Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è

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Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è
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Tecnologia, innovazione, operations
Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è stato il primo studioso che ha aiutato a comprendere il portato della tecnologia nell’ambito del
sistema economico.
Grazie ai suoi studi seminali sulla produttività dei sistemi economici, che lo
hanno insignito del premio Nobel nel 1981, lo studioso americano è riuscito a
illustrare l’impatto complessivo dell’innovazione tecnologica ai fini della formazione del PIL di un paese.
Quello che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, veniva rilevato negli studi
economici sulla crescita del prodotto interno lordo di un paese come «residuo»
statistico, ovvero la componente di crescita non spiegata, fu per la prima volta
ascritto al progresso tecnico nel celebre studio relativo alla crescita del PIL pro
capite statunitense fra il 1909 e il 1949 (Solow, 1957).
Sulla base dell’indagine pluriennale emergeva come l’innovazione tecnologica avrebbe aiutato ad aumentare la produttività che si può ottenere da una determinata quantità di fattori di produzione, intesi questi ultimi in termini di capitale e lavoro.
Il «residuo di Solow» rappresenta quindi una pietra miliare dell’economia;
ed è anche grazie a Solow se oggi la politica economica dei paesi è impostata
sulla comprensione dell’evoluzione tecnologica e sul miglioramento della qualità dell’innovazione tecnologica.
A questo proposito la Fig. 1.1 descrive la crescita del PIL pro capite di una
serie di economie a diverso grado di modernizzazione.
La rilevanza della tecnologia a livello nazionale e internazionale ha portato
l’Unione Europea a definire specifici parametri di crescita di sviluppo il cui
Figura 1.1 Il PIL pro capite nell’orizzonte temporale 1971-2003
Dollari
30.000
Economie sviluppate
Mondo
Economie in sviluppo
15.000
5.000
0
1971
Fonte: Schilling (2005)
1983
1991
2003
5
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
rispetto potrà essere foriero di importanti risultati a livello macroeconomico. In
particolare, la strategia di Lisbona, definita durante il Consiglio Europeo del
2000, si propone di far divenire l’Europa, entro il 2010, «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile – possibile attraverso competitività, innovazione
e promozione della cultura imprenditoriale e così via – con nuovi e migliori
posti di lavoro e una maggiore coesione sociale» (Consiglio Europeo di Lisbona, marzo 2000, paragrafo 5).
Sono tre gli strumenti chiave, strettamente interrelati, sui quali strutturare e
implementare le azioni volte al raggiungimento di un simile traguardo: la scienza, la tecnologia e l’innovazione. In tale direzione, tra i diversi obiettivi preposti, sono due ad assumere una particolare rilevanza: il raggiungimento entro il
2010 di un livello medio di spesa in Ricerca & Sviluppo pari al 3 per cento del
PIL e una forte accelerazione del processo di riforma strutturale ai fini della
competitività, e soprattutto dell’innovazione, del sistema1.
La spesa in R&S è un classico e naturale indicatore di crescita di competitività
di un paese nel lungo periodo.
Se l’innovazione è, infatti, il cuore della produttività di un paese, l’investimento in R&S ne costituisce una delle chiavi strategiche.
Il grafico espresso in Fig. 1.2, con riferimento a quest’ultimo punto, evidenzia
Figura 1.2 Spesa in Ricerca & Sviluppo (percentuale del PIL, 2004)
5
4
3
2
1
Per informazioni più analitiche si rinvia alla fonte: www.governo.it.
Messico
Grecia
Polonia
Turchia
Portogallo
Spagna
Repubblica Slovacca
Fonte: http://www.oecd.org/home
Ungheria
Italia
Nuova Zelanda
Irlanda
Australia
Repubblica Ceca
Norvegia
Paesi Bassi
Lussemburgo
Media Europa a 25
Belgio
Regno Unito
Francia
Canada
Media OCSE
Austria
Svizzera
Germania
Danimarca
Corea del Sud
Islanda
Stati Uniti
Giappone
Svezia
0
Finlandia
1
6
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 1.1 Livello medio di spesa in Ricerca & Sviluppo come percentuale del PIL
(1994-2004)
EU (25 paesi)
EU (15 paesi)
1994
—
1,89
1995
1,85
1,88
1996
1,83
1,87
1997
1,82
1,87
1998
1,83
1,87
1999
1,87
1,92
2000
1,89
1,94
2001
1,93
1,98
2002
1,93
1,98
2003
1,92
1,97
2004
1,90
1,95
* I dati riportati nella tabella sono stime e valori previsti elaborati da Eurostat
Fonte: http://epp.eurostat.cec.eu.int/portal/page
una situazione fortemente articolata e differente tra i diversi paesi dell’Unione
Europea: la Svezia e la Finlandia, per esempio, registrano una percentuale di
spesa perfino maggiore dell’obiettivo del 3 per cento di cui si è detto sopra,
mentre l’Italia non riveste evidentemente una posizione di rilievo.
La Tab. 1.1, inoltre, mostra una percentuale media di spesa (EU-25) che dal
2001 si attesta intorno all’1,92 per cento e che risulta essere non solo inferiore,
per più di un punto percentuale, dall’obiettivo preposto, ma anche, in un panorama competitivo sempre più globale, dai valori registrati dagli Stati Uniti (2,7
per cento nel 2003) e dal Giappone (3,1 per cento nel 2002).
Come si può osservare, la situazione europea che emerge non sembra essere
tra le più rosee.
A questo proposito in European Innovation Scoreboard e la posizione dell’Italia si
forniscono una serie di dati puntuali legati a questo tema.
European Innovation Scoreboard e la posizione dell’Italia
Al fine di una visione più completa, è possibile dare uno sguardo, tra le altri fonti, ai dati
prodotti nell’ambito dell’European Innovation Scoreboard (EIS) – il quadro di valutazione
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
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Figura 1.3 Il Summary Innovation Index
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
Turchia
Romania
Malta
Lettonia
Grecia
Repubblica Slovacca
Polonia
Bulgaria
Repubblica Ceca
Lituania
Portogallo
Cipro
Spagna
Ungheria
Slovenia
Estonia
Italia
Norvegia
Irlanda
Media Europa a 25
Lussemburgo
Islanda
Francia
Media Europa a 15
Regno Unito
Paesi Bassi
Belgio
Austria
Germania
Stati Uniti
Danimarca
Giappone
Finlandia
Svizzera
Svezia
0,0
Fonte: http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2005/pdf/EIS%202005.pdf
(costituito da 26 indicatori) dell’innovazione predisposto dalla Commissione Europea in
seguito al Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 – in cui l’innovazione è stata identificata
come una priorità dell’Unione (www.cordis.lu). Se a un livello di media di singoli indicatori
emergono alcuni risultati confortanti, gli indicatori sintetici, che riassumono il potenziale
complessivo di innovazione, non risultano così positivi se confrontati, a livello globale,
con gli altri paesi (quali, per esempio, il Giappone e gli Stati Uniti). Gli indicatori dell’EIS,
infatti, una volta aggregati, forniscono un indice sintetico: il Summary Innovation Index
(SII), e quest’ultimo, riportato di seguito, evidenzia – a livello comunitario – una palese
posizione di singoli innovation leader di paesi quali la Svezia, Finlandia, Danimarca e Germania, e colloca l’Italia in una posizione intermedia (Fig. 1.3).
La posizione non peculiare dell’Unione Europea, nell’ambito di un quadro in cui è stata
riconosciuta la stretta connessione della spesa in Ricerca & Sviluppo al tessuto socio-economico di un paese e il ruolo chiave dell’innovazione tecnologica nel sostenimento di una
competizione sempre più globale tra i paesi, merita però, con riferimento all’Italia, un’ulteriore osservazione.
Distaccandosi da una analisi di sintesi, è interessante porre attenzione, infatti, su uno dei 26
indicatori, singolare rilevatore del livello dell’innovazione tecnologica di un paese: la vendita
di prodotti innovativi al mercato.
Sebbene l’Italia non si sia distinta, negli ultimi anni, quale un paese fortemente investitore in
Ricerca & Sviluppo, è emersa, però, come interessante «innovatore» (si veda la Tab. 1.2)
registrando, nel 2005, uno dei valori percentuali più alti tra i diversi paesi, e avendo già registrato, nel 2004, un valore pari a 9,5 per cento rispetto a una media europea (EU-15) del 5,9
per cento (http://www.innovazione.gov.it/).
Questo risultato trova giustificazione nell’esistenza – all’interno del tessuto industriale italiano – di una creatività e capacità di innovazione (di prodotto, di processo) «sommersa», non
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Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 1.2 Vendita di prodotti innovativi al mercato come percentuale sul fatturato
industriale (2005)
Media Europa a 25
n.a.
Media Europa a 25
n.a.
Belgio
5,1
Media Europa a 15
n.a.
Repubblica Ceca
1,4
Austria
7,6
Danimarca
5,9
Polonia
3,4
Germania
4,5
Portogallo
Estonia
4,5
Slovenia
Grecia
2,9
Repubblica Slovacca
Spagna
4,5
Finlandia
5,1
Francia
5,8
Svezia
—
Irlanda
—
Regno Unito
1,7
10,8
3,5
10,9
Italia
8,1
Bulgaria
2,1
Cipro
1,4
Romania
7,6
Lettonia
1,5
Turchia
—
Lituania
4,3
Svizzera
—
Lussemburgo
9,1
Islanda
2,0
Ungheria
0,8
Norvegia
1,9
Malta
4,8
Stati Uniti
—
Paesi Bassi
3,8
Giappone
—
Fonte: http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2005/scoreboard_papers.cfm
formalizzata, e quindi non facilmente valutabile e documentabile nei documenti ufficiali (per
esempio, il bilancio d’esercizio).
Se dal punto di vista macroeconomico la tecnologia rappresenta uno dei fattori
portanti dello sviluppo, dal punto di vista industriale essa rappresenta l’ossatura
di un settore. Essa infatti incide in modo evidente sulla produttività e dinamica
industriale. Da una parte, la tecnologia contribuisce a plasmare e consolidare le
barriere all’entrata che proteggono i concorrenti dagli operatori non presenti nell’industria; per esempio, l’analisi intertemporale della produttività dei settori rappresentati nella Fig. 1.4 e la difficoltà di ingresso negli stessi, seppur ascrivibile a
diversi antecedenti, è dovuta, in buona sostanza, anche alle caratteristiche della
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1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
ROE-Ke
Figura 1.4 La diversa produttività dei settori nell’ambito dell’economia statunitense
(1978-1994)
20%
15%
–15%
0
300
Fonte: Ghemawat (1999)
Steel
Airline
Paper
Software
Automobile
Retailing
Oil
Banks
Chemicals
Newspaper
200
Financial services
100
–10%
Consumer electronic
Food
–5%
House
0%
Health
Pharmaceutical
Softdrink
Tobacco
Rubber
5%
Machinery
10%
400 500 600 700 800 900 1.000 1.100 1.200 1.300
Media del capitale investito (miliardi di dollari statunitensi)
tecnologia. Dall’altra parte, la dinamica tecnologica può evolversi in modo endogeno, rafforzando le barriere all’entrata illustrate nella figura (come è accaduto
nel caso dei settori farmaceutico e automobilistico), oppure può comportare processi di convergenza intersettoriale che conducono a un intreccio strategico tra
settori differenti. A questo proposito, la Fig. 1.5 evidenzia la recente convergenza
di device nell’ambito delle tecnologie di comunicazione. I settori televisivo, informatico e telefonico hanno difatti, nel corso degli anni, subito un profondo processo di convergenza sia dal punto di vista delle infrastrutture che dei contenuti editoriali. La tecnologia, in sostanza, tanto dal punto di vista statico quanto dinamico
rappresenta un fondamentale antecedente della struttura dei settori.
Più precisamente, la ricerca seminale compiuta da Pavitt e più recentemente
anche dai suoi colleghi (Pavitt, 1984; Tidd, Bessant e Pavitt, 1997) ha permesso di
classificare i settori dell’economia a seconda delle uniformità tecnologiche di
riferimento in:
•
•
•
•
•
supplier dominated;
scale intensive;
science based;
information intensive;
specialized suppliers.
10
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 1.5 La convergenza tecnologica nei sistemi di trasmissione, tecnologie
di comunicazione e terminali di connessione
Terminali/End device:
Telefoni cellulari, Smartphone, Personal Computer, Personal Data Assistance (PDA),
Personal Digital Assistant (PDA), TV, Notebook ecc.
Tecnologie di comunicazione:
Short Message System (SMS), Multimedia Message Service (MMS),
Wireless Application Protocol (WAP),
Voice over Internet Protocol (VoIP), Digital Audio Broadcasting (DAB), Linux ecc.
Sistemi trasmissivi/Sistemi di networking
Locali o Wireless Local Area Network (WLAN)
Ad ampio raggio o Wide Area Network (WAN)
Sistema di networking che connette End device
presenti all’interno di un’area limitata.
Le reti Wi-Fi costituiscono
più diffuso di una tecnologia WLAN.
Sistema di networking che connette End device
presenti all’interno di uno Stato, continente
o l’esempio nell’intero pianeta.
Internet è un esempio di rete mondiale.
Fonte: Prandelli e Verona (2006a)
La Tab. 1.3 illustra le caratteristiche principali dei settori in questione e, sulla
base della ricerca compiuta negli ultimi anni da diversi studiosi di economia
industriale, identifica anche le principali fonti del vantaggio competitivo sostenibile nel breve e nel lungo termine con specifico riferimento alle traiettorie
tecnologiche.
A questo proposito, si può osservare come, nonostante la tecnologia presenti
delle profonde specificità di natura settoriale, essa si caratterizzi altresì per delle
uniformità che consentono di tagliare trasversalmente interi gruppi di settori. In
particolare, è evidente la dipendenza della dinamica competitiva dalle caratteristiche industriali dei diversi settori, plasmate a loro volta dalla natura della tecnologia a disposizione negli stessi.
• Agricoltura
• Servizi
• Produzione
tradizionale
Supplier dominated
•
•
•
•
•
Bulk material
Consumo durevole
Automobili
Ingegneria civile
Engineering
Scale intensive
• Elettronico
• Chimico
Science based
Finanza
Retailing
Editoria
Viaggi
• Fornitori
• Sofwtare
•
•
•
•
Information intensive
• Progettazione
• Utenti chiave
• Macchinari
• Strumentistica
• Software
Specialized suppliers
Risposta flessibile nei con- Diffusione di best practice Ottenimento di risorse Allineamento delle oppor- Forte legame con i lead
fronti degli utenti
nel design nella produzio- complementari
tunità informatiche con user
ne e nella distribuzione
utenza
Processi
chiave
Fonte: Tidd, Bessant e Pavitt (1997)
Crescente impiego di IT in Integrazione incrementale Sfruttamento di ricerca di Progettazione e gestione Allineamento delle opporfinanza e distribuzione
di nuova conoscenza
base
di complessi sistemi di tunità tecnologiche con
trattamento dell’informa- utenza
zione
Sentieri
evolutivi
Vantaggio
Non basato sulla tecnolo- Basato su efficienza e su Basato su prodotti com- Basato su continui nuovi Basato su monitoraggio
competitivo gia
standardizzazione
plessi
prodotti e servizi
dei bisogni dei clienti
• Ricerca & Sviluppo
Principale
• Fornitori
• Fornitori
fonte
• Apprendimento nella • Apprendimento nella • Ricerca di base
tecnologica
produzione
produzione
• Ingegnerizzazione nella produzione
Esempi
di prodotti
Settore
Tabella 1.3 Le principali caratteristiche strutturali e traiettorie tecnologiche dei cinque settori in cui è articolabile il sistema industriale
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
11
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
13
Attività di supporto
Figura 1.6 La value chain
Infrastruttura dell’impresa
M
Human Resource Management
ar
g
in
Information Technology
i
Procurement
Logistica
in entrata
Operations
Logistica
in uscita
Marketing
and Sales
Customers
support
i
in
g
ar
M
Attività primarie
Fonte: Porter (1985); Grant (1999)
Seguendo una rappresentazione tradizionale dell’impresa, intesa in qualità di
catena del valore (Fig. 1.6), è possibile constatare come tutte le attività alla base
della produzione di valore, siano esse attività primarie (ovvero logistica in entrata,
produzione, logistica in uscita, marketing e vendite, servizi post vendita) o attività
di supporto (infrastruttura, human resource management, sistemi informativi, acquisti), dipendano più o meno direttamente dalla tecnologia. Come si evince dalla
Fig. 1.7, tutte le attività possono infatti essere svolte, o comunque sostanzialmente
migliorate, grazie all’impiego di specifiche conoscenze tecniche, che le singole
funzioni aziendali devono impiegare per la loro gestione. Il presidio delle conoscenze legate a quelle attività risulta rilevante per sostenere il vantaggio competitivo e pone la tecnologia al centro della creazione di valore.
Anche nelle rappresentazioni più moderne dell’impresa, la tecnologia svolge un
ruolo cardine, poiché è strettamente idiosincratica a tutti i prodotti e processi aziendali. Da una parte, infatti, i prodotti e servizi di cui un’azienda dispone in portafoglio si fondano su specifiche tecnologie. Ciascun prodotto e servizio è di norma
scomponibile in tecnologie di base possedute da un’azienda (Fusfeld, 1978); è noto,
per esempio, che tutti i prodotti presenti nel portafoglio di Canon all’inizio degli
anni Novanta erano, da un punto di vista tecnologico, descrivibili sulla base di almeno una delle tre tecnologie distintive che hanno reso l’azienda giapponese una multinazionale di successo nel corso degli anni Ottanta: la meccanica di precisione, la
microelettronica e l’ottica di precisione (Prahalad e Hamel, 1990)3. Seguendo una
logica resource-based diventa, quindi, naturale attribuire centralità alla tecnologia
in qualità di infrastruttura cardine dell’impresa.
3
Su questo punto, e su questa esemplificazione, si tornerà ampiamente nel capitolo 3.
• Knowledge transfer e dissemination on line
• Reporting delle spese e del tempo elettronico
Fonte: Porter (2001)
Logistica in uscita
• Transazioni in tempo reale
verso consumatori finali,
distributori, clienti intermedi
o personale di vendita
• Termini automatizzati
di contratti legati
agli agreement con i clienti
• Accesso della forza di vendita,
del canale e dei partner
allo sviluppo prodotti
• Integrazione collaborativa
con il sistema di pianificazione
del cliente
• Channel management
integrato
Operations
• Informazione completamente
integrata, relativa allo scambio,
alla tempistica
e al decision making
della produzione interna
• Informazione in tempo reale
e perfettamente integrata
relativa alle componenti
e ai prodotti finiti da trasferire
alla sales force e ai canali
Logistica in entrata
• Canali di vendita on line
• Accesso alle informazioni
sul cliente in tempo reale
• Configuratori di prodotto
on line
• Push advertising
• Accesso customizzato
del cliente
• Analisi on lined ei clienti
prodotta in tempo reale
Marketing e sales
• Supporto al cliente attraverso
sistemi di e-mailing
e telemarketing
• Customer selfservice attraverso
il web site e i servizi intelligenti
• Accesso della forza di vendita
in tempo reale
sui customers account
Servizio post vendita
• Requisiti a pagare automatizzati
• Procurement diretto e indiretto attraverso marketplace, private e public exchange
Procurement
• Directories accessibili da tutte le partidell’azienda
• Accesso alla R&S in tempo reale alle on line sales e ai servizi informativi
• Scheduling, shipping, gestione
magazzino, integrati in tempo
reale all’interno dell’impresa
e tra le imprese fornitrici
e i clienti
• Disseminazione all’interno
dell’impresa di informazione
completa e in progress,
elaborata in tempo reale
• Pianificazione della domanda basata su Internet
• Link con i fornitori su acquisti, magazzino e sistemi diprevisione
• Sviluppo dei prodotti tra diverse funzioni, diverse località geografiche
e diverse catene del valore
Information Technology
• Amministrazione self service dei beneficiindividuali
• E-learning per la formazione
Human resource management
• ERP basati sul web
• Gestione delle relazioni on line
Infrastruttura dell’impresa
Figura 1.7 La tecnologia alla base della catena del valore
14
Tecnologia, innovazione, operations
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
15
Figura 1.8 I processi gestionali che alimentano l’impresa in una concezione moderna
Innovation
Operations
Economie di velocità
Economie di scala
CRM
Economie di varietà
Fonte: Hagel e Singer (1999)
Dall’altra parte, la tecnologia informa i processi gestionali che alimentano nel
corso degli anni la vita delle aziende. Per esempio, facendo propria l’articolazione
d’impresa impostata sui processi di innovazione, operations e customer relationship management (Hagel e Singer, 1999), si può facilmente constatare come la
tecnologia rappresenti il perno sui cui vengono gestite alcune delle scelte più delicate a livello aziendale (Fig. 1.8).
Entrando più direttamente nel merito, il processo di operations, volto a preservare la continuità aziendale dal punto di vista tecnico-produttivo e l’efficienza economica dei processi di trasformazione fisico-tecnica, si basa sul conseguimento e sfruttamento delle economie di scala; il processo di customer relationship management, finalizzato a sviluppare nuove relazioni di mercato e a
preservarle nel tempo con un’azione di marketing efficace, si fonda, invece, sulle economie di raggio di azione.
Infine, il processo di sviluppo prodotti, legato al rinnovamento continuo del
portafoglio prodotti aziendale e conseguentemente della stessa immagine dell’impresa, si basa sulla velocità ovvero sul conseguimento del time to market
prima dei concorrenti. Ciascuno di questi tre processi, richiedendo una logica
gestionale dedicata, dovrà basarsi su specifiche tecnologie di supporto sostanzialmente differenti.
La relazione più diretta tra tecnologia ed economia d’impresa si riferisce
anche al fatto che il vantaggio competitivo sostenibile è negli ultimi anni sempre più associato alla capacità di generare conoscenza e innovazione, ovvero di
cambiare in modo dinamico la tecnologia di riferimento (Teece, Pisano e Shuen, 1997).
Lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti e servizi sono quindi divenute, per le
imprese, attività imprescindibili ai fini della crescita e del miglioramento continuo delle stesse.
18
Tecnologia, innovazione, operations
cologici non sono solamente legate alle scienze biologiche, bensì anche di natura informatica. E difatti, negli ultimi anni, si è assistito a un impressionante incremento di esperti di
informatica nei laboratori delle imprese farmaceutiche.
Le peculiarità dei test su computer è giunta a portare alla formazione di nuove discipline,
tra cui la chimica combinatoriale, che permette di creare migliaia di composti virtuali, e
l’High Throughput Screening, che completa il procedimento, permettendo di effettuare
screening su migliaia di composti. A questo proposito, si pensi che sino a qualche anno fa
un laboratorio era mediamente in grado di sintetizzare 300 o 400 sostanze al mese. Oggi,
invece, grazie alla chimica combinatoriale è possibile operare lo screening su addirittura
20.000 nuove sostanze al mese.
Similmente, anche la capacità di High Throughput Screening sta crescendo a livello esponenziale. Mentre nei primi anni Novanta la tecnologia robotizzata permetteva di testare
alcune migliaia di sostanze al giorno, oggi la media giornaliera è salita a più di 100.000
sostanze al giorno (per tutti si guardino i dati nell’ambito di www.phrma.org). In sintesi le
tecnologie digitali favoriscono un costante presidio della conoscenza e rappresentano un
importante strumento per l’innovazione.
La tecnologia oltre quindi a dipendere dalla scienza dal punto di vista eziologico, ne è anche profondamente somigliante dal punto di vista del funzionamento e
dell’evoluzione. Anzi, è interessante notare che le principali divergenze che si
possono riscontrare dall’impiego di questa metafora evolutiva dipendono dal fatto
che la scienza tende a essere interamente codificata poiché si riconduce al sapere
astratto, mentre in realtà gran parte della conoscenza relativa alla tecnologia è
meno articolata e quindi meno codificata, essendo parte delle esperienze e a volte
anche delle conoscenze tacite (Dosi, 1982).
Al pari dell’evoluzione scientifica, i fattori che incidono nella definizione di
specifiche traiettorie tecnologiche sono rappresentati dalle imprese, dai mercati e
dalle istituzioni in generale.
A questo proposito è possibile ipotizzare in modo esplicito l’esistenza di una
filiera cognitiva, volta alla produzione di valore che, dal sapere astratto del sistema scientifico, giunge sino al sapere concreto dell’ambiente operativo in cui operano le imprese (Fig. 1.9).
Da un punto di vista storico, in effetti, in tutti gli stadi dello sviluppo del capitaFigura 1.9 La filiera cognitiva del capitalismo industriale
Scienza
Fonte: Di Bernardo e Rullani (1990)
Tecnologia
Organizzazione
Mercato
1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa
23
Intranet. Come infatti sostengono Watson e colleghi, mentre «Internet è una rete globale di
reti [...] Intranet è un mini Internet separato che opera al solo interno dell’organizzazione»
(Watson, Berthon, Pitt e Zinkhan, 2000, pp. 25-26). La separazione è resa possibile da sistemi di sicurezza (i cosiddetti firewall) che formano vere e proprie barriere protettive e limitano
l’accesso al sistema. Tali sistemi consentono anche a diversi Intranet di entrare in contatto tra
loro, formando le Extranet aziendali che permettono di collegare in sistemi di private exchange i sistemi informativi tra diverse imprese.
La Fig. 1.10 illustra la filiera nel paradigma dell’era della connessione impostato sulla capacità di coordinamento virtuale. La rete basata su Internet, punta dell’iceberg del cambiamento in questione, fornisce da un punto di vista esemplificativo il laboratorio più concreto per comprendere le dinamiche su cui si proietta il
nuovo paradigma. I mercati tendono sempre più a essere intesi come reti finalizzate allo scambio di conoscenza, quali luoghi di scambio di esperienza, e le
imprese divengono un fondamentale contenitore, versatile e fungibile, ai fini della
produzione della stessa.
In estrema sintesi, anche all’inizio di questo nuovo millennio la tecnologia ha
contribuito, come già accadde più di due secoli or sono, a plasmare la natura di
impresa e mercati e, più in generale, continua a dare l’impulso evolutivo al sistema economico e industriale in cui sono immerse le imprese.
Figura 1.10 Il nuovo paradigma: il management nell’era della connessione
Scienza
delle
comunicazioni
Fonte: Vicari (2001)
Internet
e ICT
Impresa
virtuale
Mercati
connessi
26
Tecnologia, innovazione, operations
Tasso di innovazione
Figura 2.1 La dinamica dell’innovazione di prodotto e di processo
Innovazione
di prodotto
Innovazione
di processo
Tempo
Fonte: Abernathy e Utterback (1978)
Tabella 2.1 Le caratteristiche delle fasi di formazione della dinamica di innovazione
di prodotto e di processo
Caratteristiche
Enfasi
competitiva
Fase fluida
Aspetti funzionali
del prodotto
Informazioni
sugli utenti
e loro bisogni
Fase di transizione
Varietà
del prodotto
Opportunità derivanti
dall’espansione
delle capacità interne
Tipo predominante
di innovazione
Innovazione
di prodotto
Innovazione
di processo
Linea di prodotto
Diversi design
Processo
di produzione
Flessibile
e inefficiente
Attrezzatura
Generalista
Materiali
Generalisti
da diversi fornitori
Impianti
Piccola scala
Controllo
organizzativo
Informale
Stimolo
all’innovazione
Fonte: Abernathy e Utterback (1978)
Almeno
un dominant design
Accrescimento
della rigidità
Accrescimento
dell’automazione
in alcuni processi
Accrescimento
della specializzazione
Accrescimento
dimensionale
Verso
la formalizzazione
Fase specifica
Riduzione
di costo
Riduzione
dei costi
Incrementale
sia nel prodotto
sia nel processo
Prodotti
standardizzati
Efficiente
e rigida
Specialista
Specialisti
Grande scala
Strutturale
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
29
Tabella 2.2 Una ricca esemplificazione relativa all’emersione di dominant design
in diversi settori
Categoria di prodotto
Anno
d’introduzione
del prodotto
Anno
di affermazione
del dominant
design
Descrizione
dettagliata
del dominant
design
1.
Drive floppy da 3,5 pollici
1979
1984
Sony’s design
2.
AM stereo
1982
1986
Motorola’s
C-Quam System
3.
Audiocassette player
1962
1969
Philips’s design
4.
Cable modem
1995
1998
DOCSIS
specifications
5.
CD player
1982
1985
Philips-Sony’s
design
6.
CD-ROM drive
1983
1986
Sony’s design
7.
Color television
1951
1957
National
Television
System
Commitee
8.
Database software
1981
1986
Server Query
Language (SQL)
9.
Desktop publishing software
1984
1987
Adobe
Pagemaker
10. Dial-up modem 56k
1979
1998
56kKFlex
11. Dot matrix printer
1964
1968
ESC/P from
Epson
12. DSL modem
1996
1999
G. Lite
13. DVD player
1996
1999
DVD design from
Zenith
14. Fax machine
1960
1983
GIII
15. Graphics software
1990
1996
Adobe
Photoshop
16. HDTV
1987
1993
Standard
Definition
Television
17. Instant photografy
1948
1955
Polaroid
18. Mainframe computer
1946
1964
IBM 360
19. Microprocessor chip
1971
1979
Intel 4004
20. Operating System for PCs
1977
1984
MS DOS
21. PC
1975
1983
IBM PC
22. Personal finance software
1983
1987
Intuit
30
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 2.2 (segue)
Anno
d’introduzione
del prodotto
Anno
di affermazione
del dominant
design
Descrizione
dettagliata
del dominant
design
23. Photocopiers
1950
1959
Xerox 914
24. Portable file document software
1993
1999
Adobe PDF
25. Presentation graphic software
1986
1991
Harvard
Presentation
Graphics
26. Spreadsheet software
1979
1984
Lotus 1-2-3
27. Home video recorders
1975
1978
JVC VHS
28. Word-processing software
1979
1983
Wordstar
29. Work station
1980
1986
Sun’s Unix
30. Zip driver
1995
1997
Iomega
Categoria di prodotto
Fonte: Srinivasan, Lilien e Rangaswamy (2006)
La Fig. 2.2 evidenzia due cicli tecnologici dove, a partire da un dominant design
(il sistema operativo DOS e i sistemi operativi della nuova generazione quali Windows e Mac), si susseguono periodi di innovazioni incrementali finalizzate a differenziare ancora meglio le prestazioni del prodotto e a ottimizzare il processo
produttivo. In un numero limitato di anni, si è avuto il passaggio dal sistema operativo DOS, al tentativo di affermazione dei sistemi chiusi Mac di Macintosh e
OS/2 di IBM, al successo di Windows a opera di Microsoft.
Passando al secondo quesito, ovvero le contingenze di natura settoriale, un’ipotesi interpretativa di particolare rilievo è stata avanzata da Cappetta, Cillo, Ponti
(2006), e si riferisce al fatto che in diversi settori low tech il fenomeno moda è
comunque dominante nell’influenzare le dinamiche di affermazione dei prodotti.
In quest’ottica lo stile può essere inteso come il quadro entro cui si va a formare lo
standard nell’ambito del settore. Più specificamente le autrici sostengono che, a
differenza delle innovazioni basate squisitamente sulla tecnologia, in cui è l’alterazione degli attributi tangibili di prodotto che rendono quest’ultimo differente
dai modelli precedenti, le innovazioni basate sullo stile si riconducono al mutamento negli attributi di prodotto e al conseguente mutamento dei significati sociali associati agli attributi di prodotto a partire da un gruppo sociale di riferimento
(il richiamo è alla teoria di Hirschman, 1982).
Applicando l’idea in questione alla dinamica evolutiva nell’ambito del settore
del prêt-à-porter con riferimento all’abbigliamento femminile nell’orizzonte temporale 1984-1999, si trovano interessanti analogie con l’affermazione dei dominant design secondo la teoria originale (Fig. 2.3).
31
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
Tasso di innovazione
Figura 2.2 Innovazione di prodotto e processo nell’industria dei sistemi operativi
Sistema
operativo DOS
Tempo
Windows,
Macintosh, OS/2
Windows 92
Dominant design
Fonte: Utterback (1994)
Dominant design
Figura 2.3 L’evoluzione dello stile nei prodotti del prêt-à-porter nell’orizzonte temporale
1984-1999
Period
of incremental
change
Period
of incremental
change
Period
of incremental
change
Dominant
design
Dominant
design
Period
of ferment
Period
of ferment
Dominant
design
80
75,7
68,1
70
60,6
60
52,9
Maschile
40
29,7
30
41,6
31,6
26,3
Kitch
52,2
Minimale
50
35,2
32,3
31,4
42,8
36,6 35,7
29,2
20
30,8
20,8
17,1
10,7
10
0,56 0,62
0,51
88
90
0
84
85
86
87
Fonte: Cappetta, Cillo e Ponti (2006)
89
91
92
93
94
95
96
97
98
99
34
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 2.4 La concorrenza intersettoriale: un esempio di settori ad alto utilizzo
delle tecnologie ICT
Lo spazio digitale negli anni Ottanta
Elettronica professionale
Kodak, Xerox, Canon,
Intel, Motorola, Hughes
Elettronica di consumo
Sony, Philips, Matsushita,
Sharp, Toshiba
Contenuto informativo
CBS, 3DO, Time Warner,
Disney, Viacom, Ninetendo
TLC
AT&T, MCI, British Telecom,
Baby Bells, McCaw, TCI
Computer hardware
IBM, NEC, Siemens, Alcatel,
DEC, Apple, HP, Hitachi, Fujitsu
Computer software
Microsoft, Lotus, Electronic Arts,
Oracle, Computer Associates
Servizi tecnologici
Computer Sciences, Cap Sogetti,
Andersen Consulting, EDS
Lo spazio digitale negli anni Novanta
Sony, Philips, Matsushita, Sharp, Toshiba, IBM, NEC, Siemens, Alcatel, DEC, Apple, HP, Hitachi,
Fujitsu, Microsoft, Lotus, Electronic Arts, Oracle, Computer Associates, Computer Sciences, Cap
Sogetti, Andersen Consulting, EDS, AT&T, MCI, British Telecom, Baby Bells, McCaw, TCI, CBS,
3DO, Time Warner, Disney, Viacom, Ninetendo, Kodak, Xerox, Canon, Intel, Motorola, Hughes
Fonte: Hamel e Prahalad (1994)
presentate nella Fig. 2.4 erano separate da rigide barriere all’entrata nel corso degli anni Settanta e Ottanta. L’emersione di discontinuità tecnologiche (dall’avvento della telefonia cellulare, all’affermazione di Internet, dallo sviluppo della domotica, alla nascita della TV interattiva)
ha ampliato i confini di ciascuno dei sette settori fino a includerli tutti. In sintesi, la gestione
delle tecnologie ICT sarà sempre di più in futuro oggetto di discontinuità e sempre di più
intersettoriale.
La dicotomia destroying-enhancing è assai utile per fornire una lettura organizzativa dell’operato delle imprese di fronte alla dinamica organizzativa. In questa
direzione sono soprattutto Abernathy e Clark (1985) a evidenziare come l’efficace gestione di ogni tipo di tecnologia richieda non solamente il naturale presidio
di conoscenze tecnologiche (legate allo sviluppo e alla gestione della tecnologia
stessa), ma anche il presidio di conoscenze di mercato (legate in particolare al lancio e alla commercializzazione). Tali conoscenze si riflettono naturalmente nelle
competenze che l’impresa deve mettere in campo per progettare e per gestire l’innovazione e hanno, di conseguenza, un impatto sostanziale sulla capacità di que-
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
35
Figura 2.5 I tipi di innovazione di prodotto secondo la classificazione interdisciplinare
delle competenze
Competenze di mercato
Competenze tecnologiche
Mutate
Preservate
Preservate
Mutate
Innovazione di nicchia
Innovazione strutturale
Innovazione incrementale
Innovazione rivoluzionaria
Fonte: Abernathy e Clark (1985)
st’ultima di sostenere il vantaggio competitivo in seguito a mutamenti nelle conoscenze legate al sistema di prodotto.
Più precisamente, ciò sta a significare che i cambiamenti innovativi possono
riguardare sia le conoscenze tecnologiche sia le conoscenze di mercato. La Fig.
2.5 esprime concettualmente tali diversità. L’innovazione può anzitutto far leva
su limitati mutamenti delle competenze esistenti siano esse tecnologiche e di
mercato e, in tal caso, assume la forma di innovazione incrementale, coerente
con la dotazione di competenze abitualmente messe in campo dalle imprese
operanti in un dato settore. L’innovazione può, inoltre, risultare strutturale (o
radicale) quando muta in modo sostanziale la logica del prodotto presentato sul
mercato e fa leva su elementi completamente differenti sia con riferimento alla
tecnologia impiegata che con riferimento alla conoscenza di mercato. In questo
secondo caso, l’innovazione è maggiormente aperta ad attori che operano all’esterno del settore.
L’aspetto più interessante della matrice, tuttavia, si collega al fatto che il cambiamento delle competenze di mercato non si riflette necessariamente nel cambiamento delle competenze tecnologiche. Ecco quindi che l’innovazione può riguardare prevalentemente gli aspetti commerciali oppure quelli tecnologici. Nel primo
caso assume la forma di innovazione di nicchia quando, a parità di competenze
tecnologiche, propone profondi cambiamenti nelle competenze di mercato. Nel
secondo caso prende il nome di innovazione rivoluzionaria, quando cioè muta la
conoscenza tecnologica, ma non quella di mercato.
L’argomentazione offerta dai due autori, seppur storicamente datata, è divenuta
centrale nella nuova economia. Da un lato, si assiste infatti a una rapida obsolescenza delle competenze tecnologiche guidata dal fattore relativo alla velocità con
cui le nuove tecnologie penetrano i mercati. Si pensi ai mutamenti continui che è
opportuno operare nelle aziende che producono software e che sono costrette a
38
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 2.6 I tipi di innovazione di prodotto secondo una classificazione product-based
Conoscenze specialistiche
Conoscenze architettoniche
Mutate
Accresciute
Accresciute
Mutate
Innovazione modulare
Innovazione radicale
Innovazione incrementale
Innovazione architettonica
Fonte: Henderson e Clark (1990)
valore diverso e divengono centrali nell’economia delle reti virtuali. Al già evidenziato problema di perdita della leadership di mercato a favore di nuovi entranti, in seguito all’affermazione di innovazioni che coinvolgono conoscenze di mercato e architettoniche, si aggiunga che non raramente si è assistito all’incapacità
dell’innovatore pioniere di godere della rendita annessa all’innovazione, la cosiddetta rendita schumpeteriana (Rumelt, 1987), a scapito di altre aziende presenti
nel settore. Alcune delle principali ragioni legate all’incapacità di aziende innovatrici di sostenere il vantaggio competitivo con le competenze esistenti è stato efficacemente espresso dal modello di Teece (1987). A questo proposito, l’autore
identifica due variabili fondamentali: il regime di appropriabilità della rendita e la
presenza di competenze complementari (Fig. 2.7).
Il regime di appropriabilità, che qualitativamente può essere graduato con riferimento a una presenza forte o debole, deriva dal grado di codificabilità della
Figura 2.7 Le tipologie di innovazione secondo la difendibilità
Regime di appropriabilità
Competenze complementari
Ampiamente disponibili
Strettamente detenute
Forte
Debole
Fonte: Teece (1987)
Innovazione protetta
Innovazione inattaccabile
Innovazione indefendibile
Innovazione differenziabile
40
Tecnologia, innovazione, operations
dendo l’innovazione differenziata sul mercato e riducendo il rischio di imitabilità per il valore aggiunto posto sulla stessa.
2.3
I modelli di diffusione della tecnologica
Le implicazioni normative che possono trarsi dai modelli illustrati nei paragrafi
precedenti sono raccolte nei modelli di diffusione dell’innovazione, che assumono la prospettiva del gestore dell’innovazione tecnologica. In particolare, la curva
a «S» di Foster permette di cogliere la relazione che intercorre tra lo sforzo tecnologico sostenuto dalle imprese e i miglioramenti della tecnologia stessa. L’autore
illustra che il tasso di progresso tecnologico è funzione dello sforzo sostenuto nella tecnologia e assume la forma di una S, come evidenzia la Fig. 2.8. Difatti, il progresso tecnologico produce inizialmente effetti limitati sino al raggiungimento di
un flesso positivo, in seguito al quale cresce esponenzialmente. La crescita, per i
noti limiti legati alla produttività marginale decrescente, si comincia a ridurre all’incontro di un ulteriore flesso (questa volta negativo) dopo il quale non si manifestano più andamenti fortemente crescenti a causa del raggiungimento del limite
fisico legato alla tecnologia.
In sintesi, lo sforzo investito nella tecnologia di riferimento e il limite fisico della
tecnologia stessa rappresentano le due variabili chiave esplicative del modello della
curva a «S». La curva a «S» è quindi di radicale importanza, poiché consente di predire il potenziale tecnologico a disposizione in virtù dello sforzo tecnologico soste-
Tasso di progresso tecnologico
Figura 2.8 Il modello della curva a «S»
Fonte: Foster (1986)
Limite fisico
Sforzo di investimento
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
41
Tasso di progresso tecnologico
Figura 2.9 La curva a «S» con riferimento ai supercomputer
Fonte: Afuah (1998)
Vincolo fisico legato alla seconda
generazione di supercomputer
Vincolo fisico legato alla prima
generazione di supercomputer
Sforzo di investimento
nuto. Dal momento in cui da essa dipendono inoltre sia il ciclo di vita del settore sia
il ciclo di vita del prodotto (poiché settore e prodotti del settore sono, a livello macro
e micro, derivazioni delle opportunità tecnologiche esistenti), la curva a «S» ha una
rilevanza veramente singolare sotto il profilo della capacità predittiva.
In Un caso di curva a «S»: la legge di Moore si fornisce un esempio eclatante di curva a
«S»: la curva di evoluzione della produttività dei transistor. La Fig. 2.9 illustra, invece, l’esempio delle curve a «S» associate alla tecnologia del supercomputer (Afuah
e Utterback, 1991). Come si nota dalla prima curva, i supercomputer erano tradizionalmente progettati usando l’architettura con processore unico, fino al raggiungimento del limite della velocità della luce, oltre al quale non erano in grado di evolvere. L’architettura multi-processori ha quindi dato vita a una nuova curva a «S»,
che presenta un nuovo limite fisico, dato dalla capacità di comunicazione e coordinamento tra i diversi processori. In termini complessivi le curve tendono a innalzarsi
nella forma e a sostituirsi quindi in sequenza, come evidenziato dalla curva.
Un caso di curva a «S»: la legge di Moore
Le tecnologie digitali si connotano infatti per una singolare produttività che, sin dalla loro nascita, manifesta una crescita di natura geometrica (Downes e Mui, 1998). La descrizione di tale
proprietà è abitualmente condotta a partire da un principio fisico che prende il nome del
co-inventore del microprocessore nonché fondatore dell’Intel Corporation, Gordon Moore.
Secondo Moore, la struttura dei semiconduttori poteva subire delle sorprendenti riduzioni
dimensionali che consentivano un potenziamento dei circuiti a essi applicati. Una volta ridotti
42
Tecnologia, innovazione, operations
nella dimensione i transistor, da un lato, possono essere applicati in maggior numero nei chip;
inoltre la progressiva miniaturizzazione permette di avvicinare i circuiti a essi applicati, ampliando notevolmente il loro potenziale complessivo. L’intuizione di Moore fu tempificata e traslata in
una vision aziendale per l’Intel, che la fece propria a partire dal 1968. La vision si è dimostrata
talmente vera nel corso degli anni, che viene attualmente illustrata nei manuali di fisica elettronica sotto il nome di Legge di Moore. La sua formulazione più semplice è la seguente: ogni diciotto mesi è possibile raddoppiare il numero di transistor contenuti in un chip di computer a parità
di costo. Da cui si deduce che ogni diciotto mesi è possibile raddoppiare la capacità di memorizzazione e processamento di un chip di computer a parità di costo. Tale legge ha un naturale limite derivante dalla possibilità di miniaturizzare corpi al di sotto di certe dimensioni, ma la sua
validità è stata indiscutibile negli ultimi trent’anni e si manterrà valida almeno per altri dieci in
modo da includere presumibilmente altre cinque generazioni di processori. In particolare si
ritiene che intorno al 2010 un chip potrà contenere un numero di transistor 450 volte superiore
a quello possibile nel 1997 e, a quell’epoca, sarà veramente improbabile riuscire ulteriormente a
ridurre lo spazio contenuto sul chip stesso (Evans e Wurster, 2000).
La formidabile produttività a crescita geometrica che caratterizza le tecnologie digitali è quindi foriera di continue innovazioni incrementali nelle applicazioni abitualmente impiegate in
tutti i processi di gestione. La Fig. 2.10 è esplicativa in proposito e illustra la dinamica storica
delle applicazioni che sono state prodotte a partire dal 1970. A questo proposito si pensi
banalmente che la potenza del processore di un mainframe nel 1978 era la metà di quella di
un palmare nel 2000, ovvero che la capacità di calcolo e di elaborazione di un computer grande come una stanza da ufficio è divenuta grande quanto un oggetto che oggigiorno sta letteralmente in un palmo di mano. Aspetto ancora più affascinante è che altre tecnologie digitali
sperimentano, per ragioni analoghe, progressi simili alla legge di Moore che regola la crescita del numero di transistor nei chip (Downes e Mui, 1998). Per esempio, il cavo a fibra ottica,
i satelliti e le tecnologie di comunicazione permettono all’ampiezza di banda delle telecomuni-
Numero di transistor per chip
Figura 2.10 La crescente produttività delle ICT secondo la legge di Moore
1.000.000.000
100.000.000
10.000.000
1.000.000
100.000
1.000
1970
Fonte: Evans e Wurster (2000)
1980
1990
2000
2010
44
Tecnologia, innovazione, operations
Vendite
Figura 2.11 Il modello di Bass
Fonte: Crawford e Di Benedetto (2005)
Anni
q è un parametro del tasso di diffusione
Y (t ) è il totale numero di acquisti al tempo t
La recente apertura associata alle tecnologie di informazione e comunicazione
permette di velocizzare il processo facendo leva sulla possibile presenza di esternalità positive dal lato della domanda, come evidenziato in Adozione di prodotto ed esternalità positive: il caso della legge di Metcalfe. A questo proposito è da notare che tali
esternalità possono anche essere indotte non necessariamente dalle caratteristiche
del prodotto, come nel caso delle ICT, ma anche dallo sfruttamento delle stesse ai
fini dell’adozione. Per esempio, le comunità virtuali consentono di stimolare la diffusione in modo veloce e allo stesso tempo efficace (Prandelli e Verona, 2006a).
Adozione di prodotto ed esternalità positive: il caso della legge di Metcalfe
Le ICT sono sottoposte a importanti esternalità positive che favoriscono una loro rapida diffusione. Com’è noto un’esternalità emerge quando il comportamento di un agente del sistema economico influenza positivamente o negativamente quello di un altro senza che avvenga
una compensazione monetaria. Come osserva Arthur (1990), le tecnologie possono articolarsi in due grandi categorie: le tecnologie materiali (bulk processing) e quelle immateriali
(knowledge-based). Le prime sono quelle che sfruttano le risorse naturali (quali le tecnologie
legate al settore primario e alla chimica pesante), le seconde sfruttano invece prevalentemente la conoscenza (ne sono esempi il settore farmaceutico e il settore dei computer e software). Ora, mentre le prime sono sottoposte a ritorni decrescenti, le seconde si caratterizzano
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
45
per ritorni crescenti, chiamati anche positive feedbacks nella dizione inglese. Tali tecnologie,
infatti, non solo presentano costi marginali decrescenti, ma tendono spesso a manifestare
un’utilità marginale crescente.
In particolare, tutte le tecnologie basate su una rete di utenti si caratterizzano per la presenza
di esternalità positive, dal momento in cui all’aumentare del numero di partecipanti alla rete,
aumenta anche l’utilità che ciascun partecipante può trarre dalla stessa (Shapiro e Varian,
1999, capitolo 7). Ne è un classico esempio l’e-mail. Se una sola persona al mondo possedesse l’e-mail, l’utilità di questa applicazione sarebbe nulla. Se invece almeno due persone
possiedono un indirizzo e-mail, è possibile comunicare a distanza via personal computer. È
naturale che all’aumentare del numero di persone che hanno accesso a questa tecnologia,
l’utilità che ciascun utente ne può trarre risulta progressivamente elevata. Questa utilità crescente che si può trarre dall’utilizzo dell’e-mail si riconduce proprio alle esternalità positive
sottese da questa particolare applicazione tecnologica.
Robert Metcalfe, fondatore della 3Com Co, ha fotografato la crescita dell’utilità coniando una
legge di particolare interesse, che esprime in modo chiaro il potenziale diffusivo delle tecnologie digitali (Downes e Mui, 1998). La Legge di Metcalfe evidenzia che l’utilità che una tecnologia a rete presenta per un singolo utente della rete è pari al quadrato del numero di utenti
che utilizzano quella tecnologia. Ciò significa che al crescere del numero di utenti di una tecnologia reticolare, l’utilità relativa all’impiego della stessa tecnologia cresce esponenzialmente. Come si osserva dalla Fig. 2.12, l’utilità associata all’impiego della tecnologia assume la
forma di una parabola, e cresce in modo esponenziale rispetto al numero di utenti che
l’impiegano.
Per poter beneficiare delle esternalità positive legate alla tecnologia digitale, è opportuno raggiungere la massa critica che permette di attivare un circolo virtuoso legato all’effetto utilitaristico espresso dalla legge di Metcalfe. Tale massa critica è in funzione di due fattori: le economie di scala dal lato della domanda e la presenza di una situazione di lock-in rispetto a una
Utilità utente
Figura 2.12 Le esternalità positive secondo la legge di Metcalfe
Fonte: Downes e Mui (1998)
Numero utenti
2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia
47
Performance su parametro dominante
Figura 2.13 Relazione tra sustaining e disruptive technology
Fonte: Christensen (1997)
Disruptive technology
Sustaining technology
Tempo
vazione in questione, venendo comunque lanciata da imprese minori, riesca nel
corso degli anni a conseguire un miglioramento nella performance nei parametri
dominanti tale da superare la traiettoria evolutiva della tecnologia originaria. La
Fig. 2.13 descrive questo tipo di andamento. In queste circostanze, la tecnologia
emergente (disruptive) metterà in secondo piano la tecnologia tradizionale (sustaining) poiché risulterà nel lungo termine superiore su tutti i parametri rilevanti nel
mercato in generale. La tecnologia emergente è stata definita da Christensen
disruptive, in quanto distrugge le fondamenta economiche su cui si basa il mercato originario e spiazza la tecnologia più tradizionalista, chiamata appunto sustaining, in quanto premia una logica incrementalista del ciclo innovativo.
Senza voler entrare nel vivacissimo dibattito suscitato da questo modello con
riferimento all’eterna dialettica tra marketing e Ricerca & Sviluppo4, ci sembra
tuttavia assai utile cogliere una spinta significativa del modello con riferimento al
problema dell’adozione.
Come osservato anche in Il caso della mini-fotocopiatrice Canon, è opportuno non
4 L’argomentazione di Christensen risulta infatti particolarmente attuale soprattutto se riportata
all’infinita dialettica tra marketing e R&S. Seguendo pedissequamente il suggerimento di Christensen, infatti, sarebbe opportuno mantenere un orientamento squisitamente tecnologico nell’investimento in R&S, giacché l’orientamento al mercato potrebbe penalizzare la ricerca di nuove opportunità offerte dalla scienza. A fronte di queste considerazioni, è bene osservare che l’orientamento al
mercato promosso dalle aziende più innovative non è certamente quello miope tipico della funzione
vendite, ma è quello di medio-lungo termine offerto dai principi della strategia di marketing (Slater e
Narver, 1998). Si vedano anche Henderson (2006) e Danneels (2002)
50
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 3.1 La formazione delle SBU secondo il modello di Abell
Technology
Customers
SBU 1
Fonte: Abell (1987)
Products
presa e la conseguente architettura strategica che lo raccoglie presentano una
profonda dipendenza tecnologica.
L’articolazione proposta ha rappresentato per anni la logica di formulazione
della strategia corporate e della strategia competitiva con riferimento alle scelte di
espansione tramite diversificazioni correlate e conglomerali3. Come si evince
anche dalla Fig. 3.2 anche la logica degli organigrammi delle aziende, seguendo il
paradigma chandleriano strategia-struttura, ha portato a una riorganizzazione del
business attorno ad aree di affari fortemente influenzate dalla triade: prodotto,
mercato e tecnologia (Chandler, 1990).
Seppure premiante dal punto di vista gestionale questa modellazione è stata
profondamente messa in discussione nel corso della seconda metà degli anni
Ottanta, periodo storico in cui è emersa in modo chiaro e preciso la visione immateriale della tecnologia enunciata in capo al capitolo 1.
Abbracciando una visuale cognitiva del problema tecnologico, in base alla
quale come detto per tecnologia si deve intendere non solamente i macchinari,
gli artefatti e i prodotti, ma anche il substrato cogntivo legato alla loro creazione
e gestione, non si può sottovalutare l’impatto trasversale che in generale la
conoscenza afferente i prodotti e i processi produce su ogni singola impresa. Da
questo punto di vista Hamel e Prahalad, sono stati tra i primi a fornire una visione olistica dell’impiego della tecnologia in azienda (Prahalad e Hamel, 1990).
Studiando e comparando i portafogli prodotti di realtà aziendali provenienti da
diversi contesti geografici, e in particolare le aziende americane e le aziende
nipponiche della seconda metà degli anni Ottanta, si accorsero come le prime
3 I modelli del portafoglio prodotti degli anni Settanta a cura tra gli altri della BCG e della
McKinsey/GE ne sono un celebre esempio. Si rinvia a un qualsiasi manuale di strategia aziendale,
nazionale o internazionale.
3 • La gestione strategica della tecnologia
51
Figura 3.2 La strutturazione delle aree di affari a livello organizzativo
SBU 1
SBU 2
SBU 3
SBU 4
Fonte: nostra elaborazione
tendevano a organizzare la propria strategia intorno ai prodotti e alle relative
quote di mercato maturate nelle rispettive industrie (esattamente in base a quanto visto finora nella trattazione del presente paragrafo), mentre le seconde (tra
cui per esempio, NEC, Canon, Honda e Casio) si proponevano di valorizzare la
conoscenza maturata attorno ai core product e alla quota di penetrazione di questi ultimi in differenti mercati.
I core product sono dei semilavorati tecnologici che provengono da conoscenza
dedicata e che gemmano molteplici prodotti. Ne sono un esempio i motori in
miniatura ideati e sviluppati da Honda (che alimentano una molteplicità di prodotti finiti nei settori delle macchine agricole) dei motocicli e delle automobili. Lo
stesso gruppo SVH, celebre al mondo per aver ideato e prodotto gli orologi
Swatch, è divenuto leader nella produzione di microchip per accessori, parte fondamentale a garantire la produzione e l’affidabilità in termini di precisione e durata del celebre orologio, divenuto prodotto di culto a cavallo tra anni Ottanta e
Novanta. Questa prospettiva strategica incentrata sui core product sembrava in
particolare essere più coerente sia con le dinamiche competitive che si sono manifestate a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sia con la stessa natura tecnologica dell’innovazione. Anziché massimizzare la quota di mercato nei mercati
finali, le aziende hanno maggior gioco strategico a ottimizzare la quota di mercato
dei core product, dato che questi ultimi permettono percorsi di crescita anche più
congruenti sotto il profilo competitivo.
Gli stessi Hamel e Prahalad giungono a sostenere che la vera fonte dei core product è appunto la conoscenza tecnologica in essi contenuti. Per esempio, nel caso
di Canon è proprio la capacità di garantire competenze nel campo della microelettronica, della meccanica di precisione e dell’ottica a consentire all’azienda di produrre in via sistematica core product e prodotti finiti (tra cui le celebri fotocopiatrici e macchine fotografiche). La produzione e gestione dei core product porta
cioè ad abbracciare in toto una visione trasversale e cognitiva della tecnologia. Le
52
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 3.3 La metafora dell’albero: una comparazione tra prospettiva tradizionalista
(prodotti e mercati) con la prospettiva della risorse
Product view
Market view
Fonte: nostra elaborazione
Competence view
core competence altro non sono che: «the collective learning in the organization,
especially how to coordinate diverse production skills and integrate multiple streams of technologies» (Prahalad e Hamel, 1990, p. 82). La definizione che le
illustra, come si vede, identifica la loro natura sostanzialmente immateriale e
incentrata sulla tecnologia.
In base alla celebre metafora impiegata dai due autori per illustrare la relazione
tra competenze e prodotti, i prodotti e servizi sviluppati da un’impresa sono i frutti di un albero, le cui radici sono invece rappresentate dalle core competence. Da
questo punto di vista l’architettura strategica d’impresa deve essere interamente
incentrata sulle competenze che definiscono i core product (i rami dell’albero) e
in ultima istanza i prodotti aziendali. La Fig. 3.3 sta a indicare questo mutamento
di prospettiva e ha una duplice valenza. Sotto il profilo spaziale mette in luce l’errore strategico compiuto dalle imprese che organizzano la propria agenda strategica attorno ai prodotti anziché ai core product e alle competenze4. Esse sbagliano a
sondare il panorama competitivo: concentrarsi infatti sui frutti dell’albero non
permette di cogliere il ruolo portante svolto dai rami (core product) e soprattutto
dalle radici dell’albero (appunto le core competence)5. Sotto il profilo temporale
invece, formulare la strategia con gli occhi del presente (i frutti) non permette di
4 La metafora in questione è ben più efficace di quella impiegata nell’articolo considerato manifesto della cosiddetta resource-based view, in base a cui risorse e prodotti sono due facce della stessa medaglia (Wernerfelt, 1984). Questa seconda metafora ponendo sullo stesso piano risorse e prodotti non consente di cogliere la supremazia delle prime nei confronti dei secondi, quantomeno sotto il profilo generativo e quindi strategico.
5 Ciò ha profonde analogie con quanto in altri tempi Theodor Levitt ha denominato miopia di
mercato (Levitt, 1960).
54
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 3.4 La distintività delle competenze secondo Hamel e Prahalad
Valore
per il
cliente
Fonte: Hamel e Prahalad (1994)
Area
della
distintività
Imitabilità
per i
concorrenti
Estendibilità
tecnologica
la fruizione di un numero di canzoni tendenzialmente infinito considerando l’utente medio di musica.
Oltre al valore per il cliente, gli stessi fattori non devono essere facilmente
imitabili dai concorrenti, poiché in tal caso verrebbe fortemente ridotta la loro
capacità di generare valore. La loro complessità, costosità o in generale la non
facile comprensione dei processi alla base della loro formazione li rende coerenti con questa proprietà fondamentale che richiama i limiti ex ante ed ex post
alla concorrenza (Peteraf, 1993). La facilità con cui è stato imitato lo strumento
diagnostico TAC (tomografia assiale computerizzata) introdotto nel mercato
statunitense a opera di EMI verso la fine degli anni Settanta ha portato all’uscita
dal business della stessa EMI (Teece, 1987). Similmente, il lancio del browser
Internet Explorer a opera di Microsoft in seguito al successo di Navigator 2.0 di
Netscape ha ridotto drasticamente la capacità di generare valore da parte di quest’ultima, portandola al fallimento.
Infine, a giudizio dei due autori, i fattori devono risultare estendibili sotto un
profilo tecnologico. Per amplificare il loro potenziale è infatti opportuno che i fattori d’impresa abbiano una valenza replicabile in differenti business in cui l’impresa è presente o in cui può entrare come, per esempio, dimostra la capacità di
miniaturizzazione di Sony o la piattaforma tecnologica di CRM per navigare in
ambiente Internet di Amazon che ha permesso all’azienda di Seattle di estendere
le sue linee di business a prodotti sostanzialmente differenti.
Seguendo un ragionamento analogo a quello esposto, Collis e Montgomery
(1995) evidenziano efficacemente che il valore posseduto da una risorsa o competenza è relativo, ovvero dipenda dall’intreccio di specifiche forze di mercato in un
determinato contesto temporale. Nessuna risorsa, sia essa un brevetto o una particolare abilità, né competenza, quale una forma di reputation o capacità di integrazione di un team di sviluppo prodotti, può avere una valenza che prescinde dalla
3 • La gestione strategica della tecnologia
57
Le domande sono le seguenti:
• valore: la risorsa o competenza in questione è in grado di rispondere a minacce
ambientali o a cogliere specifiche opportunità dal punto di vista del mercato?
• rarità: altre imprese possiedono la stessa risorsa o competenza, o delle risorse o
competenze analoghe?
• inimitabilità: le imprese che non presentano analoghe risorse o competenze
sono comunque in grado di svilupparle a un costo non elevato?
• organizzazione: è possibile sfruttare completamente il potenziale contenuto
nella risorsa/competenza?
L’aspetto distintivo dello schema proposto da Barney si riallaccia, tra le altre
cose, alla possibilità di stabilire se l’attività alla base del valore sia semplicemente un punto di forza (o di debolezza) oppure sia una competenza distintiva.
In quest’ultimo caso l’autore fornisce anche un criterio per studiarne la sostenibilità nel tempo.
Come illustra la Tab. 3.1, la presenza delle quattro proprietà permette di associare a ciascuna risorsa/competenza la capacità di sostenere il vantaggio competitivo
nel tempo. Al contrario, una parziale adesione alle quattro proprietà rende la
risorsa/competenza meno attrattiva da un punto di vista competitivo. Per chiarire
ulteriormente lo schema in questione, si pensi alla competenza legata allo sviluppo di computer da parte di Apple e alla capacità di introdurre diverse innovazioni
negli anni sotto il brand Macintosh e, più recentemente, iPod (Barney ed Hesterly,
2005). La competenza in questione è frutto della presenza di molteplici ingegneri
e top manager, del lavoro in team che ha portato a condividere per anni l’ideale
dello sviluppo di un computer che, a differenza dei primi personal computer, fosse facile da utilizzare e della presenza di una vision unificante e rappresentativa di
questa prospettiva customer-based.
Tabella 3.1 L’identificazione delle risorse/competenze distintive che sono in grado
di sostenere il valore, secondo lo schema VRIO
Tipo di fattore
Valore
Rarità
Inimitabilità
Sfruttabile
dall’impresa
(organization)
Debolezza
No
—
—
No
Forza
Sì
No
—
Sì
Competenza distintiva
Sì
Sì
No
Sì
Competenza distintiva sostenibile
Sì
Sì
Sì
Sì
Fonte: Barney e Hastley (2005)
3 • La gestione strategica della tecnologia
59
già dal lontano 1995, quando i tassi di penetrazione di Internet erano ancora limitati, era
possibile compiere questa operazione. Bastava trovare un prodotto che fosse: sufficientemente di massa per scalare le economie relative alla dimensione; non eccessivamente
complicato da poter essere gestito con semplicità dal punto di vista dei flussi logistici; e
che suscitasse una grande passione nel pubblico per poter favorire velocemente consenso
e, soprattutto, legarsi ai fenomeni di moda.
Se alle intuizioni menzionate, si aggiungono una serie di artifizi di dettaglio, come per
esempio:
• la scelta di localizzare la nascente azienda nel lontano stato di Washington (in particolare a
Seattle) e, conseguentemente, poter beneficiare: delle esternalità di rete del rigoglioso
distretto del software stimolato da Microsoft; di uno dei sistemi di tassazione più bassi
degli Stati Uniti; dell’opportunità di servire qualsiasi cliente statunitense entro 24 ore grazie
al gioco di fuso orario che vede la costa orientale a tre ore di anticipo rispetto a quella occidentale (un libro ordinato alle 21:00 a New York, riusciva ancora a essere spedito alle 18:00
da Seattle per poter raggiungere l’acquirente il giorno successivo);
• la decisione di puntare su un sito efficiente, che presta poca attenzione agli elementi di
estetica, a suo tempo non agevolati da una tecnologia ancora in fase di miglioramento;
• il desiderio di stimolare conversazioni e classifiche impostate dai clienti sul proprio sito;
• una campagna pubblicitaria basata sul fatto che l’azienda, seppur non abbia punti vendita
fisici, è la «Libreria più grande del mondo»;
ben si coglie come in breve tempo Amazon possa esser riuscita ad avere un importante
riscontro dal mercato servito e ad aver sviluppato un busines model a scarsa imitabilità. Più
in particolare, si osservi la Tab. 3.2 sottostante che compara a tre anni dall’esordio sul mercato di Amazon alcuni indicatori strategici di quest’ultima con quelli dell’operatore leader del
mercato tradizionale, Barnes and Noble – azienda quotata e caratterizzata da una storia e
un’immagine altrettanto innovative.
I dati espressi nella tabella sono abitualmente ricondotti a un principio di carattere teorico,
che è stato indotto dal portato di cambiamento di Internet: il superamento definitivo del
Tabella 3.2 La comparazione tra Amazon e Barnes and Noble
Amazon
Barnes and Noble
23 milioni di clienti
900.000 clienti
60 miliardi di visite all’anno
300 milioni di visite all’anno
Presente in tutto in globo
Rete commerciale in Stati Uniti, Regno Unito,
Germania, Francia e, tramite Nippon Express,
Giappone
Presente negli Stati Uniti con 666 store
4,5 milioni di volumi in catalogo
200.000 volumi in punto vendita
Diversificazione in 32 categorie di prodotti tra Diversificazione in libri, riviste, giornali, coffee
le quali, CD, DVD, aste, computer, software, shop e musica
giocattoli, cosmesi, cucina, arte
Fonte: Prandelli e Verona (2006b)
3 • La gestione strategica della tecnologia
61
Tabella 3.3 Le aziende che abbracciano una prospettiva di innovazione continua
Azienda
Settore
Pratica di innovazione continua
Intel
ICT (microprocessori)
• Raddoppio della capacità di transistor per
chip ogni 18 mesi
• Costruzione di un nuovo impianto per la produzione dei microprocessori ogni 9 mesi
3M
Abrasivi e adesivi
• Generare ogni anno almeno il 30 per cento
delle vendite con nuovi prodotti
Microsoft
ICT (software e sistemi operativi) • Upgrading a cadenza triennale del sistema
operativo
Starbucks
Ristorazione veloce
Amazon.com e-Commerce
• Lanciare 300 punti vendita all’anno sino al
raggiungimento di quota 2.000
• Sviluppare nuovi concept di consumo ogni 6
mesi
• Ridefinire la profondità dell’assortimento ogni
3 mesi
• Ridefinire l’estensione dell’assortimento ogni
6 mesi
Fonte: Verona e Prandelli (2006a)
fini della loro gestione. La Tab. 3.3 fornisce alcuni esempi delle imprese in
questione.
La spiegazione del comportamento altamente dinamico di alcune imprese è
proprio da ricercarsi nella loro abilità di abbracciare una logica di competenze
dinamiche. In ambienti dinamici, tipici dei contesti ad alta intensità di tecnologia, le competenze devono cioè pure presentare natura dinamica12. Il sostenimento del vantaggio competitivo è frutto cioè di una competizione schumpeteriana ovvero della capacità di introdurre con continuità innovazioni di prodotto
e di processo. Teece, Pisano e Shuen (1997) evidenziano che per poter generare
valore le competenze non devono presentare le sole proprietà indicate precedentemente, ma devono anche essere in grado di esercitare tre processi di fondamentale importanza:
• l’integrazione;
12 Nel manifesto delle competenze dinamiche gli autori espongono l’idea alla base del costrutto
portante della teoria nel seguente modo: «The term “dynamic” refers to the capacity to renew competences so as to achieve congruence with changing environment [...]. The term “capabilities” emphasize the role of Strategic Management in appropriately adapting, integrating, and reconfiguring internal and external organizational skills, resources, and functional competences to match the requirements of a changing world» (Teece, Pisano e Shuen, 1997, p. 510).
68
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 4.1 Alcuni esempi di variabili organizzative alla base delle competenze
delle imprese farmaceutiche
Competenza
Riferimento
Descrizione
alle variabili organizzative
Pro-publication
Sistema di incentivo
Pubblicare i risultati della ricerca svolta nell’ambito dei laboratori d’azienda in riviste accademiche di prestigio
University
Sistema di incentivo
Profondo coinvolgimento delle università nell’attività di ricerca
Dictator
Struttura organizzativa
Allocazione delle risorse che dipende da un
singolo direttore
Cross-functional
Struttura organizzativa
Ricco e frequente scambio di informazione tra
aree disciplinari di ricerca differenti
Geography
Struttura fisica
Vicinanza dell’headquarter aziendale a campus
accademici
Global organization Struttura organizzativa
Ricerca a livello mondiale che dipende da un
singolo direttore
Fonte: Henderson e Cockburn (1994)
sono depositate nelle skill del personale e nella cultura aziendale, e vengono
movimentate continuamente grazie alla particolare forma che assume la struttura organizzativa e alle caratteristiche dei sistemi operativi. Oltre quindi a una
dimensione cognitiva, le competenze presentano una dimensione materiale,
che, permettendo di visualizzarle e localizzarle, è determinante per progettare
la loro creazione e per operare la loro gestione (Cillo, Verona e Vicari, 2007).
Le skill sono le unità elementari su cui si basano le competenze: senza le abilità
dei singoli individui che compongono l’impresa e che ne sostengono il carico
lavorativo, la conoscenza organizzativa non avrebbe senso di esistere. La struttura organizzativa è il collante hard che organizza per task e mansione la divisione del lavoro organizzativo tra le persone. Allo stesso tempo, le norme e i
valori aziendali ne rappresentano il collante soft, che tiene unite le persone nel
progetto aziendale. I meccanismi operativi, infine, ne rappresentano l’elemento
dinamico che permette il funzionamento e il dinamismo richiesto a livello
gestionale.
Le quattro variabili evidenziate rappresentano la dimensione materiale delle
competenze d’impresa, il cui contenuto è, come si è potuto vedere nel capitolo
precedente, di natura cognitiva: fatto cioè di conoscenza tecnologica, di mercato e architettonica.
Le competenze si basano tutte sulle medesime variabili: ciò che muta nella
formazione di una specifica competenza è il contenuto delle singole variabili
4 • La gestione organizzativa della tecnologia
69
Figura 4.1 Il mix cognitivo che produce le competenze d’impresa dinamiche e distintive
Skill
Cultura
Competenze d’impresa
Struttura organizzativa
Meccanismi operativi
Fonte: Vicari e Verona (2001)
organizzative e il modo in cui si combinano tra loro le variabili stesse. In analogia, quindi, a una delle più riuscite e celebri metafore adottate nel campo del
marketing, che fa dipendere la realizzazione delle politiche di marketing da un
insieme di ingredienti (le 4p) che, se bilanciati adeguatamente, compongono
una miscela esplosiva – il marketing mix – ciascuna risorsa cognitiva può quindi
intendersi in termini di organizational mix, ovvero quale frutto (cognitivo) di
una miscela che compone adeguatamente le principali leve strutturali dell’impresa (Vicari e Verona, 2001).
La specifica composizione e adeguata ponderazione in cui si intrecciano le
variabili organizzative (skill, cultura, struttura, meccanismi operativi) dà cioè vita
a una particolare formula cognitiva, che altro non è se non la singola competenza.
Naturalmente, le imprese si basano su diverse competenze e necessariamente
dovranno presentare molteplici cognitive mix. Le variabili strutturali saranno così
ponderate diversamente anche all’interno di una stessa impresa in modo da alimentare un portafoglio di competenze adeguato alla generazione del vantaggio
competitivo (Fig. 4.1).
4.2
Scelte di make or buy
Sin dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo, il raggio d’azione delle attività messe in atto dalle imprese in termini sia di scala (ovvero dimensione) sia
di scopo (cioè di ampiezza) è molto cambiato. Sebbene il numero di piccole
imprese sia ancora particolarmente elevato in molteplici settori, la dimensione
dell’attività economica globale intrapresa da ciò che Chandler ha definito la
grande impresa è venuta a dominare numerosi settori di economie avanzate e ha
anche esercitato una forte influenza sulle recenti percezioni di che cosa sia
un’organizzazione economica. La realtà è tuttavia molto variegata e ben più
complessa della semplice dicotomia grande vs. piccolo. In Il settore navale: il crescente outsourcing e le ragioni sottostanti e Il settore automobilistico americano: dall’in-
76
Tecnologia, innovazione, operations
La creazione di network tecnologici richiede la predisposizione aziendale di
capacità di assorbimento da fonti esterni. Più in particolare, l’absorptive capacity è la capacità a valutare, assimilare, integrare e utilizzare nuova conoscenza
(Cohen e Levinthal, 1990). La maggior parte degli studi empirici dello scorso
decennio ha analizzato il rapporto tra la presenza di absorptive capacity di
un’impresa e la sua capacità a innovare – per esempio la reale capacità a utilizzare e sfruttare la conoscenza assimilata e assorbita. Questi studi evidenziano
come diverse variabili possono influenzare la capacità di un’impresa ad assorbire conoscenza esterna e quindi mitigare il rapporto tra absorptive capacity e i
suoi effetti sui processi innovativi di un’impresa (si veda Zahra e George, 2002,
per una review degli studi). La Fig. 4.2 richiama le variabili fondamentali alla
base della capacità di assorbimento che deve essere attivata da un’impresa per
partecipare a un network tecnologico.
Come si osserva dalla Fig. 4.2, il potenziale di conoscenza dipende fortemente
dall’esperienza maturata nel contesto di apprendimento e dalle fonti da cui si
apprende. L’idea di poter contribuire opportunisticamente al network è mitigata
dalla complessità della conoscenza in esso contenuta e dalla necessità di garantire
un investimento adeguato per poter continuamente partecipare al network assorbendo conoscenza. La figura mette altresì in evidenza un annoso problema legato
alle imprese che intendono sfruttare le fonti di conoscenza esterna: assorbire non
significa necessariamente sfruttare. Ovvero, è per le imprese fondamentale predisporre adeguati meccanismi di integrazione interni e processi di trasformazione e
sfruttamento della conoscenza in modo che la conoscenza assorbita divenga poi
parte fondamentale dei processi aziendali.
La rilevanza dei network tecnologici e del mercato esterno della conoscenza
tecnologica è estremizzato nel caso dei Markets for Technology (MT) i mercati
Figura 4.2 Le variabili alla base dell’absorptive capacity
Fonti
di conoscenza
e
complementarietà
Capacità
potenziale
Capacità
effettiva
Acquisizione
di conoscenza
Trasformazione
Esperienza
Sfruttamento
Vantaggio
competitivo
(flessibilità
strategica,
innovazione,
performance)
Assimilazione
Stimoli
per l’attivazione
Fonte: Zahra e George (2002)
Meccanismi
sociali
di integrazione
Regimi
di appropriabilità
92
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 5.1 La «teoria delle catastrofi» come modello per l’innovazione
no
Novi
tà de
di
un
bis
og
lle c
onos
c
enze
ncr
eti
zza
zio
ne
a
Co
e
b
c
Fonte: Vicari (1998)
Innovaz
ione
Il grafico è leggibile in termini di assi cartesiani, che sono disegnati in uno
spazio tridimensionale. Innanzitutto il punto di partenza è dato dal punto a,
punto nel quale si dispone solo delle conoscenze esistenti; il mercato, d’altro
canto, non manifesta alcun nuovo bisogno: la situazione è tranquilla e non vi è
alcuno spazio per l’innovazione: siamo su un piano che può essere definito
«situazione esistente».
Si immagini ora l’illustrazione della Fig. 5.1 come un foglio di carta parzialmente piegato e si pensi a una pallina che scivoli lentamente dalla posizione a alla
posizione e. All’aumento delle conoscenze, per esempio, tramite investimenti in
Ricerca & Sviluppo, si ha un movimento caratterizzato da piccoli cambiamenti
incrementali sul piano della conoscenza, con il passaggio al punto e. Come si può
vedere, a questo aumento di conoscenze non è corrisposta la capacità di soddisfare un nuovo bisogno presente nel mercato, e dunque l’incremento di conoscenza
non ha prodotto per il momento alcuna innovazione. Solo quando il mercato evolverà e si manifesteranno bisogni coerenti con la nuova tecnologia, vale a dire vi
sarà una concretizzazione di nuovi bisogni, allora la pallina potrà muoversi dal
punto e al punto c: saremo così giunti al piano dell’innovazione, in cui sono presenti entrambi gli elementi della nostra definizione. Un esempio di questa situazione è stato lo sviluppo della tecnologia WAP (Wireless Application Protocol),
che avrebbe potuto consentire la navigazione sul Web utilizzando un telefono cellulare. Dopo il suo sviluppo essa fu adottata dai principali operatori telefonici
96
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 5.2 Le reazioni al cambiamento
Atteggiamento difensivo
Ambiente
Fonte: tratto e adattato da Vicari (1998)
Atteggiamento adattivo
Atteggiamento innovativo
normativa civilistica e societaria a quella derivante dagli accordi riguardanti il
commercio estero.
Le variabili ambientali possono avere una dinamica molto diversa in funzione
del livello di stabilità di ciascuna di esse e del loro insieme. In certe fasi storiche o
con riferimento a determinati paesi o anche a specifici settori, l’ambiente tende a
essere piuttosto statico, mentre in altre situazioni il contesto diviene fortemente
dinamico e altamente imprevedibile.
Da quanto detto, possiamo vedere nel comportamento innovativo dell’impresa
non solo la propria capacità di sfruttare l’evoluzione delle conoscenze e delle
competenze, ma anche di rispondere alle esigenze e ai bisogni della domanda, in
sostanza agli stimoli e alle sollecitazioni che il mercato o l’ambiente più generale
pone. Sotto questo profilo possiamo osservare che non tutte le imprese manifestano la stessa capacità di risposta agli stimoli dell’ambiente.
In particolare possiamo classificare il modo in cui un’impresa reagisce agli stimoli dell’ambiente secondo lo schema riportato nella Fig. 5.2.
Un primo atteggiamento può essere difensivo, di resistenza al cambiamento
posto dall’ambiente, nel senso che l’impresa giudica gli stimoli provenienti dal
mercato o dal contesto competitivo come fortemente aggressivi nei suoi confronti. Ciò può accadere quando, per esempio, l’evoluzione della domanda tende a
spostare le preferenze verso prodotti diversi da quelli offerti dall’impresa o verso
canali distributivi non coperti o ancora quando lo sviluppo si manifesta in zone
geografiche non servite. Oppure quando la concorrenza opera azioni che hanno
un certo successo e che sono difficilmente imitabili, vuoi per le conoscenze possedute o per il tipo di cultura esistente.
I motivi per cui un’impresa sceglie un comportamento difensivo possono essere molteplici. Una prima causa piuttosto frequente è quella derivante dal ritardo
con cui il management si rende conto del cambiamento nella tecnologia, nella
domanda o nella concorrenza. In questo caso la reazione può essere talmente tardiva da non consentire altra risposta che quella difensiva.
Un secondo motivo è riconducibile alla posizione di leadership consolidata nel
settore, derivante dalle competenze tecniche e dalla superiorità del prodotto: in
questi casi un cambiamento di tecnologia o di prodotto penalizzerebbe soprattutto
5 • Innovazione e sviluppo
99
Figura 5.3 Le organizzazioni creative
Organizzazioni
Organizzazioni creative
Ambiente
dinamico
Adattabilità, flessibilità
Creatività, sperimentazione,
innovazione
Ambiente
statico
Atteggiamento passivo,
imitazione, scarsa innovazione
Raccolta dati, analisi dettagliate,
ricerche di mercato,
anticipazione del futuro
Ambiente
Organizzazioni non creative
Fonte: adattato da Daft e Weick (1984, p. 289)
ascolto passivo, mantengono un livello ridotto di innovazione, preferiscono imitare i concorrenti più dinamici. Tali imprese operano solitamente all’interno di confini dati, non cercando di ridefinire il proprio ambito di attività in modo diverso da
quanto viene tradizionalmente fatto nel settore.
Nel quadrante in alto a sinistra, troviamo organizzazioni che, pur non essendo
creative, operano in un contesto fortemente dinamico, a causa dall’attività dei
concorrenti o da cambiamenti nella tecnologia, nella domanda o nelle variabili
istituzionali. Le imprese non creative reagiscono al cambiamento utilizzando una
forte capacità di adattamento ai mutamenti che intervengono nell’ambiente. Sono
imprese spesso capaci di rispondere alle sollecitazioni che provengono dal mercato o dal contesto mantenendosi altamente flessibili, senza tuttavia proporsi per
prime nel cambiamento.
Nel quadrante in basso a destra troviamo organizzazioni creative, che cioè non
si adattano passivamente all’ambiente, ma che cercano di sondare ogni possibilità
esistente nel contesto. Sono imprese che si dotano della capacità di ricercare tutte
le informazioni relative al mercato in cui operano. Il management infatti raccoglie
dati, effettua ricerche di mercato, dispone di analisi dettagliate sullo scenario. Tali
imprese sono dunque in grado di anticipare i cambiamenti futuri che, in un contesto sostanzialmente statico, risultano essere prevedibili.
Nell’ultimo quadrante, in alto a destra, abbiamo le organizzazioni creative
nei confronti di un ambiente che è estremamente dinamico. Tali imprese sono
altamente creative: non aspettano il cambiamento ma sono in grado di generarlo
attraverso la costruzione della realtà in cui operano. Sono imprese che fanno
della sperimentazione la loro filosofia di gestione, che fa perno su strategie continuamente innovative. L’introduzione di nuovi prodotti, con prestazioni superiori o comunque con caratteristiche differenzianti rispetto a quelli esistenti,
consente alle imprese di sottrarsi a una concorrenza di prezzo, in cui conta solo
106
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 6.1 Le combinazioni problemi-soluzioni
Soluzione
Problema
Problema esistente
Problema nuovo
Soluzione
attuale
Nessun vantaggio competitivo
Estensione di mercato
Soluzione
innovativa
Acquisizione
di un vantaggio competitivo
Creazione di un nuovo mercato
Fonte: adattato da Afuah (2003)
alcun vantaggio competitivo attraverso l’innovazione e la concorrenza si svolge
quindi attraverso altri strumenti, quali la differenziazione qualitativa dell’offerta,
le politiche di distribuzione e di comunicazione, la competizione sui costi.
Nel secondo quadrante, in alto a destra, una soluzione in essere viene utilizzata
per risolvere un problema nuovo. In questo caso viene trovata una nuova applicazione per un prodotto già esistente. Per esempio, Saran wrap, un polimero in vinylide chloride, resistente a ossigeno, acqua, acidi e solventi1, era inizialmente prodotto dalla Dow Chemical in un colore verde scuro ed era utilizzato per avvolgere
parte degli aeroplani da combattimento a protezione contro gli spruzzi di acqua
marina. Solo dopo la seconda guerra mondiale l’azienda produttrice pensò di utilizzare il prodotto come avvolgente per alimenti. Ed è per questo tipo di applicazione che il film ebbe un successo enorme in tutto il mondo. Si tratta dunque di
un’estensione del mercato per il prodotto, che trova nuove possibilità di sviluppo,
in qualche caso (come nell’esempio riportato), migliori di quelle prima esistenti.
L’impresa che riesce a realizzare un’estensione di mercato non acquisisce direttamente un vantaggio competitivo nel primo mercato, ma attraverso lo sviluppo del
secondo può realizzare economie di scala legate agli acquisti, alla produzione e/o
alla logistica, capaci di ridurre il costo unitario del prodotto, dando così indirettamente un vantaggio in termini di efficienza.
Nel terzo quadrante, in basso a sinistra, siamo di fronte a un’innovazione in
grado di risolvere meglio un problema esistente, che consente dunque una
migliore posizione sul piano competitivo all’impresa innovatrice. Il vantaggio
di quest’ultima è tanto maggiore quanto più efficace è l’innovazione nel rispondere all’esigenza prima soddisfatta da vecchi prodotti. Un esempio può essere
quello della lampada Tizio (nella foto, tratta da illuminazione.webmobili.it),
1
In Italia il film trasparente analogo è conosciuto attraverso il marchio Domopack.
6 • L’approccio strategico all’innovazione
111
può comunque godere di un forte vantaggio di costo basato su una discesa più
rapida lungo le curve di esperienza. Queste ultime derivano dal fatto che i vantaggi di costo possono essere connessi non solo alla dimensione della produzione in
un dato momento (economie di scala), ma talvolta all’entità della produzione
cumulata fino a un certo periodo. In numerosi casi è stato osservato che esiste una
stretta relazione tra la diminuzione del costo medio e il livello cumulato della produzione, secondo modalità che sono talora misurabili e prevedibili. Tale fenomeno è stato per esempio studiato nei settori più diversi, quali l’automobile, il petrolchimico, i trasporti aerei, le cucine a gas, i calcolatori, i fazzoletti detergenti, le
fibre sintetiche. In sintesi si è individuato che in molti settori il costo di un’unità
del prodotto diminuisce di una percentuale costante ogni volta che la produzione
cumulata raddoppia. Tale percentuale è naturalmente diversa da settore a settore:
in alcuni arriva a livelli molto elevati (oltre il 70 per cento, per esempio, nel
settore dei semiconduttori), in altri è invece del tutto trascurabile.
La relazione tra la diminuzione del costo medio e la produzione cumulata è detta curva di esperienza ed è rappresentata graficamente nella Fig. 6.2.
Vi sono numerosi motivi alla base di questo fenomeno. Una prima ragione è
individuabile nell’apprendimento, legato al semplice fatto di ripetere più volte
una certa attività, migliorandone ogni volta l’efficienza. Per esempio, con il passare del tempo, i tecnici preposti alla produzione sono in grado di migliorare il
processo produttivo, di programmare in modo più corretto la produzione e di
eliminare i tempi morti.
Un altro motivo della riduzione dei costi è individuabile nelle innovazioni
Costo medio
Figura 6.2 La curva di esperienza
Fonte: nostra elaborazione
Produzione cumulata
6 • L’approccio strategico all’innovazione
119
funzioni, riducendo le dimensioni e rendendo il prodotto sempre superiore rispetto alle imitazioni. Un approccio di questo tipo spesso comporta che l’innovatore
debba esso stesso cannibalizzare il proprio prodotto e rendere obsolete le proprie
capacità. Continuando con l’esempio precedente, nel settembre 2005 Apple presentò un nuovo prodotto sviluppato insieme a Motorola – Motorola ROKR –, vale
a dire un telefono cellulare con integrate funzioni di music player, in particolare
l’unico disponibile in Italia provvisto di software iTunes (da www.apple.com). Il
nuovo telefono-iPod diventa inevitabilmente concorrente dell’originario iPod, che
non può che essere cannibalizzato dal nuovo prodotto.
È possibile classificare le strategie di velocità in funzione dell’obsolescenza delle
capacità e del grado di cannibalizzazione del prodotto, come illustrato nella Fig. 6.3.
Nella strategia di rinnovamento di prodotto l’impresa lancia un nuovo prodotto
prima che l’innovazione da essa stessa introdotta abbia esaurito il proprio potenziale e talvolta prima che raggiunga lo stadio della maturità. Il sacrificio immediato è ovviamente molto elevato: basti pensare che è proprio nella fase di maturità
che il prodotto è in grado di generare la più elevata redditività e i maggiori flussi
di cassa. Tuttavia, una siffatta politica può dare frutti elevati anche in termini di
redditività quando l’impresa innovatrice è in grado di sfruttare le potenzialità delle innovazioni in tempi brevi, attraverso una rapida diffusione nel mercato. Un
esempio significativo è stata la politica di Intel, la quale ha lanciato sistematicamente e regolarmente nuovi microprocessori prima di esaurirne fino in fondo le
potenzialità di mercato, rendendo dunque obsoleti quelli esistenti.
La strategia di rinnovamento radicale è quella che richiede sacrifici maggiori,
in quanto comporta non solo la cannibalizzazione dei prodotti esistenti ma anche
l’obsolescenza delle capacità disponibili. Un approccio di questo tipo è giustificato solo dalla necessità di mantenere una capacità innovativa e di leadership attraverso un rinnovamento radicale dei prodotti esistenti. Devono cioè essere sfidate
Figura 6.3 Le strategie di velocità
Cannibalizzazione del prodotto
Alta
Obsolescenza delle capacità
esistenti
Bassa
Alta
Rigenerazione di capacità
Rinnovamento radicale
Salvaguardia di prodotto
Rinnovamento di prodotto
Bassa
Fonte: adattato da Afuah (2003, p. 195)
6 • L’approccio strategico all’innovazione
121
pri apparecchi cede a terzi la possibilità di realizzare programmi basati su OS, il
sistema operativo dei propri apparecchi: più si diffondono software capaci di girare sui suoi dispositivi, più si amplia il mercato di Palm.
Un ulteriore motivo è quello di acquisire capacità e competenze mancanti perché il prodotto possa avere un rapido ed esteso successo. Talvolta l’impresa innovatrice, infatti, ha sviluppato competenze tecnologiche relative al nuovo prodotto,
ma non dispone di capacità necessarie per lo sviluppo successivo, per attività
complementari necessarie alla diffusione del prodotto o per la sua commercializzazione. In questi casi la partnership con terzi dà un contributo a un rapido sviluppo del prodotto nel mercato. Per esempio, non sono rari i casi di piccole imprese
che, una volta introdotta l’innovazione nel mercato domestico, si appoggiano a
partner stranieri per lo sviluppo internazionale.
Un ultimo motivo è collegato al tema della compatibilità: soprattutto in alcuni
mercati è fondamentale per il cliente che l’uso di un certo prodotto sia compatibile con altri prodotti presenti nel mercato. Per esempio, nel caso del software è
importante la trasportabilità dei programmi da un computer a un altro. Per ottenere questa compatibilità l’impresa innovatrice può cedere a terzi l’utilizzo della
propria tecnologia, come si vedrà più a fondo nel prossimo paragrafo.
La forma con cui la cooperazione avviene può assumere diverse configurazioni, da un’alleanza strategica, a un accordo di licenza, di distribuzione, di co-marketing e molti altri ancora.
Scelta della strategia più opportuna – Talvolta i tre tipi di strategie non corrispondono a una distinzione così netta come descritto nelle pagine precedenti, ma
la scelta migliore è quella di una combinazione tra di esse. Per esempio, nel processo di sviluppo di un nuovo prodotto un’impresa potrebbe adottare approcci
differenti, come illustrato nella Fig. 6.4.
Il tipo di strategia che un’impresa sceglie è spesso funzione dell’imitabilità
della tecnologia e della natura degli asset complementari necessari per lo sviluppo del prodotto. Per esempio, se la tecnologia è fortemente imitabile perché
le competenze necessarie sono ampiamente disponibili, una strategia di proteFigura 6.4 Esempio di combinazione di strategie a seconda delle diverse fasi di sviluppo
del prodotto
Generazione dell’idea
Produzione
Lancio sul mercato
Protezione
Team up
Velocità
Proteggere i risultati
della ricerca
Dare in licenza a terzi
Lanciare sistematicamente
nuovi prodotti
Fonte: nostra elaborazione
6 • L’approccio strategico all’innovazione
127
Per quanto riguarda il primo punto, quando l’impresa vuole dare vita a un nuovo prodotto che richiede nuove conoscenze tecnologiche, organizzative e/o di
mercato, deve attrezzarsi per produrre le nuove conoscenze, il che significa assumere personale tecnico specializzato, predisporre i laboratori, acquistare le eventuali attrezzature e così via. Alcune attività possono essere svolte in condizioni
economiche solo a partire da una certa dimensione, mentre altre possono essere
condotte anche senza una scala elevata.
Un primo elemento importante di giudizio è dunque costituito dalla dimensione dell’attività innovativa in relazione alla dimensione aziendale.
Stiegler (Stiegler, 1951) nel suo teorema sulla divisione del lavoro osservava
che se la produzione di un bene è la risultante di più parti/componenti la cui fabbricazione è ottenuta con curve di costo differenti – crescenti, decrescenti e con
forma a «U» –, alcune aziende si specializzeranno nella produzione e nella vendita ad altri soggetti di quei componenti la cui produzione comporta economie di
scala, rendendo così la produzione del bene finale più efficiente. Il discorso non
vale evidentemente solo per la produzione di componenti/parti, ma può essere
esteso allo svolgimento di tutte le funzioni aziendali, quali la Ricerca & Sviluppo
o la pubblicità per la commercializzazione di un nuovo prodotto.
Ciò che è importante, ai fini della decisione di acquistare le attività necessarie
all’innovazione all’esterno, è dunque l’esame dell’andamento della funzione di
costo delle attività connesse all’innovazione: se esse sono crescenti, decrescenti
oppure con un punto di minimo, come illustrato nella Fig. 6.5.
Costo delle attività
Figura 6.5 Costi e dimensioni delle attività per l’innovazione
δ
α
β
O
A
B
Dimensione
delle attività
6 • L’approccio strategico all’innovazione
129
Figura 6.6 Coerenza strategica e difendibilità delle tecnologie
Coerenza strategica
Alta
Difesa della tecnologia
Bassa
Non
importante/
non
possibile
Acquisto della tecnologia
Collaborazione o outsourcing
Collaborazione o outsourcing
Ricerca & Sviluppo
svolti internamente
Critica
Fonte: adattato da Baglieri (2003, p. 65)
possibile una sua difesa – per esempio, perché le competenze sono ampiamente
disponibili nel mercato –, può essere conveniente per l’impresa affidare la propria attività di Ricerca & Sviluppo a un laboratorio specializzato o intraprendere un’attività di collaborazione con altre imprese.
In modo analogo, quando la coerenza strategica della tecnologia è bassa e tuttavia si tratta di un tecnologia critica per il successo del nuovo prodotto, tale per cui
è necessario che i concorrenti imitino il più tardi possibile quel ritrovato tecnologico, l’impresa può decidere di intraprendere una collaborazione per lo sviluppo
del prodotto con altre imprese, ovviamente attraverso accordi di esclusiva.
6.7
Le strategie di apertura della Rete
Fino al secolo scorso la nostra economia e l’attività produttiva si sono basate su
unità indipendenti, le singole imprese, che per operare, per interagire, dovevano
necessariamente entrare in contatto quasi fisico tra loro. Nel XX secolo le capacità di comunicazione sono aumentate enormemente, al contatto fisico si è aggiunta
la comunicazione a distanza, con il telefono e con le onde radio. Questa aumentata capacità di comunicazione ha fatto sì che l’attività economica fosse sempre
meno legata a compiti isolati e sempre più fondata sulla formalizzazione delle
conoscenze in codici capaci di facilitare la trasmissione dell’informazione da
un’unità a un’altra.
La possibilità di comunicare, di scambiare cioè informazioni da un luogo a un
altro ha consentito di rompere i confini chiusi delle organizzazioni, che hanno
potuto operare senza limiti geografici e con una capacità di coordinamento delle
attività prima impensabili. Alla necessità del contatto fisico, si è a poco a poco
affiancato, in parte sostituendolo, lo scambio di conoscenza. Se, per esempio, era
132
Tecnologia, innovazione, operations
ampia possibilità di comunicazione. Quando nacque Netscape, per esempio, i
fondatori crearono uno standard aperto proprio perché erano convinti che la rete
richiedesse la massima facilità di comunicazione e, dunque, piattaforme il più
aperte possibile (Yoffie e Cusumano, 1999, p. 12).
Nell’economia della virtualità di rete è fondamentale la scelta tra l’apertura
massima della rete oppure il controllo esclusivo esercitato su di essa (Shapiro e
Varian, 1999, pp. 238-252). Infatti, laddove esiste un forte effetto di rete, il valore
totale dipende da quanto può essere diffusa una certa innovazione, cioè dalle
dimensioni della rete. Questa alternativa, fra apertura della rete e controllo esclusivo, può essere illustrata nella Fig. 6.7.
Sull’asse delle ordinate è rappresentata la quota del mercato appartenente a una
singola impresa e sull’asse delle ascisse il peso dello standard nel settore. Ogni
impresa deve stabilire in quale punto situarsi, cioè se controllare un’elevata quota
di un piccolo mercato, definito dal limitato peso dello standard nel settore oppure
una piccola quota di un mercato molto più ampio, oppure se scegliere una situazione mediana (come il punto di ottimo della Fig. 6.7). Un esempio è quello della
tecnologia del tubo catodico utilizzato per i televisori, sviluppata inizialmente da
RCA, la quale ha scelto di non produrre televisori in esclusiva, collocandosi dunque nel grafico in alto a sinistra, ma di rendere disponibile la tecnologia a tutti i
produttori di televisori, collocandosi così in basso a destra, vale a dire in una posizione dove, pur controllando da un punto di vista competitivo una quota bassa,
tuttavia possedeva il controllo di uno standard che rappresentava il totale del mer-
Quota di mercato posseduta
direttamente dall’innovatore
Elevata
Figura 6.7 L’alternativa tra apertura della rete e controllo esclusivo
Bassa
Ottimo
Ridotto
Fonte: adattato da Shapiro e Varian (1999, p. 243)
Significativo
Peso dello standard nel settore
6 • L’approccio strategico all’innovazione
133
cato. In questo modo non ha impedito la concorrenza di altri, ma ha ottenuto che il
proprio standard fosse adottato da tutti e, dunque, l’unico disponibile sul mercato.
Ciò significa che, in un’economia di rete, sfruttare al massimo la propria innovazione può significare condividerla con altri attori del mercato. In questo caso,
l’alleanza tra le imprese è orientata soprattutto alla promozione di un certo standard all’interno del mercato, che consente alla tecnologia di conquistare una quota significativa del valore aggiunto del mercato.
Questo stesso concetto può essere esaminato osservando le decisioni che le
imprese compiono in termini di scelta tra le alternative compatibilità e performance, ove per compatibilità s’intende un’innovazione tecnologica compatibile
con altre tecnologie concorrenti o complementari, mentre per performance si
intende un’innovazione tecnologica che voglia garantirsi una performance superiore rispetto agli standard esistenti sul mercato. Un esempio della prima opzione
è quello dell’offerta di IBM di un sistema compatibile con altri, il DOS, mentre
l’esempio di seconda opzione è quello di Apple, che scelse inizialmente un sistema superiore a quelli esistenti ma non compatibile.
Dalla combinazione di queste quattro opzioni (Fig. 6.8) nascono strategie di
base nelle economie di rete.
Puntare sulla performance significa orientarsi verso una strategia ad alto rischio ma ad alto rendimento, il che vuol dire puntare su una tecnologia in grado di
superare tutte quelle esistenti sul mercato, e quindi capace di vincere rispetto alla
concorrenza offrendo vantaggi di performance alla clientela. Un tentativo in questo senso è stato compiuto da Sony, quando offrì al mercato videoregistratori
basati su una tecnologia esclusiva, la Betamax, superiore sul piano tecnologico
rispetto a quella denominata VHS, ma non compatibile con questa. A ben trent’anni di distanza la storia si ripresenta con riferimento al formato dei DVD: Sony
offre una tecnologia Blu Ray, esclusiva, superiore e incompatibile rispetto a quella HD di Toshiba e Nec.
Nel caso di una strategia di migrazione controllata, l’impresa offre una nuova
tecnologia, che risulta compatibile con quelle esistenti. L’impresa non condivide
la tecnologia con terzi, ma l’apre a quelle concorrenti o esistenti sul mercato. Per
Figura 6.8 Le strategie di base nella Rete
Controllo
Apertura
Compatibilità
Migrazione controllata
Migrazione aperta
Performance
Performance
Discontinuità
Fonte: Shapiro e Varian (1999, p. 249)
140
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 7.1 Le forme di creatività
Creatività individuale
Alta
Bassa
Creatività organizzativa
Alta
• Organizzazioni basate
sul miglioramento continuo,
sulla sistematica ricerca di efficienza
• Organizzazioni di successo
• Elevato tasso di innovazioni
• Basso tasso di innovazioni,
solo imitazioni
• Organizzazioni poco efficaci
• Poche innovazioni,
talvolta radicali, basate sullo spirito
imprenditoriale dei singoli
Bassa
Fonte: Vicari (1998)
Nel quadrante in basso a destra abbiamo imprese che generano innovazioni
frutto di elevata creatività individuale, ma di bassa creatività organizzativa. Sono
le imprese in cui la capacità di cambiamento e di innovazione è legata all’intuito e
allo spirito imprenditoriale di singole persone, spesso del fondatore. In queste
imprese le innovazioni sono piuttosto sporadiche, legate alla capacità e alle idee
di una singola persona. Tuttavia i cambiamenti possono essere di tipo radicale, in
quanto l’innovazione è, non di rado, rivoluzionaria.
Nel quadrante in alto a sinistra, vi sono le organizzazioni che operano in termini di elevata creatività organizzativa, pur non possedendo al proprio interno individui altamente creativi.
Il cambiamento, in questo caso, è basato su centinaia di cambiamenti continui, nessuno dei quali è in grado di operare cambiamenti rivoluzionari, ma la
somma dei quali può generare innovazioni significative. Si tratta delle organizzazioni che agiscono basandosi su una sistematica e continua ricerca di migliore efficienza o di maggiore efficacia. In queste imprese, la logica è quella del
miglioramento continuo e del contributo collettivo al cambiamento. Un tipico
esempio sono le imprese giapponesi, le quali pur non possedendo spesso al proprio interno persone dotate di elevata creatività, sono capaci di produrre innovazioni significative lungo la propria esistenza basandosi sulla ricerca di una maggiore qualità e sul miglioramento continuo dei processi da parte di tutte le maestranze e di tutto il management.
Nel quadrante in alto a destra, infine, vi sono le organizzazioni di maggior successo, quelle in grado di un continuo cambiamento, dotate di capacità di evoluzione, estremamente innovative e capaci di generare sistematicamente il nuovo. Si
tratta di imprese che fanno dell’innovazione la propria filosofia di gestione. Sono
capaci di coniugare un’elevata creatività dei singoli, che viene favorita in ogni
modo, con una capacità di far partecipare al miglioramento continuo e all’incre-
146
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 7.2 Spesa per Ricerca & Sviluppo intra-muros delle imprese per tipologia
di ricerca (anni 1998-2003, valori in milioni di euro correnti)
4.000
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
1998
1999
2000
2001
Ricerca di base
Ricerca applicata
Fonte: ISTAT, statistiche sulla ricerca scientifica
2002
2003
Sviluppo sperimentale
sperimentale. Come si può vedere dalla Fig. 7.2, la spesa per la ricerca cresce in
tutte le sue componenti, seppure lentamente nel tempo, mutando tuttavia dal 2001
i rapporti tra le varie tipologie.
L’Italia, in generale, nel contesto europeo e a maggior ragione in quello internazionale, ha una spesa totale inferiore alla media degli altri paesi europei. Dunque, per l’Italia, la questione di incrementare le attività di R&S si pone in modo
ancora più pressante che per il resto dell’Unione Europea, che pure deve incrementare i propri sforzi per rimanere al passo con gli Stati Uniti (si veda Il piano
Lisbona per il 2010).
Il piano Lisbona per il 20103
Nel 2000, il Consiglio di Lisbona ha riconosciuto l’inadeguatezza degli sforzi della ricerca
europea in generale, l’inadeguatezza o la mancanza di coordinamento delle attività e delle
politiche e il calo d’interesse da parte dei giovani per la scienza. Per contrastare tali tendenze,
nel 2002 è stato creato lo Spazio Europeo della Ricerca (ERA). L’ERA doveva occuparsi delle
reti dei centri d’eccellenza e della creazione di centri virtuali, fornire un approccio comune per
finanziare grandi infrastrutture per la ricerca, permettere un più coerente svolgimento delle
attività di ricerca nazionali ed europee e fornire risorse umane più numerose e dinamiche,
promuovendo allo stesso tempo valori sociali ed etici comuni in ambito scientifico e tecnologico. Nel 2002, il Consiglio di Barcellona ha stabilito che gli investimenti nella Ricerca & Svi3
Tratto da www.scientificambitalia.org.
162
Tecnologia, innovazione, operations
Vendite
Figura 8.1 Ciclo di vita del prodotto e potenziale di mercato
Potenziale di mercato
Ciclo di vita del prodotto
Introduzione
Fonte: nostra elaborazione
Tempo
• scompositivo;
• statistico.
Il metodo aggregativo vuole identificare in un determinato ambito geografico
e in un certo periodo di tempo qual è il numero di clienti potenzialmente interessati all’acquisto del prodotto/servizio. Il passo successivo consiste nella stima della quantità acquistabile da ogni singolo cliente e nell’eventuale tasso di
riacquisto nel periodo considerato. Da ultimo, è necessario stimare il costo che
ogni singolo cliente è disponibile a sostenere per entrare in possesso del nuovo
prodotto.
In sintesi:
P = N ×Q × r × p
dove:
P = potenziale di mercato
N = numero di clienti potenzialmente interessati
Q = quantità acquistabile da ogni cliente
r
= riacquisto medio del periodo
p = costo che ogni cliente è disponibile a sostenere (possibile prezzo di
vendita)
Il metodo scompositivo, invece, consiste nel partire dal numero della popolazione totale e nella successiva scomposizione dello stesso moltiplicandolo per
una serie di quozienti calcolati sulla base delle ipotesi d’interesse/propensione
166
Tecnologia, innovazione, operations
Tempo
Vendite
Vendite
Vendite
Figura 8.2 Le diverse forme della curva di adozione mettendo in relazione le vendite
e il tempo
Tempo
Tempo
Fonte: nostra elaborazione
relazione per esempio, le vendite e il tempo, il livello di penetrazione e il tempo, e
ancora le vendite e il livello di penetrazione.
Un certo prodotto può avere un livello di adozione iniziale molto elevato e
poi subire un brusco rallentamento mentre, all’opposto, un prodotto può avere
un’adozione iniziale molto bassa e poi conoscere una forte diffusione; altri prodotti, ancora, possono essere oggetto di una crescita del livello di diffusione
piuttosto costante nel tempo. Nella Fig. 8.2 sono rappresentate le tre modalità
ora descritte.
Il livello di penetrazione esprime la dimensione del mercato. Esso può pertanto essere rappresentato come il rapporto tra il totale delle vendite del nuovo
prodotto rispetto alle vendite totali del mercato. Queste ultime sono date dalla
somma del totale delle vendite del nuovo prodotto e dei prodotti simili già presenti sul mercato o comunque di prodotti altamente sostitutivi. Ovviamente, nel
caso di un prodotto totalmente nuovo, che dà vita a una nuova categoria, il concetto di tasso di penetrazione perde significato essendo per definizione comunque pari a 1.
Il livello di penetrazione può essere esaminato ex post oppure ex ante: nel primo caso si tratta di un rapporto tra il totale delle vendite effettive del nuovo prodotto e il mercato totale; nel secondo caso di un rapporto tra il totale delle vendite potenziali per il nuovo prodotto e il mercato totale. Ovviamente il livello di
penetrazione dipende, oltre che dai benefici effettivi del nuovo prodotto rispetto
ai prodotti esistenti, anche dalle azioni di marketing del produttore. Questi,
infatti, con il livello degli investimenti per la commercializzazione dell’innovazione può influenzare non solo il tasso e lo schema di diffusione, ma anche il
livello di penetrazione che il nuovo prodotto può raggiungere nel mercato.
Le modalità di adozione di un’innovazione possono essere esaminate anche in
relazione alle caratteristiche dei clienti e in particolare alla loro propensione a
un’adozione precoce o ritardata del prodotto. In particolare, con riferimento ai
beni di consumo durevole – per i quali il processo di acquisto è caratterizzato da
8 • Il mercato dell’innovazione
167
un livello maggiore di complessità – Rogers (1995) ha identificato cinque categorie di consumatori:
1.
2.
3.
4.
5.
gli innovatori;
gli adottanti iniziali;
la maggioranza anticipatrice;
la maggioranza ritardataria;
i lenti.
Gli innovatori, rappresentati nel primo segmento della Fig. 8.3, sono consumatori particolarmente interessati al prodotto e in particolare alle caratteristiche
innovative che esso presenta. Si tratta solitamente di persone altamente competenti e comunque con una forte propensione all’acquisto delle novità, perlomeno con
riferimento alla categoria di prodotto cui l’innovazione appartiene. Solitamente si
tratta di persone con un livello di reddito piuttosto elevato e con un alto grado di
istruzione, anche se ciò che caratterizza maggiormente queste tipologie di clienti
è, come si diceva, il livello di interesse.
Gli adottanti iniziali sono, invece, consumatori che, pur non essendo così
esperti del prodotto o così interessati alle caratteristiche innovative, tuttavia
aspirano a essere tra i primi a entrare in possesso di quel particolare tipo di prodotto. Talvolta si tratta di persone comunque interessate alle novità, perlomeno
con riferimento alla categoria di prodotto in questione. Gli adottanti iniziali,
insieme agli innovatori, svolgono spesso la funzione di opinion leader nei con-
Vendite non cumulate
Figura 8.3 Gli adottanti in funzione del tempo di adozione
Innovatori
Adottanti
iniziali
Fonte: nostro adattamento
Maggioranza
anticipatrice
Maggioranza
ritardataria
Lenti
Tempo
170
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 8.4 La segmentazione come divisione «naturale» del mercato
Segmento A
Segmento B
Segmento C
Fonte: Vicari (1998)
Segmento D
mercato in base a proprietà oggettive della domanda, quali le caratteristiche sociali, demografiche, psicologiche/psicografiche. L’obiettivo, in fase di progettazione
dell’offerta, è individuare i criteri adeguati di segmentazione da cui è possibile
inferire il comportamento dei consumatori. Come si vede un concetto di segmentazione in cui prevale la necessità di prendere atto dell’articolazione esistente è
quello di cui l’impresa deve tenere conto nel definire la propria offerta.
Nella Fig. 8.4 è rappresentato un mercato (disegnato come un ovale), nel quale
ogni punto rappresenta un consumatore (o meglio un bisogno della domanda): il
mercato risulta diviso in una serie di segmenti, che l’impresa deve individuare e a
cui deve cercare di indirizzare le scelte di marketing. Il mercato è un dato di fatto e
i segmenti (A, B. C, D) sono il frutto dei comportamenti dei clienti, a loro volta
determinati dalle caratteristiche personali. Per esempio, fino alla fine degli anni
Settanta il mercato degli orologi era sostanzialmente segmentato sulla base delle
caratteristiche sociodemografiche degli acquirenti, in particolare del reddito disponibile e della propensione a pagare un prezzo più o meno elevato per l’orologio. Un’impresa operante nel settore, pertanto, nel definire le caratteristiche differenziali di un nuovo orologio, avrebbe dovuto innanzitutto prendere atto della
segmentazione esistente per poi indirizzare correttamente il nuovo prodotto a una
particolare tipologia di clienti, sia in termini di reddito che di propensione a un
certo prezzo, al fine di progettare e definire caratteristiche qualitative del prodotto
offerto coerenti con il segmento prescelto.
Mentre le innovazioni incrementali si inseriscono nel mercato senza modificare in modo sostanziale la segmentazione esistente, ogni qualvolta un prodotto
radicalmente nuovo irrompe nel mercato, l’assetto in essere viene solitamente
sconvolto. Ogni innovazione radicale modifica completamente la struttura del
mercato e la vecchia segmentazione perde totalmente di significato. Sotto il
profilo della segmentazione possiamo anche sostenere che un’innovazione radi-
8 • Il mercato dell’innovazione
171
cale tende sempre a trasformare le modalità di aggregazione dei clienti, i quali
di fronte al nuovo prodotto reagiscono in modo differente rispetto al passato,
essendo la sensibilità della domanda alle caratteristiche di novità necessariamente diversa in funzione della varietà della clientela. Per esempio, un’innovazione di processo che renda i costi di varie tipologie di prodotto sostanzialmente identici può invalidare una politica di differenziazione di prezzo, divenuta
oramai non più significativa. Il mercato, da quel momento in poi, non può più
essere segmentato sulla base della variabile «prezzo». Se un’impresa, infatti,
decidesse coerentemente di non azionare più la leva del prezzo, i segmenti preesistenti non avrebbero più ragione di esistere.
Un’innovazione radicale determina dunque nuovi segmenti di mercato aggregando clienti prima appartenenti a segmenti diversi in nuovi segmenti sulla base
della sensibilità alle caratteristiche di novità del prodotto. Quindi l’innovazione è
in grado di aggregare i bisogni dei clienti in modo nuovo, sconvolgendo gli assetti
prima esistenti.
Il mercato degli orologi, di cui si faceva cenno poc’anzi, dopo l’introduzione di
Swatch, non è stato più segmentabile solo sulla base della variabile prezzo, ma
piuttosto in funzione della sensibilità alla funzione dell’orologio non solo come
strumento di misurazione del tempo, ma anche come elemento accessorio di
moda, come è illustrato in Il lancio di Swatch.
Nella Fig. 8.5 è riportato lo stesso mercato, in cui i punti – come nel grafico
precedente – rappresentano i bisogni; questi sono attraversati da linee create
dall’innovazione, che aggregano però i bisogni secondo modalità del tutto differenti rispetto alla segmentazione esistente prima. Ogni innovazione è in grado
quindi di tracciare linee di articolazione in un mercato aggregando i bisogni
senza alcun limite aprioristico. Le modalità di aggregazione sono potenzialmente tante quante sono le combinazioni possibili in un mercato, sono cioè virFigura 8.5 La segmentazione come risultato di un processo innovativo
Segmento A
Segmento B
Segmento C
Segmento E
Fonte: Vicari (1998)
Segmento D
8 • Il mercato dell’innovazione
173
Tabella 8.1 Le caratteristiche del progetto
Idea
Produrre un orologio al prezzo di un movimento (max 40 franchi svizzeri)
Tecnologia
Produzione integrata iniezione plastica
Vantaggi
Possibilità di adattamento del design
Obiettivo
Produzione di massa e penetrazione globale
era risultato un orologio in materiale sintetico molto resistente, impermeabile fino a una profondità di 30 m, con una precisione di ± 1 secondo al giorno.
Nel dicembre del 1982 la SWDC organizzò il test di mercato in 100 magazzini della Sanger
Harris a Dallas, Salt Lake City e San Diego. Esso non fu accompagnato da alcuna iniziativa
pubblicitaria né da alcuna operazione di PR.
La risposta del pubblico fu negativa. Il management ETA, tuttavia, non si scoraggiò e nel marzo del 1983 l’orologio fu lanciato ufficialmente in Svizzera.
Nell’aprile del 1983 la SWDC predispose un secondo test di mercato per il mese di dicembre
dello stesso anno. Questa volta l’orologio Swatch fu distribuito attraverso la catena di gioiellerie Zales e i magazzini Macy’s di Dallas e New York. Thomke e Sprecher vollero che questa
volta il lancio fosse accompagnato da uno spot pubblicitario trasmesso principalmente in TV.
La realizzazione fu affidata alla McCann Erickson.
L’idea di non esaltare le caratteristiche tecniche dell’orologio e di posizionarlo come accessorio di moda, cioè l’idea di Sprecher, il consulente di Thomke, sembrava a Imgrueth la migliore, ma costui si era reso conto che dal test di mercato non risultava affatto che la domanda lo
percepisse come tale. Si doveva pertanto ripensare alla configurazione estetica dell’orologio
e si sarebbe dovuto, a tal fine, predisporre anche un programma pubblicitario che esaltasse
la funzione di accessorio dello Swatch, differenziandolo, per la sua semplicità, dai sofisticati
orologi multiuso che i concorrenti giapponesi andavano proponendo.
Thomke aveva deciso fin dal progetto iniziale che ETA avrebbe presentato ogni anno due
diverse collezioni composte da 12 modelli, ma, per esprimere le diverse tendenze della moda,
stabilì insieme ai designer, che il target sarebbe stato individuato in 4 gruppi: classico, elegante-sofisticato, sportivo e, infine, moderno-trendy.
8.4
I test per il nuovo prodotto
Sotto il profilo di marketing, il lancio di un nuovo prodotto richiede che vi sia un
processo di affinamento progressivo, che per certi versi ricalca quello che esamineremo più avanti nel capitolo 9, riguardante lo sviluppo di un prodotto.
Prima di dare via al lancio del prodotto, una volta che sono state selezionate le
idee, in base alle quali si ha una ragionevole probabilità che il prodotto abbia successo, è necessario sviluppare un’idea più precisa del prodotto finito. Si tratta dello sviluppo del «concetto di prodotto» o come viene solitamente chiamato nella
pratica manageriale product concept (a questo proposito, sui test di mercato si
veda diffusamente Crawford e Di Benedetto, 2006).
9
Gestione e organizzazione
del processo innovativo
9.1
Lo sviluppo del nuovo prodotto
Lo sviluppo di un nuovo prodotto può essere visto come un processo in cui una
certa possibilità di innovazione si traduce progressivamente in un progetto e poi,
alla fine, in un prodotto che viene lanciato nel mercato.
Questo processo può quindi essere visto come un percorso costituito da più
fasi, in cui un’iniziale idea di innovazione si trasforma in un prodotto vero e proprio e in cui ciascuna fase contribuisce al processo di trasformazione. Possiamo
pertanto descrivere lo sviluppo del nuovo prodotto come indicato Fig. 9.1.
Investimento cumulato
Figura 9.1 Il processo sequenziale di sviluppo di un nuovo prodotto
Lancio
Test
di mercato
Produzione
Industrializzazione
Prototipazione
Ricerca
& Sviluppo
Ideazione
Durata del processo
9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo
185
Investimento cumulato
Figura 9.2 Il processo parallelo di sviluppo di un nuovo prodotto
Lancio
Test
di mercato
Produzione
Industrializzazione
Prototipazione
Ricerca
& Sviluppo
Ideazione
Durata del processo
mazioni necessarie alla fase successiva cominciano a fluire dall’una all’altra. Perché ciò sia possibile è tuttavia necessario che la squadra che opera in ciascuna fase
sia composta di persone che abbiano competenze anche relative alla – e in qualche
caso che compongano poi la squadra che opererà nella – fase successiva. Ogni
qualvolta nasca all’interno di una fase un problema che inevitabilmente condizionerebbe gli stadi successivi, la soluzione che viene cercata tiene già conto delle
esigenze di questi ultimi.
La sovrapposizione, quindi, non riguarda solo l’arco temporale tra le fasi, ma
anche le competenze. In molti casi lo sviluppo del nuovo prodotto è affidato a
un unico team, costituito da persone con competenze nelle diverse aree aziendali interessate. In ogni caso, un elemento fondamentale perché un processo parallelo funzioni efficacemente è il continuo flusso di informazioni da una fase
all’altra.
Il risultato che l’adozione di metodi paralleli nel processo di sviluppo di nuovi
prodotti ha comportato concerne non solo una forte riduzione del time to market,
ma anche una significativa flessibilità: il lavoro dei gruppi interfunzionali garantisce un «robusto» processo di apprendimento, che consente di modificare i progetti via via che le informazioni divengono più complete e che l’attività di sviluppo
fornisce nuovi elementi. Inoltre, è il forte trasferimento di informazioni in una
logica fortemente interfunzionale a far sì che sia possibile affrontare rapidamente
eventuali problemi inaspettati, che sistematicamente emergono in un qualunque
processo di questa natura.
9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo
187
Numero di progetti
Figura 9.3 Curva di decadimento dei progetti di innovazione
Ideazione
Ricerca
& Sviluppo
Stage gate
Prototipazione
Stage gate
Industrializzazione
Stage gate
Lancio
Durata
del processo
Stage gate
I criteri che vengono utilizzati per valutare la bontà del progetto innovativo tengono conto sia delle potenzialità di mercato sia delle possibilità di sviluppo sotto
il profilo tecnologico. Ovviamente viene utilizzato un criterio di tipo economico,
vale a dire il livello di profittabilità del nuovo prodotto una volta lanciato nel mercato. Un indice sviluppato a questo proposito consiste nel considerare i profitti
probabili rispetto ai costi di sviluppo del progetto:
A=
T × M ×O
C
In particolare, l’attrattività di un progetto (A) è funzione dei profitti previsti (P)
pesati per la probabilità di concludere con successo lo sviluppo tecnologico del
progetto (T) e per la probabilità che il prodotto venga accolto favorevolmente dal
mercato (M). I profitti attesi vengono poi messi a confronto con i costi di sviluppo
del progetto (C), ricavandone appunto l’indice di attrattività (A).
La complessità nella valutazione dei progetti innovativi deriva dal fatto che
l’arco di tempo necessario perché il progetto si sviluppi dalla prima idea fino al
lancio del prodotto può essere molto lungo e quindi possono variare molto sia le
condizioni della tecnologia sia quelle del mercato.
Per affrontare la questione-valutazione vengono non di rado formati dei
189
9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo
Figura 9.4 Mappatura dei progetti di innovazione
Maggiore
Maggiore
Grado di modificazione
del processo
Minore
Ricerca
& Sviluppo
avanzata
Processo
di nuova
generazione
Riconversione
a livello
di singolo
reparto
Cambiamento
marginale
Grado di modificazione del prodotto
Nuovo
prodotto
Prodotto
di nuova
generazione
Minore
Prodotti
Estensione
derivati
della famiglia
di prodotti e miglioramenti
Progetti
radicalmente
innovativi
Progetti
piattaforma
Progetti
derivati
Fonte: Wheelwright e Clark (1992)
stente o a dare vita a nuove esigenze della domanda. Questi progetti possono
avere orizzonti temporali di lungo termine e non avere uno sviluppo applicativo
immediato. Talvolta essi sono condotti insieme all’università, come esplorazione delle possibili applicazioni della ricerca di base, in vista appunto di nuovi
futuri progetti innovativi.
Quando sono previsti sia nuovi prodotti sia nuovi processi, i progetti possono
essere definiti come radicalmente innovativi, in quanto comportano il ripensamento degli assetti produttivi e del rapporto con il mercato. Ovviamente si tratta
dei progetti più rischiosi e con le maggiori opportunità, che coinvolgono tutta
l’organizzazione aziendale, dal vertice fino alle maestranze.
I progetti piattaforma sono, invece, quelli che richiedono innovazioni significative nel prodotto originario o attraverso nuove versioni che lo sostituiscono o
che si affiancano a esso e che, nel contempo, richiedono modifiche nei processi
produttivi a livello di singolo reparto o comunque non di tipo sostanziale. Tali
progetti consentono di ampliare di molto l’offerta oppure di allungare, talvolta
in modo rilevante, la vita del prodotto originario.
Essi vengono definiti «piattaforma» in quanto danno vita a sviluppi del prodotto a partire dalla medesima base tecnologica, che consente una grande varietà di caratteristiche del prodotto finito.
9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo
193
delle attività che, da un formale momento iniziale fino a un momento finale, racchiude tutti i compiti necessari per arrivare al lancio del nuovo prodotto. Nel progetto si sostanziano le attività di coordinamento, che possono assumere diverse
modalità organizzative:
• funzionale;
• project management;
• team autonomo.
Nel modello di tipo funzionale non vi è una responsabilità precisa nell’ambito
del progetto e ogni funzione aziendale ha il compito di sviluppare al meglio la
parte del progetto che compete alla stessa (Fig. 9.5). Tale struttura consente di
enfatizzare il contributo di competenza che ciascuna area aziendale può apportare
al progetto.
Una struttura di questo tipo pone ovviamente forti problemi di coordinamento e non è adottabile nel caso di progetti complessi. Come si è detto poc’anzi,
infatti, ciascuna funzione possiede competenze, linguaggi e obiettivi diversi.
Tale modello può trovare qualche applicazione in piccole imprese, dove in realtà la funzione di coordinamento viene svolta dal vertice, o in imprese technology driven, dove il coordinamento delle diverse attività è comunque guidato,
anche solo culturalmente, dalle competenze tecnologiche. In ogni caso, per
risolvere e dirimere eventuali conflitti, in questo approccio è quasi sempre prevista l’istituzione di un comitato di coordinamento cui solitamente partecipano
i responsabili delle funzioni coinvolte.
Non appena i progetti aumentano di complessità, è necessario che il coordinamento venga svolto dal cosiddetto project manager (PM), il quale ha la responsabilità di coordinare le risorse che ogni funzione aziendale mette a disposizione per
la conduzione del processo di sviluppo del nuovo prodotto (Fig. 9.6).
La gestione per progetto, con un responsabile del processo, ha notevoli vantagFigura 9.5 Modello funzionale
Ricerca
& Sviluppo
Produzione
Marketing
Comitato
di
coordinamento
Progetto di nuovo prodotto
Amministrazione
e controllo
194
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 9.6 Project management
Ricerca
& Sviluppo
Produzione
Marketing
Amministrazione
e controllo
Manager
della
funzione
Project
manager
gi. In primo luogo viene formalizzata l’esistenza di un progetto, che solitamente
ha una scadenza e delle risorse di tempo ed economiche assegnate. Vi è poi una
responsabilità chiara per le attività di processo, che vengono assegnate al PM.
Quest’ultimo dispone solitamente degli strumenti per pianificare le attività di progetto, per assegnare i compiti al suo interno, per controllare l’andamento delle
attività e per coordinare il lavoro dei vari membri che generalmente dedicano solo
un parte del proprio tempo al progetto. Vi sono due versioni diverse di questo tipo
di coordinamento: quello attraverso i cosiddetti lightweight project manager e i
heavyweight project manager (Clark e Fujimoto, 1991).
Nel caso del lightweight PM le persone assegnate al progetto rispondono per il
proprio operato ai rispettivi responsabili di funzione, che ne dirigono sostanzialmente l’azione. Il PM può essere dedicato al progetto totalmente o parzialmente,
ma in ogni caso non ha un potere gerarchico diretto sulle risorse assegnate al progetto. Il suo è sostanzialmente un ruolo di raccordo e di coordinamento, mentre
l’operato delle persone è determinato e valutato dalle rispettive funzioni aziendali. Il limite principale di tale modalità di coordinamento è proprio nello scarso
potere del PM, il quale talvolta deve subire lo schema di lavoro, i tempi di svolgimento delle attività, i problemi di conflitto tra le diverse aree, non avendo una
capacità di intervento diretto. Egli può solo influenzare il processo fornendo le
informazioni, illustrando i problemi, aiutando quando nascono conflitti. Solo nel
caso in cui i problemi superino un certo livello, può cercare di agire rivolgendosi
direttamente alla Direzione generale perché quest’ultima affronti le aree problematiche o di conflitto.
Tali problemi possono diventare un limite significativo nel caso in cui i progetti
di innovazione siano particolarmente complessi, tecnologicamente complicati e
richiedano conoscenze multidisciplinari. Proprio per superare questi problemi talvolta si ricorre alla modalità di coordinamento «pesante».
In questo caso l’heavyweight PM ha un potere più forte sulle modalità di svolgimento del progetto. Solitamente si tratta di un senior manager con una certa
196
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 9.7 Task force
Direzione
generale
Ricerca
& Sviluppo
Produzione
Marketing
Amministrazione
e controllo
Task force
Project
manager
Non di rado, quando il gruppo di progetto sviluppa un prodotto realmente innovativo e interessante per lo sviluppo aziendale, a esso viene dato mandato di continuare nella gestione del prodotto anche nella fase del lancio e nella fase di sviluppo del mercato, dando quindi vita a una nuova unità organizzativa di tipo
divisionale.
9.5
Il Quality Function Deployment
Un modo per migliorare il processo di sviluppo di un nuovo prodotto, collegando
le modalità di lavoro dei progettisti a quelle delle funzioni di marketing e di produzione, è stato sviluppato in Giappone dopo la seconda guerra mondiale: il Quality Function Deployment (QFD). Si tratta di un metodo che vuole fornire un
modello per risolvere i problemi di progettazione, collegando le specifiche del
prodotto alle esigenze dei clienti. Esso è basato sull’idea che il successo di un prodotto dipende dalla propria capacità (definita come qualità) di rispondere in modo
adeguato ai bisogni del mercato e che, perché ciò accada, è necessario che fin dalle prime fasi di sviluppo del prodotto le esigenze dei clienti «entrino» nel processo di progettazione.
L’adozione del metodo QFD ha costituito, per molte imprese, uno strumento
per lo sviluppo di nuovi prodotti e ha prodotto risultati significativi in termini di:
• coerenza tra la caratteristiche dell’offerta e le esigenze della domanda;
• comparazione sistematica con la concorrenza;
• informazione diffusa sul significato di qualità del prodotto;
5
10
15
Ingombro minimo
Prezzo contenuto
Estetica piacevole
X
Sgancio
della lametta
10
8
X
Scorrimento
dell’acqua
5
4
X
Colore
5
1
X
V
15
3
X
V
20
1
X
15
4
V
V
X
x
Design
15
3
X
x
Competitor X
B
B
M
B
B
A
B
A
B
M
M
M
A
A
A
A
CompetitorY
Legenda: X = relazione molto importante; x = relazione mediamente importante; V = relazione negativa; A = performance alta; M = performance media;
B = performance bassa
15
10
Facile pulizia
2
5
Sostituzione della lametta
x
Difficoltà tecnica
10
Facile impugnabilità
Dimensione
Importanza/priorità in percentuale
15
Morbidezza della rasatura
Costi stimati
30
Grado
di importanza
Efficacia della rasatura
Esigenze del cliente
Caratteristiche
tecniche
Materiali
impiegati
Correlazione tra specifiche tecniche
Lametta
utilizzabile
Figura 9.8 Esempio di applicazione della «casa della qualità» al caso di un rasoio
Forma
ergonomica
198
Tecnologia, innovazione, operations
9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo
201
necessarie, l’impresa sia in grado di procedere allo sviluppo di nuovi prodotti in
modo coerente con gli obiettivi di sviluppo prefissati e alla luce delle attività
analoghe svolte dalla concorrenza.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello dell’oggetto della misurazione,
un’impresa può concentrare la propria attenzione sulla fase finale del processo
innovativo oppure sugli aspetti intermedi. Nel primo caso, essa si concentra sull’output, mentre nel secondo caso sulle attività svolte lungo tutto il processo.
Combinando entrambe le dimensioni ora descritte, possiamo classificare le
diverse attività e i diversi sistemi di misurazione delle performance in un’unica
matrice (Fig. 9.9).
Un sistema di misurazione delle performance integrato è dunque in grado di
monitorare tutti gli aspetti rilevanti delle attività innovative di un’impresa.
Esso è in grado di monitorare, come indicato nel quadrante I, la qualità e l’efficacia del know-how, misurando di quanto aumentano le conoscenze, la qualità
della tecnologia posseduta rispetto alla concorrenza e la coerenza di quest’ultima
con gli obiettivi di sviluppo che l’impresa si è data.
Il monitoraggio può riguardare poi la qualità e l’efficacia del processo di ricerca e in generale di acquisizione di nuove conoscenze dall’esterno, capaci di alimentare costantemente le attività innovative dell’impresa, secondo le modalità del
quadrante II.
Il contributo dei processi innovativi deve tradursi, ovviamente, in un tasso di
nuovi prodotti che possano essere lanciati sul mercato e dall’individuazione di
processi produttivi efficienti. In ultima analisi, la qualità dei processi innovativi
deve tradursi in valore economico per l’impresa, misurabile in termini di ritorno
Figura 9.9 Le misure di performance del processo di innovazione
Dominio della misurazione
Fase di acquisizione
Fase di transizione
Oggetto della misurazione
I
Output
II
Processo
• Livello incrementale
delle conoscenze
• Grado di eccellenza tecnologica
• Coerenza con gli obiettivi
dell’impresa
• Efficienza del processo
di ricerca
• Qualità delle attività
di ricerca
Fonte: adattato da Baglieri (2003)
III
• Qualità e quantità
dei nuovi prodotti
• Impattio sull’efficienza produttiva
• Contributo alla generazione
di valore
IV
• Coerenza con le esigenze
delle diverse funzioni aziendali
• Coerenza con le esigenze
della clientela
• Efficienza del processo produttivo
10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi
207
Figura 10.1 Processo di formulazione strategica aziendale, operations strategy
e operations management
Strategia aziendale
Corporate strategy
Business strategy
Marketing
Operations
...
Operations
strategy
Functional strategy
Market-driven
o
resource-based
strategy
Decisioni tattiche
Decisioni operative
Operations
management
Decisoni strategiche
Fattori
competitivi
e
performance
• Order qualifier
• Order winner
Le decisioni di operations management debbono essere prese coerentemente alle
scelte strategiche aziendali, le quali rappresentano la direzione e lo scope di un’organizzazione nel lungo termine; quest’ultima, idealmente, deve ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili, tenendo in conto le mutevoli esigenze e attese espresse
sia dai propri mercati, clienti o consumatori, sia dai propri stakeholder (Johnson et
al., 2005). Il processo di formulazione strategica, generalmente, segue una direttrice
top-down e si sviluppa lungo tre livelli – corporate, di business e di funzione – in
una declinazione di obiettivi via via più specifici, come illustrato nella Fig. 10.1:
• al primo livello, corporate, si elaborano gli obiettivi e le linee guida di lungo
210
Tecnologia, innovazione, operations
consegna, ma anche per qualunque altro parametro la cui entità sia determinata dall’operato
di molteplici funzioni aziendali, come accade per le scorte.
Criteri di acquisto
del cliente
Priorità
di miglioramento
nelle operations
Alfa
Beta
Gamma
1. Prezzo
1. Prezzo
1. Prezzo
2. Conformità
del prodotto finito
e servizio logistico
2. Conformità
del prodotto finito
e servizio logistico
2. Conformità
del prodotto finito
e servizio logistico
1. Produttività
1. Produttività
1. Produttività
2. Conformità
del prodotto finito
2. Conformità
del prodotto finito
2. Conformità
del prodotto finito
In sintesi, nella tabella soprariportata, per ciascuno dei casi studiati è stato riportato l’ordine
di priorità sia dei criteri di acquisto del cliente sia nei piani di miglioramento in ambito
produttivo.
L’operations strategy, pertanto, si colloca al terzo livello dell’articolazione
descritta e, al pari delle altre strategie funzionali, quali quelle del marketing,
della finanza ecc. può trovare realizzazione secondo due differenti prospettive
(Greasley, 2006):
• la prima, definita market-driven operations strategy, secondo la quale le scelte
aziendali discendono dagli obiettivi di posizionamento sui mercati target e, al
loro interno, dagli obiettivi di customer satisfaction, dai quali derivare il livello
di performance necessario per competere con successo e, in cascata, le modalità di organizzazione, gestione e controllo dei processi e delle risorse idonei alla
loro efficiente ed efficace generazione; si pensi, a titolo di esempio, al caso di
alcune catene fast food che, volendo penetrare ampi mercati con un posizionamento fondato su una formula imprenditoriale tesa a offrire ai propri clienti
prodotti di discreta qualità, a basso costo, pronti in pochi minuti, in un ambiente pulito ecc. perseguono performance di qualità, rapidità di servizio ed efficienza basate sulla progettazione e gestione di processi fortemente standardizzati, impiego di risorse umane appositamente formate, applicazioni tecnologiche sviluppate ad hoc e infrastrutture progettate su criteri quasi industriali;
• la seconda, definita resource-based operations strategy, che formula le scelte
aziendali partendo dalla consapevolezza del proprio patrimonio di risorse
(competence) tangibili e intangibili, in base alle quali è in grado di strutturare
un set di capacità operative (operations capability) funzionali al perseguimento del successo competitivo nei propri mercati target; è il caso, per esemplificare, di alcune società di progettazione di sistemi che, grazie alle competenze dei propri ricercatori e progettisti, alla disponibilità di laboratori e tec-
10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi
213
ridotti) e di volume (o elasticità, capacità di modificare i volumi produttivi a
costi e in tempi ridotti);
• tempo, in termini di velocità di introduzione di nuovi prodotti e rapidità e puntualità delle consegne che attengono, come illustrato nel capitolo 13, alla capacità di soddisfare le richieste dei singoli clienti in tempi brevi o nel rispetto
delle date promesse.
Dalla fase industriale fordista a oggi si sono succeduti nel tempo modelli di
fabbrica che hanno visto, di volta in volta, strutture produttive focalizzate sull’efficienza e sulla standardizzazione produttiva, sulla versatilità e flessibilità,
sulla qualità totale, sino ai più recenti modelli della time based competition e
della fabbrica snella; i diversi modelli produttivi, si sono affermati in contesti
storici e socio-economici specifici come «compromessi di governo d’impresa»
(Boyer e Freyssenet, 2005), ovvero come scelte volte a mediare le diverse esigenze di volta in volta espresse dalle politiche di prodotto, dall’organizzazione
produttiva e dalle relazioni salariali più appropriate per consentire una strategia
di profitto durevole. Così, come illustrato nella Tab. 10.1, nella fabbrica fordista
sono prevalsi i principi della divisione scientifica del lavoro, della standardizzazione di prodotti e processi, dell’utilizzo della manodopera al servizio della
macchina, e della ricerca dell’efficienza; a tale modello si è poi sostituito quello
della fabbrica flessibile, nella quale gamme produttive più ampie e prodotti differenziati sono ottenuti attraverso macchinari versatili, elevata automazione,
una concezione di fabbrica meno integrata ecc.; nella fabbrica orientata alla
qualità, i principi del Total Quality Management (TQM), e del Company Wide
Quality Control (CWQC), i primi sviluppati da autori statunitensi e i secondi
perfezionati in Giappone, hanno posto l’accento più sulla progettazione e gestione di processi affidabili che sull’ispezione finale dell’output, sulla prevenzione più che sul controllo, sulla formazione e sull’addestramento dell’operatore ecc.; l’esigenza di introdurre velocemente nuovi prodotti, attraverso la proTabella 10.1 Obiettivi e caratteristiche di fondo dei diversi modelli di fabbrica
Modello di fabbrica
Obiettivo
Esempi di leve e strumenti
Fabbrica fordista
Efficienza, costo, volumi
Standardizzazione e ripetitività
Fabbrica flessibile
Versatilità, volumi
Automazione flessibile
Fabbrica della qualità
Qualità totale
TQM, CWQC
Fabbrica snella
Efficienza, velocità, qualità
Just-in-time, modularità, TPM
Fabbrica virtuale
Responsiveness
ICT, modularità, outsourcing, e-business
10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi
215
Figura 10.2 Performance e condizioni operative
Leve (scelte di progettazione e di gestione)
Variabili ambientali
Sistema produttivo
Condizioni operative
Prestazioni
Fonte: adattamento da Bartezzaghi e Turco (1990)
ne del sistema e dall’insieme dei vincoli cui questo è sottoposto; si riferiscono a
elementi quali i lead time, le potenzialità, gli utilizzi e i rendimenti dei fattori
impiegati, la dimensione del lotto ecc. Il management delle operations, di fatto,
si trova a dover agire costantemente sulle condizioni operative per poter migliorare le prestazioni finali, le uniche apprezzabili dal mercato. In tal senso, in
situazioni di elevata concorrenzialità, poiché il cliente è in grado di operare una
selezione attraverso il confronto tra le performance offerte da più produttori,
secondo il meccanismo descritto degli order qualifier e degli order winner,
assume particolare criticità la gestione e il controllo delle prestazioni finali,
qualità, tempo, flessibilità e costo proposti al mercato, mentre nei casi in cui
l’offerente si trova nell’invidiabile posizione prossima a quella del monopolista, può emergere un’attenzione al governo delle prestazioni interne, nella ricerca di maggiori efficienze, non necessariamente trasferite sul mercato. È il caso
delle case automobilistiche, fornitrici di autotelai ai produttori di veicoli speciali che, in virtù del potere contrattuale detenuto, impongono lunghi tempi di consegna (quattro o cinque mesi dall’ordine), a prescindere dalle effettive necessità
logistiche, al fine di ottimizzare la propria programmazione della produzione.
È opportuno sottolineare che le prestazioni indicate manifestano stretti legami
di interdipendenza e si influenzano reciprocamente. Si dia il caso di un sistema
produttivo che, in virtù di insufficienti livelli di affidabilità del proprio processo di
trasformazione, generi output difettosi. Qualora le non conformità vengano intercettate e corrette prima dell’immissione dei prodotti sul mercato (non conformità
in house), l’esigenza di avviare operazioni di ripresa e correzioni ridurrà inevitabilmente la produttività dei fattori impiegati. Per contro, nel caso in cui le difettosità vengano invece riversate sul mercato (non conformità in field), l’opportunità
di contenerne l’effetto negativo è vincolato all’offerta di opportuni servizi di
assistenza e riparazione in garanzia.
L’insieme di prestazioni offerte da un sistema produttivo-logistico evidenzia
pertanto strette interdipendenze e reciproci condizionamenti lungo più direttrici:
10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi
217
organizzative e tecnologiche, che ne fanno una realtà assolutamente all’avanguardia per
quanto concerne l’applicazione di prassi e strumenti gestionali per la ricerca del miglioramento in ambito produttivo. Le soluzioni implementate nello stabilimento Datasensor sono
state armonizzate all’interno di un programma di miglioramento chiamato Datasensor Lean
Manufacturing System (DS-LMS). Il programma si basa sullo svolgimento continuativo di
workshop dedicati, ovvero brevi progetti interfunzionali basati su working group finalizzati al
mantenimento e al miglioramento del sistema di lean manufacturing implementato. Contestualmente al programma è stato sviluppato un sistema di total productive maintenance, che,
migliorando l’affidabilità degli impianti, determina una delle condizioni essenziali per il conseguimento di una produzione «snella». L’elemento costitutivo del sistema di lean manufacturing di Datasensor è rappresentato dal sistema DYBAN™ (DYnamic KanBAN), ovvero un
kanban elettronico brevettato da Datasensor che consente operativamente di gestire il flusso
dei materiali in logica pull. Infine, all’interno del DS-LMS si evidenzia il ricorso a tecniche e
soluzioni organizzative atte a stimolare il processo di miglioramento continuo, ovvero il
metodo plan-do-check-act, il team-working e la pianificazione sistematica di workshop per la
gestione di progetti interfunzionali.
Nel corso degli anni, il ripensamento delle operations aziendali ha consentito il conseguimento di risultati significativi in termini di incremento dell’EBITDA, di riduzione delle giacenze di
magazzino pur a fronte di un incremento del livello di servizio, di abbassamento dei costi del-
Figura 10.3 Prestazioni manifatturiere. Sintesi
LT medio di consegna (giorni)
100
80
60
Rispetto del piano
di produzione
(percentuale)
40
97,2
96,0
20
14,0
0
50,0
98,8
Flessibilità
della manodopera
(percentuale)
Fonte: IBFA-SDA Bocconi (2005)
Tasso di conformità
(percentuale)
Puntualità
della consegna
(percentuale)
218
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 10.4 Analisi dei set-up time
Tempo di lavorazione
di un lotto di componenti (giorni)
60
50
Set-up
per assemblaggio
finale
– massimo (min.)
Set-up
per produzione
componenti
– minimo (min.)
40
30
20
10
10
4
1 10
2 1
0
Set-up
per assemblaggio
finale
– medio (min.)
Set-up
per produzione
componenti
– medio (min.)
60
Set-up per assemblaggio
finale – minimo (min.)
Set-up per produzione
componenti – massimo (min.)
Fonte: IBFA-SDA Bocconi (2005)
la non qualità. Inoltre, a ulteriore dimostrazione del successo di Datasensor nell’applicazione
delle più note best practices manifatturiere, è significativo che SAP abbia selezionato lo stabilimento di Monte San Pietro quale case-history come una delle migliori implementazioni del
sistema lean a livello mondiale (Belvedere, 2006).
I progetti di benchmarking consentono alle aziende partecipanti di confrontare le proprie prestazioni con quelle di un panel di aziende simili per caratteristiche specifiche, quali, il settore,
la dimensione, la tipologia dei processi coinvolti ecc. A titolo esemplificativo, nelle Figg. 10.3
e 10.4, si illustrano due rappresentazioni grafiche relative, rispettivamente, a uno spaccato
delle principali prestazioni manifatturiere ottenute da Datasensor nel 2005 e a un approfondimento relativo alla prestazione di flessibilità, espressa dalla durata dei tempi di set-up, rilevati
nel medesimo esercizio.
La necessità di sviluppare un sistema di controllo delle prestazioni delle operations si giustifica, di primo acchito, per la crescente rilevanza che, in molti settori,
le operazioni in parola riverberano sulla determinazione dei valori economici di
220
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 10.5 Il reporting integrato
Prospettiva finanziaria
Obiettivi
Misure
Prospettiva del cliente
Obiettivi
Prospettiva interna
Misure
Obiettivi
Misure
Prospettiva dell'innovazione
Obiettivi
Misure
Fonte: Kaplan e Norton (1993)
mento di interesse risiede nel tentativo di integrare le diverse misure e nel sottolineare come ogni intervento di tipo gestionale, perché possa essere considerato di
successo e generatore di vero valore, debba necessariamente proiettare i suoi
effetti in miglioramenti leggibili non solo sul fronte delle misure operative, ma
anche su quello delle misure economico-finanziarie. In secondo luogo, è apprezzabile lo sforzo di coniugare l’analisi storica con quella prospettica: le misure (in
specie quelle finanziarie), tradizionalmente orientate a un esame critico ex post,
debbono integrarsi con la prospettiva dell’innovazione e dell’apprendimento, sì
da garantire continuità tra conservazione e miglioramento continuo. Con riferimento al tema oggetto del presente scritto, assumono rilievo primario gli indicatori di prestazione chiave, valutati nella prospettiva del cliente, in termini di customer satisfaction, e nella prospettiva interna, intendendosi, con tale locuzione, la
prospettiva delle misure di prestazione dispiegabili lungo nelle operations. Tali
misure debbono comunque necessariamente riverberarsi in riflessi sulle dimensioni economico-finanziarie, da intendersi quale sintesi dell’efficacia e dell’efficienza delle scelte di gestione.
Il secondo modello si sviluppa, invece, secondo una traiettoria di indagine dif-
222
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 10.6 La piramide delle performance e gli anelli di feed-back
Visione
dell’azienda
Aspetti
finanziari
Soddisfazione
del cliente
Flessibilità
Produttività
Tempo ciclo
Consegna
Qualità
Unità di business
Sistemi operativi
aziendali
Sprechi
Misura
Obiettivi
Mercato
Reparti
e centri
di lavorazione
Operations
Maggiore grado di dettaglio e frequenza di reporting
Efficacia esterna
Efficienza interna
Visione
aziendale
Anello 4: confrontare,
aggiustare e valutare
Valutazione
della
performance
Zona
d’interfaccia
Finanza
Accounting
Sistema di reporting
Determinazione
degli
obiettivi
Unità di business
Anello 3: confrontare, aggiustare e valutare
Anello 2: confrontare, aggiustare e valutare
Sistemi operativi
aziendali
Traduzione in termini
economico-finanziari
Traduzione in termini
operativi
Anello 1: confrontare, aggiustare e valutare
Report
Obiettivi
Performance
Fonte: elaborazione da Lynch e Cross (1992)
Reparti
e centri
di lavorazione
224
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 10.2
Misure di prestazione
Gruppo A (valori medi)
Gruppo B (valori medi)
Servizio al cliente
Customer satisfaction
4,19
3,54
Personalizzazione del prodotto
3,95
3,51
Velocità di consegna
3,95
3,47
4,10
3,37
Affidabilità delle consegne
4,13
3,64
Responsiveness
4,24
3,89
Flessibilità nella ricezione ordini
4,03
3,40
4,19
3,59
Sistemi informativi di supporto
4,12
2,79
Capacità di gestione dell’ordine
4,16
3,60
Avviso di spedizione anticipato
3,89
3,18
Rotazione scorte
4,63
3,17
Return on Asset
3,77
3,29
49,91
42,75
Costi
Costi logistici
Qualità
Flessibilità nelle consegne
Produttività
Asset management
Prestazione globale
maggiormente le performance complessive aziendali; le principali sono riconducibili alla capacità di integrazione a valle con il consumatore, ovvero la capacità di progettare una proposta di
valore coerente con le aspettative dei principali segmenti di mercato serviti, e alla capacità di
integrare efficacemente i processi interni, ovvero la capacità di coordinare le operations interne,
al fine di garantire il massimo livello di servizio possibile a costi logistici globali contenuti.
10.3
Scelte strategiche e leve di progettazione
Al fine di orientare le operations al perseguimento del set di prestazioni delineate,
e per questa via alla creazione di valore, l’operations management opera manovrando una serie di «leve» di progettazione che possono essere raggruppate in
leve di struttura e leve di gestione.
10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi
225
Figura 10.7 L’approccio strategico alle scelte di produzione
Ambiente competitivo
Obiettivi strategici generali
Sub obiettivi funzionali
Opportunità e minacce
Missione
Focalizzazione
• espansione mercato
• immagine
• penetrazione
• ecc.
• costo
• qualità
• servizio
• innovazione
• ecc.
Hardware
Leve di progettazione
Software
L’utilizzo delle leve di progettazione, siano esse rivolte a un riorientamento o a
una vera e propria riorganizzazione, non può pertanto prescindere dalla chiara
identificazione degli obiettivi primari del sistema produttivo, a loro volta desunti,
come si è detto, dalle più generali mission e strategia dell’impresa.
Queste ultime pervadono l’intera attività aziendale e, indicando la traiettoria
cui debbono tendere gli sforzi competitivi, definiscono gli obiettivi strategici
generali e, in cascata, i subobiettivi funzionali. Come illustrato nella Fig. 10.7, e
limitatamente ai processi oggetto di questo scritto, i subobiettivi possono essere
numerosi e spesso antitetici.
Si pensi, per esempio, a un sistema logistico che tenti di perseguire congiuntamente contenuti investimenti in scorte ed elevati livelli di servizio, o a un processo
produttivo cui si richieda massima saturazione ed elasticità.
L’approccio tradizionale alle scelte di produzione si basa pertanto sul concetto di focalizzazione: in presenza di obiettivi divergenti, occorre privilegiarne
uno e considerare gli altri in via residuale, alla stregua di variabili dipendenti;
competere sul costo, per esempio, non può che tradursi in rinunce in termini di
qualità e servizio.
Detto assioma, negli anni più recenti, è stato messo in crisi dal repentino avvento delle metodologie di gestione di ispirazione giapponese (just-in-time, company
wide quality control, continuous flow manufacturing ecc.), dall’affermarsi delle
tecnologie di automazione flessibile (CN, controllo numerico, CNC, controllo
Materie prime
Materie prime
Componenti
Componenti
Logistica
in entrata
Attività
operative
Fabbricazione
Fabbricazione
Logistica
in uscita
Approvvigionamento
Sviluppo della tecnologia
Gestione delle risorse umane
Attività infrastrutturali
Assemblaggio
Marketing
e vendite
Figura 10.8 Catena del valore e processi di acquisto, produzione e logistica distributiva
M
g
ar
e
in
e
in
Magazzino periferico
Magazzino centrale
Servizi
ar
g
M
Punto vendita
Punto vendita
Punto vendita
234
Tecnologia, innovazione, operations
238
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 10.9 Missione di uno stabilimento all’estero, incremento competenze locali
ed evoluzione di ruolo
Elevata
Evoluzione delle competenze
Ampiezza di competenze e processi produttivo-logistici
svolti presso lo stabilimento
Leader
tecnologico
Distaccamento
produttivo
specializzato
• Diviene il global hub
e il centro di conoscenza
per prodotti e processi
Produttore
per il mercato
locale e centro
di sviluppo
• Assume il ruolo
di fornitore
per il global market
• Sviluppo di prodotti nuovi
• Sviluppo dell’ingegneria
di processo per le
tecnologie produttive
Produttore
per il mercato
locale
• Adattamento dei prodotti
al mercato locale
• Sviluppo della rete
di fornitori locali
• Miglioramenti dei
processi industriali
Distaccamento
produttivo
• Pianificazione, acquisti
e logistica locale
• Manutenzione e gestione
dei processi
• Compiti e responsabilità
di produzione
(Avamposto
tecnologico)
Limitata
Vicinanza
Accesso ai fattori Uso di risorse
al mercato
tecnologiche
di produzione
locali
a basso costo
Ragione primaria per un insediamento produttivo estero
Fonte: adattamento da Ferdows (1988, 1997)
autonomia nei processi di scambio di flussi informativi e fisici con fornitori e
clienti locali.
• il produttore per il mercato globale e centro di sviluppo (contributor factory), che assomma al ruolo svolto dal produttore per il mercato globale l’ulteriore e strategico ruolo di centro di sviluppo di competenze specialistiche,
potenzialmente esportabili nell’intero sistema produttivo aziendale. A queste
unità produttive è spesso delegato il ruolo di impianti-pilota per lo sviluppo e
il presidio continuo di specifici know-how tecnologici, in specie per quanto
attiene all’introduzione di prodotti nuovi. Sotto tale profilo le competenze
manageriali e tecniche presenti presso lo stabilimento sono generalmente
articolate e ricche;
248
Tecnologia, innovazione, operations
cesso assieme), per poi deciderne la destinazione produttiva, oggi si assiste con
crescente insistenza a team di sviluppo prodotto-processo al cui interno vengono
integrate competenze logistiche; le scelte relative alla localizzazione delle produzioni possono infatti influenzare alcune caratteristiche progettuali e specifiche di
prodotto e processo, sin dalle fasi iniziali del percorso di innovazione.
Con riferimento alle interdipendenze tra scelte localizzativo-logistiche e processi di innovazione di prodotto e processo, due sembrano essere le variabili maggiormente in grado di impattare sulla decisione finale:
• incidenza del costo logistico, correlato alla densità di valore del prodotto13,
ovvero dal rapporto tra valore del bene e una grandezza proxy dei costi logistici
di mantenimento e trasporto, quale l’ingombro o il peso, da valutarsi in termini
di oneri di trasporto e stoccaggio;
• incidenza del costo di produzione, legato al costo del fattore di produzione prevalente; in particolare ci si riferisce all’intensità di manodopera che può caratterizzare il processo produttivo, e il conseguente potenziale sfruttamento di
differenziali salariali locali.
Come illustrato nella Fig. 10.10, la localizzazione di una produzione industriale discende prevalentemente dalle caratteristiche descritte. In proposito si
veda anche Innovazione di prodotto, processo e localizzazione produttiva.
Figura 10.10 Variabli rilevanti ed esempi di scelte localizzative
Labour intensity
Capital intensity
Cina, Birmania, Pakistan
B
A
In prossimità dell’assembly plant
(Stati Uniti, Europa ecc.)
Densità di valore del prodotto
Alta
Bassa
Fonte: adattamento da Grando e Manzini (2003)
13 Per densità di valore si intende il rapporto tra una misura espressiva del valore (euro) di un
prodotto o di un ordine e una misura significativa sotto il profilo logistico, generalmente espressa
da volume (metri cubi) o dal peso (chilogrammi).
252
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 10.11 Il Gruppo BasicNet
Attività
del Gruppo
BasicNet
BasicNet.com
Altri
servizi
Ricerca
& Sviluppo
Know-how
Attività
industriali
Global
marketing
Know-how
Know-how
Royalties
Sourcing center
Beni
Attività
delle aziende
licenziatarie
Commissioni
Beni
Informazioni
Robe di Kappa
Finanza
Informazioni
Aziende licenziatarie
Marketing locale
Vendite
Logistica
Beni
Sport and leisurewear retailer
Beni
Consumatori
Fonte: rielaborato da http://www.microsoft.com/italy/startup/casi/basicnet.htm
La rete si compone in larga prevalenza di aziende indipendenti, alle quali sono concessi in
licenza i marchi di proprietà del Gruppo: oggi BasicNet conta su 37 licenziatari, di cui due
controllati direttamente (Kappa Italia SpA e Kappa USA Inc.), che operano in tutti i paesi del
mondo.
Il Gruppo non svolge direttamente attività di produzione industriale, ma mediante specifiche
società controllate, chiamate Sourcing Center, presidia tutte le fasi di trasformazione per conto delle imprese licenziatarie, verificando la rispondenza dei prodotti finiti agli standard imposti in sede contrattuale.
Il network di produzione non è chiuso e rigido, ma aperto e riconfigurabile. In particolare, i
Sourcing Center identificano e selezionano su base mondiale i terzisti che garantiscono le
migliori condizioni di prezzo e che meglio si adattano alle esigenze di affidabilità e qualità
richieste dai licenziatari.
258
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.1 I legami tra sistema industriale e indotto
Variabili ambientali
Variabili aziendali
Opportunità/
minacce
Punti di forza
e debolezza
Sistema
industriale
Strategie aziendali
Indotto
Strategia
di approvvigionamento
Offerta di materiali
Fabbisogno
di materiali
• Grado di integrazione
• Decisioni di make or buy
Fonte: rielaborazione da Ferrando (1984)
duttive dei differenti soggetti aziendali, delineando la natura, i caratteri e i confini
della contrapposizione tra domanda e offerta di fornitura. I secondi, invece, condizionano l’evoluzione generale del sistema stesso, le scelte strategiche d’azienda e
quelle relative agli approvvigionamenti.
Dal punto di vista gestionale, infatti, il rapporto indotto-impresa si esplicita
nelle relazioni generate dalle politiche di procurement mix, frutto delle strategie di
approvvigionamento, come evidenziato nella Fig. 11.2.
Le interdipendenze tra azienda terminale e fornitori, dunque, appaiono condizionate in via generale dalle caratteristiche tecnico-produttive dei soggetti interessati in
termini di prodotti, processi e mercati, che sfociano in fenomeni di esternalizzazione, deverticalizzazione, specializzazione ecc.; a livello di strategia aziendale assumono invece rilevanza le politiche di approvvigionamento e i legami che si instaurano con l’indotto di riferimento in termini di gestione del portafoglio fornitori.
La rilevanza degli approvvigionamenti nella gestione aziendale, dunque, muta
in ragione della natura del rapporto che si instaura tra unità terminale (azienda
11 • La gestione degli approvvigionamenti
259
Figura 11.2 I legami tra strategia aziendale e indotto
Strategia aziendale
Variabili ambientali
Strategia
di approvvigionamento
Competenze
manageriali negli
approvvigionamenti
Procurement mix
Indotto
Fonte: rielaborazione da Ferrando (1984)
acquirente o committente) e subfornitori. Un classico elemento di analisi si pone
distinguendo tra subfornitura di capacità o specialità e subfornitura permanente o
occasionale (Sallez, 1972).
La distinzione tra subfornitura di capacità e di specialità fa riferimento rispettivamente a un apporto in termini di elasticità di processo, cioè i volumi di produzione incrementale, altrimenti non generabili dal committente, ovvero a un apporto in termini di competenze distintive – generalmente tecnologiche – differenti da
quelle padroneggiate dall’acquirente.
La subfornitura viene inoltre definita permanente, se frutto di un rapporto
costante nel tempo e relativamente strutturato, ovvero occasionale se episodica e
connessa a esigenze di natura contingente.
Appare chiaro come il differente combinarsi di questi attributi qualifichi rapporti, per un verso, indotti da fenomeni di ciclicità e stagionalità del fabbisogno,
complessità tecnologica dei processi e dei prodotti e, per un altro, connaturati alle
specificità settoriali e al potere contrattuale delle controparti.
Tipologie di fabbisogno e scelte di subfornitura
L’incrocio tra scelte di subfonitura permanenti o occasionali e di capacità e specialità, illustrato nella Fig. 11.3, costituisce il quadro all’interno del quale si strutturano i rapporti tra azienda terminale e suoi partner di fornitura.
In alcuni settori, quali il calzaturiero o il tessile abbigliamento, sono possibili diverse modalità
260
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.3 Esempi di scelte di subfonitura
Occasionali
Permanenti
Capacità
Calzaturifico (manovia)
Montaggi meccanici esterni
Specialità
Finiture e verniciature
particolari
Tessile abbigliamento
Calzaturifico (giunteria)
Meccanica (galvanica)
Cablaggi
di relazione indotte dalle caratteristiche stesse dei processi produttivi e dall’elevata stagionalità della domanda; si pensi, per esempio, alla realtà di molti calzaturifici che acquisiscono,
nel corso dell’esercizio, forniture di specialità, legate a lavorazioni di fase, quali taglio, giunteria, cucitura ecc., non più realizzate all’interno, seguendo l’andamento ciclico delle stagioni e
delle collezioni. Tali forniture si possono considerare permanenti, in quanto ricorsive nel susseguirsi delle stagioni. Talvolta, tuttavia, le stesse imprese debbono acquistare capacità produttiva occasionale per far fronte a picchi di ordinazioni anche per quelle fasi produttive,
come l’assemblaggio in manovia, comunque presenti al loro interno. Al tempo stesso, in
alcuni settori del tessile abbigliamento, la scelta di specialità è ormai permanente, per cui ci si
avvale di laboratori e unità esterne, sempre più frequentemente localizzate in paesi a basso
costo della manodopera (Romania, Tunisia, Pakistan, India ecc.).
Diverso è il caso della meccanica, per cui possono sussistere apporti di specialità permanenti, come nel caso delle aziende che si avvalgono di terzisti per alcune lavorazioni particolari,
quali per esempio, i trattamenti galvanici, le lavorazioni superficiali, o per lavorazioni assai
semplici ma a basso valore aggiunto; quest’ultimo è il caso di imprese meccaniche che producono macchinario industriale, assegnando all’esterno le carpenterie pesanti per la predisposizione dei basamenti, per poi realizzare all’interno poche componenti qualificate e l’assemblaggio finale.
Analogamente, sono molti i casi di fornitura di specialità permanente nel settore dell’elettromeccanica, per cui l’azienda terminale si avvale di terzisti specializzati per la realizzazione dei
controlli elettronici o per la cablatura di assiemi e complessivi. Altrove si utilizzano apporti di
capacità permanenti in alcuni montaggi manuali; è il caso, per esempio, di un’azienda che
progetta e realizza gruppi di pompe per il petrolchimico e che si avvale di alcune realtà esterne per il montaggio di precisione di sottogruppi. Infine, il caso meno frequente è quello delle
subforniture di specialità occasionale, tipico dei casi in cui, su commesse particolari, debbono essere svolte lavorazioni, finiture e o verniciature non standard. Si pensi alla verniciatura
per impianti che debbono operare in condizioni di esercizio specifiche e che necessitano di
trattamenti superficiali ad hoc.
Un ulteriore elemento che induce a un’approfondita analisi del ruolo svolto
dalla funzione approvvigionamenti è legato al mutato peso relativo degli acquisti
262
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 11.1 Incidenza degli acquisti di materiali diretti e totali sul fatturato
in alcuni settori industriali
Settore
Percentuale acquisti diretti
Percentuali acquisti totali
Alimentare
63
80
Automobili
48
67
Chimico
29
55
Costruzioni
34
72
Elettronica
48
68
Impianti-macchine
43
67
Petrolio
61
75
Tessile-abbigliamento
38
70
Totale
44
68
Fonte: Aceti et al. (2006)
La rilevanza degli acquisti in Italia2
L’indagine qui sintetizzata si riferisce a un data set relativo ad aziende classificate nel «Rapporto Mediobanca su 1950 imprese» (Mediobanca, 2004), appartenenti a otto settori: abbigliamento, alimentari, chimico, gomma e cavi, impiantistico, imprese di costruzione, meccanico e siderurgico. Il confronto è stato svolto per un intervallo temporale di dieci anni (dal
1994 al 2003) osservando i valori medi a distanza quinquennale.
Se si osservano la Tab. 11.2 e la Fig. 11.4, si rileva che, a dimostrazione concreta di quanto
detto in precedenza, nei settori citati, rappresentati dalle aziende di maggiori dimensioni censite dal Rapporto di Mediobanca, vi sia stato per sette settori su otto una marcata tendenza
alla crescita delle già elevate spese per acquisti, mentre appare in leggera controtendenza o
comunque stabile il mondo delle costruzioni. è comunque significativo sottolineare che la
tendenza alla deverticalizzazione è un fenomeno non più recente in Italia, visto che già da dieci anni l’incidenza degli acquisti sul fatturato oscilla intorno a valori tra il 69 e l’89 per cento, e
Tabella 11.2
Anni
Abbigliamento
Alimentare
Chimico
Gomma
e cavi
Impiantistico
Imprese
costruzioni
Meccanico
Siderurgico
1994
80,78%
78,61%
80,93%
69,47%
69,09%
88,67%
80,93%
82,96%
1999
79,55%
79,93%
84,02%
79,02%
83,39%
87,96%
84,02%
81,82%
2003
81,05%
85,02%
85,03%
83,23%
84,19%
87,38%
85,03%
85,77%
2
Fonte: Sintesi e adattamento da Stabilini (2005), elaborazione da dati Mediobanca (2004).
11 • La gestione degli approvvigionamenti
263
Percentuale spesa sul fatturato
Figura 11.4 Andamento storico della spesa per acquisti sul fatturato
90%
85%
80%
Abbigliamento
Alimentari
Chimico
Gomma e cavi
Impiantistico
Imprese costruzione
Meccanico
Siderurgico
75%
70%
65%
1999
1994
2003
Anni
tale incidenza appare ormai ampiamente consolidata dal momento che si polarizza su un range superiore all’80 per cento del fatturato, con punte dell’87 per cento circa.
Riferendoci allo studio originario di De Meyer, la Tab. 11.3 mostra la composizione del costo del prodotto in termini di acquisti di materiali e componenti, lavoro diretto e costi generali. Appare evidente come il costo totale per unità di prodotto sia fortemente influenzato – per la maggior parte delle aziende osservate –
dalla componente acquisti, rispetto agli altri elementi di costo.
Tabella 11.3 Effetto leva degli acquisti
Ricavi e costi del prodotto
Ricavi
Effetto della riduzione del 10 per cento nel costo dei fattori
150
Materiali
52
• Materiali
➜
Utile
55,2
Lavoro
18
• Lavoro
➜
Utile
51,8
Generali
30
• Generali
➜
Utile
53,0
Costo totale
Utile
100
50
Fonte: adattamento da New e De Meyers (1987)
267
11 • La gestione degli approvvigionamenti
dal ritmo di sviluppo tecnologico nei nuovi materiali, dalle barriere all’entrata,
dal costo e dalla complessità dei fattori logistici e del grado di concorrenza in
cui si opera (Kraljic, 1983).
Incrociando le variabili descritte emergono le alternative di fondo perseguibili
nella gestione degli approvvigionamenti, come illustrato nella Fig. 11.5. In presenza
di scarsa rilevanza degli acquisti e limitata complessità del mercato, l’impresa opera
con una tradizionale gestione degli acquisti, orientata al breve periodo, a scelte di
natura strettamente operativa e a forti elementi di negoziazione con i fornitori; realtà
diffusa in molte aziende del nostro paese, la gestione degli acquisti soffre di limiti
crescenti quanto più ci si allontana da sistemi caratterizzati da scarsa evoluzione tecnologica, dimensione locale dei mercati e orientamento di breve.
Nella situazione opposta, caratterizzata da notevole importanza degli acquisti
ed elevata complessità dei mercati di approvvigionamento, si realizza la gestione
strategica degli approvvigionamenti. In questo caso gli acquisti assumono rilevanza critica per la sopravvivenza stessa dell’azienda, che si vede costretta a elaborare politiche e accordi di lungo periodo con fornitori strategici.
I due quadranti, caratterizzati rispettivamente da elevata complessità dei mercati
e scarso impatto degli acquisti sui valori economici di impresa, ovvero ridotta complessità dei mercati e notevole importanza degli acquisti, sono definiti sistemi di
gestione delle fonti di approvvigionamento e sistemi di gestione dei materiali.
Nel primo caso si tratta di assicurare la continuità della fornitura e la disponibilità di materiali e componenti che condizionano il ciclo di trasformazione, sia
Figura 11.5 Il modello di Kraljic
Complessità del mercato della fornitura
Modesta
Elevata
Elevata
Importanza degli acquisti
Gestione dei materiali
Gestione strategica
degli approvvigionamenti
Criteri di rendimento fondamentali:
• costo/prezzo
• gestione del flusso
Criteri di rendimento fondamentali:
• disponibilità a lungo termine
Gestione degli acquisti
Gestione delle fonti
di approvvigionamento
Criteri di rendimento fondamentali:
• efficienza funzionale
Modesta
Fonte: adattamento da Kraljic (1983)
Criteri di rendimento fondamentali:
• gestione dei costi
• fonti affidabili a breve termine
268
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.6 I sentieri di sviluppo della funzione approvvigionamenti
Complessità del mercato della fornitura
Modesta
Elevata
Elevata
Gestione strategica
degli approvvigionamenti
Importanza degli acquisti
Gestione dei materiali
Gestione degli acquisti
Modesta
Gestione delle fonti
di approvvigionamento
Fonte: Zanoni (1984)
per l’alto contenuto tecnologico specifico, sia per l’incerta reperibilità sui mercati. Nel secondo caso, invece, assumendo rilevanza i volumi e i prezzi-costo
degli acquisti, si ricerca una razionalizzazione dei flussi fisici, pur mantenendo
fonti di approvvigionamento consolidate.
Il modello di Kraljic si presta a un’interpretazione dinamica del fenomeno. Molteplici evidenze empiriche, infatti, hanno dimostrano che la funzione si rinnova in
logica incrementale, lungo una direttrice che va dalla gestione degli acquisti alla
gestione strategica degli approvvigionamenti, passando attraverso uno dei due stadi
intermedi (Zanoni, 1984). I comportamenti descritti sono illustrati nella Fig. 11.6.
Il primo sentiero – evoluzione attraverso la fase di gestione dei materiali – sembra il più comune, perché tipico di aziende in cui i volumi e i costi relativi agli
acquisti assumono notevole rilevanza, stimolando la ricerca di processi di razionalizzazione dei flussi fisici e degli stoccaggi, sia all’interno, sia nei confronti dell’esterno. In questo caso l’evoluzione dalla gestione degli acquisti alla gestione
dei materiali rappresenta un cambiamento relativamente spontaneo, i cui benefici
risultano facilmente quantificabili.
Il secondo sentiero – evoluzione attraverso la gestione delle fonti di approvvigionamento – è tipico di realtà in cui gli acquisti assumono rilevanza strategica in
ragione della loro unicità, complessità tecnologica e dei loro elevati standard qualitativi. In questo caso si instaurano stretti rapporti di collaborazione tra cliente e
fornitore, intesi allo sviluppo congiunto di tecnologie e processi che possono
anche dare vita a vere e proprie alleanze e partenership tecnologiche.
I due percorsi indicati mostrano come l’importanza degli approvvigionamenti,
274
Tecnologia, innovazione, operations
L’esigenza di attuare una corretta politica del prodotto trae spunto, in prima istanza, dall’osservazione del proprio «portafoglio materiali», ovvero della classificazione in termini di maggior o minor criticità dei componenti gestiti nell’esercizio di
impresa. Da ciò deriva la possibilità di orientare coerentemente la ricerca del fornitore e la successiva negoziazione; al fine di pervenire alla costruzione del portafoglio materiali di un’azienda è possibile classificare i materiali e i componenti in base
al loro impatto sulla redditività aziendale e al grado di rischio connesso all’approvvigionamento. Per quanto attiene alla prima dimensione, ci si riferisce al valore del
materiale, al suo impatto economico rispetto al costo industriale, o sulla qualità tecnica o percepita da consumatore; la rischiosità dell’approvvigionamento è invece
connessa alla numerosità delle alternative di approvvigionamento esistenti, alla loro
localizzazione e accessibilità, alle caratteristiche dell’offerta, all’evoluzione delle
tecnologie intrinseche al prodotto ecc.
Il modello, rappresentato nella precedente Fig. 11.7, individua quattro quadranti, cui corrispondono differenti tipologie di materiali o servizi (Kraljic, 1983):
• materiali «non critici», con scarse ripercussioni sulla redditività e contenuto
rischio di approvvigionamento. È il caso di materiali o servizi ampiamente diffusi, spesso considerati commodity perché omologati e normati, di contenuto
valore economico, facilmente acquisibili da un’estesa base di fornitura;
Impatto sulla redditività e strategicità dei materiali
(profit impact) ➊
Figura 11.7 Il portafoglio materiali matrice di Kraljic
Rischi e complessità del mercato della fornitura
(supply risk) ➋
Bassa
Alta
Materiali leva
Materiali strategici
Minimizzazione dei costi
Miglioramento
del prodotto-servizio
Competizione tra fornitori
Accordi di partnership
Materiali non critici
Materiali collo di bottiglia
Semplificazione
del processo acquisto
Riduzione del rischio
Accordi quadro annuali
Bassa
➊ • rilevanza valore di acquisto
• criticità di disponibilità
Fonte: adattamento da Kraljic (1983)
Alta
Ricerca di alternative
e analisi del rischio
➋ • ristrettezza alternative di fornitura
• potere negoziale del fornitore
• rischiosità della fornitura
276
Tecnologia, innovazione, operations
zienda committente; sono materiali con effetto leva i motori elettrici ad alta potenza impiegati
nell’assemblaggio di alcuni prodotti finiti di media gamma; sono acquisti strategici alcuni
gruppi albero-motore, realizzati da pochi fornitori e di elevato impatto economico e tecnico
sui prodotti finiti di alta gamma.
Il terzo esempio si riferisce invece a una catena alberghiera di alto rango, per la quale si considerano acquisti non critici tutti i materiali di consumo impiegati nella pulizia e nella gestione
delle camere; sono invece acquisti con effetto leva alcune dotazioni sofisticate, quali le
vasche idromassaggio e altre attrezzature collocate nelle camere; stante la natura dell’attività
svolta non si ravvisano casi di acquisti collo di bottiglia, mentre risultano strategici, per l’impatto sul servizio reso al cliente e per la non sempre facile reperibilità, l’acquisizione di competenze e professionalità legate al personale di front office.
L’impiego di metodologie quali quella illustrata si presta a interventi mirati,
tesi anche a modificare le caratteristiche del bene-servizio approvvigionato al fine
di spostarlo in quadranti diversi rispetto alla collocazione originaria, nell’intento
di acquisire vantaggi di efficienza, minori rischi di approvvigionamento e, più in
generale, aumentare il valore offerto al mercato.
In proposito si veda l’esempio riportato nella Fig. 11.8.
Con riferimento alla distinzione svolta tra materiali diretti e MRO, si sottolinea
che mentre i primi, per loro natura, possono collocarsi in tutti i quadranti della
matrice, i secondi, generalmente, manifestando bassa complessità della fornitura
a fronte di importanza strategica ed economica variabile, si configurano come
materiali e servizi non critici o, al più, con effetto leva.
Figura 11.8 La matrici di Kraljic e le strategie di approvvigionamento
Complessità del mercato della fornitura (supply risk)
Importanza del bene acquistato (profit impact)
Bassa
Alta
Alta
Materiali con effetto leva
3 Competizione
2
Materiali strategici
Partnership
Collaborazione 4
e integrazione
Materiali non critici
4
Materiali “collo di bottiglia”
1 Efficienza
2 Standardizzare
e centralizzare
5
6 Standardizzare
6
Scorte 7
8
8 Ricerca di alternative
Bassa
Fonte: adattamento di Gelderman e Van Weele (2003), in Baglieri (2004)
280
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 11.4 Esempio di check list di abilitazione
1. Dimensione
Numero dipendenti
Fatturato
Numero stabilimenti
Capacità installata
Localizzazione
2. Aspetti tecnici
Metodi di produzione
Assicurazione qualità
3. Assistenza clienti
Consegne
4. Aspetti economico-finanziari
Condizioni di pagamento
Fonte: rielaborazione da documentazione ADACI
sancirne l’appartenenza a una potenziale rosa di fornitori alternativi; in proposito
si veda l’esempio di check list riportato nella Tab. 11.4.
È appena il caso di sottolineare che queste procedure debbono essere applicate
per gruppi di codici articolo o, più spesso, per famiglia di prodotti o classe merceologica, in quanto il medesimo fornitore può risultare abilitato per un determinato
articolo, ma non per altri; inoltre esse devono essere ripetute nel tempo per riesprimere giudizi che possono di fatto modificarsi nel medio periodo.
Per quanto attiene alle indagini tese a definire l’abilitazione del fornitore, gli
strumenti generalmente impiegati sono le interviste e le visite ispettive agli impianti del fornitore, la raccolta di informazioni in via diretta, attraverso questionari, e indiretta, attraverso l’acquisizione di informazioni pubbliche, quali i
bilanci e le eventuali certificazioni, e referenze, relative ai principali clienti serviti. L’obiettivo principale di tali indagini risiede nell’esigenza di acquisire
informazioni a tutto tondo sul potenziale fornitore, in modo da poter esprimere
una valutazione in merito alla sua adeguatezza organizzativa e gestionale, alla
sua solidità economica e patrimoniale, alle competenze tecniche, alle capacità
produttive ecc.
Nelle procedure di abilitazione raramente si inserisce il prezzo tra le variabili
osservate, in quanto questo rientra nella valutazione dell’offerta e quindi assume
rilevanza in sede di negoziazione.
282
Tecnologia, innovazione, operations
• costanza della qualità: il punteggio viene assegnato in funzione della percentuale di righe di
consegna non conformi sul numero di righe totali consegnate nel quadrimestre;
• accuratezza: il punteggio viene assegnato in funzione del rispetto delle quantità dichiarate,
della conformità degli imballi e della corretta e completa compilazione della documentazione di supporto.
Indice di servizio
Fattori:
• termini di consegna: il punteggio viene assegnato in base alla capacità del fornitore di consegnare entro le tempistiche stabilite dalla pianificazione di Alfa;
• rispetto dei termini di consegna: il punteggio viene assegnato in base al numero di righe
d’ordine in ritardo rispetto al totale delle righe d’ordine consegnate;
• flessibilità: il punteggio viene assegnato in base alla capacità del fornitore di gestire le
variazioni di consegna richieste da Alfa.
Figura 11.9 Mappatura processo di valutazione delle prestazioni
Approvvigionamenti/
Buyer
Enti aziendali
di interfaccia
con il fornitore
Comitato
di valutazione
Rilevazione dati
Ricevimento
dati
e tabulazione
Analisi
delle prestazioni
Sì
No
Discussione
e approvazione
delle azioni correttive
Comunicazione
al fornitore
dei risultati
e/o delle azioni
correttive
Aggiornamento
Vendor rating
Fornitore
11 • La gestione degli approvvigionamenti
285
Tabella 11.5 Principali indici di controllo del fornitore.
Qualità
Numero resi o scarti/pezzi forniti
Garanzia di rimpiazzo
Certificazione
Affidabilità consegne
Tempo medio di consegna (velocità)
Ritardo medio (puntualità)
Costo
Prezzo
Sconti
Dilazioni
Plus di fornitura
• Collaborazione tecnica
• Facilità di comunicazione
• Possibilità prove congiunte
• Assistenza postfornitura
• Possibilità forniture speciali
• ecc.
Fonte: Grando (1995)
L’ufficio approvvigionamenti, nel gestire la politica del prezzo, deve quindi
considerare anche l’effetto delle differenti scelte di natura finanziaria e l’incidenza di eventuali sconti per quantità. L’orientamento amministrativo che ha caratterizzato la funzione approvvigionamenti in passato ha garantito il rispetto di tali
cautele; la modificazione in atto coinvolge, invece, una diversa sensibilità richiesta agli approvvigionatori, intesa ad apprezzare la qualità delle forniture, l’affidabilità delle consegne e, più in generale, il livello di servizio fornito. Tale limite
trova superamento nella progressiva integrazione della funzione con la produzione, la progettazione e la gestione magazzini; con ciò gli effetti di forniture insoddisfacenti sotto i profili enunciati non rimangono circoscritti a livello di produzione, ma si ribaltano a monte verso la funzione responsabile degli acquisti, contribuendo ad accrescerne la sensibilità operativa.
Sempre più frequentemente le aziende si dotano di enti e metodologie per il
controllo qualità in accettazione, costituendo veri e propri laboratori con attrezzature di misurazione e controllo. In altri casi – si pensi alla realtà calzaturiera in cui
l’azienda terminale raccoglie i semilavorati da numerose «giunterie esterne» – ai
controlli in accettazione si affiancano ispettori che hanno il compito di visitare e
valutare le produzioni dei terzisti, le modalità di trasformazione e i materiali da
288
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.10 Il piano di approvvigionamento rolling
q
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
+40%
+20%
α
Q
–20%
–40%
T
A
T+1
1+2
Graranzia di produrre
1+3
B
t
1+4
Impegno ad acquistare
Fonte: Grando (1995)
periodo di riferimento, scaturisce dal potere contrattuale delle parti e dalla possibilità di giustapporre le esigenze dell’acquirente con quelle del fornitore.
Come verrà illustrato in seguito, l’intensificazione degli scambi informativi
tra cliente e fornitore sta alla base dello sviluppo di forme collaborative più
strutturate ed evolute, quali quelle che si stanno sempre più diffondendo in molti contesti industriali.
11.5
La complessità del processo di acquisto
e le soluzioni di e-procurement
Il processo di acquisto è costituito da una serie di fasi sequenziali che prendono
avvio dal sorgere di un fabbisogno e si esauriscono con il suo soddisfacimento
(Stabilini, 2005); lungo tale processo si intersecano più flussi – informativo,
fisico e finanziario – e vengono interessati più soggetti – interni ed esterni all’azienda – come illustrato nella mappatura di un processo di acquisto e nella sintesi riportate, rispettivamente, nella Tab. 11.6 e nella Fig. 11.11.
Ufficio Approvvigionamenti
Ufficio Acquisti
Ufficio Approvvigionamenti / Ufficio Acquisti
Ufficio Acquisti
Ufficio Acquisti
Ufficio Acquisti
Fornitore di beni e/o servizi
Ufficio acquisti e contabilità ciclo passivo
Ricerca dei potenziali fornitori
Invio della Richiesta d’Offerta (RdO)
Tabulazione e analisi offerte
Negoziazione
Scelta del fornitore e definizione accordo
Elaborazione e invio Ordine di Acquisto (OdA)
Evasione dell’ordine
Riconciliazione, pagamento e archiviazione dati
Fonte: rielaborazione da Puschmann e Rainer (2005) e Stabilini (2005)
Ufficio Acquisti
Pianificazione dell’acquisto
Soggetto interessato
Ente/funzione richiedente
Nascita del fabbisogno e definizione Richiesta
d’Aquisto (RdA)
Fase del processo
Tabella 11.6 Fasi, soggetti e caratteristiche del processo di acquisto
Output della fase
Verifica contabilità e pagamento fattura
Consegna del bene e/o erogazione del servizio
ed emissione fattura cliente
Emissione OdA
Definizione clausole contrattuali
Affinamento elementi alla base della trattativa
Ranking RdO
Emissione RdO
Selezione rosa fornitori qualificati
Analisi RdA, eventuale accorpamento RdA per
rilasci pianificati
Emissione RdA
Elementi critici
Ricevimento e saldo fattura, previa riconciliazione con OdA ed eventuali documenti di consegna
Consegna del bene o erogazione del servizio,
rilascio informazioni su stato d’avanzamento
ordine, predisposizione documentazione accessoria (bolle di consegna)
Elaborazione OdA in base alle clausole e condizione contrattuali e invio al fornitore
Selezione di uno o più fornitori e definizione
delle clausole contrattuali di regolazione del
rapporto cliente-fornitore
Sviluppo di una trattativa legata alla specifica
transazione sotto diversi profili: economico,
tecnico, logistico, di servizio ecc.
Analisi delle RdO inviate dai fornitori e valutazione rispetto alle specifiche richieste e selezione numero ristretto potenziali fornitori
Invito ai fornitori a presentare la migliore
offerta che soddisfi le specifiche della RdA in
termini economici, logistici, tecnici e di servizio.
Selezione fornitori all’interno dell’albo fornitori qualificati o ricerca nuovi fornitori
Analisi RdA alla luce delle policy d’acquisto,
quali rispetto dei vicoli di budegt, tetti di spesa,
standardizzazione articolo ecc.
Definizione specifiche del bene o servizio, vincoli logistici, termini di consegna, servizi
accessori ecc.
11 • La gestione degli approvvigionamenti
289
290
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.11 Mappatura di un processo di acquisto
Approvvigionamenti
Acquisti/
Buyer
Ricevimento
RdA
Analisi RdA
e assegnazione
a buyer
Verifica
completezza
documentazione
ed eventuale
integrazione
Definizione
della rosa
di possibili
fornitori
Elaborazione
RdO e invio
ai fornitori
Ricevimento
offerte e analisi
completezza
Invio offerte
all’ente
richiedente
per le verifiche
Trasmissione
parere dell’ente
richiedente
al buyer
Tabulazione
intermedia
offerte
e selezione
potenziali fornitori
No
Sì
Ente
richiedente
Altri enti
aziendali
Fornitore
11 • La gestione degli approvvigionamenti
291
Figura 11.11 (segue)
Approvvigionamenti
Acquisti/
Buyer
Ente
richiedente
Altri enti
aziendali
Trattative
con i fornitori
Tabulazione
definitiva
e scelta
del fornitore
Preparazione
ordine e
documentazione
richiesta
Convalida
e firma
di approvazione
Invio ordine
al fornitore
e agli enti
interni
Expediting
e ricevimento
merci
Controllo
quantitativo
e qualitativo
Azioni correttive
in caso di non
conformità
Chiusura
ordine e inizio
ciclo passivo
No
Sì
Fornitore
296
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.12 La classificazione A.D. Little dei materiali acquistati
Complessità del prodotto acquistato
Importanza economica relativa del valore
dell’ordine sul costo del processo di acquisto
Bassa
Standard/Commodity
Alta
Specialty
Alta
Materiali diretti a elevato valore
Materie prime
o materiali diretti a elevati volumi
Riduzione dei costi di acquisto
Soluzioni buy-side (cataloghi e aste)
Market place verticali
MRO
Riduzione dei costi di processo
Soluzioni buy-side (cataloghi e aste)
Market place orizzontali
2
3
Riduzione dei costi di processo
(integrazione della supply chain)
e di acquisto
Soluzioni sell-side
Approcci collaborativi
1 4
Materiali diretti a basso valore
Impatto limitato
Soluzioni sell-side
Bassa
Fonte: adattamento da Arthur D. Little (2000)
opportune sembrano legate all’impiego di supporti web-based, al fine di ridurre,
attraverso opportuni automatismi, il costo del processo di acquisto. Per tali tipologie di materiali e servizi, la soluzione estrema è costituita dall’outsourcing
completo del processo di approvvigionamento, che si giustifica con l’obiettivo di
giovarsi della specializzazione del provider esterno e di limitare ingiustificati
aggravi alla gestione degli enti di approvvigionamento interni, che possono in tal
modo focalizzarsi sulle componenti di acquisto maggiormente critiche;
• nel secondo quadrante, caratterizzato dalla presenza di materie prime acquistate in grandi volumi e materiali diretti commodity, grazie alla presenza di fonti
alternative e di una ridotta complessità dei beni da approvvigionare, l’opportunità di conseguire riduzioni nel prezzo di acquisto giustifica il sostenimento di
processi negoziali anche onerosi, a fronte di ordini caratterizzati comunque da
volumi elevati o beni ad alto valore unitario;
• nel terzo quadrante, nel quale si trovano prodotti specialty ordinati per importi
consistenti, la complessità del prodotto acquistato suggerisce approcci di integrazione della supply chain; trattandosi, in gran parte, di prodotti su specifica e
acquisti ripetitivi, l’esigenza di ridurre sia l’onerosità del processo, in specie
per le fasi di ricerca, valutazione e selezione del fornitore, sia i prezzi di acquisto, induce alla ricerca di partner con cui stabilire relazioni stabili e processi di
integrazione dei flussi fisici e informativi;
• nel quarto quadrante, infine, si collocano tutti i materiali diretti, caratterizzati
da basso valore dell’ordine, ancorché complessi; possono essere i casi di acqui-
11 • La gestione degli approvvigionamenti
299
Figura 11.13 Supply chain a quattro attori
Ordini
Fornitore
Ordini
Produttore
Prodotti
Ordini
Dettagliante
Grossista
Prodotti
Ordini
Prodotti
Mercato
Prodotti
riscontrare un significativo effetto di amplificazione della domanda – che divenne noto in
seguito come effetto Forrester – nel trasferimento degli ordini dagli attori a valle del supply
network a quelli a monte. Inoltre, le scorte lungo la supply chain possono essere soggette a
oscillazioni ampie e irregolari. In pratica, ciò che accade è molto simile al gioco noto come
«telefono senza fili» o dei «bisbigli cinesi». Un gruppo di ragazzi si dispone in fila; il primo
sussurra una frase al secondo che, indipendentemente dal fatto che abbia sentito chiaramente o meno, la ripete a voce bassa al ragazzo successivo e così via: man mano che il messaggio viene trasmesso, tende a distorcersi.
L’effetto Forrester comunque non è causato soltanto da errori di comunicazione e distorsioni.
La causa principale è il desiderio da parte di ogni attore di ottimizzare localmente la propria
porzione del supply network. Per meglio comprendere ciò che Forrester ha dimostrato si
consideri una supply chain composta da quattro attori: un dettagliante, un grossista, un produttore e un fornitore, riportata nella Fig. 11.13.
Come evidenziato nell’ultima colonna a destra della Tab. 11.7, si suppone che la domanda del
mercato finale al dettagliante si riduca da 100 pezzi nel periodo 1 a 95 nei successivi periodi.
Ciò impatta sulla dinamica degli ordini, della produzione e delle scorte di tutti gli attori della
supply chain. Per semplicità si supponga che tutti gli attori adottino la stessa politica di
gestione delle scorte: avere a magazzino alla fine di ciascun periodo un quantitativo di prodotti (Sf) pari alla domanda relativa allo stesso periodo. In pratica, ogni attore ha deciso di
avere scorte a magazzino in grado di soddisfare la domanda dei propri clienti per un periodo.
Si suppone che la scorta all’inizio del periodo 1 (Si) sia di 100 pezzi per tutti gli attori. Per
semplicità si considerino tutti i lead time nulli.
All’inizio del periodo 1, il dettagliante ha 100 pezzi a magazzino (Si) e si trova a dovere soddisfare una domanda di 100 pezzi. Dal momento che intende avere a magazzino alla fine del
periodo 1 un numero di pezzi (Sf) pari alla domanda – che è di 100 pezzi – provvede ad acquistare dal grossista 100 pezzi (per esempio Acquisti = Sf – Si + Domanda). Il grossista, dovendo soddisfare una domanda di 100 pezzi da parte del dettagliante, si trova in una situazione
del tutto simile e quindi a sua volta provvede a richiedere al produttore 100 pezzi. Analogamente il produttore per soddisfare la domanda di 100 pezzi da parte del grossista – adottando la stessa modalità di gestione delle scorte – deve produrre 100 pezzi (per esempio Produzione = Sf – Si + Domanda) ed emettere un ordine di acquisto dello stesso quantitativo al fornitore. Quest’ultimo si trova in una situazione ancora simile, dovendo soddisfare una domanda di 100 pezzi da parte del produttore, e quindi a sua volta provvede a produrre 100 pezzi.
Per i periodi successivi al primo si prosegue nello stesso modo.
La Fig. 11.14 riporta l’andamento della domanda per il dettagliante, il grossista, il produttore
e il fornitore.
Si noti come, a fronte di una domanda finale di mercato relativamente stabile si generino delle
fluttuazioni sempre più ampie – spostandosi a monte lungo la catena di fornitura.
300
Tecnologia, innovazione, operations
Tabella 11.7 Andamento della domanda in una supply chain
Fornitore
Produzione
Scorte
Produttore
Produzione
Si = 100
P = 100
Grossista
Scorte
Acquisti
Si = 100
A = 100
Sf = 100
Si = 100
P = 20
Si = 100
P = 95
Si = 95
Sf = 95
Si = 95
A = 95
Sf = 95
P = 95
Si = 95
A = 95
Sf = 95
P = 95
Si = 95
Sf = 95
Si = 95
A = 95
Sf = 95
Sf = 95
Si = 95
A = 95
Sf = 95
Si = 100
Si = 90
P = 100
Sf = 95
Si = 90
P = 90
Sf = 90
Si = 100
A = 90
A = 100
Sf = 100
Si = 120
P = 60
Sf = 100
Sf = 90
Si = 80
Sf = 120
Si = 100
Si = 100
P = 120
Si = 95
A = 95
Sf = 95
Si = 95
A = 95
Scorte
A = 100
A = 80
Sf = 80
Si = 60
P = 180
Acquisti
Sf = 100
P = 60
Sf = 60
Scorte
Si = 100
P = 100
Sf = 100
Dettagliante
Si = 95
Sf = 95
A = 95
Si = 95
Periodo
domanda
finale
Periodo 1
Domanda
= 100
Periodo 2
Domanda
= 95
Periodo 3
Domanda
= 95
Periodo 4
Domanda
= 95
Periodo 5
Domanda
= 95
Periodo 6
Domanda
= 95
Fonte: Slack et al. (2004).
Domanda
Figura 11.14 Impatto dell’effetto Forrester sull’andamento della domanda
130
Dettagliante
Grossista
Produttore
Fornitore
120
110
100
90
80
70
60
50
1
2
3
4
5
6
Periodi
304
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 11.15 Le alternative di allocazione delle quote di fornitura
Strategie alternative di allocazione delle quote di fornitura
Monofornitura
Sole
sourcing
Fornitura
multipla
Single
sourcing
Second
sourcing
Parallel
sourcing
Multiple
sourcing
Fonte: Dellantonio e Stabilini (2004)
in ragione del numero di fornitori coinvolti nella relazione, delle performance
attese e dei rischi associati.
Si parla di sole sourcing, quando l’intero fabbisogno aziendale per una specifica famiglia merceologica viene acquisito da un singolo fornitore. Si tratta di
contesti vincolati, in cui la presenza di un solo operatore sul mercato è dovuta
all’esistenza di elevate barriere all’entrata, economiche, legali o di conoscenza,
prevalentemente connesse alla disponibilità di know-how non riproducibile da
altri. In tal caso, il potere contrattuale del fornitore lascia pochi spazi di discrezionalità all’operato della funzione approvvigionamenti dell’azienda cliente,
che si vede talvolta costretta a ricercare forme di integrazione verticale a monte
o, in rari casi, a stimolare attraverso investimenti diretti la nascita di fornitori
alternativi.
La prassi del single sourcing si riferisce ai contesti in cui, pur esistendo sul
mercato disponibilità di fonti alternative, l’azienda cliente si orienta a privilegiarne una per l’intera fornitura di una famiglia merceologica; a favore di tale
approccio sta la possibilità di ricercare e ottenere da un unico fornitore un rapporto privilegiato di collaborazione, in termini di affidabilità, qualità ed economie di acquisto. In tal caso si manifesta l’esigenza di instaurare rapporti duraturi, basati sulla condivisione del rischio attraverso continui scambi di informazioni, forte coordinamento operativo e pianificazione congiunta degli investimenti. Il legame univoco e di lungo periodo garantisce entrambe le controparti:
il cliente, che trova un partner sollecito nel soddisfare i propri fabbisogni e il
fornitore, che vede allocata gran parte della sua capacità produttiva per orizzonti temporali rassicuranti.
Si sviluppano rapporti di second sourcing, invece, nei casi in cui, a fianco del
fornitore principale, si instaurano relazioni anche con una fonte alternativa,
secondaria per volumi allocati e intensità della relazione; si tratta di una scelta
cautelativa, volta a contenere i rischi della monofornitura, a mantenere «in tensione» il rapporto contrattuale con il fornitore principale e a garantire margini
di ulteriore flessibilità in presenza di punte di fabbisogno.
310
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.1 Profili rilevanti per l’analisi dei sistemi produttivi
Classificazione secondo il modo
di rispondere alla domanda
Singola
Fabbricazione
Per parti
Montaggio
Produzione continua
Produzione su commessa
Produzione intermittente (a lotti)
Ripetitiva
Produzione unitaria
Produzione per il magazzino
Classificazione secondo
il modo di realizzare
il volume di produzione
Per processo (fabbricazione)
Classificazione secondo
il modo di realizzare
il prodotto
Fonte: Brandolese et al. (1985)
zate da flussi intrecciati o alternati, e si annulla per estesi intervalli temporali
nelle produzioni in serie o continue, svolte su prodotti sostanzialmente indifferenziati per cicli ripetitivi.
Lungo la terza dimensione, infine, viene riportato il profilo rappresentato
dalla natura intrinseca del prodotto; in tal senso si distingue tra produzioni per
processo e produzioni discrete o per parti. Le prime, cui appartengono i processi siderurgici, petrolchimici, cartari, alimentari ecc., si dicono per processo
perché la trasformazione avviene per modificazioni chimiche e fisiche, per cui
appare virtualmente impossibile risalire dal prodotto finito ai materiali componenti, come non è possibile, per esempio, risalire dal vetro al silicio, dai prodotti di cracking al greggio, dall’acciaio al ferro e al carbone in esso combinati. Detti processi possono, a loro volta, essere distinti in processi di integrazio-
312
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.2 La matrice prodotto-processo
Mix di prodotti
Esemplare
unico
Altissimi volumi;
Alti volumi;
alcuni modelli standardizzazione
(commodity)
principali
Bassi volumi;
molti modelli
Flusso discontinuo
con una linea tipo
ea
Ar
di
za
en
er
Flusso condizionato
da:
• ritmi
della manodopera
• ritmi degli impianti
co
Modelli di processo
Flusso frammentario
Flusso continuo
rigido automatizzato
Fonte: adattato da Hayes e Wheelwright (1984); Schmenner (1990)
• reparti, caratterizzati da un’organizzazione del processo produttivo articolata
per macchinari e operazioni omogenee sotto il profilo funzionale, con flussi
fisici molto complessi e intrecciati. Appartengono a questa tipologia le produzioni calzaturiere (trancia, giunteria, manovia), mobiliere (taglio, squadratura,
nastro-bordatura, finitura), meccaniche ecc.;
• linea, caratterizzata da una disposizione dei macchinari, generalmente dedicati,
sequenziata secondo le necessità dettate dallo specifico ciclo tecnologico di un
prodotto o di una famiglia di prodotti. Si dice non connessa la linea, altrove
definita linea spezzata, in cui il trasferimento tra una workstation e un’altra
avviene in modo non automatico, tramite operatori, carrelli, e altri sistemi di
movimentazione, generalmente in presenza di accumuli di giacenze opportunamente collocate in magazzini interoperazionali. Ciò per distinguere dalla linea
connessa, in cui la movimentazione, a ritmo imposto o non imposto (linee asin-
o
sti
g
ag
io
r
o
ic
M
Puntualità consegne Qualità (differenziazione
produttiva); elasticità
e possibilità
nei volumi di output
di personalizzare
il prodotto
Obiettivi critici del management
Fonte: adattato da Hayes e Wheelwright (1984); Schmenner (1990)
Prezzo
Flusso continuo
Flusso in linea
Flusso in linea
tà
ni
tu
r
o
pp
Flusso continuo
rigido automatizzato
Flusso condizionato da:
• ritmi della manodopera
• ritmi degli impianti
Flusso a lotti
Alti volumi; Altissimi volumi;
Bassi volumi; alcuni modelli standardizzazione
(commodity)
molti modelli principali
Mix di prodotti
ti
Flusso discontinuo
con una linea tipo
Flusso frammentario
Job-shop
Esemplare
unico
Figura 12.3 Le aree di coerenza e le modalità competitive
s
Co
Modelli di processo
Compiti critici del management
Investimenti per aumenti
di capacità; innovazione tecnologica,
gestione materiali;
integrazione verticale
Motivazione maestranze,
bilanciamento;
mantenere sufficiente
flessibilità
Scheduling, affidabilità,
consegne, eliminazione
colli di bottiglia
314
Tecnologia, innovazione, operations
316
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.4 Tipologie di produzione dei servizi: la matrice varietà-volumi
Costo unitario
Elevato
Elevata
Basso
Capability
Complessi
lità
ibi
Bassa
so
Varietà dei processi
ti
os
r
pe
Grado di definizione dei processi
s
s
fle
di
s
ce
ec
C
ti
pe
sti
ns
ri
fic
uf
ien
lu
vo
i
m
Co
Bassa
Commodity
Semplici
Bassi
Elevata
Elevati
Volumi unitari delle transazioni
Fonte: adattamento da Johnston e Clark (2005)
plesse, competenze distintive, approcci fortemente personalizzati, tempi e impegno consistenti, sempre ben remunerati.
La progettazione dei processi di operations nei servizi sono dunque influenzati da due parametri fondamentali: il volume unitario delle transazioni in un
determinato periodo temporale e la varietà dei compiti che debbono essere svolti dal personale e delle attività insite nei processi di erogazione (Johnston e
Clark, 2005). La maggior parte dei servizi si colloca lungo la diagonale che va
dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra e che, analogamente a
quanto illustrato precedentemente per i beni, rappresenta l’area di coerenza. A
un estremo, si posizionano i processi commodity, meno costosi, caratterizzati da
elevati volumi, bassa varietà, attività e compiti ben definiti che lasciano ridotti
margini di discrezionalità al personale addetto; si pensi, per esempio, a un autolavaggio automatico o allo sportello di un ufficio postale. All’estremo opposto,
si trovano invece i processi capability, più costosi, scarsamente standardizzabili
e che richiedono, di volta in volta, capacità di problem solving specifiche, personale di notevole esperienza, spesso in grado di aiutare il cliente nell’identifi-
318
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.5 Tipologie di produzione di servizi: la matrice di Lovelock
Livello di intensità del lavoro
Elevato
Basso
Livello di interazione
e personalizzazione
Elevato
Service shop
Servizi professionali
Service factory
Servizi di massa
Basso
Fonte: Lovelock (1988)
L’incrocio tra le due variabili evidenzia quattro possibili modelli di gestione del
servizio (Greasley, 2006):
• i servizi professionali, caratterizzati da un elevato livello di interazione e di
intensità di lavoro; è il caso delle professioni liberali, quali quelle svolte da
medici, avvocati, architetti ecc.;
• le service factory si collocano sul versante opposto; le compagnie aeree, le
catene alberghiere, le strutture cinematografiche multisala e molti servizi assicurativi appartengono a questa categoria, essendo orientati alla standardizzazione del servizio offerto e caratterizzati da una rilevanza della componente
tecnologica-infrastrutturale;
• i servizi di massa, connotati da elevata incidenza di personale e contenuta personalizzazione, come nel caso di alcuni servizi logistici, della distribuzione, o
dell’educazione;
• i service shop, nei quali, come nel caso degli ospedali o delle autofficine, la personalizzazione del servizio viene realizzata in virtù di una bassa incidenza del
costo del lavoro rispetto al valore complessivo delle tecnologie e infrastrutture
impiegate.
Le due logiche di classificazione sopra esposte possono peraltro essere efficacemente integrate, come illustrato nella Fig. 12.6.
Le classificazioni proposte non esauriscono, ovviamente, la casistica reale, nella quale emergono di frequente modelli ibridi, sia sotto il profilo del grado di personalizzazione, sia sotto quello dell’intensità di lavoro; ciò anche all’interno della
medesima realtà aziendale, nella quale possono efficacemente convivere servizi
personalizzati e servizi standard, maggiore o minor impiego di personale nei processi di erogazione.
Si pensi, a titolo di esempio al caso delle compagnie di assicurazioni che,
12 • La gestione della produzione
319
Figura 12.6 Tipologie di produzione dei servizi: una visione integrata
Costo unitario
Elevato
Basso
Capability
Complessi
Varietà dei processi
Servizi professionali
Bassa
o
ss
ce à
c
r e ilit
pe ssib
i
t
s le
Co di f
Grado di definizione dei processi
Elevata
Service shop
ti
s
Co
Bassa
ien
fic
f
u
ns
r i umi
e
l
ti p vo
Servizi di massa
e
service factory
Commodity
Semplici
Bassi
Elevata
Elevati
Volumi unitari delle transazioni
Fonte: adattamento da Lovelock (1988); Johnston e Clark (2005); Greasley (2006)
oltre a polizze standard possono configurare coperture assicurative specifiche
costruite sulle esigenze del cliente; o al caso delle banche in cui alcune operazioni di prelievo possono essere realizzate agli sportelli automatici e altre attività, più complesse come la gestione titoli, necessitano dell’interazione con personale qualificato.
Nella produzione di servizi, inoltre, si assiste con frequenza alla progettazione
di processi di erogazione orientati a una standardizzazione quasi-industriale nelle
attività di back office, ovvero dei processi connotati da bassa o nulla intensità di
contatto con il cliente, e una personalizzazione, e una conseguente intensità del
contatto, più spinta in quelle di front office. Vi è una sottile linea che separa i processi di back office, spesso orientati all’efficienza, da quelli di front office, maggiormente focalizzati sull’efficacia, e che conseguentemente distingue tra fasi
standardizzate e personalizzate; tale diaframma, che distingue le attività «visibili»
dal cliente da quelle che questi non può osservare direttamente, può collocarsi differentemente lungo il complessivo processo di erogazione di un servizio, in funzione dell’eterogeneità dei servizi forniti o per scelte di posizionamento competi-
12 • La gestione della produzione
323
Tabella 12.1 Principali caratteristiche delle scelte di layout. Confronto di layout
per prodotto e layout per processo
Layout per prodotto
Layout per processo
a. Vantaggi relativi dei due tipi
1. Minore costo totale del trasporto di materiale
1. Minore duplicazione di macchine, quindi
minori investimenti in attrezzature fisse
2. Minore tempo complessivo di produzione
2. Maggiore flessibilità di produzione
3. Controllo e supervisione più specializzati e
quindi più efficaci
3. Minori scorte di produzione
4. Maggiori incentivi, per vari reparti, ad aumentare la produttività
4. Maggiori incentivi, per singoli dipendenti,
ad aumentare la produttività
5. Minore superficie di stabilimento richiesta
per unità di prodotto
5. Migliore controllo di processi ad alta precisione o particolarmente complessi
6. Semplificazione del controllo della produzione
6. Maggiori possibilità di ovviare ad avarie del
macchinario
b. Situazioni a favore di un tipo di layout
1. Lavorazione limitata a uno o a pochi prodotti standard
1. Produzione concernente numerosi prodotti diversi o produzione su commessa
2. Grande volume di produzione per ciascun
prodotto
2. Produzione limitata per ogni singolo prodotto
3. Possibilità di attuare analisi dei tempi e dei
metodi per il controllo della produttività
3. Analisi dei tempi e dei metodi difficili o
impossibili da effettuare
4. Possibilità di buon bilanciamento della produzione
4. Difficoltà di ottenere il bilanciamento della
produzione
5. Pochi controlli necessari durante le fasi di
lavorazione
5. Necessità di molti controlli durante le fasi
di lavorazione
6. Pochi macchinari speciali richiesti per la
produzione
6. Alta proporzione di macchinario speciale
o macchinario che necessita trattamenti
speciali
7. I materiali e i prodotti possono essere trasportati in modo continuo o in forti quantitativi
7. Esistenza di materiali e prodotti troppo voluminosi o troppo pesanti per trasporti continui o in grande quantità
8. Possibilità di destinare ogni macchina o
stazione di lavoro a una sola operazione
8. Frequente necessità di impiegare la stessa
macchina per due o più operazioni diverse
Fonte: Maraschi (1992, p. 254)
328
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.7 Il processo di programmazione della produzione
Previsione
domanda
Disponibilità
scorte
PF
Portafoglio
ordini
Fabbisogno
di produzione
CPN
Parametri
tecnici
CPD
Piano
aggregato
PP/RRP
Piano
principale
MPS/RCCP
Elaborazione
MRP/CRP
Richiesta
d’acquisto
RdA
Richiesta
di lavorazione
RdL
Ordine
d’aquisto
OdA
Piano operativo
scheduling
OdL
Fornitori
Reparti
Controllo
avanzamento
e reporting
338
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 12.8 Classificazione delle diverse applicazioni di supply chain management
Progettare le relazioni
che coinvolgono le imprese
(attività di sviluppo congiunto
del prodotto e attività
di organizzazione dei flussi fisici)
Supply
chain
configuration
Ricercare il corretto equilibrio
tra le quantità richieste
dal mercato e le quantità
che possono essere prodotte
e distribuite all’interno
di una particolare catena logistica
Network design
Supply chain planning
ATP/CTP
APS
Dare esecuzione
ai piani ottimizzati
considerando
i vincoli predefiniti
Demand forecasting
Supply chain execution
TMS
Fornitori
Acquisto
WMS
Produzione
Distribuzione
Vendita
Clienti
tempi opportuni le informazioni necessarie affinché il management possa compiere le scelte più adeguate per soddisfare le attese espresse dal mercato.
Anche gli stessi sistemi ERP, che coprono in modo soddisfacente tutta l’area
transazionale, ossia quella relativa alle rilevazioni che interessano i principali
accadimenti legati alla gestione aziendale, non si dimostrano generalmente in
grado di soddisfare appieno gli specifici fabbisogni informativi della sfera
produttivo-logistica.
Una possibile alternativa per superare il gap oggi esistente tra le esplicite esigenze informative delle aziende e i supporti informatici più diffusi è rappresentata
da un insieme di applicazioni, comunemente indicate con l’espressione Supply
Chain Management (SCM), che sono state progettate e sviluppate in modo da fornire delle soluzioni adeguate per risolvere le principali problematiche di gestione
delle catene logistiche. Come illustrato nella Fig. 12.8 è possibile classificare le
diverse applicazioni in funzione della tipologia di attività che sono chiamate a
supportare: attività di configurazione della catena logistica (supply chain configuration), attività di pianificazione dei flussi all’interno degli anelli della catena
logistica (supply chain planning) e attività di natura esecutiva finalizzate a garantire l’operatività quotidiana (supply chain execution).
La configurazione della catena logistica – Con questo profilo di classificazione
si è soliti fare riferimento alle problematiche di organizzazione dei flussi fisici,
12 • La gestione della produzione
341
Figura 12.9
Articolo A1
100
80
60
40
20
0
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Consumo A1
Articolo A2
140
120
100
80
60
40
20
0
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Consumo A2
Giugno
Luglio
Media mobile ordine 4
Giugno
Luglio
Media mobile ordine 4
Figura 12.10
Famiglia A
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Consumo famiglia A
Luglio
Giugno
Media mobile ordine 4
Anche i processi di gestione degli ordini stanno assumendo progressivamente
un’importanza fondamentale, in specie nei contesti ove la capacità di comunicare tempestivamente la conferma della data di consegna o la presunta data di
evasione rappresenta un vero fattore critico di successo. Si tratta di un’informazione importante, perché consente al cliente, opportunamente avvisato dell’eventuale impossibilità di ricevere la merce per una certa data, di rivedere i pro-
348
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 13.1 La progettazione del sistema logistico
Progettazione
del servizio al cliente
Strategia di servizio
Progettazione
del canale
Progettazione
della rete logistica
Scelte di assetto strutturale
Progettazione
dei magazzini
Progettazione
dei trasporti
Progettazione modalità
di gestione materiali
Macro-scelte di gestione (funzioni)
Attrezzature
e infrastrutture
Tecnologie
di supporto
Politiche, processi
e procedure
Gestione
del personale
Micro-scelte di gestione (operations)
Misure di prestazione e reporting
Valutazione, feed-back e feed-forward
Fonte: adattamento da Copacino (1997)
delegato il compito di garantire livelli di operatività adeguati al conseguimento
degli obiettivi di efficacia ed efficienza statuiti.
La progettazione deve pertanto entrare nel merito di molteplici decisioni
relative a:
•
•
•
•
tipologie di infrastrutture e attrezzature di cui dotarsi;
tecnologie e sistemi informativi di supporto;
disegno dei processi e delle procedure operative;
gestione del personale addetto alle attività logistiche.
Tali scelte sono fortemente influenzate, oltre che dagli obiettivi di servizio, da
una serie di variabili rilevanti sotto il profilo logistico, in grado di vincolare significativamente l’operatività delle componenti di progetto e che, pertanto, debbono
essere valutate con estrema attenzione.
In proposito si veda l’esempio riportato in Problematiche logistiche nell’home
delivery.
Con l’obiettivo di svolgere tale attività di controllo, cruciale ai fini del progres-
352
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 13.2 Livello di servizio e costo logistico globale
Servizio
Alto
Basso
Alti
Aziende marketing oriented
Costi logistici
Aziende logistics oriented
Aziende ad alto rischio
II
I
IV
III
Aziende production oriented
Bassi
Fonte: Ferrozzi, Shapiro ed Heskett (1987)
Ovviamente, anche nella medesima realtà aziendale possono coesistere sistemi logistici diversamente orientati, come nel caso di un’impresa che produce
prodotti a catalogo a fianco di un’offerta personalizzata. Sotto il profilo degli
obiettivi cui ispirare la progettazione logistica, si possono idealmente identificare diversi orientamenti, come riportato nella Fig. 13.2:
• nel primo quadrante, caratterizzato da alti costi logistici e modesto livello di
servizio, si collocano pertanto le aziende dall’incerto futuro, gravate da preoccupanti inefficienze e non in grado di soddisfare le attese del mercato; spesso si
manifesta un lento scivolamento verso questo quadrante, frutto di miopia progettuale, radicamento su posizioni progressivamente obsolete, o incapacità di
seguire i trend di sviluppo dei principali concorrenti;
• nel quadrante opposto, il quarto, si collocano invece le realtà logistics oriented,
in grado di competere con successo, e promotrici di una formula che associa
costi logistici contenuti con elevati livelli di soddisfazione del cliente, sotto il
profilo del servizio erogato. Tali aziende sono rappresentate, in genere, dalle
realtà più accorte che, attraverso frequenti progetti di ridisegno dei propri processi logistici, innovano costantemente, alla ricerca del modello organizzativo-logistico pro tempore più appropriato;
• il secondo e il terzo quadrante, infine, possono essere considerati come aree
di transizione: l’una, detta marketing oriented, è propria delle imprese che
sviluppano una particolare attenzione al servizio, anche a dispetto di elevati
oneri logistici; a queste ultime, più aggressive sotto il profilo dell’efficacia
logistica, si contrappongono le realtà production (o efficiency) oriented,
maggiormente sensibili al contenimento dei costi logistici, per le quali il
livello di servizio viene erogato in logica sostanzialmente residuale rispetto
ad altri vettori competitivi.
13 • La logistica distributiva
353
Per quanto, in ragione del gioco tra variabili logistiche dominate e subite,
molte realtà manifestano una sorta di vocazione all’uno o all’altro fronte, la crescita transita attraverso graduali miglioramenti su entrambi, attraverso la progressiva erosione di ogni area di inefficienza, l’uso attento dell’innovazione tecnologica, l’informatizzazione, l’attenzione alla voce del cliente, l’identificazione della più opportuna strategia logistica e la progettazione di un coerente sistema in grado di supportarla.
Tra le diverse scelte di posizionamento illustrate, l’alternativa logistics oriented
appare sempre più ispirata a principi, oggi sintetizzati dalla locuzione time based
competition7, nella quale la dimensione temporale del servizio al cliente sembra
prevalere. Con riferimento ai sistemi logistici in oggetto, detta dimensione temporale può diversamente configurarsi, facendo prevalere, di volta in volta, il valore
della velocità (o tempestività) o quello della puntualità (o affidabilità); per connotare i diversi sistemi, la prassi di settore ha coniato i termini di sistemi logistici
time critical, nei quali la dimensione della velocità, espressa da lead time di risposta al cliente ridotti, spicca tra i desiderata del mercato, e di sistemi logistici time
definite, per i quali la puntualità, espressa dal minor scostamento rispetto alla data
di consegna promessa o concordata, appare la dimensione più apprezzata. Come
illustrato nella Fig. 13.3, per quanto in molte realtà prevalga vuoi l’una, vuoi l’altra
prestazione, la tensione al miglioramento indotta dal gioco competitivo unita alle
crescenti aspettative dei clienti conducono, frequentemente, a sempre più stringenti performance su entrambi i profili.
A titolo di esempio, si riportano i casi di alcune imprese, appartenenti a setto-
Figura 13.3 Sistemi logistici time critical e time definite
Velocità di consegna
Sistemi
time
critical
1
Sistemi time based
1
3
2
2
Sistemi time definite
3
Fonte: Grando (2000)
Puntualità di consegna
7 Per approfondimenti sul tema della competizione sul tempo si vedano Blackburn, 1993; De
Toni e Meneghetti, 1997.
358
Tecnologia, innovazione, operations
Significato
Utilità per il consumatore
Attributi di natura logistica
Prossimità
Espressione della distanza spazio- Garantisce la riduzione dei costi contemporale tra punto vendita e con- nessi alla distanza fisica (trasporto e
sumatore
tempo)
Ampiezza
dell’assortimento
Espressione della numerosità dei co- Garantisce la concentrazione degli
dici (referenze) offerti
acquisti
Orario di apertura
Espressione dell’estensione tempora- Garantisce l’uso del tempo con il più
le delle fasce orarie di accessibilità
basso costo opportunità soggettivo
Attributi di natura informativa
Preselezione
Espressione della selezione operata Garantisce la riduzione dei costi di
dal distributore sul catalogo offerto ricerca
Profondità
dell’assortimento
Espressione del numero di alternati- Garantisce la riduzione dei costi di
ve di prodotto esistenti sul catalogo ricerca
offerto
Informazione
diretta
Espressione del supporto consulen- Garantisce la riduzione dei costi di
ziale (tecnico) offerto in loco
ricerca (costi di informazione)
Altri attributi rilevanti
Servizi
di postvendita
Espressione della quantità e qualità Garantisce la riduzione dei costi di
di servizi accessori offerti durante la gestione del prodotto (costi legati al
ricorso ad alternative)
vita utile del prodotto
Comfort
d’acquisto
Espressione della qualità ambientale Garantisce una più bassa percezione
complessiva offerta nel punto vendita soggettiva del costo del tempo
Velocità
del servizio
Espressione del tempo di evasione Garantisce la riduzione del tempo
dell’ordine
d’acquisto
Si noti che in molti trattati di logistica gli attributi «servizio postvendita» e «velocità del servizio» rientrano nella categoria degli attributi di natura logistica; in proposito, si veda, a titolo di
esempio, Bowersox, Closs ed Helferich (1989).
Ovviamente non tutti i beni si prestano a tale azione di decostruzione della
catena fisica da quella informativa (Evans e Wurster, 2000). La necessità di mantenere un canale fisico permane, dunque, in molti casi, per almeno due ordini di
considerazioni, legati, rispettivamente ai citati attributi di natura logistica e informativa, propri del servizio commerciale.
a. Il profilo logistico si riferisce alla diversa capacità dei prodotti, legata alla dinamica dei loro margini di contribuzione, di assorbire gli incrementi di costo deri-
361
13 • La logistica distributiva
• scelte di polarizzazione, ovvero del grado di accentramento/decentramento del
sistema logistico;
• scelte di postponement/speculation, ovvero del grado di anticipazione o dilazione di operazioni di personalizzazione, rispetto alle specifiche di prodotto e
ai fabbisogni logistici del cliente;
• scelte di outsourcing, ovvero grado di terziarizzazione delle strutture e delle
attività logistiche.
Nel seguito si osservano i principali elementi suscettibili di influenzare tali alternative progettuali.
Scelte di polarizzazione – I due parametri che condizionano maggiormente la scelta del modello di riferimento in sede di definizione della strategia di polarizzazione
logistica di un’impresa, sono costituiti dal grado di densità di valore del prodotto e
dal grado di incertezza dei flussi logistici, illustrati nella matrice riportata nella Fig.
13.4; circa il primo si è già avuto modo di accennare; per il secondo si intende il grado di incertezza quali-quantitativa della domanda, che influenza la prevedibilità della stessa e la programmabilità dei flussi in uscita, nonché l’incertezza dei flussi in
entrata, che è funzione del grado di affidabilità del sistema produttivo e della fornitura. Come illustrato nella Fig. 13.4, la densità di valore del prodotto influenza il grado di polarizzazione delle strutture, mentre l’incertezza dei flussi logistici orienta a
scelte di efficienza o di efficacia logistica (Gosso, 1998).
Al crescere della densità di valore del prodotto, infatti, aumenta la convenienza
a realizzare sistemi logistici fortemente centralizzati, in quanto gli oneri finanziari
connessi al mantenimento delle giacenze aumentano all’aumentare del valore per
Figura 13.4 Polarizzazione della struttura e politiche di efficienza/efficacia logistica
Incertezza dei flussi
Alta
Bassa
Alta
Densità
di valore
del prodotto
Logistica a elevata flessibilità
Logistica a elevata polarizzazione
Struttura logistica polarizzata
focalizzata
su interventi di compensazione
Struttura logistica polarizzata
focalizzata
su recuperi di efficienza
Logistica a elevata reattività
Logistica a elevata efficienza
Struttura logistica decentrata
focalizzata
su interventi di compensazione
Struttura logistica decentrata
focalizzata
su recuperi di efficienza
Bassa
Fonte: rielaborazione da Gosso (1998)
13 • La logistica distributiva
365
Figura 13.5 La matrice postponement/speculation di Pagh e Cooper
e le relative strategie logistiche
Speculation
Scorte decentrate
Logistica
Postponement
Scorte accentrate e distribuzione diretta
Strategia di postponement produttivo
Strategia di speculation completa
Speculation
Make to stock
• costi di produzione bassi
• costi di scorta medio-bassi
• costi di distribuzione elevati
• livello di servizio medio-basso
• costi di produzione bassi
• costi di scorta elevati
• costi distributivi bassi
• livello di servizio elevato
I
Produzione
II
III IV
Postponement
Make to order
Strategia di postponement logistico
Strategia di postponement completo
• costi di produzione medio-alti
• costi di scorta medio-alti
• costi distributivi bassi
• livello di servizio medio-alto
• costi di produzione medio-alti
• costi di scorta bassi
• costi distributivi elevati
• livello di servizio basso
Fonte: rielaborazione da Pagh e Cooper (1998)
manda, accompagnata dall’elevato grado di versatilità e modularità delle tecnologie produttive odierne, sia di prodotto, sia di processo, ha in gran parte ridotto la
portata delle scelte di speculation, limitandole ai contesti di relativa prevedibilità
dei fabbisogni, vincoli di lottizzazione e scala, standardizzazione del prodotto e
livelli di servizio diversamente non conseguibili.
Come illustrato, dette strategie possono essere riferite sia a operazioni strettamente produttive, sia a operazioni logistiche; contrapponendo le scelte di postponement e di speculation, rispettivamente, con riferimento a decisioni di natura
produttiva e logistica, è possibile definire quattro corsi d’azione alternativi, detti
strategie di base di postponement; queste ultime appaiono qualificate da prospettive prestazionali differenti in termini di costi logistici e livello di servizio, come
illustrato nella Fig. 13.5.
La prima strategia18, di speculation completa, è tuttora adottata e trova appropriata realizzazione in contesti facilmente prevedibili, nei quali, in virtù di scelte
di pianificazione produttiva orientata al make to stock e decentramento di giacenze lungo la rete distributiva, è possibile conseguire elevati livelli di servizio per la
prossimità spazio-temporale degli inventari rispetto alle necessità del consumo,
nonché costi di produzione e distribuzione contenuti grazie a possibili economie
18 La descrizione delle alternative strategiche di speculation e postponement è ispirata a Pagh e
Cooper (1998).
369
13 • La logistica distributiva
Figura 13.6 Una classificazione delle scelte di esternalizzazione
Incertezza dei flussi
Bassa
Elevata
Elevata
Livello
di complessità
gestionale
Outsourcing di soluzione
Outsourcing strategico
(per esempio,
internal auditing)
(per esempio,
logistica integrata)
Outsourcing tradizionale
Outsourcing tattico
(per esempio,
paghe e contributi)
(per esempio,
produzione di codici non critici)
Bassa
Fonte: Boin, Merlino e Savoldelli (1998)
ro della numerosità e delle interdipendenze tra attività gestite) e della loro prossimità al core business, si configurano forme di outsourcing alternative (Boin,
Merlino e Savoldelli, 1998).
Stante la crescente complessità di alcuni processi logistici, e la crucialità per
il business presidiato dalle imprese, le nuove forme di terziarizzazione si configurano come scelte di outsourcing strategico22. Tali tensioni hanno condotto
molte aziende a ricercare partner esterni, specializzati nella fornitura di servizi
logistici; corrispondentemente alla maturazione intervenuta nella domanda di
servizi logistici si è assistito negli anni recenti a una modificazione dell’offerta
che si è progressivamente evoluta e arricchita; da fornitori di servizi elementari,
connessi alle funzioni logistiche di base, quali i trasporti e il magazzinaggio, lo
spettro di offerta si è via via allargato ad attività a maggior valore aggiunto sia
sotto il profilo del trattamento fisico dei beni, sia sotto quello concernente il
flusso informativo a essi correlato.
Le crescenti richieste di servizio da parte del mercato stanno, infatti, rapidamente modificando le strategie distributive di molte realtà industriali, le quali
sono indotte a ricercare nuove modalità operative per garantire consegne connotate da sempre più elevati livelli di velocità, puntualità, capillarità, completezza e precisione. Tali esigenze debbono peraltro essere soddisfatte a costi
logistici globali contenuti. Ciò ha progressivamente indotto molte imprese a
ricercare nuove soluzioni logistiche e a terziarizzare porzioni crescenti dei pro22
Si pensi ai numerosi esempi di cessione di rami di azienda di imprese industriali a operatori
logistici incaricati di presidiare direttamente attività gestite in precedenza all’interno, come il caso
del recente accordo tra Fiat e TNT Automotive Logistics inerente la distribuzione di tutte le parti di
ricambio. In tal senso, l’outsourcing logistico si configura come un’alleanza strategica.
372
Tecnologia, innovazione, operations
Grado di integrazione
Figura 13.7 Evoluzione della relazione fornitore-cliente nei processi
di outsourcing logistici
Accordi di servizi
logistici integrati
Accordi
di terza parte
Accordi
di partnership
Transazioni
ripetute
Transazioni
singole
Fonte: Bowersox et al. (1989)
Grado di commitment
nella natura dei servizi resi, nell’orizzonte, negli obiettivi e nella formalizzazione
dell’accordo, nel grado di indipendenza tra le parti, nei compiti e responsabilità
assegnate rispettivamente al cliente e al fornitore, nelle specifiche di fornitura, nel
grado di personalizzazione del servizio, nel grado di integrazione degli investimenti e nella dotazione di risorse dedicate fornite dagli attori in gioco.
Non potendo, per brevità, entrare nel dettaglio di ogni singolo attributo
distintivo, si rimanda alla sintesi riportata nella Tab. 13.1.
Rispetto alla realtà di qualche anno addietro, in cui le scelte di esternalizzazione sembravano prevalentemente motivate da obiettivi di efficienza e riduzione di
costo, oggi attraverso l’outsourcing si ricerca il miglioramento del servizio, la
flessibilità operativa e la riconfigurabilità degli assetti logistici.
Il tasso di sviluppo atteso dei processi di outsourcing logistico sembra dunque
differenziarsi in ragione della natura dei servizi richiesti, a loro volta dipendente da
necessità competitive industry specific e dalle scelte di struttura operate dai vertici
d’impresa; nei prossimi anni, pertanto, si assisterà con grande probabilità a diverse
velocità di adozione delle pratiche di outsourcing: in alcuni settori, come quelli del
farmaceutico, dell’elettronica, dei beni di consumo, le imprese avanzeranno pressanti richieste di servizi evoluti e complessi, quali servizi integrati, postponement
spinto, servizi sul punto vendita (rack jobbing, replenishment ecc.); in altri, come il
chimico, il tessile, parte del meccanico, si manifesteranno tassi di crescita più contenuti nella richiesta di tali servizi a valore aggiunto, mentre è più probabile che si
estenda la quota delegata a terzi dei processi più convenzionali, quali il trasporto e il
magazzinaggio, nella ricerca di maggiori efficienze operative.
Riduzione costi della sin- Riduzione costi delle opegola operazione
razioni nell’orizzonte dell’accordo
Obiettivi
Nullo
Grado
di personalizzazione
Elementare (per esempio, scelta mezzi ecc.)
Bassa formalizzazione, Formalizzazione legata al
contratto spot
contratto quadro
Assoluta
Grado
di formalizzazione
Indipendenza Assoluta
delle parti
Spot
Orizzonte
dell’accordo
Breve (1-3 anni)
Servizi tradizionali (preva- Servizi tradizionali (tralentemente trasporto)
sporto/magazzinaggio)
Transazioni ripetute
Natura
dei servizi
Transazioni singole
(occasionali)
Rapporti di transazione
Lungo (5-10 anni)
Ampio range di servizi
tradizionali e valore
aggiunto di tipo fisico
(postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking e fulfillment, tracking e tracing del collo ecc.)
Accordi di terza parte
logistica
Progettazione, gestione e
ottimizzazione di ampie
porzioni dei processi logistici con fornitura integrata di servizi a valore aggiunto di tipo fisico e informativo
Lungo (5-10 anni e oltre)
Ampio range di servizi integrati, tradizionali e valore aggiunto di tipo fisico
(postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking e fulfillment, tracking e tracing
del collo ecc.)
Accordi di servizi
logistici integrati
Medio-alto
Elevato, talvolta processi Massimo, processi e rie risorse dedicati
sorse dedicati
Piena formalizzazione e Piena formalizzazione e Piena formalizzazione e
regolazione contrattuale regolazione contrattuale regolazione contrattuale
complessa
complessa
complessa
Accordi non equity con Accordi non equity, forte- Accordi talvolta equity,
mutue obbligazioni
mente regolamentati, con fortemente regolamentati
mutue obbligazioni
Incremento servizio logi- Progettazione, gestione e
stico e contenimento co- ottimizzazione dei processto globale
si logistici, con fornitura
anche di servizi a valore
aggiunto
Medio (3-5 anni)
Servizi tradizionali, primi
servizi a valore aggiunto
di tipo fisico (postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking, pagamenti,
fatturazione ecc.)
Accordi di partnership
Relazioni cooperative (alleanze strategiche)
Tabella 13.1 Modelli di relazione cliente-fornitore, profili di integrazione, impegni e obiettivi reciproci
13 • La logistica distributiva
373
Chiamata spot
Impegni
del cliente
Fonte: Grando (2002)
Negoziazione
Criticità
nella
gestione
della
relazione
Negoziazione e contratto
di fornitura standard
Selezione del fornitore Selezione sull’affidabilità
sull’offerta (costi)
generale, competenze su
processi e servizi elementari e reference list
Compiti esecutivi connessi a singole attività
elementari
Pianificazione, gestione e
controllo attività
Elementari
Elementi
di selezione
del partner
Impegni
Compiti esecutivi
del fornitore
Elementari
Specifiche
di fornitura
Transazioni ripetute
Rapporti di transazione
Transazioni singole
(occasionali)
Tabella 13.1 (segue)
Accordi di servizi
logistici integrati
Selezione su capacità progettuali e gestionali sia
operative sia orientate al
problem solving, competenze di filiera, presenza
sui mercati, integrazione
informatica
Selezione su capacità progettuali e gestionali sia
operative sia orientate al
problem solving, competenze di filiera, presenza
sui mercati, integrazione
informatica
Team congiunti di lavoro;
talvolta responsabilità diretta di mezzi, attrezzature
e personale del cliente
Contratti complessi; mi- Accordi contrattuali arti- Piani strategici comuni,
sura prestazioni e siste- colati e complessi; co- accordi ad ampio spettro,
ma di reporting
stante monitoraggio pre- investimenti collegati
stazioni, forme di incentivazione sul risultato
Selezione su affidabilità,
solidità, compatibilità processi, servizi resi, compatibilità flussi informativi
Esecuzione delle opera- Pianificazione e gestione
tions e reporting presta- dei processi logistici e
zioni logistiche
controllo delle prestazioni logistiche
Pianificazione, gestione e Definizione fabbisogni e Team congiunti di lavoro
controllo delle attività e specifiche di servizio e focalizzati su ottimizzadelle prestazioni
controllo dei risultati
zione processi e risultati
Dettagliate su servizi, co- Dettagliate su servizi, co- Dettagliate su servizi, costi e reporting
sti e reporting
sti e reporting
Accordi di terza parte
logistica
Relazioni cooperative (alleanze strategiche)
Accordi di partnership
374
Tecnologia, innovazione, operations
376
Tecnologia, innovazione, operations
scono in qualità di progettisti di catene logistiche e integratori di competenze
specialistiche e soluzioni tecnologiche di terzi. Anche in questo caso le nuove
tecnologie introducono innovazione organizzativa: sono in corso di sperimentazione avviata le prime piattaforme logistiche virtuali, le quali, attraverso la connessione informatica, organizzano una ampia e variegata rete di rapporti con
operatori logistici fornendo soluzioni specifiche ad alto valore aggiunto. Tali
imprese, fornitrici di soluzioni logistiche integrate, si connotano per una nuova
e diversa qualità delle loro expertise e conoscenze; esse, infatti, non sviluppano
competenze operative di tipo logistico, né si strutturano per erogare alcuna forma di servizio diretto, ma offrono capacità fondate sul loro patrimonio di conoscenza e di relazioni: conoscenza diagnostica e progettuale nell’elaborare soluzioni logistiche a tutto tondo; capacità realizzativa mediata dal network di relazioni costruito con partner specializzati e affidabili, sui diversi versanti del trattamento dei beni fisici, dell’integrazione informatica e telematica, della multimodalità di trasporto ecc.
Tabella 13.2 Esempi di interdipendenze tra scelte logistiche
Strategia
Postponement
completa
Postponement
logistico
Speculation
completa
Postponement
produttivo
Struttura
Logistica a elevata
flessibilità (alta
densità di valore
e alta incertezza
dei flussi)
Logistica a elevata
polarizzazione (alta
densità di valore
e bassa incertezza
dei flussi)
Logistica a elevata
efficienza (bassa
densità di valore
e bassa incertezza
dei flussi)
Logistica a elevata
reattività (bassa
densità di valore
e alta incertezza
dei flussi)
Fabbisogni Infrastrutture
logistici in
centralizzate,
outsourcing prevalenza
di servizi a valore
aggiunto in ottica
global service
(servizi
di postproduzione
e logistici)
Infrastrutture
centralizzate,
Servizi logistici
tradizionali
(magazzinaggio,
trasporto
secondario)
Infrastrutture
distribuite,
prevalenza
di servizi logistici
tradizionali
(magazzinaggio,
trasporto primario
e secondario)
Infrastrutture
distribuite, servizi
a valore aggiunto
(servizi
di postproduzione,
personalizzati
su esigenze locali)
Modello
prevalente
Hub & spoke
con polarizzazione
di servizi logistici
a valore aggiunto
Hub & spoke
con polarizzazione
di servizi logistici
tradizionali
Rete con terminali
erogatori di servizi
logistici
convenzionali
Rete con terminali
erogatori di servizi
logistici a valore
aggiunto
Esempio
Elettronica
di consumo
(prodotti
configurabili)
Ricambi
(prodotti
specificati)
Alimentare secco
(prodotti
specificati)
Mobiliero
componibile
(prodotti
configurabili)
Fonte: Grando (2000)
382
Tecnologia, innovazione, operations
Figura 13.8 Le alternative di progettazione logistica nella tratta dell’ultimo miglio
Modello Buy-Hold-Sell
4
1
Fornitore
2
Distributore
3
Cliente
5
1 = acquisto anticipato (speculation) al fornitore
2 = consegna del bene al magazzino del distributore
3 = mantenimento a scorta del bene presso il distributore
4 = ricevimento dell’ordine dal cliente
5 = prelievo dal magazzino e consegna fisica
Flussi fisici
Flussi informativi
Modello Sell-Source-Ship
1
2
Fornitore
Distributore
Cliente
3
1 = ricevimento dell’ordine dal cliente
2 = trasmissione dell’ordine al fornitore
3 = prelievo dal magazzino del fornitore e consegna fisica diretta
progettuali. Nella Tab. 13.3 si sintetizzano tali legami logici, limitatamente ai due
casi estremi accennati30:
• il modello B-H-S sembra adattarsi a sistemi di offerta connotati da bassa densità di valore dei beni offerti e relativa certezza dei flussi; tende a operare attraverso strutture logistiche composte da reti distribuite, ispirate a scelte di speculation logistica, attraverso il decentramento di inventari costituiti da beni specificati ex ante sulle esigenze locali; tale alternativa sembra premiante nei casi in
cui prevalgono approcci logistici orientati a soddisfare il cliente attraverso la
disponibilità locale, nei quali la prossimità al consumo è garanzia di velocità di
risposta; i sistemi logistici così progettati palesano vantaggi sotto il profilo del
servizio, ma si espongono a significativi investimenti in scorte; ciò li porta a
essere preferiti, come si è detto, nei casi di bassa densità di valore e modesto
grado di personalizzazione dei prodotti. Il modello B-H-S si presta inoltre a
gestire i flussi fisici in contesti di multicanalità, che consentono di assorbire i
maggiori costi di struttura in ragione di un grado di instabilità della domanda
30
Per la descrizione di ulteriori modelli logistici per l’e-commerce, si veda Gandolfo, 2000.
13 • La logistica distributiva
383
Tabella 13.3 Una visione di insieme: le alternative
Variabili e scelte rilevanti
Approccio buy-hold-sell
Approccio sell-source-ship
Caratteristiche del sistema di offerta
Profilo del valore dei beni
Bassa densità di valore
Alta densità di valore
Personalizzazione dei beni
e complessità delle operazioni
logistiche
Bassa personalizzazione
e complessità
Alta personalizzazione
e complessità
Priorità criticità consegna
Efficienza
Urgenza/servizio
Caratteristiche dei flussi
Incertezza nei flussi
Bassa
Alta
Variabili di struttura
Mono/multicanalità
Multicanalità (on/off-line)
Monocanalità (on-line)
Polarizzazione/decentramento
Struttura distribuita
Struttura polarizzata
Postponement/speculation
Speculation
Postponement
Outsourcing
Servizi logistici convenzionali
Servizi logistici a valore
aggiunto
Disponibilità
Approcci time critical
Orientamento sistema logistico
Garantire la soddisfazione
del cliente attraverso
Fonte: Grando (2001a)
attenuato dalla presenza del canale consolidato; grazie a bassi livelli di incertezza dei flussi, è possibile ricercare elevati livelli di efficienza operativa attraverso scelte di lottizzazione negli acquisti ed economie dimensionali nei trasporti; per contro, il notevole impegno finanziario correlato alla moltiplicazione dei punti di giacenza può far propendere per soluzioni di outsourcing, generalmente limitate a operazioni tradizionali (stoccaggio, confezionamento, spedizione ecc.) dato l’elevato grado di standardizzazione dei prodotti e l’assenza
di opzioni di configurazione;
• il modello S-S-S, invece, opera attraverso strutture logistiche tendenzialmente polarizzate, spesso orientate a opzioni di postponement produttivo e logistico, vuoi per l’incertezza dei flussi, in specie della domanda, vuoi per la
complessità del prodotto che si presta a opzioni di configurazione e personalizzazione. Il sistema logistico si caratterizza per un approccio prevalentemente time critical, nel quale risulta premiante la velocità della consegna; il
grado di reattività del sistema dipende strettamente dalla capacità di sollecitare l’intera supply chain sulla base della richiesta del cliente; il modello
S-S-S, pur impiegato anche nella logistica convenzionale (per esempio, come