qui - Università del Salento

Transcript

qui - Università del Salento
Appunti del corso di
Pedagogia della comunicazione sociale
2011-2012
Tema del corso
Prospettive empatiche dell’educazione nella
letteratura scientifica più recente.
Frans de Waal, zoologo ed etologo, è specializzato nello studio dei primati. È nato in Olanda e attualmente insegna
psicologia alla National Primate Research Center di Atlanta, dove conduce le sue ricerche.
Tra le sue opere, due saggi tradotti in tutto il mondo: La politica degli scimpanzé (1984), Far la pace tra le
scimmie (1990), Naturalmente buoni (Garzanti, 1997).
Del suo ultimo libro ha dichiarato:
«L'avidità ha fatto il suo tempo. Ora è il momento dell'empatia. La natura umana ci offre un grande aiuto in questa impresa.
Certo, la biologia è spesso chiamata in causa per giustificare una società basata su principi egoistici, ma non dovremmo mai
dimenticare che essa ha anche prodotti il collante che tiene insieme le comunità. E' lo stesso collante che tiene insieme molti
altri animali. Vivere in armonia con gli altri, agire in modo coordinato e prendersi cura dei bisognosi non sono caratteristiche
esclusive della nostra specie. L'empatia umana ha alle spalle una lunga storia evolutiva».
Come spiega Frans de Waal, la cooperazione e la responsabilità sociale hanno un ruolo fondamentale in diversi gruppi
animali. Questi comportamenti “altruistici” non sono comparsi all'improvviso: si sono infatti radicati nel corso della lunga
storia dell'evoluzione. Non sono una caratteristica esclusiva della nostra specie: gli scimpanzé chiedono una porzione di cibo
allungando una mano con il palmo rivolto verso l'alto; alcune specie animali hanno sviluppato un certo senso dell'equità e
della giustizia; ed è probabile che i mammiferi provino piacere ad aiutare gli altri, come noi ci sentiamo meglio quando ci
comportiamo bene.
Fino a poco fa l’empatia non veniva presa sul serio dalla scienza. Era considerato un argomento assurdo e classificata tra
fenomeni sovrannaturali come l’astrologia o la telepatia. Difficile, almeno fino a trent’anni fa, trovare riscontri su questo
argomento. Tutto ciò che aveva a che fare con l’empatia veniva considerato come qualcosa di indeterminato, “roba per deboli
di cuore, più adatta alle riviste femminili che alla scienza dura e pura” (p.125). Oggi invece la letteratura sull’argomento si è
venuta infittendo sulla base di studi e osservazioni scientifiche, da osservatori e campi disciplinari diversi.
Mettendo a confronto le più recenti acquisizioni dell'etologia e il pensiero dei maggiori pensatori politici, Frans de Waal ci
offre una riflessione importante sulla nostra società e sulle motivazioni più profonde di ciascuno di noi.
In un'età di profonde inquietudini e trasformazioni, L'età dell'empatia ci fa capire che vivere in armonia con gli altri, agire in
modo coordinato e prendersi cura di chi ha bisogno non sono caratteristiche esclusive della nostra specie. Partendo
dall'osservazione dell'uomo e di altri animali, ci offre suggerimenti di grande attualità politica.
“L’avidità è bene; è giusta e funziona” diceva il finanziere d’assalto in Wall Street, nel film di Oliver Stone.
Si tratta allora di capire – per de Waal - quale sia l’essenza dello spirito evolutivo.
Nella natura umana – nelle scienze sociali – è tipicamente hobbesiana. Per un biologo che si occupa anche dell’interazione tra
natura umana e società tuttavia, l’affermazione di Hobbes Homo homini lupus è discutibile, perché parte da presupposti falsi
osservati su una specie diversa. A differenza di altri, il biologo non cerca di giustificare una particolare ideologia, vuole
sapere cos’è la natura umana. Da dove viene. Se lo spirito evolutivo sta davvero tutto nell’avidità come amano credere i
conservatori, anche se non credono che l’evoluzione sia una realtà. I conservatori americani ad es. non credono nella teoria
darwiniana bensì nel darwinismo sociale che non assiste né malati né deboli poiché per natura debbono cavarsela da soli o
perire. Di recente, un senatore dell’Arizona ha dichiarato di aver votato contro la sanità gratuita per le partorienti, perché lui
non ne ha avuto e presume di non averne mai bisogno!
“Usiamo il cellulare – afferma de Waal – , pilotiamo aerei, ma in sostanza la nostra psicologia è quella di un primate sociale”.
…..
Anna Maria Meneghini, Sentire e Condividere, Seid Editori, Firenze 2010, pp.240 Eu 25,00
Il concetto di empatia della Meneghini nasce nell’ambito dell’opera d’arte: utilizzato nella seconda metà
dell'Ottocento in relazione al godimento estetico, solo successivamente si è diffuso in ambito filosofico e poi
psicologico. Nel 1905 Lipps ricorse al termine Einfühlung (ein = dentro; fühlen = sentire) per sottolineare come il
piacere estetico non risieda nell'oggetto ma nel suo goderne da parte del soggetto, l'opera dell'artista è
"compartecipata", non solo osservata. Pochi anni più tardi Titchener coniò il termine "empatia" (dal greco
empàtheia) intendendo con esso quel rapporto con persone o oggetti che implica una tendenza naturale a "sentire
dentro" e ad esprimere con il proprio corpo l'espressività dell'oggetto o dell'altro: osservando il gesto in una persona
si proietta se stessi sull'altro, si tende a manifestarne i gesti e a provare ciò che l'altro sta provando. A cento anni di
distanza, l'empatia viene oggi considerata fondamentale per la comprensione degli altri, per la condivisione degli
affetti e per un buon funzionamento delle relazioni sociali. Essa è alla base delle relazioni significative degli esseri
1
umani e attraverso le sue diverse forme si suppone caratterizzare i legami interpersonali. Nel bambino, mano a
mano che si sviluppa la differenziazione tra sé e altro da sé, si passa dal contagio emotivo a forme diverse di
empatia. Così, anche nell'adulto, la condivisione empatica permette di andare oltre l'idea di emozione come
fenomeno puramente privato, dando conto della possibile compartecipazione dei vissuti affettivi tra due o più
persone. Attraverso l'analisi delle sue componenti emotive e cognitive, il libro traccia una panoramica dei principali
studi e modelli proposti in campo psicologico relativamente al fenomeno empatico, integrandoli con le recenti
acquisizioni delle neuroscienze, nella convinzione che una maggiore conoscenza dell'empatia passi proprio
attraverso il "dialogo" tra i due approcci.
Nei due suoi più recenti volumi (Civiltà dell’empatia, 2010 e La Terza Rivoluzione industriale, 2011, Rifkin parte dall’
apparente paradosso che la vita dell’uomo non sia mai stata davvero raccontata, e che solo grazie a recenti scoperte nella
neurologia e nelle scienze dell’età evolutiva, siamo in grado di sfatare alcuni pregiudizi sulla natura umana, rimuovendo una
radicata convinzione che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi e dominati dall’interesse
personale.
Paradossalmente tuttavia l’espansione della coscienza umana, resa possibile dall’espansione della sensibilità empatica, ha
comportato un enorme impiego di risorse naturali che ha condotto a un drastico deterioramento della salute del pianeta.
Al centro della storia umana egli pone dunque questa paradossale relazione che intercorre tra EMPATIA ed ENTROPIA.
Nelle tre parti del suo volume ricostruisce l’affascinante storia dello sviluppo dell’empatia nell’uomo (dal nostro antico
passato mitologico all’ascesa delle civiltà tecnologiche) attraverso questo permanente dualismo.
Il paradosso è che mentre l’empatia si va estendendo dalla biosfera e a tutte le creature viventi sulla terra, sfortunatamente
ciò avviene in un momento in cui le strutture economiche stanno assorbendo rapidamente le risorse della terra e minacciano
la biosfera.
Da una parte dunque avanza l’espansione empatica, dall’altra aumenta l’entropia.
Stiamo cercando di contenere la spinta entropica nel momento in cui il pianeta geopolitico è più fortemente compromesso.
Siamo riusciti a empatizzare con gli orsi polari e i pinguini proprio quando i ghiacciai si vanno sciogliendo a causa del
riscaldamento globale. La previsione è che per il 2030 potrebbe non esserci più ghiaccio a coprire il Polo Nord (cfr.altri dati
scientifici a pag.26).
Osservare la storia economica attraverso la lente dell’Empatia consente all’Autore di scoprire aspetti fin qui nascosti, che
rovesciano le interpretazioni che si sono avute nell’Età Moderna sulla natura dell’uomo. Ne esce fuori quello che Rifkin
definisce un “nuovo arazzo sociale”, tessuto con l’apporto di discipline diverse nell’ambito delle scienze umane: dalla
letteratura alle arti, dalla teologia alla filosofia; dall’antropologia alla sociologia; dalle scienze politiche alla psicologia, alla
teoria della comunicazione.
Viviamo nell’Era dei grandi rischi. Le forze profonde della terra sembrano risvegliarsi tutte insieme, spezzando gli equilibri
raggiunti da secoli e millenni, e mettendo in pericolo la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali. Dissesti climatici e
geologici, scioglimento dei ghiacciai, terremoti ai massimi gradi di magnitudo, maremoti: onde anomale degli tsunami (New
Orleans, Haiti, Sri Lanka, Giappone). Lo scontro tra le piattaforme continentali e le rovine che ne derivano producono
centinaia di migliaia di morti e di senza tetto. La nostra specie, che sembra aver raggiunto un punto clou dell’evoluzione,
soffre per le ferite inferte al proprio ecosistema a partire almeno dalla prima rivoluzione industriale.
Non c’è un’uscita di sicurezza. Siamo perciò obbligati a immaginare altre modalità dello stare al mondo: dobbiamo
apprendere per tempo a rispettare la natura che abbiamo piegato e sfruttato; dobbiamo riscoprire nell’antropogenesi, ossia
nella memoria profonda della specie, le risorse della mutualità compassionevole (nel senso etimologico del termine che
implica relazione, comunicazione, condivisione).
Rovesciare il tavolo del turbocapitalismo, ossia di un’organizzazione pervicacemente profittevole delle risorse, non sarà
facile. Ma le tecnologie di rete aprono a una ragionevole speranza; esse consentiranno forse di correggere la deriva entropica
a vantaggio di una connettività più inclusiva. L’ondata di energia positiva sollevata dalle popolazioni tra la sponda atlantica e
l’oceano indiano al grido di pane e libertà ha fatto del web un punto di raccolta e di comunicazione essenziale. Si tratta di
uno tsunami sociale, di intensità analoga al fenomeno geologico che sconvolge gli oceani. La stessa emergenza energetica –
ha spiegato l’A. nel suo tour europeo di presentazione di questo suo ultimo libro – può essere affrontata beneficiando del
modello reticolare di Internet, in un sistema di distribuzione dell’energia rinnovabile, su scala planetaria.
The Age of Empaty consta di tre parti ciascuna delle quali comprende 5 capitoli:
La prima parte è dedicata all’esame della nuova visione della natura umana che sta emergendo con la scoperta dell’ Homo Empaticus nell’ambito
delle scienze umane e naturali.
La seconda parte analizza le correnti empatiche e le grandi trasformazioni della coscienza che hanno accompagnato ogni civiltà, ciascuna più
complessa e più affamata di energia della precedenteLa terza parte illustra l’attuale corsa verso la massima empatia globale sullo sfondo di una sempre più accelerata distruzione entropica della
biosfera terrestre. L’attenzione qui è posta alla Terza Rivoluzione industriale che sta inaugurando una nuova era di capitalismo distribuito e
2
creando le condizioni per una coscienza biosferica.
Nelle pagine finali Rifkin avanza la suggestiva ipotesi della fine dell’età della ragione profittevole e strumentale che starebbe per essere sostituita
dall’era dell’empatia. C’è solo da chiedersi se potremo disporre del tempo necessario perché questa rivoluzione culturale si compia, considerate le
gravi condizioni in cui versa il pianeta.
PARTE PRIMA
HOMO EMPATICUS
Rifkin spiega bene le conseguenze del fatto che oggi, nel terzo millennio, siamo ancora in gran parte
dipendenti dalle idee sulla natura umana formulate nei secoli XVIII-XX (Bacone, Locke, Cartesio,
Smith, Freud ecc.). Idee peraltro già messe in discussione dai loro stessi coevi (Goethe, ad es. riteneva
che il migliore approccio alla natura sia quello partecipato, più che quello freddo dell’osservatore
distaccato della cosa, o delle cose in sé). La predisposizione all’empatia è integrata al nostro stesso
sistema biologico, ma solo negli ultimi cento anni questo atteggiamento ha potuto progredire su basi
scientifiche, grazie alle teorie evoluzionistiche di Darwin e ai contributi di scienziati della mente che, a
partire da Melanie KLEIN, sbrecciarono le mura della fortezza freudiana, introducendo una visione
diversa della natura umana.
Una nuova generazione di biologi, filosofi, psicologi, linguisti e neuro scienziati avrebbe spostato il
principio del cogito moderno a vantaggio del principio di partecipazione. Partecipo, ergo sum. Un
approccio nuovo della natura umana che riscriverà la storia dell’uomo, gettando le basi di una nascente
Era dell’empatia.
Per il filosofo Michail BACHTIN essere significa comunicare: essere per l’altro e, attraverso l’altro,
per sé. Prima di lui, gli Enciclopedisti, sia pure in una impostazione ancora meccanicistica del mondo,
avevano definito la comunicazione come una trasmissione di energia tra corpi; trasmissione di energia:
un moto che un corpo imprime a un altro corpo, trasmettendogli energia. Che differenza rispetto al
mondo di Cartesio, dove ciascuna mente opera indipendentemente ed è incorporea, e perciò non ha
necessità di entrare in relazione con l’altro al fine di conoscersi e sperimentare l’esistenza altrui.
La grande trasformazione dal cogito al partecipo, colloca l’empatia al centro della stessa storia
dell’uomo. Un posto che sempre avuto, ma che solo oggi abbiamo riconosciuto. Henryk
SKOLIMOWSKI parla a tale proposito di un legame di partecipazione (= prender parte a un’azione).
Se riconosciamo questo legame riconosciamo l’empatia.
Diversamente dalla simpatia che è più passiva, l’empatia – una volta riconosciuta – richiede agli
scienziati della psiche, ai medici e agli operatori sociali in generale, comportamenti attivi: la
disponibilità, ad es., da parte degli stessi sperimentatori, a diventare essi stessi parte dell’esperienza
dell’altro e di condividerne le emozioni.
L’Empatia si rivelò subito come un concetto nuovo e potente, diventando oggetto di controversie
negli ambienti accademici. Tra il XIX e il XX sec.ebbe i primi e principali teorici in Theodor
LIPPS e Robert VISCHER. Il sentire dentro della parola Einfülung mostra come l’Empatia sia un
circuito psicofisico utile alla conoscenza di sé e degli altri. È dai segnale esterni emessi dal corpo
della persona che abbiamo di fronte che comprendiamo cosa accade “dentro” di lei. Ed è proprio in
virtù di questa relazione dialettica IO-TU – come nota Edith STEIN che il nostro io si edifica
Empatici si nasce o si diventa è la domanda conseguente che di recente si pone Andrea
Pinotti (Empatia.Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza, Roma-Bari 2012.)
E se J.F. Lyotard si domanda se l’iperreale televisivo non ci abbia resi indifferenti alla sofferenza
umana (cfr. pure Blumenberg, Naufragio con spettatore), Pinotti si chiede “che destino attena
l’empatia di un mondo – l’era di Facebook – in cui la dimensione dell’intersoggettività non può
oramai essere ricondotta all’interazione fra due o più soggetti in carne ed ossa che si guardano negli
occhi, finestre dell’anima” (Recensione ad A.Pinotti di A.LiVigni,Sole24ore n,14,15.01.2012 pag.35).
(aggiunta del 25 genn.2012)
George Herbert MEAD, filosofo e psicologo, affermava che ogni essere umano si mette nei panni
dell’altro per valutarne i pensieri, i comportamenti, le intenzioni e rispondere con una reazione
adeguata. Ed era d’accordo con lui il più noto psicologo Jean PIAGET, pronto ad ammettere che fin da
3
bambino l’individuo acquisisce capacità sempre più sofisticate di “leggere” l’altro in modo da stabilire
relazioni sociali.
Altri psicologi, con inclinazioni più romantiche avrebbero poi considerato l’empatia uno stato affettivo
o emotivo, ma con una componente cognitiva. Più spesso, come suggerisce Martin HOFFMAN,
l’empatia lavora a un livello più profondo; è una risposta alla sofferenza dell’altro, ma anche alla sua
gioia (la gioia però è più rara ed evanescente; molto più di quanto non sia difficile smaltire un dolore).
La condivisione empatica della gioia di un nostro simile deriva da una conoscenza personale dei suoi
sforzi per raggiungere un obiettivo.
L’interesse per gli effetti dell’empatia dunque si è sviluppato solo di recente, nel corso del ‘900,
quando essa è diventata un argomento di grande importanza per molte discipline: dalla medicina alla
gestione delle risorse umane.
Dobbiamo considerare Sigmund FREUD come l’ultimo grande esponente del materialismo. Nelle sue
tesi confluiscono le argomentazioni materialiste dell’illuminismo settecentesco e una versione
secolarizzata del concetto di natura umana, fallace e depravata, derivata dalla dottrina medievale della
Chiesa.
Allineandosi alla teoria utilitaristica del Settecento Freud concepì la vita umana scissa tra due polarità:
da una parte l’uomo tende a evitare il dolore; dall’altra, a cercare il piacere. Considerò perciò l’utile e
il piacevole la molla di ogni attività umana, giungendo alla conclusione che il prototipo di ogni felicità
è nell’Eros. La spinta verso la soddisfazione sessuale è così potente da far diventare tutta la vita uno
strumento per raggiungere il piacere. L’erotismo genitale è posto al centro della vita stessa. Lasciato
senza controllo, e guidato dalla Libido, l’uomo si trasforma in “bestia selvaggia”, alla quale resta
estraneo il rispetto per la propria specie. Nello schema freudiano, la civiltà è una sorta di compromesso
che l’uomo ha accettato malvolentieri, e al solo scopo di barattare una parte delle sue possibilità di
felicità per un po’ di sicurezza.
Non ci volle molto perché questa nuova visione erotizzata della natura umana venisse applicata da un
suo contemporaneo, John B. WATSON (altro pioniere nel campo della psicologia) al nascente settore
della pubblicità di massa. Afferma Rifkin che gran parte del successo del capitalismo consumistico del
secolo passato fu dovuto – almeno in buona parte – all’erotizzazione dei desideri e alla
sessualizzazione del consumo. Gli annunci pubblicitari del resto sono intrisi di riferimenti erotici.
Come molti suoi contemporanei, Freud fu costretto a scontrarsi con i nuovi principi della
termodinamica e con la legge della conservazione dell’energia1, le quali indicano come l’organismo
biologico e le comunità viventi siano coinvolte in una lotta incessante per creare ordine, contro il
freno dell’entropia, dell’equilibrio e della morte.
Se l’uomo si limitasse a essere uno strumento di distruzione e di morte, la sua natura non sarebbe
compatibile né con la teoria dell’evoluzione biologica, né con le leggi newtoniane della
termodinamica. Freud trovò una via d’uscita a questa empasse delineando il concetto di pulsione di
morte, (che forse gli venne da una sua allieva, Cristina Spielrain, allieva pure di Jung) sarebbe
diventato il fulcro della sua visione della natura umana. Questo concetto cominciò a prender corpo in
un suo scritto del 1920, dal titolo Al di là del principio del piacere (vol.IX delle Opere, Boringhieri).
Oltre alla pulsione di conservare la sostanza vivente e legarla in unità sempre più vaste, esiste un’altra
pulsione, opposta, che mira a dissolvere questa unità e a ricondurla allo stato primordiale inorganico.
Dunque, oltre all’Eros, una pulsione di morte, ossia un impulso all’aggressività e alla distruzione, nel
senso che l’essere vivente distrugge qualcos’altro di animato o di inanimato, anziché se stesso.
La limitazione di questa aggressività verso l’esterno porta come conseguenza la intensificazione
dell’autodistruzione. In prima istanza la pulsione di morte si manifesta in forma di sadismo; in seconda
1
Le leggi della termodinamica sono legate al nome di Einstein. La prima (legge della conservazione) enuncia che l’energia non
può essere né creata né distrutta. Che la sua quantità totale rimarrà inalterata fino alla fine. La seconda enuncia che l’energia
fluisce sempre in direzione vettoriale: dal caldo al freddo, dal concentrato al disperso; dall’ordine al disordine. Sulla base di
questa seconda legge, quando l’energia si trasforma una parte di essa si perde nello stesso processo di trasformazione. Questa
perdita è detta ENTROPIA, termine coniato dal fisico Rudolf Clausius nel 1868. Fu il biologo Harold Blum a spiegare come la
biologia sia perfettamente coerente con le leggi della termodinamica. Tanto più evoluta è una specie nella gerarchia della natura,
tanta più energia richiede per conservarsi e tanta più entropia genera nel processo messo in atto per mantenersi in vita.
L’antropologo Leslie White giunse alla conclusione che una cultura è tanto più evoluta quanto maggiore è la quantità di energia
utilizzata pro-capite per trasformare l’energia in lavoro. Le grandi rivoluzioni economiche della storia si sono verificate grazie alla
concomitanza di nuovi regimi energetici e lo sviluppo della comunicazione. Le nuove rivoluzioni delle comunicazioni diventano i
nuovi meccanismi di comando e di controllo del flusso di energia nella civiltà. Cfr Rifkin, op. cit.pp.26-35
4
in forma di masochismo: entrambi sono espressione della pulsione sessuale istintiva. La pulsione
sessuale cerca sfogo nell’impotenza (dominio sugli altri nel caso di sadismo e nell’autodistruzione nel
caso del masochismo).
Alla fine Freud giunse alla conclusione che tutta la vita è al servizio della pulsione di morte.
Non tutti però accettarono questa visione profondamente pessimistica della natura umana. Fra gli
stessi psicoanalisti ben pochi accettarono che ogni emozione umana dovesse essere considerata una
repressione residuale della pulsione sessuale e della pulsione di morte. Stranamente, nell’analisi di
Freud era assente ogni considerazione sull’amore materno: una forza potente e inoppugnabile estesa
nel regno animale. Affrontò apertamente questo tema in Il disagio della civiltà (1929, vol.X delle
Opere, Boringhieri), una delle ultime sue opere, dove ammise di non essere riuscito a scoprire in sé
questo “sentimento oceanico”, pur riconoscendo che altri potessero provarlo. Considerava invece il
bambino guidato fin dall’inizio dalla libido: la madre, lungi dall’essere un oggetto d’amore sarebbe
oggetto di utilità sessuale e materiale, attraverso cui soddisfare una pulsione innata al piacere e alla
soddisfazione sessuale.
Occorre aggiungere che Freud rimase sempre perplesso sulla figura e sul ruolo femminile, a parte
quella non oppugnabile di generare e di accudire i propri bambini. Si limitò ad affermare che la
somma totale del comportamento femminile è in ultima istanza un riflesso dell’invidia del pene che la
femmina porta con sé fin dalla vita prenatale. Secondo Freud attaccamento, affetto, amore
apparterrebbero al vocabolario dell’illusorio,: la relazione parentale è utilitaristica e pensata per
massimizzare il piacere.
Volle rivelare il punto critico di tutta la sua epoca nella nostalgia del padre: il principio di Autorità
che garantisce protezione e sicurezza in cambio di obbedienza cieca e incondizionata. Scrisse: “non
saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti
dal padre”. Da qui faceva discendere un impulso religioso, strettamente utilitaristico. Mentre l’amore
materno, le sue cure, ecc. non sarebbero altro che prodotti dell’immaginazione che maschera una
profonda pulsione narcisistica.
Sostiene Rifkin (p.50) che Freud tuttavia fu “l’ultimo esponente della vecchia guardia, che ha fatto una
brillante arringa a favore dell’antica narrazione patriarcale”. Il concetto di inconscio utilizzato per
affermare che il dominio maschile sul mondo è nell’ordine naturale delle cose.
La storia del complesso di Edipo è una “immaginifica sceneggiatura teatrale”, pensata per collocare il
protagonista maschile al centro della storia del genere umano.
Tutto intorno però le società europee stavano abbattendo le mura erette a difesa del patriarcato,
liberando le donne da millenni di schiavitù e subordinazione.
La diffusione della stampa, l’avvento del telefono, l’alfabetizzazione di massa, e poi il cinema, la
radio, la televisione, l’automobile, l’elettrificazione delle case, l’impiego degli elettrodomestici, ecc.
resero possibili nuove possibilità di comunicazione e più estese forme di relazioni sociali.
Tutto questo non poteva passare inosservato a una generazione di più giovani psicologi, molti dei quali
allievi dello stesso Freud, che misero in discussione la sua visione della natura umana.
Sarebbero venuti alla luce da lì a non molto studi sperimentali importanti nel campo dell’osservazione
clinica dei comportamenti dei bambini piccoli: Melania KLEIN, FAIRBAIRN, KOUTH, WINNICOTT,
SUTTIE, LEVY, BAKWIN, BOWLBY, AINSWORT e altri dopo di loro.
Fu proprio Melania KLEIN, la più brillante discepola di Freud a restituire alla figura materna un ruolo
cardine nella storia dell’uomo. Pur accettando l’idea freudiana che tanto il piacere quanto
l’aggressività siano pulsioni primarie, ella pose maggiore enfasi sulla seconda, osservando che
l’aggressione è in prima istanza rivolta verso il seno materno, scindendo l’oggetto primario, il seno,
appunto in oggetto che soddisfa la sua pulsione libidica (seno buono) o lo frustra e lo punisce,
negandogli soddisfazione (seno cattivo). L’aggressione primaria è rivolta verso la madre, non verso il
padre. Crescendo, il bambino comincia a riconoscere la madre non più come seno, ma come un essere
che lo accudisce, e l’ambivalenza provoca un senso di rimorso e di colpa, e – insieme – un desiderio
di riparazione per non distruggere la relazione dalla quale dipende per soddisfare la propria libido.
Pur considerando la pulsione primaria libidica e aggressiva, la Klein lasciava però spazio alla
possibilità che le relazioni umane venissero temperate dalla socialità.
Non riuscì a fare il passo avanti (per fedeltà al suo maestro), ossia non riuscì a convincersi che la
stessa socialità è una pulsione primaria. Altri avrebbero poi battuto quella strada, interpretando la
5
libido freudiana, e la necessità di soddisfarla, come un fondamentale bisogno umano di accudimento,
di attenzioni e amore.
Fu William Ronald FAIRBAIRN a introdurre il principio di relazione oggettuale nel rapporto primario
madre-figlio. Rovesciando la tesi di Freud, Fairbairn affermò che la struttura dell’Io comincia a
svilupparsi alla nascita e gli impulsi sono strumenti attivi attraverso i quali l’Io cerca la relazione con
gli altri. Il vero significato dei principio di realtà sta nel fatto che ogni bambino cerca l’altro per
costruire ponti di relazione, fin dalla nascita: Egli è quindi impegnato a costruire connessioni con gli
altri, al fine di consolidare le relazioni. Se l’obiettivo primario della socialità è frustrato, il principio di
piacere ne prende il posto come sostituto. Quest’ultimo è perciò un principio sussidiario che segnala
un impoverimento delle relazioni oggettuali, e che entra in opera nella misura in cui il principio di
realtà fallisce. Il principio di realtà insomma è la vita di relazione.
Perché un lattante si succhia il pollice? Freud avrebbe risposto: perché la bocca è una zona erogena e il
succhiare gli procura un piacere erotico. Ma Fairbairn incalza: perché il pollice? Perché l’infante si
procura una relazione sostitutiva del capezzolo materno per soddisfarsi. Quindi è la relazione
oggettuale che determina l’atteggiamento libidico. Tutte le forme di sessualità infantile che
ossessionavano Freud – afferma Fairbairn – sono azioni compensatorie per alleviare l’ansia del
bambino per ciò che veramente desidera, ma che gli viene parzialmente o totalmente negato.
Leggere a pag.85 citazioni dell’autore sul rapporto tra frustrazioni e desiderio del bambino di essere
amato come persona: Conseguenze traumatiche in caso di fallimento delle sue relazioni affettive).
Altri si sarebbero uniti a Fairbairn nella critica a Freud e al tentativo di delineare una contro teoria
della natura umana centrata sull’importanza della relazione sociale per lo sviluppo della psiche e del
Sé.
Tra questi va segnalato Heinz KOUTH, il quale concordava col Fairbairn sul fatto che la pulsione
distruttiva non è intrinseca all’uomo, ma – al contrario – è espressione del fallimento nella costruzione
di relazioni affidabili:
La pulsione distruttiva si manifesta quando il bambino sperimenta ripetuti fallimenti con un oggetto
relazionale. Ciò perché il bambino è affamato di risposte empatiche ottimali.
Attenzione però: non va confusa una pulsione all’assertività, tipica dei bambini che cominciano a
voler affermare il proprio Io in situazione di sicurezza delle relazioni primarie (presenza genitoriale,
cure materne, ecc.) con l’aggressività che rappresenta invece la mancata realizzazione della relazione
sé-oggetto, a causa di un deficit empatico da parte di uno o di entrambi i genitori.
Dalle sue osservazioni cliniche, Kouth pervenne alla conclusione che non sono le pulsioni in sé, ma la
minaccia all’organizzazione del sé, a essere fondamentali per lo sviluppo. Se la risposta empatica dei
genitori è debole o inesistente, lo sviluppo del bambino si arresta. E a quel punto insorgono
manifestazioni distruttive come la rabbia, il pianto isterico, le auto afflizioni corporali.
L’importanza di avere genitori affettuosi ed empatici è fondamentale nella determinazione del tipo di
adulto che diventerà. Determinante è quindi la matrice empatica in cui siamo cresciuti.
Non è importante e c’è poca differenza tra chi sia il fornitore delle prime cure parentali. La madre
biologica non è essenziale. E qui Kouth fa valere l’episodio delle madri surrogate, già citato da
Melania Klein e Sophie Dann, nella fattispecie di sei bambini sopravvissuti ai campi di
concentramento nazisti grazie alle cure di gruppi di donne che per tre anni si erano avvicendate nella
cura. Quando una o alcune di esse venivano sterminate, il gruppo successivo li prendeva in carico, fino
alla loro scomparsa. Comprensibilmente i bambini erano disturbati, ma riuscirono ugualmente a
sviluppare un loro sé coeso: cosa che poteva spiegarsi solo sull’affetto delle donne che si erano preso
cura di loro. Di madri surrogate parla anche De Waal, ricordando l’episodio di una madre che nel
terremoto del 2008 che colpì la Cina allattò al seno numerosi bambini rimasti orfani. “Nulla di ciò
accadrebbe – commenta de Waal – senza la nostra capacità di essere empatici” (de Waal, p.142).
All’attacco frontale mosso contro la teoria freudiana della natura umana si aggiunsero altri
contemporanei. Tra gli altri, in posizione più defilata, ma non per questo meno efficace, va ricordato
David WINNICOTT, un pediatra con molti decenni di esperienza nel lavoro coi bambini.
Winnicott sviluppa una tesi più radicale, partendo dal presupposto che i bambini non esistono
autonomamente e non hanno un senso di sé coerente e individuale, e che l’individuo si forma nella
relazione. È insomma la relazione a creare l’individuo e non viceversa. E dimostra la sua tesi con il
6
racconto della prima consapevolezza di ogni neonato, che è quella di cercare il capezzolo materno.
Nel corso della sua lunga esperienza pediatrica aveva potuto osservare che il modo in cui il neonato
viene introdotto al seno materno determina il corso del futuro sviluppo del bambino come individuo:
Poiché questo primo atto rappresenta la primissima iniziazione a una relazione con un altro essere, la
modalità con cui la relazione è avviata è della massima importanza. È anzi determinante per il tipo di
aspettative che il bambino sviluppa riguardo agli altri (leggere a pag.58 il bambino che “crea” il
capezzolo-mondo).
Conclusione provvisoria:
Fairbairn, Kouth e Winnicott, ciascuno a suo modo, hanno creato una contro teoria della natura umna,
che enfatizza l’importanza della relazione umana rispetto alle pulsioni libidiche nello sviluppo della
psiche e del Sé individuale.
A questa impostazione si attenne anche uno psichiatra scozzese di Glasgow, Ian SUTTIE, autore di un
libro pubblicato poco dopo la sua morte (1935), dal titolo Le origini dell’amore e dell’odio. Un libro
di cult per molti anni, introvabile ma fondamentale. Una radicale riformulazione delle teorie freudiane
in una visione più ottimistica della natura psichica dell’uomo.
Suttie sostiene il bisogno innato di socialità in ogni neonato e la centralità della socializzazione nella
natura umana.
Tutti i successivi interessi della persona (modalità con cui giochiamo, competiamo, perseguiamo i
nostri interessi culturali, economici e politici sono sostituti della prima relazione fra madre e figlio.
La prima infanzia è dominata da un bisogno di socialità insaziabile; da un istintivo bisogno di fare e
ricevere doni, ossia di confermare continuamente la reciprocità. Da qui il valore della tenerezza nella
creazione di un legame empatico.
Attraverso tutta una serie di studi su infanti allevati in orfanatrofi o accolti in famiglie adottive, alcuni
psicologi misero a fuoco risultati sconcertanti che confermavano la tesi della socialità.
Lo psicanalista David LEVY, ad es. studiò il caso di bambini internati, la maggior parte dei quali
provenivano da orfanatrofi o da famiglie affidatarie, prima di trovare una famiglia adottiva. La sua
attenzione si concentrò sul fatto che quei bambini che non avevano avuto un legame con una figura
materna, per quanto sembrassero affezionati, in realtà mostravano poco trasporto emotivo; spesso
erano sessualmente aggressivi, e assumevano comportamenti antisociali (furto, bugie e incapacità di
instaurare legami di amicizia). Levy li classificò come sofferenti per carenza di affetto primario.
Altri ricercatori si concentrarono sui bambini ospitati nei brefotrofi. Privati di cure materne, questi
sviluppavano personalità psicopatiche. Gli standard igienici fissati nei regolamenti dei brefotrofi
imponevano ambienti sterili, per evitare il propagarsi di malattie, e il personale veniva dissuaso dal
toccare i bambini o dal prenderli in braccio e cullarli, per timore che si diffondessero germi e
patologie. L’allattamento era artificiale e veniva precluso qualsiasi contatto fisico diretto.
L’applicazione di questi protocolli portarono a un alto tasso di mortalità infantile (fino al 72% nel
primo anno di vita). Fu osservato che i bambini perdevano il desiderio di vivere e morivano per
ospedalismo.
Loneliness in Infants è il titolo di un rapporto del 1931, il cui autore, il pediatra Harry BAKWIN
osservò che l’isolamento aveva raggiunto proporzioni tragiche. Bakwin, che dirigeva un brefotrofio,
invertì coraggiosamente quella tendenza, prescrivendo alle accudenti di lasciar cadere le prescrizioni
restrittive dei regolamenti (“Vietato circolare senza un bambino in braccio”).
Venne a cadere un’altra convinzione epocale: che cioè l’intelligenza dell’individuo fosse
predeterminata a livello biologico. Tra gli anni ’30 e i ’40 cominciarono sia pur lentamente a
cambiare, in ambito psichiatrico, le convinzioni attorno alla natura umana.
Nel 1947, il cortometraggio amatoriale Grief. A Peril in Infancy dello psicanalista René SPITZ, mostrò
un gruppo di bambini che avevano goduto per un certo periodo di cure materne e in seguito erano
finiti, per circostanze varie, in case di accoglienza e orfanatrofi dove una sola infermiera doveva
badare a 45 bambini. Il documentario provocò una profonda emozione nel pubblico di medici e
psicologi presenti.
7
Il nome di John BOWLBY è legato alla teoria dell’attaccamento, del tutto coerente al materiale
documentario di Spitz.
Partendo dalla teoria della relazione oggettuale di Fairbairn, Bowlby argomentò che la prima relazione
madre-figlio determina l’intera vita emotiva e mentale. Come Fairbairn riteneva pure che la pulsione
primaria di ogni bambino fosse la ricerca di relazione con gli altri.
Dopo un anno di vita, il bambino è già un esperto conoscitore delle persone: non solo ha imparato
velocemente a distinguere i famigliari dagli estranei, ma fra i membri della propria famiglia ha già
individuato i suoi preferiti che segue se si allontanano e cerca quando non ci sono. La loro perdita gli
procura ansia e tensione; la loro ricomparsa, sollievo e sicurezza. Su questa base si costruisce la vita
emotiva.
Rispetto a Freud e ai suoi colleghi, Bowlby fece un passo avanti, contestualizzando le relazioni
oggettuali nell’ambito della biologia evolutiva. La sua teoria fu molto influenzata da Konrad Lorenz*,
che nel 1935 aveva pubblicato un lavoro sull’imprinting degli uccelli.
*La biofilia, che è una forma di empatia rivolta agli animali, deve molto a Konrad LORENZ, padre dell’etologia (l’Anello del re Salomone, E l’uomo incontrò il cane, ecc. tutti in edizioni Adelphi). Nei suoi libri vi sono osservazioni sulle passioni dei pesci, la ferocia delle
ortore, sulle oche selvatiche (indimenticabile il capitolo del primo libro cit. sull’ochetta Martina, che si considera figlia dello scienziato
che l’ha covata negli ultimi due dei 29 giorni in una covata di venti uova, e gli corre dietro ovunque vada).
Il concetto verrà ripreso dal filosofo britannico Owen BARFIELD, per il quale l’umanità, nella sua relazione con la natura, ha attraversato
Due grandi fasi (vedi pp.272 e sgg.del vol. La terza rivoluzione industriale)
Lorenz rimase molto impressionato dal fatto che in alcune specie di uccelli i piccoli sviluppano legami
con una figura accuditrice, indipendentemente dal cibo. Osservò che nei mammiferi un soggetto
immaturo si lega a un soggetto maturo per ottenere protezione, indipendentemente dai comportamenti
sessuali o alimentari. Notò pure che in tutti i mammiferi l’attività esplorativa è di grande importanza;
che i bambini non sono meno curiosi e indagatori di un ricercatore e ne adottano lo stesso metodo per
esplorare l’ambiente; che il bisogno di attaccamento e quello di progressivo distacco esplorativo si
alternano; che c’è cioè una relazione dialettica tra l’attaccamento e la dipendenza.
Frans de Waal ha confermato nelle sue ricerche questo comportamento che si estende anche oltre la
sfera dei mammiferi.
Bowlby trasse vantaggio da queste ricerche, applicandole ai comportamenti umani, dimostrando come
il successo o il fallimento del delicato processo di adattamento-distacco determina la futura vita
emotiva e la socialità di ogni bambino.. Se i genitori non conferiscono sicurezza ai bambini, la loro
autonomia ritarderà, perché l’ansia da attaccamento, ossia la paura di perdere la o le figure di
riferimento, provoca patologie irreparabili: nevrosi, fobie, psicopatie.
La convalida alle osservazioni di Bowlby venne dalle osservazioni sperimentali di una psicologa, Mary
AINSWORTH, che ne aveva seguito da vicino le ricerche e definì alcune modalità di relazione madrefiglio, osservando tre diverse tipologie di comportamento: a) bambini sicuri nell’attaccamento, che si
dimostravano dispiaciuti quando la madre si allontanava, pronti però ad accoglierla con gioia al suo
ritorno, confortati dal suo abbraccio; b) bambini evitanti nell’attaccamento, che sembravano più
distanti dalla madre; dispiaciuti del suo allontanamento, ma che mostravano interesse al suo ritorno; c)
Bambini ambivalenti, i più ansiosi, anch’essi dispiaciuti quando la madre si allontanava, ma
inconsolabili nel pianto quando questa faceva ritorno (definiti mammoni). Quali erano gli
atteggiamenti materni che potevano provocare comportamenti tanto diversi? Le madri dei bambini
sicuri erano reattive e sensibili; disposte a soddisfarne i bisogni e tenerli a lungo con sé, e con
maggiore attenzione ai loro bisogni. Quelle dei bambini evitanti manifestavano invece comportamenti
di rifiuto. Quelle dei bambini ambivalenti manifestavano invece più imprevedibilità nelle loro
reazioni.
Il protocollo elaborato dalla Ainsworth fu validato da altre ricerche e altri studi, che dimostrarono
come il bambino più sicuro tende a diventare un adulto più socievole e sensibile verso gli altri;
disposti a livelli di cooperazione più elevati e con una consapevolezza empatica molto sviluppata.
La domanda è: come si fa a crescere un bambino empatico? E la risposta è semplice: essendo empatici
coi bambini. L’idea di relazione che il bambino si forma non può che fondarsi sulle relazioni delle
quali ha avuto esperienza.
8
Resta tuttavia qualcosa delle teorie sull’innatismo convalidate dalla genetica comportamentale, la
quale sostiene – a ragione – che i geni hanno il loro peso e determinano predisposizioni
comportamentali.
I critici della teoria dell’attaccamento tuttavia, affermavano che i bambini che mostrano irritabilità fin
dalla nascita hanno meno probabilità di creare legami solidi, e una maggiore probabilità a diventare
ansiosi entro il primo anno di vita.
Anche a fronte di questo determinismo naturale tuttavia, la cultura è in grado di predisporre alcuni
rimedi. Il pedagogista olandese Dymph VAN DER BOOM dedicò all’argomento uno studio per valutare
l’importanza relativa dei due elementi del binomio natura-cultura nel comportamento
dell’attaccamento.
Studiò cento bambini diagnosticati come fortemente irritabili fin dalla nascita. Questi bambini erano
nati in famiglie a basso reddito, con genitori a basso livello di istruzione, stressati a causa delle loro
difficoltà economiche e lavorative, quindi poco disponibili a costruire un clima di attenzione per lo
sviluppo di un solido attaccamento nei loro bambini. Cosa fece questo pedagogista sperimentale?
Divise le 100 coppie madre-figlio in due gruppi. Il primo gruppo partecipò a tre incontri di
orientamento in cui ricevettero istruzioni su come accrescere la propria sensibilità nei confronti dei
loro bambini.
Al secondo gruppo invece non venne fornita alcuna assistenza.
I risultati dell’esperimento furono sorprendenti. Il 68% dei figli di madri che avevano fruito del corso
di formazione fu successivamente, e in seguito a verifiche a distanza, diagnosticato sicuro
nell’attaccamento al compimento del primo anno. Nell’altro gruppo, il tasso dei bambini “sicuri” si
fermava al 28%.
Conclusione. I teorici delle relazioni oggettuali hanno contribuito a vedere in modo diverso la natura
umana. Siamo una specie animale socievole che desidera la comunicazione; soffre di ogni forma di
isolamento, ed è biologicamente predisposto a manifestare empatia verso i propri simili.
Le scoperte scientifiche degli ultimi decenni avrebbero aperto strade nuove all’esplorazione dei
meccanismi biologici che rendono possibile la socialità, favorendo una prospettiva empatica del
mondo. Agli psicologi subentrano in questa fase i biologi, che accolsero con entusiasmo la scoperta
dei neuroni specchio (i c.d. “neuroni dell’empatia”) avvenuta nel 1996 grazie alle ricerche di
un’equipe di Parma guidata da Giacomo RIZZOLATTI, e da più recenti acquisizioni delle neuroscienze.
Partendo da un’osservazione sui comportamenti dei primati, essi scoprirono una predisposizione
genetica alla risposta empatica nei mammiferi. Gli entomologi a loro volta avrebbero scoperto questa
dimensione non solo nelle scimmie, ma anche nei delfini, gli elefanti, i cani, in cui il fenomeno è ben
leggibile e identificabile (cfr. Frans de Vaal, p.109)).
A proposito della scoperta dei neuroni specchio, ciò che sorprende Rifkin è come dall’osservazione di
alcuni scienziati sui comportamenti dei primati si siano aperte spiegazioni di tale profondità da mutare
completamente lo scenario delle relazioni umane; come si sia arrivati alla comprensione della mente
non per un ragionamento concettuale, ma attraverso una simulazione diretta; attraverso la sensazione,
insomma, più che attraverso il pensiero.
Questa scoperta ha aperto le porte all’esplorazione dei meccanismi biologici che rendono possibile la
socialità. Come spiega Daniel J. SIEGEL si tratta di una sintonizzazione della mente. Uno dei massimi
ricercatori nel campo dei neuroni specchio, Marco IACOBONI, neuro scienziato, ne ha spiegato
l’importanza per l’immedesimazione e la lettura della mente altrui. La sua conclusione fu che noi
siamo programmati per l’empatia, che essa fa parte della nostra natura e ci rende capaci di interazioni
sociali.
I ricercatori all’avanguardia nelle scienze cognitive furono a giusta ragione elettrizzati dalla scoperta
delle implicazioni nel campo dei neuroni specchio. Avanzando nelle loro ricerche riscontrarono che i
circuiti biologici si attivano con l’esercizio sociale.
In altre parole: gli ambienti familiari e sociali dei neonati è essenziale per l’esercizio dei neuroni
specchio e per stabilire percorsi empatici nel cervello.
Queste scoperte stanno riaprendo l’annosa questione del rapporto tra biologia e cultura.
Credevamo che solo l’uomo evolvesse creando una cultura, mentre tutte le altre creature agiscono
secondo comportamenti rigidamente programmati (istinti). Oggi sappiamo che per molte specie i
comportamenti sono tanto innati (ereditati) quanto evolutivamente appresi.
9
Esempi: comportamenti di scimpanzé che apprendono, di giovani elefanti resi aggressivi dall’assenza
degli anziani e che si normalizzano al loro ritorno) cfr.p.81.
Gli zoologi avevano osservato che i giovani elefanti avevano appreso dagli anziani, proprio come
accade per l’uomo. La qual cosa fa capire (sia detto tra parentesi) che se manca un modello di ruolo le
generazioni più giovani vengono a mancare di guide che insegnino loro comportamenti socialmente
accettabili. (Il che vale pure se le guide rinunciano al loro ruolo e vengono meno alla responsabilità
di trasmissione dell’esperienza).
Darwin aveva anticipato molte delle recenti scoperte delle scienze cognitive. Tra gli ultimi suoi lavori
(ad es. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali) parlava addirittura di “responsabilità
morale” della maggior parte degli animali e della loro capacità di preoccuparsi per le difficoltà o le
sofferenze dei propri simili. Egli era convinto non solo che l’evoluzione richiedesse la sopravvivenza
del più adatto, e quindi la competizione individuale, ma anche la capacità di cooperazione. Pur
vivendo in un’epoca in cui il lemma empatia doveva ancora essere inventato, aveva intuito il valore
del legame empatico, l’istinto sociale che ci spinge ad accorrere verso un altro simile in difficoltà o in
pericolo anche a rischio della nostra stessa vita.
Tralasciando ora altre pagine pure importanti che parlano del rapporto tra empatia e gioco, empatia e
sviluppo del linguaggio, proseguiamo nell’esame (IV cap. della prima parte) dello sviluppo della
coscienza umana nel rapporto adulto-bambino.
Da dove veniamo? Dal timore per la presenza satanica nel bambino appena nato, ancora presente nei
genitori alla fne del primo millennio (leggere la pag.98).
Rifkin sceglie come guide due autori:
Stanley GREENSPAN, docente di psichiatria clinica alla Washington University,
Martin HOFFMANN, docente di psicologia alla New York University.
Il primo ci guiderà attraverso lo sviluppo della socievolezza;
il secondo ci spiegherà come l’espressione empatica si sviluppa in forme sempre più raffinate nel
lungo percorso che sta tra l’assumere coscienza di sé e l’integrazione sociale.
Greenspan identificò ben 6 livelli nello sviluppo della coscienza umana.
Al primo c’è il bambino impegnato ancora nello sviluppare le proprie percezioni sensoriali (tatto,
olfatto, vista, udito e gusto) e impegnato nel difficile compito di organizzare i propri movimenti per
esplorare e interagire col mondo circostante.
Non ha ancora il senso di sé e del mondo, e sta imparando a focalizzare la propria attenzione, facoltà
essenziale alla formazione della coscienza (il “sentimento oceanico” di cui parla Freud; la
“fiorita,ronzante confusione” di cui parla James).
Nel momento in cui il bambino ha acquisito la capacità di essere attento è pronto a notare i toni, le
espressioni, le azioni di chi gli sta vicino e in poco tempo incomincia a reagire con piacere. Siamo
nella seconda fase e il bambino è tra il primo e il secondo anno di vita. In questa fase inizia anche
l’intimità con la figura adulta accudente. Non è ancora del tutto in grado di differenziare se stesso
dall’altro, ma gradualmente e man mano che avanza l’esplorazione dapprima guidata e poi libera
nell’ambiente circostante comincia a distinguere il mondo delle relazioni umane dal mondo
inanimato che gli sta intorno. Per come gli adulti gli corrispondono, comincia a fissare i
comportamenti graditi (ottenendone soddisfazione) o sgraditi, acquistando il senso di sé e dell’altro.
Il terzo livello corrisponde alla fase del feedback, quella in cui il bambino esercita la propria
intenzionalità verso gli altri, e percepisce le loro reazioni.
Greenspan avverte che se in questo stadio la figura accudente è scostante o poco reattiva, lo sviluppo
può essere anche gravemente rallentato, provocando un danno alla successiva capacità di creare
relazioni di intimità (la nuova puericultura consiglia di accogliere il bambino quando si protende per
essere accolto tra le braccia ed essere coccolato; la vecchia puericultura e anche la cultura femminista
lo inibivano, per non fare dei bambini futuri ammammati).
A circa 18 mesi (siamo nella quarta fase), il bambino è in grado di indirizzare la madre sui suoi
bisogni, facendo capire ciò di cui ha bisogno. Il suo repertorio gestuale si arricchisce ogni giorno di
più. Mette a fuoco le varie situazioni sulla base di indizi comportamentali anche non verbali degli
adulti. Ha acquistato successiva fiducia per accettare l’allontanamento sia del padre che della madre
per brevi periodi. È capace di imitare le espressioni e i gesti degli altri. L’esplorazione dell’ambiente si
fa sempre più larga e si apre alla fase delle competenze su stimoli imitativi.
10
Fra il secondo e il terzo anno si entra nella quinta fase, quando comincia a formarsi l’ immaginario e il
bambino può coinvolgersi in veri e propri giochi di finzioni. È l’età in cui può iniziare a riflettere sulle
proprie azioni e sulle situazioni determinate dal proprio comportamento. Nei giochi di finzione può
ora mettersi nei panni di un altro e imitarne i comportamenti.
La sesta fase (fra il III e il IV anno) corrisponde allo sviluppo della fantasia e della creatività. Il
bambino è ora in grado di connettere le idee alle emozioni e comincia a distinguere tra passato e
presente, ma comprende anche il futuro, almeno nel senso che comincia a capire come azioni presenti
possano comportare conseguenze sul futuro. Sviluppa anche l’orientamento spaziale ed è in grado di
gestire le differenze tra fantasia e realtà. In breve, sta diventando cosciente di sé e acquistando identità.
Greenspan puntualizza al riguardo che lo sviluppo di un’identità cosciente dipende dalla relazione
empatica tra lui e i suoi genitori. Solo grazie alla capacità continua e coerente dei genitori di leggere i
suoi stati emotivi e di rispondervi adeguatamente, il bambino comincia a reagire in modo appropriato.
Fiducia e sicurezza si giocano nella connessione empatica del bambino al mondo emotivo.
Il contributo scientifico di Greenspan è stato importante nel farci superare la dicotomia natura-cultura,
e la conclusione importante a cui pervenne è che la capacità a tenere in considerazione i sentimenti
dell’altro in maniera attenta e compassionevole (patire/gioire con) deriva soprattutto dall’essere stati
amati e accuditi da piccoli, o quanto meno dall’aver preso criticamente coscienza, nella successiva età
adulta, di cosa ci sia mancato per svilupparci come esseri empatici, e quali cause abbiano determinato
nel nostro album di famiglia quegli aspetti del nostro carattere che noi stessi non condividiamo e che
assolutamente vorremmo evitare ai nostri figli.
Martin HOFFMANN sostenne, a sua volta, una tesi complementare a quella sviluppata da Greenspan,
dimostrando come la predisposizione empatica si manifesti in ogni stadio dello sviluppo umano,
fornendo all’individuo le fondamenta cognitive ed emotive per diventare un essere sociale
compiutamente formato.
Anche lui procede per individuazione di fasi nelle modalità di manifestazione dell’empatia nel
processo di individuazione. Le prime tre fasi sono pre-verbali ed automatiche, e in gran parte
involontarie perché biologicamente predisposte (motoria, mimetica, associativa, indiziaria, ed
esperienziale).
A proposito della fase mimetica andrebbe ricordato che era stato Adam Smith, vissuto nell’età dei
Lumi, a riconoscerne l’importanza, parlando di una pulsione innata a “mettersi nei panni degli altri”,
sperimentando pensieri e comportamenti altrui come se fossero propri.
Già a nove mesi, stando alle tesi di Hoffmann, il bambino imita le espressioni di gioia o tristezza di
sua madre. L’imitazione delle espressioni facciali (ma anche vocali: accenti, ritmi, timbri di voce)
prosegue poi per tutta la vita.
Al compimento del primo anno il processo mimetico/empatico è già più avanzato. Se la madre prova
ansia e irrigidisce il proprio corpo, il suo disagio è avvertito dal figlio, che lo interiorizza. Espressioni
facciali e verbali della madre che manifestino tensione gli provocano disagio, anche in mancanza di
contatto fisico: Stessa cosa accade quando il bambino osserva analoghe espressioni in altri individui.
È stato osservato che un bambino di 13-15 mesi cerca di confortare un compagno di giochi che piange,
portandolo alla propria mamma, pur in presenza della madre del compagno. Ciò significa che il
bambino avverte empaticamente una sofferenza causata dalla sofferenza dell’altro (anche se non è
ancora in grado di distinguere il proprio disagio da quello dell’altro).
Hoffman avverte che il disagio empatico, centrato su se stesso, può condurre a una “deriva egoistica” e
autoreferenziale. E a questo punto fa un’osservazione importante. Nel momento in cui il bambino ha
raggiunto l’età che i genitori di cultura anglosassone chiamano “i terribili due” (anni) e comincia a
diventare sempre più volitivo, i genitori tendono a imporgli una serie di divieti e a richiedergli
disciplina.
Buona parte degli episodi su cui i genitori intervengono per correggerli riguarda un danno fisico o
emotivo che il bambino ha inflitto ad altri.
La chiave per trasformare gli impulsi empatici innati in risposte empatiche coerenti e mature è nella
modalità con cui si educa alle regole.
11
L’educazione induttrice
Il miglior modo per portare un bambino a esprimere tutto il proprio potenziale empatico è l’induzione.
L’azione disciplinante induttiva si esplica mettendo in evidenza il punto di vista dell’altro;
sottolineando la sofferenza che gli è stata inflitta, e chiarendo che causa di quella sofferenza inflitta è
imputabile alla sua condotta (esempio del giocattolo sottratto a pag.110)
La disciplina induttiva è una specie di sceneggiatura con un copione prevedibile, che si conclude con una soluzione riparatoria.
Chiedere scusa all’altro bambino dà un senso di sollievo e diminuzione della colpa. Questa trama si fissa nella memoria,
consolidando il repertorio di esperienze empatiche del bambino.
Di solito i bambini sono introdotti a questa sceneggiatura di induzione nel terzo anno di vita, quando la
comunicazione fra genitori e figli è più ricca.
Hoffmann ci rammenta che i genitori sono figure potenti nella vita infantile; l’àncora di salvezza
emotiva del bambino nel mondo. La capacità di attirare l’attenzione del figlio, di affermare la propria
volontà, di ritirare il proprio affetto, dà loro una forza formidabile nella vita dei bambini.
Quindi attenzione: se i genitori sono troppo permissivi e mancano di offrire un quadro normativo
prevedibile, il bambino può finire con l’ignorare la loro volontà quando verrà manifestata. D’altra
parte, se i genitori mostrano tratti autoritari, sopraffacendo il bambino con il proprio potere assertivo,
questi rischia di diventare aggressivo o di rifiutare il controllo emotivo.
Il genitore sufficientemente capace (espressione di Winnicott) applica solo le pressioni strettamente
necessarie non in maniera giudicante, ma partecipe e attenta.
Ciò che l’azione disciplinatrice induttiva insegna al bambino è la sostanza della moralità umana
(l’ammissione di aver fatto del male ad un altro e il desiderio di riparazione).Schematicamente si
possono compendiare nella responsabilità per le proprie azioni; nella compassione per gli altri e nella
disponibilità ad aiutarli. Maturazione dell’empatia e lo sviluppo del senso morale sono la stessa cosa.
Martha C. NUSSBAUM raccomanda due cose:
a) evitare che il senso di colpa di traduca in un rimorso senza sbocchi.
Il senso di colpa deve essere adoperato con cura. Un eccesso di sensi di colpa senza occasioni di
riparazione porterebbe all’autoisolamento e alla sfiducia in se stessi; all’incapacità a correggersi negli
errori. L’errore va invece adoperato come occasione auto correttiva: l’unica cosa che davvero ci
appartiene e su cui possiamo crescere.
b) evitare ai bambini la vergogna, che umilia e fa sentire privi di valore e umanità.Le culture della
vergogna annichiliscono l’empatia. La disciplina induttiva è invece uno strumento di apprendimento
relativamente nuovo e forse costituisce il cambiamento più rivoluzionario nei comportamenti
genitoriali che vi siano mai stati nello sviluppo della civiltà umana.
Nel passato, i genitori non avevano alcuna dimestichezza col pensiero terapeutico. Freud ad es.
considerava sbagliata la disciplina induttiva. Il suo concetto di senso di colpa nasceva dalla paura della
punizione inflitta dai genitori, non dalla presa di coscienza della sofferenza inflitta ad altri simili.
Egli era convinto che i bambini nascono narcisisti, e sono costantemente impegnati in uno scontro di
volontà con i genitori per soddisfare la propria libido. In tal modo, da una parte essi temono il
controllo e l’autorità dei genitori, dall’altra hanno bisogno della loro protezione per sopravvivere. Con
i genitori quindi i bambini sviluppano fin dall’inizio una relazione ambivalente e manipolativa,
adottando costantemente mezzi per ottenere ciò di cui hanno bisogno, ma sempre ansiosi per il timore
di punizione o di abbandono. È la paura di perdere la protezione la molla che fa scattare il senso di
colpa, inducendo il bambino ad assumere le regole e il comportamento condiviso dai genitori.
Il senso di colpa insorge dunque per paura dell’autorità, e quella colpa viene poi interiorizzata,
costringendo il bambino ad assumere la morale dominante per paura della punizione.
La moralità, in questo modo, è indotta negativamente, e contro la propria libido.
La visione pessimistica della natura (di Freud come già di Hobbes) trovò tuttavia non poche resistenze
già ai suoi tempi. Wilfred TROTTER ad es. avanzò (1919) la tesi che l’uomo fosse un animale
gregario: responsabile dell’altro e per l’altro all’interno del proprio gruppo.
Freud trattò la teoria del sociologo Trotter come un’eresia, anche perché se fosse stata corretta,
avrebbe smentito gran parte della sua costruzione teorica. Formulò perciò una contro-tesi:
12
l’uomo non è un animale che vive nel gregge, bensì nell’orda che è sempre guidata da un capo.
Nell’orda il padre è la figura dominante, spregiudicatamente autoritaria e che pretende fedeltà assoluta.
I figli complottano necessariamente per detronizzarlo. Sono ben presenti, in questa contro-tesi le
metanarrazioni archetipiche (bibliche: il dio d’Abramo, e mitologiche: Esiodo).
La ricerca sullo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino negli ultimi decenni ha però del tutto
accantonato questa visione della natura umana. Oggi sappiamo che il processo di maturazione
empatica si velocizza già nel periodo prescolare, quando il bambino acquisisce competenze nell’uso
del linguaggio per esprimere e rivelare emozioni.
Fra i 4 e i 5 anni il bambino ha già maturato il senso della reciprocità sociale.
Fra i 6 e gli 8 anni ha già aggiunto al proprio repertorio morale il senso dell’obbligo (dovere) sociale:
ha imparato che mantenere le promesse è essenziale per l’amicizia, e che il non farlo può provocare un
senso di tradimento e di dolore. In altri termini: ha imparato a diventare un essere morale.
Fra gli 8 e i 10 anni è in grado di modificare la propria risposta empatica alla situazione dell’altro,
sulla base di circostanze esterne.
Tra i 10 e i 14 anni è in grado di pensare in maniera astrattamente morale su quale debba essere il
proprio comportamento in società.
Nella prima adolescenza (tra i 12 e i 13 anni) i ragazzi diventano più perspicaci nelle loro risposte
emotive agli altri: sono in grado di individuare diverse gradazioni di manifestazioni emotive e
capiscono se e quando le reazioni dell’altro possono essere determinate da altri fattori, oltre alle
contingenze immediate.
Si giunge così a quel punto del percorso di maturazione della coscienza empatica in cui un giovane
adulto diventa capace di notare – emotivamente e cognitivamente – l’esistenza dell’altro nella sua
completezza e di sviluppare una reazione empatica alla totalità della sua esperienza e del suo essere.
La forma più matura di risposta empatica è la capacità di sentire la sofferenza di un intero gruppo
umano, o perfino di un’altra specie, come se fosse la propria.
Si conquista così il concetto di coscienza (comunione) universale.
I cambiamenti che si sono determinati nelle modalità di accadimento genitoriale;
il prolungamento dell’adolescenza;
la maggiore esposizione alle culture, comunità, persone;
le possibilità tecnologiche di una connettività estesa e globale;
la maggiore interdipendenza economica tra le parti del pianeta;
il diffondersi di stili di vita cosmopoliti;
la stessa maggiore possibilità di fruizione di arte e cultura contribuiscono alla universalizzazione
della coscienza empatica.
Variazioni culturali dell’Empatia
Ogni cultura è giunta al nuovo stile di accadimento dell’Infanzia nel quadro della propria distinta
tradizione culturale.
Nella cultura americana, ad es., che ha una lunga tradizione di autonomia personale (individualismo)
l’enfasi genitoriale si è concentrata sullo sviluppo dell’autostima nei bambini.
Nelle culture asiatiche (Giappone, Cina, Corea) dove tradizionalmente si è più propensi a preparare i
giovani a diventare parte armonica della società nel suo insieme, l’enfasi è posta più
sull’autoadattamento che sull’autoaffermazione; più sull’autocritica che sull’autostima.
La differenza dell’approccio culturale influenza genitori e insegnanti nell’induzione della disciplina
utile a ottenere i fini che ogni società gerarchizza per la propria conservazione e il proprio sviluppo.
E tuttavia, sebbene la concezione che abbiamo della natura umana e le idee che abbiamo sviluppato
sull’educazione dell’infanzia siano drasticamente cambiate negli ultimi tempi, il nostro pensiero
filosofico e politico è stato – e lo è ancora – incredibilmente lento nel seguire questa evoluzione.
Per molti versi viviamo ancora con le idee del Settecento illuminista.
13
PARTE SECONDA
EMPATIA E CIVILTA’
La seconda parte del lavoro di Rifkin è un affresco di storia sociale. Egli tiene insieme la storia delle
idee e quella delle trasformazioni materiali nonché delle reciproche interferenze tra le prime e le
seconde).
Il cap. VI segue l’evoluzione dell’“l’antico cervello teologico e dell’economia patriarcale”;
il cap. VII, esamina le prime forme di cosmopolitismo e l’ascesa della cristianità urbana nell’Impero romano”;
il cap.VIII, esamina i caratteri della rivoluzione industriale leggera nel medioevo e la nascita dell’Umanesimo” (dalle società fluviali o
idrauliche ai mulini ad acqua o a vento, alle macchine a vapore).
Si tratta di un racconto storico sui processi culturali che incrementarono lo sviluppo empatico
dell’umanità (dalle civiltà idrauliche che consentirono lo sviluppo di attività produttive nelle antiche
civiltà sumeriche, dando avvio a prime forme di urbanizzazione e di documentazione ma anche di
narrazione con la nascita dell’antica civiltà babilonese, fino al successivo avvento dell’impero romano
che sviluppò l’urbanizzazione e ampliò i sistemi di coesione attraverso forme centralizzate e al
contempo decentrate di governo; fino all’arresto subìto dal VI all’XI° sec. (il medio-evo), e da lì poi
risalendo col rifiorire di una civiltà empatica col Rinascimento europeo (italiano in particolare) che
costituì a sua volta la premessa, attraverso la stampa a caratteri mobili, la riforma luterana e la nascita
dell’Umanesimo, della nascita degli stati moderni europei.
Questo affresco non tralascia le metanarrazioni che fanno da sfondo all’agire umano (il Vecchio
Testamento e Nuovo Testamento, il Gilgamesh,
Gilgamesh è un personaggio della mitologia mesopotamica. Mitico re dei Sumeri che regnò su Uruk, il più antico agglomerato
urbano dell'odierno Iraq, nelle vicinanze del Golfo Persico.Le sue vicende sono narrate nel primo poema epico della storia
dell'umanità, denominato successivamente Epopea di Gilgamesh. Si tratta di una leggenda babilonese, il cui nucleo
principale risale ad antiche leggende sumeriche, ma che venne trascritta molto tempo dopo il periodo in cui è ambientata
la storia. La prima stesura dell'epopea, pervenutaci in frammenti appartiene alla letteratura sumerica, ma la versione più
completa sinora nota venne incisa su undici tavolette di argilla che furono rinvenute tra i resti della biblioteca reale nel
palazzo del re Assurbanipal a Ninive, capitale dell'impero assiro. Questa redazione tarda della leggenda risale al
VII secolo a.C. (Vichipedia).
i poemi omerici, ecc. e ne influenzano le trasformazioni nei costumi, nei comportamenti personali,
familiari, ecc.
La tradizione omerica del Mediterraneo introduce nell’Iliade e nell’Odissea eroi umani con attributi
semi-divini, fondendo cosmogonie e teogonie. Racconta eventi del passato in forma idealizzata
mescolandoli a elementi mitologici.
La grande tragedia greca introdusse i sentimenti umani e divenne per il pubblico un veicolo per
empatizzare con le disavventure dei protagonisti, raggiungendo una catarsi emotiva con gli autori.
L’era cristiana ci ha lasciato a sua volta le omelie scritte e le testimonianze dei padri della chiesa
(sviluppo del pensiero teologico che ha a lungo condizionato la formazione umana).
Il tardo Medioevo: romanzi cortesi e cavallereschi e quelli anticavallereschi, come il don Qujote di
Cervantes, ricco di avventure immaginarie: la prima narrazione che esprime temi umani universali
attraverso il racconto delle vicende di un solo uomo.
Il grande romanzo otto e novecentesco (Tolstoj, Dostoevskij). L’importanza che esso assume nella
trasformazione della coscienza umana e nel propagarsi dell’individualismo in tutto il mondo
occidentale con rapidità e profondità, permettendo a milioni di persone di esplorare nuovi ambiti della
realtà e di universalizzare l’impulso empatico.
Locke: pensieri sull’educazione
I Pensieri sull’educazione, scritto da John Locke nel 1692, giocò un ruolo decisivo nelle pratiche di
accudimento dei figli delle famiglie protestanti e puritane, che se da un parte mostravano cura e amore
per i propri figli, dall’altra ne temevano le forze istintive (diaboliche) che li sottoponeva anche a
violenti punizioni corporali.
Locke credeva che i bambini fossero tabula rasa, e che i genitori non potessero pretendere dai loro
figli se non quello che erano disposti a offrire in termini di investimento in attenzioni e dedizioni,
attraverso un approccio più psicologico.
Il libro di Locke ebbe una forte influenza presso la borghesia inglese e in tutta Europa. Tant’è che nel
Settecento apparve un nuovo genere di letteratura destinato specificamente ai bambini. Si trattava
ovviamente di una letteratura per l’infanzia, più che dell’infanzia, ma comunque un passo decisivo era
stato compiuto nel riconoscimento di una specificità propria delle facoltà intellettive del bambino.
Insieme a una letteratura scritta ad uso dei bambini comparvero i giocattoli. Anche la puericultura fece
progressi: vennero ad es. dismesse le pratiche delle fasciature dei neonati che risalivano all’epoca
14
romana (ma si protrassero fino a noi almeno fino agli anni cinquanta del Novecento). Cadde pure il
pregiudizio dell’allattamento al seno materno, e la nascita di un vero e proprio sentimento affettivo
delle madri fin lì abbastanza scoraggiato o represso. Anche le pratiche scolastiche si fecero meno
repressive ed abusive. Col primo Ottocento le punizioni corporali cadono in disuso, a partire
dall’Inghilterra e via via per tutta l’Europa.
Gli Stati-Nazione
Anche la nascita degli stati nazionali che seguirono la pace di Westfalia (1649) (cujus regio ejus et
religio) seguita alla guerra dei Trent’anni e che partendo dall’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Francia si
diffusero nel corso dell’800 e del primo ‘900 contribuì a creare nuove narrazioni condivise e
un’identità comune che coinvolgeva territori geograficamente estesi. Lo Stato nazionale offriva il
nuovo orientamento psicologico per estendere l’abbraccio empatico al di là delle affiliazioni locali
basate sulla consanguineità, arrivando a comprendere una moltitudine di persone in precedenza
considerate diverse. Gli individui cominciarono a pensare se stessi come inglesi, francesi tedeschi,
itliani (p.277). Considerazioni sul processo unitario italiano e l’unità linguistica (cfr. T.De Mauro,
L’unità linguistica degli italiani).
Altro elemento dell’evoluzione empatica fu la fioritura di diari, autobiografie, giornali di viaggio, in
cui gli autori entrano in intimo colloquio con il loro sé in evoluzione (Agostino, Rousseau; Vico
(entrare letteralmente nello spirito dei grandi pensatori, scrittori, ecc. v.pag.279) e Goethe (che estese
l’impulso empatico non solo alla società ma alla natura intera v.pag.285).
L’avvento delle società di mercato
Il successivo cap.IX, tratta del “pensiero ideologico nella moderna economia di mercato”). Tra il XVII
e il XVIII sec. il pensiero filosofico-politico guadagnò il posto che per molti secoli era stato occupato
dalle grandi meta narrazioni a carattere religioso.
I punti di riferimento di un pensiero in sviluppo nel vecchio continente furono principalmente quelli di
Hobbes, Locke, Spinoza, Rousseau e Bentham.
HOBBES sostenne che la natura dell’uomo è avida e vuol essere tenuta a freno da un contratto sociale;
LOCKE partiva dal presupposto della propensione dell’uomo all’acquisizione di proprietà e della necessità di
educarlo all’esercizio della virtù.
ROUSSEAU sosteneva cha la naturale bontà naturale rischia di essere corrotta dalla società (con il corollario di
una necessaria educazione secondo natura per migliorare la società);
J. BENTHAM ipotizzava che gli uomini fossero utilitaristi, e che tendono a minimizzare il dolore e a
massimizzare il piacere creando organizzazioni sociali che tendano a promuovere ciò che desiderano e ad
allontanare ciò che è in contrasto con i propri interessi;
JEFFERSON infine mise al centro l’aspirazione alla felicità e alla libera
Autorealizzazione che entreranno nella Costituzione degli Statu Uniti d’America.
Una questione rilevante nell’Era moderna è stata quella di stabilire se fosse più importante la vita
emozionale (il sentimento) o il pensiero (la ragione) per la comprensione della natura umana. Quale
delle due facoltà (il sentire o il pensare) fosse il migliore criterio di valutazione per la coscienza
umana.
Si combattono ancora due opposte visioni su quale delle due facoltà possa considerarsi l’autentica
“finestra sull’anima” e quale sia invece solo accessoria, ossia un elemento di distrazione o addirittura
un ostacolo.
I filosofi dell’Illuminismo ebbero idee diverse al riguardo.
Per LOCKE è la mente a organizzare in idee e in azione le sensazioni fisiche ricevute attraverso i
sensi.
Per HUME invece sono i nostri sentimenti a creare le nostre idee. Prima sentiamo le cose, poi le
astraiamo in categorie. Usiamo le categorie come metafore per interpretare esperienze analoghe.
Salvo poche eccezioni, i filosofi della prima modernità, buona parte dei quali influenzati dal
calvinismo, furono più inclini a un approdo razionale nella definizione della natura umana (per questo
li definiamo razionalisti), mentre letteratura e drammaturgia erano più interessate a sondare la
complessità emotiva della psiche umana.
L’organizzazione del nascente mercato capitalista si ispirò dunque a una visione razionalistica, dando
vita a una nuova narrazione cosmologica che avrebbe dominato il vecchio e il nuovo continente
15
nell’Ottocento. L’uomo nuovo della nuova cultura urbana sarebbe stato solo innanzi al suo Dio e solo
innanzi al mercato. Armato di ragione si sarebbe mosso con successo in un universo dominato dalla
tecnica, sostenuto dalla fede nel successo della propria intrapresa o nella salvezza eterna per aver
migliorato le condizioni di vita proprie e altrui.
Ma vi fu anche una narrazione di senso opposto, imperniata sull’espressione dei sentimenti e delle
emozioni. L’Ottocento è anche il secolo romantico: una grande ondata empatica; la seconda dopo
quella avviatasi con l’Umanesimo e il Rinascimento.
Le crisi entropiche
L’ultimo quarto del XVIII secolo vide non solo la nascita del moderno stato nazionale. Fondato sulla
sovranità popolare, ma anche l’abbandono del regime energetico medievale (energia prodotta da
elementi naturali quali acqua, vento e combustibili naturali, la legna innanzitutto) e l’avvio di un
regime energetico nuovo che avrebbe portato l’Europa, l’America e il resto del mondo nella Prima
rivoluzione industriale.
Già nel corso del XIV sec., a causa della deforestazione praticata fin lì per fare spazio a nuove e
sempre più estese aree di terreno coltivabile, la legna cominciò a scarseggiare. Nel ‘500 e ‘600
l’abbattimento di alberi fu resa necessaria per fornire cenere e carbonella alle nascenti industrie del
vetro e del sapone. L’industria vetraria che diffuse in tutta Europa specchi, lenti e apparecchi ottici
richiedeva l’abbattimento di intere foreste (un caso esemplare di circolo vizioso empatia-entropia, dal
momento che proprio grazie agli specchi le persone vedevano se stesse, scoprivano le proprie
caratteristiche fisiche, incrementando la cura di sè). L’Inghilterra richiedeva ingenti quantità di
legname per la costruzione delle navi di Sua Maestà brittannica.
La deforestazione assume dimensioni critiche nel ‘700
L’età romantica
Già a partire dall’ultimo quarto del XVIII° sec. si avverte una sensibilità nuova che prelude
all’irrompere dell’età romantica. L’uomo di ragione dell’Illuminismo, impegnato a leggere la natura
con metodo razionale e con ragione calcolistica cede lentamente il posto al sentimento p.294
Fu un’età decisiva per la crescita dell’Empatia.
Rousseau → concetto di autosviluppo: mantenere la propria autenticità
Schopenauer → superamento dell’etica kantiana attraverso il concetto di compassione
Nascita e sviluppo dei movimenti emancipazionisti → femminile, a difesa di un’idea nuova del
matrimonio, del valore infanzia, della protezione degli animali, della liberazione della schiavitù, del
cooperativismo (in contrasto alla competizione).
Le rivoluzioni del 1848.
Alexis de Toqueville, storico e aristocratico francese in un discorso alla Camera: “stiamo dormendo su
un vulcano”. Il vulcano esplose a Parigi. La rivoluzione del1848 che nell’arco di poche settimane
coinvolse gran parte dell’Europa venne chiamata La Primavera dei popoli e segnò la definitiva
transizione dalla fase protoindustriale avviatasi col Mille, caratterizzata dall’adozione di energia
idraulica ed eolica, e dalla prima rivoluzione industriale contrassegnata dall’impiego di energia del
vapore e del carbone. Fu definita primavera perché fu accompagnata dagli slanci romantici giovanili
orientati alla creazione di un nuovo ordine sociale fondato sull’empatia. Un’esplosione politica scosse
il vecchio Continente. Alla fine della primavera i governi di mezza Europa erano caduti. Ma diciotto
mesi dopo tutti i governi deposti tornarono al potere, con l’eccezione di quello francese (ma anche in
Francia il vecchio regime tornò ad esercitare ben presto la sua influenza). I sentimenti su cui quella
primavera era fiorita sarebbero però entrati a far parte della memoria collettiva, trasmessa alla
generazione dei baby-boomers che nel 1968 sarebbero scesi nelle stesse piazze di Parigi, Berlino e
Washington con quelle stesse frasi e slogan di 120 anni prima.
Cap.X. La coscienza psicologica
L’era dell’elettricità e i primi vagiti di una coscienza empatica.
Il telegrafo, la elettrificazione, il petrolio e l’automobile.
In appena 40 anni la rivoluzione dell’elettricità modificò profondamente i sistemi economici del
vecchio e nuovo continente.
16
Risvolti sul piano sociale: lo sviluppo delle arti (Cézanne e Picasso. I risvolti intellettuali del cubismo)
e della letteratura (Joyce: nella normalità delle nostre vite singole troviamo la nostra comune umanità).
Il movimento delle donne (le lotte per ottenere il diritto di voto e la parità); l’invenzione
dell’adolescenza; l’emergere del concetto di personalità (dal buon carattere a una buona personalità).
L’era della coscienza psicologica.
Freud (ma anche McLuhan) trae ispirazione dagli studi sull’elettricità. Sviluppi della psicoanalisi
(dall’individuo alle masse; dal self-help ai gruppi di auto sostegno). Anni cinquanta e Sessanta: Anna
Freud, Jung (dentro di noi convivono una persona pubblica e un Io-ombra). Arricchimento del
vocabolario per l’esplorazione le dimensioni interiori della mente e del Sé.
Terapie di gruppo e gruppi di auto aiuto.
Nelle ultime pagine del secondo capitolo Rifkin riprende il discorso su Freud e lo sviluppo della
corrente empatica della psicologia (§ L’era della coscienza psicologica, p 360 sgg), dimostrando come
essa ebbe importanti sviluppi nel corso del Novecento, andando ben oltre la questione dell’infanzia.
Aprendo l’ambito della sessualità al pubblico esame e all’introspezione personale, Freud aveva portato
in primo piano tanti altri elementi che hanno a che fare con la sessualità: l’intimità, la sensualità,
l’affetto, l’educazione (p.365). Ciò permise ai teorici dell’attaccamento di elaborare una diversa
interpretazione della natura umana, centrata sulla predisposizione alla compagnia, che guida lo
sviluppo degli infanti e del bambino. David Johnson e Roger Thompson ad es. lavorarono sulla pista
delle relazioni, intese come nucleo della nostra esistenza. Siamo animali sociali, la cui pulsione
primaria è indirizzata verso la compagnia e l’appartenenza, l’affetto e l’accudimento all’interno di una
comunità.
Sulla base di queste premesse teoriche nacquero e si svilupparono nel corso del Novecento gruppi di
sostegno che si impegnarono in terapia di gruppo. Alcuni psicologi, tra i quali Carl Rogers e John
Rawlings cominciarono a organizzare sedute di gruppo con pazienti. Dall’incontro fortuito tra un
agente di cambio di New York con un chirurgo di Akron (Ohio) nel 1955, nacque un groppo di
sostegno di alcolisti.
(Bill Watson era un alcolista che stava cercando di uscire dalla propria dipendenza, mentre il
dott.Bobb Smith era un ubriacone (leggi a pag.367).
La forma più innovativa di terapia di gruppo fu posta dallo psicologo e sociologo Jacob MORENO.
Convinto che la creatività fosse parte integrante della natura umana e che la chiave del benessere delle
persone fosse nella vita creativa, egli applicò alla terapia di gruppo lo psicodramma, affidandosi alle
tecniche teatrali della recitazione, dell’improvvisazione, della inversione di ruoli, ecc. per promuovere
la salute psichica. Era convinto che immaginando e sperimentando le sensazioni e i pensieri dell’altro
come se fossero i propri liberiamo la creatività personale. Non c’era di meglio dunque che l’attività
teatrale per promuovere la salute psichica, una maggiore tolleranza nei confronti degli altri e una
società più benevola.
La scena teatrale è uno spazio sicuro per esplorare le emozioni attraverso il gioco e la finzione; ergo
per diventare più introspettivi e riflessivi e per sviluppare competenze cognitive più sofisticate.
Moreno insomma era convinto che coinvolgere la consapevolezza di sé delle persone in una
interazione drammatizzata potesse portare a una maggiore introspezione e a un maggiore successo nel
reinserimento rispetto al lettino dell’analista per ripescare le proprie memorie d’infanzia (p.369).
Considerò perciò lo psicodramma come una pedagogia applicabile a ogni tipo di contesto.
Su questa sua ipotesi di lavoro si trovò d’accordo lo psichiatra Adam BLATNER, per il quale “la
competenza nella comunicazione e nella soluzione dei problemi personali sono i fondamenti di una
alfabetizzazione di base.
Le idee di Moreno avrebbero avuto un ruolo importante nella sviluppo della coscienza psicologica del
Novecento (Rifkin ritorna su questo punto nel penultimo cap. del suo libro).
Max WERTHEIMER, teorico della psicologia della gestalt (che significa all’incirca un tutto
organizzato) offrì alle idee di Moreno un quadro filosofico di riferimento. “Se un gruppo di persone
lavora insieme, è raro che…costituiscano una somma di io indipendenti.”. Ogni attore è parte di una
storia più grande, da cui è influenzato durante lo svolgersi della narrazione, che egli a sua volta
influenza.
Le idee di Moreno furono accolte negli anni ’40 da Kurt LEWIN e altri suoi colleghi che lavorarono
sul sensivity training fondando il National Training Laboratory. I gruppi T raccoglievano persone
estranee l’una all’altra con l’obiettivo di farle agire come gruppo. I partecipanti trascorrevano insieme
17
dalle due alle tre settimane: il tempo sufficiente per ri orientare il proprio comportamento.
Caratteristica fondamentale era che ogni partecipante doveva rendere pubbliche le proprie opinioni e
percezioni rispetto agli altri membri del gruppo. Tutto questo diventava oggetto di feedback da parte
degli altri. Nell’ambito dei gruppi T, gli individui erano incoraggiati a scambiarsi reciprocamente e
continuamente feedback su come percepivano il comportamento dell’altro nell’ambito del gruppo e,
soprattutto, sugli effetti che questi comportamenti avevano sui membri del gruppo inteso come un
tutto. Vedere insomma se stessi per come si veniva percepiti dagli altri è un fatto piuttosto stressante,
soprattutto in un contesto sociale di sconosciuti. Se il gruppo focalizza l’attenzione su un
comportamento negativo l’esperienza può essere particolarmente dolorosa, e qui giocava un ruolo di
rilievo la guida di adeguati consulenti professionali. Questi incontri emotivamente intensi portano i
partecipanti a ottenere informazioni fondamentali sugli effetti del proprio comportamento sugli altri.
Scopo del sensivity training è aiutare gli individui a diventare più sensibili ai sentimenti degli altri e a
cooperare con il gruppo in maniera consapevole e con un in più di umanità.
Queste pratiche si diffusero ben presto nelle scuole, sui posti di lavoro, per trovare risposta a questioni
in passato considerate tabù, come la gestione dei propri sentimenti, delle proprie passioni negative:
discriminazioni razziali, religiose, sessuali, sulla disabilità, ecc.
Un’esperienza che oggi è diventata più democratica e informale e include le stesse modalità con cui la
discussione si dovrebbe svolgere (le c.d. “domande di processo”).
Alla fine degli anni ’50 il movimento del sensivity training prese due direzioni: quella della crescita
personale che avrebbe dato vita a una corrente umanista della psicologia, che ha costituito
un’alternativa alla tradizione psicoanalitica freudiana, e un’altra più focalizzata sulle competenze
organizzative (gestione delle risorse umane, ecc.). Quest’ultima è stata privilegiata dal mondo delle
imprese al fine di offrire ai lavoratori le competenze emotive e cognitive necessarie per interagire in
ambienti professionali diversificati, promuovendo una prospettiva multiculturale nei luoghi di lavoro.
Si diffonde nel mondo delle Imprese la consapevolezza che solo supportando la diversità si è in grado
di conservare i talenti necessari per restare competitivi sul mercato. Un’indagine del 2007 ha rilevato
che tre imprese su quattro hanno aumentato gli investimenti di sensivity training negli USA.
Gli psicologi umanisti, tagliando i ponti col freudismo e la corrente comportamentista (Watson e
Skinner, padre nobile quest’ultimo della cibernetica) trasformarono il sensivity training in movimento
di massa. Già nei primi anni ’60 negli Stati Uniti si potevano contare migliaia di gruppi di incontro.
Tra questi acquistarono rilievo i gruppi di autocoscienza femminili e gli attivisti politici radicali che
provenivano dai movimenti per i diritti civili, per la libertà di espressione e contro la guerra nel
Vietnam del Greenwich Village di New York e le aggregazioni di controcultura che sperimentavano
gli eccessi della liberazione sessuale, delle droghe allucinogene e della musica rock, di spiritualità
orientale, ecc. Psicologi umanisti cone Rollo MAY, Abraham MASLOW e Carl ROGERS seguirono da
vicino queste avanguardie, offfrendo alla avanguardie un approccio psicologico e una metodologia per
analizzare il mondo interiore della psiche.
Diversamente dalle tendenze delle culture esistenzialiste europee, le più vicine a quei movimenti:
Sartre e Nietzsche che considerano l’umanità condannata all’abbandono e all’isolamento nell’universo
(dove la sola volontà di potenza nietzschiana costituiva l’ elemento intenzionale della natura umana),
gli psicologi americani erano decisamente più positivi e argomentavano che proprio a ragione della
sua solitudine ma anche della sua libertà nel compiere le proprie scelte, l’intenzionalità deve avere una
funzione centrale nella psiche umana. L’uomo vivente nell’intenzionalità dà un senso alla propria
vita, interpretandola in un contesto più vasto. Nell’ambito di questo più vasto contesto, con cui è in
relazione, l’individuo vuole creare valori (così affermava Charlotte BUHLER, psicologa umanista,
prendendo una energica posizione anche contro la psicoanalisi e il pavlovismo).
Rollo MAY affermava che nel proprio intimo ogni individuo ha profondamente a cuore il senso della
vita a cui tenta di dare significato attraverso le scelte che compie nell’affrontarla (“Noi vogliamo il
mondo; lo creiamo con le nostre decisioni”).
Abraham MASLOW elabora l’idea di “gerarchia dei bisogni”, da quelli di base, legati alla
sopravvivenza fisica, a quelli più elevati, legati all’autorealizzazione. Secondo Maslow, allievo di
Harlow che aveva condotto negli anni Trenta esperimenti sulle scimmie macaco sull’attaccamento dei
neonati alle madri surrogate, una volta soddisfatti i bisogni legati alla propria sopravvivenza, l’essere
umano si concentra su bisogni di livello più elevato che alimentano l’autostima. La gerarchia dei
18
bisogni rappresenta un modello di sviluppo del sé e delle fasi che si attraversano nello sviluppare una
sensibilità empatica matura.
Karl ROGERS a sua volta, introduce il controverso concetto di terapia centrata sul cliente, ossia
l’idea che il terapeuta debba trovare il modo per entrare nel mondo intimo del paziente ed essere
disposto a sperimentare la sua realtà. Quanto più il terapeuta è empatico con il paziente, tanto più
facilmente il paziente si aprirà e acquisterà fiducia per riorganizzare le strutture del sé.
Gli psicologi umanisti consideravano il sensivity training uno strumento ideale per esporre milioni di
persone a un approccio più empatico alla vita, centrato sulla relazione con gli altri e l’impegno
all’autorealizzazione personale. I gruppi del sensivity training si trasformarono ben presto in gruppi di
incontro e gruppi di autocoscienza meno strutturati e più informali dei tradizionali gruppi T.
Per Rogers i gruppi di incontro erano “forse la più significativa invenzione sociale del secolo”: arene
nelle quali eliminare la propria alienazione e conquistare uan visione più nitida della propria psiche,
stabilendo relazioni più profonde ed empatiche con persone diverse.
Il pioneristico successo del movimento degli Alcolisti anonimi aveva ispirato decine di gruppi di auto
aiuto che si occupavano di dipendenze come la droga, il gioco d’azzardo o il sesso. A questi seguirono
ben presto gruppi di auto aiuto nel campo delle malattie fisiche e mentali (tumori del seno, della
prostata, infartuati; disordini ossessivo-compulsivi quali l’autismo. Altri gruppi si organizzarono sui
temi di custodia dei figli, adozione, divorzio, cambio di sesso, abuso sessuale, obesità e altri disturbi
alimentari. Altri ancora si concentrarono sulla crescita personale, gli stili di vita alternativi e altre
situazioni problematiche della vita.
Caratteristica comune: aiuto reciproco sotto forma di sostegno emotivo e condivisione di informazioni.
Incredibile la diffusione e l’impennata statistica di cui godettero queste iniziative. Se nei paesi in via di
sviluppo la coscienza teologica è ancora la forma di espressione dominante e nei paesi a limitato
sviluppo prevale la coscienza ideologica, nelle nazioni più sviluppate la coscienza psicologica avrebbe
ben presto conquistato la scena. Sia la religione che la politica sono state reinterpretate da un punto di
vista terapeutico. Un’inchiesta condotta nel 2006 ha rivelato che vi sono oggi nei soli Stati Uniti più di
33mila psichiatri, 150mila psicoterapeuti e 595mila assistenti sociali. Un americano su tre è convinto
che i problemi psicologici di un adulto possono farsi risalire alla sua infanzia. Un secolo prima questa
convinzione era ristretta a un’esigua minoranza di studiosi.
La transizione alla coscienza psicologica ha costituito la più forte ondata empatica della storia. A
partire dagli anni ’60 e ’70, quelli del baby-boom postbellico, ha influenzato l’intero pianeta. Le
conseguenze furono:
la nascita di una più matura coscienza politica: lotte anticolonialiste; movimenti per i diritti civili;
femminista; pacifista; ecologista; antinucleare; contro la discriminazione dei disabili; dell’omofobia;
per i diritti degli animali.
Lo sviluppo di questi movimenti sarebbe stato impensabile senza una nuova coscienza psicologica che
attribuiva un nuovo valore all’introspezione, alle relazioni di intimità, alle prospettive multiculturali e
all’accettazione dell’alterità e diversità come occasione di ricchezza.
La proliferazione di questi movimenti sociali coincise con l’impegno nella vita pubblica e un risveglio
della coscienza ideologica che era rimasta latente negli anni successivi al secondo conflitto mondiale,
travalicando le distinzioni ideologiche un po’ astratte, come quella della coscienza di classe e il
controllo dei mezzi di produzione. Coincise, ma la determinò pure.
Lo storico Roszak nel suo La nascita di una controcultura ha saputo cogliere la frattura generazionale
che negli anni ’60 ha opposto la prima generazione cresciuta secondo i principi del pensiero
terapeutico a quella dei propri genitori. Roszak sintetizza il cambiamento di Gestalt in questo modo:
“La coscienza di classe, come principio generativo, lasciava il posto alla coscienza della coscienza”. Il
viaggio nell’interiorità dava dignità politica alle emozioni.
Ne fu contagiato il movimento degli studenti; la New Left americana e la nuova sinistra francese (che
ebbe come motto “Un uomo, un’anima”).
Mentre gli ideologi della vecchia sinistra tenevano sotto sorveglianza le istituzioni, i militanti della
New Left sorvegliavano in primo luogo se stessi. Quel movimento non fu privo di difetti; non seppe
evitare il narcisismo rampante e spregiudicato e l’intellettualismo. Descrisse una visione dionisiaca in
cui l’espressione dei sentimenti diventava la cosa più eccitante (vedi Woodstock). Ma nonostante ciò
la nuova coscienza psicologica permise una critica radicale all’educazione, la famiglia, il lavoro,
19
l’allevamento dei figli, la sessualità, i modelli urbanistici, la scienza, la tecnologia; il significato di
ricchezza, di amore che diventavano tutte questioni da analizzare e reimpostare.
PARTE TERZA
L’ERA DELL’EMPATIA
Cap.XI. Verso il picco dell’empatia globale
L’età della mobilità:
-più di 49mila aeroplani sorvolano ogni giorno il pianeta;
-più di 2500 satelliti orbitano intorno alla terra;
-più di 3200 miliardi di dollari vengono scambiati nei mercati finanziari di tutto il mondo.
Il mondo si è rimpicciolito. Le distanze sono diventate sempre meno rilevanti, e il tempo si è fatto più
corto.
Il multitasking sinonimo di simultaneità e interconnessione continua. Miliardi di info e di persone su
Internet. L’indirizzo virtuale è diventato più importante di quello geografico e postale.
Al contempo però:
- sempre maggiore bisogno di risorse energetiche
- esposizione a virus di ogni genere, che godono della stessa nostra mobilità, viaggiando insieme a noi:
- esposizione al terrorismo:
- sistema di vigilanza e violazione della privacy (mondo come “cortile si casa” in cui di tutti si sa tutto.
Due mld e mezzo di persone seguirono i funerali di Lady Diana nel 1997. Pìù di 2 mld. nelle recenti
nozze di William e Kate del 29 aprile u.s. Una ondata empatica senza precedenti).
- Caratteri entropici del cosmopolitismo. Costi e benefici: da una parte maggiori capacità di consumo,
dall’altra maggiore dispersione di energia (le metropoli producono bidonville, slum e favelas). Quanto
più l’individuo è cosmopolita, tanto più è beneficiario di una quota sproporzionatamente grande di
energia e consumatore di risorse naturali. Si lascia alle spalle un’impronta entropica superiore alla
media.
- il micropolitismo dei flussi migratori (cresciuti di circa un triplo rispetto ai primi decenni del
Novecento): una cultura che scivola dentro un’altra. Nuove opportunità empatiche.
§ Nuovi migranti globali.
Migrazioni di massa verso i paesi più ricchi del mondo sviluppato. Qualche dato: nel Nordamerica si
è passati da 13 a 41 milioni di persone dal 1970 al 2000. Nell’UE, da 19 a 35 ml di persone. Più di 1ml
di immigrati legali entra ogni anno negli Usa; più di sette ml i clandestini per lo più provenienti dal
Messico. Previsioni di una vera e propria “inondazione” a causa della recessione economica. “Le
previsioni sono cupe”. La migrazione è resa più facile dalla possibilità di conservare i contatti con i
paesi di origine, dividendo la propria attenzione tra i paesi di origine e quella di adozione.
“Sfere pubbliche diaspori che” le definisce Rifkin, in grado di creare una nuova dimensione culturale,
in quanto le culture, non più vincolate dalla geografia, diventano mobili e de territorializzate. Le
culture diventano transnazionali e globali, come le attività economiche e politiche.
Vivere con identità ibride e affiliazioni culturali multiple alimenta il cosmopolitismo dal basso e
l’estensione empatica. Appropriandosi delle diverse culture gli individui acquistano una identità
multiculturale. Diventano più tolleranti e aperti verso la diversità che li circonda.
La diaspora culturale globale fa superare la divisione noi-loro promossa dall’identità nazionale e
apre la possibilità di creare una piazza pubblica globale fatta di diverse comunità culturali, non più
vincolate dal territorio.
§ Siamo tutti turisti e parliamo la stessa lingua
La UE detiene la quota economica più alta nel settore viaggi e turismo (35% del mercato globale).
Seguono gli USA con 806 ml. di viaggiatori internazionali nel 2005 (trent’anni prima 286ml; nel 1950
25ml.)
20
Il turismo globale ha esteso il sistema nervoso centrale della razza umana ed esposto centinaia di ml di persone
le une alle altre.
Il potenziale di empatia è aumentato in proporzione diretta all’esposizione e all’interazione.
§ Tendenze globali dell’empatia
reti globali di comunicazione che connettono la maggioranza della razza umana alla velocità della
luce;
- diffusione di stili di vita urbana che comportano un atteggiamento più cosmopolita;
- nuova ondata di migrazione globale (tutt’altro che imprevedibile);
- tendenza verso le identità multiple e la doppia cittadinanza;
- maggiore possibilità di mobilità delle persone e delle merci.
Questi fattori hanno creato legami nei modi più svariati e a livelli mai prima raggiunti. Ciò che
stiamo vivendo è qualcosa di assolutamente inedito nella storia.
La piazza pubblica globale sta diventando una realtà. Potremo pensare alla razza umana come a una
grande famiglia allargata anche se non abbiamo ancora la certezza di riuscire a sviluppare
effettivamente una coscienza biosferica.
L’empatia esiste in ogni cultura. La questione è quanto estesa essa sia. Nelle società di sopravvivenza i
legami empatici si sviluppano di meno: nelle culture tradizionali è generalmente confinata alle
relazioni genitori e figli e altri parenti più stretti. I legami comunitari sono meno sentiti. Ma vi sono
prove empiriche che essa si stia sviluppando, sia pure tra le classi medie nei paesi in via di sviluppo.
Ancora una volta lo sviluppo della coscienza empatica è in relazione diretta alla disponibilità di risorse
energetiche tali da garantire un livello di sicurezza economica sufficiente a permettere alle persone un
accresciuto livello economico.
Alcune indagini dimostrano che l’81% dei paesi ad alto reddito ha compiuto la transizione a una
cultura post-materialista, ma il 74% dei paesi poveri resta orientato ai valori della sopravvivenza. Così,
mentre una minoranza di paesi e di popolazioni sta adottando valori sempre più cosmopoliti, la
maggioranza procede in direzione opposta.
§ Mai più “altri”
Nella categoria “altri” sopravvivono società patriarcali (Bangladesh, Nigeria e Marocco) donne,
omosessuali e disabili, oltre agli appartenenti ad altre razze, etnie e religioni. I sondaggi mondiali
dimostrano però un cambiamento epocale nei confronti di questi gruppi. Oggi le discriminazioni di
genere sono sensibilmente diminuite nei paesi a ritmo economico più sostenuto e i movimenti per i
diritti delle donne si sono diffusi anche nei paesi in via di sviluppo, dove cominciano a produrre effetti
profondi sulle relazioni di genere. Un migliore accesso all’istruzione, alle opportunità di lavoro, a
strumenti di contraccezione e l’esposizione ai mezzi di comunicazione globali hanno contribuito a
questo mutamento di atteggiamento.
I contatti quotidiani tra i banchi di scuola o sul posto di lavoro sono determinanti per cancellare vecchi
miti e pregiudizi. Studiando o lavorando fianco a fianco dei portatori di handicap normodotati hanno
avuto modo di conoscerne la sensibilità, la vulnerabilità, le paure, i pregiudizi, i desideri, le
aspirazioni, simili a quelle di tutti gli altri. L’interazione sociale ha reso possibile l’estensione del
legame empatico.
La stessa cosa vale per l’accettazione di tutte le altre diversità che sono diventate occasioni per
rompere e vincere stereotipi grazie all’informazione e al contatto diretto. Occorre dire che l’industria
cinematografica e televisiva hanno svolto un grande ruolo a tare riguardo. Film come Forrest Gump,
Figli di un dio minore, Rain Man, A beautiful mind, e tanti altri, sono stati visti da milioni di persone
in tutto il mondo e hanno contribuito a modificare l’atteggiamento della gente nei confronti della
diversità. Anche le scuole e le università hanno svolto un ruolo positivo per la crescita di una
sensibilità multiculturale e dialogica.
§ Il declino della religione
21
Nei paesi tecnologicamente più avanzati, dove l’espressione di sé è più alta, la vecchia coscienza
teologica sta perdendo presa: le gerarchie religiose hanno sempre meno senso e anche se i valori
religiosi tradizionali restano molto radicati, la ricerca di una spiritualità ha preso altre strade
soprattutto tra i giovani. La religione conserva invece la sua importanza nei paesi più poveri.
Il passaggio dalla religiosità alla spiritualità segna l’abbattimento degli antichi confini tra credenti e
non credenti.
Sebbene la tendenza verso l’autorealizzazione, la spiritualità, il cosmopolitismo, la tolleranza sia
dimostrabile nel passaggio da una generazione all’altra nei paesi industrializzati e tecnologicamente
avanzati, in quegli stessi paesi si registra un rapido declino della natalità. Il tasso di natalità sta
diminuendo in tutto il mondo, ma nei paesi avanzati sta precipitando, con una media di 1,8 figli,
mentre nei paesi più tradizionali e religiosi la media è di un punto più alto (2,8).
Attualmente, circa 2mld di persone vivono in società laiche e 1,7 in società più tradizionalmente
religiose. Ma se i paesi laici hanno fatto registrare un aumento demografico del 41% negli ultimi 30
anni, nei paesi tradizionali l’aumento della popolazione è stato nell’ordine dell’82%.
Il miglioramento delle condizioni economiche dei paesi poveri potrebbe portare a una diminuzione
delle discriminazioni di genere. Le statistiche demografiche dimostrano che il progredire dello stile di
vita industriale apre maggiori opportunità di istruzione alle donne, oltre che un miglioramento delle
prospettive occupazionali e maggiore indipendenza, il che si traduce nella decisione consapevole di
mettere meno figli al mondo.
§ La globalizzazione della famiglia
Anche la famiglia è attraversata da tumultuosi cambiamenti. La maggiore sua esposizione e
interazione negli altri settori della vita quotidiana hanno fatto breccia nel più intimo e privato degli
ambienti: le nuove identità famigliari sono sempre più multireligiose, multietcniche, multiculturali e
multirazziali. La famiglia insomma è diventata una diaspora in miniatura.
Sono in aumento i matrimoni interetnici. In Austria, una società tradizionalmente abbastanza chiusa,
con la sola eccezione di Vienna, nel 2003 si è registrato il 24% di matrimoni in cui uno dei partner è
straniero. Seguono la Svezia (con il 20%) e la Francia (con il 14%). A sua volta la Germania
rappresenta un caso esemplare. Nel 1960 in quasi tutti i matrimoni celebrati entrambi gli sposi erano
tedeschi, ma già negli anni ’90 , su 15 matrimoni celebrati, uno dei due sposi era nato all’estero. La
germania, che ha una cultura tradizionalmente omogenea, è oggi una delle società più multiculturali
del mondo. Tutti hanno visto il film americano Indovina chi viene a cena del 1967: la storia di un
uomo di colore invitato a cena dalla sua ragazza bianca. Il film innescò un fuoco di fila di polemiche,
ma in quello stesso anno la Corte Suprema degli Usa, con decisione unanime, mise fuori legge tutti i
provvedimenti eugenetici che impedivano all’epoca matrimoni interraziali. Solo nove anni prima due
ragazzini di colore, di 7 e 9 anni erano stati arrestati, incarcerati e condannati rispettivamente a 12 e 14
anni di reclusione perché la bambina bianca aveva baciato uno di loro. Dovette intervenire
personalmente il presidente Eisenhower per graziarli.
Oggi, un americano su quattro riferisce di aver frequentato una persona appartenente a un’altra razza e
tre su dieci di avervi avuto una relazione seria.
Per i nati dopo il 1976 (la c.d. generazione X) la questione dei rapporti sentimentali interraziali è
diventata del tutto irrilevante.
I figli di coppie interrazziali stanno diventando un fatto all’ordine del giorno. Negli Usa ci sono più di
3 milioni di figli nati da genitori di razza diversa. Uno di questi, Barak Obama, è oggi Presidente degli
USA.
§ Empatizzare con le altre specie
Per la prima volta nella storia è emerso un nuovo movimento che ha la possibilità di estendere
l’empatia al di là del confine della specie, fino a includervi tutte le nature che vivono sul pianeta.
L’impegno per il benessere e la protezione degli animali ha avuto origine nell’800 nel Regno unito e
negli States. Il movimento ambientalista di oggi ne è l’erede. Il movimento ecologista è nato alla fine
degli anni ’60. A partire da quegli anni sono state combattute importanti lotte intorno alla questione
che oppone da una parte la conservazione delle specie rare e dall’altra lo sviluppo economico. Una più
22
giovane generazione di ambientalisti ha sviluppato movimenti per i diritti degli animali (che solo 40
anni fa non esisteva), coinvolgendone anche i media e la letteratura. Esso è molto sentito in Europa, al
punto da aver portato all’adozione di normative esemplari e molto severe nella tutela degli animali
d’allevamento.
In anni più recenti ben 88 facoltà tra molte prestigiose università americane hanno introdotto corsi sui
diritti degli animali. La UE ha riconosciuto legalmente che gli animali sono esseri “senzienti”, dotati
di sentimenti e coscienza.
Uno studio condotto dalla Kansas State University per misurare l’empatia dei bambini, ha rivelato che
i bambini che sviluppano un forte legame con gli animali in età piccola e se resi responsabili dai
genitori della loro cura, hanno una maggiore probabilità di sviluppare comportamenti pro sociali verso
i propri coetanei.
§ I sei gradi di separazione per l’empatia globale
Nel 1967 il sociologo Stanley MILGRAM stabilì che tra due sconosciuti ci sono in tutto sei gradi di
separazione. Nel 2007, lo scetticismo del mondo accademico si era dovuto scontrare con uno studio
condotto da un informatico e da un ricercatore della Microsoft, Eric HORVITZ che analizzando, ben 30
miliardi di messaggi elettronici scambiati da 180 miliardi di individui in tutto il mondo confermarono
la teoria secondo la quale solo 6,6 gradi separano due perfetti sconosciuti.
Secondo una ricerca più recente, condotta all’Università statale di Milano, su Facebook la media
mondiale di separazione tra un individuo e tutti gli altri 7 miliardi di persone che popolano il pianeta è
di 4,74. Gli studiosi hanno preso in considerazione 721 milioni di utenti attivi, pari a 69mila
connessioni.
La teoria del mondo piccolo, già oggetto di romanzi, film e spettacoli televisivi, tende a farsi sempre
più ristretta. E i risultati dimostrano che esiste una costante di connettività sociale per tutta l’umanità.
Non è detto che la distanza debba rimanere a quota 4, ed è possibile che ben presto essa si possa
accorciare a 2 soli gradi: il che equivarrebbe a dire che tutti siamo amici di tutti.
I ricercatori dell’ICT e della teoria delle reti sociali suggeriscono che il fenomeno del mondo piccolo possa
essere sfruttato per chiamare a raccolta rapidamente tutta l’umanità in una rete solidale in caso di calamità
naturali o per scopi politici e sociali. Horvitz sostiene che grazie ai motori di ricerca globali e agli spazi del
social network si possano creare immensi gruppi di persone pronte a mobilitarsi al tocco di un tasto.
Il potenziale per passare rapidamente a una coscienza biosferica non sembra dunque né remoto né
inverosimile. La domanda di Rifkin è la solita: arriveremo in tempo per trasformare radicalmente i
nostri stili di vita e le nostre abitudini economiche, rendendo maggiormente sostenibile il nostro
rapporto con la biosfera terrestre? Il cambiamento climatico infatti sembra accelerare tanto
rapidamente quanto l’evoluzione di una coscienza biosferica, lasciandoci nell’incertezza circa la nostra
capacità di riuscire ad arrestare per tempo le conseguenze più estreme del riscaldamento globale.
Cap. XII. L’abisso entropico planetario
Petrolio, carbone e gas naturale continuano a fornire una parte del fabbisogno energetico del mondo,
ma siamo oramai tutti convinti che l’era del petrolio sta per esaurirsi. Siamo entrati in una zona
d’ombra nella quale i costi reali della nostra dipendenza dai combustibili fossili minacciano di
innescare un cambiamento senza precedenti nel clima mondiale, con conseguenze disastrose per il
futuro della civiltà umana e degli ecosistemi terrestri.
Il costo sempre più alto dell’energia derivata dai combustibili fossili e il progressivo deterioramento
del clima e del sistema ecologico sono fattori determinanti per tutte le decisioni politiche ed
economiche che ogni nazione dovrà porsi nei prossimi 50 anni.
Il sempre più diffuso degrado ecologico sta già provocando una straordinaria ondata migratoria: i
profughi ambientali fuggono dalle regioni a rischio. La stima è di un movimento umano di circa 25
milioni, che diventeranno più di 200 milioni entro la metà del secolo. Le emigrazioni avvengono nei
paesi più industrializzati in cui sono concentrate le maggiori riserve di energie.
Nel gennaio del 2007 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPPC) delle Nazioni Unite, in cui
convergono 25mila scienziati di ogni disciplina campo di studi, provenienti da più di 130 nazioni ha
pubblicato il suo IV rapporto di valutazione, in cui si è giunti alla conclusione che il riscaldamento
23
globale indotto dalle attività umane sta già fortemente influenzando (negativamente) il clima e la
chimica della terra, minacciando gli ecosistemi e le specie da cui dipende la nostra sopravvivenza.
Una serie di dati scientifici da tener presente.
Secondo l’IPPC la concentrazione globale di ossido di carbonio (CO2) supera di molto la banda
naturale di oscillazione rilevata negli ultimi 650mila anni, stabilita attraverso l’esame dei ghiacciai
profondi. Si è passati da 280ppm (patti per milione) a 379 ppm (stima rilevata nel 2005).
La concentrazione atmosferica globale di metano, un gas serra 23 volte più pesante del CO2 è
aumentato da 715 a 1774 ppm (parti per milione): più di 1000 ppm.
Inoltre, la concentrazione nell’atmosfera di protossido di azoto (N2O), il terzo gas serra che ha un
effetto trecento volte superiore a quello del CO2, è a sua volta aumentato dal valore preindustriale di
270ppm a 319 ppm.
Insieme, questi tre gas serra stanno intrappolando il calore creato dalla radiazione solare impedendogli
di disperdersi nello spazio. Il risultato è che l’atmosfera terrestre si sta riscaldando molto rapidamente:
11 degli ultimi 20 anni sono stati fra i 12 anni più caldi da quando si iniziarono a registrare dati
meteorologici (ossia dal 1850).
(p.441)
Il riscaldamento globale non è che il conto entropico che saldiamo alla rivoluzione industriale.
Gli edifici abitativi delle nostre metropoli consumano la maggior parte del nostro fabbisogno
energetico, principalmente sotto forma di elettricità. Sono responsabili del 30% delle emissioni dei gas
serra nell’atmosfera. Vanno aggiunti i costi energetici sul consumo di carni animali nutriti con cereali
(che assorbono il 18%). Gli allevamenti di bestiame bovino sono la seconda causa del riscaldamento
globale. Si comprende perciò l’appello del premio nobel Kumar Pachauri a ridurre il consumo di carni
animali come primo passo per invertire una situazione che potrebbe portarci a un riscaldamento che
vada oltre i 3° Celsius di temperatura. Altre più fosche previsioni stimano in 11,5° l’aumento della
temperatura entro questo secolo. Ma anche un aumento di 3° ci riporterebbe alla temperatura della
terra di tre milioni di anni fa, ossia del Pliocene.
Per comprendere l’ampiezza del fenomeno va tenuto a mente che in 3,8 miliardi di anni di esistenza di
forme di vita sulla terra, ci sono state ben cinque ondate di estinzioni biologiche di massa e che ogni
volta ci sono voluti 10 milioni di anni per recuperare la biodiversità perduta.
Questo capitolo, come si sarà capito, è il nocciolo duro di tutto il libro di Rifkin; quello che più spinge
a una revisione totale delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita.
Qualsiasi cambiamento delle temperature globale arrecherebbe effetti significativi sulle specie viventi.
Consideriamo anche il fatto che la terra è prevalentemente un pianeta d’acqua (il 75% della superficie
è coperta di acque e il 25% di verde); ma solo il 2,5 dell’acqua totale è costituita da acqua dolce, e di
questa, il 75% è formato dalle calotte glaciali. In altri termini, meno dello 0,3% dell’acqua dolce è
disponibile in superficie sotto forma di corsi d’acqua da cui per lo più traiamo acqua potabile. Si stima
che i ghiacciai possano perdere fino al 60% del proprio volume entro il 2050.
La mancanza di acqua dolce disponibile ha costituito sempre un problema in alcune regioni del
mondo, ma si è sempre dato per scontato che vi sarebbe stata sempre acqua dolce a sufficienza per
mantenere la specie umana nel suo complesso. Ma l’aumento della temperatura terrestre fa aumentare
l’evaporazione, cioè il rilascio di vapore acqueo nell’atmosfera. Ogni grado Celsius in più di
temperatura fa aumentare del 7% la capacità dell’atmosfera di trattenere umidità. Questo cambiamento
influenza il ciclo idrologico, in particolare la quantità, la frequenza, l’intensità e la durata delle
precipitazioni. L’effetto dell’aumento di vapore acqueo nell’atmosfera è l’aumento dell’intensità delle
precipitazioni, a fronte di una diminuzione della durata e della frequenza. Le conseguenza sono
alluvioni più forti e siccità più prolungate
Il gruppo di lavoro dell’IPPC ha concluso la sua valutazione con un avvertimento urgente: la civiltà
umana ha meno di dieci anni per predisporre un piano coerente, sistematico e a lungo periodo per
ridurre le emissioni di gas serra. Se non lo faremo, il pianeta si troverà in un vicolo cieco con effetti
catastrofici per la nostra specie e per le altre forme di vita presenti sulla terra.
La tempesta perfetta potrebbe verificarsi con la convergenza e l’interazione di tre fattori:
1. l’aumento dei prezzi dell’energia; 2. l’accelerazione del cambiamento climatico; 3. l’inasprimento
dei conflitti locali.
§ Il nucleare
24
Le preoccupazioni per la sicurezza non sono infondate o inutilmente allarmistici. Il rinnovato interesse
per le centrali nucleari ha provocato una corsa all’uranio. Il nodo del problema è che non esiste la
possibilità di separare con certezza il c.d. nucleare civile dall’uso delle stesse tecnologie e degli stessi
materiali per avviare progetti di nucleare militare. Ciò che maggiormente preoccupa gli esperti è la
diffusione delle conoscenze necessarie per assemblare e preparare ordigni nucleari.
Si è allargato il numero delle nazioni che dispongono di competenze tecniche per accedere al nucleare.
Erano nove fino a poco fa, ora si sono aggiunti altri paesi. Paesi come il sud africa, l’Australia,
l’Argentina, l’Iraq si stanno preparando ad arricchire l’uranio. Kofi Annan, all’epoca segretario delle
Nazioni Unite, aveva avvertito la comunità internazionale sul rischio della proliferazione nucleare.
La lobby nucleare globale afferma che solo l’energia nucleare non emette CO2 e può quindi fornire
una parte sempre crescente del fabbisogno energetico mondiale, contribuendo al contempo a mitigare
il riscaldamento globale.
Anche a voler escludere che le energie rinnovabili (solare, eolica, geotermica, idroelettrica, da
biomassa ecc.) potrebbero rivelarsi alternative migliori, ci sono scarse probabilità che dal nucleare
possano venire contributi fattivi per fronteggiare il riscaldamento globale.
Per avere anche solo un impatto marginale sul cambiamento climatico sarebbe necessario che l’energia
nucleare generasse almeno il 20% dell’energia mondiale. Ciò richiederebbe la sostituzione dei 443
impianti in funzione con la costruzione di almeno altri 1500, per un tot. di circa 2mila impianti
(dovremmo cioè costruire da qui ai prossimi 70 anni un impianto nucleare al mese). Il costo
approssimativo si aggirerebbe attorno ai 5000 mld di dollari. Gli Stati uniti, l’Inghilterra e la Francia
sono interessati a diffondere impianti nucleari in ogni angolo del pianeta. Questo però, a parte ogni
altra considerazione, significherebbe creare i presupposti per continui traffici di uranio e scorie
nucleari, accumulati in strutture provvisorie e spesso nei pressi di grandi centri urbani o sotto la
superficie delle acque (come si è saputo da un recente servizio tv sullo stoccaggio di scorie nelle
Langhe).
§ La diffusione di agenti patogeni mortali
Altre preoccupazioni provengono dalla nascente rivoluzione delle biotecnologie e dal perfezionamento
delle tecniche di ingegneria genetica. Anche le biotecnologie hanno un loro lato oscuro. Le armi
batteriologiche realizzate per mezzo dell’ingegneria genetica vengono chiamate la bomba atomica dei
poveri. Sempre più spesso i fatti di cronaca ci informano su buste contenenti spore letali di antrace
recapitate tramite un normale servizio postale.
Gli agenti biologici letali debbono essere classificati come armi di distruzione di massa al pari delle
armi nucleari. Sarebbe sufficiente una dispersione di appena 220 grammi di antrace da un aereo in
volo per provocare la morte di tre milioni di persone.
Alla capacità delle tecnologie nucleari e della biotecnologia di creare distruzione non abbiamo altro da
opporre che un riorientamento radicale della coscienza umana in modo che l’umanità impari come
vivere in un pianeta condiviso. Una prospettiva difficile da immaginare ma non del tutto impossibile
da realizzare. Una parte significativa dell’umanità sta cominciando ad acquisire una coscienza
cosmopolita, estendendo l’empatia ai diversi, sia uomini che animali. E questa è una buona notizia.
Quella cattiva è che la nuova sensibilità globale è stata possibile grazie alla creazione di strutture
sociali sempre più complesse che hanno bisogno di sostenere infrastrutture (logistica e servizi) che
hanno bisogno di sempre maggiori flussi energetici per funzionare. E sappiamo oramai che quanta più
energia e materia produciamo, tanto più salato sarà il conto entropico che dovremo pagare in termini di
emissioni di gas serra e cambiamento climatico.
Ma se il progresso umano richiede un continuo aumento di entropia per sviluppare una sensibilità
empatica sempre più estesa e profonda, questo vorrà dire che la nostra specie è destinata a
estinguersi e a scomparire proprio nel momento in cui sta giungendo a una più matura coscienza
biosferica?
In altre parole, se il progresso della coscienza empatica e del cosmopolitismo globale dipende da un
uso sempre più intensivo di energia, le due cose sono destinate ad annullarsi reciprocamente,
lasciandoci nell’amara consapevolezza di essere sul punto di precipitazione nella catastrofe globale?
25
La risposta di Rifkin è che questa è purtroppo la direzione che abbiamo preso, e che non siamo i soli a
pensare che questa strada potrebbe decretare la fine della corsa; il nostro capolinea.
Ma c’è un’altra possibilità: potremmo essere vicini alla fine non della storia, ma di questa fase
storica, e solo all’inizio di un’avventura completamente nuova.
Le pagine che seguono tentano di risolvere quello che l’A. ritiene il paradosso di questa fase storica,
introducendo il concetto di comunità quasi climacica, che è entrato a far parte della letteratura
scientifica grazie all’ecologo Eugene ODUM (Fundamentals of Ecology, Filadelfia 1971).
L’ecosistema quasi climacico è metafora di uno sviluppo economico sostenibile.
Diversamente dalla comunità in sviluppo, che hanno bisogno di più forte impiego di energia, le
comunità climatiche raggiungono un equilibrio consumando tanto quanto importano, senza
accumulazione. L’eccesso di produzione viene sostituito da una produzione calibrata e sostenibile.
Legando la felicità dell’uomo all’acquisizione di proprietà privata i filosofi utilitaristi del XVIII° sec.
gettarono le basi per un’idea di uomo come animale acquisitivo, istintivamente predisposto
all’accumulazione della ricchezza. Una ricca letteratura sociologica, psicologica e cognitiva ha
cominciato a mettere in discussione l’affermazione che a una maggiore ricchezza corrisponda
maggiore felicità.
La cosa nuova e interessante è che le persone, una volta raggiunta una soglia minima di benessere
economico che consenta loro di sopravvivere adeguatamente, non vedono aumentare la felicità con
l’aumentare della ricchezza accumulata, la quale, anzi, le rende meno felici, più esposte alla
depressione, all’ansia e ad altri disturbi fisici e psichici, e maggiormente insoddisfatta della propria
condizione.
Un’indagine di uno psicologo americano, Tim Kasser, ha posto in evidenza come tra un gruppo di
studenti la cui motivazione principale era il denaro, l’immagine e il successo, molti di loro mostravano
livelli più elevati di depressione e più disturbi fisici rispetto a quelli meno orientati verso quei valori.
Altri studi hanno individuato una forte correlazione fra i valori materialisti e l’abuso di sostanze.
Altrettanto sconcertanti sono quegli studi che rivelano come i giovani con forti motivazioni
materialiste manifestino meno emozioni positive di quelli orientati verso valori più alti e altruistici. I
primi manifestano più frequentemente la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD),
risultando più ossessivi e compulsivi, più introversi, possessivi, isolandosi dai loro compagni;
mostrando scarsa generosità, e sviluppando aggressività verso altre persone.
Studi condotti in Germania, Danimarca, Gran Bretagna, Russia, India, Romania, Australia e Corea del
sud giungono a conclusioni analoghe.
Sembrerebbe insomma da questi studi che quanto più i valori al centro della nostra vita sono orientati
al materialismo, tanto più diminuisce la qualità della nostra vita. Sembrerebbe ancora che la felicità (o
quanto meno lo star bene) diminuisce con l’accumulo della ricchezza. Ciò sta a dirci che il legame
empatico non dipende dal benessere economico, né dalla spirale perversa del sempre maggiore
consumo di beni (ossia di energia prodotta e delle conseguenti scorie entropiche).
Ciò che si possiede finisce col possederci.
L’accumulo di ricchezze non ci rende più felici, ma solo un po’ di più preoccupati, delusi e alienati.
Svalutando gli altri, aumenta l’isolamento dall’affetto e la compagnia dei nostri simili.
Altri studi sulla felicità hanno rilevato che gli individui più materialisti sono meno inclini a mettersi
nei panni degli altri e a fidarsi degli altri.
Altri ancora, come quello condotto sugli studenti della Harward University dimostrano che chiamati a
scegliere tra due possibilità: la garanzia di un reddito di 50mila dollari annui, a fronte di altri che ne
guadagnano 20mila o di un reddito di 100mila a fronte di altri che ne guadagnano 250mila, la
maggioranza degli studenti ha mostrato preferenza per la prima offerta. Quegli studenti in altri termini,
hanno dimostrato di aver ben chiaro che la ricchezza oltre una certa misura non aiuta a vivere meglio,
e che quanto più abbiamo tanto più crediamo di non potercela fare a vivere con meno.
Ciò accade perché ci adeguiamo rapidamente a ogni nuovo livello di reddito, e quello che fino a poco
tempo prima ci sembrava un lusso diventa ben presto una necessità.
La sindrome della felicità costringe le persone a una corsa verso la disperazione.
Altri studi condotti sulla sindrome della felicità dimostrano che i cittadini tendono a essere più felici in
una società dove siano soddisfatte le necessità essenziali, e in cui le differenze tra ricchi e poveri non
sia molto accentuato.
26
Rifkin fa notare che il “sogno americano” ha sempre sottolineato l’importanza del successo personale
misurandolo in termini di reddito raggiunto, mentre il “sogno europeo” è più attento alla qualità della
vita e considera il successo in termini di welfare sociale come l’assistenza sanitaria universale, la
qualità dell’istruzione, il tempo libero e la sicurezza e la qualità dell’ambiente.
Un paese insomma ha un livello di felicità media tanto più elevato, quanto più il reddito è equamente
distribuito.
Il reddito pro-capite degli europei è mediamente più basso di quello degli americani. Noi abbiamo case
più piccole, guardaroba più ridotti e minori apparecchi elettrodomestici. Abbiamo anche un maggiore
prelievo fiscale dal momento che attribuiamo un valore maggiore al modello sociale rispetto al valore
di mercato preferito dagli americani.
Distribuendo la ricchezza in servizi pubblici attraverso la tassazione, attenuiamo le distanze sociali.
Tutto questo in linea di principio, ma sappiamo che l’evasione fiscale viene se non premiata
certamente poco combattuta in alcuni paesi, e che essa grava solo sul reddito fisso e che sulle spalle
dei ceti del lavoro viene caricato tutto l’onere di conservare i servizi sociali più essenziali, mentre
avanza e si contagia l’aspirazione a ricchezze smisurate sottratte alla fiscalità generale.
Il confronto con la società americana, affrontata da Rifkin da un altro suo libro citato in premessa, è
reso maggiormente evidente dal consumo di energia. Nonostante la popolazione complessiva dei 27
paesi aderenti alla UE sia superiore a 500milioni di persone, contro i 300 degli USA, la società americana
consuma più energia pro-capite e in assoluto per far funzionare la propria struttura economica e sociale. Gli USA
sono responsabili della emissione del 18% del totale dei gas serra, contro il 13% della UE.
L’educazione familiare
Altri studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato inoltre una stretta correlazione tra l’educazione
ricevuta e l’ossessione dei giovani per il successo materiale.. Se un genitore è affettuoso e reattivo,
molto probabilmente il bambino svilupperà relazioni di fiducia . Ma se la figura di riferimento è più
staccata, più fredda, punitiva, scarsamente reattiva e ansiosa, il bambino avrà poche possibilità di
stabilire uno stabile attaccamento affettivo e un’identità personale forte e indipendente. Questi
bambini mostrano una maggiore tendenza a concentrarsi sul successo materiale e sull’immagine come
strumenti per guadagnare riconoscimento, accettazione e senso di appartenenza. L’industria
pubblicitaria globale fa leva su queste insicurezze emotive, promettendo maggiori successi attraverso
il possesso di beni gratificanti che denotano status.
I giovani che attribuiscono maggior valore al successo economico hanno in genere avuto madri meno
affettuose nell’accudimento rispetto a quelli che attribuiscono maggior valore allo sviluppo di
relazioni significative.
Gli adolescenti insicuri hanno anche una maggiore probabilità di guardare agli altri per ottenere
quell’approvazione che i genitori hanno negato e di considerare i valori materialisti della celebrità, del
successo e della ricchezza come strumenti per ottenere l’attenzione e la compagnia degli altri.
Nella prospettiva di una maturazione della coscienza biosferica ciò che è importante in questi studi è la
scoperta che le persone che mostrano di avere forti valori materialisti hanno minori probabilità di
sviluppare relazioni intime personali; sono meno tolleranti verso gli altri e meno preoccupati del
benessere dei loro simili; mancano di attenzione per l’ambiente e la natura. In atri termini, sono molto
meno empatici.
La transizione verso un’era di sostenibilità ecologica che abbiamo definito quasi climacica dipende
molto quindi dall’orientamento dei genitori nel favorire nei giovanissimi un’adesione a valori pro
sociali, che promuovano l’empatia e contrastino le tendenze delle società di mercato.
Un cambiamento qualitativo nell’approccio a un’attività genitoriale orientata in tal senso si è avuto
solo con la generazione dei baby-boomers, ossia negli anni Sessanta del ‘900, e i suoi effetti si
cominciano ad avvertire oggi.
Il ’68 ha effettivamente realizzato la transizione dalla coscienza ideologica alla coscienza psicologica.
La generazione della controcultura ha cominciato a guardarsi dentro (si consideri il valore del noto
slogan: “il personale è politico”), mettendo in discussione il materialismo rampante della società che
contestavano. Da Parigi a San Francisco gli attivisti radicali scesero in piazza con cartelli su cui era
scritto “abbasso la società dei consumi!”.
Gli anni Sessanta hanno visto dunque un grande rafforzamento dei legami empatici.
27
Diventati a loro volta genitori, i baby-boomers, hanno adottato stili genitoriali più libertari e affettuosi
rispetto alle generazioni precedenti, trasmettendo i loro sentimenti empatici ai figli. Si è creata così
una generazione più tollerante e aperta. L’ondata empatica ha continuato a guadagnare forza con la net
generation, la stessa che sarebbe diventata però il bersaglio di un pubblicità aggressiva proprio sulla
fascia di età che sta tra i 6 e i 12 anni (nel gergo pubblicitario: i tween).
La cultura del consumo infantile è diventata un affare colossale. Basti considerare che il fatturato del
mercato dei prodotti per bambini fra i 4 e i 12 anni era di circa 6 mld nel 1989 e oggi è a 30 mld di
dollari, con un aumento del 400%. (Nati per comprare è il titolo di un noto bestseller americano
dell’economista e sociologo Juliet Schor, in cui si metteva in evidenza che nonostante negli USA i
bambini rappresentino solo il 4,5% della popolazione mondiale, i bambini americani consumano il
45% della produzione globale dei giocattoli). Le campagne pubblicitarie e di marketing rivolte ai
giovani non sono meno aggressive nell’Europa continentale anche se non raggiungono l’intensità degli
Usa, del Giappone e del Regno unito.
Afferma Rifkin che la giustapposizione fra un’educazione più empatica da parte dei genitori e le
massicce campagne di pubblicità e marketing indirizzate ai giovanissimi ha intralciato la piena
realizzazione del potenziale della rivoluzione educativa nell’atteggiamento genitoriale e in qualche
caso ha portato a far crescere bambini eccessivamente coccolati, viziati e dispotici, la cosiddetta
generazione Io.
Gli esperti di sviluppo infantile temono che ai giovani vengano inviati segnali contrastanti. Che i
bambini diventino il centro dell’universo dei loro genitori, trasformandosi in “mocciosi viziati”, malati
di narcisismo, vanificando così tutte le buone intenzioni educative dei genitori. Un’eccessiva
indulgenza produce insicurezze, facilmente manipolabile dalle campagne di marketing.
Il maggiore impedimento alla creazione di una coscienza biosferica è rappresentata oggi proprio dalla
pubblicità commerciale rivolta ai giovanissimi, la quale insidia gli sforzi educativi dei genitori,
sfruttando le loro insicurezze.
Altra questione posta in questo capitolo è quella sulle disuguaglianze sociali. Bisogna chiedersi cosa
accade per quel 40% della popolazione mondiale che è sotto la soglia della povertà, ossia con un
reddito inferiore ai 2 dollari al giorno, dove i valori materiali di sopravvivenza prendono
necessariamente il sopravvento su quelli legati all’espressione di sé. È un problema che divide
l’umanità in due, e anche le nazioni e le classi dirigenti più sinceramente democratiche sanno bene che
portare quasi 3 mld di esseri umani al livello della metà benestante dell’umanità è impossibile, perché
comporterebbe un conto entropico di tale entità da portare la biosfera in un regime climatico
radicalmente diverso da quello già abbastanza compromesso del pianeta, che potrebbe portare
all’estinzione della razza umana. La domanda perciò è la seguente:
come possiamo riorganizzare la nostra relazione con i più sfortunati in modo che “chi ha” possa
rendere meno onerosa la propria presenza in termini di consumo energetico e “chi non ha” possa
stabilire una presa più stabile nell’ambiente in cui vive, permettendo a tutti di incontrarsi in
corrispondenza di una soglia minima di benessere?
È a quella soglia che potremo massimizzare la coscienza empatica e creare le condizioni per una
società globale sostenibile.
Considerata la diminuzione delle riserve di petrolio e il fatto che l’energia diventerà praticamente
insostenibile quando la produzione del grezzo toccherà il suo picco e inizierà la sua curva discendente
(cosa che i più ottimisti prevedono tra il 2030 e il 2035 e i più pessimisti già in questo decennio),
Rifkin afferma che “la cosa fondamentale da fare è immaginare un regime energetico all’interno di una
nuova rivoluzione economica in cui il tipo di energia che usiamo si possa trovare nel nostro giardino o
cortile di casa, equamente distribuito sulla terra, gratuita e facilmente accessibile e rinnovabile con il
cambiamento delle stagioni e i cicli della biosfera.
Cap. XIII. L’era nascente del capitalismo distribuito
Negli anni in cui in Europa e negli Stati Uniti si dette avvio alla costruzione dei sistemi delle
autostrade interstatali (seconda metà degli anni ’50) gli scienziati cominciarono a notare preoccupanti
cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre: la emissioni di CO2 avrebbero potuto
surriscaldare l’atmosfera terrestre portando a conseguenze inimmaginabili. Già negli anni ’70 i modelli
28
computerizzati previdero un possibile aumento della temperatura terrestre nell’ordine di alcuni
centigradi al secondo. Nel 1979 uscì negli USA un primo rapporto dell’Accademia delle Scienze le cui
conclusioni giunsero all’opinione pubblica come un segnale di attenzione al problema.
Il conto entropico della Seconda rivoluzione industriale si andava inesorabilmente accumulando nella
seconda metà del ‘900 con l’esaurirsi delle scorte di petrolio. Il picco globale di petrolio disponibile
pro-capite si registrò nel 1979. Trent’anni dopo, nel 2008, il petrolio ha raggiunto il prezzo record di
147 dollari al barile. Già a metà degli anni ’80 la seconda rivoluzione industriale era giunta al suo
capolinea. La crescita economica, dai primi ’90 al tracollo del 2008 non è stata determinata dalle
innovazioni tecnologiche , anche se questa è stata la spiegazione ufficiale offerta al pubblico. Ciò non
significa che la rivoluzione dell’information and communication technology (ICT) non abbia avuto un
ruolo di rilievo nel riattivare la crescita economica, ma tale ruolo è stato meno significativo di quanto i
mezzi di comunicazione ci abbiano indotto a credere. Il fatto è che la grande crisi economica resa
possibile dalla Seconda rivoluzione industriale già allora aveva cominciato a rallentare.
La crisi fu affrontata con una massiccia erogazione di credito al consumo, prima negli Stati uniti e poi
negli altri paesi. La cultura della carta di credito ha certamente aumentato il potere d’acquisto,
rimettendo all’opera le imprese nei primi del ‘900 per produrre beni e consumi che sono stati
acquistati a credito. I consumatori hanno trainato l’economia mondiale principalmente con i loro
acquisti finanziati col debito.
Mentre i risparmi delle famiglie crollavano (nel 1991 il risparmio famigliare medio era pari all’8% del
reddito, mentre nel 2006 aveva segno negativo: il che vuol dire che molte famiglie spendevano più di
quanto guadagnavano) il settore bancario e creditizio ha creato una seconda linea di credito artificiale,
che permetteva alle famiglie americane di acquistare casa con un anticipo in contanti minimo o nullo –
i c.d. mutui subprime – che prevedevano una restituzione del capitale in un futuro indefinito, dando
così vita a una bolla immobiliare senza precedenti. La bolla speculativa avrebbe coinvolto tutti i
mercati e tutta l’economia globale, considerato che le comunità finanziarie e i sistemi bancari
statunitensi europei e asiatici sono strettamente connessi.
In altri termini, negli ultimi due decenni è accaduto che l’economia globale ha continuato a espandersi
sperperando il risparmio accumulato duranta quarat’anni di crescita, dal dopoguerra agli anni ’80.
A rendere ancora peggiori le cose è sopraggiunto l’aumento del prezzo del petrolio, che ha alimentato
l’inflazione, ridotto il potere di acquisto dei consumatori, rallentato la produzione e fatto crescere la
disoccupazione. Il fenomeno del tutto nuovo innanzi a cui ci troviamo si chiama picco della
globalizzazione, e si è verificato quando il petrolio ha toccato i 147 dollari al barile. Oltre questo
livello, l’inflazione crea una barriera che blocca la continuità della crescita economica, facendo
rallentare l’economia mondiale, fino alla crescita zero. Quando il petrolio raggiunge quei costi
l’inflazione diventa una forza talmente potente da agire come freno a ogni ulteriore crescita
economica, e l’economia globale si contrae, perché il prezzo dell’energia è nascosto in ogni cosa che
produciamo e il suo aumento influenza ogni aspetto della produzione.
Il convergere della crisi globale del credito + la crisi energetica + la crisi climatica ha portato
l’economia mondiale sull’orlo del collasso.
Guardando al futuro, ogni governo si troverà nella necessità di esplorare nuove alternative energetiche
e stabilire nuovi modelli economici con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile alle emissioni zero.
§ L’avvento della terza rivoluzione industriale
I grandi cambiamenti della storia avvengono quando una nuova rivoluzione della
comunicazione
si coniuga con un nuovo regime energetico e crea un ambiente sociale completamento nuovo.
Ci troviamo ora al culmine di questa convergenza.
L’uso dell’ICT distribuita, come meccanismo di comando e controllo per organizzare e gestire
l’energia distribuita da fonti rinnovabili, apre le porte alla Terza Rivoluzione industriale.
Le energie distribuite sono quelle energie che si possono trovare nel cortile o nel giardino di casa: il
sole, il vento, l’acqua piovana, che può generare energia idroelettrica.
Oggi l’ICT, che ha consentito il successo di Internet, viene adoperata per riconfigurare le reti
energetiche mondiali, permettendo a milioni di persone di accumulare e produrre le proprie energie
rinnovabili direttamente a casa, in ufficio, nei negozi, nei parchi, esattamente come producono e
condividono informazioni nel cyberspazio.
A questa nuova frontiera Rifkin dà il nome di CAPITALISMO DISTRIBUITO.
29
§ I quattro pilastri
Le forme rinnovabili di energia – solare, eolica, idroelettrica, geotermica, oceanica e da biomassa –
sono il primo pilastro della Terza Rivoluzione industriale. Si tratta di forme di energia in grado solo
di coprire una minima frazione dell’attuale fabbisogno energetico, ma l’A. pone in evidenza come la
loro adozione sia in rapida crescita (p.479), grazie anche agli incentivi dei governi. Abbiamo però
bisogno di infrastrutture per condividerle.
Ed è qui che entra in scena il secondo pilastro, ossia il settore delle costruzioni, che consumano fra il
30 e il 40% di tutta l’energia prodotta e sono responsabili dell’emissione di un’analoga quota di CO2.
Abbiamo a disposizione tecnologie che ci consentirebbero di rigenerare almeno una parte dell’energia
che consumiamo. In futuro ogni edificio potrebbe essere una sorta di centrale elettrica. Entro 25 anni,
milioni di edifici saranno costruiti in modo da poter generare energia utilizzando il sole, il vento, i
rifiuti, le fonti geotermiche e gli scarti di produzione (compattaggio), coprendo il proprio fabbisogno
energetico ed eventualmente crearne un surplus da condividere. Non si tratta di fantascienza. Vi sono
già esperienze in tal senso in Spagna (Saragozza) e in Francia alla periferia di Parigi. Monaco di
Baviera nel 2025 verrà tutta alimentata da energia rinnovabile. In Sardegna è da segnalare il piccolo
comune di Loceri, completamente autosufficiente. Anche nella nostra regione Puglia si stanno
avviando esperienze di questo tipo in comuni a sud di Lecce. Lo stesso Rifkin è interessato a un
progetto di questo tipo che dovrebbe interessare la città di Roma.
Non stiamo perciò parlando di utopie, ma di esperienze reali.
Per massimizzare l’utilizzazione dei primi due pilastri ne occorre un terzo, che faciliti la conversione
dell’offerta per loro natura intermittenti di queste fonti (nel senso che nessuna di essa di per sé può
garantire un’erogazione costante).
Esiste tuttavia un mezzo ampiamente disponibile per immagazzinare l’energia prodotta da tutte le fonti
rinnovabili, e in grado di rifornire in modo costante e stabile, ed è l’impiego di idrogeno.
L’idrogeno è il terzo pilastro. Esso è l’elemento chimico più leggero e abbondante nell’universo. Da
oltre 20 anni le nostre navicelle spaziali sono alimentate a idrogeno.
Il processo è perciò il seguente: le fonti di energia rinnovabile sono utilizzate per produrre elettricità,
la quale a sua volta può essere utilizzata attraverso un processo di elettrolisi, per scindere l’acqua in
idrogeno e ossigeno. L’idrogeno può anche essere estratto direttamente da sostanze vegetai e rifiuti
organici (biomassa) senza passare per il processo di elettrolisi. Con l’impiego dell’idrogeno, da
stoccare e convertire in seguito in elettricità, potremmo contare su flussi energetici continui.
La UE ha già finanziato un progetto di ricerca che prevede lo sviluppo delle tecnologie legate
all’idrogeno. In tal senso ha già a disposizione tre dei 4 pilastri occorrenti per dar vita a una nuova
rivoluzione industriale.
Il quarto pilastro consiste nella riconfigurazione della rete elettrica sulla falsariga della rete Internet,
così da permettere a famiglie e imprese di produrre il proprio fabbisogno energetico e di condividerla
con altri.
Nel libro successivo La Terza Rivoluzione industriale, che costituisce l’aggiornamento de La civiltà
empatica, Rifkin vi aggiunge un quinto pilastro, costituito da un sistema di trasporti elettrici
alimentati dalla rete o da cellule a combustibile a idrogeno. Sviluppo delle tecnologie plug-in nei
trasporti privati (la giapponese Toyota è in posizione dominante).
§ Funziona così
Localmente le minireti producono energia da fonti rinnovabili - ricorrendo a pannelli fotovoltaici,
generatori eolici, piccole centrali microelettriche, a biomassa - usandola, fuori dalla rete di
distribuzione principale, per soddisfare il proprio fabbisogno. Le tecnologie di smart metering
(contatori intelligenti) permettono ai produttori locali di vendere le proprie eccedenze energetiche alla
rete di distribuzione principale.
La fase successiva è l’installazione di apparati di rilevazione e di microchip in tutto il sistema di rete,
in modo da connettere tutte le microreti, monitorando in ogni momento e in ogni punto di connessione
la quantità di erogazione in termini di autosufficienza o di eccedenza, permettendo al consumatore di
aumentare o diminuire il proprio uso di energia in funzione delle tariffe vigenti in quel particolare
momento.
30
La tariffazione a tempo reale consentirà anche ai piccoli produttori nelle minireti locali di vendere alla
rete l’energia che producono in surplus, o di isolarsi dalla rete principale. La rete elettrica intelligente
renderà possibile insomma una radicale redistribuzione dell’energia.
Il passaggio dal motore a combustione interna al motore elettrico e a cella a combustione di idrogeno
abbasserà visibilmente il tasso di emissione di gas serra.
L’industria automobilistica e quella aeronautica stanno già facendo passi avanti in questa prospettiva.
È di queste ultime ore la notizia di un piccolo prototipo di aereo a bassa velocità che ha volato in
autonomia energetica in Svizzera. Bassa velocità ma assoluta autonomia energetica.
Il resto dovranno farlo le infrastrutture di rifornimento, ma si ha notizia che già da qualche anno la
RWE, seconda società elettrica tedesca prevede di installare per le strade di Berlino colonnine di
ricarica per vetture elettriche o a cella a combustione a idrogeno. Entro il 2030 si prevede di installarle
quasi ovunque.
Dal canto suo la IBM, la General Electrics, la Siemens e altre multinazionali stanno facendo il loro
ingresso nel mercato della rete elettrica intelligente per trasformare le reti di distribuzione in interreti
intelligenti, in modo da consentire ai proprietari di grandi fabbricati e condomini di produrre la propria
energia e di condividerla con altri..
Milioni di produttori locali di energia rinnovabile con accesso a una rete di distribuzione intelligente
potranno potenzialmente produrre e condividere un’energia assai superiore a quella generata dalle
vecchie forme di produzione centralizzate basate sul petrolio, carbone, gas naturale e uranio a cui ci
siamo fin qui affidati.
Afferma Rifkin che la transizione verso la terza rivoluzione industriale richiederà una radicale
riconfigurazione dell’intera infrastruttura economica di ciascun paese, creando milioni di posti di
lavoro.
La nuova forza lavoro ad alta tecnologia dovrà avere competenze nel campo delle energie rinnovabili,
dell’edilizia ecologica, dell’informatica integrata, delle nanotecnologie, della chimica sostenibile, della
gestione digitale delle reti elettriche e di centinaia di altri settori tecnici. Imprenditori e manager
dovranno essere educati a trarre vantaggio da modelli operativi avanzati, come l’open source e le reti,
ecc.
§ Una nuova visione sociale
- una riglobalizzazione dal basso.
La transizione, destinata a durare almeno mezzo secolo, modificherà radicalmente il processo di
globalizzazione. Ne risentiranno maggiormente le società in via di sviluppo.
Il passaggio dalle energie tradizionali alle energie rinnovabili distribuite porta il mondo fuori dalla
“geopolitica” che ha caratterizzato il XX sec., e lo fa entrare nella “politica della biosfera” del XXI.
L’avvento della Terza rivoluzione industriale rallenterà le tensioni internazionali, le guerre per
l’accaparramento delle risorse energetiche tradizionali, facilitando una politica della biosfera basata
sul senso di responsabilità collettiva per la salvaguardia degli ecosistemi terrestri.
§ Il capitalismo distribuito
-
La terza rivoluzione industriale richiederà più competenze e rivoluzionerà il sistema educativo - dal
possesso all’appartenenza, dalla competizione alla collaborazione e condivisione delle proprie
conoscenze e della propria creatività; dall’individualismo all’altruismo; dal tempo ad es. come misura
d’uso personale al prestito del tempo - (donare il tempo del proprio computer. Vikinomics è il termine
che si usa per indicare il nuovo modello collaborativo di massa di collaborazione che sta cambiano il
volto del vecchio pianeta. Dal modello di business tradizionale a un nuovo territorio basato
sull’apertura, il peering (peer-to peer = da pari a pari), la condivisione e l’azione su scala globale).
Si definisce workplace un’impresa collaborativa che coinvolge migliaia di persone, alcune esperte,
altre dilettanti, provenienti dai settori più disparati, che si uniscono per condividere idee e risolvere
problemi). Ambienti di apprendimento collaborativo sostituiranno le vecchie forme di formazione
gerarchizzate.
Il sistema operativo open source (si pensi a Linux, al quale migliaia di programmatori offrono il
proprio tempo gratuitamente per contribuire a risolvere i problemi del suo codice) costituisce un
prototipo di questa nuova avventura culturale del futuro, basato sulla condivisione delle conoscenze.
31
Rivoluzioni nel campo dei diritti d’autore e dei brevetti con l’affermarsi di una nuova proprietà
collettiva digitale.
Pensiamo al cammino che l’umanità ha fatto dal Sette e Ottocento, quando la libertà si definiva in
termini di esclusione degli altri, dalla proprietà intesa come bene privato. Attraverso quei principi la
borghesia europea intese allora difendere i diritti di proprietà contro gli antichi obblighi nei confronti
della Chiesa e delle signorie feudali e contro le limitazioni poste dalle corporazioni delle Arti e dei
mestieri, legate al vecchio ordine. I diritti di proprietà implicavano che nessun uomo potesse essere
oppresso, aggredito e assoggettato alla volontà di un altro.
Chi poteva, per talento o intraprendenza, acquisire più proprietà, poteva trasformarle in capitale e
usare quel capitale non solo per controllare la natura ma anche la vita di altre persone. Fare dei
rapporti di proprietà privata una estensione dei diritti naturali si rivelò però un’arma a doppio taglio. Il
legame fanatico con la proprietà privata stabiliva una linea di confine tra il “mio” e il “tuo”, elevando
barriere tra privilegiati e sfortunati.
La sempre più rapida possibilità di connessione del sistema nervoso centrale di ogni essere umano con
quello di ogni altro essere umano del pianeta attraverso Internet ed altre piattaforme comunicative ci
sta lanciando in uno spazio globale e in un ambito temporale di simultaneità. Il risultato è che nel
XXI° sec. lo scambio di proprietà nell’ambito dei mercati nazionali cederà il passo alle relazioni di
accesso in vaste reti globali. Da qui la minore importanza attribuita al regime di proprietà privata.
L’economia di mercato è troppo lenta per trarre vantaggio dalla velocità e dal potenziale produttivo
delle rivoluzioni del software e delle comunicazioni. Il risultato è che stiamo assistendo alla nascita di
un nuovo sistema economico, diverso dal capitalismo di mercato, quanto questo lo era dall’economia
feudale che lo aveva preceduto.
È il meccanismo di scambio nel mercato in sé che sta diventando inadeguato.
Le nuove tecnologie dell’infocomunicazione sono cibernetiche, non più lineari. Consentono cioè
un’attività continua per un tempo illimitato. Ciò significa che il meccanismo di scambio nel mercato
globale richiede una relazione commerciale continua nel tempo fra le parti.
Gli esempi che Rifkin apporta sono indiscutibili se mettiamo ad es. a confronto le tradizionali
modalità di vendita di un CD musicale con nuovi modelli di commercializzazione della musica usati
dalle case discografiche. In un rapporto di mercato convenzionale l’acquirente paga il venditore per un
singolo CD, mentre nel nuovo modello di rete l’utente paga un canone mensile per avere accesso
illimitato all’intero repertorio musicale della casa discografica. Le nuove modalità di scambio si
chiamano abbonamento, noleggio, multiproprietà, ecc. La società commerciale preferisce
commercializzare una relazione continua con l’utente, anziché dover vendere ciascun CD con una
transazione di mercato separata.
In un mondo in cui tutti sono connessi attraverso il cyberspazio e l’informazione è continua e illimitata
è il tempo la risorsa più scarsa e più preziosa.
Anche l’automobile si sta trasformando da bene in servizio, da qualcosa che si possiede a qualcosa che
si noleggia. Il leasing ad es., dall’essere una modalità scarsamente conosciuta, interessa oggi il 40%
delle autovetture messe su strada ogni anno, almeno negli USA.
Grandi aziende che operano nel settore dell’illuminazione, come la PHILIPS, hanno cominciato a
stipulare con i propri clienti contratti (IPC) che prevedono forniture di servizi di illuminazione anche
di intere città, con l’impegno a ridurre il consumo energetico.
Con l’aumento delle aziende che passano dalla vendita di prodotti alla fornitura di servizi ridurre i
flussi entropici diventerà parte integrante dell’attività di ogni impresa.
§ dal possesso all’appartenenza
§ un mondo collaborativo e attento
La Terza rivoluzione industriale, centrata sull’ICT, sulla distribuzione di energia e sulla collaborazione
tra pari, ridimensiona le forme gerarchiche di gestione della vita economica, sociale e politica.
Internet sta trasformando il mondo in una grande piazza pubblica globale dove miliardi di persone
possono entrare in contatto, collaborare e creare valore insieme: qualcosa di simile a un grande
cervello globale. La generazione Internet può contare su più di 2 mld di giovani, cresciuti pensando la
rete come medium collaborativo. La maggiore disponibilità rispetto alla diversità; la sua vocazione
inclusiva e trasparente incoraggia comportamenti più empatici.
32
La Columbia University di N.York è una tra le business school che hanno introdotto la pedagogia
dell’intelligenza sociale nei propri programmi di studio per conseguire il Master in Business
Administration (p.506). Mette insieme docenti di psicopedagogia ed economia con l’obiettivo di offrire
opportunità esperienziali, sia in aula che nella comunità, per sviluppare competenze empatiche. La
maggior parte dei lavoratori apprezza un manager attento ai propri subordinati, giustificando così i
maggiori successi di uno stile manageriale empatico.
§ Il nuovo sogno della qualità della vita
Sono in atto tentativi di introdurre un indice alternativo al PIL per valutare la qualità della vita con un
criterio che vada ben oltre la quantità dei beni prodotti. Gli obiettivi di maggiore crescita dovrebbero
specificare meglio di che cosa e per che cosa si vuole crescere.
Ciò ha portato alla determinazione di altri indici, calcolati a partire dalla spesa per i consumi personali
(i consumi culturali ad es.) a cui si aggiunge il lavoro domestico femminile non retribuito e si
sottraggono le disparità di reddito e il depauperamento delle risorse naturali.
Altri panieri includono il valore del lavoro volontario nella comunità e sottraggono l’incidenza dei
tassi di mortalità infantile, di abuso di minori, di suicidi in età adolescenziale; di copertura sanitaria e
del tasso di risparmio delle famiglie per misurare il senso di sicurezza nei confronti del futuro. Il fatto
che oggi siano gli stessi governi a cercare un metodo alternativo per misurare il successo economico
con nuovi parametri qualitativi è certamente indicativo dei cambiamenti sociali in atto.
§ Il ruolo del capitale pubblico e del capitale sociale
Sono in continua crescita le organizzazioni della società civile non governative (ONG) e no-profit
(ONP). Esse sembrano attrarre maggiormente le più giovani generazioni disposte a impegnarsi
direttamente per migliorare le condizioni di vita nella comunità.
Va detto a questo proposito che negli USA sono stati introdotti nei curricula scolastici programmi di
service learning, un metodo didattico di apprendimento basato sulla realizzazione di progetti di
volontariato e impegno sociale.
Il service learning, come pedagogia e come prassi sta cominciando a diffondersi anche in altri paesi.
Vi sono programmi interessanti in Francia, che interessano studenti universitari che volontariamente si
dedicano al sostegno di studenti di scuola media o elementare svantaggiati, ricorrendo al sistema di
riconoscimento in cfu.
Inoltre: la campagna elettorale di Barak Obama ha messo l’accento sulla necessità di una assistenza
sanitaria universale, di promozione dell’istruzione e di una più rigorosa tutela dell’ambiente,
rivitalizzando la società civile.
Nella misura in cui le future generazioni acquisiranno maggiori competenze nel creare capitale sociale
e nell’estensione dell’empatia in ambiti più inclusivi, i partiti politici e la pubblica amministrazione
saranno costretti ad adeguarsi e ad assimilare il nuovo modo di pensare collaborativo che si sta già
manifestando nella società civile. Adattare il modello di società di mercato e il modello sociale alla
Terza rivoluzione industriale sarà la questione politica più pressante dei prossimi cinquant’anni,
quando i governi avvertiranno la improcrastinabilità di stili di vita adatti a un modello biosferico.
Cap. XIV Il sé teatrale nella società dell’improvvisazione
Rifkin sostiene che la diffusione di Internet nella formazione di una coscienza transnazionale sta
diffondendo una nuova coscienza drammaturgica, specie tra le più giovani generazioni. Un
avvicinamento al cosmopolitismo globale e a una sensibilità empatica universale.
Egli però ci mette in guardia quando afferma che se le nuove tecnologie costituiscono le nuove
autostrade di una nuova coscienza globale, esse hanno un lato oscuro che può deviare il cammino e
indirizzare le generazioni del web nel vicolo cieco di narcisismi sfrenati, di voyarismo e di noia.
L’evoluzione della coscienza umana ha attraversato cinque stadi:
mitologico,
teologico,
ideologico,
33
psicologico,
drammaturgico.
Il passaggio da connessioni centralizzate (dall’alto al basso, da uno a molti) alle connessioni peer-topeer e open source, ha permesso a una generazione di farsi protagonista, autrice e attrice della propria
sceneggiatura; di condividere il palcoscenico globale con 2 miliardi di interconnessi.
I giovani oggi (la generazione del Millennio che ha preso il posto della generazione X) si trovano tutti
davanti o dentro uno schermo.
Il grande successo dei reality televisivi è un riflesso della nuova coscienza drammaturgica: gente
comune che vive in diretta la propria vita (Moreno non avrebbe mai potuto immaginare un tale
psicodramma su scala planetaria).
Fu Erving GOFFMAN ad applicare per primo la metafora drammaturgica al comportamento umano in
un’opera ben nota del 1959 La vita quotidiana come rappresentazione. La televisione allora era al
clou di successo ed espansione mondiale e Goffman suggeriva che la vita di ciascuno in realtà è
vissuta consciamente o inconsciamente come rappresentazione del sé; che questo sé si costruisce coi
materiali di cui possiamo disporre, ossia di tanti sé sociali quanti sono i gruppi distinti di persone di
cui ciascuno ha a cuore l’opinione. Molti giovani (esemplificava) che sono timidi innanzi ai propri
genitori o insegnanti sono duri e spacconi nella loro cerchia di amici. Ed è del tutto evidente che non ci
mostriamo ai nostri dipendenti, ai nostri capi e ai nostri figli come ci dimostriamo e ci comportiamo
invece con gli amici più ristretti del nostro gruppo. Tutti i nostri comportamenti sociali sono insomma
teatrali per Goffman.
In una prospettiva drammaturgica del comportamento umano il sé non è più proprietà del singolo
(come affermava John Locke), ma una dimensione immaginaria, costruita. Il teatro non un qualcosa di
diverso dalla società, ma è la vita stessa. (Charles Edgley: Life as Theatre): una cristallizzazione e una
tipizzazione di ciò che accade nella società in ogni momento o, più radicalmente, di ciò che è in effetti
una relazione sociale.
(p.522) Attori e registi professionisti insegnano oggi ai manager aziendali l’arte della rappresentazione teatrale
per insegnare loro come usare le tecniche teatrali al fine di suscitare determinate reazioni presso i clienti (o gli
stessi colleghi).
La questione dell’autenticità viene sempre più sollevata in ambito professionale.
§ Essere autentico
La coscienza drammaturgica solleva il delicato problema della autenticità.
Aggiorniamo il quadro più sopra visualizzato per vedere quali figure corrispondevano alle diverse Ere
storiche che l’umanità ha attraversato.
L’evoluzione della coscienza umana e le figure corrispondenti
Era mitologica → L’eroe
Era teologica → Individuo probo e pio
Era ideologica → onesto e di buon carattere
Era psicologica → dotato di personalità
Era drammaturgica → AUTENTICITà
Per la generazione che sta crescendo nell’epoca della coscienza drammaturgica l’obiettivo di ogni
uomo e di ogni donna è l’autenticità.
Ma come definire l’autenticità se per loro intrinseca natura gli individui sono diventati teatrali?
Il teatro offre suggerimenti utili su come distinguere tra inganno e immaginazione. Mentre l’inganno è
universalmente disprezzato, l’immaginazione attiva è ritenuta essenziale alla creazione del senso (del
sé e del mondo). E alla formazione di legami empatici maturi.
Stanislawskij parlava di recitazione superficiale e recitazione profonda: la prima si fonda sull’arte
dell’inganno e la seconda sull’arte dell’immaginazione. La recitazione superficiale (quella che
riguarda la gesticolazione e la voce) riguarda la forma e non la sostanza; è solo tecnica teatrale (che si
apprende nelle scuole di filodrammatica), mentre la recitazione profonda è quella che scaturisce
dall’inconscio dell’attore, e lo trasforma per l’intera durata della rappresentazione. Con la recitazione
34
profonda l’attore si trasforma per tutta la durata della sua performance e diventa ciò che sta
rappresentando. Quando la performance finisce, finisce anche la parte che ha rappresentato.
La recitazione profonda aiuta l’individuo a prestare maggiore attenzione ai propri sentimenti, a
conservarne la memoria del subconscio mettendola al servizio dell’immaginazione, quando se ne
presenti l’occasione, in modo da poter provare i sentimenti e le emozioni degli altri come propri
(ricordati ad es. di come si è stati nelle condizioni in cui in quel momento si trova un altro). Se usata
con giusti sentimenti pro sociali, la recitazione profonda è insomma un potente strumento intellettuale
per stimolare sentimenti empatici.
(Afferma Rifkin che Meryl Streep, una maestra della recitazione profonda, ha affermato che il più grande dono dell’essere
umano è il potere dell’empatia).
§ Il sé relazionale in un mondo interconnesso
Siamo identità multiple e interpretiamo ruoli molteplici: questi appaiono agli osservatori sociali le
caratteristiche psicologiche della generazione del Millennio.
Se per le generazioni borghesi - che definivano la libertà in termini di autonomia ed esclusività - il
valore cardine era la privacy, per la generazione del Millennio sembra essere quello dell’accesso. La
libertà corrisponde alla portata delle relazioni che si costruiscono e si intrattengono. L’esclusività è
diventata meno importante dell’inclusività e (a quanto pare) l’ethos della competizione va cedendo il
posto a un’etica della collaborazione (Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo
nelle società postmoderne, Guerini e associati, Milano 2004). L’era delle tribù è un’analisi ragionata
della società di oggi; un’esplorazione delle loro metamorfosi. Le tribù sono i piccoli gruppi di
aggregazioni tanto effimere quanto effervescenti che si costruiscono in rete.
Nell’era della coscienza drammaturgica in cui l’identità stessa del singolo si è fatta relazionale, essere
privati dell’accesso equivale a isolamento. Ottenere e conservare l’attenzione altrui è invece
fondamentale.
Il “penso dunque sono” cartesiano, che aveva già subito una profonda variante nel “partecipo dunque
sono” va dunque aggiornato: sono connesso dunque esisto.
Il mio (opposto al tuo) che promuoveva il senso di un sé a una sola dimensione va cedendo il passo a
una nuova idea di inclusività e a un sé multidimensionale.
Siamo spinti a passare a nuovi ruoli, a destreggiarci tra scenari diversi e a copioni diversi, dove il sé
retrocede a uno stadio di relatività. Come artisti dell’improvvisazione siamo immersi in contesti
mutevoli e in storie che cambiano rapidamente, ciascuna delle quali reclama la nostra attenzione
(p.530).
Baudrillard lo aveva visto per tempo: non esistiamo più come soggetti, ma solo come terminali di reti
multiple.
La stessa idea di autenticità perde importanza. Essere “autentico” presuppone un nucleo immutabile
del sé, una psiche autonoma. Ma nell’era della coscienza drammaturgica la personalità è a mosaico
(cfr. M.Maffesoli, Le réenchantement du monde. Une éthique pour notre temps, La table rond, Paris,
2077), caleidoscopica e multiverso: prende continuamente a prestito pezzi di identità da qualsiasi fonte
disponibile.
Il sociologo Louis ZURCHER ha aperto il sé drammaturgico a due diverse interpretazioni. Se anziché
come oggetto lo pensiamo più come processo, il sé si apre alla più vasta esperienza possibile e diventa
cosmopolita. Il rischio invece è quello di una ricerca di un sé vorace di autogratificazioni senza fine, di
un narcisimo che fa smarrire all’individuo il senso dell’autenticità del sé, disponendolo a una
dissipazione camaleontica continua, dove l’assunzione di spezzoni di identità pastiche e occasionali lo
intrappola in una sequenza di inganni. (Sul narcisismo si rimanda a Ch.Lasch, L’io minimo Feltrinelli,
Milano 1984).
Lo psicologo americano Kenneth GERGEN sembra cautamente ottimista sul futuro della coscienza
umana. Ognuno di noi – afferma – è il risultato delle relazioni che lo compongono. In altri termini, il
Sé è pur sempre un Sé sociale, ma è l’unicità della costellazione di esperienze relazionali che distingue
una persona dall’altra.
Per l’A. non c’è contraddizione tra la convinzione che il sé sia la somma totale delle esperienze in cui
l’individuo è coinvolto nel corso della vita e l’idea che queste relazioni ed esperienze rendano ciascun
essere unico, diverso da tutti gli altri.
35
Gergen avverte che se si perde il senso di sé come sistema unico di relazioni, e si diventa solamente un
“noi”, anche l’empatia viene meno e la progressione storica verso una coscienza globale si blocca.
Se cioè cadessimo preda di un “noi” globale indifferenziato, potremmo ritrovarci al punto di partenza,
quando vivevamo in una nebbia mitologica indifferenziata, con uno scarso senso di sé. Perciò
mantenere un senso di sé sempre più differenziato, radicato in una rete di relazioni sempre più fitta e
integrata, è la prova del fuoco che potrebbe determinare le prospettive future della nostra
sopravvivenza come specie.
§ Sempre più attaccati alle reti sociali
La domanda da porsi è se le nuove forme distribuite di tecnologia delle comunicazioni creino una
maggiore connessione e interattività sociale. Sembrerebbe di sì, almeno sulla base di alcune indagini
di cui Rifkin tiene conto (il Pew Internet and American Life Projet del 2007). Questa indagine ha
richiesto alle persone come Internet abbia influenzato i loro legami principali e significativi.
Contrariamente alle preoccupazioni dei critici di internet, l’indagine Pew ha messo in evidenza che il
coinvolgimento in Internet ha aumentato la dimensione dei rapporti sociali. Si scopre pure che rimane
elevato l’impegno civile manifestandosi anche fuori dai confini geografici. Le reti di auto aiuto online,
i gruppi di supporto, le chat room e le mailing list, Facebook, Twitter stanno sempre più diventando la
piazza pubblica dove le persone entrano in contatto e si aiutano a vicenda.
Qualche dato aggiornato al maggio 2011 sui numeri di TWITTER:
Utenti registrati nel mondo: 316 ml.
Micropost creati ogni giorno: 110 ml
Account creati: 100 ml
Messaggi inviati nel 2010: 25 mld
25% degli utenti negli USA; il 75% nel resto del pianeta
21% degli utenti segue oltre 100 persone
Il maggiore uso di internet aiuta a gestire legami sociali esistenti ma anche a crearne di nuovi. E ciò
non accade a scapito della disponibilità di tempo, ma grazie a un migliore suo impiego, riducendo il
tempo asociale dedicato alla tv o a dormire.
La scoperta forse più interessante è che l’uso di Internet sembra far emergere il “vero sé” delle persone
più di quanto sia possibile negli incontri personali. E ciò è facilmente spiegabile, perché abbatte alcune
barriere nell’esposizione agli altri.
Gli psicologi parlano di tre qualità del Sé: il Sé attuale (quello che mostriamo agli altri); il Sé ideale
(quello a cui aspiriamo) e il vero Sé, che è quello che veramente percepiamo di noi stessi. Questo vero
sé che non siamo disposti a rivelare agli altri per paura di esporci e di essere rifiutati, sembra più
predisposto a liberarsi nel cyberspazio. Il relativo anonimato del cyberspazio sembrerebbe
incoraggiare gli individui a mettere in gioco aspetti del sé che non sperimenteremmo nelle relazioni
sociali reali. Una sorta di rivelazione (anzi di vero e proprio “disvelamento” drammaturgico di aspetti
altrimenti celati dell’individuo.
Il disvelamento è fondamentale per creare intimità. Solo mostrando la propria vulnerabilità
condividendo il nostro essere più profondo creamo legami empatici.
Gli studi hanno rivelato che Internet consente esattamente questo. E’ il mezzo che favorisce più
intimità e disinibizione, abbattendo le barriere che nella vita reale bloccano le possibilità di rapporti
più stretti e diretti.
Internet aiuta le persone che hanno interessi comuni a incontrarsi più facilmente e stabilire un legame.
Infine va detto che Internet tende a rendere stabili nel tempo gli incontri e i rapporti che si stabiliscono
(mediamente due anni, riferisce l’indagine condotta da McKenna).
Concludendo:
L’indagine di McKenna mette in evidenza che gli individui sono più facilmente disposti a rivelare il
proprio vero sé agli altri nella realtà virtuale, nella quale avviano relazioni forti e intime che spesso
favoriscono e rimandano a incontri ravvicinati, face-to-face.
Offrendo agli individui l’opportunità di interpretare il proprio vero Sé Internet rappresenta un
palcoscenico virtuale per la diffusione della coscienza drammaturgica. A pensarci bene questo fatto
non è poi tanto strano. Nel ‘700 e nell’800 il romanzo, anch’esso una forma di finzione, ha permesso a
milioni di persone di definire i propri sentimenti più intimi e di manifestarli, sviluppando una
36
sensibilità empatica più profonda. La vera novità sta nella portata immensa che Internet offre di
raggiungere milioni di persone entrando con loro in contatto nella piazza pubblica globale. Cosa che
l’età di Gutenberg non ha potuto fare.
§ Il fattore celebrità. Luci della ribalta.
Vi è però un lato oscuro di questo palcoscenico pubblico globale, che favorisce pure i narcisismi, la
ricerca di visibilità, di celebrità e le tendenze voyeristiche. Secondo Rifkin tutti i nati dopo la metà
degli anni Settanta sono più esposti a questi fenomeni, in quanto essendo stati soddisfatti in ogni loro
esigenza (troppo coccolati ed eccessivamente fragili) sono anche vittime di un’autostima esagerata.
Tuttavia, di loro si dice che sono più aperti, e tolleranti, hanno meno pregiudizi e un approccio
multiculturale più aperto, non giudicante. Sarebbero insomma molto più collaborativi di ogni altra
precedente generazione. I dati più recenti di molte ricerche condotte sui giovani mostrano una
tendenza all’abbandono dell’atteggiamento egocentrico prevalso tra gli anni ’80 e ’90 tra i giovani
della generazione X, a favore di un atteggiamento più relazionale e collaborativo della generazione del
Millennio.(leggere direttamente le pp.538-542. Vi riconoscete?).
§ Prendere le misure alla generazione del Millennio
La recessione economica sta portando a un abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo. Anche
prima dell’attuale crisi economica milioni di persone avevano scelto di semplificare il proprio stile di
vita e di cercare il senso dell’esistenza più nella qualità dei rapporti che nella quantità dei beni
accumulati. Una volta superata una soglia minima di reddito tale da garantire il necessario e un certo
confort, ogni aumento di ricchezza non fa che diminuire la felicità complessiva della società.
Oggi abbiamo la possibilità di riorientare la ricerca di felicità dall’accumulazione della ricchezza alla
qualità dei rapporti significativi, transitando dal capitalismo di mercato al capitale sociale.
Una distribuzione più equa delle ricchezze potrebbe consentire a chi è stato abituato ad avere tutto, il
passaggio a uno stile di vita più sostenibile, e ai meno benestanti di migliorare le proprie condizioni.
Una qualità di vita più sostenibile nei paesi più avanzati, accompagnata da una maggiore assunzione di
responsabilità verso il miglioramento del tenore di vita e del benessere nei paesi in via di sviluppo,
avvicinerebbe l’umanità all’equilibrio, adeguando le abitudini di consumo della nostra specie alla
capacità della terra di riciclare e rigenerare il proprio patrimonio di risorse.
Si tratta di un’impresa ardua ma non più irrealistica né ingenua.
Il grande punto di forza della Terza rivoluzione industriale è che essa ci permette di accogliere gli
esseri umani in un abbraccio universale sfruttando solamente le energie rinnovabili che ogni giorno
alimentano la terra, permettendo così a tutti di accedere equamente alle fonti di energia disponibili
localmente.
Ciò significa che ci troviamo al punto in cui possiamo pensare di realizzare una civiltà umana globale
estendendo l’abbraccio empatico e diminuendo il conto entropico. Questo ci porterebbe al culmine
della coscienza biosferica in un’economia climacica globale.
Cap. XV. La coscienza biosferica in un’economia climacica
Rifkin sostiene che occorrerebbe disseppellire la memoria profonda della specie, liberandola dalle
costruzioni ideologiche che esaltano il profitto, la competizione, l’assimilazione dell’altro, ecc. ossia
dagli aspetti più degenerativi della Modernità.
Sembra fiducioso su una inversione di rotta nella formazione dell’uomo. E ci informa che in molte
scuole americane i programmi di sviluppo dell’empatia cominciano già negli anni della prima
alfabetizzazione. I bambini imparano quell’alfabeto delle emozioni che Gordon definiva la nostra
capacità di trovare la nostra umanità nell’altro. Ci riferisce pure che gli insegnanti riscontrano come lo
sviluppo di competenze empatiche porti a un miglioramento dei risultati scolastici della classe.
Il legame empatico insomma è un passaggio chiave per creare adulti in grado di impegnarsi
emotivamente nei confronti dell’intera biosfera. I bambini che sviluppano un’etica empatica – afferma
– saranno poi adulti in grado di costruire una società più attenta, pacifica e civile (p.559). Il programma
Roots of Empaty, che ha avuto un certo successo ed è oggi adottato in molte scuole degli USA e nel
Canada, tende a creare ambienti di apprendimento collaborativo, in cui i bambini condividono pensieri
37
e sentimenti con gli altri e, nel farlo, imparano a pensare al processo educativo come a un’esperienza
condivisa. In tal modo l’apprendimento diventa un’esperienza cooperativa più che una vicenda
personale. Ciò presuppone modelli di insegnamenti collaborativi, mentre sappiamo bene come nelle
classi tradizionali si continui a porre l’accento sull’apprendimento come esperienza personale e
competitiva.
L’istruzione collaborativa tende a spostare il baricentro dell’impegno educativo dalla singola mente
alle forme di relazione. Il modello gerarchico di apprendimento cede il posto a un’organizzazione
reticolare della conoscenza. In questa prospettiva l’apprendimento diventa l’acquisizione di un modo
di pensare critico e collaborativo, e questo atteggiamento trasforma una classe in un laboratorio di
manifestazioni empatiche che arricchiscono il processo autoformativo.
§ Insegnare una coscienza empatica
Afferma Rifkin come molte generazioni di bambini abbiano trovato l’esperienza dell’apprendimento
sconfortante e alienante; come il mondo adulto si sia sempre aspettato che abbandonassero per tempo
lo stupore, la fantasticheria, il magismo che accompagna questo stadio della vita, spegnendone le
curiosità e le passioni, disinteressandoli e assegnandoli a un ruolo di spettatori della scena adulta.
Prima ancora dell’avvento della televisione, di cui si è detto tutto il bene e tutto il male possibile, è
stata l’organizzazione scolastica ad abituare ad atteggiamenti passivi. Ma questo non è stato mai
ammesso. Il c.d. metodo scientifico è in evidente contrasto con quasi tutto ciò che sappiamo della
natura dell’uomo e del mondo: nega l’aspetto relazionale della realtà; inibisce la partecipazione e non
lascia alcuno spazio all’immaginazione empatica. Agli studenti, in pratica, si chiede di diventare alieni
nel mondo (p.563).
§ Lo stadio finale della coscienza storica
La predisposizione all’empatia che fa parte della nostra eredità biologica non è un meccanismo
infallibile che ci permette di perfezionare la nostra umanità, ma un’opportunità per riunire sempre più
la razza umana in una famiglia allargata.
Anche se un certo livello di globalizzazione continuerà ad esservi nell’ambito della Terza rivoluzione
industriale, probabilmente sarà la continentalizzazione a giocare un ruolo preminente nello sviluppo
dei commerci e degli scambi, perché le reti e i suoi sistemi logistici favoriscano la condivisione di
energia attraverso masse terrestre contigue.
Ogni comunità, una volta diventata localmente autosufficiente, potrà farsi coinvolgere in scambi
regionali, transnazionali, continentali, senza le restrizioni imposte dalla geopolitica che presiede alla
distribuzione delle energie fossili e dell’uranio.
La continentalizzazione sta già portando con sé nuove forme di governo. Lo Stato-Nazione non è più
adatto alla Terza rivoluzione industriale, il cui ambito è la biosfera. L’UE è la prima istituzione di
governo continentale e sta già cominciando a erigere le strutture fondate sui 4 pilastri che porteranno a
un sistema energetico europeo promuovendo reti di trasporto, di comunicazione e di energia che, entro
la metà del secolo, si estenderanno dall’Irlanda alla Russia. Stanno per nascere unioni politiche
asiatiche, latino-americane e africane, e molto probabilmente in ciascuno di questi continenti ci
saranno istituzioni di governo transnazionali entro il 2050.
La geopolitica si è sempre fondata sul presupposto che l’ambiente è un campo di battaglia, dove si
combatte una guerra di tutti contro tutti senza esclusione di colpi per accaparrarsi le risorse necessarie
alla propria sopravvivenza. Viceversa, la politica della biosfera si fonda sull’idea che la terra è un
organismo vivente fatto di relazioni interdipendenti. Ciascuno di noi può sopravvivere soltanto
mettendosi al servizio della più vasta comunità di cui fa parte.
L’epoca del trinceramento economico nella quale ci troviamo durerà probabilmente una generazione
ancora. Ma questo periodo andrebbe sfruttato per ripensare le concezioni convenzionali che ci hanno
portato a questa pericolosa empasse della storia umana e per preparare una nuova, grande narrazione
per le generazioni future, a cui toccherà la responsabilità di guarire la terra e creare un pianeta
sostenibile.
Per ironia della sorte, è proprio il cambiamento climatico e la minaccia di un collasso del pianeta che
ci sta costringendo a riconoscere ciò che possiamo condividere. Il conto entropico che la nostra specie
38
ha accumulato soffoca la terra e minaccia di portarci all’estinzione. E non ci sarà più nessun luogo in
cui rifugiarsi.
Perciò solo un’azione concertata, che stabilisca un senso collettivo di affiliazione con l’intera biosfera
potrà assicurarci un futuro. Ma per questo ci serve una coscienza biosferica e una civiltà dell’empatia
in tempo utile per evitare il peggio.
aggiornamento
L’Italia è diventata quest’anno prima al mondo per installazione di impianti fotovoltaici ed ha prodotto nel corso
del 2011 una potenza di 6900 megawatt contro i 3.577 del 2010. Ci supera la sola Germania con 7.408 megawatt
nel 2011 e 5.923 nel 2010. (fonte: Federico Rampini, Repubblica del 10 genn.2012)
- nei settori idro e geoelettrico siamo al primo posto;
- nell’eolico siamo sesti, con 5800 megawatt in funzione.
Dopo il letargo di un ventennio sembra insomma che il nostro paese siamo tornati protagonisti delle energie
verdi. Non altrettanto possiamo dire sul versante della ricerca e della produzione di tecnologie. Manca una
visione che guidi le scelte strategiche energetiche di medio e lungo periodo. Dopo il referendum che ha bocciato
il nucleare si rende urgente una seria discussione sul tema. Germania e Gran Bretagna vogliono essere le
protagonisti nella rivoluzione energetica in corso. La Germania è più avanti e ha programmato la totale copertura
di energia verde entro quarant’anni.
(questi ultimi dati sono stati forniti dall’economista Tito Boeri (Internazionale, n.903 del 23-30 giugno 2011).
Internazionale è un settimanale che consiglio vivamente per tenersi informati e aggiornati.
a.s.
39