Manlio Santanelli

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Manlio Santanelli
Dall'introduzione a MANLIO SANTANELLI, Teatro, introduzione e cura di Teresa Megale, Roma,
Bulzoni, 2005, pp. 9-19. Il canto delle Sirene, Corbera, non esiste: la musica cui non si sfugge è
quella sola della loro voce (G. Tomasi di Lampedusa, Lighea, 1961)
La produzione drammaturgica di Manlio Santanelli (Napoli, 1938) annovera fin qui oltre cinquanta
titoli, tra monologhi e opere sceniche originali in uno o più atti, poche e mirate traduzioni (da
Molière, da Gogol) [1], adattamenti e riduzioni tratti da romanzi e racconti di Dostoevskij, Jan
Neruda, Imbriani, Capuana, Bulgakov [2] e, in un caso, dalle novelle di Boccaccio [3]. Un catalogo
ricco, per qualità e quantità, messo su in venticinque anni di scrittura fitta, essendo Santanelli un
autore puro, che, eccezion fatta per due, fortuiti episodi [4], non ha mai ceduto a lusinghe registiche
o ad altro, più appariscente, mestiere teatrale e che parallelamente pratica la scrittura teatrale e quella
narrativa, intrecciandone, a piacimento, i fili. Per comprendere appieno quale incidenza eserciti un
autore come Santanelli nell'ambito del teatro europeo contemporaneo e quale sia stato il peso
specifico della sua drammaturgia nel corso dell'ultimo quarto del Novecento, si potrebbe scorrere il
nutrito elenco degli interpreti italiani e stranieri [5] e passare da questo a quello dei registi; si
potrebbe sfogliare la significativa teoria di critici e studiosi che in varia misura e in diverse occasioni
si sono fin qui occupati della sua opera; si potrebbe apprezzare il numero di allestimenti – quando
non dei debutti teatrali prodotti all'estero; si potrebbe, infine, esaminare la sorprendente rassegna di
richiami alla drammaturgia europea associata al suo teatro. Nel caso di Santanelli le verifiche
sarebbero tutte felicemente soddisfatte, a partire dall'ultima. Per la densità della scrittura, egli ha
scatenato fertili rimandi, una vera e propria gara fra i recensori, soprattutto delle prime commedie,
per stabilire e precisare suggestioni e analogie, nel tentativo di codificare una drammaturgia fondata
sul possesso sicuro della tecnica e su contenuti drammatici ironici e forti, su contrasti chiaroscurali
netti, su cui sovente si stende il velo impietoso del paradosso. Il catalogo degli auctores chiamati a
definire l'importanza del teatro santanelliano spazia – non senza ragione – da Cechov a Sartre, da
Schnitzler a Mrozeck, da Beckett a Ionesco, da Pinter a Genet, tutti in qualche modo, sebbene in
diversa misura, implicati almeno come autori di formazione del commediografo nella scelta della
propria via drammaturgica [6]. Una drammaturgia originale, piena di assonanze rispetto al teatro
dell'assurdo e di libertà tematiche e compositive, nata anche cronologicamente nel solco delle
poetiche teatrali del secondo Novecento europeo, popolata prevalentemente da personaggi dominati
da nevrosi, prigionieri di rapporti imposti, incapaci di scegliere e, in ultima analisi, di essere liberi,
e nutrita da un naturale talento teatrale che con facilità e felicità innova, trasforma e trasfigura
situazioni quotidiane e personaggi prevedibili, denudando le ipocrisie piccole e grandi di cui si veste
la realtà minuta, illuminandone così i risvolti tragicomici o grotteschi. Il pensiero psicoanalitico, la
grande letteratura dell'Otto e del Novecento (dal romanzo russo alla più recente produzione narrativa
latino-americana), così come la tradizione del melodramma italiano e del teatro comico napoletano
entrano con leggerezza – una leggerezza che ci pare tributaria delle Lezioni americane di Calvino nella drammaturgia santanelliana, filtrati da una scrittura talvolta visionaria, talaltra surreale, attenta
alla freschezza compositiva, stilistica e linguistica e al raggiungimento di esiti di una deviante
comicità, scevra da tentazioni minimaliste. Il respiro universale del teatro di Santanelli è legato
all'indagine affilata sul paradosso, alla registrazione maniacale di modalità paradossali nell'agire
comune, in forme inconsapevoli e inconsce. Nelle sue mani, provviste di un altissimo artigianato
dei meccanismi teatrali, la drammaturgia diventa slittamento di senso, spiazzamento o ribaltamento
ironico-surreale rivelatore spietato delle debolezze e delle atrocità ammantate di normalità. Come
ha insegnato la lezione di Beckett o di Pinter, la rete delle relazioni umane più comuni (le familiari
o le amicali) è una trappola per conflitti paradossali ed è per questo un enorme serbatoio di materia
drammaturgica, ingigantito se ristretto alle dinamiche interne di una coppia qualsiasi, appartenente
all'arcipelago delle parentele o formatasi al di fuori di questo. Se la realtà traveste gli aspetti
paradossali in agguato nell'esperienza individuale, al teatro appartiene la dimensione reale di ciò
che appare, ossia l' "anatomia delle incongruenze", secondo l'efficace espressione di Thomas
Bernhard. La scena santanelliana come specchio delle verità deformate consentirebbe la
razionalizzazione dell'esistente proprio attraverso l'analisi ironica e sutreale delle sue aberrazioni,
essendo "lo spazio paradossale – come sostiene Eugenio Barba – l'unica patria del teatro" [7]. Nel
gioco drammaturgico, il teatro è reale, mentre, all'opposto, la realtà è teatrale. L'uso ricorrente di
azioni o situazioni metateatrali (il racconto del teatro da parte dell'ex suggeritore inUscita
d'emergenza; il travestimento del figlio e il trucco della madre in Regina madre; la scena del
baciamano nella commedia omonima, per citare pochi esempi) è una ulteriore conferma del
rovesciamento operato dallo sguardo acuto del drammaturgo. Abitano vite precarie i personaggi
santanelliani, lottano contro l'imprevedibile necessità del caso e risultano per questo teatralmente
sorprendenti. Sono proiezioni simboliche di esistenze fragili, ognuna inconsapevolmente legata al
proprio disagio ed eroicamente impegnata nella difesa della propria indeterminatezza. Cirillo come
Pacebbene, Regina come Alfredo, per limitarsi ai primi, potenti personaggi rappresentati nei teatri
europei con largo consenso generale, sono - loro malgrado - prigionieri dei propri sogni,
scenicamente bloccati sulla soglia di un irraggiungibile dover essere. Il teatro di Santanelli ha
carattere unitario, fondato com'è generalmente sul dialogo muto, sulla comunicazione impossibile
che, con il suo riverbero ora ironico, ora iperbolico, illumina esistenze sbilenche e improbabili. La
drammaturgia del paradosso, mai ripetuta come formula asettica, si è a lungo concentrata su coppie
di personaggi immersi in una astratta contemporaneità (fatta salva l'ambientazione postbellica
di Bellavita Carolina), ma appare sempre più orientata a verificare i suoi effetti su di un più precisato
piano storico. Dalla pièce 1799 in avanti, egli sembra prediligere prospettive e contesti storici ben
individuati, cercando di comprendere in che modo la categoria dell'assurdo, stemperata nel
visionario e nel surreale, agisca nella storia e quali infinite forme possa assumervi, nella
convinzione, secondo quanto affermava Aldous Huxley, che conflitti e frustrazioni siano il tema di
tutta la storia e di quasi ogni biografia. L'allargamento del campo di indagine sembra profilarsi in
coincidenza con il ritorno di Santanelli nella sua città di origine, caleidoscopico luogo di tutti i
contrari e di paradossi estremi, che con la loro naturale forza di attrazione si sono gradualmente
imposti all'attenzione della sua già strutturata drammaturgia. Appartenente per un certo periodo alla
fitta colonia romana di intellettuali napoletani, che annovera – tra gli altri – Giuseppe Patroni Griffi,
egli ha scelto nuovamente Napoli, subendone criticamente tanto il fascino quanto il degrado e
accettando inconsapevolmente di 'fare i conti' con la sua realtà effervescente e labile nello stesso
tempo. Vi sono nel teatro di Santanelli impianti simmetrici e speculari, affidati a una scrittura
sorvegliata e ancorata al sistema classico della divisione in atti (tempi) e scene (quadri). Una
scrittura implacabile che mette a nudo, come un bisturi impietoso, i personaggi, cesellandone
finemente i caratteri, i tic, gli squilibri latenti, volutamente circoscritta al perimetro del disturbo. La
comicità ironica, ora pungente, ora sottile, nutre i personaggi santanelliani, dai nomi mai casuali e
sempre drammaturgicamente pertinenti, che spostano e muovono le immagini che sostanziano il
dialogo e che – a loro volta – si appuntano sui significati delle espressioni comuni. Particolare
funzione connotativa è riservata al nome dei personaggi che l'Autore distilla con estrema accortezza,
scegliendo per ciascuno quello che più di tutti è in grado di suggerirne o preconizzarne il carattere
scenico. Santanelli si rivela un raffinato interprete delle movenze psicologiche e di quel pensiero
che Edward de Bono ha definito 'laterale', mediante il quale si ridisegna la realtà su base creativa e
non più secondo comprovate logiche razionali o processi aprioristicamente prescritti. È inoltre un
abile manipolatore della lingua teatrale e dei suoi più affilati strumenti, utilizzati in ogni scena o
dialogo con la scioltezza e la naturalezza che si convengono a chi giunge a scrivere per il teatro a
quarant'anni, dopo averne assimilato i meccanismi più segreti. Nella costruzione dei suoi testi,
Santanelli riversa oltre alle vaste letture le competenze acquisite in diciotto anni di lavoro svolto
come assistente di studio presso la sede RAI di Napoli per le produzioni di prosa. Una nota
biografica non trascurabile, che si salda con la sua opera di commediografo e di autore teatrale e
che spiega – almeno in parte – l’imporsi di uno stile drammaturgico prodigiosamente maturo, sin
dal suo primo testo rappresentato, Uscita di emergenza, da annoverare tra i più importanti del teatro
europeo del secondo Novecento. L'assidua frequentazione di numerosi registi, tra i quali Sandro
Bolchi, Luciano Salce, Giacomo Vaccari, e, in particolare, il sodalizio con il milanese Flaminio
Bollini, hanno consentito a Santanelli di acquisire una estrema libertà nel trattamento di
sceneggiature e di materiali drammaturgici, da lui quotidianamente manipolati, reinventati e
revisionati per la radio o per la televisione [8]. La poetica teatrale di Santanelli, fondata sulla ricerca
dei comportamenti devianti e sui meccanismi comicamente surreali che ne derivano niente essendo
più comico dell'infelicità, come sostiene Nell in Finale di partita –, ha fin da subito rappresentato il
superamento della tradizione eduardiana tanto in ambito nazionale, quanto in quello napoletano. La
felice stagione drammaturgica degli anni Ottanta, nata all'ombra del Vesuvio e definita del "dopo
Eduardo" [9], ha avuto in Santanelli il primo esponente, sia per consapevoli scelte drammatiche che
per ragioni anagrafiche, seguito dalle creazioni di Annibale Ruccello e di Enzo Moscato. Al di là
degli schematismi cronologico-contenutistici, utili per la comprensione immediata di un fenomeno,
ma resi superflui dalla sua sedimentazione e assimilazione, il lascito drammaturgico eduardiano,
pesante e inibitorio persino per un ambiente teatrale come quello napoletano, attraversato da
continui e sotterranei fermenti – negli anni Settanta animato dal teatro di ricerca, dalle invenzioni di
Roberto De. Simone e da un teatro ufficiale alle prese con declinazioni pedisseque della tradizione
– , è stato affrontato da Santanelli con l'invenzione di una drammaturgia singolare, legata al
paradossale, fecondata dal filone teatrale dell'assurdo e depositaria, per via naturale e spontanea,
della performatività teatrale partenopea. Nelle sue trame, l'iperbolico o il paradossale sono imbevuti
di una napoletanità che, mentre riverbera ancora di più il dato irregolare, ne sottolinea l'universalità.
Sul piano nazionale, il suo teatro, tanto quello in lingua quanto quello in napoletano, ha avuto il
merito di riaffermare le possibilità della drammaturgia, atrofizzata nelle sperimentazionidel teatro
della neoavanguardia e scomparsa quasi del tutto, invertendo in tal modo la tendenza peculiare degli
anni Settanta, e ancora perdurante agli inizi degli anni Ottanta, che prediligeva il gesto, l'immagine,
il segno sulla parola. Dopo il dominio pressoché assoluto del visivo sui palcoscenici italiani, il teatro
di Santanelli ha riportato l'attenzione sulla centralità del testo e sulle potenzialità innovative ad esso
associabili, dimostrando la centralità della drammaturgia con opere di assoluta eccellenza. I suoi
testi hanno varcato con frequenza i confini nazionali, facendo di Santanelli uno tra i più conosciuti
e rappresentati autori italiani contemporanei soprattutto in Francia e in Germania e un esempio
piuttosto unico di autore italiano quasi conteso, prodotto all'estero con frequenza, a cui ultimamente
oltralpe si riservano debutti assoluti. È il caso di Un eccesso di zelo, messo in scena per la prima
volta a Parigi al Théàtre Clavel nel 1995 e di Facchini dato a Kiel nello Schauspielhaus con il titolo
di Gepacktrager all'inizio del 2003 e tradotto un anno prima in francese (La polonaise) [10]. Una
fortuna produttiva europea dovuta all'esportabilità intrinseca dei contenuti drammaturgici proposti
dalle trame santanelliane e, in alcuni casi, ripetutamente tradotti (si pensi al successo clamoroso
di Regina madre, di cui esistono versioni in francese, in tedesco, in olandese, in fiammingo, in
croato, in rumeno, in polacco, in russo, in lituano, in lettone) che ricalca quella riservata in Italia al
suo teatro, sviluppatosi anche grazie al rapporto privilegiato con la "Contemporanea '83", che ha
contribuito con cinque produzioni [11] all'affermazione del drammaturgo, con la "Cooperativa 'Gli
Ipocriti'", che ha avuto il merito di proporre all'attenzione del pubblico i suoi testi d'esordio, e con
il Centro Internazionale di Drammaturgia di Fiesole. Santanelli scrive sia su ispirazione che su
commissione, prediligendo la prima delle condizioni. "Quando mi è consentito – afferma –, provo
l'ineffabile piacere della parola che si gestisce da sé correndo su binari tanto esili e impercettibili
che spesso convogli di argomenti, in rotta di collisione, si scontrano dando luogo (o meglio vita) a
disastri logici, in conseguenza dei quali dai rottami non si estraggono vittime concettuali, bensì
nuove e insospettate idee pronte a dar vita a rinnovate conversazioni. Scrivere su un tema
predeterminato, invece, suggerisce il dramma del pittore a confronto con le insuperabili esigenze
della forma" [12]. Proprio all'inizio, quando più dura è la fatica dello scrivere, egli ha potuto
liberamente creare per "Contemporanea '83", divenuta la principale realizzatrice del suo teatro,
superando lo scoglio enorme contro il quale si infrange, se non si inabissa, la drammaturgia italiana
contemporanea, ossia la pressoché assoluta mancanza di produzione e di distribuzione. Tra la
"Contemporanea '83", allora diretta da Mauro Carbonoli e da Sergio Fantoni, e il drammaturgo
Manlio Santanelli si è sperimentata una formula produttiva intelligente, basata sul rispetto della
libertà artistica dell'autore e sulla totale fiducia verso la qualità dell'esito finale. Un modo
assolutamente unico ed esemplare di essere poeta di e per le 'compagnie' che di volta in volta hanno
rappresentato il suo teatro e, per converso, di concepire la produzione teatrale. Nei primissimi anni
Ottanta, a favorire la messa in scena delle prime opere santanelliane è intervenuto anche il Centro
Internazionale di Drammaturgia di Fiesole [13], diretto da Siro Ferrone, che ha sostenuto i debutti
di L'isola di Sancho (1983) e di Disturbi di memoria (1988), pubblicando il testo del primo
spettacolo e di Regina madre, opera in assoluto tra le più interessanti tra quelle scritte nel secondo
Novecento. Il percorso che qui si propone riguarda una scelta limitata alle opere messe in scena, al
teatro edito a teatro, tralasciando per ovvi motivi di spazio lavori pur importanti non ancora arrivati
alla prova del palcoscenico. Reperibili i capolavori Uscita di emergenza (1980) [14] e Regina
madre (1985) soltanto in pressoché introvabili edizioni per teatrofili e bibliofili, come pure accade
per Disturbi di memoria (1988) e L'aberrazione delle stelle fisse (1990) [15], si pubblicano qui
nuovamente, insieme con gli editorialmente inediti Il baciamano(1994) e Andate all'inferno (1998).
CIRILLO – Stammi a sentire: intanto, se è tutta una questione di "risentimenti celesti", te ne puoi
andare solo tu, così il pericolo rimane in capa a me. Due: è meglio che te ne vai solo tu... lo mi sono
stancato di campare alla giornata... Senza contare che anche da un'altra parte... chi ti garantisce?.. a
meno che non cambi paese... Eppure... A me pare tutto così precario... così appeso a un filo... che
tanto vale non fare fatica... Provvisorio per provvisorio io resto qua, dove almeno so quello che mi
aspetta... e sparagno anche le spese del trasloco... PACEBBENE – (dopo lunga riflessione) Quando
è così, resto pure io. Da solo dove vado? So' tipo di andare da solo io? Ma almeno... sa' che volimmo
fa'?.. Spostiamo i letti... Non dormimmo proprio sotto 'o ffràceto! Ci saranno in questa stanza dei
punti un poco piùsicuri!. .. Uno si trasferisce là, e ha risolto il problema!. . . (Uscita di emergenza)
Note [1] Cfr. nell'ordine: Le furberie di Scapino, rappresentato nel 2001 con la regia di
Sergio Fantoni e Paolo Bonacelli come interprete principale; L'ispettore generale, tradotto
da una versione francese di Arthur Adamov, messo in scena da Roberto Guicciardini nel
1989. [2] Il riferimento è al recente Il sogno dello zio di Fedor Dostoevskij;Camera con
racconti affittasi dai Racconti di Mala Strana del ceco Jan Neruda; Le sofferenze d'amore
della Radegonda e del Capitano della Morte, tratto dal romanzo Dio ne scampi dagli
Orsenigo di Vittorio Imbriani; Il marchese di Roccaverdina derivato dal romanzo omonimo
di Luigi Capuana; L'isola purpurea di Michail Bulgakov, allestita a Spoleto nell'ambito del
Festival dei due Mondi nel 1997 dal regista Marco Lucchesi. [3] Si veda Chichibio (1998),
libero adattamento dalla novellaChichibio e la gru di Giovanni Boccaccio. [4] Santanelli è
stato regista nel 1986 dell'Elogio della paura, andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli,
e per necessità nel 1987 diBellavita Carolina, a seguito dell'improvvisa scomparsa di
Annibale Ruccello che avrebbe dovuto mettere in scena la pièce. [5] Prevalgono gli
interpreti di area tedesca (soprattutto di Regina madre, un vero e proprio caso di fortuna
europea di un testo contemporaneo) e di area francese. [6] Nelle sue dichiarazioni ufficiali,
il drammaturgo descrive la propria biblioteca corne popolata da "autori europei corne
Ionesco e Mrozeck, Beckett e Pinter" i quali "hanno modificato il mio mondo interiore
dilatando, se non proprio le mie capacità espressive [...], quanto meno il mio desiderio di
non restare legato mani e piedi alla tradizione entro la quale sono inserito per anagrafe ed
estrazione, e della quale Eduardo è pur sempre uno dei più autorevoli rappresentanti",
M. SANTANELLI, L'ineffabile piacere di amarlo e tradirlo, nonostante tutto, in "Il Mattino",
26 maggio 2000, inserto speciale su Eduardo De Filippo. [7] E. Barba, La casa delle origini
e del ritorno, in "Culture teatrali", numero monografico Storia e storiografia del teatro, oggi.
Per Fabrizio Cruciani, nn. 7/8, autunno 2002 - primavera 2003, p. 11. [8] È stato autore
del radiodramma Conversazione con il padre, oltre ad aver firmato – tra le altre – la
sceneggiatura di un Dracula in trenta puntate. Negli anni '80-'90 ha scritto i seguenti
radiodrammi, tutti mandati in onda: Due cuori e una caverna (15 maggio 1981);Vecchi
argomenti (26 ottobre 1983); Il diavolo nel clavicembalo (26 luglio 1985); Un'altra
mattina (18 maggio 1988); Villa Musica (12 luglio 1996); Ritorno a Villa Musica (6 aprile
1999).
[9] La definizione, ormai sorpassata, viene discussa come tale da L.
LIBERO, Drammaturgia napoletana, in "Lettera dall'Italia", a. V, n. 19, luglio-settembre
1990, pp. 34-36. Alla stessa autrice si deve il primo studio accurato sul fenomeno della
cosiddetta "nuova drammaturgia napoletana" racchiuso nell'antologia Dopo Eduardo.
Nuova drammaturgia a Napoli, Napoli, Guida Editori, 1988, pp. 7-30. [10] La traduzione,
realizzata da Emmanuelle Bousquet, è stata pubblicata in Scènes parthénopéennes,
numero monografico della rivista "Scena aperta", n. 3, 2002, pp. 157-218. [11]
Nell'ordine: Regina madre; Le sofferenze d'amore della Radegonda e del capitano della
Morte; Bellavita Carolina;L'aberrazione delle stelle fisse (Vita natural durante); Le furberie
di Scapino. [12] M. SANTANELLI, 'Tradurre' l'ironia, lezione tenuta il 15 aprile 2002
nell'ambito del seminario Scrivere, riscrivere, tradurre il teatro. Il contributo degli autori
contemporanei, Università degli Studi di Salerno, cattedra di Letteratura teatrale (prof. A.
Lezza).
[13] Sull'attività del Centro Internazionale di Drammaturgia cfr. S.
FERRONE, Ecrire sur le théatre: scénaristes ou poètes, in "Etudes théatral", n. 1, 1992,
pp. 72-78. [14] Le datazioni si riferiscono all'anno del debutto, non alla composizione e
stesura dei testi, né alla loro prima pubblicazione. [15] La storia editoriale dei testi citati è
così riassumibile: Uscita di emergenza è stato pubblicato dalla rivista "Ridotto", n. 11, 1980,
pp. 8-36; dalla Casa Usher (Firenze 1983), e, più recentemepte, da Alfredo Guida Editore
(Napoli 1999) con la presentazione di Nello Mascia nella collana "Teatro" diretta da Giulio
Baffi. Nel 2000 la statunitense Xenos Books ha messo a stampa la versione in angloamericano (Emergency exit, traduzione di A. Molino con J. House, introduzione di J.
House, Riverside 2000); Regina madre è stata edita dal Centro Internazionale di
Drammaturgia di Fiesole nel 1985, contemporaneamente al suo allestimento. Disturbi di
memoria è apparso sulle pagine di "Ridotto", n. 12, gennaio 1990, pp. 11-28,
mentre L'aberrazione delle stelle fisse è stato pubblicato da Ricordi (Milano, 1987) prima
della sua trasposizione teatrale. Queste ultime due commedie sono state edite anche in
Francia (M. SANTANELLI,Issue de secours. L'aberration des étoiles fixes, Paris, Ecritures
théatrales, 1989).