35 4 in forma di masochismo: entrambi sono espressione della pulsione sessuale istintiva. La pulsione sessuale cerca sfogo nell’impotenza (dominio sugli altri nel caso di sadismo e nell’autodistruzione nel caso del masochismo). Alla fine Freud giunse alla conclusione che tutta la vita è al servizio della pulsione di morte. Non tutti però accettarono questa visione profondamente pessimistica della natura umana. Fra gli stessi psicoanalisti ben pochi accettarono che ogni emozione umana dovesse essere considerata una repressione residuale della pulsione sessuale e della pulsione di morte. Stranamente, nell’analisi di Freud era assente ogni considerazione sull’amore materno: una forza potente e inoppugnabile estesa nel regno animale. Affrontò apertamente questo tema in Il disagio della civiltà (1929, vol.X delle Opere, Boringhieri), una delle ultime sue opere, dove ammise di non essere riuscito a scoprire in sé questo “sentimento oceanico”, pur riconoscendo che altri potessero provarlo. Considerava invece il bambino guidato fin dall’inizio dalla libido: la madre, lungi dall’essere un oggetto d’amore sarebbe oggetto di utilità sessuale e materiale, attraverso cui soddisfare una pulsione innata al piacere e alla soddisfazione sessuale. Occorre aggiungere che Freud rimase sempre perplesso sulla figura e sul ruolo femminile, a parte quella non oppugnabile di generare e di accudire i propri bambini. Si limitò ad affermare che la somma totale del comportamento femminile è in ultima istanza un riflesso dell’invidia del pene che la femmina porta con sé fin dalla vita prenatale. Secondo Freud attaccamento, affetto, amore apparterrebbero al vocabolario dell’illusorio,: la relazione parentale è utilitaristica e pensata per massimizzare il piacere. Volle rivelare il punto critico di tutta la sua epoca nella nostalgia del padre: il principio di Autorità che garantisce protezione e sicurezza in cambio di obbedienza cieca e incondizionata. Scrisse: “non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre”. Da qui faceva discendere un impulso religioso, strettamente utilitaristico. Mentre l’amore materno, le sue cure, ecc. non sarebbero altro che prodotti dell’immaginazione che maschera una profonda pulsione narcisistica. Sostiene Rifkin (p.50) che Freud tuttavia fu “l’ultimo esponente della vecchia guardia, che ha fatto una brillante arringa a favore dell’antica narrazione patriarcale”. Il concetto di inconscio utilizzato per affermare che il dominio maschile sul mondo è nell’ordine naturale delle cose. La storia del complesso di Edipo è una “immaginifica sceneggiatura teatrale”, pensata per collocare il protagonista maschile al centro della storia del genere umano. Tutto intorno però le società europee stavano abbattendo le mura erette a difesa del patriarcato, liberando le donne da millenni di schiavitù e subordinazione. La diffusione della stampa, l’avvento del telefono, l’alfabetizzazione di massa, e poi il cinema, la radio, la televisione, l’automobile, l’elettrificazione delle case, l’impiego degli elettrodomestici, ecc. resero possibili nuove possibilità di comunicazione e più estese forme di relazioni sociali. Tutto questo non poteva passare inosservato a una generazione di più giovani psicologi, molti dei quali allievi dello stesso Freud, che misero in discussione la sua visione della natura umana. Sarebbero venuti alla luce da lì a non molto studi sperimentali importanti nel campo dell’osservazione clinica dei comportamenti dei bambini piccoli: Melania KLEIN, FAIRBAIRN, KOUTH, WINNICOTT, SUTTIE, LEVY, BAKWIN, BOWLBY, AINSWORT e altri dopo di loro. Fu proprio Melania KLEIN, la più brillante discepola di Freud a restituire alla figura materna un ruolo cardine nella storia dell’uomo. Pur accettando l’idea freudiana che tanto il piacere quanto l’aggressività siano pulsioni primarie, ella pose maggiore enfasi sulla seconda, osservando che l’aggressione è in prima istanza rivolta verso il seno materno, scindendo l’oggetto primario, il seno, appunto in oggetto che soddisfa la sua pulsione libidica (seno buono) o lo frustra e lo punisce, negandogli soddisfazione (seno cattivo). L’aggressione primaria è rivolta verso la madre, non verso il padre. Crescendo, il bambino comincia a riconoscere la madre non più come seno, ma come un essere che lo accudisce, e l’ambivalenza provoca un senso di rimorso e di colpa, e – insieme – un desiderio di riparazione per non distruggere la relazione dalla quale dipende per soddisfare la propria libido. Pur considerando la pulsione primaria libidica e aggressiva, la Klein lasciava però spazio alla possibilità che le relazioni umane venissero temperate dalla socialità. Non riuscì a fare il passo avanti (per fedeltà al suo maestro), ossia non riuscì a convincersi che la stessa socialità è una pulsione primaria. Altri avrebbero poi battuto quella strada, interpretando la 5 libido freudiana, e la necessità di soddisfarla, come un fondamentale bisogno umano di accudimento, di attenzioni e amore. Fu William Ronald FAIRBAIRN a introdurre il principio di relazione oggettuale nel rapporto primario madre-figlio. Rovesciando la tesi di Freud, Fairbairn affermò che la struttura dell’Io comincia a svilupparsi alla nascita e gli impulsi sono strumenti attivi attraverso i quali l’Io cerca la relazione con gli altri. Il vero significato dei principio di realtà sta nel fatto che ogni bambino cerca l’altro per costruire ponti di relazione, fin dalla nascita: Egli è quindi impegnato a costruire connessioni con gli altri, al fine di consolidare le relazioni. Se l’obiettivo primario della socialità è frustrato, il principio di piacere ne prende il posto come sostituto. Quest’ultimo è perciò un principio sussidiario che segnala un impoverimento delle relazioni oggettuali, e che entra in opera nella misura in cui il principio di realtà fallisce. Il principio di realtà insomma è la vita di relazione. Perché un lattante si succhia il pollice? Freud avrebbe risposto: perché la bocca è una zona erogena e il succhiare gli procura un piacere erotico. Ma Fairbairn incalza: perché il pollice? Perché l’infante si procura una relazione sostitutiva del capezzolo materno per soddisfarsi. Quindi è la relazione oggettuale che determina l’atteggiamento libidico. Tutte le forme di sessualità infantile che ossessionavano Freud – afferma Fairbairn – sono azioni compensatorie per alleviare l’ansia del bambino per ciò che veramente desidera, ma che gli viene parzialmente o totalmente negato. Leggere a pag.85 citazioni dell’autore sul rapporto tra frustrazioni e desiderio del bambino di essere amato come persona: Conseguenze traumatiche in caso di fallimento delle sue relazioni affettive). Altri si sarebbero uniti a Fairbairn nella critica a Freud e al tentativo di delineare una contro teoria della natura umana centrata sull’importanza della relazione sociale per lo sviluppo della psiche e del Sé. Tra questi va segnalato Heinz KOUTH, il quale concordava col Fairbairn sul fatto che la pulsione distruttiva non è intrinseca all’uomo, ma – al contrario – è espressione del fallimento nella costruzione di relazioni affidabili: La pulsione distruttiva si manifesta quando il bambino sperimenta ripetuti fallimenti con un oggetto relazionale. Ciò perché il bambino è affamato di risposte empatiche ottimali. Attenzione però: non va confusa una pulsione all’assertività, tipica dei bambini che cominciano a voler affermare il proprio Io in situazione di sicurezza delle relazioni primarie (presenza genitoriale, cure materne, ecc.) con l’aggressività che rappresenta invece la mancata realizzazione della relazione sé-oggetto, a causa di un deficit empatico da parte di uno o di entrambi i genitori. Dalle sue osservazioni cliniche, Kouth pervenne alla conclusione che non sono le pulsioni in sé, ma la minaccia all’organizzazione del sé, a essere fondamentali per lo sviluppo. Se la risposta empatica dei genitori è debole o inesistente, lo sviluppo del bambino si arresta. E a quel punto insorgono manifestazioni distruttive come la rabbia, il pianto isterico, le auto afflizioni corporali. L’importanza di avere genitori affettuosi ed empatici è fondamentale nella determinazione del tipo di adulto che diventerà. Determinante è quindi la matrice empatica in cui siamo cresciuti. Non è importante e c’è poca differenza tra chi sia il fornitore delle prime cure parentali. La madre biologica non è essenziale. E qui Kouth fa valere l’episodio delle madri surrogate, già citato da Melania Klein e Sophie Dann, nella fattispecie di sei bambini sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti grazie alle cure di gruppi di donne che per tre anni si erano avvicendate nella cura. Quando una o alcune di esse venivano sterminate, il gruppo successivo li prendeva in carico, fino alla loro scomparsa. Comprensibilmente i bambini erano disturbati, ma riuscirono ugualmente a sviluppare un loro sé coeso: cosa che poteva spiegarsi solo sull’affetto delle donne che si erano preso cura di loro. Di madri surrogate parla anche De Waal, ricordando l’episodio di una madre che nel terremoto del 2008 che colpì la Cina allattò al seno numerosi bambini rimasti orfani. “Nulla di ciò accadrebbe – commenta de Waal – senza la nostra capacità di essere empatici” (de Waal, p.142). All’attacco frontale mosso contro la teoria freudiana della natura umana si aggiunsero altri contemporanei. Tra gli altri, in posizione più defilata, ma non per questo meno efficace, va ricordato David WINNICOTT, un pediatra con molti decenni di esperienza nel lavoro coi bambini. Winnicott sviluppa una tesi più radicale, partendo dal presupposto che i bambini non esistono autonomamente e non hanno un senso di sé coerente e individuale, e che l’individuo si forma nella relazione. È insomma la relazione a creare l’individuo e non viceversa. E dimostra la sua tesi con il 6 racconto della prima consapevolezza di ogni neonato, che è quella di cercare il capezzolo materno. Nel corso della sua lunga esperienza pediatrica aveva potuto osservare che il modo in cui il neonato viene introdotto al seno materno determina il corso del futuro sviluppo del bambino come individuo: Poiché questo primo atto rappresenta la primissima iniziazione a una relazione con un altro essere, la modalità con cui la relazione è avviata è della massima importanza. È anzi determinante per il tipo di aspettative che il bambino sviluppa riguardo agli altri (leggere a pag.58 il bambino che “crea” il capezzolo-mondo). Conclusione provvisoria: Fairbairn, Kouth e Winnicott, ciascuno a suo modo, hanno creato una contro teoria della natura umna, che enfatizza l’importanza della relazione umana rispetto alle pulsioni libidiche nello sviluppo della psiche e del Sé individuale. A questa impostazione si attenne anche uno psichiatra scozzese di Glasgow, Ian SUTTIE, autore di un libro pubblicato poco dopo la sua morte (1935), dal titolo Le origini dell’amore e dell’odio. Un libro di cult per molti anni, introvabile ma fondamentale. Una radicale riformulazione delle teorie freudiane in una visione più ottimistica della natura psichica dell’uomo. Suttie sostiene il bisogno innato di socialità in ogni neonato e la centralità della socializzazione nella natura umana. Tutti i successivi interessi della persona (modalità con cui giochiamo, competiamo, perseguiamo i nostri interessi culturali, economici e politici sono sostituti della prima relazione fra madre e figlio. La prima infanzia è dominata da un bisogno di socialità insaziabile; da un istintivo bisogno di fare e ricevere doni, ossia di confermare continuamente la reciprocità. Da qui il valore della tenerezza nella creazione di un legame empatico. Attraverso tutta una serie di studi su infanti allevati in orfanatrofi o accolti in famiglie adottive, alcuni psicologi misero a fuoco risultati sconcertanti che confermavano la tesi della socialità. Lo psicanalista David LEVY, ad es. studiò il caso di bambini internati, la maggior parte dei quali provenivano da orfanatrofi o da famiglie affidatarie, prima di trovare una famiglia adottiva. La sua attenzione si concentrò sul fatto che quei bambini che non avevano avuto un legame con una figura materna, per quanto sembrassero affezionati, in realtà mostravano poco trasporto emotivo; spesso erano sessualmente aggressivi, e assumevano comportamenti antisociali (furto, bugie e incapacità di instaurare legami di amicizia). Levy li classificò come sofferenti per carenza di affetto primario. Altri ricercatori si concentrarono sui bambini ospitati nei brefotrofi. Privati di cure materne, questi sviluppavano personalità psicopatiche. Gli standard igienici fissati nei regolamenti dei brefotrofi imponevano ambienti sterili, per evitare il propagarsi di malattie, e il personale veniva dissuaso dal toccare i bambini o dal prenderli in braccio e cullarli, per timore che si diffondessero germi e patologie. L’allattamento era artificiale e veniva precluso qualsiasi contatto fisico diretto. L’applicazione di questi protocolli portarono a un alto tasso di mortalità infantile (fino al 72% nel primo anno di vita). Fu osservato che i bambini perdevano il desiderio di vivere e morivano per ospedalismo. Loneliness in Infants è il titolo di un rapporto del 1931, il cui autore, il pediatra Harry BAKWIN osservò che l’isolamento aveva raggiunto proporzioni tragiche. Bakwin, che dirigeva un brefotrofio, invertì coraggiosamente quella tendenza, prescrivendo alle accudenti di lasciar cadere le prescrizioni restrittive dei regolamenti (“Vietato circolare senza un bambino in braccio”). Venne a cadere un’altra convinzione epocale: che cioè l’intelligenza dell’individuo fosse predeterminata a livello biologico. Tra gli anni ’30 e i ’40 cominciarono sia pur lentamente a cambiare, in ambito psichiatrico, le convinzioni attorno alla natura umana. Nel 1947, il cortometraggio amatoriale Grief. A Peril in Infancy dello psicanalista René SPITZ, mostrò un gruppo di bambini che avevano goduto per un certo periodo di cure materne e in seguito erano finiti, per circostanze varie, in case di accoglienza e orfanatrofi dove una sola infermiera doveva badare a 45 bambini. Il documentario provocò una profonda emozione nel pubblico di medici e psicologi presenti. 7 Il nome di John BOWLBY è legato alla teoria dell’attaccamento, del tutto coerente al materiale documentario di Spitz. Partendo dalla teoria della relazione oggettuale di Fairbairn, Bowlby argomentò che la prima relazione madre-figlio determina l’intera vita emotiva e mentale. Come Fairbairn riteneva pure che la pulsione primaria di ogni bambino fosse la ricerca di relazione con gli altri. Dopo un anno di vita, il bambino è già un esperto conoscitore delle persone: non solo ha imparato velocemente a distinguere i famigliari dagli estranei, ma fra i membri della propria famiglia ha già individuato i suoi preferiti che segue se si allontanano e cerca quando non ci sono. La loro perdita gli procura ansia e tensione; la loro ricomparsa, sollievo e sicurezza. Su questa base si costruisce la vita emotiva. Rispetto a Freud e ai suoi colleghi, Bowlby fece un passo avanti, contestualizzando le relazioni oggettuali nell’ambito della biologia evolutiva. La sua teoria fu molto influenzata da Konrad Lorenz*, che nel 1935 aveva pubblicato un lavoro sull’imprinting degli uccelli. *La biofilia, che è una forma di empatia rivolta agli animali, deve molto a Konrad LORENZ, padre dell’etologia (l’Anello del re Salomone, E l’uomo incontrò il cane, ecc. tutti in edizioni Adelphi). Nei suoi libri vi sono osservazioni sulle passioni dei pesci, la ferocia delle ortore, sulle oche selvatiche (indimenticabile il capitolo del primo libro cit. sull’ochetta Martina, che si considera figlia dello scienziato che l’ha covata negli ultimi due dei 29 giorni in una covata di venti uova, e gli corre dietro ovunque vada). Il concetto verrà ripreso dal filosofo britannico Owen BARFIELD, per il quale l’umanità, nella sua relazione con la natura, ha attraversato Due grandi fasi (vedi pp.272 e sgg.del vol. La terza rivoluzione industriale) Lorenz rimase molto impressionato dal fatto che in alcune specie di uccelli i piccoli sviluppano legami con una figura accuditrice, indipendentemente dal cibo. Osservò che nei mammiferi un soggetto immaturo si lega a un soggetto maturo per ottenere protezione, indipendentemente dai comportamenti sessuali o alimentari. Notò pure che in tutti i mammiferi l’attività esplorativa è di grande importanza; che i bambini non sono meno curiosi e indagatori di un ricercatore e ne adottano lo stesso metodo per esplorare l’ambiente; che il bisogno di attaccamento e quello di progressivo distacco esplorativo si alternano; che c’è cioè una relazione dialettica tra l’attaccamento e la dipendenza. Frans de Waal ha confermato nelle sue ricerche questo comportamento che si estende anche oltre la sfera dei mammiferi. Bowlby trasse vantaggio da queste ricerche, applicandole ai comportamenti umani, dimostrando come il successo o il fallimento del delicato processo di adattamento-distacco determina la futura vita emotiva e la socialità di ogni bambino.. Se i genitori non conferiscono sicurezza ai bambini, la loro autonomia ritarderà, perché l’ansia da attaccamento, ossia la paura di perdere la o le figure di riferimento, provoca patologie irreparabili: nevrosi, fobie, psicopatie. La convalida alle osservazioni di Bowlby venne dalle osservazioni sperimentali di una psicologa, Mary AINSWORTH, che ne aveva seguito da vicino le ricerche e definì alcune modalità di relazione madrefiglio, osservando tre diverse tipologie di comportamento: a) bambini sicuri nell’attaccamento, che si dimostravano dispiaciuti quando la madre si allontanava, pronti però ad accoglierla con gioia al suo ritorno, confortati dal suo abbraccio; b) bambini evitanti nell’attaccamento, che sembravano più distanti dalla madre; dispiaciuti del suo allontanamento, ma che mostravano interesse al suo ritorno; c) Bambini ambivalenti, i più ansiosi, anch’essi dispiaciuti quando la madre si allontanava, ma inconsolabili nel pianto quando questa faceva ritorno (definiti mammoni). Quali erano gli atteggiamenti materni che potevano provocare comportamenti tanto diversi? Le madri dei bambini sicuri erano reattive e sensibili; disposte a soddisfarne i bisogni e tenerli a lungo con sé, e con maggiore attenzione ai loro bisogni. Quelle dei bambini evitanti manifestavano invece comportamenti di rifiuto. Quelle dei bambini ambivalenti manifestavano invece più imprevedibilità nelle loro reazioni. Il protocollo elaborato dalla Ainsworth fu validato da altre ricerche e altri studi, che dimostrarono come il bambino più sicuro tende a diventare un adulto più socievole e sensibile verso gli altri; disposti a livelli di cooperazione più elevati e con una consapevolezza empatica molto sviluppata. La domanda è: come si fa a crescere un bambino empatico? E la risposta è semplice: essendo empatici coi bambini. L’idea di relazione che il bambino si forma non può che fondarsi sulle relazioni delle quali ha avuto esperienza. 8 Resta tuttavia qualcosa delle teorie sull’innatismo convalidate dalla genetica comportamentale, la quale sostiene – a ragione – che i geni hanno il loro peso e determinano predisposizioni comportamentali. I critici della teoria dell’attaccamento tuttavia, affermavano che i bambini che mostrano irritabilità fin dalla nascita hanno meno probabilità di creare legami solidi, e una maggiore probabilità a diventare ansiosi entro il primo anno di vita. Anche a fronte di questo determinismo naturale tuttavia, la cultura è in grado di predisporre alcuni rimedi. Il pedagogista olandese Dymph VAN DER BOOM dedicò all’argomento uno studio per valutare l’importanza relativa dei due elementi del binomio natura-cultura nel comportamento dell’attaccamento. Studiò cento bambini diagnosticati come fortemente irritabili fin dalla nascita. Questi bambini erano nati in famiglie a basso reddito, con genitori a basso livello di istruzione, stressati a causa delle loro difficoltà economiche e lavorative, quindi poco disponibili a costruire un clima di attenzione per lo sviluppo di un solido attaccamento nei loro bambini. Cosa fece questo pedagogista sperimentale? Divise le 100 coppie madre-figlio in due gruppi. Il primo gruppo partecipò a tre incontri di orientamento in cui ricevettero istruzioni su come accrescere la propria sensibilità nei confronti dei loro bambini. Al secondo gruppo invece non venne fornita alcuna assistenza. I risultati dell’esperimento furono sorprendenti. Il 68% dei figli di madri che avevano fruito del corso di formazione fu successivamente, e in seguito a verifiche a distanza, diagnosticato sicuro nell’attaccamento al compimento del primo anno. Nell’altro gruppo, il tasso dei bambini “sicuri” si fermava al 28%. Conclusione. I teorici delle relazioni oggettuali hanno contribuito a vedere in modo diverso la natura umana. Siamo una specie animale socievole che desidera la comunicazione; soffre di ogni forma di isolamento, ed è biologicamente predisposto a manifestare empatia verso i propri simili. Le scoperte scientifiche degli ultimi decenni avrebbero aperto strade nuove all’esplorazione dei meccanismi biologici che rendono possibile la socialità, favorendo una prospettiva empatica del mondo. Agli psicologi subentrano in questa fase i biologi, che accolsero con entusiasmo la scoperta dei neuroni specchio (i c.d. “neuroni dell’empatia”) avvenuta nel 1996 grazie alle ricerche di un’equipe di Parma guidata da Giacomo RIZZOLATTI, e da più recenti acquisizioni delle neuroscienze. Partendo da un’osservazione sui comportamenti dei primati, essi scoprirono una predisposizione genetica alla risposta empatica nei mammiferi. Gli entomologi a loro volta avrebbero scoperto questa dimensione non solo nelle scimmie, ma anche nei delfini, gli elefanti, i cani, in cui il fenomeno è ben leggibile e identificabile (cfr. Frans de Vaal, p.109)). A proposito della scoperta dei neuroni specchio, ciò che sorprende Rifkin è come dall’osservazione di alcuni scienziati sui comportamenti dei primati si siano aperte spiegazioni di tale profondità da mutare completamente lo scenario delle relazioni umane; come si sia arrivati alla comprensione della mente non per un ragionamento concettuale, ma attraverso una simulazione diretta; attraverso la sensazione, insomma, più che attraverso il pensiero. Questa scoperta ha aperto le porte all’esplorazione dei meccanismi biologici che rendono possibile la socialità. Come spiega Daniel J. SIEGEL si tratta di una sintonizzazione della mente. Uno dei massimi ricercatori nel campo dei neuroni specchio, Marco IACOBONI, neuro scienziato, ne ha spiegato l’importanza per l’immedesimazione e la lettura della mente altrui. La sua conclusione fu che noi siamo programmati per l’empatia, che essa fa parte della nostra natura e ci rende capaci di interazioni sociali. I ricercatori all’avanguardia nelle scienze cognitive furono a giusta ragione elettrizzati dalla scoperta delle implicazioni nel campo dei neuroni specchio. Avanzando nelle loro ricerche riscontrarono che i circuiti biologici si attivano con l’esercizio sociale. In altre parole: gli ambienti familiari e sociali dei neonati è essenziale per l’esercizio dei neuroni specchio e per stabilire percorsi empatici nel cervello. Queste scoperte stanno riaprendo l’annosa questione del rapporto tra biologia e cultura. Credevamo che solo l’uomo evolvesse creando una cultura, mentre tutte le altre creature agiscono secondo comportamenti rigidamente programmati (istinti). Oggi sappiamo che per molte specie i comportamenti sono tanto innati (ereditati) quanto evolutivamente appresi. 9 Esempi: comportamenti di scimpanzé che apprendono, di giovani elefanti resi aggressivi dall’assenza degli anziani e che si normalizzano al loro ritorno) cfr.p.81. Gli zoologi avevano osservato che i giovani elefanti avevano appreso dagli anziani, proprio come accade per l’uomo. La qual cosa fa capire (sia detto tra parentesi) che se manca un modello di ruolo le generazioni più giovani vengono a mancare di guide che insegnino loro comportamenti socialmente accettabili. (Il che vale pure se le guide rinunciano al loro ruolo e vengono meno alla responsabilità di trasmissione dell’esperienza). Darwin aveva anticipato molte delle recenti scoperte delle scienze cognitive. Tra gli ultimi suoi lavori (ad es. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali) parlava addirittura di “responsabilità morale” della maggior parte degli animali e della loro capacità di preoccuparsi per le difficoltà o le sofferenze dei propri simili. Egli era convinto non solo che l’evoluzione richiedesse la sopravvivenza del più adatto, e quindi la competizione individuale, ma anche la capacità di cooperazione. Pur vivendo in un’epoca in cui il lemma empatia doveva ancora essere inventato, aveva intuito il valore del legame empatico, l’istinto sociale che ci spinge ad accorrere verso un altro simile in difficoltà o in pericolo anche a rischio della nostra stessa vita. Tralasciando ora altre pagine pure importanti che parlano del rapporto tra empatia e gioco, empatia e sviluppo del linguaggio, proseguiamo nell’esame (IV cap. della prima parte) dello sviluppo della coscienza umana nel rapporto adulto-bambino. Da dove veniamo? Dal timore per la presenza satanica nel bambino appena nato, ancora presente nei genitori alla fne del primo millennio (leggere la pag.98). Rifkin sceglie come guide due autori: Stanley GREENSPAN, docente di psichiatria clinica alla Washington University, Martin HOFFMANN, docente di psicologia alla New York University. Il primo ci guiderà attraverso lo sviluppo della socievolezza; il secondo ci spiegherà come l’espressione empatica si sviluppa in forme sempre più raffinate nel lungo percorso che sta tra l’assumere coscienza di sé e l’integrazione sociale. Greenspan identificò ben 6 livelli nello sviluppo della coscienza umana. Al primo c’è il bambino impegnato ancora nello sviluppare le proprie percezioni sensoriali (tatto, olfatto, vista, udito e gusto) e impegnato nel difficile compito di organizzare i propri movimenti per esplorare e interagire col mondo circostante. Non ha ancora il senso di sé e del mondo, e sta imparando a focalizzare la propria attenzione, facoltà essenziale alla formazione della coscienza (il “sentimento oceanico” di cui parla Freud; la “fiorita,ronzante confusione” di cui parla James). Nel momento in cui il bambino ha acquisito la capacità di essere attento è pronto a notare i toni, le espressioni, le azioni di chi gli sta vicino e in poco tempo incomincia a reagire con piacere. Siamo nella seconda fase e il bambino è tra il primo e il secondo anno di vita. In questa fase inizia anche l’intimità con la figura adulta accudente. Non è ancora del tutto in grado di differenziare se stesso dall’altro, ma gradualmente e man mano che avanza l’esplorazione dapprima guidata e poi libera nell’ambiente circostante comincia a distinguere il mondo delle relazioni umane dal mondo inanimato che gli sta intorno. Per come gli adulti gli corrispondono, comincia a fissare i comportamenti graditi (ottenendone soddisfazione) o sgraditi, acquistando il senso di sé e dell’altro. Il terzo livello corrisponde alla fase del feedback, quella in cui il bambino esercita la propria intenzionalità verso gli altri, e percepisce le loro reazioni. Greenspan avverte che se in questo stadio la figura accudente è scostante o poco reattiva, lo sviluppo può essere anche gravemente rallentato, provocando un danno alla successiva capacità di creare relazioni di intimità (la nuova puericultura consiglia di accogliere il bambino quando si protende per essere accolto tra le braccia ed essere coccolato; la vecchia puericultura e anche la cultura femminista lo inibivano, per non fare dei bambini futuri ammammati). A circa 18 mesi (siamo nella quarta fase), il bambino è in grado di indirizzare la madre sui suoi bisogni, facendo capire ciò di cui ha bisogno. Il suo repertorio gestuale si arricchisce ogni giorno di più. Mette a fuoco le varie situazioni sulla base di indizi comportamentali anche non verbali degli adulti. Ha acquistato successiva fiducia per accettare l’allontanamento sia del padre che della madre per brevi periodi. È capace di imitare le espressioni e i gesti degli altri. L’esplorazione dell’ambiente si fa sempre più larga e si apre alla fase delle competenze su stimoli imitativi. 10 Fra il secondo e il terzo anno si entra nella quinta fase, quando comincia a formarsi l’ immaginario e il bambino può coinvolgersi in veri e propri giochi di finzioni. È l’età in cui può iniziare a riflettere sulle proprie azioni e sulle situazioni determinate dal proprio comportamento. Nei giochi di finzione può ora mettersi nei panni di un altro e imitarne i comportamenti. La sesta fase (fra il III e il IV anno) corrisponde allo sviluppo della fantasia e della creatività. Il bambino è ora in grado di connettere le idee alle emozioni e comincia a distinguere tra passato e presente, ma comprende anche il futuro, almeno nel senso che comincia a capire come azioni presenti possano comportare conseguenze sul futuro. Sviluppa anche l’orientamento spaziale ed è in grado di gestire le differenze tra fantasia e realtà. In breve, sta diventando cosciente di sé e acquistando identità. Greenspan puntualizza al riguardo che lo sviluppo di un’identità cosciente dipende dalla relazione empatica tra lui e i suoi genitori. Solo grazie alla capacità continua e coerente dei genitori di leggere i suoi stati emotivi e di rispondervi adeguatamente, il bambino comincia a reagire in modo appropriato. Fiducia e sicurezza si giocano nella connessione empatica del bambino al mondo emotivo. Il contributo scientifico di Greenspan è stato importante nel farci superare la dicotomia natura-cultura, e la conclusione importante a cui pervenne è che la capacità a tenere in considerazione i sentimenti dell’altro in maniera attenta e compassionevole (patire/gioire con) deriva soprattutto dall’essere stati amati e accuditi da piccoli, o quanto meno dall’aver preso criticamente coscienza, nella successiva età adulta, di cosa ci sia mancato per svilupparci come esseri empatici, e quali cause abbiano determinato nel nostro album di famiglia quegli aspetti del nostro carattere che noi stessi non condividiamo e che assolutamente vorremmo evitare ai nostri figli. Martin HOFFMANN sostenne, a sua volta, una tesi complementare a quella sviluppata da Greenspan, dimostrando come la predisposizione empatica si manifesti in ogni stadio dello sviluppo umano, fornendo all’individuo le fondamenta cognitive ed emotive per diventare un essere sociale compiutamente formato. Anche lui procede per individuazione di fasi nelle modalità di manifestazione dell’empatia nel processo di individuazione. Le prime tre fasi sono pre-verbali ed automatiche, e in gran parte involontarie perché biologicamente predisposte (motoria, mimetica, associativa, indiziaria, ed esperienziale). A proposito della fase mimetica andrebbe ricordato che era stato Adam Smith, vissuto nell’età dei Lumi, a riconoscerne l’importanza, parlando di una pulsione innata a “mettersi nei panni degli altri”, sperimentando pensieri e comportamenti altrui come se fossero propri. Già a nove mesi, stando alle tesi di Hoffmann, il bambino imita le espressioni di gioia o tristezza di sua madre. L’imitazione delle espressioni facciali (ma anche vocali: accenti, ritmi, timbri di voce) prosegue poi per tutta la vita. Al compimento del primo anno il processo mimetico/empatico è già più avanzato. Se la madre prova ansia e irrigidisce il proprio corpo, il suo disagio è avvertito dal figlio, che lo interiorizza. Espressioni facciali e verbali della madre che manifestino tensione gli provocano disagio, anche in mancanza di contatto fisico: Stessa cosa accade quando il bambino osserva analoghe espressioni in altri individui. È stato osservato che un bambino di 13-15 mesi cerca di confortare un compagno di giochi che piange, portandolo alla propria mamma, pur in presenza della madre del compagno. Ciò significa che il bambino avverte empaticamente una sofferenza causata dalla sofferenza dell’altro (anche se non è ancora in grado di distinguere il proprio disagio da quello dell’altro). Hoffman avverte che il disagio empatico, centrato su se stesso, può condurre a una “deriva egoistica” e autoreferenziale. E a questo punto fa un’osservazione importante. Nel momento in cui il bambino ha raggiunto l’età che i genitori di cultura anglosassone chiamano “i terribili due” (anni) e comincia a diventare sempre più volitivo, i genitori tendono a imporgli una serie di divieti e a richiedergli disciplina. Buona parte degli episodi su cui i genitori intervengono per correggerli riguarda un danno fisico o emotivo che il bambino ha inflitto ad altri. La chiave per trasformare gli impulsi empatici innati in risposte empatiche coerenti e mature è nella modalità con cui si educa alle regole. 11 L’educazione induttrice Il miglior modo per portare un bambino a esprimere tutto il proprio potenziale empatico è l’induzione. L’azione disciplinante induttiva si esplica mettendo in evidenza il punto di vista dell’altro; sottolineando la sofferenza che gli è stata inflitta, e chiarendo che causa di quella sofferenza inflitta è imputabile alla sua condotta (esempio del giocattolo sottratto a pag.110) La disciplina induttiva è una specie di sceneggiatura con un copione prevedibile, che si conclude con una soluzione riparatoria. Chiedere scusa all’altro bambino dà un senso di sollievo e diminuzione della colpa. Questa trama si fissa nella memoria, consolidando il repertorio di esperienze empatiche del bambino. Di solito i bambini sono introdotti a questa sceneggiatura di induzione nel terzo anno di vita, quando la comunicazione fra genitori e figli è più ricca. Hoffmann ci rammenta che i genitori sono figure potenti nella vita infantile; l’àncora di salvezza emotiva del bambino nel mondo. La capacità di attirare l’attenzione del figlio, di affermare la propria volontà, di ritirare il proprio affetto, dà loro una forza formidabile nella vita dei bambini. Quindi attenzione: se i genitori sono troppo permissivi e mancano di offrire un quadro normativo prevedibile, il bambino può finire con l’ignorare la loro volontà quando verrà manifestata. D’altra parte, se i genitori mostrano tratti autoritari, sopraffacendo il bambino con il proprio potere assertivo, questi rischia di diventare aggressivo o di rifiutare il controllo emotivo. Il genitore sufficientemente capace (espressione di Winnicott) applica solo le pressioni strettamente necessarie non in maniera giudicante, ma partecipe e attenta. Ciò che l’azione disciplinatrice induttiva insegna al bambino è la sostanza della moralità umana (l’ammissione di aver fatto del male ad un altro e il desiderio di riparazione).Schematicamente si possono compendiare nella responsabilità per le proprie azioni; nella compassione per gli altri e nella disponibilità ad aiutarli. Maturazione dell’empatia e lo sviluppo del senso morale sono la stessa cosa. Martha C. NUSSBAUM raccomanda due cose: a) evitare che il senso di colpa di traduca in un rimorso senza sbocchi. Il senso di colpa deve essere adoperato con cura. Un eccesso di sensi di colpa senza occasioni di riparazione porterebbe all’autoisolamento e alla sfiducia in se stessi; all’incapacità a correggersi negli errori. L’errore va invece adoperato come occasione auto correttiva: l’unica cosa che davvero ci appartiene e su cui possiamo crescere. b) evitare ai bambini la vergogna, che umilia e fa sentire privi di valore e umanità.Le culture della vergogna annichiliscono l’empatia. La disciplina induttiva è invece uno strumento di apprendimento relativamente nuovo e forse costituisce il cambiamento più rivoluzionario nei comportamenti genitoriali che vi siano mai stati nello sviluppo della civiltà umana. Nel passato, i genitori non avevano alcuna dimestichezza col pensiero terapeutico. Freud ad es. considerava sbagliata la disciplina induttiva. Il suo concetto di senso di colpa nasceva dalla paura della punizione inflitta dai genitori, non dalla presa di coscienza della sofferenza inflitta ad altri simili. Egli era convinto che i bambini nascono narcisisti, e sono costantemente impegnati in uno scontro di volontà con i genitori per soddisfare la propria libido. In tal modo, da una parte essi temono il controllo e l’autorità dei genitori, dall’altra hanno bisogno della loro protezione per sopravvivere. Con i genitori quindi i bambini sviluppano fin dall’inizio una relazione ambivalente e manipolativa, adottando costantemente mezzi per ottenere ciò di cui hanno bisogno, ma sempre ansiosi per il timore di punizione o di abbandono. È la paura di perdere la protezione la molla che fa scattare il senso di colpa, inducendo il bambino ad assumere le regole e il comportamento condiviso dai genitori. Il senso di colpa insorge dunque per paura dell’autorità, e quella colpa viene poi interiorizzata, costringendo il bambino ad assumere la morale dominante per paura della punizione. La moralità, in questo modo, è indotta negativamente, e contro la propria libido. La visione pessimistica della natura (di Freud come già di Hobbes) trovò tuttavia non poche resistenze già ai suoi tempi. Wilfred TROTTER ad es. avanzò (1919) la tesi che l’uomo fosse un animale gregario: responsabile dell’altro e per l’altro all’interno del proprio gruppo. Freud trattò la teoria del sociologo Trotter come un’eresia, anche perché se fosse stata corretta, avrebbe smentito gran parte della sua costruzione teorica. Formulò perciò una contro-tesi: 12 l’uomo non è un animale che vive nel gregge, bensì nell’orda che è sempre guidata da un capo. Nell’orda il padre è la figura dominante, spregiudicatamente autoritaria e che pretende fedeltà assoluta. I figli complottano necessariamente per detronizzarlo. Sono ben presenti, in questa contro-tesi le metanarrazioni archetipiche (bibliche: il dio d’Abramo, e mitologiche: Esiodo). La ricerca sullo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino negli ultimi decenni ha però del tutto accantonato questa visione della natura umana. Oggi sappiamo che il processo di maturazione empatica si velocizza già nel periodo prescolare, quando il bambino acquisisce competenze nell’uso del linguaggio per esprimere e rivelare emozioni. Fra i 4 e i 5 anni il bambino ha già maturato il senso della reciprocità sociale. Fra i 6 e gli 8 anni ha già aggiunto al proprio repertorio morale il senso dell’obbligo (dovere) sociale: ha imparato che mantenere le promesse è essenziale per l’amicizia, e che il non farlo può provocare un senso di tradimento e di dolore. In altri termini: ha imparato a diventare un essere morale. Fra gli 8 e i 10 anni è in grado di modificare la propria risposta empatica alla situazione dell’altro, sulla base di circostanze esterne. Tra i 10 e i 14 anni è in grado di pensare in maniera astrattamente morale su quale debba essere il proprio comportamento in società. Nella prima adolescenza (tra i 12 e i 13 anni) i ragazzi diventano più perspicaci nelle loro risposte emotive agli altri: sono in grado di individuare diverse gradazioni di manifestazioni emotive e capiscono se e quando le reazioni dell’altro possono essere determinate da altri fattori, oltre alle contingenze immediate. Si giunge così a quel punto del percorso di maturazione della coscienza empatica in cui un giovane adulto diventa capace di notare – emotivamente e cognitivamente – l’esistenza dell’altro nella sua completezza e di sviluppare una reazione empatica alla totalità della sua esperienza e del suo essere. La forma più matura di risposta empatica è la capacità di sentire la sofferenza di un intero gruppo umano, o perfino di un’altra specie, come se fosse la propria. Si conquista così il concetto di coscienza (comunione) universale. I cambiamenti che si sono determinati nelle modalità di accadimento genitoriale; il prolungamento dell’adolescenza; la maggiore esposizione alle culture, comunità, persone; le possibilità tecnologiche di una connettività estesa e globale; la maggiore interdipendenza economica tra le parti del pianeta; il diffondersi di stili di vita cosmopoliti; la stessa maggiore possibilità di fruizione di arte e cultura contribuiscono alla universalizzazione della coscienza empatica. Variazioni culturali dell’Empatia Ogni cultura è giunta al nuovo stile di accadimento dell’Infanzia nel quadro della propria distinta tradizione culturale. Nella cultura americana, ad es., che ha una lunga tradizione di autonomia personale (individualismo) l’enfasi genitoriale si è concentrata sullo sviluppo dell’autostima nei bambini. Nelle culture asiatiche (Giappone, Cina, Corea) dove tradizionalmente si è più propensi a preparare i giovani a diventare parte armonica della società nel suo insieme, l’enfasi è posta più sull’autoadattamento che sull’autoaffermazione; più sull’autocritica che sull’autostima. La differenza dell’approccio culturale influenza genitori e insegnanti nell’induzione della disciplina utile a ottenere i fini che ogni società gerarchizza per la propria conservazione e il proprio sviluppo. E tuttavia, sebbene la concezione che abbiamo della natura umana e le idee che abbiamo sviluppato sull’educazione dell’infanzia siano drasticamente cambiate negli ultimi tempi, il nostro pensiero filosofico e politico è stato – e lo è ancora – incredibilmente lento nel seguire questa evoluzione. Per molti versi viviamo ancora con le idee del Settecento illuminista. 13 PARTE SECONDA EMPATIA E CIVILTA’ La seconda parte del lavoro di Rifkin è un affresco di storia sociale. Egli tiene insieme la storia delle idee e quella delle trasformazioni materiali nonché delle reciproche interferenze tra le prime e le seconde). Il cap. VI segue l’evoluzione dell’“l’antico cervello teologico e dell’economia patriarcale”; il cap. VII, esamina le prime forme di cosmopolitismo e l’ascesa della cristianità urbana nell’Impero romano”; il cap.VIII, esamina i caratteri della rivoluzione industriale leggera nel medioevo e la nascita dell’Umanesimo” (dalle società fluviali o idrauliche ai mulini ad acqua o a vento, alle macchine a vapore). Si tratta di un racconto storico sui processi culturali che incrementarono lo sviluppo empatico dell’umanità (dalle civiltà idrauliche che consentirono lo sviluppo di attività produttive nelle antiche civiltà sumeriche, dando avvio a prime forme di urbanizzazione e di documentazione ma anche di narrazione con la nascita dell’antica civiltà babilonese, fino al successivo avvento dell’impero romano che sviluppò l’urbanizzazione e ampliò i sistemi di coesione attraverso forme centralizzate e al contempo decentrate di governo; fino all’arresto subìto dal VI all’XI° sec. (il medio-evo), e da lì poi risalendo col rifiorire di una civiltà empatica col Rinascimento europeo (italiano in particolare) che costituì a sua volta la premessa, attraverso la stampa a caratteri mobili, la riforma luterana e la nascita dell’Umanesimo, della nascita degli stati moderni europei. Questo affresco non tralascia le metanarrazioni che fanno da sfondo all’agire umano (il Vecchio Testamento e Nuovo Testamento, il Gilgamesh, Gilgamesh è un personaggio della mitologia mesopotamica. Mitico re dei Sumeri che regnò su Uruk, il più antico agglomerato urbano dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del Golfo Persico.Le sue vicende sono narrate nel primo poema epico della storia dell'umanità, denominato successivamente Epopea di Gilgamesh. Si tratta di una leggenda babilonese, il cui nucleo principale risale ad antiche leggende sumeriche, ma che venne trascritta molto tempo dopo il periodo in cui è ambientata la storia. La prima stesura dell'epopea, pervenutaci in frammenti appartiene alla letteratura sumerica, ma la versione più completa sinora nota venne incisa su undici tavolette di argilla che furono rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal a Ninive, capitale dell'impero assiro. Questa redazione tarda della leggenda risale al VII secolo a.C. (Vichipedia). i poemi omerici, ecc. e ne influenzano le trasformazioni nei costumi, nei comportamenti personali, familiari, ecc. La tradizione omerica del Mediterraneo introduce nell’Iliade e nell’Odissea eroi umani con attributi semi-divini, fondendo cosmogonie e teogonie. Racconta eventi del passato in forma idealizzata mescolandoli a elementi mitologici. La grande tragedia greca introdusse i sentimenti umani e divenne per il pubblico un veicolo per empatizzare con le disavventure dei protagonisti, raggiungendo una catarsi emotiva con gli autori. L’era cristiana ci ha lasciato a sua volta le omelie scritte e le testimonianze dei padri della chiesa (sviluppo del pensiero teologico che ha a lungo condizionato la formazione umana). Il tardo Medioevo: romanzi cortesi e cavallereschi e quelli anticavallereschi, come il don Qujote di Cervantes, ricco di avventure immaginarie: la prima narrazione che esprime temi umani universali attraverso il racconto delle vicende di un solo uomo. Il grande romanzo otto e novecentesco (Tolstoj, Dostoevskij). L’importanza che esso assume nella trasformazione della coscienza umana e nel propagarsi dell’individualismo in tutto il mondo occidentale con rapidità e profondità, permettendo a milioni di persone di esplorare nuovi ambiti della realtà e di universalizzare l’impulso empatico. Locke: pensieri sull’educazione I Pensieri sull’educazione, scritto da John Locke nel 1692, giocò un ruolo decisivo nelle pratiche di accudimento dei figli delle famiglie protestanti e puritane, che se da un parte mostravano cura e amore per i propri figli, dall’altra ne temevano le forze istintive (diaboliche) che li sottoponeva anche a violenti punizioni corporali. Locke credeva che i bambini fossero tabula rasa, e che i genitori non potessero pretendere dai loro figli se non quello che erano disposti a offrire in termini di investimento in attenzioni e dedizioni, attraverso un approccio più psicologico. Il libro di Locke ebbe una forte influenza presso la borghesia inglese e in tutta Europa. Tant’è che nel Settecento apparve un nuovo genere di letteratura destinato specificamente ai bambini. Si trattava ovviamente di una letteratura per l’infanzia, più che dell’infanzia, ma comunque un passo decisivo era stato compiuto nel riconoscimento di una specificità propria delle facoltà intellettive del bambino. Insieme a una letteratura scritta ad uso dei bambini comparvero i giocattoli. Anche la puericultura fece progressi: vennero ad es. dismesse le pratiche delle fasciature dei neonati che risalivano all’epoca 14 romana (ma si protrassero fino a noi almeno fino agli anni cinquanta del Novecento). Cadde pure il pregiudizio dell’allattamento al seno materno, e la nascita di un vero e proprio sentimento affettivo delle madri fin lì abbastanza scoraggiato o represso. Anche le pratiche scolastiche si fecero meno repressive ed abusive. Col primo Ottocento le punizioni corporali cadono in disuso, a partire dall’Inghilterra e via via per tutta l’Europa. Gli Stati-Nazione Anche la nascita degli stati nazionali che seguirono la pace di Westfalia (1649) (cujus regio ejus et religio) seguita alla guerra dei Trent’anni e che partendo dall’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Francia si diffusero nel corso dell’800 e del primo ‘900 contribuì a creare nuove narrazioni condivise e un’identità comune che coinvolgeva territori geograficamente estesi. Lo Stato nazionale offriva il nuovo orientamento psicologico per estendere l’abbraccio empatico al di là delle affiliazioni locali basate sulla consanguineità, arrivando a comprendere una moltitudine di persone in precedenza considerate diverse. Gli individui cominciarono a pensare se stessi come inglesi, francesi tedeschi, itliani (p.277). Considerazioni sul processo unitario italiano e l’unità linguistica (cfr. T.De Mauro, L’unità linguistica degli italiani). Altro elemento dell’evoluzione empatica fu la fioritura di diari, autobiografie, giornali di viaggio, in cui gli autori entrano in intimo colloquio con il loro sé in evoluzione (Agostino, Rousseau; Vico (entrare letteralmente nello spirito dei grandi pensatori, scrittori, ecc. v.pag.279) e Goethe (che estese l’impulso empatico non solo alla società ma alla natura intera v.pag.285). L’avvento delle società di mercato Il successivo cap.IX, tratta del “pensiero ideologico nella moderna economia di mercato”). Tra il XVII e il XVIII sec. il pensiero filosofico-politico guadagnò il posto che per molti secoli era stato occupato dalle grandi meta narrazioni a carattere religioso. I punti di riferimento di un pensiero in sviluppo nel vecchio continente furono principalmente quelli di Hobbes, Locke, Spinoza, Rousseau e Bentham. HOBBES sostenne che la natura dell’uomo è avida e vuol essere tenuta a freno da un contratto sociale; LOCKE partiva dal presupposto della propensione dell’uomo all’acquisizione di proprietà e della necessità di educarlo all’esercizio della virtù. ROUSSEAU sosteneva cha la naturale bontà naturale rischia di essere corrotta dalla società (con il corollario di una necessaria educazione secondo natura per migliorare la società); J. BENTHAM ipotizzava che gli uomini fossero utilitaristi, e che tendono a minimizzare il dolore e a massimizzare il piacere creando organizzazioni sociali che tendano a promuovere ciò che desiderano e ad allontanare ciò che è in contrasto con i propri interessi; JEFFERSON infine mise al centro l’aspirazione alla felicità e alla libera Autorealizzazione che entreranno nella Costituzione degli Statu Uniti d’America. Una questione rilevante nell’Era moderna è stata quella di stabilire se fosse più importante la vita emozionale (il sentimento) o il pensiero (la ragione) per la comprensione della natura umana. Quale delle due facoltà (il sentire o il pensare) fosse il migliore criterio di valutazione per la coscienza umana. Si combattono ancora due opposte visioni su quale delle due facoltà possa considerarsi l’autentica “finestra sull’anima” e quale sia invece solo accessoria, ossia un elemento di distrazione o addirittura un ostacolo. I filosofi dell’Illuminismo ebbero idee diverse al riguardo. Per LOCKE è la mente a organizzare in idee e in azione le sensazioni fisiche ricevute attraverso i sensi. Per HUME invece sono i nostri sentimenti a creare le nostre idee. Prima sentiamo le cose, poi le astraiamo in categorie. Usiamo le categorie come metafore per interpretare esperienze analoghe. Salvo poche eccezioni, i filosofi della prima modernità, buona parte dei quali influenzati dal calvinismo, furono più inclini a un approdo razionale nella definizione della natura umana (per questo li definiamo razionalisti), mentre letteratura e drammaturgia erano più interessate a sondare la complessità emotiva della psiche umana. L’organizzazione del nascente mercato capitalista si ispirò dunque a una visione razionalistica, dando vita a una nuova narrazione cosmologica che avrebbe dominato il vecchio e il nuovo continente 15 nell’Ottocento. L’uomo nuovo della nuova cultura urbana sarebbe stato solo innanzi al suo Dio e solo innanzi al mercato. Armato di ragione si sarebbe mosso con successo in un universo dominato dalla tecnica, sostenuto dalla fede nel successo della propria intrapresa o nella salvezza eterna per aver migliorato le condizioni di vita proprie e altrui. Ma vi fu anche una narrazione di senso opposto, imperniata sull’espressione dei sentimenti e delle emozioni. L’Ottocento è anche il secolo romantico: una grande ondata empatica; la seconda dopo quella avviatasi con l’Umanesimo e il Rinascimento. Le crisi entropiche L’ultimo quarto del XVIII secolo vide non solo la nascita del moderno stato nazionale. Fondato sulla sovranità popolare, ma anche l’abbandono del regime energetico medievale (energia prodotta da elementi naturali quali acqua, vento e combustibili naturali, la legna innanzitutto) e l’avvio di un regime energetico nuovo che avrebbe portato l’Europa, l’America e il resto del mondo nella Prima rivoluzione industriale. Già nel corso del XIV sec., a causa della deforestazione praticata fin lì per fare spazio a nuove e sempre più estese aree di terreno coltivabile, la legna cominciò a scarseggiare. Nel ‘500 e ‘600 l’abbattimento di alberi fu resa necessaria per fornire cenere e carbonella alle nascenti industrie del vetro e del sapone. L’industria vetraria che diffuse in tutta Europa specchi, lenti e apparecchi ottici richiedeva l’abbattimento di intere foreste (un caso esemplare di circolo vizioso empatia-entropia, dal momento che proprio grazie agli specchi le persone vedevano se stesse, scoprivano le proprie caratteristiche fisiche, incrementando la cura di sè). L’Inghilterra richiedeva ingenti quantità di legname per la costruzione delle navi di Sua Maestà brittannica. La deforestazione assume dimensioni critiche nel ‘700 L’età romantica Già a partire dall’ultimo quarto del XVIII° sec. si avverte una sensibilità nuova che prelude all’irrompere dell’età romantica. L’uomo di ragione dell’Illuminismo, impegnato a leggere la natura con metodo razionale e con ragione calcolistica cede lentamente il posto al sentimento p.294 Fu un’età decisiva per la crescita dell’Empatia. Rousseau → concetto di autosviluppo: mantenere la propria autenticità Schopenauer → superamento dell’etica kantiana attraverso il concetto di compassione Nascita e sviluppo dei movimenti emancipazionisti → femminile, a difesa di un’idea nuova del matrimonio, del valore infanzia, della protezione degli animali, della liberazione della schiavitù, del cooperativismo (in contrasto alla competizione). Le rivoluzioni del 1848. Alexis de Toqueville, storico e aristocratico francese in un discorso alla Camera: “stiamo dormendo su un vulcano”. Il vulcano esplose a Parigi. La rivoluzione del1848 che nell’arco di poche settimane coinvolse gran parte dell’Europa venne chiamata La Primavera dei popoli e segnò la definitiva transizione dalla fase protoindustriale avviatasi col Mille, caratterizzata dall’adozione di energia idraulica ed eolica, e dalla prima rivoluzione industriale contrassegnata dall’impiego di energia del vapore e del carbone. Fu definita primavera perché fu accompagnata dagli slanci romantici giovanili orientati alla creazione di un nuovo ordine sociale fondato sull’empatia. Un’esplosione politica scosse il vecchio Continente. Alla fine della primavera i governi di mezza Europa erano caduti. Ma diciotto mesi dopo tutti i governi deposti tornarono al potere, con l’eccezione di quello francese (ma anche in Francia il vecchio regime tornò ad esercitare ben presto la sua influenza). I sentimenti su cui quella primavera era fiorita sarebbero però entrati a far parte della memoria collettiva, trasmessa alla generazione dei baby-boomers che nel 1968 sarebbero scesi nelle stesse piazze di Parigi, Berlino e Washington con quelle stesse frasi e slogan di 120 anni prima. Cap.X. La coscienza psicologica L’era dell’elettricità e i primi vagiti di una coscienza empatica. Il telegrafo, la elettrificazione, il petrolio e l’automobile. In appena 40 anni la rivoluzione dell’elettricità modificò profondamente i sistemi economici del vecchio e nuovo continente. 16 Risvolti sul piano sociale: lo sviluppo delle arti (Cézanne e Picasso. I risvolti intellettuali del cubismo) e della letteratura (Joyce: nella normalità delle nostre vite singole troviamo la nostra comune umanità). Il movimento delle donne (le lotte per ottenere il diritto di voto e la parità); l’invenzione dell’adolescenza; l’emergere del concetto di personalità (dal buon carattere a una buona personalità). L’era della coscienza psicologica. Freud (ma anche McLuhan) trae ispirazione dagli studi sull’elettricità. Sviluppi della psicoanalisi (dall’individuo alle masse; dal self-help ai gruppi di auto sostegno). Anni cinquanta e Sessanta: Anna Freud, Jung (dentro di noi convivono una persona pubblica e un Io-ombra). Arricchimento del vocabolario per l’esplorazione le dimensioni interiori della mente e del Sé. Terapie di gruppo e gruppi di auto aiuto. Nelle ultime pagine del secondo capitolo Rifkin riprende il discorso su Freud e lo sviluppo della corrente empatica della psicologia (§ L’era della coscienza psicologica, p 360 sgg), dimostrando come essa ebbe importanti sviluppi nel corso del Novecento, andando ben oltre la questione dell’infanzia. Aprendo l’ambito della sessualità al pubblico esame e all’introspezione personale, Freud aveva portato in primo piano tanti altri elementi che hanno a che fare con la sessualità: l’intimità, la sensualità, l’affetto, l’educazione (p.365). Ciò permise ai teorici dell’attaccamento di elaborare una diversa interpretazione della natura umana, centrata sulla predisposizione alla compagnia, che guida lo sviluppo degli infanti e del bambino. David Johnson e Roger Thompson ad es. lavorarono sulla pista delle relazioni, intese come nucleo della nostra esistenza. Siamo animali sociali, la cui pulsione primaria è indirizzata verso la compagnia e l’appartenenza, l’affetto e l’accudimento all’interno di una comunità. Sulla base di queste premesse teoriche nacquero e si svilupparono nel corso del Novecento gruppi di sostegno che si impegnarono in terapia di gruppo. Alcuni psicologi, tra i quali Carl Rogers e John Rawlings cominciarono a organizzare sedute di gruppo con pazienti. Dall’incontro fortuito tra un agente di cambio di New York con un chirurgo di Akron (Ohio) nel 1955, nacque un groppo di sostegno di alcolisti. (Bill Watson era un alcolista che stava cercando di uscire dalla propria dipendenza, mentre il dott.Bobb Smith era un ubriacone (leggi a pag.367). La forma più innovativa di terapia di gruppo fu posta dallo psicologo e sociologo Jacob MORENO. Convinto che la creatività fosse parte integrante della natura umana e che la chiave del benessere delle persone fosse nella vita creativa, egli applicò alla terapia di gruppo lo psicodramma, affidandosi alle tecniche teatrali della recitazione, dell’improvvisazione, della inversione di ruoli, ecc. per promuovere la salute psichica. Era convinto che immaginando e sperimentando le sensazioni e i pensieri dell’altro come se fossero i propri liberiamo la creatività personale. Non c’era di meglio dunque che l’attività teatrale per promuovere la salute psichica, una maggiore tolleranza nei confronti degli altri e una società più benevola. La scena teatrale è uno spazio sicuro per esplorare le emozioni attraverso il gioco e la finzione; ergo per diventare più introspettivi e riflessivi e per sviluppare competenze cognitive più sofisticate. Moreno insomma era convinto che coinvolgere la consapevolezza di sé delle persone in una interazione drammatizzata potesse portare a una maggiore introspezione e a un maggiore successo nel reinserimento rispetto al lettino dell’analista per ripescare le proprie memorie d’infanzia (p.369). Considerò perciò lo psicodramma come una pedagogia applicabile a ogni tipo di contesto. Su questa sua ipotesi di lavoro si trovò d’accordo lo psichiatra Adam BLATNER, per il quale “la competenza nella comunicazione e nella soluzione dei problemi personali sono i fondamenti di una alfabetizzazione di base. Le idee di Moreno avrebbero avuto un ruolo importante nella sviluppo della coscienza psicologica del Novecento (Rifkin ritorna su questo punto nel penultimo cap. del suo libro). Max WERTHEIMER, teorico della psicologia della gestalt (che significa all’incirca un tutto organizzato) offrì alle idee di Moreno un quadro filosofico di riferimento. “Se un gruppo di persone lavora insieme, è raro che…costituiscano una somma di io indipendenti.”. Ogni attore è parte di una storia più grande, da cui è influenzato durante lo svolgersi della narrazione, che egli a sua volta influenza. Le idee di Moreno furono accolte negli anni ’40 da Kurt LEWIN e altri suoi colleghi che lavorarono sul sensivity training fondando il National Training Laboratory. I gruppi T raccoglievano persone estranee l’una all’altra con l’obiettivo di farle agire come gruppo. I partecipanti trascorrevano insieme 17 dalle due alle tre settimane: il tempo sufficiente per ri orientare il proprio comportamento. Caratteristica fondamentale era che ogni partecipante doveva rendere pubbliche le proprie opinioni e percezioni rispetto agli altri membri del gruppo. Tutto questo diventava oggetto di feedback da parte degli altri. Nell’ambito dei gruppi T, gli individui erano incoraggiati a scambiarsi reciprocamente e continuamente feedback su come percepivano il comportamento dell’altro nell’ambito del gruppo e, soprattutto, sugli effetti che questi comportamenti avevano sui membri del gruppo inteso come un tutto. Vedere insomma se stessi per come si veniva percepiti dagli altri è un fatto piuttosto stressante, soprattutto in un contesto sociale di sconosciuti. Se il gruppo focalizza l’attenzione su un comportamento negativo l’esperienza può essere particolarmente dolorosa, e qui giocava un ruolo di rilievo la guida di adeguati consulenti professionali. Questi incontri emotivamente intensi portano i partecipanti a ottenere informazioni fondamentali sugli effetti del proprio comportamento sugli altri. Scopo del sensivity training è aiutare gli individui a diventare più sensibili ai sentimenti degli altri e a cooperare con il gruppo in maniera consapevole e con un in più di umanità. Queste pratiche si diffusero ben presto nelle scuole, sui posti di lavoro, per trovare risposta a questioni in passato considerate tabù, come la gestione dei propri sentimenti, delle proprie passioni negative: discriminazioni razziali, religiose, sessuali, sulla disabilità, ecc. Un’esperienza che oggi è diventata più democratica e informale e include le stesse modalità con cui la discussione si dovrebbe svolgere (le c.d. “domande di processo”). Alla fine degli anni ’50 il movimento del sensivity training prese due direzioni: quella della crescita personale che avrebbe dato vita a una corrente umanista della psicologia, che ha costituito un’alternativa alla tradizione psicoanalitica freudiana, e un’altra più focalizzata sulle competenze organizzative (gestione delle risorse umane, ecc.). Quest’ultima è stata privilegiata dal mondo delle imprese al fine di offrire ai lavoratori le competenze emotive e cognitive necessarie per interagire in ambienti professionali diversificati, promuovendo una prospettiva multiculturale nei luoghi di lavoro. Si diffonde nel mondo delle Imprese la consapevolezza che solo supportando la diversità si è in grado di conservare i talenti necessari per restare competitivi sul mercato. Un’indagine del 2007 ha rilevato che tre imprese su quattro hanno aumentato gli investimenti di sensivity training negli USA. Gli psicologi umanisti, tagliando i ponti col freudismo e la corrente comportamentista (Watson e Skinner, padre nobile quest’ultimo della cibernetica) trasformarono il sensivity training in movimento di massa. Già nei primi anni ’60 negli Stati Uniti si potevano contare migliaia di gruppi di incontro. Tra questi acquistarono rilievo i gruppi di autocoscienza femminili e gli attivisti politici radicali che provenivano dai movimenti per i diritti civili, per la libertà di espressione e contro la guerra nel Vietnam del Greenwich Village di New York e le aggregazioni di controcultura che sperimentavano gli eccessi della liberazione sessuale, delle droghe allucinogene e della musica rock, di spiritualità orientale, ecc. Psicologi umanisti cone Rollo MAY, Abraham MASLOW e Carl ROGERS seguirono da vicino queste avanguardie, offfrendo alla avanguardie un approccio psicologico e una metodologia per analizzare il mondo interiore della psiche. Diversamente dalle tendenze delle culture esistenzialiste europee, le più vicine a quei movimenti: Sartre e Nietzsche che considerano l’umanità condannata all’abbandono e all’isolamento nell’universo (dove la sola volontà di potenza nietzschiana costituiva l’ elemento intenzionale della natura umana), gli psicologi americani erano decisamente più positivi e argomentavano che proprio a ragione della sua solitudine ma anche della sua libertà nel compiere le proprie scelte, l’intenzionalità deve avere una funzione centrale nella psiche umana. L’uomo vivente nell’intenzionalità dà un senso alla propria vita, interpretandola in un contesto più vasto. Nell’ambito di questo più vasto contesto, con cui è in relazione, l’individuo vuole creare valori (così affermava Charlotte BUHLER, psicologa umanista, prendendo una energica posizione anche contro la psicoanalisi e il pavlovismo). Rollo MAY affermava che nel proprio intimo ogni individuo ha profondamente a cuore il senso della vita a cui tenta di dare significato attraverso le scelte che compie nell’affrontarla (“Noi vogliamo il mondo; lo creiamo con le nostre decisioni”). Abraham MASLOW elabora l’idea di “gerarchia dei bisogni”, da quelli di base, legati alla sopravvivenza fisica, a quelli più elevati, legati all’autorealizzazione. Secondo Maslow, allievo di Harlow che aveva condotto negli anni Trenta esperimenti sulle scimmie macaco sull’attaccamento dei neonati alle madri surrogate, una volta soddisfatti i bisogni legati alla propria sopravvivenza, l’essere umano si concentra su bisogni di livello più elevato che alimentano l’autostima. La gerarchia dei 18 bisogni rappresenta un modello di sviluppo del sé e delle fasi che si attraversano nello sviluppare una sensibilità empatica matura. Karl ROGERS a sua volta, introduce il controverso concetto di terapia centrata sul cliente, ossia l’idea che il terapeuta debba trovare il modo per entrare nel mondo intimo del paziente ed essere disposto a sperimentare la sua realtà. Quanto più il terapeuta è empatico con il paziente, tanto più facilmente il paziente si aprirà e acquisterà fiducia per riorganizzare le strutture del sé. Gli psicologi umanisti consideravano il sensivity training uno strumento ideale per esporre milioni di persone a un approccio più empatico alla vita, centrato sulla relazione con gli altri e l’impegno all’autorealizzazione personale. I gruppi del sensivity training si trasformarono ben presto in gruppi di incontro e gruppi di autocoscienza meno strutturati e più informali dei tradizionali gruppi T. Per Rogers i gruppi di incontro erano “forse la più significativa invenzione sociale del secolo”: arene nelle quali eliminare la propria alienazione e conquistare uan visione più nitida della propria psiche, stabilendo relazioni più profonde ed empatiche con persone diverse. Il pioneristico successo del movimento degli Alcolisti anonimi aveva ispirato decine di gruppi di auto aiuto che si occupavano di dipendenze come la droga, il gioco d’azzardo o il sesso. A questi seguirono ben presto gruppi di auto aiuto nel campo delle malattie fisiche e mentali (tumori del seno, della prostata, infartuati; disordini ossessivo-compulsivi quali l’autismo. Altri gruppi si organizzarono sui temi di custodia dei figli, adozione, divorzio, cambio di sesso, abuso sessuale, obesità e altri disturbi alimentari. Altri ancora si concentrarono sulla crescita personale, gli stili di vita alternativi e altre situazioni problematiche della vita. Caratteristica comune: aiuto reciproco sotto forma di sostegno emotivo e condivisione di informazioni. Incredibile la diffusione e l’impennata statistica di cui godettero queste iniziative. Se nei paesi in via di sviluppo la coscienza teologica è ancora la forma di espressione dominante e nei paesi a limitato sviluppo prevale la coscienza ideologica, nelle nazioni più sviluppate la coscienza psicologica avrebbe ben presto conquistato la scena. Sia la religione che la politica sono state reinterpretate da un punto di vista terapeutico. Un’inchiesta condotta nel 2006 ha rivelato che vi sono oggi nei soli Stati Uniti più di 33mila psichiatri, 150mila psicoterapeuti e 595mila assistenti sociali. Un americano su tre è convinto che i problemi psicologici di un adulto possono farsi risalire alla sua infanzia. Un secolo prima questa convinzione era ristretta a un’esigua minoranza di studiosi. La transizione alla coscienza psicologica ha costituito la più forte ondata empatica della storia. A partire dagli anni ’60 e ’70, quelli del baby-boom postbellico, ha influenzato l’intero pianeta. Le conseguenze furono: la nascita di una più matura coscienza politica: lotte anticolonialiste; movimenti per i diritti civili; femminista; pacifista; ecologista; antinucleare; contro la discriminazione dei disabili; dell’omofobia; per i diritti degli animali. Lo sviluppo di questi movimenti sarebbe stato impensabile senza una nuova coscienza psicologica che attribuiva un nuovo valore all’introspezione, alle relazioni di intimità, alle prospettive multiculturali e all’accettazione dell’alterità e diversità come occasione di ricchezza. La proliferazione di questi movimenti sociali coincise con l’impegno nella vita pubblica e un risveglio della coscienza ideologica che era rimasta latente negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, travalicando le distinzioni ideologiche un po’ astratte, come quella della coscienza di classe e il controllo dei mezzi di produzione. Coincise, ma la determinò pure. Lo storico Roszak nel suo La nascita di una controcultura ha saputo cogliere la frattura generazionale che negli anni ’60 ha opposto la prima generazione cresciuta secondo i principi del pensiero terapeutico a quella dei propri genitori. Roszak sintetizza il cambiamento di Gestalt in questo modo: “La coscienza di classe, come principio generativo, lasciava il posto alla coscienza della coscienza”. Il viaggio nell’interiorità dava dignità politica alle emozioni. Ne fu contagiato il movimento degli studenti; la New Left americana e la nuova sinistra francese (che ebbe come motto “Un uomo, un’anima”). Mentre gli ideologi della vecchia sinistra tenevano sotto sorveglianza le istituzioni, i militanti della New Left sorvegliavano in primo luogo se stessi. Quel movimento non fu privo di difetti; non seppe evitare il narcisismo rampante e spregiudicato e l’intellettualismo. Descrisse una visione dionisiaca in cui l’espressione dei sentimenti diventava la cosa più eccitante (vedi Woodstock). Ma nonostante ciò la nuova coscienza psicologica permise una critica radicale all’educazione, la famiglia, il lavoro, 19 l’allevamento dei figli, la sessualità, i modelli urbanistici, la scienza, la tecnologia; il significato di ricchezza, di amore che diventavano tutte questioni da analizzare e reimpostare. PARTE TERZA L’ERA DELL’EMPATIA Cap.XI. Verso il picco dell’empatia globale L’età della mobilità: -più di 49mila aeroplani sorvolano ogni giorno il pianeta; -più di 2500 satelliti orbitano intorno alla terra; -più di 3200 miliardi di dollari vengono scambiati nei mercati finanziari di tutto il mondo. Il mondo si è rimpicciolito. Le distanze sono diventate sempre meno rilevanti, e il tempo si è fatto più corto. Il multitasking sinonimo di simultaneità e interconnessione continua. Miliardi di info e di persone su Internet. L’indirizzo virtuale è diventato più importante di quello geografico e postale. Al contempo però: - sempre maggiore bisogno di risorse energetiche - esposizione a virus di ogni genere, che godono della stessa nostra mobilità, viaggiando insieme a noi: - esposizione al terrorismo: - sistema di vigilanza e violazione della privacy (mondo come “cortile si casa” in cui di tutti si sa tutto. Due mld e mezzo di persone seguirono i funerali di Lady Diana nel 1997. Pìù di 2 mld. nelle recenti nozze di William e Kate del 29 aprile u.s. Una ondata empatica senza precedenti). - Caratteri entropici del cosmopolitismo. Costi e benefici: da una parte maggiori capacità di consumo, dall’altra maggiore dispersione di energia (le metropoli producono bidonville, slum e favelas). Quanto più l’individuo è cosmopolita, tanto più è beneficiario di una quota sproporzionatamente grande di energia e consumatore di risorse naturali. Si lascia alle spalle un’impronta entropica superiore alla media. - il micropolitismo dei flussi migratori (cresciuti di circa un triplo rispetto ai primi decenni del Novecento): una cultura che scivola dentro un’altra. Nuove opportunità empatiche. § Nuovi migranti globali. Migrazioni di massa verso i paesi più ricchi del mondo sviluppato. Qualche dato: nel Nordamerica si è passati da 13 a 41 milioni di persone dal 1970 al 2000. Nell’UE, da 19 a 35 ml di persone. Più di 1ml di immigrati legali entra ogni anno negli Usa; più di sette ml i clandestini per lo più provenienti dal Messico. Previsioni di una vera e propria “inondazione” a causa della recessione economica. “Le previsioni sono cupe”. La migrazione è resa più facile dalla possibilità di conservare i contatti con i paesi di origine, dividendo la propria attenzione tra i paesi di origine e quella di adozione. “Sfere pubbliche diaspori che” le definisce Rifkin, in grado di creare una nuova dimensione culturale, in quanto le culture, non più vincolate dalla geografia, diventano mobili e de territorializzate. Le culture diventano transnazionali e globali, come le attività economiche e politiche. Vivere con identità ibride e affiliazioni culturali multiple alimenta il cosmopolitismo dal basso e l’estensione empatica. Appropriandosi delle diverse culture gli individui acquistano una identità multiculturale. Diventano più tolleranti e aperti verso la diversità che li circonda. La diaspora culturale globale fa superare la divisione noi-loro promossa dall’identità nazionale e apre la possibilità di creare una piazza pubblica globale fatta di diverse comunità culturali, non più vincolate dal territorio. § Siamo tutti turisti e parliamo la stessa lingua La UE detiene la quota economica più alta nel settore viaggi e turismo (35% del mercato globale). Seguono gli USA con 806 ml. di viaggiatori internazionali nel 2005 (trent’anni prima 286ml; nel 1950 25ml.) 20 Il turismo globale ha esteso il sistema nervoso centrale della razza umana ed esposto centinaia di ml di persone le une alle altre. Il potenziale di empatia è aumentato in proporzione diretta all’esposizione e all’interazione. § Tendenze globali dell’empatia reti globali di comunicazione che connettono la maggioranza della razza umana alla velocità della luce; - diffusione di stili di vita urbana che comportano un atteggiamento più cosmopolita; - nuova ondata di migrazione globale (tutt’altro che imprevedibile); - tendenza verso le identità multiple e la doppia cittadinanza; - maggiore possibilità di mobilità delle persone e delle merci. Questi fattori hanno creato legami nei modi più svariati e a livelli mai prima raggiunti. Ciò che stiamo vivendo è qualcosa di assolutamente inedito nella storia. La piazza pubblica globale sta diventando una realtà. Potremo pensare alla razza umana come a una grande famiglia allargata anche se non abbiamo ancora la certezza di riuscire a sviluppare effettivamente una coscienza biosferica. L’empatia esiste in ogni cultura. La questione è quanto estesa essa sia. Nelle società di sopravvivenza i legami empatici si sviluppano di meno: nelle culture tradizionali è generalmente confinata alle relazioni genitori e figli e altri parenti più stretti. I legami comunitari sono meno sentiti. Ma vi sono prove empiriche che essa si stia sviluppando, sia pure tra le classi medie nei paesi in via di sviluppo. Ancora una volta lo sviluppo della coscienza empatica è in relazione diretta alla disponibilità di risorse energetiche tali da garantire un livello di sicurezza economica sufficiente a permettere alle persone un accresciuto livello economico. Alcune indagini dimostrano che l’81% dei paesi ad alto reddito ha compiuto la transizione a una cultura post-materialista, ma il 74% dei paesi poveri resta orientato ai valori della sopravvivenza. Così, mentre una minoranza di paesi e di popolazioni sta adottando valori sempre più cosmopoliti, la maggioranza procede in direzione opposta. § Mai più “altri” Nella categoria “altri” sopravvivono società patriarcali (Bangladesh, Nigeria e Marocco) donne, omosessuali e disabili, oltre agli appartenenti ad altre razze, etnie e religioni. I sondaggi mondiali dimostrano però un cambiamento epocale nei confronti di questi gruppi. Oggi le discriminazioni di genere sono sensibilmente diminuite nei paesi a ritmo economico più sostenuto e i movimenti per i diritti delle donne si sono diffusi anche nei paesi in via di sviluppo, dove cominciano a produrre effetti profondi sulle relazioni di genere. Un migliore accesso all’istruzione, alle opportunità di lavoro, a strumenti di contraccezione e l’esposizione ai mezzi di comunicazione globali hanno contribuito a questo mutamento di atteggiamento. I contatti quotidiani tra i banchi di scuola o sul posto di lavoro sono determinanti per cancellare vecchi miti e pregiudizi. Studiando o lavorando fianco a fianco dei portatori di handicap normodotati hanno avuto modo di conoscerne la sensibilità, la vulnerabilità, le paure, i pregiudizi, i desideri, le aspirazioni, simili a quelle di tutti gli altri. L’interazione sociale ha reso possibile l’estensione del legame empatico. La stessa cosa vale per l’accettazione di tutte le altre diversità che sono diventate occasioni per rompere e vincere stereotipi grazie all’informazione e al contatto diretto. Occorre dire che l’industria cinematografica e televisiva hanno svolto un grande ruolo a tare riguardo. Film come Forrest Gump, Figli di un dio minore, Rain Man, A beautiful mind, e tanti altri, sono stati visti da milioni di persone in tutto il mondo e hanno contribuito a modificare l’atteggiamento della gente nei confronti della diversità. Anche le scuole e le università hanno svolto un ruolo positivo per la crescita di una sensibilità multiculturale e dialogica. § Il declino della religione 21 Nei paesi tecnologicamente più avanzati, dove l’espressione di sé è più alta, la vecchia coscienza teologica sta perdendo presa: le gerarchie religiose hanno sempre meno senso e anche se i valori religiosi tradizionali restano molto radicati, la ricerca di una spiritualità ha preso altre strade soprattutto tra i giovani. La religione conserva invece la sua importanza nei paesi più poveri. Il passaggio dalla religiosità alla spiritualità segna l’abbattimento degli antichi confini tra credenti e non credenti. Sebbene la tendenza verso l’autorealizzazione, la spiritualità, il cosmopolitismo, la tolleranza sia dimostrabile nel passaggio da una generazione all’altra nei paesi industrializzati e tecnologicamente avanzati, in quegli stessi paesi si registra un rapido declino della natalità. Il tasso di natalità sta diminuendo in tutto il mondo, ma nei paesi avanzati sta precipitando, con una media di 1,8 figli, mentre nei paesi più tradizionali e religiosi la media è di un punto più alto (2,8). Attualmente, circa 2mld di persone vivono in società laiche e 1,7 in società più tradizionalmente religiose. Ma se i paesi laici hanno fatto registrare un aumento demografico del 41% negli ultimi 30 anni, nei paesi tradizionali l’aumento della popolazione è stato nell’ordine dell’82%. Il miglioramento delle condizioni economiche dei paesi poveri potrebbe portare a una diminuzione delle discriminazioni di genere. Le statistiche demografiche dimostrano che il progredire dello stile di vita industriale apre maggiori opportunità di istruzione alle donne, oltre che un miglioramento delle prospettive occupazionali e maggiore indipendenza, il che si traduce nella decisione consapevole di mettere meno figli al mondo. § La globalizzazione della famiglia Anche la famiglia è attraversata da tumultuosi cambiamenti. La maggiore sua esposizione e interazione negli altri settori della vita quotidiana hanno fatto breccia nel più intimo e privato degli ambienti: le nuove identità famigliari sono sempre più multireligiose, multietcniche, multiculturali e multirazziali. La famiglia insomma è diventata una diaspora in miniatura. Sono in aumento i matrimoni interetnici. In Austria, una società tradizionalmente abbastanza chiusa, con la sola eccezione di Vienna, nel 2003 si è registrato il 24% di matrimoni in cui uno dei partner è straniero. Seguono la Svezia (con il 20%) e la Francia (con il 14%). A sua volta la Germania rappresenta un caso esemplare. Nel 1960 in quasi tutti i matrimoni celebrati entrambi gli sposi erano tedeschi, ma già negli anni ’90 , su 15 matrimoni celebrati, uno dei due sposi era nato all’estero. La germania, che ha una cultura tradizionalmente omogenea, è oggi una delle società più multiculturali del mondo. Tutti hanno visto il film americano Indovina chi viene a cena del 1967: la storia di un uomo di colore invitato a cena dalla sua ragazza bianca. Il film innescò un fuoco di fila di polemiche, ma in quello stesso anno la Corte Suprema degli Usa, con decisione unanime, mise fuori legge tutti i provvedimenti eugenetici che impedivano all’epoca matrimoni interraziali. Solo nove anni prima due ragazzini di colore, di 7 e 9 anni erano stati arrestati, incarcerati e condannati rispettivamente a 12 e 14 anni di reclusione perché la bambina bianca aveva baciato uno di loro. Dovette intervenire personalmente il presidente Eisenhower per graziarli. Oggi, un americano su quattro riferisce di aver frequentato una persona appartenente a un’altra razza e tre su dieci di avervi avuto una relazione seria. Per i nati dopo il 1976 (la c.d. generazione X) la questione dei rapporti sentimentali interraziali è diventata del tutto irrilevante. I figli di coppie interrazziali stanno diventando un fatto all’ordine del giorno. Negli Usa ci sono più di 3 milioni di figli nati da genitori di razza diversa. Uno di questi, Barak Obama, è oggi Presidente degli USA. § Empatizzare con le altre specie Per la prima volta nella storia è emerso un nuovo movimento che ha la possibilità di estendere l’empatia al di là del confine della specie, fino a includervi tutte le nature che vivono sul pianeta. L’impegno per il benessere e la protezione degli animali ha avuto origine nell’800 nel Regno unito e negli States. Il movimento ambientalista di oggi ne è l’erede. Il movimento ecologista è nato alla fine degli anni ’60. A partire da quegli anni sono state combattute importanti lotte intorno alla questione che oppone da una parte la conservazione delle specie rare e dall’altra lo sviluppo economico. Una più 22 giovane generazione di ambientalisti ha sviluppato movimenti per i diritti degli animali (che solo 40 anni fa non esisteva), coinvolgendone anche i media e la letteratura. Esso è molto sentito in Europa, al punto da aver portato all’adozione di normative esemplari e molto severe nella tutela degli animali d’allevamento. In anni più recenti ben 88 facoltà tra molte prestigiose università americane hanno introdotto corsi sui diritti degli animali. La UE ha riconosciuto legalmente che gli animali sono esseri “senzienti”, dotati di sentimenti e coscienza. Uno studio condotto dalla Kansas State University per misurare l’empatia dei bambini, ha rivelato che i bambini che sviluppano un forte legame con gli animali in età piccola e se resi responsabili dai genitori della loro cura, hanno una maggiore probabilità di sviluppare comportamenti pro sociali verso i propri coetanei. § I sei gradi di separazione per l’empatia globale Nel 1967 il sociologo Stanley MILGRAM stabilì che tra due sconosciuti ci sono in tutto sei gradi di separazione. Nel 2007, lo scetticismo del mondo accademico si era dovuto scontrare con uno studio condotto da un informatico e da un ricercatore della Microsoft, Eric HORVITZ che analizzando, ben 30 miliardi di messaggi elettronici scambiati da 180 miliardi di individui in tutto il mondo confermarono la teoria secondo la quale solo 6,6 gradi separano due perfetti sconosciuti. Secondo una ricerca più recente, condotta all’Università statale di Milano, su Facebook la media mondiale di separazione tra un individuo e tutti gli altri 7 miliardi di persone che popolano il pianeta è di 4,74. Gli studiosi hanno preso in considerazione 721 milioni di utenti attivi, pari a 69mila connessioni. La teoria del mondo piccolo, già oggetto di romanzi, film e spettacoli televisivi, tende a farsi sempre più ristretta. E i risultati dimostrano che esiste una costante di connettività sociale per tutta l’umanità. Non è detto che la distanza debba rimanere a quota 4, ed è possibile che ben presto essa si possa accorciare a 2 soli gradi: il che equivarrebbe a dire che tutti siamo amici di tutti. I ricercatori dell’ICT e della teoria delle reti sociali suggeriscono che il fenomeno del mondo piccolo possa essere sfruttato per chiamare a raccolta rapidamente tutta l’umanità in una rete solidale in caso di calamità naturali o per scopi politici e sociali. Horvitz sostiene che grazie ai motori di ricerca globali e agli spazi del social network si possano creare immensi gruppi di persone pronte a mobilitarsi al tocco di un tasto. Il potenziale per passare rapidamente a una coscienza biosferica non sembra dunque né remoto né inverosimile. La domanda di Rifkin è la solita: arriveremo in tempo per trasformare radicalmente i nostri stili di vita e le nostre abitudini economiche, rendendo maggiormente sostenibile il nostro rapporto con la biosfera terrestre? Il cambiamento climatico infatti sembra accelerare tanto rapidamente quanto l’evoluzione di una coscienza biosferica, lasciandoci nell’incertezza circa la nostra capacità di riuscire ad arrestare per tempo le conseguenze più estreme del riscaldamento globale. Cap. XII. L’abisso entropico planetario Petrolio, carbone e gas naturale continuano a fornire una parte del fabbisogno energetico del mondo, ma siamo oramai tutti convinti che l’era del petrolio sta per esaurirsi. Siamo entrati in una zona d’ombra nella quale i costi reali della nostra dipendenza dai combustibili fossili minacciano di innescare un cambiamento senza precedenti nel clima mondiale, con conseguenze disastrose per il futuro della civiltà umana e degli ecosistemi terrestri. Il costo sempre più alto dell’energia derivata dai combustibili fossili e il progressivo deterioramento del clima e del sistema ecologico sono fattori determinanti per tutte le decisioni politiche ed economiche che ogni nazione dovrà porsi nei prossimi 50 anni. Il sempre più diffuso degrado ecologico sta già provocando una straordinaria ondata migratoria: i profughi ambientali fuggono dalle regioni a rischio. La stima è di un movimento umano di circa 25 milioni, che diventeranno più di 200 milioni entro la metà del secolo. Le emigrazioni avvengono nei paesi più industrializzati in cui sono concentrate le maggiori riserve di energie. Nel gennaio del 2007 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPPC) delle Nazioni Unite, in cui convergono 25mila scienziati di ogni disciplina campo di studi, provenienti da più di 130 nazioni ha pubblicato il suo IV rapporto di valutazione, in cui si è giunti alla conclusione che il riscaldamento 23 globale indotto dalle attività umane sta già fortemente influenzando (negativamente) il clima e la chimica della terra, minacciando gli ecosistemi e le specie da cui dipende la nostra sopravvivenza. Una serie di dati scientifici da tener presente. Secondo l’IPPC la concentrazione globale di ossido di carbonio (CO2) supera di molto la banda naturale di oscillazione rilevata negli ultimi 650mila anni, stabilita attraverso l’esame dei ghiacciai profondi. Si è passati da 280ppm (patti per milione) a 379 ppm (stima rilevata nel 2005). La concentrazione atmosferica globale di metano, un gas serra 23 volte più pesante del CO2 è aumentato da 715 a 1774 ppm (parti per milione): più di 1000 ppm. Inoltre, la concentrazione nell’atmosfera di protossido di azoto (N2O), il terzo gas serra che ha un effetto trecento volte superiore a quello del CO2, è a sua volta aumentato dal valore preindustriale di 270ppm a 319 ppm. Insieme, questi tre gas serra stanno intrappolando il calore creato dalla radiazione solare impedendogli di disperdersi nello spazio. Il risultato è che l’atmosfera terrestre si sta riscaldando molto rapidamente: 11 degli ultimi 20 anni sono stati fra i 12 anni più caldi da quando si iniziarono a registrare dati meteorologici (ossia dal 1850). (p.441) Il riscaldamento globale non è che il conto entropico che saldiamo alla rivoluzione industriale. Gli edifici abitativi delle nostre metropoli consumano la maggior parte del nostro fabbisogno energetico, principalmente sotto forma di elettricità. Sono responsabili del 30% delle emissioni dei gas serra nell’atmosfera. Vanno aggiunti i costi energetici sul consumo di carni animali nutriti con cereali (che assorbono il 18%). Gli allevamenti di bestiame bovino sono la seconda causa del riscaldamento globale. Si comprende perciò l’appello del premio nobel Kumar Pachauri a ridurre il consumo di carni animali come primo passo per invertire una situazione che potrebbe portarci a un riscaldamento che vada oltre i 3° Celsius di temperatura. Altre più fosche previsioni stimano in 11,5° l’aumento della temperatura entro questo secolo. Ma anche un aumento di 3° ci riporterebbe alla temperatura della terra di tre milioni di anni fa, ossia del Pliocene. Per comprendere l’ampiezza del fenomeno va tenuto a mente che in 3,8 miliardi di anni di esistenza di forme di vita sulla terra, ci sono state ben cinque ondate di estinzioni biologiche di massa e che ogni volta ci sono voluti 10 milioni di anni per recuperare la biodiversità perduta. Questo capitolo, come si sarà capito, è il nocciolo duro di tutto il libro di Rifkin; quello che più spinge a una revisione totale delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita. Qualsiasi cambiamento delle temperature globale arrecherebbe effetti significativi sulle specie viventi. Consideriamo anche il fatto che la terra è prevalentemente un pianeta d’acqua (il 75% della superficie è coperta di acque e il 25% di verde); ma solo il 2,5 dell’acqua totale è costituita da acqua dolce, e di questa, il 75% è formato dalle calotte glaciali. In altri termini, meno dello 0,3% dell’acqua dolce è disponibile in superficie sotto forma di corsi d’acqua da cui per lo più traiamo acqua potabile. Si stima che i ghiacciai possano perdere fino al 60% del proprio volume entro il 2050. La mancanza di acqua dolce disponibile ha costituito sempre un problema in alcune regioni del mondo, ma si è sempre dato per scontato che vi sarebbe stata sempre acqua dolce a sufficienza per mantenere la specie umana nel suo complesso. Ma l’aumento della temperatura terrestre fa aumentare l’evaporazione, cioè il rilascio di vapore acqueo nell’atmosfera. Ogni grado Celsius in più di temperatura fa aumentare del 7% la capacità dell’atmosfera di trattenere umidità. Questo cambiamento influenza il ciclo idrologico, in particolare la quantità, la frequenza, l’intensità e la durata delle precipitazioni. L’effetto dell’aumento di vapore acqueo nell’atmosfera è l’aumento dell’intensità delle precipitazioni, a fronte di una diminuzione della durata e della frequenza. Le conseguenza sono alluvioni più forti e siccità più prolungate Il gruppo di lavoro dell’IPPC ha concluso la sua valutazione con un avvertimento urgente: la civiltà umana ha meno di dieci anni per predisporre un piano coerente, sistematico e a lungo periodo per ridurre le emissioni di gas serra. Se non lo faremo, il pianeta si troverà in un vicolo cieco con effetti catastrofici per la nostra specie e per le altre forme di vita presenti sulla terra. La tempesta perfetta potrebbe verificarsi con la convergenza e l’interazione di tre fattori: 1. l’aumento dei prezzi dell’energia; 2. l’accelerazione del cambiamento climatico; 3. l’inasprimento dei conflitti locali. § Il nucleare 24 Le preoccupazioni per la sicurezza non sono infondate o inutilmente allarmistici. Il rinnovato interesse per le centrali nucleari ha provocato una corsa all’uranio. Il nodo del problema è che non esiste la possibilità di separare con certezza il c.d. nucleare civile dall’uso delle stesse tecnologie e degli stessi materiali per avviare progetti di nucleare militare. Ciò che maggiormente preoccupa gli esperti è la diffusione delle conoscenze necessarie per assemblare e preparare ordigni nucleari. Si è allargato il numero delle nazioni che dispongono di competenze tecniche per accedere al nucleare. Erano nove fino a poco fa, ora si sono aggiunti altri paesi. Paesi come il sud africa, l’Australia, l’Argentina, l’Iraq si stanno preparando ad arricchire l’uranio. Kofi Annan, all’epoca segretario delle Nazioni Unite, aveva avvertito la comunità internazionale sul rischio della proliferazione nucleare. La lobby nucleare globale afferma che solo l’energia nucleare non emette CO2 e può quindi fornire una parte sempre crescente del fabbisogno energetico mondiale, contribuendo al contempo a mitigare il riscaldamento globale. Anche a voler escludere che le energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica, idroelettrica, da biomassa ecc.) potrebbero rivelarsi alternative migliori, ci sono scarse probabilità che dal nucleare possano venire contributi fattivi per fronteggiare il riscaldamento globale. Per avere anche solo un impatto marginale sul cambiamento climatico sarebbe necessario che l’energia nucleare generasse almeno il 20% dell’energia mondiale. Ciò richiederebbe la sostituzione dei 443 impianti in funzione con la costruzione di almeno altri 1500, per un tot. di circa 2mila impianti (dovremmo cioè costruire da qui ai prossimi 70 anni un impianto nucleare al mese). Il costo approssimativo si aggirerebbe attorno ai 5000 mld di dollari. Gli Stati uniti, l’Inghilterra e la Francia sono interessati a diffondere impianti nucleari in ogni angolo del pianeta. Questo però, a parte ogni altra considerazione, significherebbe creare i presupposti per continui traffici di uranio e scorie nucleari, accumulati in strutture provvisorie e spesso nei pressi di grandi centri urbani o sotto la superficie delle acque (come si è saputo da un recente servizio tv sullo stoccaggio di scorie nelle Langhe). § La diffusione di agenti patogeni mortali Altre preoccupazioni provengono dalla nascente rivoluzione delle biotecnologie e dal perfezionamento delle tecniche di ingegneria genetica. Anche le biotecnologie hanno un loro lato oscuro. Le armi batteriologiche realizzate per mezzo dell’ingegneria genetica vengono chiamate la bomba atomica dei poveri. Sempre più spesso i fatti di cronaca ci informano su buste contenenti spore letali di antrace recapitate tramite un normale servizio postale. Gli agenti biologici letali debbono essere classificati come armi di distruzione di massa al pari delle armi nucleari. Sarebbe sufficiente una dispersione di appena 220 grammi di antrace da un aereo in volo per provocare la morte di tre milioni di persone. Alla capacità delle tecnologie nucleari e della biotecnologia di creare distruzione non abbiamo altro da opporre che un riorientamento radicale della coscienza umana in modo che l’umanità impari come vivere in un pianeta condiviso. Una prospettiva difficile da immaginare ma non del tutto impossibile da realizzare. Una parte significativa dell’umanità sta cominciando ad acquisire una coscienza cosmopolita, estendendo l’empatia ai diversi, sia uomini che animali. E questa è una buona notizia. Quella cattiva è che la nuova sensibilità globale è stata possibile grazie alla creazione di strutture sociali sempre più complesse che hanno bisogno di sostenere infrastrutture (logistica e servizi) che hanno bisogno di sempre maggiori flussi energetici per funzionare. E sappiamo oramai che quanta più energia e materia produciamo, tanto più salato sarà il conto entropico che dovremo pagare in termini di emissioni di gas serra e cambiamento climatico. Ma se il progresso umano richiede un continuo aumento di entropia per sviluppare una sensibilità empatica sempre più estesa e profonda, questo vorrà dire che la nostra specie è destinata a estinguersi e a scomparire proprio nel momento in cui sta giungendo a una più matura coscienza biosferica? In altre parole, se il progresso della coscienza empatica e del cosmopolitismo globale dipende da un uso sempre più intensivo di energia, le due cose sono destinate ad annullarsi reciprocamente, lasciandoci nell’amara consapevolezza di essere sul punto di precipitazione nella catastrofe globale? 25 La risposta di Rifkin è che questa è purtroppo la direzione che abbiamo preso, e che non siamo i soli a pensare che questa strada potrebbe decretare la fine della corsa; il nostro capolinea. Ma c’è un’altra possibilità: potremmo essere vicini alla fine non della storia, ma di questa fase storica, e solo all’inizio di un’avventura completamente nuova. Le pagine che seguono tentano di risolvere quello che l’A. ritiene il paradosso di questa fase storica, introducendo il concetto di comunità quasi climacica, che è entrato a far parte della letteratura scientifica grazie all’ecologo Eugene ODUM (Fundamentals of Ecology, Filadelfia 1971). L’ecosistema quasi climacico è metafora di uno sviluppo economico sostenibile. Diversamente dalla comunità in sviluppo, che hanno bisogno di più forte impiego di energia, le comunità climatiche raggiungono un equilibrio consumando tanto quanto importano, senza accumulazione. L’eccesso di produzione viene sostituito da una produzione calibrata e sostenibile. Legando la felicità dell’uomo all’acquisizione di proprietà privata i filosofi utilitaristi del XVIII° sec. gettarono le basi per un’idea di uomo come animale acquisitivo, istintivamente predisposto all’accumulazione della ricchezza. Una ricca letteratura sociologica, psicologica e cognitiva ha cominciato a mettere in discussione l’affermazione che a una maggiore ricchezza corrisponda maggiore felicità. La cosa nuova e interessante è che le persone, una volta raggiunta una soglia minima di benessere economico che consenta loro di sopravvivere adeguatamente, non vedono aumentare la felicità con l’aumentare della ricchezza accumulata, la quale, anzi, le rende meno felici, più esposte alla depressione, all’ansia e ad altri disturbi fisici e psichici, e maggiormente insoddisfatta della propria condizione. Un’indagine di uno psicologo americano, Tim Kasser, ha posto in evidenza come tra un gruppo di studenti la cui motivazione principale era il denaro, l’immagine e il successo, molti di loro mostravano livelli più elevati di depressione e più disturbi fisici rispetto a quelli meno orientati verso quei valori. Altri studi hanno individuato una forte correlazione fra i valori materialisti e l’abuso di sostanze. Altrettanto sconcertanti sono quegli studi che rivelano come i giovani con forti motivazioni materialiste manifestino meno emozioni positive di quelli orientati verso valori più alti e altruistici. I primi manifestano più frequentemente la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), risultando più ossessivi e compulsivi, più introversi, possessivi, isolandosi dai loro compagni; mostrando scarsa generosità, e sviluppando aggressività verso altre persone. Studi condotti in Germania, Danimarca, Gran Bretagna, Russia, India, Romania, Australia e Corea del sud giungono a conclusioni analoghe. Sembrerebbe insomma da questi studi che quanto più i valori al centro della nostra vita sono orientati al materialismo, tanto più diminuisce la qualità della nostra vita. Sembrerebbe ancora che la felicità (o quanto meno lo star bene) diminuisce con l’accumulo della ricchezza. Ciò sta a dirci che il legame empatico non dipende dal benessere economico, né dalla spirale perversa del sempre maggiore consumo di beni (ossia di energia prodotta e delle conseguenti scorie entropiche). Ciò che si possiede finisce col possederci. L’accumulo di ricchezze non ci rende più felici, ma solo un po’ di più preoccupati, delusi e alienati. Svalutando gli altri, aumenta l’isolamento dall’affetto e la compagnia dei nostri simili. Altri studi sulla felicità hanno rilevato che gli individui più materialisti sono meno inclini a mettersi nei panni degli altri e a fidarsi degli altri. Altri ancora, come quello condotto sugli studenti della Harward University dimostrano che chiamati a scegliere tra due possibilità: la garanzia di un reddito di 50mila dollari annui, a fronte di altri che ne guadagnano 20mila o di un reddito di 100mila a fronte di altri che ne guadagnano 250mila, la maggioranza degli studenti ha mostrato preferenza per la prima offerta. Quegli studenti in altri termini, hanno dimostrato di aver ben chiaro che la ricchezza oltre una certa misura non aiuta a vivere meglio, e che quanto più abbiamo tanto più crediamo di non potercela fare a vivere con meno. Ciò accade perché ci adeguiamo rapidamente a ogni nuovo livello di reddito, e quello che fino a poco tempo prima ci sembrava un lusso diventa ben presto una necessità. La sindrome della felicità costringe le persone a una corsa verso la disperazione. Altri studi condotti sulla sindrome della felicità dimostrano che i cittadini tendono a essere più felici in una società dove siano soddisfatte le necessità essenziali, e in cui le differenze tra ricchi e poveri non sia molto accentuato. 26 Rifkin fa notare che il “sogno americano” ha sempre sottolineato l’importanza del successo personale misurandolo in termini di reddito raggiunto, mentre il “sogno europeo” è più attento alla qualità della vita e considera il successo in termini di welfare sociale come l’assistenza sanitaria universale, la qualità dell’istruzione, il tempo libero e la sicurezza e la qualità dell’ambiente. Un paese insomma ha un livello di felicità media tanto più elevato, quanto più il reddito è equamente distribuito. Il reddito pro-capite degli europei è mediamente più basso di quello degli americani. Noi abbiamo case più piccole, guardaroba più ridotti e minori apparecchi elettrodomestici. Abbiamo anche un maggiore prelievo fiscale dal momento che attribuiamo un valore maggiore al modello sociale rispetto al valore di mercato preferito dagli americani. Distribuendo la ricchezza in servizi pubblici attraverso la tassazione, attenuiamo le distanze sociali. Tutto questo in linea di principio, ma sappiamo che l’evasione fiscale viene se non premiata certamente poco combattuta in alcuni paesi, e che essa grava solo sul reddito fisso e che sulle spalle dei ceti del lavoro viene caricato tutto l’onere di conservare i servizi sociali più essenziali, mentre avanza e si contagia l’aspirazione a ricchezze smisurate sottratte alla fiscalità generale. Il confronto con la società americana, affrontata da Rifkin da un altro suo libro citato in premessa, è reso maggiormente evidente dal consumo di energia. Nonostante la popolazione complessiva dei 27 paesi aderenti alla UE sia superiore a 500milioni di persone, contro i 300 degli USA, la società americana consuma più energia pro-capite e in assoluto per far funzionare la propria struttura economica e sociale. Gli USA sono responsabili della emissione del 18% del totale dei gas serra, contro il 13% della UE. L’educazione familiare Altri studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato inoltre una stretta correlazione tra l’educazione ricevuta e l’ossessione dei giovani per il successo materiale.. Se un genitore è affettuoso e reattivo, molto probabilmente il bambino svilupperà relazioni di fiducia . Ma se la figura di riferimento è più staccata, più fredda, punitiva, scarsamente reattiva e ansiosa, il bambino avrà poche possibilità di stabilire uno stabile attaccamento affettivo e un’identità personale forte e indipendente. Questi bambini mostrano una maggiore tendenza a concentrarsi sul successo materiale e sull’immagine come strumenti per guadagnare riconoscimento, accettazione e senso di appartenenza. L’industria pubblicitaria globale fa leva su queste insicurezze emotive, promettendo maggiori successi attraverso il possesso di beni gratificanti che denotano status. I giovani che attribuiscono maggior valore al successo economico hanno in genere avuto madri meno affettuose nell’accudimento rispetto a quelli che attribuiscono maggior valore allo sviluppo di relazioni significative. Gli adolescenti insicuri hanno anche una maggiore probabilità di guardare agli altri per ottenere quell’approvazione che i genitori hanno negato e di considerare i valori materialisti della celebrità, del successo e della ricchezza come strumenti per ottenere l’attenzione e la compagnia degli altri. Nella prospettiva di una maturazione della coscienza biosferica ciò che è importante in questi studi è la scoperta che le persone che mostrano di avere forti valori materialisti hanno minori probabilità di sviluppare relazioni intime personali; sono meno tolleranti verso gli altri e meno preoccupati del benessere dei loro simili; mancano di attenzione per l’ambiente e la natura. In atri termini, sono molto meno empatici. La transizione verso un’era di sostenibilità ecologica che abbiamo definito quasi climacica dipende molto quindi dall’orientamento dei genitori nel favorire nei giovanissimi un’adesione a valori pro sociali, che promuovano l’empatia e contrastino le tendenze delle società di mercato. Un cambiamento qualitativo nell’approccio a un’attività genitoriale orientata in tal senso si è avuto solo con la generazione dei baby-boomers, ossia negli anni Sessanta del ‘900, e i suoi effetti si cominciano ad avvertire oggi. Il ’68 ha effettivamente realizzato la transizione dalla coscienza ideologica alla coscienza psicologica. La generazione della controcultura ha cominciato a guardarsi dentro (si consideri il valore del noto slogan: “il personale è politico”), mettendo in discussione il materialismo rampante della società che contestavano. Da Parigi a San Francisco gli attivisti radicali scesero in piazza con cartelli su cui era scritto “abbasso la società dei consumi!”. Gli anni Sessanta hanno visto dunque un grande rafforzamento dei legami empatici. 27 Diventati a loro volta genitori, i baby-boomers, hanno adottato stili genitoriali più libertari e affettuosi rispetto alle generazioni precedenti, trasmettendo i loro sentimenti empatici ai figli. Si è creata così una generazione più tollerante e aperta. L’ondata empatica ha continuato a guadagnare forza con la net generation, la stessa che sarebbe diventata però il bersaglio di un pubblicità aggressiva proprio sulla fascia di età che sta tra i 6 e i 12 anni (nel gergo pubblicitario: i tween). La cultura del consumo infantile è diventata un affare colossale. Basti considerare che il fatturato del mercato dei prodotti per bambini fra i 4 e i 12 anni era di circa 6 mld nel 1989 e oggi è a 30 mld di dollari, con un aumento del 400%. (Nati per comprare è il titolo di un noto bestseller americano dell’economista e sociologo Juliet Schor, in cui si metteva in evidenza che nonostante negli USA i bambini rappresentino solo il 4,5% della popolazione mondiale, i bambini americani consumano il 45% della produzione globale dei giocattoli). Le campagne pubblicitarie e di marketing rivolte ai giovani non sono meno aggressive nell’Europa continentale anche se non raggiungono l’intensità degli Usa, del Giappone e del Regno unito. Afferma Rifkin che la giustapposizione fra un’educazione più empatica da parte dei genitori e le massicce campagne di pubblicità e marketing indirizzate ai giovanissimi ha intralciato la piena realizzazione del potenziale della rivoluzione educativa nell’atteggiamento genitoriale e in qualche caso ha portato a far crescere bambini eccessivamente coccolati, viziati e dispotici, la cosiddetta generazione Io. Gli esperti di sviluppo infantile temono che ai giovani vengano inviati segnali contrastanti. Che i bambini diventino il centro dell’universo dei loro genitori, trasformandosi in “mocciosi viziati”, malati di narcisismo, vanificando così tutte le buone intenzioni educative dei genitori. Un’eccessiva indulgenza produce insicurezze, facilmente manipolabile dalle campagne di marketing. Il maggiore impedimento alla creazione di una coscienza biosferica è rappresentata oggi proprio dalla pubblicità commerciale rivolta ai giovanissimi, la quale insidia gli sforzi educativi dei genitori, sfruttando le loro insicurezze. Altra questione posta in questo capitolo è quella sulle disuguaglianze sociali. Bisogna chiedersi cosa accade per quel 40% della popolazione mondiale che è sotto la soglia della povertà, ossia con un reddito inferiore ai 2 dollari al giorno, dove i valori materiali di sopravvivenza prendono necessariamente il sopravvento su quelli legati all’espressione di sé. È un problema che divide l’umanità in due, e anche le nazioni e le classi dirigenti più sinceramente democratiche sanno bene che portare quasi 3 mld di esseri umani al livello della metà benestante dell’umanità è impossibile, perché comporterebbe un conto entropico di tale entità da portare la biosfera in un regime climatico radicalmente diverso da quello già abbastanza compromesso del pianeta, che potrebbe portare all’estinzione della razza umana. La domanda perciò è la seguente: come possiamo riorganizzare la nostra relazione con i più sfortunati in modo che “chi ha” possa rendere meno onerosa la propria presenza in termini di consumo energetico e “chi non ha” possa stabilire una presa più stabile nell’ambiente in cui vive, permettendo a tutti di incontrarsi in corrispondenza di una soglia minima di benessere? È a quella soglia che potremo massimizzare la coscienza empatica e creare le condizioni per una società globale sostenibile. Considerata la diminuzione delle riserve di petrolio e il fatto che l’energia diventerà praticamente insostenibile quando la produzione del grezzo toccherà il suo picco e inizierà la sua curva discendente (cosa che i più ottimisti prevedono tra il 2030 e il 2035 e i più pessimisti già in questo decennio), Rifkin afferma che “la cosa fondamentale da fare è immaginare un regime energetico all’interno di una nuova rivoluzione economica in cui il tipo di energia che usiamo si possa trovare nel nostro giardino o cortile di casa, equamente distribuito sulla terra, gratuita e facilmente accessibile e rinnovabile con il cambiamento delle stagioni e i cicli della biosfera. Cap. XIII. L’era nascente del capitalismo distribuito Negli anni in cui in Europa e negli Stati Uniti si dette avvio alla costruzione dei sistemi delle autostrade interstatali (seconda metà degli anni ’50) gli scienziati cominciarono a notare preoccupanti cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre: la emissioni di CO2 avrebbero potuto surriscaldare l’atmosfera terrestre portando a conseguenze inimmaginabili. Già negli anni ’70 i modelli 28 computerizzati previdero un possibile aumento della temperatura terrestre nell’ordine di alcuni centigradi al secondo. Nel 1979 uscì negli USA un primo rapporto dell’Accademia delle Scienze le cui conclusioni giunsero all’opinione pubblica come un segnale di attenzione al problema. Il conto entropico della Seconda rivoluzione industriale si andava inesorabilmente accumulando nella seconda metà del ‘900 con l’esaurirsi delle scorte di petrolio. Il picco globale di petrolio disponibile pro-capite si registrò nel 1979. Trent’anni dopo, nel 2008, il petrolio ha raggiunto il prezzo record di 147 dollari al barile. Già a metà degli anni ’80 la seconda rivoluzione industriale era giunta al suo capolinea. La crescita economica, dai primi ’90 al tracollo del 2008 non è stata determinata dalle innovazioni tecnologiche , anche se questa è stata la spiegazione ufficiale offerta al pubblico. Ciò non significa che la rivoluzione dell’information and communication technology (ICT) non abbia avuto un ruolo di rilievo nel riattivare la crescita economica, ma tale ruolo è stato meno significativo di quanto i mezzi di comunicazione ci abbiano indotto a credere. Il fatto è che la grande crisi economica resa possibile dalla Seconda rivoluzione industriale già allora aveva cominciato a rallentare. La crisi fu affrontata con una massiccia erogazione di credito al consumo, prima negli Stati uniti e poi negli altri paesi. La cultura della carta di credito ha certamente aumentato il potere d’acquisto, rimettendo all’opera le imprese nei primi del ‘900 per produrre beni e consumi che sono stati acquistati a credito. I consumatori hanno trainato l’economia mondiale principalmente con i loro acquisti finanziati col debito. Mentre i risparmi delle famiglie crollavano (nel 1991 il risparmio famigliare medio era pari all’8% del reddito, mentre nel 2006 aveva segno negativo: il che vuol dire che molte famiglie spendevano più di quanto guadagnavano) il settore bancario e creditizio ha creato una seconda linea di credito artificiale, che permetteva alle famiglie americane di acquistare casa con un anticipo in contanti minimo o nullo – i c.d. mutui subprime – che prevedevano una restituzione del capitale in un futuro indefinito, dando così vita a una bolla immobiliare senza precedenti. La bolla speculativa avrebbe coinvolto tutti i mercati e tutta l’economia globale, considerato che le comunità finanziarie e i sistemi bancari statunitensi europei e asiatici sono strettamente connessi. In altri termini, negli ultimi due decenni è accaduto che l’economia globale ha continuato a espandersi sperperando il risparmio accumulato duranta quarat’anni di crescita, dal dopoguerra agli anni ’80. A rendere ancora peggiori le cose è sopraggiunto l’aumento del prezzo del petrolio, che ha alimentato l’inflazione, ridotto il potere di acquisto dei consumatori, rallentato la produzione e fatto crescere la disoccupazione. Il fenomeno del tutto nuovo innanzi a cui ci troviamo si chiama picco della globalizzazione, e si è verificato quando il petrolio ha toccato i 147 dollari al barile. Oltre questo livello, l’inflazione crea una barriera che blocca la continuità della crescita economica, facendo rallentare l’economia mondiale, fino alla crescita zero. Quando il petrolio raggiunge quei costi l’inflazione diventa una forza talmente potente da agire come freno a ogni ulteriore crescita economica, e l’economia globale si contrae, perché il prezzo dell’energia è nascosto in ogni cosa che produciamo e il suo aumento influenza ogni aspetto della produzione. Il convergere della crisi globale del credito + la crisi energetica + la crisi climatica ha portato l’economia mondiale sull’orlo del collasso. Guardando al futuro, ogni governo si troverà nella necessità di esplorare nuove alternative energetiche e stabilire nuovi modelli economici con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile alle emissioni zero. § L’avvento della terza rivoluzione industriale I grandi cambiamenti della storia avvengono quando una nuova rivoluzione della comunicazione si coniuga con un nuovo regime energetico e crea un ambiente sociale completamento nuovo. Ci troviamo ora al culmine di questa convergenza. L’uso dell’ICT distribuita, come meccanismo di comando e controllo per organizzare e gestire l’energia distribuita da fonti rinnovabili, apre le porte alla Terza Rivoluzione industriale. Le energie distribuite sono quelle energie che si possono trovare nel cortile o nel giardino di casa: il sole, il vento, l’acqua piovana, che può generare energia idroelettrica. Oggi l’ICT, che ha consentito il successo di Internet, viene adoperata per riconfigurare le reti energetiche mondiali, permettendo a milioni di persone di accumulare e produrre le proprie energie rinnovabili direttamente a casa, in ufficio, nei negozi, nei parchi, esattamente come producono e condividono informazioni nel cyberspazio. A questa nuova frontiera Rifkin dà il nome di CAPITALISMO DISTRIBUITO. 29 § I quattro pilastri Le forme rinnovabili di energia – solare, eolica, idroelettrica, geotermica, oceanica e da biomassa – sono il primo pilastro della Terza Rivoluzione industriale. Si tratta di forme di energia in grado solo di coprire una minima frazione dell’attuale fabbisogno energetico, ma l’A. pone in evidenza come la loro adozione sia in rapida crescita (p.479), grazie anche agli incentivi dei governi. Abbiamo però bisogno di infrastrutture per condividerle. Ed è qui che entra in scena il secondo pilastro, ossia il settore delle costruzioni, che consumano fra il 30 e il 40% di tutta l’energia prodotta e sono responsabili dell’emissione di un’analoga quota di CO2. Abbiamo a disposizione tecnologie che ci consentirebbero di rigenerare almeno una parte dell’energia che consumiamo. In futuro ogni edificio potrebbe essere una sorta di centrale elettrica. Entro 25 anni, milioni di edifici saranno costruiti in modo da poter generare energia utilizzando il sole, il vento, i rifiuti, le fonti geotermiche e gli scarti di produzione (compattaggio), coprendo il proprio fabbisogno energetico ed eventualmente crearne un surplus da condividere. Non si tratta di fantascienza. Vi sono già esperienze in tal senso in Spagna (Saragozza) e in Francia alla periferia di Parigi. Monaco di Baviera nel 2025 verrà tutta alimentata da energia rinnovabile. In Sardegna è da segnalare il piccolo comune di Loceri, completamente autosufficiente. Anche nella nostra regione Puglia si stanno avviando esperienze di questo tipo in comuni a sud di Lecce. Lo stesso Rifkin è interessato a un progetto di questo tipo che dovrebbe interessare la città di Roma. Non stiamo perciò parlando di utopie, ma di esperienze reali. Per massimizzare l’utilizzazione dei primi due pilastri ne occorre un terzo, che faciliti la conversione dell’offerta per loro natura intermittenti di queste fonti (nel senso che nessuna di essa di per sé può garantire un’erogazione costante). Esiste tuttavia un mezzo ampiamente disponibile per immagazzinare l’energia prodotta da tutte le fonti rinnovabili, e in grado di rifornire in modo costante e stabile, ed è l’impiego di idrogeno. L’idrogeno è il terzo pilastro. Esso è l’elemento chimico più leggero e abbondante nell’universo. Da oltre 20 anni le nostre navicelle spaziali sono alimentate a idrogeno. Il processo è perciò il seguente: le fonti di energia rinnovabile sono utilizzate per produrre elettricità, la quale a sua volta può essere utilizzata attraverso un processo di elettrolisi, per scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno può anche essere estratto direttamente da sostanze vegetai e rifiuti organici (biomassa) senza passare per il processo di elettrolisi. Con l’impiego dell’idrogeno, da stoccare e convertire in seguito in elettricità, potremmo contare su flussi energetici continui. La UE ha già finanziato un progetto di ricerca che prevede lo sviluppo delle tecnologie legate all’idrogeno. In tal senso ha già a disposizione tre dei 4 pilastri occorrenti per dar vita a una nuova rivoluzione industriale. Il quarto pilastro consiste nella riconfigurazione della rete elettrica sulla falsariga della rete Internet, così da permettere a famiglie e imprese di produrre il proprio fabbisogno energetico e di condividerla con altri. Nel libro successivo La Terza Rivoluzione industriale, che costituisce l’aggiornamento de La civiltà empatica, Rifkin vi aggiunge un quinto pilastro, costituito da un sistema di trasporti elettrici alimentati dalla rete o da cellule a combustibile a idrogeno. Sviluppo delle tecnologie plug-in nei trasporti privati (la giapponese Toyota è in posizione dominante). § Funziona così Localmente le minireti producono energia da fonti rinnovabili - ricorrendo a pannelli fotovoltaici, generatori eolici, piccole centrali microelettriche, a biomassa - usandola, fuori dalla rete di distribuzione principale, per soddisfare il proprio fabbisogno. Le tecnologie di smart metering (contatori intelligenti) permettono ai produttori locali di vendere le proprie eccedenze energetiche alla rete di distribuzione principale. La fase successiva è l’installazione di apparati di rilevazione e di microchip in tutto il sistema di rete, in modo da connettere tutte le microreti, monitorando in ogni momento e in ogni punto di connessione la quantità di erogazione in termini di autosufficienza o di eccedenza, permettendo al consumatore di aumentare o diminuire il proprio uso di energia in funzione delle tariffe vigenti in quel particolare momento. 30 La tariffazione a tempo reale consentirà anche ai piccoli produttori nelle minireti locali di vendere alla rete l’energia che producono in surplus, o di isolarsi dalla rete principale. La rete elettrica intelligente renderà possibile insomma una radicale redistribuzione dell’energia. Il passaggio dal motore a combustione interna al motore elettrico e a cella a combustione di idrogeno abbasserà visibilmente il tasso di emissione di gas serra. L’industria automobilistica e quella aeronautica stanno già facendo passi avanti in questa prospettiva. È di queste ultime ore la notizia di un piccolo prototipo di aereo a bassa velocità che ha volato in autonomia energetica in Svizzera. Bassa velocità ma assoluta autonomia energetica. Il resto dovranno farlo le infrastrutture di rifornimento, ma si ha notizia che già da qualche anno la RWE, seconda società elettrica tedesca prevede di installare per le strade di Berlino colonnine di ricarica per vetture elettriche o a cella a combustione a idrogeno. Entro il 2030 si prevede di installarle quasi ovunque. Dal canto suo la IBM, la General Electrics, la Siemens e altre multinazionali stanno facendo il loro ingresso nel mercato della rete elettrica intelligente per trasformare le reti di distribuzione in interreti intelligenti, in modo da consentire ai proprietari di grandi fabbricati e condomini di produrre la propria energia e di condividerla con altri.. Milioni di produttori locali di energia rinnovabile con accesso a una rete di distribuzione intelligente potranno potenzialmente produrre e condividere un’energia assai superiore a quella generata dalle vecchie forme di produzione centralizzate basate sul petrolio, carbone, gas naturale e uranio a cui ci siamo fin qui affidati. Afferma Rifkin che la transizione verso la terza rivoluzione industriale richiederà una radicale riconfigurazione dell’intera infrastruttura economica di ciascun paese, creando milioni di posti di lavoro. La nuova forza lavoro ad alta tecnologia dovrà avere competenze nel campo delle energie rinnovabili, dell’edilizia ecologica, dell’informatica integrata, delle nanotecnologie, della chimica sostenibile, della gestione digitale delle reti elettriche e di centinaia di altri settori tecnici. Imprenditori e manager dovranno essere educati a trarre vantaggio da modelli operativi avanzati, come l’open source e le reti, ecc. § Una nuova visione sociale - una riglobalizzazione dal basso. La transizione, destinata a durare almeno mezzo secolo, modificherà radicalmente il processo di globalizzazione. Ne risentiranno maggiormente le società in via di sviluppo. Il passaggio dalle energie tradizionali alle energie rinnovabili distribuite porta il mondo fuori dalla “geopolitica” che ha caratterizzato il XX sec., e lo fa entrare nella “politica della biosfera” del XXI. L’avvento della Terza rivoluzione industriale rallenterà le tensioni internazionali, le guerre per l’accaparramento delle risorse energetiche tradizionali, facilitando una politica della biosfera basata sul senso di responsabilità collettiva per la salvaguardia degli ecosistemi terrestri. § Il capitalismo distribuito - La terza rivoluzione industriale richiederà più competenze e rivoluzionerà il sistema educativo - dal possesso all’appartenenza, dalla competizione alla collaborazione e condivisione delle proprie conoscenze e della propria creatività; dall’individualismo all’altruismo; dal tempo ad es. come misura d’uso personale al prestito del tempo - (donare il tempo del proprio computer. Vikinomics è il termine che si usa per indicare il nuovo modello collaborativo di massa di collaborazione che sta cambiano il volto del vecchio pianeta. Dal modello di business tradizionale a un nuovo territorio basato sull’apertura, il peering (peer-to peer = da pari a pari), la condivisione e l’azione su scala globale). Si definisce workplace un’impresa collaborativa che coinvolge migliaia di persone, alcune esperte, altre dilettanti, provenienti dai settori più disparati, che si uniscono per condividere idee e risolvere problemi). Ambienti di apprendimento collaborativo sostituiranno le vecchie forme di formazione gerarchizzate. Il sistema operativo open source (si pensi a Linux, al quale migliaia di programmatori offrono il proprio tempo gratuitamente per contribuire a risolvere i problemi del suo codice) costituisce un prototipo di questa nuova avventura culturale del futuro, basato sulla condivisione delle conoscenze. 31 Rivoluzioni nel campo dei diritti d’autore e dei brevetti con l’affermarsi di una nuova proprietà collettiva digitale. Pensiamo al cammino che l’umanità ha fatto dal Sette e Ottocento, quando la libertà si definiva in termini di esclusione degli altri, dalla proprietà intesa come bene privato. Attraverso quei principi la borghesia europea intese allora difendere i diritti di proprietà contro gli antichi obblighi nei confronti della Chiesa e delle signorie feudali e contro le limitazioni poste dalle corporazioni delle Arti e dei mestieri, legate al vecchio ordine. I diritti di proprietà implicavano che nessun uomo potesse essere oppresso, aggredito e assoggettato alla volontà di un altro. Chi poteva, per talento o intraprendenza, acquisire più proprietà, poteva trasformarle in capitale e usare quel capitale non solo per controllare la natura ma anche la vita di altre persone. Fare dei rapporti di proprietà privata una estensione dei diritti naturali si rivelò però un’arma a doppio taglio. Il legame fanatico con la proprietà privata stabiliva una linea di confine tra il “mio” e il “tuo”, elevando barriere tra privilegiati e sfortunati. La sempre più rapida possibilità di connessione del sistema nervoso centrale di ogni essere umano con quello di ogni altro essere umano del pianeta attraverso Internet ed altre piattaforme comunicative ci sta lanciando in uno spazio globale e in un ambito temporale di simultaneità. Il risultato è che nel XXI° sec. lo scambio di proprietà nell’ambito dei mercati nazionali cederà il passo alle relazioni di accesso in vaste reti globali. Da qui la minore importanza attribuita al regime di proprietà privata. L’economia di mercato è troppo lenta per trarre vantaggio dalla velocità e dal potenziale produttivo delle rivoluzioni del software e delle comunicazioni. Il risultato è che stiamo assistendo alla nascita di un nuovo sistema economico, diverso dal capitalismo di mercato, quanto questo lo era dall’economia feudale che lo aveva preceduto. È il meccanismo di scambio nel mercato in sé che sta diventando inadeguato. Le nuove tecnologie dell’infocomunicazione sono cibernetiche, non più lineari. Consentono cioè un’attività continua per un tempo illimitato. Ciò significa che il meccanismo di scambio nel mercato globale richiede una relazione commerciale continua nel tempo fra le parti. Gli esempi che Rifkin apporta sono indiscutibili se mettiamo ad es. a confronto le tradizionali modalità di vendita di un CD musicale con nuovi modelli di commercializzazione della musica usati dalle case discografiche. In un rapporto di mercato convenzionale l’acquirente paga il venditore per un singolo CD, mentre nel nuovo modello di rete l’utente paga un canone mensile per avere accesso illimitato all’intero repertorio musicale della casa discografica. Le nuove modalità di scambio si chiamano abbonamento, noleggio, multiproprietà, ecc. La società commerciale preferisce commercializzare una relazione continua con l’utente, anziché dover vendere ciascun CD con una transazione di mercato separata. In un mondo in cui tutti sono connessi attraverso il cyberspazio e l’informazione è continua e illimitata è il tempo la risorsa più scarsa e più preziosa. Anche l’automobile si sta trasformando da bene in servizio, da qualcosa che si possiede a qualcosa che si noleggia. Il leasing ad es., dall’essere una modalità scarsamente conosciuta, interessa oggi il 40% delle autovetture messe su strada ogni anno, almeno negli USA. Grandi aziende che operano nel settore dell’illuminazione, come la PHILIPS, hanno cominciato a stipulare con i propri clienti contratti (IPC) che prevedono forniture di servizi di illuminazione anche di intere città, con l’impegno a ridurre il consumo energetico. Con l’aumento delle aziende che passano dalla vendita di prodotti alla fornitura di servizi ridurre i flussi entropici diventerà parte integrante dell’attività di ogni impresa. § dal possesso all’appartenenza § un mondo collaborativo e attento La Terza rivoluzione industriale, centrata sull’ICT, sulla distribuzione di energia e sulla collaborazione tra pari, ridimensiona le forme gerarchiche di gestione della vita economica, sociale e politica. Internet sta trasformando il mondo in una grande piazza pubblica globale dove miliardi di persone possono entrare in contatto, collaborare e creare valore insieme: qualcosa di simile a un grande cervello globale. La generazione Internet può contare su più di 2 mld di giovani, cresciuti pensando la rete come medium collaborativo. La maggiore disponibilità rispetto alla diversità; la sua vocazione inclusiva e trasparente incoraggia comportamenti più empatici. 32 La Columbia University di N.York è una tra le business school che hanno introdotto la pedagogia dell’intelligenza sociale nei propri programmi di studio per conseguire il Master in Business Administration (p.506). Mette insieme docenti di psicopedagogia ed economia con l’obiettivo di offrire opportunità esperienziali, sia in aula che nella comunità, per sviluppare competenze empatiche. La maggior parte dei lavoratori apprezza un manager attento ai propri subordinati, giustificando così i maggiori successi di uno stile manageriale empatico. § Il nuovo sogno della qualità della vita Sono in atto tentativi di introdurre un indice alternativo al PIL per valutare la qualità della vita con un criterio che vada ben oltre la quantità dei beni prodotti. Gli obiettivi di maggiore crescita dovrebbero specificare meglio di che cosa e per che cosa si vuole crescere. Ciò ha portato alla determinazione di altri indici, calcolati a partire dalla spesa per i consumi personali (i consumi culturali ad es.) a cui si aggiunge il lavoro domestico femminile non retribuito e si sottraggono le disparità di reddito e il depauperamento delle risorse naturali. Altri panieri includono il valore del lavoro volontario nella comunità e sottraggono l’incidenza dei tassi di mortalità infantile, di abuso di minori, di suicidi in età adolescenziale; di copertura sanitaria e del tasso di risparmio delle famiglie per misurare il senso di sicurezza nei confronti del futuro. Il fatto che oggi siano gli stessi governi a cercare un metodo alternativo per misurare il successo economico con nuovi parametri qualitativi è certamente indicativo dei cambiamenti sociali in atto. § Il ruolo del capitale pubblico e del capitale sociale Sono in continua crescita le organizzazioni della società civile non governative (ONG) e no-profit (ONP). Esse sembrano attrarre maggiormente le più giovani generazioni disposte a impegnarsi direttamente per migliorare le condizioni di vita nella comunità. Va detto a questo proposito che negli USA sono stati introdotti nei curricula scolastici programmi di service learning, un metodo didattico di apprendimento basato sulla realizzazione di progetti di volontariato e impegno sociale. Il service learning, come pedagogia e come prassi sta cominciando a diffondersi anche in altri paesi. Vi sono programmi interessanti in Francia, che interessano studenti universitari che volontariamente si dedicano al sostegno di studenti di scuola media o elementare svantaggiati, ricorrendo al sistema di riconoscimento in cfu. Inoltre: la campagna elettorale di Barak Obama ha messo l’accento sulla necessità di una assistenza sanitaria universale, di promozione dell’istruzione e di una più rigorosa tutela dell’ambiente, rivitalizzando la società civile. Nella misura in cui le future generazioni acquisiranno maggiori competenze nel creare capitale sociale e nell’estensione dell’empatia in ambiti più inclusivi, i partiti politici e la pubblica amministrazione saranno costretti ad adeguarsi e ad assimilare il nuovo modo di pensare collaborativo che si sta già manifestando nella società civile. Adattare il modello di società di mercato e il modello sociale alla Terza rivoluzione industriale sarà la questione politica più pressante dei prossimi cinquant’anni, quando i governi avvertiranno la improcrastinabilità di stili di vita adatti a un modello biosferico. Cap. XIV Il sé teatrale nella società dell’improvvisazione Rifkin sostiene che la diffusione di Internet nella formazione di una coscienza transnazionale sta diffondendo una nuova coscienza drammaturgica, specie tra le più giovani generazioni. Un avvicinamento al cosmopolitismo globale e a una sensibilità empatica universale. Egli però ci mette in guardia quando afferma che se le nuove tecnologie costituiscono le nuove autostrade di una nuova coscienza globale, esse hanno un lato oscuro che può deviare il cammino e indirizzare le generazioni del web nel vicolo cieco di narcisismi sfrenati, di voyarismo e di noia. L’evoluzione della coscienza umana ha attraversato cinque stadi: mitologico, teologico, ideologico, 33 psicologico, drammaturgico. Il passaggio da connessioni centralizzate (dall’alto al basso, da uno a molti) alle connessioni peer-topeer e open source, ha permesso a una generazione di farsi protagonista, autrice e attrice della propria sceneggiatura; di condividere il palcoscenico globale con 2 miliardi di interconnessi. I giovani oggi (la generazione del Millennio che ha preso il posto della generazione X) si trovano tutti davanti o dentro uno schermo. Il grande successo dei reality televisivi è un riflesso della nuova coscienza drammaturgica: gente comune che vive in diretta la propria vita (Moreno non avrebbe mai potuto immaginare un tale psicodramma su scala planetaria). Fu Erving GOFFMAN ad applicare per primo la metafora drammaturgica al comportamento umano in un’opera ben nota del 1959 La vita quotidiana come rappresentazione. La televisione allora era al clou di successo ed espansione mondiale e Goffman suggeriva che la vita di ciascuno in realtà è vissuta consciamente o inconsciamente come rappresentazione del sé; che questo sé si costruisce coi materiali di cui possiamo disporre, ossia di tanti sé sociali quanti sono i gruppi distinti di persone di cui ciascuno ha a cuore l’opinione. Molti giovani (esemplificava) che sono timidi innanzi ai propri genitori o insegnanti sono duri e spacconi nella loro cerchia di amici. Ed è del tutto evidente che non ci mostriamo ai nostri dipendenti, ai nostri capi e ai nostri figli come ci dimostriamo e ci comportiamo invece con gli amici più ristretti del nostro gruppo. Tutti i nostri comportamenti sociali sono insomma teatrali per Goffman. In una prospettiva drammaturgica del comportamento umano il sé non è più proprietà del singolo (come affermava John Locke), ma una dimensione immaginaria, costruita. Il teatro non un qualcosa di diverso dalla società, ma è la vita stessa. (Charles Edgley: Life as Theatre): una cristallizzazione e una tipizzazione di ciò che accade nella società in ogni momento o, più radicalmente, di ciò che è in effetti una relazione sociale. (p.522) Attori e registi professionisti insegnano oggi ai manager aziendali l’arte della rappresentazione teatrale per insegnare loro come usare le tecniche teatrali al fine di suscitare determinate reazioni presso i clienti (o gli stessi colleghi). La questione dell’autenticità viene sempre più sollevata in ambito professionale. § Essere autentico La coscienza drammaturgica solleva il delicato problema della autenticità. Aggiorniamo il quadro più sopra visualizzato per vedere quali figure corrispondevano alle diverse Ere storiche che l’umanità ha attraversato. L’evoluzione della coscienza umana e le figure corrispondenti Era mitologica → L’eroe Era teologica → Individuo probo e pio Era ideologica → onesto e di buon carattere Era psicologica → dotato di personalità Era drammaturgica → AUTENTICITà Per la generazione che sta crescendo nell’epoca della coscienza drammaturgica l’obiettivo di ogni uomo e di ogni donna è l’autenticità. Ma come definire l’autenticità se per loro intrinseca natura gli individui sono diventati teatrali? Il teatro offre suggerimenti utili su come distinguere tra inganno e immaginazione. Mentre l’inganno è universalmente disprezzato, l’immaginazione attiva è ritenuta essenziale alla creazione del senso (del sé e del mondo). E alla formazione di legami empatici maturi. Stanislawskij parlava di recitazione superficiale e recitazione profonda: la prima si fonda sull’arte dell’inganno e la seconda sull’arte dell’immaginazione. La recitazione superficiale (quella che riguarda la gesticolazione e la voce) riguarda la forma e non la sostanza; è solo tecnica teatrale (che si apprende nelle scuole di filodrammatica), mentre la recitazione profonda è quella che scaturisce dall’inconscio dell’attore, e lo trasforma per l’intera durata della rappresentazione. Con la recitazione 34 profonda l’attore si trasforma per tutta la durata della sua performance e diventa ciò che sta rappresentando. Quando la performance finisce, finisce anche la parte che ha rappresentato. La recitazione profonda aiuta l’individuo a prestare maggiore attenzione ai propri sentimenti, a conservarne la memoria del subconscio mettendola al servizio dell’immaginazione, quando se ne presenti l’occasione, in modo da poter provare i sentimenti e le emozioni degli altri come propri (ricordati ad es. di come si è stati nelle condizioni in cui in quel momento si trova un altro). Se usata con giusti sentimenti pro sociali, la recitazione profonda è insomma un potente strumento intellettuale per stimolare sentimenti empatici. (Afferma Rifkin che Meryl Streep, una maestra della recitazione profonda, ha affermato che il più grande dono dell’essere umano è il potere dell’empatia). § Il sé relazionale in un mondo interconnesso Siamo identità multiple e interpretiamo ruoli molteplici: questi appaiono agli osservatori sociali le caratteristiche psicologiche della generazione del Millennio. Se per le generazioni borghesi - che definivano la libertà in termini di autonomia ed esclusività - il valore cardine era la privacy, per la generazione del Millennio sembra essere quello dell’accesso. La libertà corrisponde alla portata delle relazioni che si costruiscono e si intrattengono. L’esclusività è diventata meno importante dell’inclusività e (a quanto pare) l’ethos della competizione va cedendo il posto a un’etica della collaborazione (Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne, Guerini e associati, Milano 2004). L’era delle tribù è un’analisi ragionata della società di oggi; un’esplorazione delle loro metamorfosi. Le tribù sono i piccoli gruppi di aggregazioni tanto effimere quanto effervescenti che si costruiscono in rete. Nell’era della coscienza drammaturgica in cui l’identità stessa del singolo si è fatta relazionale, essere privati dell’accesso equivale a isolamento. Ottenere e conservare l’attenzione altrui è invece fondamentale. Il “penso dunque sono” cartesiano, che aveva già subito una profonda variante nel “partecipo dunque sono” va dunque aggiornato: sono connesso dunque esisto. Il mio (opposto al tuo) che promuoveva il senso di un sé a una sola dimensione va cedendo il passo a una nuova idea di inclusività e a un sé multidimensionale. Siamo spinti a passare a nuovi ruoli, a destreggiarci tra scenari diversi e a copioni diversi, dove il sé retrocede a uno stadio di relatività. Come artisti dell’improvvisazione siamo immersi in contesti mutevoli e in storie che cambiano rapidamente, ciascuna delle quali reclama la nostra attenzione (p.530). Baudrillard lo aveva visto per tempo: non esistiamo più come soggetti, ma solo come terminali di reti multiple. La stessa idea di autenticità perde importanza. Essere “autentico” presuppone un nucleo immutabile del sé, una psiche autonoma. Ma nell’era della coscienza drammaturgica la personalità è a mosaico (cfr. M.Maffesoli, Le réenchantement du monde. Une éthique pour notre temps, La table rond, Paris, 2077), caleidoscopica e multiverso: prende continuamente a prestito pezzi di identità da qualsiasi fonte disponibile. Il sociologo Louis ZURCHER ha aperto il sé drammaturgico a due diverse interpretazioni. Se anziché come oggetto lo pensiamo più come processo, il sé si apre alla più vasta esperienza possibile e diventa cosmopolita. Il rischio invece è quello di una ricerca di un sé vorace di autogratificazioni senza fine, di un narcisimo che fa smarrire all’individuo il senso dell’autenticità del sé, disponendolo a una dissipazione camaleontica continua, dove l’assunzione di spezzoni di identità pastiche e occasionali lo intrappola in una sequenza di inganni. (Sul narcisismo si rimanda a Ch.Lasch, L’io minimo Feltrinelli, Milano 1984). Lo psicologo americano Kenneth GERGEN sembra cautamente ottimista sul futuro della coscienza umana. Ognuno di noi – afferma – è il risultato delle relazioni che lo compongono. In altri termini, il Sé è pur sempre un Sé sociale, ma è l’unicità della costellazione di esperienze relazionali che distingue una persona dall’altra. Per l’A. non c’è contraddizione tra la convinzione che il sé sia la somma totale delle esperienze in cui l’individuo è coinvolto nel corso della vita e l’idea che queste relazioni ed esperienze rendano ciascun essere unico, diverso da tutti gli altri. 35 Gergen avverte che se si perde il senso di sé come sistema unico di relazioni, e si diventa solamente un “noi”, anche l’empatia viene meno e la progressione storica verso una coscienza globale si blocca. Se cioè cadessimo preda di un “noi” globale indifferenziato, potremmo ritrovarci al punto di partenza, quando vivevamo in una nebbia mitologica indifferenziata, con uno scarso senso di sé. Perciò mantenere un senso di sé sempre più differenziato, radicato in una rete di relazioni sempre più fitta e integrata, è la prova del fuoco che potrebbe determinare le prospettive future della nostra sopravvivenza come specie. § Sempre più attaccati alle reti sociali La domanda da porsi è se le nuove forme distribuite di tecnologia delle comunicazioni creino una maggiore connessione e interattività sociale. Sembrerebbe di sì, almeno sulla base di alcune indagini di cui Rifkin tiene conto (il Pew Internet and American Life Projet del 2007). Questa indagine ha richiesto alle persone come Internet abbia influenzato i loro legami principali e significativi. Contrariamente alle preoccupazioni dei critici di internet, l’indagine Pew ha messo in evidenza che il coinvolgimento in Internet ha aumentato la dimensione dei rapporti sociali. Si scopre pure che rimane elevato l’impegno civile manifestandosi anche fuori dai confini geografici. Le reti di auto aiuto online, i gruppi di supporto, le chat room e le mailing list, Facebook, Twitter stanno sempre più diventando la piazza pubblica dove le persone entrano in contatto e si aiutano a vicenda. Qualche dato aggiornato al maggio 2011 sui numeri di TWITTER: Utenti registrati nel mondo: 316 ml. Micropost creati ogni giorno: 110 ml Account creati: 100 ml Messaggi inviati nel 2010: 25 mld 25% degli utenti negli USA; il 75% nel resto del pianeta 21% degli utenti segue oltre 100 persone Il maggiore uso di internet aiuta a gestire legami sociali esistenti ma anche a crearne di nuovi. E ciò non accade a scapito della disponibilità di tempo, ma grazie a un migliore suo impiego, riducendo il tempo asociale dedicato alla tv o a dormire. La scoperta forse più interessante è che l’uso di Internet sembra far emergere il “vero sé” delle persone più di quanto sia possibile negli incontri personali. E ciò è facilmente spiegabile, perché abbatte alcune barriere nell’esposizione agli altri. Gli psicologi parlano di tre qualità del Sé: il Sé attuale (quello che mostriamo agli altri); il Sé ideale (quello a cui aspiriamo) e il vero Sé, che è quello che veramente percepiamo di noi stessi. Questo vero sé che non siamo disposti a rivelare agli altri per paura di esporci e di essere rifiutati, sembra più predisposto a liberarsi nel cyberspazio. Il relativo anonimato del cyberspazio sembrerebbe incoraggiare gli individui a mettere in gioco aspetti del sé che non sperimenteremmo nelle relazioni sociali reali. Una sorta di rivelazione (anzi di vero e proprio “disvelamento” drammaturgico di aspetti altrimenti celati dell’individuo. Il disvelamento è fondamentale per creare intimità. Solo mostrando la propria vulnerabilità condividendo il nostro essere più profondo creamo legami empatici. Gli studi hanno rivelato che Internet consente esattamente questo. E’ il mezzo che favorisce più intimità e disinibizione, abbattendo le barriere che nella vita reale bloccano le possibilità di rapporti più stretti e diretti. Internet aiuta le persone che hanno interessi comuni a incontrarsi più facilmente e stabilire un legame. Infine va detto che Internet tende a rendere stabili nel tempo gli incontri e i rapporti che si stabiliscono (mediamente due anni, riferisce l’indagine condotta da McKenna). Concludendo: L’indagine di McKenna mette in evidenza che gli individui sono più facilmente disposti a rivelare il proprio vero sé agli altri nella realtà virtuale, nella quale avviano relazioni forti e intime che spesso favoriscono e rimandano a incontri ravvicinati, face-to-face. Offrendo agli individui l’opportunità di interpretare il proprio vero Sé Internet rappresenta un palcoscenico virtuale per la diffusione della coscienza drammaturgica. A pensarci bene questo fatto non è poi tanto strano. Nel ‘700 e nell’800 il romanzo, anch’esso una forma di finzione, ha permesso a milioni di persone di definire i propri sentimenti più intimi e di manifestarli, sviluppando una 36 sensibilità empatica più profonda. La vera novità sta nella portata immensa che Internet offre di raggiungere milioni di persone entrando con loro in contatto nella piazza pubblica globale. Cosa che l’età di Gutenberg non ha potuto fare. § Il fattore celebrità. Luci della ribalta. Vi è però un lato oscuro di questo palcoscenico pubblico globale, che favorisce pure i narcisismi, la ricerca di visibilità, di celebrità e le tendenze voyeristiche. Secondo Rifkin tutti i nati dopo la metà degli anni Settanta sono più esposti a questi fenomeni, in quanto essendo stati soddisfatti in ogni loro esigenza (troppo coccolati ed eccessivamente fragili) sono anche vittime di un’autostima esagerata. Tuttavia, di loro si dice che sono più aperti, e tolleranti, hanno meno pregiudizi e un approccio multiculturale più aperto, non giudicante. Sarebbero insomma molto più collaborativi di ogni altra precedente generazione. I dati più recenti di molte ricerche condotte sui giovani mostrano una tendenza all’abbandono dell’atteggiamento egocentrico prevalso tra gli anni ’80 e ’90 tra i giovani della generazione X, a favore di un atteggiamento più relazionale e collaborativo della generazione del Millennio.(leggere direttamente le pp.538-542. Vi riconoscete?). § Prendere le misure alla generazione del Millennio La recessione economica sta portando a un abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo. Anche prima dell’attuale crisi economica milioni di persone avevano scelto di semplificare il proprio stile di vita e di cercare il senso dell’esistenza più nella qualità dei rapporti che nella quantità dei beni accumulati. Una volta superata una soglia minima di reddito tale da garantire il necessario e un certo confort, ogni aumento di ricchezza non fa che diminuire la felicità complessiva della società. Oggi abbiamo la possibilità di riorientare la ricerca di felicità dall’accumulazione della ricchezza alla qualità dei rapporti significativi, transitando dal capitalismo di mercato al capitale sociale. Una distribuzione più equa delle ricchezze potrebbe consentire a chi è stato abituato ad avere tutto, il passaggio a uno stile di vita più sostenibile, e ai meno benestanti di migliorare le proprie condizioni. Una qualità di vita più sostenibile nei paesi più avanzati, accompagnata da una maggiore assunzione di responsabilità verso il miglioramento del tenore di vita e del benessere nei paesi in via di sviluppo, avvicinerebbe l’umanità all’equilibrio, adeguando le abitudini di consumo della nostra specie alla capacità della terra di riciclare e rigenerare il proprio patrimonio di risorse. Si tratta di un’impresa ardua ma non più irrealistica né ingenua. Il grande punto di forza della Terza rivoluzione industriale è che essa ci permette di accogliere gli esseri umani in un abbraccio universale sfruttando solamente le energie rinnovabili che ogni giorno alimentano la terra, permettendo così a tutti di accedere equamente alle fonti di energia disponibili localmente. Ciò significa che ci troviamo al punto in cui possiamo pensare di realizzare una civiltà umana globale estendendo l’abbraccio empatico e diminuendo il conto entropico. Questo ci porterebbe al culmine della coscienza biosferica in un’economia climacica globale. Cap. XV. La coscienza biosferica in un’economia climacica Rifkin sostiene che occorrerebbe disseppellire la memoria profonda della specie, liberandola dalle costruzioni ideologiche che esaltano il profitto, la competizione, l’assimilazione dell’altro, ecc. ossia dagli aspetti più degenerativi della Modernità. Sembra fiducioso su una inversione di rotta nella formazione dell’uomo. E ci informa che in molte scuole americane i programmi di sviluppo dell’empatia cominciano già negli anni della prima alfabetizzazione. I bambini imparano quell’alfabeto delle emozioni che Gordon definiva la nostra capacità di trovare la nostra umanità nell’altro. Ci riferisce pure che gli insegnanti riscontrano come lo sviluppo di competenze empatiche porti a un miglioramento dei risultati scolastici della classe. Il legame empatico insomma è un passaggio chiave per creare adulti in grado di impegnarsi emotivamente nei confronti dell’intera biosfera. I bambini che sviluppano un’etica empatica – afferma – saranno poi adulti in grado di costruire una società più attenta, pacifica e civile (p.559). Il programma Roots of Empaty, che ha avuto un certo successo ed è oggi adottato in molte scuole degli USA e nel Canada, tende a creare ambienti di apprendimento collaborativo, in cui i bambini condividono pensieri 37 e sentimenti con gli altri e, nel farlo, imparano a pensare al processo educativo come a un’esperienza condivisa. In tal modo l’apprendimento diventa un’esperienza cooperativa più che una vicenda personale. Ciò presuppone modelli di insegnamenti collaborativi, mentre sappiamo bene come nelle classi tradizionali si continui a porre l’accento sull’apprendimento come esperienza personale e competitiva. L’istruzione collaborativa tende a spostare il baricentro dell’impegno educativo dalla singola mente alle forme di relazione. Il modello gerarchico di apprendimento cede il posto a un’organizzazione reticolare della conoscenza. In questa prospettiva l’apprendimento diventa l’acquisizione di un modo di pensare critico e collaborativo, e questo atteggiamento trasforma una classe in un laboratorio di manifestazioni empatiche che arricchiscono il processo autoformativo. § Insegnare una coscienza empatica Afferma Rifkin come molte generazioni di bambini abbiano trovato l’esperienza dell’apprendimento sconfortante e alienante; come il mondo adulto si sia sempre aspettato che abbandonassero per tempo lo stupore, la fantasticheria, il magismo che accompagna questo stadio della vita, spegnendone le curiosità e le passioni, disinteressandoli e assegnandoli a un ruolo di spettatori della scena adulta. Prima ancora dell’avvento della televisione, di cui si è detto tutto il bene e tutto il male possibile, è stata l’organizzazione scolastica ad abituare ad atteggiamenti passivi. Ma questo non è stato mai ammesso. Il c.d. metodo scientifico è in evidente contrasto con quasi tutto ciò che sappiamo della natura dell’uomo e del mondo: nega l’aspetto relazionale della realtà; inibisce la partecipazione e non lascia alcuno spazio all’immaginazione empatica. Agli studenti, in pratica, si chiede di diventare alieni nel mondo (p.563). § Lo stadio finale della coscienza storica La predisposizione all’empatia che fa parte della nostra eredità biologica non è un meccanismo infallibile che ci permette di perfezionare la nostra umanità, ma un’opportunità per riunire sempre più la razza umana in una famiglia allargata. Anche se un certo livello di globalizzazione continuerà ad esservi nell’ambito della Terza rivoluzione industriale, probabilmente sarà la continentalizzazione a giocare un ruolo preminente nello sviluppo dei commerci e degli scambi, perché le reti e i suoi sistemi logistici favoriscano la condivisione di energia attraverso masse terrestre contigue. Ogni comunità, una volta diventata localmente autosufficiente, potrà farsi coinvolgere in scambi regionali, transnazionali, continentali, senza le restrizioni imposte dalla geopolitica che presiede alla distribuzione delle energie fossili e dell’uranio. La continentalizzazione sta già portando con sé nuove forme di governo. Lo Stato-Nazione non è più adatto alla Terza rivoluzione industriale, il cui ambito è la biosfera. L’UE è la prima istituzione di governo continentale e sta già cominciando a erigere le strutture fondate sui 4 pilastri che porteranno a un sistema energetico europeo promuovendo reti di trasporto, di comunicazione e di energia che, entro la metà del secolo, si estenderanno dall’Irlanda alla Russia. Stanno per nascere unioni politiche asiatiche, latino-americane e africane, e molto probabilmente in ciascuno di questi continenti ci saranno istituzioni di governo transnazionali entro il 2050. La geopolitica si è sempre fondata sul presupposto che l’ambiente è un campo di battaglia, dove si combatte una guerra di tutti contro tutti senza esclusione di colpi per accaparrarsi le risorse necessarie alla propria sopravvivenza. Viceversa, la politica della biosfera si fonda sull’idea che la terra è un organismo vivente fatto di relazioni interdipendenti. Ciascuno di noi può sopravvivere soltanto mettendosi al servizio della più vasta comunità di cui fa parte. L’epoca del trinceramento economico nella quale ci troviamo durerà probabilmente una generazione ancora. Ma questo periodo andrebbe sfruttato per ripensare le concezioni convenzionali che ci hanno portato a questa pericolosa empasse della storia umana e per preparare una nuova, grande narrazione per le generazioni future, a cui toccherà la responsabilità di guarire la terra e creare un pianeta sostenibile. Per ironia della sorte, è proprio il cambiamento climatico e la minaccia di un collasso del pianeta che ci sta costringendo a riconoscere ciò che possiamo condividere. Il conto entropico che la nostra specie 38 ha accumulato soffoca la terra e minaccia di portarci all’estinzione. E non ci sarà più nessun luogo in cui rifugiarsi. Perciò solo un’azione concertata, che stabilisca un senso collettivo di affiliazione con l’intera biosfera potrà assicurarci un futuro. Ma per questo ci serve una coscienza biosferica e una civiltà dell’empatia in tempo utile per evitare il peggio. aggiornamento L’Italia è diventata quest’anno prima al mondo per installazione di impianti fotovoltaici ed ha prodotto nel corso del 2011 una potenza di 6900 megawatt contro i 3.577 del 2010. Ci supera la sola Germania con 7.408 megawatt nel 2011 e 5.923 nel 2010. (fonte: Federico Rampini, Repubblica del 10 genn.2012) - nei settori idro e geoelettrico siamo al primo posto; - nell’eolico siamo sesti, con 5800 megawatt in funzione. Dopo il letargo di un ventennio sembra insomma che il nostro paese siamo tornati protagonisti delle energie verdi. Non altrettanto possiamo dire sul versante della ricerca e della produzione di tecnologie. Manca una visione che guidi le scelte strategiche energetiche di medio e lungo periodo. Dopo il referendum che ha bocciato il nucleare si rende urgente una seria discussione sul tema. Germania e Gran Bretagna vogliono essere le protagonisti nella rivoluzione energetica in corso. La Germania è più avanti e ha programmato la totale copertura di energia verde entro quarant’anni. (questi ultimi dati sono stati forniti dall’economista Tito Boeri (Internazionale, n.903 del 23-30 giugno 2011). Internazionale è un settimanale che consiglio vivamente per tenersi informati e aggiornati. a.s. 39