crescono così rapide nel sole

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crescono così rapide nel sole
Tempus
San Petronio, 27 settembre
Da Mimnermo
Siamo come le foglie nate alla stagione florida
– crescono così rapide nel sole –
godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,
dagli dei non sapendo il bene, il male.
Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:
l’una ha un destino di vecchiezza atroce,
l’altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,
quanto dilaga sulla terra il sole.
Ma come varca la stagione il suo confine, allora
essere morti è meglio che la vita:
il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte
si strugge e viene la miseria amara;
uno è privo di figli: li desidera, e scende
nell’aldilà con quell’accoramento;
un altro ha un morbo che lo strema. Non c’è uomo
che da Zeus non riceva guai su guai.
Seneca, Lettere a Lucilio, 1.
Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo
che fino ad oggi ti veniva portato via, o carpito, o andava perduto, raccoglilo e
fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci
vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa
più vergognosa è perdere tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra
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esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non fare
niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. Puoi indicarmi
qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, qualcuno che
capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a
noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la
vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni
minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un
rinvio e l’altro la vita se ne va. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è
nostro. La natura ci ha resi padroni di questo solo bene, fuggevole e labile:
chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono
beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che
vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il
tempo che ha ricevuto, quando è proprio l’unica cosa che neppure una persona
riconoscente può restituire. Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do
questi consigli. Te lo dirò francamente: tengo il conto delle mie spese da persona
prodiga, ma attenta. Non posso dire che non perdo niente, ma posso dire che
cosa perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia
povertà. […] E allora? Una persona alla quale basta quel poco che le rimane, non
la stimo povera; ma è meglio che tu conservi tutti i tuoi averi e che cominci a
tempo utile. Perché, come dice un vecchio adagio: «è troppo tardi essere sobri
quando ormai si è al fondo». Al fondo non resta solo il meno, ma il peggio.
Stammi bene.
Angelo Poliziano, Io mi trovai fanciulle
I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.
Erano intorno vïolette e gigli
fra l’erba verde, e vaghi fior novelli,
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azzurri, gialli, candidi e vermigli:
ond’io porsi la mano a côr di quelli
per adornare e mie biondi capelli,
e cinger di grillanda el vago crino.
Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose, e non pur d’un colore;
io colsi allor per empier tutto el grembo,
perch’era sì soave el loro odore
che tutto mi senti’ destar el core
di dolce voglia e d’un piacer divino.
I’ posi mente quelle rose allora:
mai non vi potrei dir quanto eron belle!
Quale scoppiava dalla boccia ancora
quale eron un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: “Va’ co’ di quelle
che più vedi fiorire in sullo spino”.
Quando la rosa ogni sua foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che suo bellezza sia fuggita.
Sì che, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.
Paul Verlaine, da Saggezza, 6
Per tutto il giorno hanno brillato i falsi
giorni meravigliosi, anima mia.
Ed eccoli brillare ai fuochi estremi
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del giorno. Chiudi gli occhi, anima mia,
e ritìrati in te. È una tentazione
fra le più gravi. Fuggila, l’infame!
Hanno brillato tutto il giorno i giorni
in una grandine di fuoco: riarso
ogni vendemmia sopra le colline,
steso ogni messe della valle, ucciso
il cielo azzurro che ti chiama ai canti.
Anima, impallidisci e fuggi via
a mani giunte. E se ora questo ieri
divorasse il tuo splendido domani?
Se ritornasse la tua furia antica?
Dovrò uccidervi ancora, o miei ricordi?
È questo il vostro estremo, estremo assalto.
O anima, prega contro la tempesta!
Dylan Thomas, La forza che attraverso il verde stelo…
La forza che attraverso il verde stelo muove il fiore
muove i miei anni verdi; ma la forza che ora strazia
le radici degli alberi, è la mia
distruttrice.
E non ho voce per narrare a questa
rosa ritorta che la stessa febbre
dell’inverno piega anche la mia vita.
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La forza che sospinge tra le rocce la corrente
sospinge anche il mio sangue; ma la forza che ora secca
le grida dei ruscelli, muta in cera
le mie grida.
E non ho voce per urlare in queste
vene che alle sorgenti di montagna
beve la stessa bocca e le prosciuga.
La forza che a fior d’acqua agita gorghi nello stagno
sommuove la fanghiglia; ma la forza che ora il vento
chiude in un cappio, apre la vela del
mio sudario.
E non ho voce per narrare a questa
carcassa d’impiccato che la mia
stessa creta ha fornito calce al boia.
Ma le labbra del tempo ora aderiscono al capo
della fonte; l’amore stilla e addensa, ma il suo sangue
versato saprà sciogliere ogni pena
della donna.
E non ho voce per narrare al soffio
del vento come il tempo abbia scandito
un paradiso tutt’intorno agli astri.
E non ho voce per narrare sulla
lapide dell’amante che nel mio
letto striscia lo stesso orrendo verme.
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