PROGRAMMA FINALE

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PROGRAMMA FINALE
Prof. Avv. Angelo Clarizia
APPUNTI PER LA RELAZIONE IN MATERIA DI CESSIONE DI
CREDITI DI APPALTO
1. Il sistema normativo in materia di cessione dei crediti verso la
P.A. costituito dagli articoli 26 L. 109/94 e 115 del D.P.R. 554/99 sconta
un’impostazione vincolistica, retaggio di una legislazione ultra centenaria
che riconosceva particolare tutela alla P.A. in veste di debitore ceduto.
Occorre infatti evidenziare che, sebbene sia stato abrogato, l’art. 339
della Legge 20 marzo 1865 all. F (che stabiliva “E’ vietata qualunque
cessione di credito o procure le quali non siano riconosciute …”), l’art. 115
cit. muove pur sempre dal principio di inopponibilità della cessione di
crediti verso la P.A., inopponibilità che può essere rimossa attraverso un
atto o un fatto comunque imputabile al debitore cedente (assenso espresso,
oppure comportamento inerte quale la mancata opposizione nel termine di
15 giorni).
D’altro canto, l’art. 115 cit. – che pur contiene qualche apertura – ha
un ambito limitato concernente le sole cessioni di corrispettivo in favore di
banche o intermediari finanziari nel concorso dei presupposti previsti dalla
legge n. 52/92: al di fuori di tale ambito trova tutt’ora applicazione l’art. 9
della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E che stabilisce che “sul prezzo dei
contratti in corso non potrà essere effettuato, né convenirsi cessione, se non
vi aderisca l’Amministrazione interessata”.
E’ solo con riferimento alle infrastrutture di cui alla legge obiettivo
che vi è un riallineamento con i principi privatistici; infatti, l’art. 9 comma
5 D.lg. 190/02 stabilisce che il soggetto aggiudicatore non può opporsi alla
cessione dei crediti effettuata dal contraente generale nell’ipotesi di cui
all’art. 26, comma 5 L. 109/94.
Il quadro normativo di riferimento è quindi molto articolato e
farraginoso, prevedendo in alcuni casi la rimovibilità della inopponibilità
della cessione solo con un atto di adesione, in altri casi l’opponibilità anche
per facta concludentia (decorso dal termine di 15 giorni), in altri casi
ancora la piena e diretta opponibilità per effetto della cessione: si enucleano
quindi diversi subsistemi di diritto speciale nell’ambito dei quali le norme
del codice civile e quelle della legge 52/92 potranno trovare diversa
espansione in ragione della loro compatibilità con le disposizioni di ciascun
sottosistema normativo di diritto speciale.
I limiti temporali del presente intervento consentono di soffermarsi
soltanto sul sistema dell’art. 115 D.P.R. 554/99, sul quale non ha comunque
inciso la Merloni quater: infatti, l’art. 26, comma 5 L. 109/94, cui si correla
la normativa regolamentare contenuta nell’art. 115, non è stato modificato
dalla legge 166/02.
2. Un primo ordine di questioni attiene al modo di configurarsi
dell’adesione rispetto al negozio di cessione del credito.
La dottrina, anche con riferimento specifico ai crediti da
corrispettivo di appalto pubblico, non ha dato soluzioni convergenti.
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Soffermandosi ai contributi nel settore del diritto amministrativo (invero
tutti datati, ma ancora autorevoli, anche perché il tema è raramente
esaminato dalla dottrina amministrativistica più recente), si ricorda
Zanobini che aveva affermato che in mancanza di assenso la cessione fosse
affetta da nullità relativa; il Lessona (di cui rimane mirabile per chiarezza e
completezza il contributo dato nell’articolo “La cessione dei crediti degli
appaltatori di opere pubbliche”, in Scritti Minori, Milano, 1958, 1060 ss.)
riteneva annullabile la cessione; Cianflone, con una tesi che più sembra
avvicinarsi alla soluzione data dai civilisti ai casi di incedibilità relativa, ha
affermato che l’assenso rende efficace nei confronti della P.A. un negozio
non solo valido, ma pure efficace inter partes.
Bisogna comunque ritenere che il riferimento normativo alla
inopponibilità ed alla inefficacia contenuto nel terzo comma dell’art. 115
D.P.R 554/99 induce a ritenere la piena vincolatività della cessione del
credito tra cedente e cessionario, cessione, che invece, rimane inefficace dal
lato della P.A. nella eventualità che la stessa esterni il rifiuto.
Occorre inoltre precisare che siffatto rifiuto si correla ad un
interesse a contenuto meramente negativo, diretto ad impedire che l’atto
dispositivo del credito spieghi i suoi effetti verso la P.A. qualora essa P.A.
ritenga in concreto che la cessione determini un pregiudizio alla regolare
esecuzione dei lavori.
Si è, quindi, portati ad escludere che l’assenso configuri una
condizione sospensiva della cessione, perché, salva diversa determinazione
del cedente e del cessionario, non è elemento accidentale del negozio
dispositivo del credito i cui effetti si producono tra cedente e cessionario,
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ma è atto che esplica i suoi effetti limitatamente alla sfera dell’interesse
della P.A. (per la giurisprudenza si rinvia a Cass., n. 13075/00 e Cass., n.
13261/00 che con diversa profondità di analisi affermano addirittura nel
contesto di operatività degli artt. 9 e 339 cit. – che non fanno riferimento
alla “inopponibilità” – che la cessione non accettata dalla P.A. è valida tra
le parti del negozio dispositivo e meramente inefficace nei confronti della
P.A.).
3. L’adesione rimuove il limite di non opponibilità verso la P.A. e,
come sopra detto, è atto esterno al rapporto di cessione.
Con essa si rimuove un limite posto dalla norma a tutela
dell’interesse della P.A. in veste di mero debitore: quindi l’interesse che
viene in rilievo è, per così dire, un interesse tutelato sul piano delle
relazioni di diritto privato della P.A.; nessun privilegium fisci la norma
accorda alla P.A.; l’unica prerogativa che essa ha è quello di opporsi alla
cessione secondo il modulo tipico delle cessioni che risultino non
opponibili per legge o per pattuizione.
Pertanto, l’interesse pubblico non entra nella causa dell’atto nel
quale l’adesione consiste, con la conseguenza che la determinazione della
P.A. è atto di diritto privato, come tale non oggetto di sindacato di
legittimità (secondo i noti parametri della violazione di legge, dell’eccesso
di potere e dell’incompetenza).
Anche l’adesione tacita (per decorso del termine di 15 giorni)
configura
un
comportamento
rilevante
esclusivamente
sul
piano
privatistico: in tal caso è la legge che accorda valore positivo al silenzio,
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considerando il “comportamento inerte” quale fatto produttivo degli effetti
della dichiarazione di adesione.
Infine, anche il rifiuto è atto privato, in quanto si correla ad un
interesse (della P.A.) valutato dalla norma – per quanto sopra chiarito –
nell’ottica della mera posizione debitoria della P.A. stessa.
Quindi, anche l’atto di rifiuto appare insindacabile.
4. Il vincolo di incedibilità previsto dalle norme speciali sui lavori
pubblici, secondo costante giurisprudenza, può essere operativo solo in
costanza di esecuzione dei lavori.
In effetti, soltanto l’art. 9 L. 2248 del 1865 all. E, tuttora in vigore,
correla espressamente la facoltà di non aderire alla cessione del credito fin
quanto i lavori sono in fase di esecuzione (“sul prezzo dei contratti in corso
…”).
Ma, la giurisprudenza ha ritenuto che il presupposto secondo il
quale
“l’esaurimento
della
esecuzione
del
contratto
determina
l’insussistenza della causa di inefficacia della cessione” sia valido anche nel
caso di incedibilità sancita dall’art. 339 L. 2248 del 1865 all. F (ora
abrogato) che pur non conteneva un riferimento esplicito all’esecuzione in
corso.
In particolare e da ultimo la Cassazione con sentenza n.
13075/00, cit., ha affermato che il divieto dell’art. 339 ha la stessa
ratio di quello dell’art 9, sicchè anche nel caso dell’art. 339 deve
ritenersi che la facoltà di non aderire cessa dopo l’approvazione del
collaudo. In particolare, il giudice di legittimità ha precisato che:
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“Identica
ratio
presiede
alla
contemporanea
disposizione
dell’art.339 cit., ricollegandosi alla norma più generale dell’art.9; in
armonia con essa vieta, in particolare, nel contratto di appalto
“qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non
siano riconosciute”, riservando all’amministrazione appaltante la
facoltà discrezionale di “riconoscere”, mediante l’espressione del
proprio assenso, che la cessione del credito costituito dal
corrispettivo dell’appalto, non pregiudica la regolare esecuzione del
contratto e non altera le garanzie previste per la stessa
amministrazione nel caso di eventuale inadempimento da parte
dell’appaltatore. Per cui, siccome questo identico divieto è rivolto,
pur esso, a tutelare le ragioni dell’ente pubblico appaltante durante
lo svolgimento del rapporto, anche in base a questa disposizione, il
cui tenore è stato ribadito dall’art.22 della legge 203 del 1991, il
divieto cessa allorchè lo stesso è esaurito lasciando immutata anche
per gli appalti di opera pubblica la distinzione tra contratti in corso e
contratti che più non lo sono posta dalla norma generale: così come
ha confermato l’art.70 del r.d. 2440 del 1923, il quale prescrive che
per le some dovute dalla P.A. “per somministrazioni, forniture ed
appalti” devono essere osservate le norme del ricordato art.9 che il
divieto di cessione limita “ai contratti in corso”.
L’art. 115 D.P.R. 554/99 non contiene alcun riferimento alla
esecuzione dei lavori in corso. Tuttavia si ritiene che tale requisito
costituisca anche presupposto di operatività della norma da ultimo citata, in
quanto l’interesse tutelato attraverso l’inopponibilità è quello di assicurare
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la regolare esecuzione dei lavori, regolarità che potrebbe essere vulnerata
ove si consentissero operazioni sul credito da corrispettivo sottratte a
qualsiasi verifica della P.A.
D’altro canto, risulterebbe non coerente, rispetto al sistema (che si
basa ancora sulla norma generale dell’art. 9 L. 2248 del 1865 all. E, non
abrogato), ritenere che l’art. 115 cit., nel mentre limita il diritto della P.A.,
sottoponendone l’esercizio a restrizioni temporali in precedenza non
previste, ne amplia la sfera operativa anche alla fase successiva alla
approvazione dell’opera, fase espressamente esclusa dalla norma generale
dell’art. 9 cit..
La fase nella quale il contratto di appalto potrà non considerarsi in
corso di esecuzione, coincide con l’accettazione dell’opera che si
concretizza nell’atto di approvazione del collaudo, attività questa che non
ammette equipollenti, salvo i casi espressamente previsti dalla legge in cui
il certificato di regolare esecuzione dei lavori può sostituire il certificato di
collaudo.
Non è sufficiente la mera ultimazione dell’opera o la presa in
consegna dei lavori poiché, successivamente a dette circostanze, sorge il
diritto di verificare l’opera stessa da parte della P.A., potendo essa chiedere
che le eventuali difformità o vizi riscontrati
siano eliminati a
spese
dell’appaltatore, ovvero rifiutarne la consegna se dalle verifiche risulti che
l’opera presenta tali difformità o vizi dall’essere del tutto inadatta alla sua
destinazione.
Pertanto, la presa in consegna costituisce soltanto un momento
ulteriore dell’appalto, concretandosi in un fatto materiale che si attua
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mediante la traditio e la ricezione del bene da parte del committente, il
quale da quel momento ne diviene soltanto depositario; la consegna,
perciò, non esaurisce i diritti e gli obblighi delle parti, laddove siffatta
funzione è devoluta dalla legge all’accettazione dell’opera, cioè all’atto di
volontà conclusivo con cui il committente, dichiarando di voler accogliere
la prestazione dell’opera, determina il rilevante effetto di esonerare
l’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità, conosciuti o
conoscibili dell’opera e di rendere esigibile il pagamento del prezzo, così
ponendo fine ad ogni possibile rapporto derivante dall’appalto (cfr.: Cass.,
n. 11516/93, Cass., I, 1962/80 e Cass. n. 13075/00 che ritengono irrilevante
la circostanza che l’appaltatore, prima dell’approvazione del collaudo,
abbia messo a disposizione della P.A. i lavori e l’opera eseguiti).
Nel contesto del sistema definito dalla legge sui lavori pubblici è
(ripetesi) soltanto con l’atto di approvazione del collaudo – salvo il caso in
cui il certificato di regolare esecuzione tiene luogo del collaudo – da parte
della P.A. che si pone
fine al rapporto esecutivo, costituendo
l’approvazione lo strumento attraverso il quale l’Amministrazione fa
proprie le conclusioni del collaudatore ed esprime la volontà di accettazione
dell’opera (Cass. n. 13075/00, Cass. n. 13261/00, Cass. n. 990/1995, Cass.,
n. 9590/93, Cass. n. 2203/88, Cass. n. 3647/71).
Giova sottolineare che l’art. 28, comma 3, L. 109/94 stabilisce che
per tutti i lavori pubblici deve essere redatto un certificato di collaudo da
sottoporre all’approvazione della P.A.; sono esclusi gli appalti di importo
inferiore a 200.000 Ecu e – nel caso di specifica determinazione in tal senso
della Stazione Appaltante– gli appalti d’importo compreso tra i 200 mila
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Ecu e un milione di Ecu, casi questi in cui il certificato di regolare
esecuzione tiene luogo del collaudo.
Del resto, anche gli artt. 172 e 173 D.P.R. n. 554/99 affermano il
rilievo meramente “propedeutico” rispettivamente del certificato di
ultimazione dei lavori e del conto finale; i successivi artt. 187 e 200,
precisando in particolare che la presa in consegna anticipata non incide sul
giudizio definitivo sui lavori e su tutte le questioni che possono sorgere al
riguardo e sulle eventuali e conseguenti responsabilità dell’appaltatore, il
tutto nella prospettiva che la presa in consegna dei lavori eseguiti non
equivale ad accettazione definitiva dell’opera.
L’art. 195 D.P.R. 554/99 statuisce inoltre che la relazione di
collaudo ha la natura di mera dichiarazione di scienza, e quindi che essa
non è atto della P.A. committente.
L’art. 204 D.P.R. 554 cit. statuendo che l’Amministrazione
“delibera entro sessanta giorni sull’ammissibilità del collaudo e sulle
domande” conferma la centralità della determinazione della P.A. ai fini
della accettazione dell’opera, non potendosi considerare accettate le opere a
fronte del mero completamento delle attività dei collaudatori; l’art. 205
D.P.R. 554 cit. stabilisce, infine, che il pagamento della rata di saldo non
costituisce presunzione di accettazione dell’opera ai sensi dell’art. 1666,
secondo comma c.c.
5. L’adesione alla cessione del credito può concretizzarsi nel
pagamento spontaneo al cessionario o in una dichiarazione con la quale
l’Amministrazione attesta che pagherà il debito al cessionario.
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L’adesione può utilmente perfezionarsi con il pagamento spontaneo
o con una specifica determinazione successiva alla cessione solo se i citati
eventi si verificano prima del decorso dei 15 giorni assegnati dall’art.115
alla P.A. per rifiutare la cessione; altrimenti, il mero decorso del predetto
termine produce automaticamente l’effetto di rendere pienamente
opponibile alla P.A la cessione.
L’autonomia dell’adesione rispetto al negozio dispositivo del credito
implica che, sino all’adesione, la P.A. non può considerarsi vincolata verso
il cessionario.
Nel sistema dell’art. 1264 c.c. la notifica è di norma finalizzata a far
conoscere al debitore la mutata titolarità del credito e, nel contempo, a
determinare in capo al debitore ceduto l’obbligo di pagare il cessionario,
obbligo che la legge correla anche alla accettazione di cui all’art. 1264 c.c.
Nel sistema delle cessioni di crediti verso la P.A. soggette ad
adesione, la notifica ha la funzione di portare a conoscenza della P.A.
debitrice la cessione e di produrre l’effetto di far decorrere il termine
assegnato alla P.A. per rifiutare la cessione, ma non pregiudica il diritto
della P.A. di pagare il corrispettivo all’appaltatore, nell’eventualità in cui
essa P.A., si opponga alla cessione nei termini e forme stabilite dall’art.
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Il D.P.R. 554 inoltre ammette, inoltre, in linea con la previsione
della legge 52/92 che la P.A. possa riconoscersi debitrice ancor prima della
cessione del credito.
Stabilisce, infatti, il quarto comma dell’art. 115 del D.P.R. 554/99
che “l’Amministrazione pubblica, al momento della stipula del contratto o
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contestualmente, può preventivamente riconoscere la cessione da parte
dell’appaltatore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a
maturazione”.
6. Per quanto attiene alla forma dell’atto di cessione del credito l’art.
115 D.P.R. 554/99 conferma le disposizioni contenute nell’art. 69 R.D. n.
2240 del 1923, tutt’ora in vigore che prescrivono l’atto pubblico o la
scrittura privata autenticata.
E’ pacifico, in giurisprudenza, che la forma prescritta dalle norme
speciali richiamate è finalizzata a rendere certi nei confronti della P.A. il
contenuto, la provenienza e la data della cessione del credito; la forma si
intende comunque prescritta ai fini della sola opponibilità alla P.A. della
cessione (“le cessioni devono risultare da atto pubblico….:”), ma non
costituisce elemento costitutivo della fattispecie dispositiva del credito (ad
essentiam negotii): quindi, la cessione si perfeziona, come di ordinario, per
effetto del semplice incontro delle volontà del cedente e del cessionario, ma
non è efficace nei confronti della pubblica amministrazione se non risulta
da atto pubblico o da scrittura privata autenticata.
Giova evidenziare che secondo l’orientamento prevalente, la
disposizione sulla forma dell’atto di cessione non ammette equipollenti ai
fini dell’opponibilità alla P.A.; si è escluso, quindi, che il difetto di forma
possa essere supplito con un successivo accertamento giudiziale
sull’autenticità delle firme del cedente e del cessionario (Cass., 20 n.
3887/75, Cass. n. 11153/00, Trib. Milano 25 gennaio 1968. Contra:
Cianflone A., Giovannini G., L’appalto di opere pubbliche, Milano, 1999,
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814, per i quali la cessione acquista efficacia verso la P.A. ove con sentenza
risulti confermata la verità della cessione o l’autenticità della firma) o che
sia sufficiente l’autentica della sola firma del cedente (Cass., n. 7020/97,
che ha statuito che al fine dell’opponibilità alla Pubblica amministrazione
della cessione di credito, l’autentica notarile richiesta dall’art. 69 del R.D.
n. 2440 del 1923, deve riferirsi alle sottoscrizioni di tutte le parti che hanno
posto in essere la cessione); si è, infine, escluso che l’accettazione da parte
della P.A. renda opponibile ad essa la cessione posta in essere in difetto
delle forme prescritte (Cass. n. 3887/75, Cass. n. 7020/97, n. 1286/84, cfr.
altresì, Cass. n. 4105/92, Cass. n. 9428/87).
Più recentemente si è affermato, comunque, che la cessione anche se
priva delle forme prescritte, deve ritenersi opponibile alla P.A. nel caso in
cui essa Amministrazione abbia aderito alla cessione e si sia riconosciuta
debitrice nei confronti del cessionario del credito trasferito senza il rispetto
delle forme indicate a seguito di accertamenti accurati da parte della P.A.
(Cass. n. 15153/00, cfr. altresì, Cass.n. 8387/87).
7. L’art. 115 cit. stabilisce che la cessione del credito da
corrispettivo di appalto è efficace e opponibile alla P.A. qualora questa non
la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro
15 giorni dalla notifica della cessione.
La disposizione non precisa la forma della “comunicazione”, ma
l’onere di notifica della stessa induce a concludere che debba manifestarsi
con un atto scritto.
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