Atti dei congressi SIDiLV 2008 - Società Italiana di Diagnostica di

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Atti dei congressi SIDiLV 2008 - Società Italiana di Diagnostica di
SOCIETÀ ITALIANA
DI DIAGNOSTICA
DI LABORATORIO VETERINARIA
X Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
Alghero
Hotel Calabona
22-24 Ottobre 2008
VOLUME
DEGLI ATTI
SOCIETÀ ITALIANA
DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA
X Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
Alghero
Hotel Calabona
22-24 Ottobre 2008
VOLUME DEGLI ATTI
CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.DI.L.V.
Gianluca Autorino, Presidente
Maria Caramelli, Vice Presidente
Alfredo Caprioli, Segretario
Antonio Fasanella, Tesoriere
Monica Cagiola, Membro
Gabriella Conedera, Membro
Sergio Rosati, Membro
Alessandra Stancanelli, Membro
Guido Leori, Revisore dei conti
Mario Luini, Revisore dei conti
Stefano Reale, Revisore dei conti
COMITATO SCIENTIFICO
DEL X CONGRESSO
Aldo Marongiu, Sassari
Marco Pittau, Sassari
Salvatore Rubino, Sassari
Il Consiglio Direttivo
della S.I.Di.L.V.
SEGRETERIA ECM
Giovanna Mulas, Sassari
Pietro Ruiu, Sassari
Tel. 079-2892270/73
COMITATO ORGANIZZATIVO
DEL X CONGRESSO
Guido Leori, Sassari
Chicca Masala, Sassari
Elisa Piras, Sassari
Giuseppe Schianchi, Sassari
Leonarda Cuccu, Sassari
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
New Team
Via C. Ghiretti, 2 - 43100 Parma
Tel. 0521 293913
Fax 0521 294036
e-mail: [email protected]
Lettera del Presidente
Cari Colleghi,
La volontà espressa lo scorso anno a Roma dall’Istituto Zooprofilattico della Sardegna di ospitare il X° Congresso S.I.Di.L.V. si è concretizzata attraverso l’impegno corrisposto dal mese di gennaio, finalizzato a garantire la migliore riuscita dell’evento. Ancora una volta, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo annuale grazie
all’iniziativa di un Istituto che, con la sua partecipazione attiva ha, negli anni, contribuito anche alla crescita
della nostra Società scientifica. Tutti coloro che, a diverso titolo nel corso della propria vita professionale, si
sono cimentati nella realizzazione di un evento scientifico come questo sono consapevoli dell’impegno necessario. Questo il motivo per il quale, a nome del Consiglio Direttivo, mi ritengo onorato di esprimere il più
sincero riconoscimento ed apprezzamento al Comitato Organizzativo ed allo staff che con lo stesso ha collaborato.
La crescita d’interesse nei confronti della S.I.Di.L.V. è testimoniata dall’aumento dei contributi scientifici
presentati (152, a fronte dei 125 del 2007), che costituisce un indicatore dello sviluppo tecnico scientifico
della società ed è al tempo stesso sia volano, sia espressione dell’attività di ricerca corrente e di base che caratterizza le nostre Istituzioni.
La nostra presenza, organizzazione e radicamento al territorio è l’elemento di forza che rende possibile il rapido adeguamento e la capacità di rendere servizi efficienti rispetto alle situazioni contingenti ed alle numerose
emergenze sanitarie. Tuttavia, sebbene le nostre istituzioni costituiscano uno strumento insostituibile per la
Sanità Pubblica e Veterinaria e la Sicurezza Alimentare, il complesso dei servizi resi non è sempre riconosciuto in maniera adeguata. Non è certo il caso della Regione Autonoma della Sardegna che, contribuendo in
maniera sostanziale alla realizzazione di questo Congresso, ha confermato la propria attenzione sia nei confronti del proprio Istituto Zooprofilattico e della Facoltà di Medicina Veterinaria, sia delle tematiche che
saranno oggetto di confronto nel corso dei lavori.
L’organizzazione di questi eventi scientifici crea occasioni di confronto e crescita per la ricerca veterinaria e
per l’attività corrente, che già oggi è orientata ad operare in tali ambiti. A questo proposito, riteniamo siano
cogenti gli argomenti e le tematiche delle letture plenarie e delle sessioni scientifiche associate, individuati
dal Consiglio Direttivo e dal Comitato Scientifico del Congresso. Le recenti epidemie di malattie trasmesse
da vettori, anche a carattere zoonosico, verificatesi in Italia e in altri Paesi europei, richiedono una sempre
maggiore preparazione: dal controllo dei casi sporadici “importati” del passato si è ormai passati ad un complesso di attività di sorveglianza e di gestione delle emergenze epidemiche causate da patogeni un tempo
considerati esotici.
Oltre che in termini di cambiamenti climatici, l’impatto ambientale si misura oggi attraverso il continuo
verificarsi di problematiche ed emergenze connesse ad inquinamento e contaminazioni. Pertanto, ai fini della
sicurezza alimentare, non si può più prescindere da valutazioni integrate che tengano conto sia dalla vocazione alla zootecnia dei distretti territoriali in funzione della presenza e concentrazione di sostanze residuali, sia
da un approccio più orientato alla prevenzione (microbiologia predittiva) piuttosto che al controllo del prodotto finito, così come univocamente definito dai più recenti regolamenti comunitari.
Non ultimo, la selezione genetica di animali resistenti alle malattie costituisce oggi una delle sfide allo steso
tempo più difficili ma anche avvincenti non solo per chi è coinvolto nella ricerca ma anche nell’interesse dei
produttori zootecnici.
Un sentito riconoscimento va rinnovato al Comitato Scientifico del X° Congresso per la disponibilità offerta
a valutare, fra i numerosi contributi, quelli oggetto di presentazione orale. Nel merito, ricordiamo che per la
selezione si è tenuto conto dell’attinenza agli argomenti delle sessioni tematiche, del valore scientifico ed
innovativo e anche della opportunità di avere rappresentati i soggetti istituzionali (Istituti, Università, ISS,
strutture territoriali del SSN) che partecipano attivamente alla nostra Società.
Un grazie anche agli esperti che hanno accettato di presentare le letture plenarie, agli sponsor del settore che
hanno aderito numerosi, e a tutti voi che, presenti a diverso titolo al Congresso e al Corso per tecnici di laboratorio avete contribuito alla riuscita di questa manifestazione.
Il Presidente S.I.Di.L.V.
Gian Luca Autorino
V
Il Comitato Organizzatore del X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo fornito
alla realizzazione dell’evento
Regione Autonoma della Sardegna
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna
Biotest Italia
Celbio
Foss Italia
GeneSystems
ID Vet
Idexx
Institut Pourquier
Promevet
Qiagen
VII
Indice
LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI
LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
De Castro P.,
“
3
INTERAZIONE VIRUS-VETTORE
Dottori M.,
“
5
CHIKUNGUNYA: PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI E LORO UTILIZZO NELLA
DIAGNOSI SIEROLOGICA
Lelli D., Moreno A., Lavazza A., Sozzi E., Luppi A., Canelli E., Tamba M., Capucci L., Brocchi E.,
Cordioli P.,
“
7
RICERCA DEL VIRUS WEST NILE MEDIANTE REAL TIME RT- PCR PER IL GENE CODIFICANTE LA
PROTEINA NON STRUTTURALE (NS2a)
Cersini A., Ciabatti I.M., Damiani A., Manna G., Letizia E., Denisi A., Scicluna M.T.,
Autorino G.L.,
“
9
CLONAGGIO, ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA VP7 DI BLUETONGUE VIRUS
Coradduzza E., Addis M.F., Alberti A., Chessa B., Pagnozzi D., Pittau M.,
“
11
IDENTIFICAZIONE DEI CEPPI DI LEISHMANIA MEDIANTE ANALISI DEI MICROSATELLITI
Reale S., Lupo T., Manna L., Gravino A.E., Rea S., Migliazzo A., Piazza M., Cipri’ V., Vitale F.,
“
13
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBATTERI TUBERCOLARI ISOLATI IN SARDEGNA
DA VARIE SPECIE ANIMALI, DI ALLEVAMENTO E SELVATICHE
Lollai S.A., Manunta D., Bandino E., Canu G., Carboni G.A., D’Ascenzo V., Ponti N., Rolesu S.,
Ziccheddu M., Pacciarini M.L., Patta C.,
“
15
MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI AGENTI INFETTIVI CHE CAUSANO
ABORTO NELLA SPECIE BOVINA
Tramuta C., Lacerenza D., Zoppi S., Goria M., Dondo A., Rosati S., Nebbia P.,
“
17
PRESENTAZIONE DI CASI CLINICI DI INTERESSE VETERINARIO CON L’UTILIZZO DI UN
PORTALE SCIENTIFICO WEB (PSW)
Dondo A., Zoppi S., Bergagna S., Grattarola C., Rossi F., Aliberti E., Iacobelli G., Failla R.,
“
19
LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE SRUMENTO PER L’ANALISI DEL
RISCHIO
Koutsoumanis K.,
“
21
LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO:
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF
LIFE DEGLI ALIMENTI RTE
Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Monastero P., Boni P.,
“
22
ANALISI DEL PIANO REGIONALE CAMPIONAMENTO ALIMENTI NELL’OTTICA DELLA
VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA DEL RISCHIO ALIMENTARE
Barrucci F., Mancin M., Cibin V., Capello K., Barco L., Ricci A.,
“
24
INDAGINE PRELIMINARE E CARATTERIZZAZIONE DI LISTERIA SPP IN DIFFERENTI MATRICI
ALIMENTARI
Cogoni M.P., Brignardello S., Sabiu R., Cosentino S., Pisano M.B., Decastelli L., Mantoan P.,
Brunetti R., Parisi A., Normanno G.,
“
26
STUDIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP., IN CASEIFICI LUCANI MEDIANTE IL
MONITORAGGIO DEI POZZETTI DI DRENAGGIO DELLE ACQUE - DATI PRELIMINARI
Parisi A., Latorre L., Fraccalvieri R., Sarli G., Contò L., Normanno G., Santagada G.,
“
28
IX
INDAGINE SULLA PRESENZA DI NEMATODI ANISAKIDAE IN SPECIE ITTICHE MARINE
Costa A., Sciortino S., Reale S., Alio V., Cusimano M., Caracappa S.,
“
30
COMPARATIVE GENOMIC HYBRIDISATION (CGH) MICROARRAY DI DUE CLONI
MULTIRESISTENTI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM
Lucarelli C., Anjum M., Saunders M., Dionisi A.M., Owczarek S., Villa L., Caprioli A., Luzzi I.,
“
32
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN METODO AUTOMATIZZATO PER LA
NUMERAZIONE DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI
Bianchi D.M., Gallina S., Giovannini T., Mantoan P., Dérépas F., Giardino R., Decastelli L.,
“
34
STIMA DELL’INCERTEZZA DI MISURA DEI METODI DI MICROBIOLOGIA ALIMENTARE
DELL’IZSVE SECONDO LE NORME ISO 7218:2007 E ISO 19036:2006
Mancin M., Grimaldi M., Trevisan R., Mioni R.,
“
36
MELAMINA: UN ANNO DI CONTROLLI UFFICIALI
Ferro G., L., Mauro C., Amato G., Poma Genin E., Loria A., Marchis D., Abete M.C.,
“
38
DETERMINAZIONE DI ALLERGENI IN ALIMENTI A BASE DI CARNE: ATTIVITA’ DI
MONITORAGGIO NELLA REGIONE PIEMONTE
Fragassi S., Lai J., Fabbri M., Adriano D., Gallina S., Bianchi DM., Barbaro A., Decastelli L.,
“
40
IDENTIFICAZIONE CON TECNICA ESR DI CARNI IRRADIATE (EQUINO, SUINO, OVINO,
CAPRINO, CONIGLIO, TACCHINO) CONTENENTI OSSA
Mangiacotti M., Chiaravalle A.E., Marchesani G.,
“
42
RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE NEGLI ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO
MEDIANTE PCR., CONFRONTO TRA DIFFERENTI METODI DI ESTRAZIONE DEL DNA
Vodret B., Schiavo M.R., Serratrice G., Sparacino L., Altissimi M.S., Haouet M.N.,
“
44
APPLICAZIONE DEL TEXTURE PROFILE ANALYSIS (TPA) TEST NELLA DEFINIZIONE DELLE
PROPRIETÀ REOLOGICHE DEL PROSCIUTTO DI PECORA SARDA
Busia G., Colleo M.M., Melillo R., Piras F., Meloni D., Mazzette R.,
“
46
RESISTENZA GENETICA ALLE MALATTIE NELLE SPECIE DI INTERESSE ZOOTECNICO
Williams J.L.,
“
48
STUDIO DEI DIFFERENTI ALLELI DEL GENE NRAMP1 IN BUFALE BATTERIOLOGICAMENTE
POSITIVE A BRUCELLA SPP.
Alfano F., Corrado F., Galiero G., Iovane G.,
“
50
GLI ALLELI AT137RQ E ARQK176 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA PROTEGGONO
LE PECORE DALLA SCRAPIE
Vaccari G., Scavia G., Sala M., Cosseddu G., Chiappini B., Conte M., Esposito E., Ciaravino G.,
Lorenzetti R., Perfetti G., Marconi P., Scholl F., Barbaro K., Babsa S., Parisi C., Nonno R.,
Bella A., Agrimi U.
“
52
CODONI DEL GENE CHE CODIFICA PER LA PROTEINA PRIONICA (PRNP) COME MARKER
GENETICI PER RUMINANTI SARDI DOMESTICI E SELVATICI
Maestrale C., Attene S., Galistu A., Crudeli S., Cabras P., Firinu A., Marongiu E., Ligios C.,
“
54
VALUTAZIONE DI MARCATORI GENETICI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE E VALIDAZIONE
DEL PROTOCOLLO OPERATIVO STANDARD
Riina M.V., Colussi S., Peletto S., Trisorio S., Mignone W., Dellepiane M., Robetto S., Domenis L.,
Orusa R., Caramelli M., Acutis P.L.,
“
56
GENOTIPIZZAZIONE INDIVIDUALE NELL’AMBITO DEL PIANO STRAORDINARIO PER LE
EMERGENZE SANITARIE
Scasciamacchia S., Garofalo G., Chiocco D., Losito S., Mongelli O., Avetta M., Fasanella A.,
“
58
LEGAME TRA MAGNETISMO E PROTEINA PRIONICA
Balzano F., Basagni M., Marongiu A., Ligios C., Fresu S., Sanna V.,
“
60
X
BACKGROUND FILOGENETICO E PROFILI DI VIRULENZA IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI
SENSIBILI E RESISTENTI ALLA CIPROFLOXACINA ISOLATI DA UOMO E DA SPECIE AVIARE
Graziani C., Luzzi I., Corrò M., Tomei F., Parisi G., Accogli M., Morabito S., Caprioli A.,
Cerquetti M.,
“
62
LE INDAGINI BIOMOLECOLARI APPLICATE ALLO STUDIO DEI FOCOLAI DI TUBERCOLOSI
BOVINA
Mazzone P., Cagiola M., Biagetti M., Crotti S., Ortenzi R., Faccenda L., Ferrante G., Bugatti M.,
Savini G., Boni M., Farinelli M., Boniotti B., Pacciarini M.,
“
64
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI PORCINE ENTEROVIRUS E TESCHOVIRUS ISOLATI IN
ITALIA NEL 2006-2007
Sozzi E., Barbieri I., Lavazza A., Moreno A., Lelli D., Luppi A., Canelli E., Bugnetti M.,
Cordioli P.,
“
66
INDAGINI SIEROLOGICHE E VIROLOGICHE IN UN ALLEVAMENTO CAPRINO UFFICIALMENTE
INDENNE DA LENTIVIRUS OVI-CAPRINI
Reina R., Grego E., Robino P., Profiti M., Quasso A., Masoero L., De Meneghi D., Rosati S.,
“
68
VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULO-MEDIATA A SEGUITO DELLA
VACCINAZIONE CONTRO ABORTO OVINO DA SALMONELLA
Cagiola M., Severi G., Forti K., Filippini G., Papa P., Bugatti M., De Giuseppe A., Mazzone P.,
Fumanti P., Pasquali P.,
“
70
RUOLO DEI FENOTIPI LEUCOCITARI BOVINI NELLA VALUTAZIONE DELL’IMMUNITA’
CELLULARE IN CORSO DI MASTITI DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS
Sottili R., Donvito V.M., Pavone D., Montagna C.O.,
“
72
STUDIO E ALLESTIMENTO DI UN VACCINO A DNA CONTRO Magalactiae
Chessa B., Pittau M., Piras I., Lai A., Puricelli M., Dall’Ara P., Carcangiu L., Cacciotto C.,
Rosati S., Alberti A.,
“
74
DIAGNOSI DI ECHINOCCOSI CISTICA UMANA MEDIANTE ELISA E IMMUNOBLOTTING
Longheu C., Corona L., Mastrandrea S., Cillara G., Masala G., Tola S.,
“
76
EQUINE INFECTIOUS ANEMIA: SHOULD THE AGID TEST STILL BE USED AS A SCREENING
AND AS UNIQUE CONFIRMATORY TEST?
Scicluna M.T., Zini M., Caprioli A., Cordioli P., Vulcano G., Della Verità F., Gregnanini S.,
Palmerini T., Simula M., Stilli D., Autorino G.L.,
“
78
UTILIZZO DELL’ANTIGENE RICOMBINANTE NS3, ESPRESSO TRAMITE BACULOVIRUS, NEI TEST
SIEROLOGICI PER ANTICORPI ANTI-PESTIVIRUS
Pezzoni G., Brocchi E.,
“
80
ESPRESSIONE DELLA PROTEINA CAPSIDICA DI UN CEPPO DI EPATITE E SUINO E SVILUPPO
DI ANTICORPI MONOCLONALI
Di Bartolo I., Ponterio E., Inglese N., Martelli F., Caprioli A., Ostanello F., Ruggeri F.M.,
“
82
POSTERS
CONTAMINANTI INORGANICI E PROTOZOI ZOONOSICI IN VONGOLE (Chamelea gallina) e
VONGOLE FILIPPINE (Ruditapes philippinarum) IN UN COMPRENSORIO DELL’ALTO ADRIATICO
Abete M.C., Prearo M., Caffara M., Tarasco R., Gavinelli S., Florio D., Gustinelli A., Fioravanti M.L., “
87
ISOLAMENTO DI BRUCELLA SUIS IN ALLEVAMENTI SUINI DELLA SARDEGNA
Alongi C., Spazziani A., Zulato B., Deiana A., Frongia M., Orrù G., Liciardi M.,
“
89
IMPORTANZA DEL CONTROLLO MICROBIOLOGICO NEL LATTE CRUDO ALLA SPINA
Amatiste S., Patriarca D., Pietrini P., Battisti S., Palmieri P., Scaramella L., Rosati R.,
“
91
XI
VALUTAZIONE IN VIVO E IN VITRO DELLA FERTILITA’ DEL VERRO IN CONTESTO AZIENDALE
Bacci M.L., Fantinati P., Alborali G.L., Zannoni A., Penazzi P., Bernardini C., Forni M., Ostanello F., “
93
CELLULE STAMINALI DA GRASSO DI EQUINO: LORO APPLICAZIONE NELLA RIGENERAZIONE OSSEA
Barbaro K., Autorino G.L., Bonini P., Gentili C., Cancedda R., Scholl F., Canonici F., Amaddeo D., “
95
UTILIZZO DI STRUMENTI BIOINFORMATICI “WEB-BASED” PER LO STUDIO DI UN NUOVO
PROTOCOLLO MOLECOLARE PER LA RILEVAZIONE DI PCV2
Barocci S., Briscolini S., Silenzi V., Nardi S., Simoni E., Sabbatini M.,
“
97
ESAME BATTERIOLOGICO/PCR SU TAMPONI NASALI BOVINI IN FOCOLAI DI MALATTIA
RESPIRATORIA
Benedetti V., Luini M., Manzoli C., Vezzoli F.,
“
99
QUADRI ANATOMO-PATOLOGICI E ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP., IN ALLEVAMENTI
BOVINI PIEMONTESI
Bergagna S., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Adriano D., Fgrattarola C.,
“
101
PRESENZA DI COXIELLA BURNETII E MYCOBACTERIUM PARATUBERCULOSIS NEL LATTE
CRUDO: MONITORAGGIO MEDIANTE TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE
Bertasi B., Maccabiani G., Tilola M., Daminelli P., Boni P.,
“
103
SVILUPPO DI METODICHE DIAGNOSTICHE INNOVATIVE PER IL RILEVAMENTO DEI
PRINCIPALI AGENTI ABORTIGENI NEI RUMINANTI
Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Magistrali C., Ortenzi R., Checcarelli S., Lauterio C.,
Pittau M., Passotti C., Marini M., Atzori M., De Montis A.,
“
105
CRITERI DI IGIENE DEL PROCESSO (REG., CE 1441/2007): L’AUTOMAZIONE IN LABORATORIO
PER IL CONTEGGIO MICROBICO
Bianchi D.M., Gallina S., Sant S., Liuni F.F., Adriano D., Decastelli L.,
“
107
APPLICAZIONE DELL’ART., 223 DEL D., L., vo 271/89 “NORME DI ATTUAZIONE, DI
COORDINAMENTO E TRANSITORIE DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE” SU CAMPIONI DI
ALIMENTI NEL PERIODO 1999-2007
Bogdanova T., Bugattella S., Flores Rodas E.M., Sampieri C., Pecchi S., Bilei S.,
“
109
ANALISI DELLE SOTTOPOPOLAZIONI LINFOCITARIE IN PECORE INOCULATE CON DIFFERENTI
SIEROTIPI DEL VIRUS DELLA BLUE TONGUE
Bonelli P., Savini G., Canalis M., Re R., Pilo G.A., Colorito P., Fresi S., Pais L., Nicolussi P.,
“
111
LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL
RISCHIO: DINAMICA DI COMPORTAMENTO DEI PATOGENI DURANTE IL PROCESSO PRODUTTIVO
Boni P., Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Bonometti E.,
“
113
UNA ESPERIENZA DI CONDIVISIONE INFORMATICA DELLE ANAGRAFICHE DEGLI
ALLEVAMENTI BASATA SULLA COOPERAZIONE APPLICATIVA NELLA REGIONE VENETO
Bortolotti L., Ponzoni A., Rizzo S., Redigolo L., Benvegnù F., Rostellato D., D’Este L.,
Mazzagallo S., Farina G., Brinchese M., Marangon S.,
“
115
SVILUPPO DI METODICHE ALTERNATIVE PER LA RICERCA DI FRAMMENTI OSSEI DI ORIGINE
ANIMALE NEI MANGIMI
Buonincontro G., Squadrone S., Benedetto A., Fragassi S., Sant S., Della Torre E., Parasacco M.,
Decastelli L.,
“
116
FRAZIONAMENTO DEI SUBPROTEOMI DI MICOPLASMI AGENTI EZIOLOGICI DI AGALASSIA
CONTAGIOSA
Cacciotto C., Addis M.F., Alberti A., Chessa B., Carcangiu L., Pittau M.,
“
118
INDAGINE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP., IN ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE
DEL NORD ITALIA
Cammi G., Arrigoni N., Belletti G.L., Garilli F., Ricchi M., Vicari N., Tamba M., Galletti G.,
“
120
XII
ALLESTIMENTO DI UN METODO ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI
ANTI-STREPTOCOCCUS UBERIS NEGLI OVINI
Campesi F., Marogna G., Uzzau S., Leori G.S.,
“
122
ALLESTIMENTO ED USO DI UN METODO MULTIPLEX-PCR PER LA DIAGNOSI DI
STREPTOCOCCUS UBERIS E ENTEROCOCCUS FAECALIS DA LATTE OVINO
Campesi F., Marogna G., Uzzau S., Leori G.S.,
“
124
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA IN SITU DI FOLLICOLI LINFATICI SECONDARI E TERZIARI IN
ORGANI DI OVINI
Cancedda M., G., Demontis F., Macciocu S., Denti S., Ligios C.,
“
126
TIPIZZAZIONE GENETICA DI CEPPI DEL VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV)
ISOLATI IN LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA DAL 1999 AL 2007
Canelli E., Luppi A., Barbieri I., Lavazza A., Moreno Martin A., Sozzi E., Lelli D., Cordioli P.,
“
128
MALATTIA PERIODONTALE OVINA (BROKEN MOUTH): ASPETTI CLINICO-PATOLOGICI E
BATTERIOLOGICI
Canu G., Cancedda G., Piredda M.A., Patta C., Ligios C., Mancosu A., Carboni G.A.,
“
130
IPOTESI DI CONTROLLO CENTRALIZZATO DELLE PROVE DIAGNOSTICHE BASATE SULLA
METODICA ELISA
Capello K., Nardelli S.,
“
132
ANALISI BIOMOLECOLARI, SEROLOGICHE ED ISOLAMENTO IN UN GATTO INFETTO DA
LEISHMANIA SPP.
Caracappa S., Migliazzo A., Lupo T., Lo Dico M., Calderone S., Rea S., Currò V., Vitale M.,
“
134
VIROSI DELLE API E MORTALITA’ DEGLI ALVEARI
Cardeti G., Lavazza A., Cittadini M., Ponticello L., Formato G., Tittarelli C., Amaddeo D.,
“
136
BETANODAVIRUS IN SPECIE ITTICHE ALLEVATE E SELVATICHE: RISULTATI DI INDAGINI DI
LABORATORIO CONDOTTE NEL PERIODO NOVEMBRE 2004 - LUGLIO 2008 PRESSO L’IZS
LAZIO E TOSCANA
Cardeti G., Lorenzetti R., Conti R., Del Bove M., Amiti S., Dell’Aira E., Bossù T., Amaddeo D.,
“
138
MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI VIBRIO ALGINOLYTICUS E VIBRIO
PARAHAEMOLYTICUS
Colussi S., Corvonato R., Zuccon F., Giorgi I., Serracca L., Acutis P., L., Prearo M.,
“
140
REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E PRODOTTI DI GASTRONOMIA: RISULTATI PRELIMINARI DI
CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU TRAMEZZINI
Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Milan M., Mioni R.,
“
142
REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E INSACCATI FERMENTATI: RISULTATI PRELIMINARI DI
CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU COPPE STAGIONATE
Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Cassini S., Mioni R.,
“
144
IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BUFALINA IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ANALISI
MICROSATELLITARE
Corrado F., Galiero G., Cutarelli A., Girardi S., Iovane G.,
“
146
POSITIVITA’ PER TAYLORELLA EQUIGENITALIS IN UN ALLEVAMENTO DEL VENETO
Corrò M., Friso S., Perin R., Qualtieri K., Sturaro A., La Greca E., Donati V., Lorenzetti S.,
Battisti A.,
“
148
LA PREPARAZIONE DEI LABORATORI DIAGNOSTICI IN CASO DI EMERGENZE VETERINARIE
Dalla Pozza M., Ceolin C., Marangon S.,
“
150
METODI DIAGNOSTICI E SUSCETTIBILITÀ GENETICA NELLA PARATUBERCOLOSI DEGLI OVINI
De Grossi L., Gelli A., Pifferi A., Giordani F., De Sanctis B., Scorsino G., Pariset L., Sezzi E.,
“
152
XIII
CARATTERIZZAZIONE BIOCHIMICA DI CEPPI DI PAENIBACILLUS LARVAE ISOLATI DALL’IZS-LT
MEDIANTE API(r) 50CH
Dell’Aira E., Milito M., Tomassetti F., Bragagnolo A., Saccares S., Formato G.,
“
154
GENI CODIFICANTI PER FATTORI DI PATOGENICITA’, ANTIBIOTICO RESISTENZA E
BIOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA CONIGLI DA ALLEVAMENTI
INTENSIVI DEL CENTRO ITALIA
Dettori A., D’Angelo G., Grelloni V., Mangili P.M., Maresca C., Pezzotti G., Sebastiani C.,
Magistrali C.F.,
“
156
DETERMINAZIONE TRAMITE GC/MS DI ETILENTIOUREA (ETU) IN URINE DI LAVORATORI
DI UNA AZIENDA VITIVINICOLA SICILIANA ESPOSTI A MANCOZEB
Di Noto A.M., D’Oca M.C., Cardamone C., Randisi B., Dara S., Caracappa S., Verso M.G.,
Schillaci S., Picciotto D.,
“
158
DIFFUSIONE DELLA SARCOSPORIDIOSI NELLE CARNI PROVENIENTI DA SUINI E BOVINI
ALLEVATI E MACELLATI PER AUTOCONSUMO NELLA PROVINCIA DI BIELLA
Domenis L., Guidetti C., Sacchi L., Clementi E., Genchi M., Felisari L., Felisari C., Mo P., Vottari F.,
Cognata D., Pellegrini S., Sala L., Peletto S., Campanella C., Zuccon F., Acutis P.,
“
159
STUDIO DELL’ACCURATEZZA E DELL’ATTENDIBILITA’ DEL CALIFORNIA MASTITIS TEST
(CMT) NEL LATTE DI CAPRA
Dore S., Doro P., Fiori S., Denti G.V., Manai M., A., L., Cannas E.A.,
“
161
RISCONTRO DI CASI DI LINFOSARCOMA IN BOVINI INFETTI DA VIRUS DELLA LEUCOSI
BOVINA ENZOOTICA
Feliziani F., Casciari C., Farneti S., Vitelli F., Manuali E., Salamida S., Lepri E., Rutili D.,
“
163
IGIENE DEL PROCESSO DI MACELLAZIONE: VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI
AUTOCONTROLLO NELLA PROVINCIA DI TRENTO NEL PERIODO 2003 - 2008
Ferrari L., Pizzo E., Debiasi K., Simonato S., Lucchini R., Farina G., Dalvit P.,
“
165
RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA: STUDIO SUI CAMPIONI BORDERLINE AL TEST ELISA
PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI TOTALI CONTRO BHV 1
Ferraris M., Palermo P., Bisignano G., Guidetti C., Orusa R.,
“
167
BOTULISMO ALIMENTARE ASSOCIATO AL CONSUMO DI SALSA TARTUFATA
Flores Rodas E.M., Fenicia L., Anniballi F., De Angelis V., Del Frate S., Di Domenico I., Bilei S., “
169
VALUTAZIONE DELLA CAPACITA’ PREDITTIVA DEL POZZETTO DI DRENAGGIO DELLE ACQUE
PER IL MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA MONOCYTOGENES NEI
CASEIFICI
Fraccalvieri R., Parisi A., Latorre L., Sarli G., Normanno G., Santagada G.,
“
171
TAYLORELLA ASINIGENITALIS: PRIMA SEGNALAZIONE IN ITALIA IN STALLONI ASININI
Franco A., Di Egidio A., Troiano P., Putrella A., Maggi A., Iurescia M., Lorenzetti R., Zini M.,
Ianzano A., Onorati R., Onorati C., Cerci T., Autorino G.L., Battisti A.,
“
173
CIRCUITO INTERLABORATORIO DI MICROBIOLOGIA DIAGNOSTICA: RICERCA TAYLORELLA
EQUIGENITALIS
Friso S., Perin R., Mancin M., Corrò M.,
“
175
RIFLESSI CLINICI E LABORATORISTICI DI UN REGIME ALIMENTARE IPEPROTEICO NEL CANE
Fusari A., Ubaldi A., Quintavalla F., Venturelli B., Venturelli G.,
“
177
PREPARAZIONE MEDIANTE FPLC DI IgG DI CAPRA ANTI IgG DI BUFALO
Fusco G., Amoroso M., G., Serpe F., P., De Felice A., Sarnelli P., Iovane G.,
“
179
RICERCA DI MICRORGANISMI CAUSA DI TOSSINFEZIONE MEDIANTE PCR MULTIPLEX IN
UOVA DI ALLEVAMENTI RURALI E ALIMENTI CONTENENTI CARNI DI POLLAME
Fusco G., Proroga Y., T., R., Romano M., Salzano C., Zinno V.,
“
181
XIV
RICERCA DI MICRORGANISMI PATOGENI MEDIANTE PCR MULTIPLEX NEL LATTE DI BUFALA
E SUOI DERIVATI
Fusco G., Proroga Y., T., R., Guarino A., Mosca E., Napoletano M., Capuano F.,
“
183
RICONOSCIMENTO DI SPECIE ANIMALI IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ISOFOCALIZZAZIONE
RAPIDA DELLE PROTEINE MIOFIBRILLARI
Gagliardi R., Di Luccia A., Trani A., Lo Izzo P., Capo S., Bove D., Iovane G.,
“ 185
EPISODIO TOSSIFETTIVO DA ENTEROTOSSINA STAFILOCOCCICA IN PRODUZIONI D’ALPEGGIO
Gallina S., Buonincontro G., Cassinelli G., Cazzorla M., Di Bari O., Mantoan P., Sant S., Ghia C.A.,
Bianchi D.M., Adriano D., Sommaria M., Fontana E., Mogliotti P., Monticone C., Decastelli L.,
Brusa F.,
“ 187
CASO DI BOTULISMO DA SEMICONSERVE DI PRODUZIONE ARTIGIANALE
Gallina S., Bianchi D.M., Giovannini T., Mantoan P., Civalleri N., Rubini D., Boni P., Molino M.,
Decastelli L.,
“
189
OSSERVAZIONI PRELIMINARI PER LA RICERCA DI M. avium subsp. paratuberculosis IN CAMPIONI
FECALI DI BOVINO MEDIANTE L’ALLESTIMENTO in house DI UN METODO HEMINESTED PCR
Garrone A., Fulghesu L., Benedetto A., Soncin A.R., Carlino F., Dondo A., Goria M.,
“ 191
PRODUZIONE DI ENTEROTOSSINE DA Staphylococcus aureus ISOLATI DA LATTE DI
CAPEZZOLO BOVINO
Giacinti G., Tammaro A., Gemma L., Signoretti G., L., Amatiste S.,
“
193
MICOBATTERIOSI ATIPICHE IN PESCI ORNAMENTALI D’IMPORTAZIONE: NUOVI DATI RELATIVI
AL TRIENNIO 2006-2008
Giorgi I., Pezzolato M., Florio D., Arsieni P., Fioravanti M.L., Varello K., Bozzetta E., Zanoni R.G.,
Prearo M.,
“ 195
MERCURIO IN PRODOTTI ITTICI PRELEVATI AL MERCATO ITTICO DI GENOVA
Giorgi I., Prearo M., Ferrari A., Droetto A., Tarasco R., Pellegrino M., Leogrande M., Vivaldi B.,
Abete M.C.
“
197
MESSA A PUNTO DI UN METODO PER RILEVARE LA PRESENZA DI SPORE DI NOSEMA
APIS/NOSEMA CERANAE IN CAMPIONI DI MIELE
Granato A., Caldon M., Cristofanon A.M., Boscarato M., Colamonico R., Falcaro C., Gallina A.,
Mutinelli F.,
“
199
STUDIO SUGLI EFFETTI IMMUNOMODULATORI DERIVANTI DALLA SOMMINISTRAZIONE DI
GAMMA GLOBULINE UMANE E ADIUVANTE DI FREUND COMPLETO NELLA TROTA IRIDEA
(Oncorhynchus mykiss)
Gregori M., Cecchini S., Abramo F., Leotta R., Pretti C., Prearo M.,
“
201
APPLICAZIONE DEL TEST ELISA SU LATTE DI MASSA PER LA RICERCA DI ANTICORPI NEI
CONFRONTI DELL’IBR, NELL’AMBITO DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO E SORVEGLIANZA IN
PIEMONTE
Guglielmetti C., De Marco L., Vitale N., Chiavacci L., Andrà M., Biosa M., T., Masoero L.
“
203
UTILIZZO DELLA PROVA DEL g-INTERFERON QUALE DIAGNOSI COMPLEMENTARE IN
ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI NEL SETTORE ITALIANO NORD OCCIDENTALE
Guidetti C., Demurtas G., Pepe E., Ferraris M., Marchisio F., Ragionieri M., Spedicato R.,
Bossotto T., Petruccelli G., Cazzaniga G., Orusa R.,
205
“
IL MONITORAGGIO MICROBIOLOGICO AMBIENTALE DELL’ARIA IN LABORATORIO: ESPERIENZA
DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA
Guzzo S., De Angelis E., Sibilia L., Di Giamberardino F.,
“ 207
ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: METODI DI
RICERCA A CONFRONTO - NOTA PRELIMINARE
La Salandra G., Normanno G., Crisetti E., Salinetti A.P., Mioni R., Bove D., Tola S.,
XV
“
209
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E GENETICA DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA
IN PATOGENI MASTITICI
Lollai S.A., Ziccheddu M., Manunta D., Patta C., Leori G.,
“
211
PCR PER LA DETERMINAZIONE DEL SESSO IN SPECIE AVIARIE MONOMORFICHE: UN FLUSSO
DI LAVORO SEMPLIFICATO
Lorenzetti R., Fanelli R., Puccica S., Ruggeri M.T., Zini M., Ciabatti I., Amaddeo D.,
“
213
UTILIZZO DEL MODELLO MURINO PER L’EVIDENZA D’INQUINAMENTO AMBIENTALE
AEROGENO DA FIBRE ASBESTIFORMI
Loria G.R., Monteverde V., Manno C., Schiavo M.R., Sparacino L., Chicca M., Caracappa S.,
“
215
VALUTAZIONE COMPARATIVA DI reverse transcription BOOSTER PCR E METODI IN REAL
TIME PCR PER LA RICERCA DI NOROVIRUS IN ALIMENTI E CAMPIONI BIOLOGICI
Losio M.N., Zanardini N., Pavoni E., Moro E., Suffredini E., Croci L., Boni P.,
“
217
MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA DEI LUOGHI DI
PRODUZIONE DI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE IN TRENTINO
Lucchini R., Lucchi A., Andreatti G., Rodas S., Mioni R., Fasoli F., Costanzi C., Chin F.,
Farina G., Dalvit P.,
“
219
SISTEMA INFORMATIVO SANITARIO DELLA REGIONE VENETO: SISTEMA INTEGRATO
PER LA GESTIONE DEI PIANI DI CONTROLLO NEGLI ALLEVAMENTI
Manca G., Bortolotti L., Vescovi M., Rizzo S., Marangon S., Brichese M.,
“
221
PIANO NAZIONALE INFLUENZA AVIARIA:RISULTATI DELLE ATTIVITA’ DI SORVEGLIANZA
ATTIVA E PASSIVA 2006-2007-2008 SU SPECIE SELVATICHE IN PIEMONTE, LIGURIA
E VALLE D’AOSTA
Mandola M., L., Barcucci E., Rizzo F., Orusa R., Vaschetti G., Giammarino M.,
“
222
SVILUPPO E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UNA ELISA HOME MADE DA
UTILIZZARE PER LA DIAGNOSI INDIRETTA DI TOXOPLASMOSI OVINA
Mangili P., M., Vesco G., Feliziani F., Paoloni A., Menichelli M., Cagiola M., Marini C.,
Pourquier P., Papa P.,
“
224
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELLA TERAPIA CON MILTEFOSINE E ALLOPURINOLO IN
CORSO DI LEISHMANIA MEDIANTE REAL-TIME PCR
Manna L., Picillo E., Vitale F., Gravino A.E.,
“
226
RUOLO DEI LINFOCITI T REGOLATORI CD4+ CD25+ NELLA DETERMINAZIONE DELLO
STATO DI BENESSERE NELLA SPECIE SUINA
Marcaccio S., Severi G., Moscati L., Sensi M., Forti K., Curina G., Pasquali P., Bizzaro D.,
agiola M.,
“
228
IDENTIFICAZIONE E QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO GENETICAMENTE MODIFICATO
MAIS MON810: STUDIO COLLABORATIVO DELLA RETE ITALIANA DI LABORATORI DEL
CONTROLLO UFFICIALE
Marchesi U., Gatto F., Verginelli D., Paternò A., Quarchioni C., Fusco C., Amaddeo D., Ciabatti I., “ 230
INDAGINE SULLA PRESENZA DI STAPHYLOCOCCUS SPP., E DI STAFILOCCHI METICILLINO
RESISTENTI (MRS) NEL CAVALLO: VALUTAZIONE DI FATTORI DI RISCHIO
Maresca C., Biagetti M., Neri M.C., Pepe M., Scoccia E., Tentellini M., Venditti G., Magistrali C.F., “
232
LESIONI DA STAPHYLOCOCCUS CHROMOGENES E STREPTOCOCCUS UBERIS: RILIEVI
ISTOPATOLOGICI SU MAMMELLE E LINFONODI DI PECORA
Marogna G., Rocca S., Bionda S., Leori S.G.,
“
234
INFEZIONE SPERIMENTALE DI SUINI CONVENZIONALI CON VIRUS DELL’EPATITE E (HEV) E
CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2): RISULTATI PRELIMINARI
Martelli F., Di Bartolo I., Ruggeri F.M., Militerno G., Panarese S., Sarli G., Marcato P.S., Luppi A.,
Caprioli A., Ostanello F.,
“
236
XVI
PREVALENZA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN ALLEVAMENTI SUINI DEL NORD ITALIA
Martinelli N., Luppi A., Lelli D., Sozzi E., Canelli E., Fontana R., Moreno Martin A.,
Lavazza A., Lombardi G.,
“
238
PIANO NAZIONALE DI CONTROLLO DELLA MALATTIA DI AUJESZKY: SITUAZIONE
IN PIEMONTE
Masoero L., Vitale N., Gobbi E., Maglione D., Meci D., Sciarra A., Chiavacci L., Pitti M.,
“
240
INDAGINE PRELIMINARE SUL CONTENUTO DI ISTAMINA NEI FORMAGGI SARDI D.O.P.
Mele P., Pinna G., Soro B., Vodret B., Mancuso R.,
“
242
DETERMINAZIONE DI METALLI PESANTI IN muscolo DI PESCE mediante voltammetria di
stripping anodico ad onda quadra (swasv)
Meucci V., Intorre L., Pretti C., Laschi S., Minunni M., Soldani G., Mascini M.,
“
244
STUDIO DELLA DINAMICA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN VEGETALI DELLA IV GAMMA
Mioni R., Comin D., Fornasiero E., Milan M., Grimaldi M.,
“
246
OTTIMIZZAZIONE DI UN METODO DI ESTRAZIONE E CONCENTRAZIONE DEL VIRUS
DELL’HAV DA CAMPIONI DI COZZE (Mitylus Galloprovincialis)
Mira F., Di Bella S., Cannella V., De Gregorio V., Purpari G., Guercio A.,
“
248
DIAGNOSTICA MOLECOLARE DI NEOSPORA CANINUM NEI BOVINI: VALIDAZIONE DI UNA
METODICA IN SIMPLEX PCR
Monnier M., Lacerenza D., Benedetto A., Lai J., Tramuta C., Nebbia P., Rosati S., Zoppi S.,
Dondo A.,
“
250
PRIMO CIRCUITO INTER-LABORATORIO PER L’IDENTIFICAZIONE E LA TIPIZZAZIONE DI
CEPPI DI Escherichia coli PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA (VTEC) ORGANIZZATO DAL
LABORATORIO NAZIONALE DI REFERENZA PER E. coli
Morabito S., Scavia G., Minelli F., Marziano M.L., Tozzoli R., Graziani C., Escher M.,
Baldinelli F., Caprioli A.,
“
252
PREVALENZA DELL’INFEZIONE DA SALMONELLA ENTERICA IN ALLEVAMENTI DEL NORD
ITALIA:MODELLO DI DISTRIBUZIONE IN FASCE A DIFFERENTE PREVALENZA
Nigrelli A., D., Alborali L., Fabbi M., Vezzoli F.,
“
254
ANTIBIOTICO RESISTENZA E TIPIZZAZIONE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS EPIDERMIDIS
ISOLATI DA LATTE OVINO MEDIANTE PFGE
Onni T., Sanna G., Lecca V., Piras M., G., Marogna G., Leori G., Tola S.,
“
256
AVVELENAMENTI DI ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI IN TRENTINO: UN PROBLEMA
CRESCENTE NEGLI ULTIMI ANNI (2005-2008)
Paoli M., Cova M., Simonato S., Binato G., Gallocchio F., Pasolli C., Farina G., Dalvit P.,
“
258
RAPID ALERT SYSTEM FOR FOOD AND FEED (RASFF): NOTIFICHE PER CONTAMINANTI
AMBIENTALI IN EUROPA 2004-2006
Pecorelli I., Paoloni A., Scoccia E., Maresca C.,
“
260
PRESENZA DI METALLI PESANTI IN SALMONIDI PESCATI NEI BACINI IDROGRAFICI
DELL’ITALIA NORD-OCCIDENTALE
Pellegrino M., Leogrande M., Squadrone S., Tarasco R., Gavinelli S., Giorgi I., Poma Genin E.,
Prearo M., Abete M.C.,
“
262
PRODUZIONE DELLA PROTEINA NS3 DI BVDV (BOVINE VIRAL DIARRHEA VIRUS) IN
BACULOVIRUS CON CARATTERISTICHE CONFORMAZIONALI ED ANTIGENICHE
ANALOGHE ALLA PROTEINA NATIVA
Pezzoni G., Brocchi E.,
“
264
XVII
ISOLAMENTO E CARATTERIZZAZIONE DEL GENOMA DI UN NUOVO PAPILLOMAVIRUS
ASSOCIATO A CARCINOMA SQUAMOCELLULARE NELLA PECORA SARDA
Pintore F., Chessa B., Pittau M., Corraduzza E., Carcangiu L., Addis M., F., Cacciotto C.,
Lecis R., Pirino S., Alberti A.,
“
266
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI HERPESVIRUS IN ALLEVAMENTI CAPRINI PIEMONTESI
Pitti M., Angiolillo S., Guglielmetti C., Riva A., Spagnolo M., Tassone MC., Masoero L.,
“
268
LA DIAGNOSI AL MATTATOIO, UN OSSERVATORIO EPIDEMIOLOGICO PRIVILEGIATO PER
L’ECHINOCOCCOSI CISTICA
Poglayen G., Stancampiano L., Garippa G., Varcasia A., Pipia A., P., Bio C., Romanelli C.,
“
270
MONITORAGGIO DELLA POPOLAZIONE SELVATICA E D’ALLEVAMENTO DI SALMONIDI IN
PIEMONTE: STUDI SU SETTICEMIA EMORRAGICA VIRALE (SEV) E NECROSI EMATOPOIETICA
INFETTIVA (NEI)
Prearo M., Arsieni P., Giorgi I., Squadrone S., Abete M., C., Moda G., Vignetta P.,
“
272
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI PROTOCOLLI DI PULIZIA E DISINFEZIONE IN RELAZIONE
ALL’INCREMENTO PONDERALE DEI SUINETTI
Rampin F., Mioni R., Azzalin M., Iob L., Schiavon E.,
“
274
PERMANENZA E DIFFUSIONE DI ESCHERICHIA COLI MULTIRESISTENTE IN UN
ALLEVAMENTO DI VITELLI A CARNE BIANCA
Rampin F., Schiavon E., Cristaudo I., Sturaro A., Iob L.,
“
276
RT REAL TIME PCR E ISOLAMENTO VIRALE SU UOVA EMBRIONATE DI POLLO S.P.F., NELLA
DIAGNOSI DEI VIRUS INFLUENZALI H5 E H7
Rizzo F., Sidoti F., Costa C., Bergallo M., Cavallo R., Mandola M.L.,
“
278
IDENTIFICAZIONE DI CAMPYLOBACTER TERMOFILI MEDIANTE PCR-REA DI UN FRAMMENTO
DEL GENE GROEL
Robino P., Tramuta C., Rodo M., Barberis M., Giammarino M., Vaschetti A., Nebbia P.,
“
280
FOCOLAIO DI TUBERCOLOSI DA MYCOBACTERIUM BOVIS IN UN PARCO SAFARI IN PIEMONTE
Rossi F., Zoppi S., Bergagna S., Tinelli F., Borella A., Bollo E., Suma G., Goria M., Dondo A.,
“
282
EFFETTO DI UN TRATTAMENTO DI PASTEURIZZAZIONE POST-CONFEZIONAMENTO SU
PORZIONI DI MORTADELLA NEI CONFRONTI DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP.
Rugna G., Bardasi L., Vecchi G., Mazzini C., Bacchi M., Galletti G., Merialdi G., Fontana M.C.,
“
284
EPIDEMIOLOGIA BIOMOLECOLARE DELL’INFEZIONE DA Giardia duodenalis NEL
BOVINO IN SARDEGNA (ITALY)
Scala A., Tanda B., Giannetto S., Poglayen G., Garippa G., Polinas L., Paoletti B., Varcasia A.,
Iorio R., Pipia A.P., Giangaspero A.,
“
286
CONFRONTO TRA DUE METODICHE DI PRELIEVO DA ORGANO PER L’ESECUZIONE DELLE
RICERCHE MICROBIOLOGICHE
Schiavon E., Fantinelli A., Carraro N., Boscaro G., Cristaudo I., Iob L., Rampin F.,
“
288
CONFRONTO TRA IMMUNOFLUORESCENZA INDIRETTA ED IMMUNOISTOCHIMICA NELLA
DIAGNOSI DI PMWS
Schiavon E., Qualtieri K., Rampin F., Marchioro W., Vio D., Mutinelli F.,
“
290
VALIDAZIONE DI METODO RT-HEMINESTED PCR PER LA DETERMINAZIONE DEL VIRUS
DELL’EPATITE A DA UTILIZZARSI NELL’AMBITO DEI CONTROLLI UFFICIALI DEI MOLLUSCHI E
VEGETALI FRESCHI
Serracca L., Gallo F., Rossini I., Benedetto A., Lacerenza D., Callipo M.R., Garrone A., Goria M., “
292
ESPRESSIONE DELLE PROTEINE DEL VIRUS DEL CIMURRO IN ENCEFALI DI CANI CON
INFEZIONE SPONTANEA
Soncin A.R., Dondo A., Capucchio M.T., Pregel P., Bollo E.,
294
XVIII
“
INDAGINE SUL CONTENUTO IN METALLI PESANTI IN MANGIMI PER GATTI
Tarasco R., Leogrande M., Gavinelli S., Pellegrino M., Poma Genin E., Vivaldi B., Abete M.C.,
Squadrone S., Marchis D., Prearo M.,
“
296
INDAGINE SIEROLOGICA PER ENCEPHALITOZOON CUNICULI IN CONIGLI DA COMPAGNIA:
OSSERVAZIONI PRELIMINARI
Tittarelli C., Tranquillo V., Luppi A., Nassuato C., Grilli G., Lavazza A.,
“
298
DIAGNOSI IMMUNOELETTRONMICROSCOPICA DELLE ENTERITI VIRALI DEL CANE NEL
NORD ITALIA DURANTE IL PERIODO 2002-2008
Tittarelli C., Cerioli M., Canelli E., Lavazza A.,
300
“
ANALISI DEL GENE vtx2B INATTIVATO DALLA SEQUENZA DI INSERZIONE IS1203v IN UN
CEPPO DI Escherichia coli O103 ISOLATO DA UN’EPIDEMIA DI SINDROME EMOLITICO UREMICA
Tozzoli R., Fioravanti R., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S.,
“ 302
EFFETTO DELLA RESERPINA SULL’ATTIVITA’ IN VITRO DI 8 FLUOROCHINOLONI VERSO
CEPPI DI S., INTERMEDIUS E S., SCHLEIFERI ISOLATI DAL CANE
Vanni M., Tognetti R., Pretti C., Soldani G., Meucci V., Intorre L.,
“
304
SENSIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS INTERMEDIUS E
STAPHYLOCOCCUS SCHLEIFERI ISOLATI NEL CANE
Vanni M., Tognetti R., Pretti C., Soldani G., Meucci V., Intorre L.,
“
306
PREVALENZA DI LEISHMANIA INFANTUM IN SICILIA NEGLI ANNI 2006 - 2007 E PRIMO
SEMESTRE 2008
Vitale F., Reale S., Migliazzo A., Lupo T., Rapisarda G., Contarino B., Bozzotta A., Landino A.,
Piazza M., Nifosi’ D.,
“
308
DIAGNOSI MOLECOLARE DI TOXOPLASMA GONDII IN DUE ABORTI OVINI CON DNA
ESTRATTO DAL COAGULO EMATICO
Vitale M., Currò V., Giangrosso G., La Giglia M., A., Giangrosso I., E., Vesco G.,
“
310
MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI IN CAMPIONI
DI BURRO PROVENIENTI DAL PIEMONTE
Vivaldi B., Masiello L., Marazzotta G., Tarchino F., Ottonello G., Ferrari A.,
“
312
APPLICAZIONE DI UNA METODICA ELISA PER LA RICERCA DI GLUTINE NEGLI ALIMENTI:
DATI SPERIMENTALI
Vodret B., Mancuso M., R., Soro B., Sparacino L., Puleio R., Schiavo M.R.,
“
314
IDENTIFICAZIONE DI SPECIE ANIMALI IN MATRICI ALIMENTARI MEDIANTE PCR REAL TIME
Zampieron C., Costa A., Comin D., Mioni R.,
“
316
PCR PER L’IDENTIFICAZIONE E SCREENING DI ISOLATI DI CAMPO APPARTENENTI AL
GENERE VIBRIO
Zuccon F., Corvonato R., Colussi S., Giorgi I., Acutis P.L., Prearo M.,
“
318
INDICE DEGLI AUTORI
“
321
XIX
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Letture plenarie,
comunicazioni orali
1
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
2
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
Paola De Castro
Settore Attività Editoriali, Istituto Superiore di Sanità, Roma
L’importanza di comunicare la scienza
In quasi tutte le professioni, ma in particolare in quelle che gravitano
intorno al mondo della ricerca scientifica, il trasferimento rapido
delle informazioni e la comunicazione interpersonale hanno un
ruolo fondamentale per un corretto svolgimento del proprio lavoro e
fanno parte del bagaglio delle responsabilità che è necessario
assumersi, non solo a livello istituzionale, ma anche individuale.
In particolare, tutti noi partecipanti a questo convegno, che a vario
titolo abbiamo un ruolo in attività di ricerca, servizio e intervento, a
tutela della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente in cui
viviamo, dobbiamo essere consapevoli dell’importanza strategica
che oggi assume la diffusione delle informazioni a garanzia
dell’integrità del nostro operato, del riconoscimento del lavoro svolto
e, non ultimo, del progresso della scienza. Oggi come ieri, infatti, è
necessario lasciare una traccia delle scoperte fatte, dei risultati anche negativi - ottenuti nello svolgimento delle nostre attività,
perché altri ne possano trarre vantaggio, perché sia possibile il
confronto, la crescita, la condivisione e lo sviluppo di nuove idee;
d’altro canto, noi stessi, traiamo vantaggio dagli scritti e dai discorsi
degli altri, nel nostro doppio ruolo di produttori e utilizzatori di
informazioni.
Le grandi rivoluzioni nella comunicazione
Oggi, grazie alle nuove tecnologie, sono cambiati i mezzi a nostra
disposizione per far circolare idee, informazioni e conoscenze.
La comunicazione scientifica ha avuto varie forme espressive
attraverso i secoli, dalle dissertazioni filosofiche nelle agorà
dell’antica Grecia, agli scambi epistolari tra pochi eletti, alle
disquisizioni scientifiche nelle accademie, alla pubblicazione dei
lavori nei primi periodici scientifici. La nascita del periodico
scientifico, che per secoli è stato il mezzo ottimale per la diffusione
di informazioni, risale alla seconda metà del diciassettesimo
secolo; la produzione di periodici si è potuta sviluppare grazie alla
rivoluzionaria scoperta della stampa a caratteri mobili che - dopo la
scrittura - rappresenta una delle più importanti rivoluzioni culturali di
tutti i tempi. La diffusione dei periodici, caratterizzati dal processo di
referaggio cui generalmente sono sottoposti i lavori prima di essere
accettati per la pubblicazione, ha rappresentato un fondamentale
passo in avanti verso una maggiore circolazione dei contenuti, pur
rimanendo il loro utilizzo per molti anni ancora elitario, per motivi di
censo, di cultura e, soprattutto, di appartenenza a determinati
gruppi di lettori privilegiati, i soli ad avere l’accesso a fonti
documentarie possedute da università e grandi istituzioni, ma
difficilmente acquisibili a livello individuale.
Tornando a tempi ben più vicini a noi, la rivoluzione posta in essere
dalle nuove tecnologie dell’informazione è paragonabile a quella
operata da Gutenberg nel 1500. Da allora, per circa tre secoli si
afferma una relativa stabilità nei processi di produzione di volumi
cartacei, che tuttavia ha fatto registrare un netto incremento in
quantità di volumi prodotti grazie alla specializzazione delle scienze,
alla fine del 1800, che ha contribuito a determinare la fortuna dei
grandi editori (successivamente grandi gruppi editoriali), per molto
tempo gli unici a poter garantire la produzione e la diffusione della
letteratura scientifica, realizzando per contro grandi investimenti e
profitti a livello d’impresa.
Internet, che nasce e si sviluppa come mezzo di comunicazione
soltanto alla fine degli anni settanta, ha nuovamente rivoluzionato i
processi comunicativi raggiungendo livelli precedentemente non
prevedibili nella democratizzazione della diffusione di conoscenze.
L’accesso alla rete apre i cancelli al sapere eliminando, almeno
teoricamente, tutti i vincoli spaziali e temporali che per secoli
avevano rallentato lo sviluppo: oggi viviamo in un villaggio globale
dove le distanze geografiche e i tempi di trasmissione non
rappresentano più un ostacolo alla comunicazione. Non va tuttavia
trascurata la drammatica esistenza di un “digital divide” che,
nonostante i grandi progressi tecnologici, determina il perdurare di
una forte separazione tra ricchi e poveri del mondo: tra coloro cioè
che hanno accesso alla rete e alla sua straordinaria fonte di offerta
informativa, e coloro che ancora non lo hanno.
Le fonti online si moltiplicano in maniera non più controllata e a volte
diventa difficile sapersi orientare nel mare magnum dell’offerta
informativa che Google ci presenta, spesso con ingannevole
generosità, offrendoci anche quelle informazioni che circolano
attraverso i più innovativi sistemi di comunicazione quali i blog, i wiki,
le liste di discussione, etc., che consentono di attivare un colloquio
diretto tra chi condivide interessi comuni, pur riconoscendo che
spesso le informazioni che si trovano rappresentano punti di vista
ancora non convalidati. Addirittura oggi si parla di “Google generation”
per definire chi è nato o cresciuto (noi) nell’era in cui ogni richiesta di
informazioni passa per Google, ormai quasi sinonimo di motore di
ricerca aldilà del “brand” che lo contraddistingue. E’ indubbio che
l’aumentata disponibilità di dati online abbia una diretta ricaduta sulla
salute pubblica infatti l’informazione più rilevante è disseminata in
maniera globale e immediata creando un corpus unico integrato,
vivente e ricercabile anche grazie allo sfruttamento dei metadati (il
cosiddetto semantic web).
Un nodo cruciale ancora in parte da sciogliere verso il più libero
utilizzo dei prodotti editoriali resta quello del copyright (il diritto, o
meglio, i diritti acquisiti dall’autore che pone in essere un’opera
d’ingegno); il copyright è oggi oggetto di diversi tipi di negoziazione
con gli editori, soprattutto in vista del deposito dei lavori scientifici
negli archivi digitali. In passato l’autore era costretto a cedere
all’editore tutti i diritti associati all’utilizzazione e alla distribuzione
del proprio lavoro; oggi è invece possibile raggiungere con gli editori
accordi più vantaggiosi che consentono agli autori di avere una
maggiore libertà nell’utilizzo dei propri lavori, anche se pubblicati su
rivista (non exclusive license agreement). Attualmente quasi tutti i
grandi editori sono propensi a consentire l’archiviazione dei lavori in
archivi digitali nella forma di pre-print (lavori prima della revisione) e
nei migliori casi anche di post-print (lavori dopo la fase di revisione,
ma non ancora formattati secondo gli standard editoriali della
rivista), nel rispetto dei pre-fissati periodi di embargo, garantendo
una più libera circolazione delle informazioni a vantaggio anche di
chi non può permettersi di pagare i costi di abbonamento alle riviste
o di pagare per leggere un articolo (pay per view).
Molto ci sarebbe da dire circa i costi delle riviste così dette “Open
Access”. Chi paga per avere un articolo pubblicato su una rivista
che garantisce a tutti l’accesso aperto? L’autore? La sua istituzione
di appartenenza? L’editore? Il lettore? Il dibattito è molto acceso
perché in effetti i costi delle riviste sono aumentati in maniera
esponenziale (300% nell’ultimo trentennio) mettendo in gravi
difficoltà gli acquisti in abbonamento da parte delle biblioteche; fra
l’altro, i contratti di abbonamento non sono più vantaggiosi se si
vuole acquistare soltanto la versione elettronica e non quella
cartacea di una rivista e le accattivanti offerte a pacchetto spesso
non soddisfano gli effettivi bisogni dell’utenza.
Ancora più recente rispetto al dibattito sull’Open Access, quello che
riguarda l’accesso ai dati stessi che costituiscono le fonti primarie
della ricerca e cioè quei dati numerici, testuali, immagini o suoni
utilizzati e comunemente accettati dalla comunità dei ricercatori
come necessari per la validazione dei risultati. Un esempio che ben
chiarisce l’importanza di avere accesso ai dati primari è la
GenBank, il database prodotto dall’NIH che raccoglie tutte le
sequenze di DNA e le rende disponibili al pubblico; molte riviste
addirittura richiedono il deposito in GenBank delle sequenze
genetiche prima della pubblicazione dei lavori per poter pubblicare il
relativo numero di accesso alla banca dati.
Tutto ciò premesso, è bene riflettere sulla necessità di poter
scegliere consapevolmente tra gli strumenti oggi a disposizione per
una corretta comunicazione scientifica.
A proposito di archivi digitali, tendo a sottolineare che l’Istituto
Superiore di Sanità ha un proprio archivio digitale D-Space.iss.it
che attualmente contiene più di 23.000 record che si riferiscono a
pubblicazioni sia prodotte dal personale ISS che da altri enti, nel
rispetto delle norme sul copyright imposte dai singoli editori per il
deposito e l’accessibilità dei lavori in archivio. Abbiamo stipulato
accordi di collaborazione con alcuni Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico per l’aggregazione in D-Space.iss delle
pubblicazioni da loro prodotte e sono in fase di realizzazione anche
3
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
accordi con gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, oltre che con altri
enti produttori di pubblicazioni nel settore biomedico, con l’obiettivo
di facilitare l’accesso, aumentare la visibilità e l’utilizzazione delle
attività e delle ricerche svolte da ciascuno.
Gli strumenti per una comunicazione efficace
Trasferire informazioni e comunicare consapevolmente (fra pari, al
grande pubblico, ai decisori politici, alle persone che a vario titolo
richiedono attenzione e desiderano o devono essere informati) da
parte di chi svolge professioni tanto importanti e prestigiose, quanto
a volte delicate e difficili come quella del medico, del veterinario, del
biologo, fa parte del bagaglio di doveri imprescindibili per un
corretto espletamento delle proprie funzioni; e non è affatto
scontato che si sia sempre in grado di comunicare
professionalmente utilizzando gli strumenti più idonei e al passo con
i tempi, considerando il target cui l’informazione è destinata. Ad
esempio, un opuscolo cartaceo, un segnalibro o un poster, ancora
oggi, nell’era di Internet, potrebbero essere gli strumenti più efficaci
per veicolare un determinato tipo di messaggio. Viceversa, un
rapporto tecnico potrebbe rappresentare il canale più idoneo per
diffondere informazioni dettagliate e grandi quantità di dati destinati
esclusivamente agli addetti ai lavori. Oppure, pensiamo ad una
presentazione Power point che rappresenta oggi un supporto quasi
imprescindibile per il congressista o il docente.
In sostanza, i contenuti informativi di cui oggi disponiamo possono
assumere varie forme, altrettanto dignitose ed efficaci, a seconda
dell’utilizzo che se ne vuole fare. Mentre in passato si poteva
giustamente argomentare per grandi categorie tipologiche: i libri, le
riviste, le comunicazioni a congresso e, se vogliamo, la letteratura
grigia, identificando senza ambiguità i vantaggi e i limiti di ciascun
tipo di pubblicazione, oggi che tutto sembra più facile (perché posso
produrre da solo un testo dall’aspetto altamente professionale e
posso renderlo disponibile in Internet senza intermediazione) si può
correre maggiormente il rischio di non effettuare le scelte più
corrette, se non supportati da conoscenze specifiche.
In realtà, le riviste scientifiche esistono ancora con tutti i loro attributi
(comitati editoriali, comitati scientifici, redazioni, editori, ecc.). Il
processo di revisione che da secoli contraddistingue un certo tipo di
periodici esiste ancora, anche se la rivista è online, e continua ad
essere generalmente molto apprezzato dalla comunità scientifica
come prezioso indice di qualità della rivista stessa. Fra l’altro, le
riviste online, stanno rapidamente acquisendo anche l’impact factor
(vedasi ad esempio, il gruppo di BioMed Cental), cosa che al loro
nascere non era assolutamente possibile per mancanza dei tempi
necessari ai fini del calcolo delle citazioni. Erroneamente molti
credono ancora che le riviste online siano prive di peer review o di
impact factor! L’accessibilità online non è sinonimo di mancanza di
regole, anzi semmai alle vecchie regole se ne aggiungono di altre
determinate, ad esempio, dalla necessità di garantire
l’interoperabilità tra i vari sistemi ai fini di un corretto reperimento
dei dati/metadati attraverso i motori di ricerca (harvesting).
Cambiano i processi di produzione, ma non sempre cambiamo i
criteri che determinano l’attendibilità e la qualità di una
pubblicazione scientifica. Di fronte al proliferare di fonti online, è
sempre opportuno verificare chi la ha prodotte e perché (chi è
l’autore, l’editore, a quale istituzione appartengono, etc.). A quale
tipo di revisione è stata sottoposta la pubblicazione prima di essere
messa in circolazione, chi la ha citata, e quante volte? Chi la ha
effettivamente utilizzata? E come? In quale rivista è stata
pubblicata? La rivista ha impact factor? Da chi è indicizzata?
Queste domande venivano poste già prima della diffusione online
dei documenti e ancora oggi sono oggetto di discussione; nella
maggior parte dei concorsi universitari la progressione in carriera
continua ad essere determinata in base alla produzione di articoli
pubblicati su prestigiose riviste con elevato impact factor (e ciò
esercita una fortissima influenza anche nella scelta della rivista
sulla quale pubblicare un proprio lavoro).
L’avvento delle nuove tecnologie consente di sperimentare in prima
persona gli effetti di un cambiamento epocale di cui ancora non è
possibile determinare a pieno gli sviluppi. Oggi si parla di referaggio
svolto completamente online secondo format pre-costituiti,
addirittura, a volte, diversi per ogni singola sezione di una rivista; si
parla di manuscript tracking per seguire tutto il processo editoriale
(autore-editore-referee-editore-autore,
etc.)
in
maniera
informatizzata; di collegamenti automatici fra riferimenti bibliografici;
alcune riviste rendono visibili i commenti dei lettori su ogni singolo
articolo avviando una comunicazione diretta con gli autori e dunque
non limitando la comunicazione a quanto “pubblicato” ma
consentendo un flusso continuo di idee al di là della pubblicazione
in senso stretto (vedi per esempio le sperimentazioni di PLOS One),
altre prestigiose riviste (ad esempio il BMJ) mettono online agli
articoli subito dopo il processo di referaggio e non a pubblicazione
avvenuta accorciando ancora di più i tempi di latenza tra la
presentazione di un lavoro e la sua effettiva disponibilità; in altri
casi, è possibile consultare versioni lunghe o versioni brevi dello
stesso articolo, a seconda dei tempi e dell’interesse dei singoli
lettori; la maggioranza delle grandi riviste attribuisce oggi ai propri
articoli un codice unico di identificazione, il DOI (Digital Object
Identifier) che rende superflua l’indicazione di qualsiasi altro dato
bibliografico ai fini del reperimento del documento. Si tratta di uno
scenario in rapidissima evoluzione, basti pensare che solo qualche
decennio fa l’e-mail era sconosciuta ai più, mentre oggi è
praticamente imprescindibile per chi opera nel mondo della
comunicazione, ma è anche probabile che verrà sostituita da altri
nuovi prodotti della tecnologia.
Necessità di formazione
Al termine di una riflessione su uno scenario tanto complesso
quanto dinamico sulla comunicazione scientifica, si rende
necessaria una riflessione sulla necessità di una formazione
specifica su questi temi, il più delle volte assente nei percorsi
universitari di ambito non umanistico. Dopo un’esperienza
decennale di attività formazione in scrittura scientifica, rivolta
prevalentemente al personale del Servizio Sanitario Nazionale, e
svolta principalmente presso l’Istituto Superiore di Sanità, all’inizio
del 2008, abbiamo avviato, con ottimi risultati un’attività formativa in
scrittura scientifica rivolta espressamente agli Istituti Zooprofilattici;
il primo corso si è svolto a Sassari (19 maggio 2008), il prossimo
sarà a Portici (21 novembre 2008).
La mia presenza in questo convegno, in qualità di responsabile dei
corsi di formazione in scrittura scientifica, nonché responsabile del
Settore Attività Editoriali dell’Istituto Superiore di Sanità, è
un’ulteriore testimonianza dell’interesse e del gradimento di questa
iniziativa di formazione in comunicazione scientifica.
Concludo presentandovi tre domande (fra l’altro richiestemi in fase
di accreditamento ECM di questo convegno), che normalmente
vengono utilizzate nei corsi di formazione in scrittura scientifica:
1) Che diverso ruolo ha il referee in una rivista cartacea e in una
rivista online?
2) Come scegliere la rivista sulla quale pubblicare?
3) Qual è la struttura di base di un articolo scientifico?
La risposta potrebbe non essere facile per alcuni.
Mi auguro con questo intervento di aver stimolato la riflessione su
questi temi e naturalmente sono disponibile per chiarimenti e
domande, certa che in prossimo futuro si svilupperanno nuove
forme di collaborazione nella condivisione di obiettivi comuni.
Bibliografia di approfondimento
Carrada L. Il mestiere di scrivere. Le parole a lavoro, tra carta e web. Milano:
Apogeo 2008
De Castro P., Della Seta M, Poltronieri E. Bilancio e prospettive dell’accesso
aperto alla letteratura di ricerca. L’esperienza dell’Istituto Superiore di Sanità.
AIDA Informazioni 2008. In press
De Castro P, Guida S, Sagone BM. (Ed) Diciamolo chiaramente. Testi,
immagini, poster e powerpoint per una comunicazione efficace. Roma: Il
Pensiero Scientifico Editore; 2004.
De Castro P, Poltronieri E. (Ed.). Proceedings of the Conference on
Institutional archives for research: experiences and projects in Open Access.
Istituto Superiore di Sanità. Rome, 30 November-1 December 2006. Roma:
Istituto Superiore di Sanità; 2007. (Rapporti ISTISAN 07/12. Accessibile da:
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Guèdon JC. Per la pubblicità del sapere. I bibliotecari, i ricercatori, gli editori
e il controllo dell’editoria scientifica. Pisa University Press. 2004. Accessibile
da http://bfp.sp.unipi.it/ebooks/guedon.html
Jabobs N. (Ed). Open Access: key strategic, technical and economic
aspects. Oxford: Chandos publishing 2006
Peat J, Elliott E, Baur L, Keena V. Scientific writing. Easy when you know
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Wager E. Getting research published. An A to Z of publication strategy.
Oxford: Radcliffe Publishing 2005.
Valente A. Luzi D. (Ed). Partecipare la scienza: Roma: Biblink editori; 2004
4
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
INTERAZIONE VIRUS VETTORE
Michele Dottori
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna
Gli arbovirus hanno probabilmente approfittato della attività
ematofaga degli artropodi fin dal suo esordio, milioni di anni
fa. L’adattamento morfologico, fisiologico e biochimico degli
insetti e degli aracnidi, seppur dispendioso in termini
energetici e di tempo, ha portato senz’altro grandi vantaggi e
i virus, come del resto anche altri microrganismi, ne hanno
tratto notevole beneficio.
La saliva degli artropodi ematofagi è senza meno uno degli
strumenti fondamentali di questo comportamento alimentare,
perché contiene anticoagulanti ed immunomodulatori che
controllano o annullano la reazione dell’ospite. Un altro
elemento portante della interazione virus vettore è la matrice
peritrofica secreta dall’apparato digerente dell’insetto, che
“protegge” il sangue ingerito.
Nel novero dei vettori, le zecche sono seconde solo alle
zanzare per numero di patogeni che sono potenzialmente in
grado di trasmettere. Inoltre esse, diversamente dagli insetti
ematofagi, rimangono a lungo sull’ospite, prevedono
l’utilizzo di più specie di vertebrati per il loro sviluppo e
vivono più a lungo.
In ogni caso i culicidi sono gli artropodi di maggior
importanza sanitaria. Questa famiglia che appartiene
all’ordine dei ditteri, sottordine nematoceri è molto antica è
annovera vari genere tra cui i più significativi, come è noto,
sono Anopheles, Culex ed Aedes. Anopheles è la più
primitiva, gli altri due generi sono comparsi 30 milioni di anni
fa, ma l’azione ematofaga delle zanzare ha 100 milioni di
anni. Sono le femmine che si nutrono di sangue, sono
attratte dalla cute dei vertebrati in quanto produttrice di
calore, umidità, CO2 ed altre sostanze volatili. Le zanzare
possono avere preferenza d’ospite e così ne esistono di
ornitofile, antropofile, batracofile etc. In questi insetti la saliva
proviene dal torace, dove si trovano le ghiandole, e contiene
appunto vasodilatatori, batteriolitici ed anticoagulanti. La
matrice peritrofica che avvolge il pasto di sangue all’interno
del suo intestino, ostacola il passaggio degli arbovirus e
quindi l’infezione dell’insetto. Le femmine si accoppiano una
sola volta e lo sperma è conservato in apposite
spermateche, da cui fuoriesce alla bisogna fecondando le
uova attraverso il micropilo, mano a mano che passano per
l’ovidutto.
Quando gli arbovirus, come altri microrganismi artropodotrasmessi, entrano in cicli di trasmissione naturale, i vettori
sono biologici, cioè si infettano esattamente come gli ospiti
vertebrati ( serbatoi ).
Di solito il patogeno è innocuo per i vettori, ovviamente il
virus non ha interesse ad intaccare la salute del vettore che
lo trasmette. Per l’ospite vertebrato invece è diverso:
l’infezione può essere asintomatica o paucisintomatica nel
serbatoio, ma sintomatica e a volte letale negli ospiti a fondo
cieco, che non fungono da serbatoio. Il vettore si infetta o
con il pasto di sangue o nasce già infetto per trasmissione
verticale del patogeno. In un ciclo arbovirale si possono
individuare due principali meccanismi di trasmissione: il
mantenimento e l’amplificazione. Quest’ultima prevede un
aumento della prevalenza, più o meno eclatante,
dell’infezione ( epidemia ). Gli arbovirus ( i circa 500
conosciuti sono quasi tutti RNA virus ) devono produrre nel
serbatoio vertebrato un alto titolo viremico per un periodo
non troppo limitato, per permettere l’infezione del vettore e,
al tempo stesso, non provocare troppi danni al serbatoio
stesso.
Il vettore biologico è dunque “competente” nei confronti di un
dato microrganismo artropodo-trasmesso, mentre il vettore
meccanico risulta semplicemente “contaminato” a livello
dell’apparato boccale ( quindi per un periodo breve dopo il
pasto e, gioco forza, con bassa dose virale ); per sostenere
un ciclo naturale ci vuole dunque un vettore biologico.
La trasmissione verticale può essere transovarica ( infezione
dei follicoli ) o transuovo ( cioè durante l’ovodeposizione il
virus penetra attraverso il micropilo mentre avviene la
fecondazione ). E’ anche possibile che il virus preesista nel
liquido seminale e ciò potrebbe anche provocare l’infezione
della femmina (trasmissione venerea).
Mentre la competenza è il presupposto, la capacità vettoriale
è questione di efficienza ed efficacia ed esprime la reale
possibilità e frequenza di trasmissione virale in un dato
momento ed in un dato luogo, cioè sostiene il ciclo naturale (
si può riportare il numero di punture infette per ospite umano
o animale per giorno ). La capacità del vettore è
naturalmente influenzata dalla sua densità, longevità,
caratteristiche del ciclo gonado tropico, comportamento
alimentare, ciclo circadiano etc.
La competenza vettoriale è invece una abilità intrinseca (
legata alla specie, al ceppo virale etc ) di trasmettere
biologicamente. Essa dipende dalla sensibilità all’infezione,
dalla relativa incapacità nel contrastarla, dal periodo di
incubazione, detta estrinseca; ed è il risultato di una
millenaria evoluzione.
L’incubazione estrinseca ( IE ) è il periodo che intercorre tra
il pasto di sangue dell’insetto e il momento in cui il virus
viene trasmesso all’ospite vertebrato. Durante questa fase il
virus si moltiplica nell’epitelio dell’intestino e quindi
raggiunge l’emocele e l’emolinfa, ma è solo quando sono
state infettate anche le ghiandole salivari ed il virus passa
effettivamente nella saliva, che il ciclo si può considerare
completo all’interno del vettore biologico. Se si infettano
anche gli ovari ed i follicoli si può verificare la trasmissione
trans ovarica, l’infezione in ogni modo dura per tutta la vita
dell’artropode. La durata della IE, dipende principalmente
dalla temperatura, ma ovviamente anche dalla specie
d’insetto e di virus ( di solito 10-14 gg per Bunyavirus e
Flavivirus e 6-7 gg per Alphavirus )
La competenza è la capacità intrinseca del vettore di portare
a termine il ciclo di infezione virale fino alla trasmissione del
patogeno con la saliva ed è ostacolata dalle cosidette
barriere: ne esistono a livello intestinale, salivare e degli
ovari. La barriera intestinale di infezione è la prima e più
importante difesa dell’insetto, che impedisce la replicazione
primaria nelle cellule dell’apparato digerente. La barriera
intestinale d’uscita invece impedisce la diffusione del virus
nell’emocele. Quest’ultima può essere superata con il
danneggiamento della parete intestinale, per esempio ad
opera delle micro filarie. L’efficacia della barriera intestinale
di infezione dipende però non solo dal ceppo virale, ma
anche dalla dose infettante. Quando il titolo virale è basso,
pochi vettori si infettano. Secondo alcuni è la matrice
peritrofica ad opporre il principale ostacolo all’infezione del
vettore, ma è in forse anche il ruolo di mucopolisaccaridi ed
altre sostanze o enzimi secreti dall’apparato digerente.
Anche nelle ghiandole salivari esitono una barriera
d’infezione ed una d’uscita, fondamentale quest’ultima
perché può impedire la presenza del virus nella saliva.
Indipendentemente dalla presenza della barriera ovarica, la
trasmissione trans ovarica, nelle zanzare, è evento raro
all’interno di una popolazione.
La competenza del vettore, a parità di virus e dose virale, ha
basi genetiche ( recettori specifici e barriere ): esiste una
5
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
variabilità intraspecifica ed una interspecifica. Nel primo
caso dunque ci può essere una variabilità di sensibilità
all’infezione anche tra individui della stessa specie, ma di
diversa provenienza geografica: variabilità della sensibilità
può voler dire che il virus non replica o sereplica non
diffonde. La plasticità evolutiva della competenza ha
utilizzato sia meccanismi che favoriscono la recettività sia la
resistenza all’infezione, a volte o in origine dannosa per il
vettore stesso.
Il concetto di “incriminazione” del vettore, fa appunto
riferimento al ruolo naturale del vettore stesso nel
mantenimento del ciclo virale in un dato ecosistema.
Naturalmente il vettore per essere colpevole deve essere
associato all’ospite serbatoio ( stagione e luoghi devono
coincidere ), la densità del vettore deve essere sufficiente, il
vettore deve potersi infettare dal serbatoio e la capacità del
vettore deve essere dimostrata scientificamente. Il tasso di
trasmissione virale (capacità) dipende dalla fisiologia, dalla
dinamica delle popolazioni, dal clima, dal comportamento
etc, mentre la competenza è intrinseca. Un buon vettore
deve essere sensibile a basse dosi infettanti, avere barriere
permissive, vivere sufficientemente a lungo, avere una breve
IE e naturalmente avere occasione d’incontrare l’ospite.
Il vettore e il suo ospite serbatoio devono coesistere nello
spazio e nel tempo, la potenziale affinità deve trovare una
reale opportunità ( orario e luogo ). Importanti sono anche la
mobilità del vettore ( maggiore negli insetti volanti ) e la sua
aspettativa di vita ( di gran lunga superiore negli aracnidi
rispetto agli insetti volanti ).
Ovviamente clima e stagioni sono imprescindibili, la
temperatura è certamente il fattore più critico, ma anche
umidità e velocità dell’aria, come è noto, influiscono
sull’attività dei vettori.
Quando la trasmissione del patogeno è semplicemente
meccanica, il tasso di infezione dipende soprattutto dalla
densità della popolazione e dal comportamento alimentare (
per esempio un comportamento “interrotto”, spesso indotto
dagli atteggiamenti difensivi dell’ospite, favorisce la
contaminazione di più potenziali serbatoi ).
Non è compito di questa trattazione occuparsi della
patogenesi dell’infezione nell’ospite vertebrato, tuttavia è
utile rammentare che nella trasmissione meccanica sono
importanti la stabilità del virus, la sensibilità del vertebrato e
la sua capacità di sviluppare una viremia ad alto titolo, che
supporta l’infezione del vettore. Un buon serbatoio deve
garantire un alto titolo viremico per un tempo sufficiente, in
cambio il virus non gli arreca gran danno. Nell’ospite a fondo
cieco il virus invece non ha in genere vantaggi e provoca
malattia; dall’altra parte la competenza di vettori con
preferenza ematofaga interspecifica fa si che si infettino
anche ospiti non necessari al ciclo naturale. Gli ospiti, a
differenza dei vettori, sviluppano una immunità e pertanto
non rimangono infetti a lungo, però possono essere molto
mobili ( uccelli e uomini ) e si riproducono, garantendo
nuove generazioni di soggetti sensibili all’infezione.
I cicli arbovirali possono essere urbani o più frequentemente
e da più lungo tempo silvestri o rurali.
Nei cicli urbani generalmente l’uomo è anche serbatoio,
negli altri è uno sgradevole incidente; nei cicli rurali e a volte
anche in quelli silvestri, sono coinvolti gli animali domestici.
L’overwintering è la capacità dell’arbovirus di superare ( cioè
permanere infettante durante ) l’inverno ( nelle regioni
temperate ) o la stagione secca ( ai tropici ): ovvero la
stagione sfavorevole ai vettori non interrompe il ciclo. Certe
specie di zanzare ibernano, o per meglio dire vanno in
diapausa, conservando l’infezione per la successiva
stagione o depongono uova infette ( anche se con bassa
prevalenza ), che resistono alle avversità ambientali
generando insetti infetti ( non esiste infatti trasmissione
verticale efficace, se non seguita da trasmissione
transtadiale ). I microrganismi patogeni hanno guadagnato
molto adattandosi ai vettori e la trasmissione attraverso la
progenie è il meccanismo più fine. E’ possibile anche che
una qualche specie di vertebrato ( magari uno sconosciuto
rettile o anfibio ) mantenga l’infezione in questo periodo
avverso al vettore, magari andando in letargo, oppure il
patogeno può essere reintrodotto da uccelli o altre specie
migranti l’anno successivo.
Cospeciazione è il termine con il quale si indica l’evoluzione
parallela del patogeno e del vettore. Durante questa lunga
fase è facile che siano state coinvolte più di una specie di
vettori, ma non necessariamente con esito favorevole o
comunque con risultati significativi in termini di competenza
e capacità. Ci sono comunque numerosi casi di specie di
vettori diverse per lo stesso virus in aree geografiche diverse
e si tratta di meccanismi che non necessariamente hanno
bisogno di migliaia di anni ( vedi ruolo odierno di Aedes
albopictus ). Inizialmente il patogeno uccide il vettore o
comunque lo danneggia, poi di generazione in generazione
si adattano vicendevolmente.
L’intestino delle zanzare è composto da una porzione
anteriore che ha funzioni digestive ed una posteriore che
digerisce il sangue e assorbe le sostanze nutritive. La
matrice peritrofica è una membrana semipermeabile
extracellulare, composta di chitina e proteine, che separa
l’alimento dalla parete intestinale e che si forma anche in
altre specie di insetti. Probabilmente la MP impedisce la
fuoriuscita di patogeni e/o sostanze tossiche ed evita i
traumi. E’ sufficientemente permeabile da permettere
l’azione degli enzimi digestivi e il passaggio dei principi
nutritivi enteroassorbibili. La necessità della funzione
protettiva della MP nasce dalla mancanza di una cuticola
chitinosa a livello intestinale; ad ogni modo i patogeni che
devono infettare l’insetto possono raggiungere l’epitelio
prima che la PM si formi ( come accade per virus e micro
filarie ), essere in grado di attraversarla ( Plasmodium spp )
o aspettare che si frammenti ( Leishmania ).
Oltre a barriere e membrane protettive, gli insetti possiedono
anche un sistema immunitario, si tratta per lo più di una
immunità innata e dunque aspecifica, di breve durata. La
fagocitosi è esercitata da cellule denominate emociti ( per lo
più plasmociti e cellule granulari ) e si esplica attraverso il
classico sistema dei fagosomi e lisosomi. Esiste anche una
attivazione della cascata proteolitica: nei vertebrati c’è il
complemento e la cascata della coagulazione , negli
invertebrati la attivazione della fenolo ossidasi, la
coagulazione della emolinfa e la sintesi di alcuni peptidi.
Questi ultimi, secreti nell’emolinfa, hanno per lo più azione
antimicrobica ed antifungina. La melanizzazione è un altro
sistema difensivo, una sorta di incapsulamento a scapito di
particolati e batteri, quando sono troppo grandi per essere
fagocitati ( plasmodi o microfilarie ); nelle zecche sembra
che Borrelia spp sia in grado di inibire tale meccanismo di
difesa.
Le ghiandole salivari sono dunque un organo centrale
nell’interazione virus-vettore, quelle dei culicidi sono tubulari,
quelle delle zecche alveolari. Ci sono cellule deputate a
produrre la saliva ed altre deputate a secernere i
componenti accessori utili all’azione ematofaga. La loro
composizione non è perfettamente conosciuta, ma vi si
annoverano sostanze emostatiche, antiinfiammatorie,
immunomodulatrici,
vasodilatatrici,
inibitrici
della
aggregazione delle piastrine, inibitrici della coagulazione,
inibitrici della infiammazione e del dolore e ad azione
immunosopressiva (soprattutto nelle zecche il cui rostro
permane a lungo nella cute ). Nella saliva naturalmente
possono essere presenti i patogeni ( raramente hanno scelto
altre vie ) ed è la composizione della saliva stessa del
vettore che a volte permette l’infezione modificando la
virulenza e l’infettività del microrganismo.
6
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CHIKUNGUNYA: PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI E
LORO UTILIZZO NELLA DIAGNOSI SIEROLOGICA
Lelli D., Moreno A., Lavazza A., Sozzi E., Luppi A., Canelli E., Tamba M., Capucci L., Brocchi E., Cordioli P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia
Key words: Chikungunya, anticorpi monoclonali, ELISA competitiva
inoculazione intraperitoneale di antigene non adiuvato. Tre
giorni dopo, gli splenociti sono stati ibridizzati con cellule di
mieloma murino NS0 in presenza di Peg 4000 secondo una
metodica standardizzata. Lo screening e la successiva
caratterizzazione degli ibridomi ottenuti sono state eseguiti
mediante:
- ELISA indiretta, svolta con antigene purificato adsorbito alle
piastre, incubazione dei sovranatanti delle colture di ibridomi,
seguita
da
identificazione
dei
MAbs
con
anti_immunoglobuline murine coniugate a perossidasi e
sviluppo della reazione cromogena con soluzione di OPDH2O2; ogni incubazione era separata da cicli di lavaggio ed i
volumi di reazione erano 50 Pl/pozzetto.
- Immunoperossidasi (IP), eseguita analizzando i sovranatanti
degli ibridomi su cellule VERO infettate e non infette in
parallelo, per verificare la specificità delle reazioni positive.
- Virusneutralizzazione (VN): diluizioni scalari in base due dei
vari monoclonali sono state aggiunte di un egual volume di
sospensione virale del ceppo CHIKV 209395/07 contenente
100 TCDI50. Dopo un periodo di incubazione per un ora a
37°C, alla miscela virus-MAbs, sono state aggiunte cellule
VERO ed in seguito ad una ulteriore incubazione per 48-72
ore a 37°C è stata eseguita la lettura valutando l’effetto
citopatico.
- Western blotting (WB): la separazione elettroforetica di
CHIKV è stata realizzata su gel di poliacrilamide al 12%. In
seguito al trasferimento su membrana di nitrocellulosa sono
stati saggiati i MAbs prodotti e 4 sieri umani (2 positivi e 2
negativi) utilizzati come controllo. Gli immunocomplessi sono
stati evidenziati utilizzando come anticorpi secondari anti-Ig
murine o anti-Ig umane rispettivamente, coniugati con
fosfatasi alcalina.
Alcuni ibridomi selezionati sono stati clonati per diluizione
limite, coltivati su scala più ampia ed i relativi prodotti (MAbs)
sono stati concentrati e coniugati con perossidasi.
Sieri
Sono stati esaminati 20 sieri umani noti e 493 sieri animali
appartenenti a cinque differenti specie.
I sieri umani, 10 positivi e 10 negativi per la presenza di
anticorpi anti-CHIKV sono stati forniti dal Prof. Sambri
responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le
Emergenze Microbiologiche (CRREM) del Policlinico
S.Orsola Malpigli di Bologna.
I 493 sieri animali sono suddivisi nelle seguenti popolazioni:
Ɣ 256 sieri di cane
Ɣ 28 sieri di nutria
Ɣ 79 sieri di pollo
Ɣ 123 sieri di piccione
Ɣ 7 sieri di coniglio.
Tutti i sieri di nutria, di pollo, di piccione e 62 dei 256 sieri di
cane sono stati prelevati nelle aree colpite dai focolai di
febbre da Chikungunya (comuni di Castiglione di Cervia e
Castiglione di Ravenna); i restanti 194 sieri di cane e i 7 sieri
di coniglio provengono da aree non interessate dall’epidemia
Chikungunya. Tutti i sieri animali sono stati prelevati circa sei
mesi dopo l’ultimo caso di malattia nell’uomo.
SUMMARY
Chikungunya virus (CHIKV) is an Arbovirus member of the
genus Alphavirus and belongs to the Semliki Forest (SF)
antigenic complex. In this study CHIKV strain isolated in
Ravenna (Italy) was used to generate a panel of monoclonal
antibodies. Two neutralising anti-CHIKV MAbs, 1A7 and 1H7,
were selected and used to develop a competitive ELISA test
for the detection of antibodies in human and animal sera.
All 20 human sera (10 positive and 10 negative) were
correctly identified. All 493 animal sera from different animal
species resulted negative.
INTRODUZIONE
Il virus Chikungunya (CHIKV) è un Arbovirus (artropod-bornevirus) trasmesso ai vertebrati tramite la puntura di zanzare
infette appartenenti al genere Aedes, in particolare Aedes
Aegypti, non presente in Italia, e Aedes Albopictus, ormai
stabilmente presente nel nostro paese.
CHIKV è un virus ad RNA situato all’interno della famiglia
Togaviridae ed al genere Alphavirus costituito da 29 specie
raggruppate in gruppi antigenici sulla base di reazioni
sierologiche crociate. CHIKV si trova all’interno del Semliki
Forest antigenic complex (1). Il genoma virale di CHIKV
codifica per quattro proteine non strutturali (nsP1-4) e cinque
proteine strutturali (C, E3, E2, 6K e E1).
L’epidemia di febbre da CHIKV verificatasi nel corso
dell’estate 2007 nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena,
Bologna e Rimini (2,3) rappresenta il primo focolaio europeo
autoctono di malattia tropicale trasmessa da vettori (4).
Durante quell’epidemia, presso il Laboratorio di Virologia e
Sierologia Specializzata dell’IZSLER venne isolato CHIKV da
un campione costituito da un pool di Aedes albopictus
prelevato nella zona di Castiglione di Cervia e Castiglione di
Ravenna (2).
In questo studio, il ceppo 209395/07 isolato in Romagna è
stato utilizzato per la produzione di anticorpi monoclonali
(MAbs) successivamente impiegati in un test ELISA
competitivo per la diagnosi sierologica di Chikungunya in sieri
di animali di varie specie allevati nella zona dove si è
verificata la sintomatologia clinica da CHIKV. Ad oggi il ruolo
degli ospiti vertebrati animali nel mantenimento dell’infezione
è ancora poco chiaro.
MATERIALI E METODI
Virus
Il virus utilizzato per la produzione di anticorpi monoclonali e
come antigene nella reazione ELISA è il ceppo 209395/07
isolato da un omogenato di pool di insetti (Aedes albopictus)
precedentemente risultato positivo alla PCR per CHIKV (2).
L’isolamento è stato eseguito su colture cellulari VERO e
BHK21. Per la produzione di anticorpi monoclonali il virus è
stato coltivato, concentrato e parzialmente purificato
mediante ultracentrifugazione attraverso cuscino di
saccarosio.
L’antigene così preparato è stato utilizzato per
l’immunizzazione di topi Balb/c, per lo screening in ELISA
degli ibridomi, nel test Western-Blotting e come sorgente di
antigene nel test ELISA competitiva.
Anticorpi Monoclonali (MAbs)
Topi Balb/c sono stati immunizzati mediante inoculazione
sottocutanea con antigene parzialmente purificato in
adiuvante completo di Freund seguita, dopo 30 giorni, da una
RISULTATI
Anticorpi Monoclonali.
Il procedimento di fusione ha generato 45 ibridomi producenti
MAbs reattivi verso l’antigene desiderato, 9 dei quali in grado
di neutralizzare il virus.
7
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
2 MAbs anti-CHIKV (1H7 e 1E10) sono risultati positivi in WB,
evidenziando una banda del peso molecolare di 50 Kd
riferibile alle glicoproteine E1 ed E2 dell’envelope (5). I sieri
umani positivi usati come controllo hanno anch’essi
evidenziato la medesima banda, oltre ad una ulteriore banda
riconducibile alla proteina C del capside. Nessuna banda è
stata evidenziata dai sieri umani negativi.
Considerando la reattività nelle prove di screening (ELISA
indiretta ed IP), la capacità di neutralizzare l’infettività virale e
i risultati nell’WB, sono stati selezionati due MAbs, 1H7 e 1A7
(Tab.1), per lo sviluppo di un test ELISA competitivo volto alla
rilevazione di anticorpi anti-CHIKV indipendentemente dalla
specie in esame.
MAbs
1H7
1A7
1
SIERI UMANI CHIK NEGATIVI
2 3 4 5
6
7
8
9
10
1:5
1
0
0
%
1:10
1:20
1:40
1:5
1:10
1:20
1
0
0
%
1:40
Screening
VN
WB
IP
ELISA
+++
+++
+
+ 50kDa (E1-E2)
+++
+++
++
Negativo
Tab.1: Caratteristiche dei MAbs selezionati
1
2
3
4 5
6 7
8
9
SIERI UMANI CHIKV POSITIVI
10
)
FIg. 1: ELISA competitiva per la ricerca di anticorpi antiCHIKV eseguita su sieri umani positivi e negativi.
Entrambi i MAbs 1H7 e 1A7 presentano una reattività intensa
in ELISA indiretta e IP, entrambi neutralizzano l’infettività
virale, ma mentre 1H7 (positivo in WB) riconosce un epitopo
di tipo lineare, 1A7 (negativo in WB) reagisce verso un
epitopo conformazionale. Benché i due epitopi sono distinti,
essi non sono indipendenti nella struttura virale poiché, in test
ELISA di competizione reciproca, i MAbs 1H7 e 1A7
competono reciprocamente per il legame al virus (non
mostrato)
DISCUSSIONE
I MAbs anti-CHIKV selezionati presentano un’ottima reattività
quando testati in immunoperossidasi ed ELISA indiretta. I
risultati ottenuti in VN, WB ed ELISA competitiva dimostrano
che il MAb 1H7 reagisce nei confronti di un epitopo lineare
presumibilmente presente sulla proteina E2 mentre 1A7,
reagisce verso un epitopo conformazionale presente sulla
medesima proteina. Entrambi gli epitopi sono coinvolti nei
meccanismi di neutralizzazione virale.
Il test ELISA competitivo per la ricerca di anticorpi anti-CHIKV
messo a punto in questo studio ha identificato correttamente i
venti sieri umani (10 positivi e 10 negativi). Lo stesso test è
stato utilizzato per una indagine sierologia condotta su 493
animali prelevati nelle aree colpite dai focolai di febbre da
CHIKV senza evidenziare alcuna positività. Sembrerebbe
quindi che, durante l’epidemia italiana, l’infezione abbia
circolato solo all’interno di un ciclo urbano (uomo-vettoreuomo). Questo è in accordo con quanto riportato in
bibliografia da diversi autori secondo i quali, il ciclo silvestre
della malattia sarebbe presente solo nel continente Africano,
dove i primati non umani rappresentano i principali reservoir
d’infezione (6).
L’esame sierologico, soprattutto se praticato attraverso un
test rapido, di facile esecuzione ed applicabile a più specie
animali come il test ELISA competitivo, rappresenta un
mezzo diagnostico utile per comprendere l’epidemiologia di
questa malattia e l’effettivo ruolo degli animali nel ciclo di
diffusione del virus.
ELISA competitiva per la ricerca di anticorpi anti-CHIKV
La reazione è stata sviluppata utilizzando in parallelo i 2
MAbs coniugati (1A7, 1H7). Il principio del test e la procedura
sono di seguito descritti.
Piastre per ELISA Nunc maxisorp sono state adsorbite con l’
antigene CHIKV in concentrazione saturante. Dopo la fase di
lavaggio, 50 μl di ogni siero sono stati aggiunti nella piastra di
reazione ed esaminati in quattro diluizioni: da 1/5 a 1/40.
Immediatamente dopo sono stati aggiunti in ciascun pozzetto
25μl di MAb coniugato con perossidasi ad una diluizione
predeterminata, in grado di generare una densità ottica
intorno a 1,5. Dopo un’ora di incubazione a 37° C e la
successiva fase di lavaggio è stato aggiunto il substrato
cromogeno (OPD+H2O2) per lo sviluppo della reazione; la
lettura è stata eseguita tramite spettrofotometro a Ȝ 492 nm. Il
risultato è espresso come percentuale di inibizione della
reazione rispetto ai pozzetti di controllo (assenza di siero). I
sieri in esame sono considerati positivi se inibiscono il 75% o
più della reazione di controllo alla prima diluizione esaminata.
Ringraziamenti: si ringraziano Daniela Gamba e Giuliana Botti per il
supporto tecnico nella produzione dei MAbs e nelle prove di WB
rispettivamente, il Prof. Vittorio Sambri per la fornitura dei sieri umani.
Sierologia
Nel test ELISA sviluppato, i 10 sieri positivi umani hanno
mostrato una elevata reattività, con capacità di inibire
totalmente il legame di entrambi i MAbs coniugati utilizzati
(1H7, 1A7) anche alla più alta diluizione esaminata (Fig. 1) . I
sieri umani negativi sono stati confermati, non mostrando
alcuna reattività nel test ELISA competitiva.
I 493 sieri di varie specie animali non hanno manifestato
alcuna attività di inibizione del legame all’antigene nei
confronti dei monoclonali marcati utilizzati, risultando tutti
negativi per anticorpi anti-CHIKV.
BIBLIOGRAFIA
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281-6.
8
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RICERCA DEL VIRUS WEST NILE MEDIANTE REAL TIME RT- PCR PER IL GENE CODIFICANTE LA
PROTEINA NON STRUTTURALE (NS2a)
Cersini A., Ciabatti I.M., Damiani A., Manna G., Letizia E., Denisi A., Scicluna M.T., Autorino G.L.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Centro di Referenza per le Malattie degli Equini: Direzione Operativa
Diagnosi delle Malattie Virali, Ufficio Virologia Speciale e Biotecnologie, Via Appia Nuova 1411, Roma
Key Words: West Nile Virus, Real Time PCR, NS2a gene
Abstract
Phylogenetic analysis distributes WNV strains from different
origins within four lineages. Diagnosis of WNV infections can
be carried out by serological, immunohistochemical,
histological and molecular methods. Different real time RT
PCR specific for the 3’ non coding (NC) genome region, the E
and the NS5 genes have been developed. Within a project
working on diagnostic tools for viral equine diseases, we
developed a real time RT PCR targeting an area of the gene
mainly present in NS2a, containing a conserved region of
WNV. Our assay resulted more sensitive than the one
targeting NC, detecting also a reference strain belonging to
the lineage 2 (WNV B956). Specificity was assessed
positively by testing the method toward Borna virus (BDV)
and Equine herpesvirus type 1 (EHV1), both present in the
european equine population. To define the efficiency of the
method an mRNA-NS2a was synthetized, which could
usefully be employed as a non hazardous positive control in
diagnostic routine.
Introduzione
Nell’ambito del progetto di ricerca “Sviluppo di metodi
diagnostici per la sorveglianza delle neuropatologie di origine
virale degli equini” sono stati sviluppati metodi analitici per la
diagnostica di alcune delle encefalomieliti virali a maggior
rischio di diffusione nel continente europeo. Un’altro degli
obiettivi del progetto era anche la preparazione di reagenti a
basso rischio biologico. Fra gli agenti responsabili di possibili
casi di encefalomielite nel nostro paese è stato compreso il
WNV. Classificato nel genere Flavivirus, famiglia Flaviviridae,
è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva
lineare di circa 11.029 nucleotidi. Il WNV è compreso nel
sierogruppo del virus dell’Encefalite Giapponese assieme a
Japanese encephalitis virus, Murray Valley encephalitis virus,
al ceppo Alfuy, St. Louis encephalitis virus ed il Kunjiin virus,
nonché altri virus fra cui ricordiamo, perché di interesse ai fini
della diagnosi differenziale, Usutu virus. Il genoma è
organizzato in una breve regione non codificante di 96
nucleotidi all’estremità 5’ (5’UTR) seguita da una singola
open reading frame (ORF) di 10.301 nucleotidi e da una
regione non codificante di 631 nucleotidi all’estremità 3’ (3’
UTR). La singola ORF codifica per le seguenti proteine:
proteina C del nucleocapside, proteina M di membrana,
proteina E dell’envelope e le proteine non strutturali NS1,
NS2A, NS2B, NS3, NS4A, NS4B e NS5 (Fig. 1)(9).
In letteratura sono descritti metodi che amplificano la NC e la
NS5 (5). Nel presente lavoro viene descritta la messa a punto
di un test di real time RT-PCR per la rilevazione di una
porzione del genoma compresa fra i geni NS1 ed NS2a.
Materiali e metodi
-Matrici impiegate per la messa a punto del metodo Sono stati impiegati due tipi di materiali:1) come negativo,
SNC di equino regolarmente macellato e risultato negativo al
test real time RT-PCR nei confronti della NC; 2) come
campione positivo è stato omogeneizzato lo stesso tessuto
con il ceppo di referenza Egypt 101 inattivato.
-Metodiche di estrazione dell’RNA totale - E’ stata
impiegata una metodica di estrazione che prevede una fase
di omogenizzazione e di separazione dell’acido nucleico di
interesse effettuata secondo le istruzioni riportate dal Fast
RNA“ Pro Green Kit (Q-BIO gene) e seguita dalla
purificazione dell’RNA mediante colonnine silica-based
(Qiagen).
-Scelta dei primers e delle sonde TaqMan - Per la ricerca
di regioni conservate nel genoma di WNV è stato effettuato il
multiallineamento tra i genomi dei ceppi isolati negli animali:
WNV NY99 (GenBank accession no. AF202541), WNV
NY99EQ (GenBank accession no. AF2609667), WNV Italy
98(GenBank accession no. AF404757), Romania 1996
(GenBank accession no. AF260969), Egypt 101 (GenBank
accession no. AF260968) e Kunjin (GenBank accession no.
D00246). Il multiallineamento è stato ottenuto mediante il
metodo CLUSTAL W ed utilizzando il programma Lasergene
(DNA Star Inc., versione 5, Madison WI, USA). E’ stata
selezionata una regione bersaglio altamente conservata tra i
ceppi WNV sopra riportati che si estende per 46 nucleotidi
nella porzione codificante per NS1 (proteasi coinvolta nella
replicazione virale) e per 133 nucleotidi nella porzione
codificante per NS2a (proteasi coinvolta nell’assemblaggio
virale). La sequenza consensus elaborata (da noi chiamata
NS2a) è stata così analizzata mediante il programma Primer
Express version 3,0 (Applied Biosystems) ed è stata
evidenziata una regione bersaglio che si estende dal 3516°
nucleotide al 3621° nucleotide. Le sequenze dei primers e
della sonda sono state confrontate con quelle depositate in
GenBank mediante BLAST. Le sequenze dei primers e della
sonda sono le seguenti:
WNV Fw : 5’-AGTGAATGCTTACAATGCTGATATGAA-3’
WNV Rv : 5’-GATCTTGGCTGTCCACCTCTTG-3’
WNV probe : 5’-FAM-CCTTCTGGTCGTGTTCTTGGCCACCTAMRA-3’
-Ottimizzazione della real time RT-PCR - L’ottimizzazione
del test è stata effettuata impiegando una serie di
combinazioni delle concentrazioni dei primers. Ogni
combinazione di primers è stata analizzata in duplicato,
utilizzando come stampo sia l’RNA totale estratto dalle cellule
BHK21 infette con ceppo Egypt 101, sia diluizioni in base 10
dell’RNA relativo al gene NS2a trascritto in vitro.
L’amplificazione è stata eseguita con lo strumento ABI
PRISM 7900 HT(Applied Biosystems) e con le seguenti
condizioni: 12,5Pl di 2X master mix, 0,65Pl di 40X enzyme
multiscribe, 0,2PM di sonda, 0,6PM di entrambi i primers e 5Pl
di stampo in 25Pl finali. I cicli consistono in: 30’ a 48°C, 10’ a
95°C, seguita da 50 cicli composti da 95°C X 15’’ e 60°C X 1’.
Fig.1
Sino al 2005 i ceppi di virus WN erano classificati in due
lineages: il lineage 1, comprendente gli isolati responsabili di
epidemie umane, e il lineage 2 cui appartengono, virus
endemici in Africa subsahariana e Madacascar (10).
Recentemente (1), a seguito di identificazione di due ceppi
con caratteristiche genetiche diverse (RabV 97-103 e RabV
99-222) è stata proposta una classificazione di WNV
comprendente due ulteriori linee genetiche, rispettivamente 3
e 4.
9
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
-Sensibilità e specificità relativa, limite di rilevabilità - Per
stabilire il limite di rilevazione del saggio real time RT-PCR è
stato sintetizzato in vitro l’ RNA bersaglio relativo al gene
NS2a (RNA-NS2a) con lo scopo di essere impiegato sia per
la messa a punto del sistema, sia come controllo positivo
della reazione. A tal fine la regione target è stata amplificata
(105 bp) e clonata all’interno del plasmide pCRII-TOPO
(TOPO TA Cloning“ Kit Dual Promoter, Invitrogen). Il
clonaggio è stato confermato mediante sequenziamento
effettuato con il BigDye“ Terminator v1.1 Cycle Sequencing
Kit (Applied Biosystems) e con l’apparecchiatura ABI
PRISM¥ 310 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). La
reazione di trascrizione in vitro è stata effettuata con il kit
Mega script T7/Sp6 (Ambion) seguita dalla purificazione del
trascritto con colonnine Centri-Sep (Princeton Separation,
INC).
Per la valutazione della sensibilità relativa sono stati utilizzati
primers e sonda, relativi alla regione NC, che si estendono
dal 10.668° nucleotide al 10.770° nucleotide (7).
La specificità di questo saggio è stata testata su genoma
estratto da ceppi: a) di WNV Lineage 1 stipiti NY99-snowy
owl (ATCC), NY99 equine, NY99 crow, Arb 310/67, Egypt
101, Italy 98, rispettivamente di origine americana, centro
africana, nord africana ed europea; b) WNV Lineage 2, stipite
B956(ATCC) di origine ugandese; c) Usutu virus, stipite SAR
1776 di origine sud africana; d) BDV ed EHV1, entrambi
responsabili di encefalomieliti negli equini. Per la sensibilità
relativa e l’elaborazione della curva standard sono state
effettuate diluizioni seriali in base 10 dell’RNA totale estratto
dalle cellule BHK21 infette.
Risultati e Discussione
Per stabilire la concentrazione ottimale di entrambi i primers è
stato utilizzato sia l’RNA sintetizzato in vitro contenente la
regione bersaglio che l’RNA totale estratto dalle cellule BHK21
infette e tale concentrazione è risultata essere di 0,6PM come
mostrato in Figura 2.
Ottimizzazione concentrazione
primers
tra le diluizioni di stampo ed i valori di Ct con un quadrato del
coefficiente di correlazione intorno a 0,99, indice di un ottimo
funzionamento dei primers selezionati. L’efficienza del test è
(-1/slope)
-1 dove lo
stata calcolata secondo la formula E= 10
slope è pari a –3,619 ed è risultata essere del 90%.
L’efficenza del test è stata confermata utilizzando l’RNA
sintetizzato in vitro e relativo al gene NS2a; inoltre è stato
appurato che la linearità del saggio di real time RT-PCR è
compresa tra 106 molecole (con Ct=20) e circa 120 molecole
(con Ct = 33 ) di RNA-NS2a.
Nella tabella 1 sono riportati i risultati della comparazione
effettuata impiegando il nostro saggio e quello avente come
bersaglio il gene NC. I risultati sono paragonabili per tutti e
due i target molecolari.
Tabella 1. Media dei Ct relativi alle due repliche per ciascuna
diluizione dell’ RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette.
Stampo
primers NS2a
primers NC
Dil.10-1
22,33
22,71
Dil.10-2
25,33
26,34
Dil.10-3
28,98
29,75
La sensibilità del nostro metodo nei confronti dei primers NC
è riportata in tabella 2 impiegando come stampo l’RNA totale
estratto dai diversi virus esaminati. I primers NS2a hanno
mostrato una maggiore sensibilità rispetto ai primers NC,
avendo rilevato anche il ceppo di origine ugandese B956
appartenente al lineage 2. Questo risultato riveste particolare
interesse considerato che, a fronte dei differenti flussi
migratori delle specie aviarie, il continente europeo è a
maggior rischio di introduzione del lineage 2 rispetto a quello
americano.
Tabella 2.Media dei Ct relativi alle due repliche per ciascuna
dell’RNA totale estratto dai virus considerati.
Virus
primers NS2a primer NC
WNV B956 (ATCC)
28,66
negativo
WNV NY99-snowy owl (ATCC) 20,16
16,29
WNV Arb 310/67
16,68
23,13
Usutu virus SAR 1776
negativo
negativo
WNV NY99 equine
19,66
15,91
WNV NY99 crow
19,48
16,20
WNV Italy 98
16,72
16,37
Egypt 101
22,29
22,58
I primers selezionati sono risultati specifici per WNV non
avendo amplificato né un virus correlato (Usutu virus), né
regioni del genoma di altri virus encefalitogeni degli equini
ogetto della nostra ricerca (BDV, EHV-1). Pertanto, il saggio
può essere utilmente impiegato nella diagnosi molecolare
contemporanea delle differenti neuropatologie di origine virale
della specie equina.
Considerate le caratteristiche zoonosiche della WN ed il
rischio di infezioni in laboratorio, l’RNA bersaglio relativo al
gene NS2a (RNA-NS2a) sintetizzato in vitro con lo scopo di
definire l’efficienza del metodo, costituisce un controllo
positivo della reazione a rischio biologico nullo, utile per
l’impiego nella diagnostica corrente.
Figura 2
35
30
25
Ct
20
15
10
300 F
5
600 F
0
primer R (nM)
900 F
900 R
primer F (nM)
600 R
300 R
WNV one-step Real Time STD Curve
35
30
25
20
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Ct
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10. Tsai T.F. et al.(1998) Lancet. 352: 767-771.
15
10
5
0
-3,5
-3
-2,5
y = 22,289-3,619x
2
= 0,9999
R
-2
-1,5
-1
Diluizioni RNA estratto
-0,5
0
Figura 3
Nella Fig.3 è riportato il grafico relativo alla curva standard
ottenuta impiegando i valori medi dei Ct delle cinque repliche
di ciascuna diluizione dei campioni di RNA totale estratto
dalle cellule BHK21 infette. Si osserva una relazione lineare
Lavoro svolto nell’ambito della Ricerca Finalizzata 2005, art.12 D.
Lvo 502/92, “Sviluppo di metodi diagnostici per la sorveglianza delle
neuropatologie di origine virale degli equini.”
10
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CLONAGGIO, ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA VP7 DI BLUETONGUE VIRUS
1
Coradduzza E, 1,2Addis MF, 1Alberti A, 1Chessa B, 2Pagnozzi D, 1Pittau M
1
Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari
2
Porto Conte Ricerche Srl, Tramariglio, Alghero
Key words: Bluetongue, BTV, VP7
600 ng del nostro campione sono stati sequenziati. I risultati
hanno confermato l’identità del gene clonato.
Il gene S7 è stato amplificato dal plasmide pCR2.1
contenente il gene codificante per la VP7 utilizzando primers
contenenti i siti per gli enzimi di restrizione NcoI e BglII. È
stata utilizzata la Pfx (Invitrogen) e il seguente programma di
PCR: 94°C per 2 min, quindi 35 cicli di 94°C per 30 sec, 55°C
per 1 min, 68°C per 1,5 min, ed infine 68°C per 10 min. Dopo
elettroforesi come sopra, il prodotto di PCR è stato purificato
con il Kit GenElute Extraction (Qiagen) e clonato nel vettore
pRSETB con il kit Rapid DNA Ligation (Roche) dopo
defosforilazione e linearizzazione del vettore. Cellule
competenti di E. coli DH5Į sono state quindi trasformate con
il plasmide, piastrate e coltivate come sopra. Il plasmide
amplificato utilizzando le DH5Į è stato estratto e testato con
una digestione di controllo, e quindi utilizzato per la
trasformazione in E. coli BL21 competenti. In queste cellule,
la produzione della proteina ricombinante è stata indotta con
IPTG e monitorata a tempi diversi per l’ottimizzazione del
tempo di espressione. Le colture di E. coli sono state
sottoposte a frazionamento per la determinazione della
solubilità
della
proteina
ricombinante
mediante
congelamento/scongelamento in tampone fosfato. Le
proteine sono state risospese in Laemmli buffer (3), separate
mediante SDS-PAGE su gel di poliacrilamide e colorate con
Coomassie. Per la purificazione della proteina ricombinante,
aliquote di E. coli BL21 alla OD600 di 0,1, trasformate o no
con il plasmide contenente la proteina ricombinante, sono
state inoculate in SOB contenente ampicillina (50 Pg/ml) e
cloramfenicolo (35 Pg/ml). Alla OD600 di 0,4 l’espressione è
stata indotta con l’aggiunta di IPTG. Le cellule sono state
raccolte dopo 3 h, centrifugate e sottoposte alla procedura di
purificazione con il kit ProBond Purification System
(Invitrogen). La separazione è avvenuta utilizzando la
procedura di cromatografia di affinità su colonna impaccata.
Introduzione
Il BTV (Bluetongue Virus) è un virus appartenente al genere
Orbivirus, famiglia Reoviridae (4), trasmesso agli ovini da
insetti ematofagi (Culicoides) e agente eziologico della
Febbre catarrale dei piccoli ruminanti o Bluetongue. La
malattia è caratterizzata da compromissione degli endoteli,
grave infiammazione delle mucose dei tratti respiratorio e
digerente, fenomeni degenerativi a carico della muscolatura
scheletrica, zoppia, aborti e malformazioni fetali (2). Il BTV è
considerato il prototipo del genere Orbivirus, ed è un virus a
RNA bicatenario suddiviso in dieci segmenti. La particella
virale consiste di un capside esterno composto dalle proteine
VP2 e VP5 e da uno strato interno formato dalle proteine VP7
e VP3, che insieme alle proteine VP1, VP4 e VP6 formano il
core proteico (Fig. 1) (5).
Figura 1: Struttura e ciclo infettivo del virus BTV
La VP7, in particolare, è responsabile dell’ingresso del virus
nel citoplasma delle cellule del Culicoides (6). Scopo di
questo lavoro era la produzione in sistemi batterici della VP7
del sierotipo 2 circolante in Sardegna, finalizzata alla messa a
punto di strumenti atti alla prevenzione ed eradicazione della
Bluetongue.
Materiali e Metodi
Il materiale virale è stato isolato da campioni biologici
prelevati da pecore infette, durante l’epidemia di Bluetongue
del 2000 (Fig. 2). È stato effettuato un arricchimento
utilizzando globuli rossi di bovino a 37º C O/N (1). I globuli
rossi sono stati raccolti mediante centrifugazione e si è
proceduto con l’estrazione dell’RNA virale tramite il kit Total
RNA Isolation System (Promega). L’RNA isolato è stato
quindi retrotrascritto usando il kit Reverse Transcription
System della Promega. Il gene S7 del BTV sierotipo 2 è stato
amplificato mediante PCR utilizzando la GoTaq (Promega)
con il seguente programma: 95°C per 2 min, quindi 35 cicli da
95°C per 1 min, 62°C per 1 min e 72°C per 1,5 min, ed infine
72°C per 5 min. Dopo elettroforesi su gel di agarosio al 2% in
TAE, il prodotto di PCR è stato purificato con il Kit GenElute
Extraction (Qiagen) ed utilizzato per il clonaggio nel vettore
pCR2.1 con la metodica TOPO TA Cloning (Invitrogen).
Cellule competenti di Escherichia coli TOP10 sono state
trasformate con il plasmide. Tali cellule sono state piastrate in
terreno LB contenente ampicillina (100 μg/ml) ed incubate a
37°C. Dalle piastre sono state quindi selezionate le colonie
bianche, che sono state amplificate mediante coltura in
terreno LB liquido contenente ampicillina alla stessa
concentrazione. Come controllo, il plasmide è stato estratto
con il kit Pure Link Quick Plasmid Miniprep e digerito con
EcoRI per verificare che contenesse l’inserto di circa 1040 bp
corrispondente al segmento S7 del virus. Successivamente,
Figura 2: Strategia di isolamento del BTV
In seguito a SDS-PAGE, la proteina ricombinante purificata è
stata tagliata dal gel e decolorata con lavaggi successivi in
ammonio bicarbonato pH 8,0 e acetonitrile. Il campione è
stato trattato con DTT 10 mM e iodoacetammide 55 mM in
ammonio bicarbonato 50 mM, pH 8,0. La digestione del
campione alchilato è stata condotta a 37°C O/N con 100 ng di
tripsina. Gli spettri di massa MALDI sono stati ottenuti su un
MALDI micro (Waters, Micromass). I peptidi sono stati
miscelati con un uguale volume di acido Į-ciano-4idrossicinnamico come matrice (10 mg/mL in acetonitrile e
0.2% TFA (70:30, v/v)), applicati al target metallico, ed
asciugati all’aria. La calibrazione di massa è stata eseguita
con una miscela di standard fornita dal produttore. I dati
grezzi sono stati quindi analizzati con il programma MASCOT
(Matrix Science) per l’identificazione della proteina.
11
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
poli-istidina, utilizzabile in seguito per la sua selettiva
estrazione dal lisato batterico. Nella Figura 3 è illustrata la
strategia seguita per la produzione della proteina
ricombinante, come segue: A, amplificazione del gene dal
plasmide di clonaggio; B, ligation nel plasmide di
espressione, C, D, E, F trasformazione in due diversi ospiti
procariotici e rispettivo controllo. Come si può osservare nella
Figura 4, la VP7 ricombinante è stata espressa in E. coli
(sinistra), ed era presente nelle cellule procariotiche in forma
insolubile (centro) (M, marker, -, negativo, +, positivo, P,
pellet, S, surnatante). Si è quindi proceduto con successo alla
purificazione della proteina tramite cromatografia di affinità su
nickel, ottenendo la VP7 virtualmente pulita e libera da
contaminanti (destra).
Risultati e Discussione
Questo lavoro aveva come obiettivo il clonaggio del gene S7
del Bluetongue Virus sierotipo 2 e l’espressione della proteina
da esso codificata (VP7). A questo scopo, si è proceduto
inizialmente con l’isolamento del virus a partire da una
collezione di campioni di sangue prelevato da ovini
sintomatici durante le epidemie di BTV del 2000-2001.
Il virus è stato isolato con successo utilizzando
l’arricchimento con globuli rossi di bovino. Dal momento che il
BTV è un virus ad RNA bicatenario, è stato necessario
retrotrascrivere il suo genoma in DNA perché fosse possibile
applicare le metodiche classiche di clonaggio e renderne
possibile l’espressione in vettori procariotici o eucariotici. Il
primo passo è stata l’amplificazione del segmento di
interesse con l’uso di primers specifici per regioni note della
sequenza. Questa, infatti, anche se soggetta a mutazioni,
presenta sequenze conservate che possono essere utilizzate
per il clonaggio. Il segmento S7 è stato amplificato con
successo (Fig. 2A).
Figura 2: Clonaggio e sequenziamento della VP7 di BTV
sierotipo 2
D
A
B
Figura 4: Espressione della proteina ricombinante e
purificazione mediante cromatografia di affinità.
C
Infine, per validare l’identità della proteina VP7 da noi isolata,
clonata e purificata, si è proceduto alla sua caratterizzazione
mediante spettrometria di massa (Fig. 5), che ne ha
confermato l’omologia con la VP7.
Nel prossimo futuro, la produzione delle proteine ricombinanti
dei diversi sierotipi di BTV circolanti in Sardegna permetterà
di mettere a punto strumenti utilizzabili per la diagnosi e la
prevenzione di questa patologia, con l’obiettivo di giungere
all’eradicazione della patologia nella nostra regione.
CGAGCTTCGGCTTTGTTTCCCGAGCTCGGATCCACTAGTAACGGCCGCCAGTGTGCTGGAATTCGCCCTTTGGACTACACAT
AAGCGGCGCGCGCAATTGCACGTGTTAGCGGGCCGGGCATTGGATTTACGCCGTGTATTGCGAATTCGGGTCGAAGGACAGT
ATACACATCTGCTAAAGTAGACAGTAGAGGTAAGGTTAAGATGCTATCTCGATCGTTTGGCGGGAAAATTGGCGGCAACATG
TTTGGTAAGGTGGTTCTGTTCAAAATCGCAGTTCTCAAACCATGCCAAGTGTGGTCCCTGAAACTATACACGTTAAAAATCT
CCGCCGTTAGAGCTGGATACTGGTTTAAGGTCTTATCCATCGAAATGTAAAAAACTACCTGAATCTGAACCATAGCATTCTG
CTGTGTCGGGTTATGAATTTGTAACGCAGCCTGACCATCCCACGCTATTATACGTCCAGCCCTCATGTCGACGCCACCAACG
CTCACAGTAACGCCGGCTAGCGTTTGCTGCGAATTACCTTGAGGCATAGCGAAGTTCTCAATCCTTCTCCAAACCAGATATA
TCATCATGGGGTCGTTACGACCCTGAAACATTTGTTGTACATCTCCTCGCGCCCCTGCGTTCAACGATACTTGTATCATGTC
GGGCCCACACACAACAGCCGTTACTGCCTGTGCAGCTCGCATAAACCATCTCCCAGGCTGGTAAACCTCTTCTGTTTCTAAG
AAAAAACCATACGGTTGGCGTGCAGGTCCCCATGTTGAAGTCTCACCCGTAACGCGAGCGATCTCATTCGCTGCCTCAGTCG
TGAATGGTATTTCTGGTGTTGCCAATACTCCTATGGTCGCCATATGCTGTGTGTAATCTGGTGATATTGGTCCCACATTAAT
CCCCGCAGCTGATAGCATCATGTCTAAGCACATGAAAACATTTCATTCCTTTGCGCCAATGATGTGGGTCTCATTGTACTCC
CACGCATGTTATCCATATACCTGTTATTGCATGCCCAGTATTTCAATCACATTTGCCTCAACGATTCTTGCTTCCTGTAAAG
TGGCACATGCCCGCATACAGTGAA
Figura 5: Identificazione della proteina mediante
spettrometria di massa MALDI-TOF
Allo scopo di clonare il gene e di ottenere un numero
sufficiente di copie per le fasi successive del lavoro,
l’amplificato è stato inserito in un plasmide di clonaggio (Fig.
2B) e quindi in E. coli (Figura 2C). Dalle cellule trasformate è
stato estratto il plasmide che, in seguito a verifica con
digestione enzimatica (Fig. 2D) e sequenziamento (Fig. 2,
riquadro in basso) ha dimostrato di contenere il gene
codificante per la VP7. Il gene mostra alcune variazioni della
sequenza che lo rendono caratteristico del sierotipo sardo.
A
B
Figura 3: Strategia di espressione
C
D
Questo lavoro è stato finanziato dalla Regione Autonoma
della Sardegna, Assessorati alla
Sanità
e
alla
Programmazione.
Riferimenti bibliografici
1) Clavijo A, Heckert, RA, Dulac GC, Afshar A. 2000. Isolation and
identification of bluetongue virus. J. Virol. Meth., 87, 13-23.
2) Farina R, Scatozza F. 1998. Trattato di malattie infettive degli
a
animali. 2 Ed. UTET, Torino.
3) Laemmli, UK. 1970. Cleavage of structural proteins during the
assembly of the head of bacteriophage T4. Nature 227, 680-685.
4) Mertens, PPC. Orbiviruses and Coltiviruses – general features.
2000. In: Webster RG, Granoff A (Eds), Encyclopedia of Virology.
Academic Press, London.
5) Mertens PPC, Diprose J. 2004 The bluetongue virus core: a
nano-scale transcription machine. Vir. Res. 101, 29-43.
6) Roy P. Bluetongue Virus: Dissection of the Polymerase
Complex. 2008. J. Gen. Virol. 89, 1789-1804.
Abstract
BTV is the aetiologic agent of bluetongue, an infectious disease
affecting small ruminants. In this work, the VP7 of the serotype 2
virus circulating in Sardinia was cloned, sequenced, expressed in
recombinant form, purified, and characterized. Hopefully, in the future
this work will allow generation of prophylactic and diagnostic tools
aimed to control of bluetongue in our region.
E
F
Una volta ottenuto il gene per la VP7 di BTV in forma
ricombinante, abbiamo proceduto al suo clonaggio in un
vettore di espressione per l’ottenimento della proteina. Dal
momento che eravamo interessati a produrre la proteina in
modo da renderne possibile la successiva purificazione, il
gene è stato clonato all’interno di un vettore che consente di
produrre la VP7 in forma di proteina di fusione con coda di
12
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IDENTIFICAZIONE DEI CEPPI DI LEISHMANIA MEDIANTE ANALISI DEI MICROSATELLITI
Reale S., Lupo T., 1 Manna L., 1 Gravino A. E., Rea S., Migliazzo A., Piazza M., Cipri’ V., Vitale F.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Centro di Referenza Nazionale per la Leishmaniosi, Palermo; Università degli studi
Federico II° Napoli
Key words: Leishmania, PCR, Microsatelliti.
specialmente in Sicilia, altri Zimodemi stanno facendo la loro
comparsa (MHON 72, MHON 29 etc.). Nell’ambito dell’attività
di
SUMMARY- Different approach are been developed to
improve the discrimination Leishmania genus using
biochemical and molecular methods. The aim of this paper
was the optimization of experimental protocol to make
discrimination
of
the
isolated
strains
amplifying
microsatellites. These are tandem repeats DNA sequences of
a simple nucleotide motif distributed abundantly in the
eukaryotic
genomes
and
may
reveal
important
polymorphisms in different strains.
sorveglianza della Leishmaniosi canina risulta di grande
interesse la caratterizzazione tra i ceppi isolati all’interno dei
singoli zimodemi. La caratterizzazione isoenzimatica infatti
può avere uno scarso potere discriminativo tra i ceppi
geneticamente e morfologicamente vicini. Tra i vari metodi di
tipizzazione molecolare (RAPD, PCR, RFLP, hybridization) lo
studio dei polimorfismi legati ai microsatelliti sembra essere
quello più informativo. I microsatelliti sono rappresentati da
corte
sequenze
nucleotidiche
ripetiute,
altamente
polimorfiche, sono ben distribuite in tutti gli organismi
superiori e rappresentano un buon supporto per lo studio
della variabilità genetica individuale in genere. L’obiettivo di
questo lavoro è la definizione di profili d’amplificazione dei
microstaelliti che rappresentino motivi di caratterizzazione dei
ceppi di Leishmania.
SOMMARIO –Lo studio dei polimorfismi genetici, può avere
un ruolo importante nella comprensione dei possibili legami
con alcune caratteristiche biologiche, la preferenza
dell’ospite, la diffusione in zone endemiche della Leishmania.
Le sequenze ripetute dei microsatelliti, hanno attualmente
una serie di utilizzi che possono essere riassunti nell'ambito
dello studio della mappatura del genoma, a livello fisico e
genetico. L'analisi standard presuppone l’estrazione del DNA
dal campione in esame, l’amplificazione delle sequenze di
DNA relative ai microsatelliti (tramite PCR) e determinazione
dei pesi molecolare dei frammenti ottenuti tramite
sequenziatore. Il risultato ottenibile è rappresentativo dello
stato polimorfico dei microsatelliti in studio. Risulta pertanto
fondamentale poter disporre di un adeguato numero di
microsatelliti, per arricchire il carico informativo relativamente
al loro uso. Viene qui riportata l’analisi di 9 siti polimorfici
denominati: GA1- GA11, GA2-GA8, GTG-GTG4, GT4-GT12,
4GTG-GTG5, 27GTG-GTG5, GA9-GA7, MIX9-GC/GT12,
GACA1-GACA3, (Tab. 2), (3), che sono originariamente stai
studiati su L. tropica. La tecnica è stata ottimizzata su alcuni
ceppi in collezione presso il Centro di referenza Nazionale
per le Leishmaniosi (C.Re.Na.L.) al fine della definizione del
pannello di microsatelliti utili, informativi e affidabili. Lo scopo
ultimo del progetto è quindi la raccolta di dati di fingerprinting
per l’implementazione di una banca dati presso il centro, in
grado di descrivere la carta d’identità dei ceppi in collezione e
di quelli di nuovo isolamento. In tal modo i dati potranno
fornire un mezzo identificativo veloce per la creazione di una
mappa di diffusione dei ceppi nel territorio.
MATERIALI E METODI – La strategia di lavoro seguita,
prevede nell’ordine le seguenti tappe sperimentali:
1. Estrazione del DNA e PCR
2. Elettroforesi capillare
3. Analisi dei dati
Sono stati impiegati ceppi già in collezione presso il centro di
referenza, che sono stati ripresi dall’azoto liquido e coltivati
per l’occasione in terreno Tobie aggiunto di sangue di
coniglio.
PROG.
MHON
SIGLA
ORIGINE
1
1
IPT1
cane
2
29
Lem 37
cane
3
?
212U
4
?
715
Ceppo viscerale
umano
gatto
Tab.1: Ceppi oggetto delo studio.
L'estrazione del DNA è stata eseguita sul pellet di leishmanie
derivato dalle colture di arricchimento. Per l’estrazione delle
colture, la porzione liquida di Tobie (5ml), è stata centrifugata
a 4000 rpm per 15 min per compattare le leishmanie. Dopo 2
o 3 cicli di lavaggio in soluzione salina 0.3%, il pellet, esente
da
globuli
rossi
residui,
è
stato
estratto
per
omogeneizzazione con una Lysis Mix contenente 1% Tween
20, 1% Non idet P-40, e 20% Chelex. Dopo incubazione a
96° C per 20 min, la miscela è stata centrifugata a 14000 rpm
per 10 min, (1). Il surnatante contenente il DNA, è stato
recuperato e conservato a -20°C fino all’esecuzione della
PCR. La soluzione ottenuta contiene il DNA totale estratto
dal campione e pronto per il test. Sono stati amplificati i siti di
microsatelliti,
utilizzando
un unico programma
di
ampificazione che prevede 3 diverse temperature di
annealing per ogni
tre coppie di primers, denominati
rispettivamente: GA1-(GA)11, GA2-(GA)8, GTG1-(GTG)4 ;
GT4-(GT)12, 4GTG-(GTG)5, 27GTG-(GTG)5; GA9-(GA)7,
MIX9-(GC/GT)12, GACA1-(GACA)3. Tali siti sono variamente
INTRODUZIONE – La leishmaniosi è una malattia che
colpisce sia gli animali (in particolar modo i cani) che l’uomo
tipicamente nelle aree temperate, tropicali e subtropicali del
mondo.
In Italia l’infezione è presente in maniera endemica lungo
tutte le coste e nelle isole, ma sempre più frequentemente
viene descritta in zone ritenute indenni, sia in animali che
hanno soggiornato in zone a rischio, sia in soggetti che non
hanno effettuato spostamenti territoriali. L’agente causale è
un protozoo appartenente al genere Leishmania, parassita
intracellulare obbligato del sistema reticolo-istocitario che
viene trasmesso ad opera dei flebotomi. L’analisi
isoenzimatica è la procedura universalmente accettata per
l’identificazione dei ceppi di Leishmania ed è eseguita solo in
pochi laboratori specializzati in quanto necessita di tempo e
risorse umane (2). I ceppi di L. infantum isolati nel
Mediterraneo appartengono per la maggior parte allo
zimodema MHON-1 anche se,
13
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
distribuiti lungo il genoma e possiedono una capacità
caratterizzante sulla base del numero di ripetizioni di unità
dinucleotidiche e sul grado di omologia di corte sequenze
adiacenti. Le coppie di primers di circa 20bp in media, sono
stati designati ad una distanza di circa 20bp dalle sequenze
polimorfiche. Il primer Reverse è stato usato sempre marcato
con il fluorocromo FAM o VIC (Applied Biosystems). Le PCR
sono state condotte impiegando la miscela di amplificazione
(CORE MIX) prevista nel kit di genotipizzazione con
tecnologia AFLP (Applied Biosystems). I programmi di
amplificazione sono stati impostati con una denaturazione
iniziale di 2 min a 95°C e 35 cicli così composti: 50 sec. 95°C,
temperature di annealing variabili tra i 56°C e i 60°C,
Polimerizzazione a 72°C per 1 min. Dopo l’amplificazione dei
siti polimorfici, i campioni opportunamente preparati, sono
stati iniettati nell’analizzatore genetico ABI Prism 3130
(Applied Biosystems) per essere sottoposti a elettroforesi
capillare per risolvere i diversi frammenti in base al peso
molecolare. Per l’analisi di comparazione è stato utilizzato il
marcatore fluorescente, ROX 500.
Prog. PRIMERS
1
2
3
4
5
GA1(GA)11
8
9
55, 81,
35, 48,
92, 118,
67, 85
128, 212
212U
715
35, 48,
35, 67, 85,
54, 91,
329, 535,
118, 212 543
52
32, 36, 49
GTG(GTG)4
33, 43,
33, 44, 33, 44,
54, 60,
54, 60, 63 54, 60, 63
63
GT4(GT)12
31, 49,
60, 68,
214
31, 49,
30, 31,
60, 68,
48, 60, 68
214
32, 49, 68,
114, 116,
138
4GTG(GTG)5
34, 35, 34, 35,
34, 35,
37, 54, 36, 43,
45, 53,
55, 45, 58 45, 53, 55 55, 58
32, 35, 45,
53, 55, 58
27GTG(GTG)5
7
LEM37
GA2-(GA)8 52
6
RISULTATI – Questo lavoro riporta i risultati preliminari del
metodo di discriminazione molecolare sviluppato da
Schwenkenbenker (3), e qui applicato ai ceppi di Leishamnia
in collezione isolati sul territorio e l’IPT1 di riferimento. Il
metodo è tuttavia applicabile su più larga scala, per la
caratterizzazione di ceppi strettamente correlati di L.
infantum.
La tecnologia è in grado di discriminare tra ceppi differenti, in
relazione alle particolari combinazioni che si possono
ottenere nell’asseto di ogni locus. La PCR amplifica i motivi
dei singoli microsatelliti che vengono risolti in modo non
chiaro su gel ma vengono discriminati molto bene in
elettroforesi capillare, (Fig.2), dove sono apprezzabili anche
differenze di poche basi in lunghezza. L’analisi dei dati
ottenuti, conferma da un lato quanto già noto in bibliografia,
dall’altro rende possibile un’analisi attenta dei ceppi isolati.
Vengono riportati in tabella, i picchi relativi a ciascuno dei 9
markers microsatellitari polimorfici ottenuti su L. infantum. I
test su tali ceppi sono stati ripetuti 4 volte a differenza del
ceppo di riferimento IPT1 che è stato ripetuto 8 volte per
testare la ripetibilità. In tabella sono indicati i singoli picchi
che si ottengono tipicamente per ogni ceppo. Le ripetizioni si
riconoscono, nel tracciato elettroforetico, per la presenza di
cosiddetti picchi satelliti (stutter bands), che precedono e
spesso si accavallano al picco principale più alto. Gli assetti
ottenuti sono ancora oggetto di discussione, comunque è
chiaro come alcuni picchi dell’IPT1 siano riscontrabili anche
in altri ceppi mentre, altri siano esclusivi. Inoltre per alcuni
locus non sono stati riscontrati segnali di amplificazione,
indicando l’assenza della ripetizione. E’ ancora importante
sottolineare come questi primer sviluppati per la L. tropica
siano ben utilizzabili per le specie infantum.
IPT1
GA9-(GA)7
30, 39,
67, 79, 30, 39,
81, 89, 44, 82,
90, 102, 90, 140
140
32, 38,
41, 45
29, 33, 45
29, 38,
30, 54,
MIX954, 70,
70, 140,
(GC/GT)12
140, 163 163
GACA1(GACA)3
30, 44, 60,
30, 44,
67, 79, 81,
60, 67,
90, 102,
81, 90,
130, 140,
102, 140
342
32, 38,
41, 45
32, 43
29, 38,
29, 54, 70,
54, 70,
140, 164
140, 163
48, 56,
43, 49,
48, 56,
43, 48, 55,
100, 135, 54, 135, 100, 135, 134, 142,
142, 145 142, 146 142, 145 145, 178
Tab. 2: Picchi riscontrati in ciascun locus analizzato.
CONCLUSIONI - Il lavoro d’analisi dei dati consiste nella
comparazione dei profili ottenuti nei campioni sottoposti alla
stessa PCR in riferimento al ceppo IPT1. Inoltre è stata
saggiata la ripetibilità del metodo mediante ripetizioni del test
sul ceppo IPT1 e sugli altri di nuovo isolamento. La
comparazione è ancora oggetto di discussione. La variabilità
dei microsatelliti può essersi sviluppata attraverso l’instaurarsi
di cattivi appaiamenti dei filamenti durante la replicazione del
DNA in punti dove cadono ripetizioni vicine. Le mutazione
che incidono sui disappaiamenti, in seguito a processi di
riparazione, possono fissare poi le variazioni puntiformi
assicurando l’instabilita’ del microsatellite sia nei procarioti
che negli eucarioti. E’ inoltre possibile che la variabilità del
numero di ripetizioni e inoltre della sequenza adiacente il
microsatellite sia dovuta alla ricombinazione omologa tra i loci
con lo stesso motivo. Il lavoro rappresenta un approccio
sicuramente utile alla comprensione dei meccanismi di
variabilità genetica di questo protozoo così diffuso nel nostro
territorio.
BIBLIOGRAFIA- 1. Béatrice Bulle, et al. Journal of Clinical
Microbiology, September 2002, p. 3391-3397, Vol. 40, No. 9
Practical Approach for Typing Strains of Leishmania infantum
by Microsatellite Analysis 2. Pratlong, F., et al. 1995.
Leishmania-human immunodeficiency virus coinfection in the
Mediterranean basin: isoenzymatic characterization of 100
isolates of the Leishmania infantum complex. J. Infect. Dis.
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Leishmania tropica. Int J Parasitol. 2006 Feb;36(2):237-46.
Epub 2005 Oct 14.
Fig.1 Esempio di elettroferogramma relativo ad alcuni
microsatelliti
14
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBATTERI TUBERCOLARI ISOLATI IN SARDEGNA DA
VARIE SPECIE ANIMALI, DI ALLEVAMENTO E SELVATICHE
Lollai S.A., Manunta D., Bandino E. (1), Canu G., Carboni G.A., D’Ascenzo V., Ponti N., Rolesu S., Ziccheddu M.,
(2)
Pacciarini M.L. , Patta C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G Pegreffi”, Sassari; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G Pegreffi”,
(2)
Nuoro; Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi da M. bovis, Brescia
Key Words: tubercolosi, mycobatteri tubercolari, fauna selvatica
M. intracellulare. I ceppi risultati appartenere al TB complex
sono stati quindi testati con la PCR multiplex descritta da
Bakshi et al (1), in grado di discriminare tra M. tuberculosis
ed M. bovis. Tre ȝl di DNA di ciascun isolato,
precedentemente estratti per bollitura, sono stati amplificati
utilizzando il kit puRE Taq Ready-To-Go PCR Beads
(Amersham Biosciences), in mix di 25 ȝl totali, contenenti:
200 ȝM dNTP, 10mM Tris-HCl, 50 mM KCl e 1.5 mM MgCl2,
2,5 U Taq polimerasi e 25 pM di ciascuno dei primer riferiti
dagli autori (1, 4). La rivelazione degli amplificati è stata fatta
tramite elettroforesi con il kit Sybr Safe DNA gel stain
(Invitrogen). N. 29 ceppi di bovini e 1 ceppo di cinghiale sono
stati quindi sottoposti a caratterizzazione molecolare tramite
spacer oligotyping (“spoligotyping”) (3) e VNTR typing (2); il
primo basato sul polimorfismo del locus DR (direct repeat),
contenente sequenze DR alternate a sequenze non ripetute,
variabili nei diversi ceppi, il secondo basato sulla presenza e
ripetizione di sequenze di loci contenenti tandem repeats; la
combinazione del numero delle ripetizioni nei 5 loci,
evidenziata tramite PCR, determina i diversi pattern. Una
aliquota di 5 Pl di DNA micobatterico è stata utilizzata in 50 Pl
della seguente mix PCR: buffer polmerasi (5 mM Tris-HCl, 5
mM KCl, 0.7 mM MgCl2, pH 9.0), 200 mM deossinucleotidi
trifosfato, 20 pmol di ciscun primer DRa e DRb, 2,5 U di Taq
polimerasi (Roche). I target sono stati amplificati con il
seguente ciclo: 3 min a 96 °C, 20 cicli di 1 min a 96 °C, 1 min
a 55 °C, e 30 s a 72 °C. L’amplificato è stato ibridato con un
set di 43 oligonucleotidi immobilizzati su filtro, complementari
alle sequenze spacer del locus DR come descritto da
Kamerbeek (3).
Il profilo allelico VNTR (variable numbers of tandem repeats)
è stato calcolato a partire dal peso molecolare dei prodotti
amplificati ottenuti dai loci ETR-A, ETR-B, ETR-C, ETR-D,
ETR-E secondo le modalità riportate da Frothingham, (2).
SUMMARY
Bovine tuberculosis (TB) is an important disease caused by
Mycobacterium bovis, which can infect also man and wild
animals. This paper describes the molecular identification of
strains of M. bovis from cattle and wild boars. In order to trace
back to origin several outbreaks of TB recently occurred in a
limited area of Sardinia, strains were identified by PCR and
characterized by spoligo and VNTR typing. Most isolates
resulted M. bovis, including strains from wild boars. It is the
first time that M. bovis is isolated in wild boars from Sardinia.
Cattle and wild boars strain from the same area shared the
same molecular pattern showing the diffusion of the
microorganism in the environment.
INTRODUZIONE
La tubercolosi bovina (TBC) è una malattia infettiva di grande
rilevanza in termini di salute pubblica. L’agente causale, il
Mycobacterium bovis, è un microrganismo trasmissibile e
patogeno per varie specie animali, di allevamento e
selvatiche, oltrechè per l’uomo. Recentemente una
recrudescenza di TBC bovina si è verificata in un’area della
Sardegna centro-settentrionale, in provinca di Sassari, nella
quale, da circa un decennio, si ripresentano focolai di TBC
che hanno coinvolto anche la fauna selvatica. L’attuale
situazione epidemiologica ci ha indotto a predisporre un
progetto di ricerca, successivamente finanziato dal Ministero
della Salute, che si prefigge, tra l’altro, di valutare il ruolo
della fauna autoctona come possibile reservoir e di ricostruire
l’eventuale circolazione ecologica del microrganismo
nell’ambiente. Il presente lavoro riferisce i risultati di
identificazione e caratterizzazione molecolare, anche
retrospettiva, ottenuta con spoligotyping e VNTR typing, dei
Mycobatteri tubercolari finora isolati, al fine di acquisire dati
utili alla tracciabilità epidemiologica degli eventi in corso.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Ventotto isolati bovini e i 9 isolati di cinghiale, provenienti
questi ultimi tutti dalla zona in cui si è verificata la
recrudescenza, sono risultati Mycobacterium bovis. E’ la
prima volta che nella nostra isola viene isolato un M. bovis da
specie appartenenti alla fauna selvatica. Un ceppo bovino
MTB complex non ha risposto alla PCR sec. Bakshi ed è
risultato un Mycobacterium caprae alla successiva conferma.
L’isolato da organi di capra è risultato un Mycobacterium
avium. L’identificazione PCR e la caratterizzazione
molecolare degli isolati al momento ottenuta è riportata in
dettaglio in Tab.1.
MATERIALI E METODI
Isolamento colturale
Nel presente studio vengono presi in considerazione 39 ceppi
di Mycobatteri isolati da organi di 29 bovini, provenienti da 26
allevamenti della Sardegna, 9 cinghiali e 1 capra, nel periodo
1997-2008.
I campioni sono stati omogenati con Stomacher 400,
decontaminati con NaOH al 4% per circa 20 min, quindi 0,2
ml di omogenato sono stati inoculati in Stonebrink TB
medium + PACT (BD) e Lowenstein-Jensen Medium
(bioMerieux), incubati a 37 °C in atmosfera modificata con il
5% di CO2 fino a sviluppo delle colonie.
Identificazione e tipizzazione molecolare
L’identificazione degli isolati è stata fatta tramite PCR,
utilizzando dapprima il set di primer suggerito da Kulski (4), in
grado di confermare l’appartenenza al genere Mycobacterium
e assegnare l’isolato al TB Complex o alle specie M. avium,
15
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella 1 – Origine, identificazione PCR e caratterizzazione
molecolare conseguita per i Mycobatteri isolati (per lo
spoligotipo vengono indicati gli spacers mancanti dei 43
analizzati).
Anno
Specie
Prov.
Ident. PCR
BIBLIOGRAFIA
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Bakshi CS, DH Shah, Rishendra Verma, RK Singh,
Meenakshi Malik, 2005. Rapid differentiation of Mycobacterium
bovis and Mycobacterium tuberculosis based on a 12.7-kb
fragment by a single tube multiplex-PCR. Veterinary
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Frothingham R and Meeker-O’Connell WA, 1998. Genetic
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variable numbers of tandem DNA repeats. Microbiology, 144,
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3.
Kamerbeek J, Schouls L, Kolk A, VAN Agterveld M, Van
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Mycobacteriumavium and M. intracellulare in Blood Culture
Fluids of AIDS Patients. J Clin Microbiol, 33, No. 3, 668–674
Spoligo/VNTR
1997
Bovino
OR
M. bovis
4-5/54433
1997
Bovino
VS
M. bovis
1997
Bovino
NU
MTB complex
1998
Bovino
CI
M. bovis
34/54433
M.caprae14+,19,3033/53444
BCGlike/42432
1998
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
1998
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
1998
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2001
Bovino
CA
M. bovis
BCGlike/75431
2001
Bovino
CI
M. bovis
BCGlike/43422
2002
Bovino
CI
M. bovis
BCGlike/43432
2003
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2003
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2005
Bovino
CI
M. bovis
BCGlike/42432
2005
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2005
Bovino
CI
M. bovis
BCGlike/43432
2006
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/74431
2006
Bovino
CI
M. bovis
BCGlike/42432
2006
Bovino
CA
M. bovis
BCGlike/75431
2006
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2006
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2006
Bovino
CA
M. bovis
2006
Bovino
VS
M. bovis
2006
Cinghiale SS
M. bovis
BCGlike/75431
15-25,27-30,3236/75431
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
2007
Bovino
SS
M. bovis
BCGlike/75431
Il profilo genico maggiormente presente in Sardegna è il
BCG-Like/75431, che compare prevalentemente nella zona
del Centro-Nord dell’Isola sede della recrudescenza, assieme
al BCG like-74431 (un allevamento ha mostrato di possederli
entrambi). Tale pattern è stato ritrovato in isolati della stessa
zona risalenti al 1998 ed in altri più recenti, compreso quello
da cinghiale, dimostrando la sua presenza nell’area da
almeno un decennio e la sua diffusione nella fauna selvatica.
Il pattern 75431 è stato ritrovato anche in isolati del Sud
dell’Isola in siti che hanno mostrato relazioni epidemiologiche
con gli allevamenti di origine situati nel Nord. Al Sud dell’Isola
sembrano riconoscibili 2 cluster ETR: il gruppo
42432,43422,43432 nella zona Sud-Occidentale (provincia
CI) ed il 54433 nelle province confinanti di Oristano e Medio
Campidano (VS). In provinicia di Nuoro è presente il
Mycobacterium caprae.
16
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI AGENTI INFETTIVI CHE CAUSANO ABORTO
NELLA SPECIE BOVINA
Tramuta C.1, Lacerenza D.1, Zoppi S.2, Goria M.2, Dondo A.2, Rosati S.1, Nebbia P1.
1
Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, FMV, Università degli Studi di Torino, Italia
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
Keywords: multiplex PCR, agenti abortivi, feto bovino
Abstract
In the present study we report a set of five multiplex PCRs
enabling simultaneous and rapid detection of fourteen
infection agents responsible for bovine abortion. We validated
the techniques on a group of 50 aborted bovine foetuses at
different stages of gestation. Results obtained with the set of
multiplex PCRs demonstrate 100% accordance with those
obtained for the same samples by PCRs on single target
genes. The proposed set of multiplex PCRs is a rapid assay
that allow the simultaneous characterization of the main
agents responsible for abortion in aborted foetuses.
Bovine Viral Diarrhea Virus, Bovine Herpesvirus-1, Neospora
caninum, Toxoplasma gondii e Hammondia heydornii.
Allestimento delle multiplex PCRs
Sono state messe a punto cinque multiplex PCRs in grado di
identificare simultaneamente (i) Brucella spp, Leptospira spp.
e Campylobacter fetus; (ii) Neospora caninum, Toxoplasma
gondii e Hammondia heydornii,; (iii) Coxiella burnetii,
Clamydia psittaci e Clamydia pecurum; (iv) Mycoplasma
bovis, Mycoplasma bovigenitalium e Ureaplasma diversum;
(v) Bovine Viral Diarrhea virus (BVD) e Bovine Herpesvirus1(BHV-1).
Le sequenze dei primers sono state in parte reperite in
letteratura (2, 3, 4, 5, 6, 8) ed in parte disegnate sulla base
delle sequenze disponibili sulla banca data GenBank.
Abbiamo verificato che i primers avessero temperature di
annealing simili, in modo da utilizzarli alle stesse condizioni di
amplificazione, una bassa interazione e che generassero
frammenti separabili mediante elettroforesi su gel di agarosio.
Le temperature di annealing, le regioni amplificate e la
grandezza dei frammenti amplificati sono riportati in tabella 1.
Introduzione
L’aborto bovino è una delle principali cause di perdite
economiche negli animali da produzione. Nei bovini, una
percentuale di aborti intorno all’1-2% non è normalmente
considerata fonte di allarme. Di fronte a episodi ricorrenti
(prevalenza di aborti sopra il 3-5%) è necessario mettere in
atto strategie preventive. Il rischio di aborto dipende da
numerosi fattori, come i traumi, le anormalità genetiche del
feto, lo stress, gli agenti tossici, e le malattie infettive (1, 7).
Sono numerosi gli agenti infettivi che possono causare aborto
nella bovina (3, 4). Fra questi alcuni sono anche agenti di
zoonosi e quindi il loro riconoscimento assume particolare
valore.
I metodi di identificazione tradizionale possono non essere
sufficienti per la diagnosi degli agenti infettivi che causano
aborto in quanto in parte risentono dei problemi legati alla
conservazione del campione e inoltre non sempre sono
sufficientemente
sensibili
e
di
facile
esecuzione.
L’identificazione di alcuni patogeni spesso prevede o l’uso di
tecniche come colture tissutali, sonde oligonucleotidiche o
test con anticorpi fluorescenti che generalmente non fanno
parte della routine diagnostica di un laboratorio di
microbiologia veterinaria.
Di particolare interesse è l’impiego di metodi molecolari che
diversi autori propongono per i più comuni patogeni, anche se
la maggior parte dei lavori bibliografici fa riferimento alla
ricerca di singoli agenti infettivi (5 ).
Per questi motivi, lo scopo del lavoro è stato sviluppare un
protocollo diagnostico per la ricerca dei principali agenti
infettivi coinvolti nell’aborto della bovina attraverso tecniche di
amplificazione genica. Più precisamente, sono state
ottimizzate cinque multiplex PCRs in grado di evidenziare
porzioni geniche specifiche per i seguenti agenti batterici,
virali e protozoari: Brucella spp., Clamydia psittaci, Clamydia
pecurum, Leptospira spp., Campylobacter fetus, Mycoplasma
bovis, Mycplasma bovigenitalium, Ureaplasma diversum,
Coxiella burnetii, Bovine Viral Diarrhea Virus, Bovine
Herpesvirus-1, Neospora caninum, Toxoplasma gondii,
Hammondia heydornii.
31KDA MEM
PROTEIN
16S rRNA
16S rRNA
Prodotti
di PCR
(bp)
223
Temp.
annealing
(°C)
50
331
412
50
50
Nc5 region
337
50
Nc5 region
575
50
ITS1
177
50
PCR
Agente infettivo
Gene
i
Brucella spp.
Leptospira spp.
Campylobacter
Fetus
II
Neospora
caninum
Toxoplasma
gondii
Hammondia
heydornii
iii
Coxiella burnetii
Clamydia psittaci/
C. pecorum
16S rRNA
16S rRNA
396
481
50
50
iv
Mycolpasma bovis
Mycoplasma
bovigenitalium
Ureaplasma
diversum
16S rRNA
16S rRNA
198
476
52
52
16S rRNA
831
52
BVD
BHV-1
UTR
Glycoprotein
C
288
389
55
55
v
Tab. 1 – Geni target, lunghezze e temperature di annealing
dei prodotti di PCR
Materiali e metodi
Controlli positivi
Come controllo positivo per i saggi di PCRs è stato utilizzato
DNA ed RNA estratto dai seguenti agenti infettivi: Brucella
spp., Clamydia psittaci, Clamydia pecurum, Leptospira spp.,
Campylobacter fetus, Mycoplasma bovis, Mycplasma
bovigenitalium, Ureaplasma diversum, Coxiella burnetii,
Lavoro su campo
Una volta messa a punto la metodica sui campioni di
controllo sono stati selezionati in modo casuale 50 feti bovini
abortiti in fasi diverse di gestazione e provenienti ciascuno da
un diverso allevamento sito sul territorio Piemontese. Su ogni
feto è stato eseguito l’esame necroscopico per evidenziare la
presenza di anomalie, malformazioni e/o lesioni anatomopatologiche riferibili a malattie infettive. Da ciascun feto sono
17
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
stati selezionati: sistema nervoso centrale (SNC), muscolo,
fegato, milza, rene, polmone, contenuto e parete IV stomaco.
In tutti i campioni testati, i risultati ottenuti mediante multiplex
PCRs hanno confermato al 100% i dati ottenuti con le singole
PCR, confermando quindi l’identificazione degli stessi
patogeni.
Estrazione degli acidi nucleici
L’estrazione degli acidi nucleici è stata effettuata valutando
diversi kit commerciali al fine di ottenere un metodo in grado
di estrarre contemporaneamente sia il DNA che l’RNA dai
diversi tessuti da noi utilizzati (SNC, contenuto e parete IV
stomaco, muscolo, polmone, milza, fegato e rene). E’ stato
pertanto scelto il kit EZ1 RNA Tissue Mini Kit (Qiagen)
seguendo le indicazioni del protocollo supplementare
specifico per l’isolamento degli acidi nucleici totali da tessuti
animali.
Sensibilità delle multiplex PCRs
I frammenti ottenuti da ciascun agente infettivo mediante
multiplex PCRs sono stati clonati all’interno del vettore di
clonaggio pDrive (Qiagen). Il DNA plasmidico ottenuto è stato
successivamente quantificato mediante metodo fluorimetrico
e sottoposto a diluizioni seriali in base 10 per valutare la
sensibilità del pannello di PCR.
L’analisi delle sequenze dei prodotti di PCR ha mostrato una
elevata similarità con le corrispondenti sequenze di N.
caninum (EF202080), BVD (EU180032) e U. diversum
(D78650) presenti in GenBank.
Discussione
Il pannello di multiplex PCRs da noi sviluppato ha permesso
di ottenere risultati del tutto sovrapponibili e concordanti con i
dati ottenuti eseguendo singole PCR per ciascun agente
infettante, evidenziando una elevata sensibilità e specificità.
Questo
protocollo che prevede l’utilizzo della stessa
metodica (PCR) per la ricerca dei diversi patogeni risulta di
facile esecuzione e più rapido se confrontato con l’impiego
dei molteplici esami necessari per una diagnosi di tipo
tradizionale (es. semine virali, colture batteriche, impiego di
kit per la ricerca dell’antigene). Risulta inoltre meno costoso
complessivamente se paragonato all’uso di singole PCR
poiché consente un risparmio di tempo e di costi di reazione
maggiori del 50%. Riteniamo quindi che questo protocollo
possa essere adottato in campo veterinario e applicato alla
routine diagnostica in particolare qualora si vogliano
identificare agenti difficili da coltivare e/o potenzialmente
pericolosi per l’uomo.
L’identificazione di N. caninum, BVD e U. diversum a partire
da prodotti abortiti ha confermato l’applicabilità della tecnica a
partire da tessuti fetali anche se non può essere considerata
indicativa delle prevalenze degli agenti ricercati data l’esiguità
del campione. Saranno quindi necessari ulteriori studi su un
maggior numero di campioni al fine di confermare se queste
infezioni sono il principale fattore di aborto nella bovina
nell’area di studio considerata.
Determinazione degli agenti infettivi
Le multiplex PCRs e le rispettive singole PCR sono state
applicate al DNA estratto dal SNC, contenuto IV stomaco e
milza dei 50 feti bovini per valutare la presenza dei principali
agenti abortivi. I campioni PCR-positivi sono stati
successivamente testati in altri distretti tissutali come il
muscolo, polmone e fegato, al fine di determinare il sito di
infezione preferenziale.
Per confermare la specificità delle bande risultanti dalle
multiplex PCRs, gli ampliconi sono stati sequenziati (ABI
PRISM 310 Genetic Analyzer - Applied Biosystems, USA).
L’avvenuta estrazione del DNA dei campioni PCR-negativi è
stata verificata usando una PCR in grado di amplificare una
porzione genica di 381 bp dell’enzima gliceraldeide 3-fosfato
deidrogenasi (GAPDH). L’estrazione dell’RNA è stata
confermata mediante RT-PCR, amplificando una porzione di
166 bp della subunità alfa dell’ATP-ase.
Bibliografia.
1. Corbellini L.G., Pescador C.A., Frantz F., Wunder E., Steffen D.,
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reactivation of bovine herpesvirus 1 in the tonsils of latently
infected calves. Journal of virology, 74(11), 5337-46.
Risultati
Messa a punto delle multiplex PCRs
I primers utilizzati sia nelle PCR singole che nelle multiplex
PCRs hanno dato origine ad amplificati di lunghezze concordi
alle indicazioni presenti in letteratura ed attese ed in nessun
caso si sono presentate bande aspecifiche. I frammenti sono
stati separarti senza mostrare interazioni. La separazione dei
prodotti di amplificazione mediante elettroforesi su gel di
agarosio al 2% è risultata nitida e di facile interpretazione.
Sensibilità delle multiplex PCRs
La sensibilità è stata misurata con diluizioni seriali dei
plasmidi clonati e ha evidenziato un limite di 20-22 copie per
le multiplex i, ii, iii, v e di 40 copie per la multiplex iv.
Lavoro su campo
I risultati ottenuti sottoponendo alle 5 multiplex PCR
campioni di diversi tessuti a partire da 50 feti bovini hanno
rivelato la presenza di Bovine Viral Diarrhea virus (BVD),
Neospora caninum ed Ureaplasma diversum.
In particolare 4 campioni sono risultati positivi alla PCR per la
ricerca di BVD (8%) ed hanno mostrato una viremia diffusa in
tutti gli organi esaminati. Neospora caninum era presente nel
cervello di 7 feti (14%) confermando il tropismo verso il
tessuto nervoso, nel rene (n=3), nel muscolo (n=2), nel
polmone (n=1) e contenuto IV stomaco (n=1). Due campioni
da contenuto del IV stomaco sono risultati positivi per la
ricerca di Ureaplasma diversum (4%). In entrambi è stata
dimostrata la presenza del germe anche nel polmone ed un
solo campione ha presentato confezione con il BVD.
18
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
PRESENTAZIONE DI CASI CLINICI DI INTERESSE VETERINARIO CON L’UTILIZZO DI UN PORTALE
SCIENTIFICO WEB (PSW)
Dondo, A., Zoppi, S., Bergagna, S., Grattarola, C., Rossi, F., Aliberti, E., Iacobelli, G., Failla, R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Keywords: aggiornamento – internet – medicina veterinaria
Introduzione
Un portale web è un dispositivo specializzato per la gestione,
elaborazione e trasmissione di informazioni, dati e immagini
con un’interfaccia preposta a trattare i flussi di
comunicazione.
La realizzazione del Portale scientifico Web (PSW) all’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Sede di Torino nasce da
un’idea dei medici veterinari operanti presso il Laboratorio di
Diagnostica della Sede di Torino successivamente sviluppata
in collaborazione con il personale del Centro Elaborazione
Dati (CED) dell’Ente stesso.
Lo scopo finale del portale era quello di avere a disposizione
uno strumento innovativo e versatile per poter archiviare,
documentare e poter condividere anche verso l’esterno casi
clinici particolarmente interessanti che si evidenziavano
durante l’attività diagnostica di routine. Pertanto, dall’idea
originale si sono progressivamente aumentate le potenzialità
del portale stesso, infatti, oltre alla sezione dedicata alla
presentazione dei casi clinici, sono stati realizzati differenti
moduli satellite che hanno permesso la gestione della
documentazione fotografica e la creazione di un forum per lo
scambio di esperienze.
voci attivabili con il mouse che verranno successivamente
descritte (Figura n. 2)
La voce “home” permette in qualsiasi momento della
navigazione di tornare alla home page del Portale. Lo stesso
risultato viene ottenuto selezionando il simbolo dell'IZS.
“Your Account” è la sezione in cui è possibile modificare il
proprio profilo.
Figura n. 2: Home page del portale PSW
Materiali e Metodi
Il Portale è stato sviluppato esclusivamente con strumenti
Open Source, ovvero liberamente modificabili, quindi flessibili
e versatili. Tale scelta ha permesso la realizzazione del
prodotto finale a costo zero, poiché tutti i software necessari
al funzionamento del Portale oltre che Open Source, sono
disponibili senza costi di licenza. Inoltre, il server che ospita
l'applicazione era già in dotazione a cura del CED che
provvede alla gestione del sistema Informatico dell'Ente.
“Casi Clinici” è il modulo che costituisce il centro nevralgico
del Portale.
Nasce interamente da un’idea degli amministratori ed è stato
realizzato interamente con le risorse umane già presenti in
istituto e soprattutto senza costi aggiuntivi.
Si sviluppa su un corpo centrale dove vengono inserite le
informazioni necessarie per caratterizzare e identificare un
caso.
Associate al corpo centrale, sono presenti schede accessorie
(Figura n. 1) che meglio descrivono il caso e riportano il
percorso eseguito per formulare la diagnosi eziologia. È
possibile arricchire ogni scheda con file multimediali di natura
diversa (audio, video, testo, immagini).
Selezionandolo dalla schermata principale (Figura n. 2) si
accede al menu principale del modulo. La prima fila di icone
permette di visualizzare le finestre che conterranno le
informazioni relative al caso clinico (Figura n. 3).
Successivamente, la seconda fila permette di accedere alle
finestre di upload di file ritenuti necessari per arricchire e
meglio descrivere le informazioni precedentemente inserite
(Figura n. 3).
Le icone “Cerca Caso” e “Consulta Caso”, sono funzionali
alla ricerca delle informazioni. Le modalità di ricerca sono
modulabili e sono strutturate su menu a tendina, che
agevolano in tal modo la ricerca.
Il modulo “Anagrafiche”, accessibile solo agli amministratori,
permette di implementare le anagrafiche di base necessarie
all'inserimento dei casi. L’implementazione delle anagrafiche
possono essere richieste all'indirizzo [email protected].
“Download” è un modulo preconfezionato che è stato
successivamente strutturato dagli amministratori per
contenere inizialmente l'archivio macrofotografico dell'Ente. In
questa sezione è possibile consultare immagini di repertorio
Figura n. 1: Struttura di un caso clinico
Risultati
Login - L’accesso al portale è previsto per tutti, ma per la
consultazione e l’inserimento dei dati, occorre registrarsi e
ottenere una password.
Una volta effettuato l'accesso, viene presentata la pagina
personale, comunque sempre accessibile dal Top Menu
“Your Account” e nella quale è possibile modificare le proprie
informazioni personali e la password.
Top Menu – Sulla schermata principale, compare, nella metà
superiore della pagina, una stringa composta da una serie di
19
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
richiesta di utenti, si è in grado di approfondire eventuali
argomentazioni scientifiche proposte.
“Invia Avvisi” rimanda al modulo “Submit news” descritto nel
Top Menù.
“Lista Utenti” permette di accedere all’elenco degli utenti
registrati, con la possibilità di visualizzare i dati personali
inseriti dagli stessi e previsti dal Portale.
Il modulo “Web Link” permette agli amministratori di
pubblicare link di interesse suddivisi per categorie,
eventualmente anche su segnalazione da parte degli utenti
iscritti.
costantemente implementate. Queste immagini sono
organizzate in macrocategorie, a loro volta suddivise in
sottocategorie.
“Submit News” permette a ciascun utente iscritto di segnalare
agli amministratori notizie che ritengono di particolare
interesse per la comunità degli iscritti stessi. Infatti, se
approvati dagli amministratori, tali avvisi vengono pubblicati
sulla home page del sito, e memorizzati negli archivi delle
notizie, secondo una classificazione per Argomenti detti
“Topics”, ovvero catalogando tali avvisi in funzione delle
differenti tipologie.
Sulla schermata principale, nella parte sinistra della pagina è
presente una sezione in formato elenco composta da 13
moduli e definita Menù Portale (Figura n. 2).
Discussione
Complessivamente, PSW amplifica l’aspetto formativo di tutto
il progetto, poiché crea il presupposto per lo scambio di
esperienze e favorisce la comunicazione tra i fruitori del
portale, eliminando distanze geografiche e la sincronia
temporale. I punti di forza, facilmente evidenziabili, si
riscontrano principalmente nell’originalità dell’idea e
soprattutto nella facilità di implementazione e nella modularità
costantemente aggiornabile della struttura. Inoltre, la
realizzazione del PSW, a cura di professionalità differenti ma
già esistenti dell’IZS, ha permesso di creare una forte
integrazione tra le unità operative coinvolte.
Lo strumento così realizzato è infine facilmente esportabile
verso Strutture Scientifiche esterne e può contribuire ad
incrementare lo scambio di conoscenze in materia di
medicina veterinaria.
Nel contempo, accanto a tali punti di forza, sono state
evidenziate alcune criticità, quali la necessità di una continua
“autoalimentazione” dei contenuti, che richiede un impegno
costante da parte degli utilizzatori ed in particolare da parte
degli amministratori del portale stesso. Pertanto è necessario
un controllo continuo su tutte le fasi di gestione e di
operatività del portale stesso.
Figura n. 3: Menù principale del modulo “Casi Clinici”.
Oltre al menu “home” che riporta alla home page, e “Casi
Clinici” che è il nucleo fondamentale del portale, dalla sezione
Menu Portale è possibile accedere ad altri moduli:
“Archivio Avvisi” riporta gli avvisi inseriti nella sezione
“Topics” e suddivisi per mese di inserimento.
“Argomenti” riporta al modulo “Topics” descritto in
precedenza.
Il modulo “Cerca” permette la ricerca libera di Avvisi
pubblicati da PSW.
“Download” è il modulo predisposto ad ospitare l'archivio
macrofotografico dell'Ente, prevedendo l'implementazione da
parte di tutti gli utenti registrati.
“Enciclopedia” ospita più enciclopedie predisposte dagli
amministratori del Portale. All’interno di ogni enciclopedia
creata, vi è un'organizzazione alfabetica e, selezionando da
un elenco, ciascuna lettera, vengono visualizzate tutte le voci
inserite con le relative definizioni. Va sottolineato che tali
categorie sono facilmente implementabili dagli amministratori
del PSW.
“FAQ” (Frequently Asked Questions) è l'area in cui gli
amministratori riportano una serie di domande frequenti con
le relative risposte. Tale area può servire agli utenti come
guida immediata per l'uso del portale. Gli amministratori
possono aggiornare i contenuti per venire incontro alle
esigenze degli utenti.
“Forums” è lo strumento con cui gli amministratori hanno
pensato di attivare un canale di comunicazione tra gli utenti.
Infatti tramite i forum, creati ad hoc anche su eventuale
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare va ai tecnici di Laboratorio
Giulia Cazzaniga e Stefania Perin per la preziosa
collaborazione prestata nell’inserimento delle immagini
contenute nella sezione “Download”.
Abstract
“Portale Scientifico Web” (PSW) is the name of a tool
principally born to include “Clinical cases”, a module that pick
up different and particularly interesting anatomo-pathological
findings and concerning laboratory investigations. This
module was enriched with satellite modules, in order to
promote the virtual dialog among users and to amplify training
aid of this project.
Questo studio è stato realizzato solo con strumenti Open
Source. Tale scelta ha permesso la realizzazione a costo
zero di uno strumento informatico per la formazione continua
in medicina veterinaria.
20
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
PREDICTIVE FOOD MICROBIOLOGY AS A TOOL IN RISK ASSESSMENT
Kostas Koutsoumanis
Dept. of Food Science & Technology, Lab. Of Food Microbiology and Hygiene
School of Agriculture, Aristotle University of Thessaloniki, P.O. Box 256, Thessaloniki GR-541 24, Greece, e-mail:
[email protected], ȉel-Fax. + 30 2310 - 991647
Quantitative microbiological risk assessment (QMRA)
is a newly effective tool in food safety management.
To assess human health risk from food-borne
pathogens it is important to determine the number of
the pathogen at the time of consumption (exposure
assessment).
Predictive
microbiology
allows
estimation of pathogen numbers in foods based on
known levels at the starting point of the risk
assessment and the processing and storage
conditions.
In QMRA however, models of bacterial growth need
to be applied in a probabilistic way, in order to predict
the probability that a critical concentration is reached
within a certain amount of time. For this the
uncertainty and variability of factors affecting
pathogen growth should be taken into account and
incorporated in mathematical models. This review
presentation discusses the principles of QMRA and
predictive microbiology, the available software tools
and approaches for an effective application of
bacterial growth modelling in microbial food safety
risk assessment.
21
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO: DINAMICA DI
COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF LIFE DEGLI ALIMENTI RTE
Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Monastero P., Boni P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di
Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia
Key words: Listeria monocytogenes, Shelf life, RTE
Sicurezza Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
della Lombardia e dell’Emilia Romagna proposto quale
strumento scientifico per valutare la conformità ai criteri
microbiologici fissati dal Reg CE 1441/2007 riportando alcuni
esempi di attività sperimentali documentate nell’area riservata
del sito www.ars-alimentaria.it
SUMMARY
The aim of this paper is the presentation of the experimental
draft used by Food Department of Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna for the
valutation of shelf life of ready to eat food by using shelf life
study in association with mathematical model of predictive
microbiology.
MATERIALI E METODI
Il protocollo sperimentale per la valutazione della dinamica di
comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life
degli alimenti RTE prevede 4 fasi:
x rilievo del processo produttivo;
x rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimicofisiche del prodotto
x contaminazione dell’alimento
x individuazione delle temperature di esposizione del
prodotto
Rilievo del processo produttivo
Nel caso degli alimenti RTE consiste non solo nel definire gli
ingredienti che sono utilizzati nelle trasformazioni alimentari, la
rilevazione delle temperature delle fasi di processo e i tempi di
esposizione alle suddette temperature, con particolare
attenzione ai processi termici (pastorizzazione, cottura, giacenza
sotto siero), ma deve definire anche le modalità di presentazione
del prodotto (affettato, in tranci, intero), confezionamento (sotto
vuoto, atmosfera modificata, prodotto nudo), distribuzione (tempi
e temperature di distribuzione e/o commercializzazione,
temperatura di conservazione riportata in etichetta) e consumo.
Rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche
del prodotto
L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la
premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei
prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei
parametri microbiologici, chimico-fisici e merceologici
finalizzata alla creazione di standard di processo e standard
di prodotto.
E’ necessario identificare e quantificare la presenza delle
flore lattiche (popolazioni di lattococchi e/o lattobacilli), il
profilo dei parametri di pH e di acqua libera (Aw) ed,
eventualmente, la presenza di additivi ad attività battericida /
batteriostatica (ad esempio lattato / di acetato di sodio) in
grado di influire sulla capacità di sopravvivenza di L.
monocytogenes nel corso della shelf life.
Il sito www.ars-alimentaria.it (5) è aggiornato con i processi
produttivi di oltre 10000 produzioni relative a circa 5800
aziende produttrici, costituendo una banca dati di riferimento
nazionale per l’approfondimento delle conoscenze relative ai
processi di trasformazione.
Contaminazione sperimentale del prodotto
Le prove sperimentali contemplano la contaminazione degli
alimenti (interi o prima della porzionatura) con livelli di L.
3
4
monocytogenes variabili da 1 x 10 ufc/g o ml a 1 x 10 ufc/g
o ml di prodotto.
Nel caso di prodotti di salumeria il protocollo di
contaminazione prevede l’immersione degli alimenti interi in
miscele di inoculo per circa 15 minuti con successivo
recupero dei prodotti cui segue una fase di asciugatura su
una grata sterile per circa 10-30 minuti al termine della quale
si
procede
con
l’eventuale
porzionatura
ed
il
INTRODUZIONE
Il Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici
applicabili ai prodotti alimentari (1), modificato recentemente
dal Regolamento CE 1441/2007 (2), dedica un’ampia
trattazione agli alimenti pronti al consumo (ready to eat –
RTE) definendo i criteri di sicurezza alimentare riferiti in
particolare al pericolo di trasmissione all’uomo di patogeni
quali Listeria monocytogenes, come per altro indicano anche
i regolamenti internazionali che disciplinano l’esportazione di
questa tipologia di alimenti negli Stati Uniti d’America (3).
Il Reg CE 178/2002 (4) prima ed il Reg CE 2073/2005 in
seguito, hanno posto in primo piano come uno degli obiettivi
fondamentali della legislazione è stato garantire un elevato
livello di protezione della salute pubblica, stabilendo requisiti
generali di sicurezza dei prodotti alimentari in base ai quali un
“alimento” a rischio non possa essere immesso sul mercato.
Affrontando nello specifico il pericolo L. monocytogenes
l’apparato normativo, nell’Allegato I Capitolo 1 Criteri di
sicurezza alimentare del Reg. CE 1441/2007, focalizza
l’attenzione sugli alimenti pronti al consumo distinguendo 2
tipologie di prodotto e definendo “alimento che non
costituisce terreno favorevole alla crescita di L.
monocytogenes” se:
1.
il pH è ” 4,4 o l’acqua libera (aw) ” 0,92
2.
il pH è ” 5,0 e l’acqua libera (aw) ” 0,94
3.
la conservabilità è inferiore ai 5 giorni
4.
una giustificazione scientifica definisca come l’alimento
non supporti lo sviluppo di L. monocytogenes.
L’operatore del settore alimentare è quindi chiamato ad
assumersi piena responsabilità riguardo alla sicurezza
igienico sanitaria del prodotto nei confronti del pericolo L.
monocytogenes, “dovendo dimostrare, con soddisfazione
dell’autorità competente, che il prodotto non supererà 100
UFC/g di L. monocytogenes durante il periodo di
conservabilità (2)”.
La sicurezza igienico sanitaria degli alimenti si basa sulla
capacità di dimostrare su base scientifica l’efficacia delle
misure poste in atto dai produttori per mantenere ad un livello
di rischio accettabile per il consumatore i pericoli
microbiologici, chimici e fisici.
Per documentare la sicurezza dei prodotti RTE durante la
shelf life è necessario operare sulla base dei risultati delle
seguenti attività:
x
prove di shelf life valutando l’influenza della
temperatura (a vari livelli di abuso termico) e/o del
confezionamento (atmosfera modificata, sotto vuoto).
x
approntamento di modelli di microbiologia predittiva.
x
prove di termoresistenza su ceppi batterici per
verificare le curve di crescita e/o di morte in relazione
all’esposizione a differenti temperature.
Scopo del presente lavoro è presentare il protocollo degli
studi di shelf life redatto dal Dipartimento Alimenti e
22
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
I grafici da 13 a 16 sono relativi alla dinamica di
comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life di
Speck affettato e confezionato in atmosfera protettiva
condotta a diverse temperature
confezionamento del prodotto secondo quanto previsto dal
processo produttivo.
Individuazione delle temperature di esposizione del prodotto
I criteri di sicurezza alimentare applicabili per l’intera durata
del periodo di conservabilità dei prodotti possono essere
rispettati “a condizioni ragionevolmente prevedibili” di
distribuzione conservazione ed uso (1); pertanto la
valutazione della shelf life di un prodotto deve essere
condotta a differenti livelli di temperatura che simulino anche
l’esposizione a condizioni di abuso termico.
Gli esempi riportati nel presente lavoro sono relativi ad
alimenti nominalmente da mantenere a +4°C valutati anche
alla temperatura di conservazione domestica (+10°C) ed in
condizioni di moderato e franco abuso termico
(rispettivamente +15 e +20°C).
Grafico 13
+4°C
3
2
8
7
7
7
6
5
4
3
6
5
4
3
2
2
1
1
1
0
0
0
0
20
40
60
80
0
20
40
tempo (giorni)
log ufc/g
regressione
60
max
min
regressione
max
4
3
2
1
0
0
10
tempo(giorni)
log ufc/g
6
5
20
30
40
0
5
10
tempo(giorni)
min
Outliers
log ufc/g
regressione
15
20
25
30
tempo(giorni)
max
min
log ufc/g
regressione
max
min
Il Grana Padano D.O.P. grattugiato, conservato ad una
temperatura ottimale (5°C) ed anche in condizioni di
conservazione
riconducibili
ad
una
situazione
di
conservazione domestica del prodotto (10°C) non supporta la
crescita di L. monocytogenes artificialmente aggiunta che
evidenzia, a +5°C, un valore di riduzione decimale D pari a
oltre 74 giorni; nei campioni contaminati conservati a 15°C,
ovvero ad una temperatura di blando abuso termico il tempo
di duplicazione cellulare è di 2 giorni fino ad arrivare ad un
valore superiore di 2 logaritmi rispetto alla contaminazione
iniziale così come ad una temperatura di conservazione di
20°C dove l’incremento di Listeria è più precoce e con una
velocità indicata da un tempo di duplicazione cellulare di 3
giorni (6).
I grafici da 9 a 12 ripotano la dinamica di comportamento di
L. monocytogenes durante la shelf life di Mortadella affettata,
addizionata (blu) e non (rossa) con conservanti e
confezionato in atmosfera protettiva condotta a diverse
temperature.
Tabella 3
Grafico 9
Grafico 10
Grafico 11
Grafico 12
+4°C
+10°C
+15°C
+20°C
10
10
9
8
7
7
4
3
2
6
5
4
3
2
6
5
4
3
2
1
1
1
0
0
0
0
20
40
60
80
100
0
20
time (days)
regular mortadella
mortadella added with sodiumlactate
Log UFC/g
9
8
7
6
5
Log UFC/g
9
8
7
40
60
80
100
regular mortadella
mortadella added with sodiumlactate
60
80
100
regular mortadella
mortadella added with sodiumlactate
Log UFC/g
6
4
3
0
20
40
60
80
100
time(days)
regular mortadella
10
10
9
9
9
8
8
8
7
7
6
5
4
3
6
5
4
3
6
5
4
3
2
2
2
1
1
1
0
20
40
60
80
20
regressione
predizione combase
40
60
regressione
predizione combase
3
2
0
0
10
tempo (giorni)
log ufc/g
5
4
1
0
0
7
6
20
30
40
0
5
10
tempo (giorni)
log ufc/g
regressione
predizione combase
15
20
25
30
tempo (giorni)
log ufc/g
regressione
predizione combase
In alcune tipologie di salumi, come lo speck, la
biocompetizione delle flore lattiche è cosi intensa (Grafici da
13 a 16) da risultare di efficacia proporzionale all’aumento
della temperatura.
L’utilizzo dei modelli matematici risulta particolarmente utile
non solo per determinare il valore di riduzione decimale dei
microrganismi, ma anche, come nel caso dei dati sulla shelf
life della mortadella, per valutare l’efficacia dell’utilizzo di
agenti ad attività batteriostatica quali ad esempio il lattato/diacetato di sodio.
5
time(days)
10
8
7
log ufc/g
1
40
Grafico 8
+20°C
9
tempo (giorni)
0
20
Grafico 7
+15°C
10
0
2
0
time (days)
Grafico 6
+10°C
0
10
9
8
Log UFC/g
Log UFC/g
10
Grafico 5
+4°C
Log UFC/g
4
9
8
Grafico 16
+20°C
DISCUSSIONE
La valutazione della shelf life di un alimento è un percorso
molto complesso che deve prendere in considerazione sia gli
aspetti tecnologici del processo produttivo che le
caratteristiche microbiologiche e chimico fisiche dell’alimento,
correlandole con le possibili variazioni che si possono
manifestare durante la vita commerciale del prodotto in
relazione alle differenti temperature di esposizione.
Il ricorso alla microbiologia predittiva non può essere
limitato alla mera considerazione dei parametri chimico fisici
(pH ed Aw) dell’alimento in quanto la presenza delle flore
lattiche può modificare notevolmente i valori della predizione,
come riportato nel caso del Grana Padano D.O.P. dove, i
grafici da 5 a 8, riportano il confronto tra i valori attesi, in
rosso, (www.combase.cc)(7) e quelli realmente ottenuti
durante la prova sperimentale (in blu).
10
9
8
Log U FC/g
Log UFC/g
6
5
10
9
Log UFC/g
9
8
7
Grafico 4
+20°C
Log UFC/g
10
10
Log UFC/g
Grafico 3
+15°C
Log UFC/g
Grafico 2
+10°C
Grafico 15
+15°C
Lo speck affettato e confezionato in atmosfera modificata è
un alimento RTE che non consente lo sviluppo di L.
monocytogenes durante la shelf life, indipendentemente dalla
temperatura di conservazione del prodotto.
I grafici mostrano come l’interruzione della catena del
freddo determini una diminuzione del valore di riduzione
decimale (D) per L. monocytogenes, (da 71 giorni a +4°C
sino a 27 giorni a +20°C) in relazione ad un incremento delle
flore lattiche, naturalmente presenti nel prodotto.
RISULTATI
I grafici da 1 a 4 sono relativi alla dinamica di
comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life di
Grana Padano D.O.P. grattugiato e confezionato in atmosfera
protettiva condotta a diverse temperature.
Grafico 1
+4°C
Grafico 14
+10°C
mortadella added with sodiumlactate
La mortadella affettata se conservata ad una temperatura
ottimale di 4-5°C non supporta la crescita di L.
monocytogenes; tuttavia all’aumentare della temperatura di
conservazione la Listeria è in grado di replicarsi già ad una
temperatura di 10°C. In situazioni di abuso termico più o
meno spinto, 15 e 20°C, la velocità di duplicazione aumenta
in funzione della temperatura.
La presenza nell’impasto della mortadella di una miscela di
antimicrobici, lattato di sodio e di-acetato di sodio, ostacola
sensibilmente la capacità della L. monocytogenes di
moltiplicarsi tanto a temperature di conservazione ottimali e
ragionevolmente prevedibili, 5 e 10°C, che in situazioni più
critiche (15°C).
BIBLIOGRAFIA
1. Reg.CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005.
2. Reg. CE 1441/2007 della Commissione del 5 Dicembre 2007
3. P. Daminelli, et al. “Listeria monocytogenes in alimenti Ready to
eat: la normativa comunitarie e la regolamentazione per
l’esportazione verso gli U.S.A.” Industrie Alimentari XLVI (2007)
dicembre
4. Reg. CE 178/2002 del 28 Gennaio 2002
5. www.ars-alimentaria.it
6. Finazzi G., Daminelli P., Bonometti E., Boni P., “Valutazione della
dinamica di sopravvivenza di L. monocytogenes nel formaggio
Grana Padano DOP grattugiato“Industrie Alimentari XLVII (2008)
7. www.combase.cc
23
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ANALISI DEL PIANO REGIONALE CAMPIONAMENTO ALIMENTI NELL'OTTICA DELLA VALUTAZIONE
MICROBIOLOGICA DEL RISCHIO ALIMENTARE
Barrucci F.(1), Mancin M.(1), Cibin V.(1), Capello. K.(2), Barco L.(1), Ricci A.(1)
(1)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie-- Struttura complessa di Analisi del Rischio e Sistemi di Sorveglianza in Sanità Pubblica
(2)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Unità operativa staff di direzione sanitaria
Key words: Rischio alimentare, Campionamento, Simulazione
Introduzione
Il piano campionamento alimenti 2007 dei servizi veterinari è
stato ampiamente rimodulato rispetto alle edizioni precedenti
sulla base del Regolamento (CE) No 2073/2005. Nell’ottica di
poter utilizzare i risultati del piano campionamento 2007 per
svolgere valutazioni del rischio, che necessitano di una
maggiore precisione delle stime di prevalenza, uno degli
obiettivi del piano di campionamento alimenti 2007 è stato
quello di portare a 5 le unità campionarie (u.c.) costituenti il
campione al fine di aumentare la precisione della stima della
prevalenza. Fatta eccezione per alcune matrici non incluse
nel Regolamento, per cui è stato definito un campionamento
in singola unità campionaria, per le rimanenti il
campionamento è stato previsto in 5 u.c., a meno che la
normativa non richiedesse espressamente un numero diverso
di unità campionarie, nel qual caso ci si è attenuti a tale
indicazione.
Complessivamente quindi è stata pianificata l’esecuzione di
9500 analisi e la ripartizione dei campioni per ciascuna
matrice è stata definita considerando sia le prevalenze di
Salmonella spp. e Listeria monocytogenes, stabilite nel corso
dei precedenti piani, sia l’importanza delle singole tipologie
alimentari nella realtà produttiva del territorio.
Tabella 1: Alcuni valori della probabilità di accettazione di un
campione data la prevalenza p nel caso di piano n=3, c=0 e
di piano n=5, c=0
p(%)
Pa
p(%)
Pa
n=3
c=0
n=5
c=0
0 10
1 0.73
0 10
1 0.59
20
0.51
20
0.33
30
0.34
30
0.17
40
0.21
40
0.08
50
0.12
50
0.03
60
0.06
60
0.01
La Fig.1 riporta la probabilità di accettazione (sull’asse delle
ordinate) in funzione della prevalenza (asse delle ascisse).
Fig.1
Grafico della probabilità di accettazione in funzione
della prevalenza per piano n=3, c=0 (linea) e piano n=5, c=0
(tratteggio)
Probability of accepting
1.0
0.8
0.6
Materiali e metodi
Nel piano campionamento 2007 si è posta particolare
attenzione alla numerosità delle unità campionarie che
compongono il campione, in particolare è stata fatta la
richiesta di inviare campioni invece che in 3 u.c. in 5 u.c.,
dove la legge non precisa altre indicazioni.
Dai risultati del piano campionamento si osserva un aumento
della prevalenza passando dal 2006 al 2007. Abbiamo voluto
studiare se questa variazione è da imputarsi al passaggio da
3 a 5 unità campionarie.
Consideriamo il piano di campionamento definito come in (1)
dai tre parametri N, n e c, dove N indica il numero di campioni
e n indica il numero di unità campionarie che costituiscono un
campione. Il parametro c è il numero massimo consentito di
unità campionarie positive, ovvero se c o meno unità
campionarie evidenziano con test di laboratorio la presenza
del microrganismo oggetto di indagine allora il campione è
accettabile ed è considerato negativo. Nel caso specifico
della ricerca di Salmonella negli alimenti, per esempio nei
preparati di carne, il campione è formato da n=5 unità
campionarie, ovvero 5 aliquote da 25gr della matrice oggetto
di indagine, e c=0 ovvero il campione è considerato positivo
se almeno una delle unità campionarie è positiva.
E’ evidente che modificando i parametri n e c la probabilità di
“accettare” un campione, ovvero di considerarlo negativo, si
modifica. In particolare la probabilità di accettare è funzione
della prevalenza “reale” p (utilizzando la distribuzione
binomiale):
Pa
¦
c
x
0.4
0.2
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
Prevalence
Si osservi che al crescere della numerosità delle unità
campionarie n, a parità di p e c, la curva assume un
andamento più ripido e quindi diminuisce la probabilità di
accettare un campione (cioè classificare un campione come
negativo) e di converso la probabilità di rifiutarlo aumenta
(cioè di classificarlo come positivo). Ne consegue che, data
una certa prevalenza p, un campione composto da 3 unità
campionarie ha una probabilità inferiore di venire rifiutato
(classificare il campione come positivo) rispetto ad un
campione in 5 unità campionarie
Risultati e discussione
Per studiare l’effetto del passaggio da 3 a 5 unità
campionarie abbiamo simulato il campionamento di una
matrice alimentare con prevalenza nota, nel primo caso pari a
10% e nel secondo caso pari a 1%.
In pratica abbiamo simulato la condizione (positivo/negativo)
di una matrice alimentare supponendo una prevalenza nota
del 10% (o 1%) e abbiamo simulato il prelievo di 100
campioni in 3 unità campionarie e il prelievo di 100 campioni,
dalla stessa matrice simulata, in 5 unità campionarie. Sempre
basandoci sullo schema che definisce il campione positivo se
almeno una delle unità campionarie è positiva, abbiamo
stimato la prevalenza della matrice come rapporto tra numero
di campioni positivi e il numero totale di campioni.
Nel caso di matrice con prevalenza pari al 10%, la stima della
§n· x
¨ ¸ p (1 p) n x
0¨ ¸
© x¹
Riportiamo in tabella 1 alcuni valori per n=3 e c=0 e per n=5 e
c=0.
24
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
prevalenza ottenuta tramite campionamento in 3 u.c. è pari a
4,9% con intervallo di confidenza al 90% [2%;9%]; mentre la
stima ottenuta simulando un campionamento in 5 u.c. è pari a
8,9% con intervallo di confidenza al 90% [5%,14%]. Nella
figura 2 sono rappresentate le distribuzioni di probabilità delle
due stime della prevalenza.
Riferimenti bibliografici
1.
Distribuzione della stima della prevalenza
18
M6: Mean=0,08907
16
F6: Mean=0,049174
14
12
10
8
6
4
2
0
0
0,0625
5%
0,125
90%
,05
0,1875
0,25
5%
,14
Fig.2
Grafico delle distribuzioni di probabilità delle stime
della prevalenza per schemi di campionamento n=3, c=0
(verde) e n=5, c=0 (viola) nel caso di prevalenza reale pari al
10%
Nel caso di matrice con prevalenza pari all’ 1%, la stima della
prevalenza ottenuta tramite campionamento in 3 u.c. è pari a
0,5% con intervallo di confidenza al 90% [0%;2%]; mentre la
stima ottenuta simulando un campionamento in 5 u.c. è pari a
0,7% con intervallo di confidenza al 90% [0%,2%].
Visto i limitati miglioramenti della precisione della stima nel
caso di prevalenza all’ 1% ottenuti passando da 3 a 5 u.c.,
abbiamo provato a simulare anche il campionamento in 10
u.c. Questa volta si è avuto un notevole miglioramento della
precisione della stima della prevalenza, infatti la stima
ottenuta è pari a 0,9% con intervallo di confidenza al 90%
[0%,3%].
Dall’analisi dei risultati della simulazione risulta che l'utilizzo
di campioni in 3 u.c. può comportare una sottostima della
prevalenza, specialmente quando la prevalenza è molto
bassa e/o il patogeno non uniformemente distribuito.
Inoltre i risultati della simulazione hanno mostrato che un
aumento del numero di u.c. permette di ottenere una stima
della prevalenza più attendibile, precisa e accurata.
Alla luce dei risultati della simulazione è stato possibile
analizzare correttamente i risultati del piano campionamento
alimenti 2007 e confrontarli con quelli del piano del 2006.
Summary
The local authority food sampling program for 2007 have
been widely modify according to Regulation 2073/2005 and in
order to provide valuable information for risk assessments.
The main objective of the 2007 food sampling program was to
increase the number of sample units forming a sample with
the aim of providing more accurate prevalence estimates.
In order to evaluate the effect of increasing from 3 to 5
sample units (s.u.), the sampling of a food with different levels
of prevalence was simulated according to two different
sampling plans (n=5, c=0 and n=3, c=0).
From simulation results it was possible to conclude that using
3 s.u. could underestimate the real level of prevalence, using
5 s.u. increasis the precision of prevalence estimate.
Moreover in the light of simulation results, 2007 food
sampling program results were correctly analyzed and
compared with results from 2006.
25
“Microorganisms in Foods 7: Microbiological Testing in Food
Safety Management” By International Commission for the
Microbiological Specifications of Foods (ICMSF). Kluwer
Academic/Plenum Publishers, 2002, New York.
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
INDAGINE PRELIMINARE E CARATTERIZZAZIONE DI LISTERIA SPP IN DIFFERENTI MATRICI ALIMENTARI
Cogoni M. P.1, Brignardello S.1, Sabiu R.1, Cosentino S.2, Pisano M.B.2Decastelli L.3, Mantoan P3, Brunetti R3
4
5
Parisi A. , Normanno G.
1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna-Cagliari
2)Dipartimento di Biologia sperimentale, sezione Igiene, Università di Cagliari
3)Istituto zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, Torino
4) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata – Putignano (BA)
5) Dipartimento Sanità e benessere animale- Facoltà di medicina veterinaria- Università di Bari
Key words: foods, Listeria monocytogenes, Amplified Fragment Length Polymorphism
ABSTRACT
In this study, the presence of Listeria spp. in 223 samples of
different food products was evaluated. Twelve samples
(5,4%) were positive for Listeria spp. and Listeria
monocytogenes was the most represented species. High
isolation frequency was recorded in meat products. The
Listeria strains were characterized by serotyping and by PCR
for the presence of PrfA and HlyA virulence-associated
genes. Species discrimination and different genotypes were
identified by Amplified Fragment Length Polymorphism.
This study is a preliminary step of research project aiming to
characterize zoonotic pathogens along the sheep-goat chain.
INTRODUZIONE
La listeriosi, è una zoonosi causata da Listeria
monocytogenes. Si tratta di un bacillo Gram-positivo con
caratteristiche di resistenza ed adattamento a situazioni
ambientali stressanti tali da consentirgli di sopravvivere e
replicarsi negli alimenti e nell’ambiente. L’insorgenza di
emergenze legate alla listeriosi è imputabile anche ai
processi di produzione, conservazione e distribuzioni
alimentare su larga scala che offrono situazioni ambientali
particolarmente favorevoli al microrganismo. I casi di listeriosi
nell’uomo dal 2005 al 2006 sono aumentati dell’8,6 %, con
un incremento del 59% negli ultimi 5 anni a livello europeo
(1).
Considerata la gravità che l’infezione da L. monocyotgenes
spesso riveste, abbiamo svolto un’indagine al fine di
verificarne la distribuzione in differenti prodotti alimentari
considerando l’attualità di tale patologia e l’associazione con
alimenti contaminati. I ceppi sono stati, inoltre, tipizzati in
base alle caratteristiche sierologiche e molecolari allo scopo
di approfondire le conoscenze sulla loro diffusione nelle
diverse matrici alimentari.
MATERIALI E METODI
Lo studio effettuato ha preso in considerazione campioni di
diversa origine alimentare provenienti da varie aziende sarde
e analizzati tra il 2006 e il 2008 presso il Laboratorio Alimenti
dell’Istituto Zooprofilattico. Le matrici alimentari processate
comprendono:
Formaggi (n. 78)
Prodotti lattiero-caseari (n. 99)
Latte alimentare (n. 29)
Carne e preparazioni a base di carne (n. 4)
Prodotti a base di carne (n. 7)
Prodotti ittici (n. 6)
Isolamento ed identificazione:
i campioni sono stati sottoposti ad analisi microbiologica per
la ricerca di Listeria monocytogenes secondo la metodica
UNI EN ISO 11290-1.
Da un totale di 223 campioni, sono stati isolati 8 ceppi di
Listeria monocytogenes, di cui 3 isolati da matrici carnee, 4
da formaggi e prodotti lattiero caseari, uno da prodotti ittici.
Nessun campione di latte alimentare è risultato positivo.
Inoltre sono stati isolati 4 ceppi di Listeria innocua, di cui 2
isolati da formaggio grattugiato, uno da ricotta, ed uno da
salsiccia stagionata. Un solo ceppo di Listeria ivanovii è stato
isolato da un formaggio ovino (Fig. 1)
Fig. 1- Percentuale di isolamento di Listeria spp in diverse matrici
alimentari
50
% campioni positivi
45
40
35
30
25
20
15
10
5
L. monocytogenes
L. innocua
0
Formaggi (N.
c amp. 78 )
Prodotti lattieroc aseari (N. camp. Latte alimentare
(N. c amp. 29 )
99)
Prodotti a base di
c arne (N. c amp. 7
L. ivanovii
Carne e
preparazioni (N.
c amp. 4)
Prodotti ittic i (N.
c amp. 6)
L. innocua
30,8%
L. ivanovii
7,7%
L. monocytogenes
61,5%
Fig. 2- Distribuzione percentuale dei ceppi di Listeria spp isolati da
diverse matrici alimentari
Sierotipizzazione:
i ceppi identificati come Listeria monocytogenes sono stati
sierotipizzati mediante antisieri polivalenti e monovalenti
(Denka Seiken Co) per l’identificazione degli antigeni somatici
e flagellari.
Ricerca geni di virulenza: l’estrazione del DNA genomico è
stata effettuata con la resina Instangene (BioRad), secondo
le indicazioni della ditta produttrice.
La ricerca dei geni di virulenza PrfA (Pleiotropic activator) e
HlyA (listeriolisina) è stata effettuata in tutti i ceppi di Listeria
spp. isolati con la tecnica multiplex-PCR utilizzando i primers
specifici e le condizioni di amplificazione descritte in
letteratura (2)
Caratterizzazione in AFLP:
Tutti i ceppi di Listeria spp. sono stati caratterizzati mediante
la tecnica di AFLP. I prodotti PCR sono stati separati
mediante Genetic analyzer 3130 (Applied Biosystems). I
frammenti AFLP compresi nel range tra 75 e 500 bp sono
stati considerati per l’analisi numerica. I profili AFLP sono
stati importati nel software Bionumerics 5.0 quindi comparati
usando il coefficiente di correlazione Dice e riuniti in cluster
usando l’algoritmo Unweighted Pair Grouping Matching
Average (UPGMA). Gli stipiti che presentavano un livello di
26
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
similarità dei profili AFLP pari o superiore al 95% sono stati
considerati geneticamente correlati (3).
Sierotipi di L.monocytogenes identificati
RISULTATI E DISCUSSIONE
Complessivamente 12 campioni (5,4%) sono risultati positivi;
negli alimenti carnei ed in particolare nei prodotti a base di
carne, su otto campioni analizzati, 3 sono risultati
contaminati da Listeria spp. La specie più rappresentata è
risultata Listeria monocytogenes (8 campioni) seguita da L.
innocua (4 campioni) e L. ivanovii (1 campione). In un unico
campione si è riscontrata la presenza di Listeria
monocytogenes e di L. innocua.
Per quanto riguarda la ricerca dei determinanti di virulenza
(Fig. 3), tutti i ceppi di L. monocytogenes sono risultati
portatori del gene HlyA. Il gene PrfA codificante per la
proteina PrfA che attiva la trascrizione di numerosi geni di
virulenza, è stato rilevato in tutti i ceppi di L. monocytogenes
ed eccezione dei ceppi isolati da campioni di ricotta e
formaggio grattugiato. Questi ceppi potrebbero essere
considerati avirulenti dato che, alcuni studi hanno evidenziato
che ceppi mutanti mancanti del gene PrfA hanno un ridotto
livello di trascrizione dei geni che sono coinvolti nel
meccanismo di patogenesi di L. monocytogenes (4,5).
La ricerca dei geni di virulenza ha dato esito negativo nei
ceppi di L. innocua e L. ivanovii analizzati.
f ig ur a 3 - Pr esenz a d ei g eni d i vir ulenz a nei cep p i d i List er ia
analiz z at i.
4b/4c
1/2a
1/2c
1/2b
Fig. 4: distribuzione dei sierotipi
Lo studio svolto fin’ora rappresenta una fase preliminare di un
progetto di ricerca volto alla valutazione del rischio ed alla
caratterizzazione di agenti batterici di zoonosi alimentare. Dai
nostri risultati si delinea in questa fase un incremento degli
isolati, pertanto, ai fini epidemiologici, appare indispensabile
procedere alla tipizzazione attraverso l’applicazione di
numerose tecniche sia microbiologiche che molecolari per
acquisire informazioni sulla circolazione e la distribuzione dei
diversi ceppi in ambito alimentare.
Tutto ciò deve essere supportato da strategie a garanzia
dell’applicazione di buone prassi igieniche in combinazione
col sistema HACCP, le quali applicate in modo corretto sono
in grado di ridurre al minimo le contaminazioni che possono
verificarsi in fase di lavorazione.
sp p .
8
6
BIBLIOGRAFIA
1 - Istituto Superiore di sanità- Centro Nazionale di Epidemiologia,
Sorveglianza e Promozione della Salute- aggiornamento 20/6/2008
2 - Cooray Karven J., Takeaki N., Huabao X., Tohey M., Masashi
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Genes of Listeria monocytogenes by PCR in Artificially
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Microbiology Vol. 60, No. 8, 3023-3026.
3 - Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A.,
Santagata G – 2008 - Prevalenza e caratterizzazione genetica di
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4 - Chakraborty T., Leimeister-Wachter M., Domann E., Hrtl M.,
Goebel W., Nichterlein T., Notermans S. -1992- Coordinate
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5 - Mengaud J., Dramsi S., Gouin E., Vazquez-Boland J. A., Milon
G., Cossart P. – 1991 – Pleiotropic control of Listeria
monocytogenes virulence factors by a gene that is autoregulated.
Molecular Microbiology 5, 2273-2283
6 – Conter M., Di CiccioP., Zanardi E., d’Orio v., Ghiaini s.,
Vergara A., Ianieri A. – Caratterizzazione genotipica e sierologia di
Listeria monocytogenes isolata da alimenti e ambienti di
lavorazione – atti convegno AIVI 2007
4
L. monocytogenes (n. ceppi 8)
2
L. innocua (n. ceppi 4)
0
L. ivanovii (n. ceppi 1)
Prfa
HlyA
ge ni di v i r ul e nz a
Numerosi geni sono attivati e regolati positivamente dal
fattore trascrizionale PrfA e il riscontro nel 65,5% degli isolati
confermano come gli alimenti possono avere un ruolo
determinante nel veicolare l’infezione.
La caratterizzazione genetica dei ceppi isolati condotta
mediante AFLP, ha consentito di discriminare tra loro le
diverse specie di Listeria con un livello di similarità intorno al
50%. Questa tecnica, inoltre, si è rivelata molto utile per la
identificazione di diversi profili genetici all’interno delle singole
specie. Questa informazione risulta fondamentale per la
esecuzione di indagini epidemiologiche. Le notevoli capacità
discriminanti di AFLP, soprattutto per L. monocytogenes,
rendono questa tecnica una valida alternativa alla
caratterizzazione sierologica.
I risultati relativi alla sierotipizzazione sono schematizzati
nella tabella n° 1 e nella figura 4.
SIEROTIPO
1/2c
1/2a
4b/4c
1/2b
1/2c
MATRICE
Ricotta
Salmone affumicato
Formaggio grattugiato
Carne di suino
Formaggio ovino <60 gg
Formaggio grattugiato
Salsiccia stagionata
Salsiccia stagionata
Tabella 1: sierotipi identificati
I sierotipi identificati rispecchiano quanto riportato in
bibliografia (6),
essendo i sierogruppi 1/2 e 4 i più
frequentemente isolati dalle matrici alimentari (6).
27
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
STUDIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP. IN CASEIFICI LUCANI MEDIANTE IL
MONITORAGGIO DEI POZZETTI DI DRENAGGIO DELLE ACQUE - DATI PRELIMINARI
Parisi A.1, Latorre L. 1, Fraccalvieri R. 1, Sarli G.2 , Contò L. 1, Normanno G. 3 , Santagada G. 1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia; ASL 2 Potenza;
Università degli Studi di Bari, Facoltà di Medicina Veterinaria – Dip. Sanità e Benessere Animale Valenzano (BA)
3
Key words: Listeria spp., L. monocytogenes, pozzetto di drenaggio acque
SUMMARY
We report the detection of Listeria spp. and Listeria
monocytogenes in ten dairy plants. The presence of the
microorganisms were revealed with the analysis of the floor
drains. They were investigated three times and during the
third sampling 148 samples were collected along the
production line and environment. At least one time, five
cheese factories were floor drains positive for Listeria spp. of
which two for L. monocytogenes. The analysis of the
production line and environment of the ten dairy plants
confirmed four on five positivity.
preparazione della ricotta), prodotti finiti (formaggio
fresco e stagionato, formaggi a pasta filata, ricotta ed
altri prodotti quali burro o panna)
- superfici a contatto con le matrici alimentari lungo
l’intera filiera produttiva (filtri, caldaia, attrezzi, fuscelli,
tavoli di sgocciolatura, assi di asciugatura e stagionatura,
interno frigoriferi e mani del personale). Per tali
campionamenti sono state utilizzate spugnette idratate
prima dell’uso con 8 ml di diluente peptone sale e
strofinate energicamente, nelle tre direzioni, su aree da
2
100 a 1.000 cm .
La ricerca di L. monocytogenes è stata condotta secondo la
metodica ISO 11290-1:1996 + Amendment 1-2004 (1). I
ceppi di L. monocytogenes sono stati sierotipizzati secondo
Ueda F. e al. (10) e genotipizzati con la tecnica di AFLP (8).
INTRODUZIONE
L. monocytogenes è l’agente eziologico della “listeriosi”, una
importante malattia alimentare ad esito potenzialmente fatale.
Il microrganismo si trova nel terreno e nella vegetazione, e la
sua trasmissione avviene attraverso i cibi contaminati. La
principale fonte di contaminazione per l’uomo è rappresentata
dagli alimenti di origine animale. Il latte ed i prodotti lattierocaseari sono responsabili di circa la metà degli episodi di
listeriosi in Europa e svolgono quindi un ruolo epidemiologico
importante. Il rischio di listeriosi è associato maggiormente al
consumo di latte crudo e di formaggi molli prodotti con latte
crudo (5), tuttavia sono stati segnalati anche episodi causati
da formaggi prodotti con latte pastorizzato (6). Nei prodotti
ottenuti da latte trattato termicamente la presenza di L.
monocytogenes deriva prevalentemente da contaminazioni
post-processo (9) ed è associata a ceppi residenti nello
stabilimento (7).
Nel corso di nostre precedenti indagini (3;4) abbiamo
esaminato l’intera filiera, di 24 caseifici rappresentativi della
realtà produttiva del territorio appulo-lucano. Da queste
ricerche il pozzetto di drenaggio delle acque era risultato
l’indicatore di contaminazione ambientale più efficace per
svelare la presenza di microrganismi del genere Listeria, ed
aveva evidenziato una
frequenza di contaminazione
significativamente più elevata rispetto agli altri siti ambientali
(p<0,005).
Per valutare la capacità del pozzetto di drenaggio di svelare
la contaminazione da microrganismi del genere Listeria nei
caseifici, sono stati campionati per tre volte i pozzetti di
drenaggio di 10 caseifici individuati in modo casuale e, in
occasione del terzo prelievo, il campionamento è stato
esteso all’intera filiera.
RISULTATI
Complessivamente sono risultati positivi per Listeria spp. 5
caseifici. In particolare, nei primi 2 campionamenti (P1 e P2),
il caseificio N. 2 presentava positività in entrambi i
campionamenti solo per L. monocytogenes; il caseificio N. 6
nel primo campionamento era positivo per L. monocytogenes
e L. innocua, mentre nel secondo
solo per L.
monocytogenes; il caseificio N. 10 presentava positività, in
entrambi i campionamenti, solo per L. innocua; i caseifici N.
1 e 5 presentavano positività, in un solo campionamento, solo
per L. innocua. Il terzo campionamento (P3) eseguito dopo 4
mesi sia nel pozzetto di drenaggio che nella filiera, ha
confermato, in 4 dei 5 caseifici positivi per Listeria spp., la
positività del pozzetto ed evidenziato la contaminazione
anche della filiera (fig.1). Tutti i 9 ceppi di L. monocytogenes
isolati nei caseifici N.2 e 6 sono risultati del sierotipo 4b/4e.
La genotipizzazione mediante tecnica AFLP ha consentito di
identificare le due specie di Listeria spp. e di differenziare
diversi genotipi come illustrato in fig. 1.
DISCUSSIONE
Lo studio della filiera dei 10 caseifici, prescindendo dai
risultati dei pozzetti, ha rivelato una notevole diffusione sia di
Listeria spp. (4/10; 40%) che di L. monocytogenes (2/10;
20%). Un caseificio è risultato contaminato solo da L.
monocytogenes, 2 solo da L. innocua ed 1 da entrambe le
specie. Dei 148 campioni esaminati, 14 (14/148; 9,4%) erano
positivi per Listeria spp., di cui 5 (5/148; 3,4%) per L.
monocytogenes, in un caso in associazione a L. innocua.
La sierotipizzazione non ha fornito nessuna informazione utile
per differenziare i 9 ceppi di L. monocytogenes che sono
risultati appartenere allo stesso sierotipo, invece la
genotipizzazione mediante AFLP ha evidenziato la presenza
di due diversi genotipi all’interno del caseificio N. 2. Inoltre
AFLP ha consentito di rilevare la presenza contemporanea di
diverse popolazioni di L. innocua nei caseifici N. 5, 6 e 10. La
sostanziale identità genetica di alcuni genotipi sia di L.
monocytogenes (caseificio N. 2) che di L. innocua (caseifici
N. 5, 6 e 10) nei diversi campionamenti ha permesso di
confermare l’attitudine di questi microrganismi a colonizzare
gli ambienti di lavorazione in maniera persistente
sopravvivendo alle comuni procedure di sanificazione.
Nessun campione di latte (materia prima)
è risultato
contaminato e, ad eccezione della contaminazione da L.
MATERIALI E METODI
L’indagine ha interessato 10 caseifici dei quali 8 trasformano
giornalmente da 3 a 20q di latte bovino e 2 rispettivamente 1
e 3q di latte ovi-caprino. Si trattava di caseifici di piccole e
medie dimensioni,
per lo più a conduzione familiare,
rappresentativi della realtà produttiva territoriale. In ciascun
caseificio, nel corso della lavorazione, sono stati eseguiti due
campionamenti del pozzetto di drenaggio delle acque (P1;
P2), a distanza di due mesi l’uno dall’altro;
il terzo
campionamento (P3), eseguito a distanza di 4 mesi, ha
riguardato anche la filiera e sono state campionate le
seguenti matrici:
- matrici alimentari : materia prima (latte di giornata e
latte refrigerato stoccato), semi lavorati (cagliata, tuma,
formaggio in fase di stagionatura e siero di latte per la
28
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
method for the detection and enumeration of Listeria
monocytogenes – Part 1 : Detection metod “ + Amendement 1
2004-10-15 “Modification of the isolation media and the haemolisis
test, and inclusion of precision data”
2. Kells J., Gilmour A. 2004. Incidence of Listeria monocytogenes
in two milk processing environments, and assessment of Listeria
monocytogenes blood agar for isolation. Intern. J. Food Microbiol.
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3. Latorre L., Fraccalvieri R., Nuzzolese N., La Salandra G., Parisi
A., Santagada G., 2006. Prevalenza di Listeria spp. in caseifici
bovini della Puglia e della Basilicata. Inatti XVI Convegno
Nazionale dell’Associazione Nazionale Veterinari Igienisti (A.I.V.I.)
“Sicurezza alimentare: ruolo e funzioni del veterinario ispettore
europeo” 23 giugno 2006 Valenzano (Bari);
4. Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A.,
Santagada G. 2008. Prevalenza e caratterizzazione genotipica di
Listeria spp. in caseifici ovi-caprini della Puglia e della Basilicata
Industrie alimentari 480, 486-493
5. Lunden J., Tolvanen R., Korkeala H. 2004. Human Listeriosis
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Hondo R., 2002. Swift and definite serotyping for isolated Listeria
monocytogenes strains. Microbiol. 25, 165-171
innocua della tuma dei caseifici 5 e 6, nessuna altra matrice
alimentare è risultata contaminata; appare evidente che le
positività della tuma derivano da contaminazioni, nella fase
di lavorazione,
con
ceppi residenti nei caseifici. Di
particolare interesse risulta la positività per L. monocytogenes
riscontrata sulle mani degli operatori del caseificio N. 2, nel
quale il pozzetto è risultato positivo in tutti i campionamenti
mentre nessun altro punto della filiera ha evidenziato la
presenza di Listeria spp.. Nei caseifici contaminati da Listeria
spp., come risultato anche in nostre precedenti indagini (3;4),
il pozzetto di drenaggio è risultato l’indicatore di
contaminazione
ambientale più efficace, in quanto ha
evidenziato una differenza di contaminazione significativa
rispetto agli altri siti ambientali (F2 Yates corrected = 4,47;
p<0,05). Kells J. e Gilmour A. (2) hanno dimostrato che la
pulizia, mediante l’uso di getti di acqua a pressione, dei
pozzetti di drenaggio delle acque siti nella sala di lavorazione
dei caseifici, favorisce la formazione di aerosol che, grazie
alle correnti o ai sistemi forzati di circolazione dell’aria,
potrebbe diffondere i microrganismi nell’ambiente.
In conclusione, in 5 caseifici tutti e tre gli esami dei pozzetti
sono risultati negativi e l’analisi della filiera ha confermato la
negatività. In 4 caseifici i pozzetti sono risultati positivi (in un
caso in 2 campionamenti su tre ed in tre casi in tutti e tre i
campionamenti) e la filiera ha confermato la positività.
Nell’unico caso in cui il pozzetto è risultato positivo una sola
volta su tre, la filiera è risultata negativa.
Vista l’elevata capacità diagnostica dell’analisi del pozzetto
sarebbe opportuno inserire il pozzetto di scolo tra i siti da
campionare nell’ambito dei piani di autocontrollo all’interno
degli stabilimenti di produzione, ma anche di scoraggiare
l’uso di getti di acqua a pressione per la loro pulizia, onde
evitare la diffusione di patogeni eventualmente insediati in
tale sito e ridurre il rischio di contaminazione dei prodotti
lattiero-caseari,
potenziali
veicoli
di
trasmissione
dell’infezione all’uomo.
RINGRAZIAMENTI: Si ringraziano per la collaborazione tecnica le
dott.sse Cristina Tremamunno e Laura Filazzola.
Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del Ministero
della Salute (Ricerca corrente IZSPB04/05)
BIBLIOGRAFIA
1.
International Organization for Standardization. ISO 112901:1996 “Microbiology of food and animal feeding stuffs—horizontal
29
INDAGINE SULLA PRESENZA DI NEMATODI ANISAKIDAE IN SPECIE ITTICHE MARINE
Costa A., Sciortino S., Reale S., Alio V., Cusimano M., Caracappa S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo
Key words: zoonotic disease, Anisakis spp., PCR-RFLP
stati prelevati presso mercati ittici siciliani (Mazara del Vallo,
Trapani, Messina), trasportati entro 24 ore e conservati a
temperatura di refrigerazione. Sui soggetti campionati, dopo
identificazione della specie ittica, è stata effettuata la ricerca
di stadi larvali di nematodi Anisakidae, previa apertura della
cavità celomatica in modo da evidenziare le superfici parietali
e viscerali, mediante esame visivo ed osservazione allo
stereomicroscopio. Nel tessuto muscolare i nematodi sono
stati ricercati tramite transilluminazione. I parassiti riscontrati
sono stati isolati, puliti in soluzione fisiologica e posti su
vetrino, previa chiarificazione in lattofenolo di Amman, per
l’esame morfologico tramite microscopico ottico: si è
proceduto all’identificazione a livello di genere mediante lo
studio dei caratteri morfologici del nematode(aspetto della
parte anteriore dell’intestino, aspetto dell’estremità cefalica e
caudale) (5,6).Per ciascuna specie ittica esaminata, i parassiti
sono stati contati e gli anisakidi, identificati morfologicamente,
sono stati conservati in etanolo 70% per essere sottoposti
all’analisi biomolecolare. La metodica utilizzata prevede l’uso
di tre enzimi di restrizione (HhaI, HinfI, TaqI) dopo
amplificazione mediante PCR della regione genomica
nucleare ITS1 e ITS2 (PCR-RFLP) (7,8). I frammenti di PCR
amplificati sono stati inoltre sequenziati a partire dagli stessi
primers forward e reverse. Le reazioni di sequenza sono state
condotte con l’impiego del kit Applied Biosystems versione
3.1; i prodotti di sequenza sono stati passati su colonnine
G50 (GE), denaturati e analizzati per elettroforesi capillare su
sequenziatore automatico Abi Prism 310 (AB). Le sequenze
così ottenute, sono state analizzate mediante il software
BLAST2 che le allinea con quelle più simili presenti in
GenBank. Per ogni genere parassitario inoltre sono state
calcolate la percentuale di positività e l’intensità di
infestazione in relazione a specie ittica e taglia del pesce. Gli
indici epidemiologici considerati sono stati: la prevalenza (P)
(numero di individui della specie ospite infestata da una
determinata specie parassitaria/numero di ospiti esaminati)
espressa come percentuale; l’intensità media (Im) (numero
totale di individui di una specie parassita in un campione di
ospiti/ numero di individui parassitati in quella specie ospite)
indica il numero medio di parassiti di una determinata specie
in ogni ospite infestato; l’abbondanza (A) o densità relativa
(numero totale di individui di una specie parassita in un
campione di ospiti/numero di campioni esaminati) indica
quanto il parassita sia rappresentato in una popolazione
ospite (10).
SUMMARY
From February 2007 to June 2008 a parasitological survey to
detect the presence of Anisakidae larvae in fish sampled in
fish market in Sicily was carried out. Out of 204 fish examined
98 (48%) were positive for anisakids owing to Anisakis and
Hysterothylacium genera. Prevalence, intensity and
abundance indices were calculated. Larvae were identified
with morphological analysis and with molecular studies based
on PCR-RFLP.
INTRODUZIONE
L’anisakidosi è una zoonosi parassitaria sostenuta da larve di
nematodi appartenenti alla famiglia Anisakidae appartenenti
ai generi Anisakis e Pseudoterranova le cui forme adulte
riconoscono come ospiti definitivi i mammiferi marini (cetacei
e pinnipedi).Forme larvali di Anisakis sono state documentate
nei visceri e nella muscolatura di numerose specie ittiche e
cefalopodi di importanza commerciale nei mari italiani (1).
L’uomo può infestarsi accidentalmente in seguito al consumo
di pesci marini o molluschi cefalopodi (ospiti intermedi) crudi
o poco cotti, contenenti larve vive al 3° stadio (L3) in
particolare quando localizzate nella muscolatura. Un altro
genere appartenente alla famiglia Anisakidae, il genere
Hysterothylacium (forme larvali e adulte nei pesci) non viene
al momento considerato patogeno per l’uomo: alcuni autori
riportano che questo nematode sopravviva poche ore a 37°C
(2).Diversi lavori mostrano il frequente riscontro di Anisakidae
appartenenti al genere Hysterothylacium nei visceri di diverse
specie ittiche presenti nel Mar Mediterraneo, a volte anche in
associazione con il genere Anisakis (coinfestazione) (2,3,4).
Entrambi i generi appaiono, ad occhio nudo, di colore bianco,
bianco-giallastro e di lunghezza simile (~15-30 mm)
generalmente più sottili ma non sempre ben differenziabili, in
particolare nel caso di forme larvali L4 e/o adulti di
Hysterothylacium. Le larve isolate di Anisakidae possono
essere identificate mediante lo studio dei caratteri morfologici
al microscopio ottico per risalire al genere (5-6) mentre una
corretta identificazione di specie è possibile mediante l’uso di
marcatori biomolecolari (7,8). Scopo del nostro lavoro è stato
quindi quello di definire la diffusione di larve di nematodi
Anisakidae in pesci marini pescati nelle zone costiere della
Sicilia concentrando in particolare l’attenzione sulle specie
ittiche note per la presenza di Anisakidae, così come indicato
in diversi lavori bibliografici. Si è voluto inoltre applicare una
metodologia statistica quantitativa calcolando, nelle specie
ittiche parassitate, la prevalenza (P), l’intensità media (Im) e
l’abbondanza (A) o densità relativa (10). Le larve, isolate e
caratterizzate morfologicamente per risalire al genere, sono
state inoltre sottoposte a caratterizzazione molecolare
mediante PCR-RFLP per l’identificazione di specie e a
sequenziamento dei frammenti di PCR amplificati.
RISULTATI
In 98 (48%) dei 204 pesci esaminati è stata riscontrata la
presenza di nematodi Anisakidae appartenenti al genere
Anisakis e Hysterothylacium. In particolare 41 (20%) sono
risultati positivi per la presenza di larve di Anisakis e 57 (28%)
per Hysterothylacium. Nel 2.0% dei soggetti esaminati si è
osservata una coinfestazione sostenuta da entrambi i generi
parassitari. Riguardo alla presenza di larve del genere
Anisakis nei campioni esaminati, le prevalenze più alte sono
state osservate nei pesci sciabola (Lepidopus caudatus)
(100%) e nei suri (Trachurus trachurus)(46%)seguiti dagli
sgombri (Scomber scombrus)(35%) e dai naselli (Merluccius
merluccius) (16.3%) mentre in diverse specie ittiche sono
stati
riscontrati
nematodi
appartenenti
al
genere
Hysterothylacium, anche con alte prevalenze, così come
riportato in Tab 1.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra febbraio 2007 e giugno 2008 sono
stati esaminati, per ricerca di nematodi, 204 campioni di
diverse specie di teleostei noti per la presenza di Anisakidae,
tra cui 10 pesce sciabola (Lepidopus caudatus), 37 suri
(Trachurus trachurus), 20 sgombri (Scomber scombrus), 43
naselli (Merluccius merluccius), 52 triglie (39 Mullus barbatus
e 13 Mullus surmuletus), 7 pagelli (Pagellus eritrinus), 14
sciarrani (Serranus scriba) e 6 pesci S. Pietro (Zeus Faber).I
campioni di pesce fresco esaminati, indicati in Tab. 1, erano
30
Tab.1 Prevalenza (P), Intensità media (Im) e Abbondanza (A)
osservate nelle infestazioni da Anisakidae per specie ittica esaminata
specie
n.
n. infestati per P%
Im
A
esami
genere
nati
10
10 Anisakis
100
4.6
4.6
Lepidopus
caudatus
37
17 Anisakis
46
23.1
10.6
Trachurus
6 Hysterothyl
16.2
6.3
1.0
trachurus
(2 coinfest)
20
7 Anisakis
35.0
2.0
0.7
Scomber
scombrus
4.6
0.7
16.3
43
7 Anisakis
Merluccius
7.8
1.1
14.0
6 Hysterothyl
merluccius
(2 coinfest)
39
10 Hysterothyl
25.6
5.4
1.4
Mullus
barbatus
13
8 Hysterothyl
61.5
4.3
2.6
Mullus
surmuletus
6
1 Hysterothyl
16.7
1.0
0.2
Engraulis
encrasicolus
9
4 Hysterothyl
44.4
9.0
4.0
Aspitrigla
cuculus
7
5 Hysterothyl
71.4
2.8
2.0
Pagellus
eritrinus
14
12 Hysterothyl
85.7
4.3
3.6
Serranus
scriba
6
5 Hysterothyl
83.3
8.8
7.3
Zeus Faber
Totale
204
98
Fig 1: RFLP pattern delle regioni ITS con HhaI, HinfI e TaqI
(1,2,3 Hysterothylacium aduncum, 4,5,6 Anisakis pegreffii)
I risultati del sequenziamento hanno mostrato identità del
frammento di PCR con la sequenza ITS di Hysterothylacium
aduncum sia nella reazione condotta col primer forward che
reverse.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti da questa indagine rappresentano i primi
dati circa la diffusione di nematodi Anisakidae in specie ittiche
presenti nel nostro territorio. I nostri risultati si avvicinano alle
prevalenze riscontrate da altri autori e suggeriscono di
attenzionare, come indicato dalle attuali normative (Circ 11
marzo 1992 n.10; Reg CE 853/2004), alcune specie ittiche
già note per la presenza di nematodi infestanti quali pesce
sciabola, suri, sgombri. Inoltre la notevole diffusione del
genere Hysterothylacium spesso con alte prevalenze,
osservabile allo stato visivo e non ritenuto patogeno per
l’uomo, impone la necessità di una corretta identificazione dei
parassiti riscontrati nei pesci infestati. In ultimo l’applicazione
di metodi molecolari, come la PCR-RFLP, permette una
corretta identificazione delle specie di Anisakidae, fornendo
anche un contributo significativo a studi epidemiologici sulla
diffusione di entità tassonomiche esistenti.
Nei suri (Trachurus trachurus) sono state evidenziate da 1 a
120 larve di Anisakis e da 1 a 30 larve di Hysterothylacium .
In questa specie ittica, si è evidenziata una prevalenza
maggiore per presenza di Anisakis nei campioni di taglia • 25
cm: in due soggetti di circa 40 cm sono state contate fino a
120 larve. Riguardo alla localizzazione, le larve di Anisakis
sono state osservate quasi sempre in cavità addominale e nei
visceri (intestino, fegato, gonadi) ad eccezione di 2 larve in un
campione di suro e di 2 larve in tre campioni di pesce
sciabola (Lepidopus caudatus) a localizzazione muscolare.
Riguardo alla presenza del genere Hysterothylacium, è da
notare l’alta prevalenza riscontrata in alcune specie ittiche
quali sciarrani (Serranus scriba) (85.7%), pesce S. Pietro
(Zeus Faber) (83.3%), pagello (Pagellus eritrinus) (71.4%),
triglia di scoglio (Mullus surmuletus) (61.5%), in particolare
come larve L4, spesso libere nella cavità celomatica o
fuoriuscenti dall’intestino. In base alle caratteristiche
morfologiche osservate al microscopio ottico, le larve di
Anisakis sono state identificate come larve L3 appartenenti al
morfotipo denominato Anisakis Type I (sensu Berland 1961)
mentre l’aspetto morfologico dei nematodi identificati come
genere Hysterothylacium, è sembrato riferibile alla specie
indicata in bibliografia come Hysterothylacium aduncum
(presenza di 3 labbra nella parte cefalica, tipico “cactus tail”
all’estremità caudale, appendice ventricolare e intestino cieco
presenti) (5,6). Riguardo all’analisi biomolecolare, per il
genere Anisakis, i dati di RFLP sono stati analizzati mediante
elettroforesi su gel che ha rivelato i modelli di restrizione tipici
per le specie, in base alle chiavi di lettura indicate in
bibliografia (8): I profili di digestione ottenuti hanno permesso
di identificare le larve isolate come A. pegreffii in base alla
combinazione dei patterns RFLP (8,9). La stessa metodica è
stata applicata anche ad alcuni nematodi morfologicamente
non riferibili al genere Anisakis ma identificati al microscopio
ottico come Hysterothylacium. In questo caso l’amplificazione
ha prodotto un frammento di ~ 1100 bp (7) e diversa
posizione dei frammenti di restrizione dopo elettroforesi e
visualizzazione su gel di agarosio al 2.5%. La digestione delle
regioni ITS con HhaI ha prodotto quattro bande
approssimativamente di 400, 350,220 e 180 bp, con HinfI due
bande di circa 700 e 410 bp mentre la restrizione con TaqI ne
ha prodotto quattro di circa 350, 320,170 e 120 bp. (Fig 1).
BIBLIOGRAFIA
1) Paggi L., Mattiucci S., D’Amelio S., Nascetti G. (1998).
Nematodi del genere Anisakis in pesci, cefalopodi e cetacei del Mar
Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico e Pacifico. Biologia Marina
Mediterranea, 5(3): 1585-1592.
2) Adroher F.J., Valero A., Ruiz-Valero J., Iglesias L. (1996)
Larval anisakids (Nematoda:Ascaridoidea) in horse macherel
(Trachurus trachurus) from the fish market in Granada, Spain.
Parasitol Res 82: 319-322
3) Fioravanti M.L., Gavaudan S., Tonucci F., Vagnini V. (2003)
Indagine sulla diffusione di larve di Anisakis e Hysterothylacium
(Nematoda: Anisakidae) in pesci del Mar Adriatico Centrale. Atti
SIVET 2003
4) Lecis A.R., Figus V., Randaccio A. (1996) Indagini sulla
presenza di nematodi Anisakidae in alcune specie ittiche del Golfo di
Cagliari. Biologia Oggi, 10, 3-4: 137-144
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Exploration of the Sea, Leaflet no. 44
6) Berland B. (1961) Nematodes from some Norwegian marine
fishes. Sarsia 2:1-50
7) Zhu X., Gasser R.B., Podolska M., Chilton N.B. (1998)
Characterisation of anisakid nematodes with zoonotic potential by
nuclear ribosomal DNA sequences, Int J Parasitol 28: 1911-1921
8) S. D'Amelio , K. D. Mathiopoulos, C. P. Santos, O.N.
Pugachev, S.C.Webb,M. Picanço and L. Paggi(2000) Genetic
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Parasitol 30: 223-226
9) Costa A., Di Noto A.M., Vitale F., Reale s., Caracappa S.
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Parasitology meets ecology on its own terms: Margolis et al revisited.
J Parasitol 83 :575-583
31
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
COMPARATIVE GENOMIC HYBRIDISATION (CGH) MICROARRAY DI DUE CLONI MULTIRESISTENTI DI
SALMONELLA TYPHIMURIUM
Lucarelli C1,2 , Anjum M3, Saunders M3, Dionisi AM2, Owczarek S2, Villa L2, Caprioli A1, Luzzi I2
1
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale, Zoonosi trasmesse da alimenti ed epidemiologia veterinaria, Roma;
2
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate, Malattie batteriche, gastroenteriche e
neurologiche, Roma;
3
Veterinary Laboratories Agency, Weybridge, Surrey, United Kingdom
KEYWORDS: salmonella, antibiotico resistenza, microarray
Summary: In Salmonella Typhimurium multidrug resistance
is of important concern for public health. In Italy in the last
years has been recorded a increase in the number of STM
strains
showing
the
ASSuT
resistance
pattern,
counterbalanced by a decrease of ACSSuT DT104 isolates, a
clonal lineage diffused worldwide. The purpose of this study
has been to compare by CGH microarray ASSuT STM
isolates with ACSSuT isolates. The results indicate that these
2 clonal lineage show notable differences, and confirm that
phage-elements could be use as a tool for subtyping .
INTRODUZIONE: S. Typhimurium (STM) rappresenta il
principale sierotipo isolato da casi umani in Italia. È un
sierotipo ubiquitario, presente negli animali, negli alimenti di
origine animale e nell'ambiente. In Italia negli ultimi anni è
stato registrato un marcato aumento nel numero di isolamenti
di S. Typhimurium (STM) con un particolare profilo di
resistenza a quattro antibiotici: ampicillina, streptomicina,
sulfonamidi, tetraciclina (ASSuT). Questo profilo, che
attualmente rappresenta il 35,5% degli stipiti multiresistenti, è
caratterizzato dall’assenza di resistenza al cloramfenicolo,
carattere distintivo del clone DT104 ampiamente diffuso in
tutto il mondo, nel quale la pentaresistenza ACSSuT è dovuta
alla presenza di un’isola di resistenza cromosomale (SGI1).
La maggior parte degli isolati ASSuT non è tipizzabile con la
tecnica di fagotipizzazione, ed hanno un unico profilo di
PFGE, caratteristica che dimostra l’origine clonale dei ceppi.
La presenza degli stessi geni di resistenza (blaTEM per la
resistenza all’ampicillina, strA-strB per la resistenza alla
streptomicina, sul2 per la resistenza ai sulfamidici e tetB per
la resistenza alla tetraciclina) ed infine la dimostrazione della
loro localizzazione cromosomale, indicano la presenza di una
nuova isola di resistenza cromosomale.
Tutte queste caratteristiche evidenziano come i ceppi ASSuT
sono un clone diverso rispetto al pattern ACSSuT DT104.
Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare i ceppi
di STM con profilo ASSuT, con ceppi con profilo ACSSuT,
DT104, al fine di evidenziarne ulteriori differenze.
MATERIALI E METODI:
Su una selezione di 32 ceppi (tabella 1) sono stati effettuati
esperimenti di Comparative Genomic Hybridisation (CGH)
microarray. Il microarray era basato sul genoma di S. Typhi
CT18, con l’aggiunta di geni specifici di altri 6 sierotipi (S.
gallinarum, S. Typhimurium LT2, S. Typhimurium SL1344, S.
Typhimurium DT104, S. Enteritidis PT4, S. Bongori) per un
totale di 7000 geni (1).
RISULTATI E DISCUSSIONE: In figura 1 è riportata la
comparazione genomica dei 32 ceppi di Salmonella. In grigio
chiaro è indicata la presenza dei geni testati mentre il grigio
scuro indica l’assenza. Come si può osservare il microarray
separa i due cloni multiresistenti in 2 cluster ben separati.
Inoltre è possibile notare come i ceppi DT104 sensibili
mancanti dell’isola SGI1 siano geneticamente più simili al
clone ASSuT. In tabella 2 sono riassunte le differenze più
rilevanti tra i due cloni.
Tabella 2: Principali differenze tra i due cloni multiresistenti
Geni di ACSSuT
Plasmide virulenza STM
U302 DT120
DT193 NT
DT104
PFGE
4 profili con una
omologia del 90%
XB0079, XB0083,
XB0010, XB0022
1 profilo unico XB0061,
1 ceppo sensibile XB0088
(omologia 61%)
Geni del plasmide pHCM1
Batteriofago GISFY-2
Geni di virulenza (E. coli related)
Batteriofago S. typhi
Proteine Rhs
Putative pertussis toxin
Geni metabolismo allantoina
Tutti i ceppi ACSSuT presentano il plasmide di virulenza
tipico di Salmonella Typhimurium pSLT, il batteriofago
GISFY-2, alcuni parti del batteriofago tipico di S.Typhi. Tutti
questi elementi svolgono un ruolo fondamentale nella
virulenza del batterio. Ad esempio tra le varie funzioni svolte
dal batteriofago GISFY-2, c’è l’espressione di una
superossido dismutasi che blocca la risposta ossidativa dei
macrofagi. Invece in uno studio precedente (2), condotto su
23 ceppi di Salmonella Typhimurium, questo batteriofago è
stato riscontrato in tutti i ceppi analizzati. Invece esso,
assieme a pSLT ed al batteriofago S. Typhi, è stranamente
assente nel clone ASSuT.
Particolarmente interessanti sono i geni del clone ASSuT che
sono stati acquisiti dal plasmide pHCM1, tipico di S. Typhi.
Questi geni comprendono quattro geni che conferiscono la
tetraresistenza, il trasposone Tn10, tipicamente associato al
gene tetB, 2 elementi IS di classe 1 e l’operone per la
resistenza al mercurio.
Inoltre il clone ASSuT presenta dei geni di virulenza derivati
da E. coli, geni per il metabolismo dell’allantoina come fonte
di azoto in condizioni anaerobiche, e proteine della famiglia
Rhs. Queste ultime sembrano essere responsabili della
variazione dell’antigene O, evento che fornisce un vantaggio
selettivo quando il ceppo si trova in un ospite mammifero.
L’analisi tramite microarray ci ha inoltre permesso di
evidenziare delle piccole differenze all’interno dei due cloni
multiresistenti. Infatti entrambi differiscono al loro interno per
la presenza/assenza di elementi fagici. In particolare questi
elementi sono assenti in ceppi ASSuT con profilo di PFGE
XB0079 e XB0083, mentre sono presenti in ceppi con PFGE
XB0010 e XB0022.
CONCLUSIONI: La metodica di CGH microarray se
impiegata su target mirati, è un’ottimo strumento per rilevare
differenze sostanziali anche all’interno di ceppi appartenenti
allo stesso sierotipo. Il CGH microarray ha consentito di
evidenziare gli elementi genetici che sembrano far parte di
Tabella 1: Caratteristiche dei ceppi selezionati
6 ACSSuT
3 SSu
R-TYPE
14 ASSuT
1S
8 sensibili
FAGOTIPO
Geni di ASSuT
32
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
una nuova isola di resistenza ASSuT, fornendo inoltre
informazioni sulla sua eventuale origine.
Questo studio conferma inoltre che alcuni cluster di geni sono
più variabili di altri, come il cluster per il metabolismo
dell’allantoina, e che la variabilità delle salmonelle risiede
principalmente negli elementi fagici. Nel complesso questi
risultati forniscono indicazioni utili per mettere a punto nuove
tecniche di sub tipizzazione molecolare.
Figura 1: Genomica comparativa dei 32 ceppi con R-type
ASSuT, ACSSuT, pattern parziale e ceppi sensibili. Con gli
asterischi sono indicate le due repliche del ceppo DT104
sensibile. In grigio chiaro è indicata la presenza dei geni
testati mentre il grigio scuro indica l’assenza.
**
DT104,
ceppi sensibili
ASSuT
Riferimenti bibliografici:
(1) Anjum MF, Marooney C, Fookes M, Baker S, Dougan G, Ivens
A, Woodward MJ. 2005. Identification of core and variable
components of the Salmonella enterica subspecies I genome by
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(2) Cooke FJ, Wain J , Fookes M, Ivens A, Thomson N, Brown
JD, Threlfall JE, Gunn G, Foster G, Dougan G. 2007. Prophage
Sequences Defining Hot Spots of Genome Variation in Salmonella
enterica Serovar Typhimurium Can Be Used To Discriminate
between Field Isolates. Journal of Clinical Microbiology; 45
(8):2590-2598.
33
DT104, ACSSuT
DT104, ceppi resistenti,
altri profili
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN METODO AUTOMATIZZATO PER LA NUMERAZIONE DI
STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI
1
Bianchi DM., 1Gallina S., 1Giovannini T., 1Mantoan P, 2Dérépas F, 2Giardino R, 1Decastelli L.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, NRL Stafilococchi coagulasi positivi compreso S. aureus, Torino;
2
BioMérieux, LaBalme Les Grottes, France
Keywords: Stafilococchi coagulasi positivi, numerazione, automazione
SUMMARY
The 2073/2005 European regulation on microbiological
criteria for foodstuffs highlights the importance of the
coagulase-positive staphylococci (SCP) enumeration. A new
®
system (TEMPO STA) was developed for rapid enumeration
of SCP.This automated system, based on MPN technique,
associating an enumerating card with a specific medium,
allows the enumeration of SCP (S. aureus) within 24 hours
instead of up to 2 days for the ISO reference method. In this
study, TEMPO STA was compared to the ISO 6888-2 method
for the enumeration of SCP in food.
metodo TEMPO STA è stato confrontato con un secondo
metodo alternativo 3M Petrifilm• Staph Express.
MATERIALI E METODI
559 campioni di matrici alimentari di varia natura sono stati
utilizzati per il presente studio in 4 diversi laboratori europei. I
campioni sono stati pesati (10 gr) ed è stata allestita una
diluizione primaria (1:10) con acqua peptonata tamponata.
Ciascun campione è stato analizzato in parallelo con il
metodo ISO 6888-2 (4), il metodo automatizzato TEMPO
STA e con il metodo 3M Petrifilm Staph Express.
In totale 206 ceppi batterici (127 Staf coagulasi negativi; 56
altri batteri Gram positivi; 18 batteri Gram negativi; 5 lieviti)
sono stati impiegati come colture pure per valutare la
specificità dei metodi.
Per verificarne invece la sensibilità sono stati impiegati 49
differenti ceppi di S.aureus .
Vengono di seguito descritte le modalità operative dei tre
metodi impiegati
ŸTEMPO STA. 1 mL (o 0,1 mL) della diluizione primaria del
campione da analizzare è trasferito nella vial contenente il
TEMPO STA medium che era stato precedentemente
ricostituito con 3 mL (o 3,9 mL) di acqua distillata sterile. Le
card riempite con questa soluzione sono incubate per 24 -27
ore a 37 °C. La lettura avviene in modo automatizzato.
ŸISO 6888-2. 1 mL della diluizione primaria e successive
diluizioni scalari (fino a 10-4) sono incluse in Baird Parker +
Rabbit Plasma Fibrinogen (BP+RPF), 2 piastre per ciascuna
diluizioneL’incubazione viene effettuata per 24-48 ore a 37
°C±1. Le colonie scure con alone di precipitazione indicante
la coagulasi sono conteggiate con lettura manuale.
Ÿ3M Petrifilm Staph Express. 1 mL della diluizione primaria
e successive diluizioni scalari (fino a 10-4) sono trasferiti nel
3M Petrifilm ed incubati a 37 °C per 24 ± 2 ore. Quando
necessario un DNAse disk è inserito per confermare le
colonie
coagulasi
positive,
dopo
prolungamento
dell’incubazione da 1 a 3 ore.
INTRODUZIONE
La sicurezza degli alimenti è tra gli obiettivi prioritari
dell’Unione Europea; la normativa comunitaria in ambito di
sicurezza alimentare, infatti, pone al centro dell’attenzione la
tutela della salute del consumatore. A partire dal Libro Bianco
sulla Sicurezza Alimentare, ai nuovi regolamenti del
“Pacchetto Igiene” emerge chiaramente l’importanza di
produrre e commercializzare alimenti salubri.
I criteri microbiologici previsti nei Regolamenti (CE) n°
2073/2005 (1) e 1441/2007 (2) indicano come orientarsi nello
stabilire l’accettabilità di un prodotto alimentare e dei relativi
processi di lavorazione, manipolazione e distribuzione; tali
limiti sono fissati in modo armonizzato al fine di contribuire
alla protezione della salute pubblica ed evitare, a livello
comunitario, interpretazioni divergenti. Inoltre, il regolamento
stesso indica un metodo di riferimento specifico associato ad
ogni criterio microbiologico poiché i risultati delle analisi
dipendono anche dal metodo analitico utilizzato. I metodi
microbiologici tradizionali utilizzati in un laboratorio di
microbiologia degli alimenti, prevedono la coltura e la
successiva numerazione di microrganismi presenti nelle
diverse matrici alimentari: tutti i classici sistemi di isolamento,
conteggio e identificazione di batteri presentano dei limiti
quali il lungo tempo di risposta, le difficoltà tecniche
nell’eseguire le prove, la necessità di disporre di terreni
selettivi e di numerose attrezzature (termostati, incubatori,
giare, ecc.) nonché l’imprescindibile esperienza dell’operatore
per l’interpretazione dei risultati.
Il conteggio e l’identificazione microbica devono essere di
semplice esecuzione, facilmente interpretabili e rapidi. Il
recente sviluppo di metodi automatizzati per la conta di
microrganismi è sicuramente un valido strumento per limitare
l’evenienza di errore umano in analisi di laboratorio, e in
alcuni casi anche per ridurre i tempi di attesa dei risultati.
Alcuni di questi metodi automatizzati e rapidi sono stati
validati da enti ed organismi riconosciuti a livello
internazionale (AOAC, AFNOR, ecc.) secondo la norma
EN/ISO16140 (3) come richiesto dal Regolamento (CE) n°
2073/2005; altri sono in fase di validazione da parte delle
aziende produttrici.
Il presente lavoro mostra i risultati ottenuti durante le
operazioni di validazione del kit TEMPO“ STA, per la
numerazione di Stafilococchi coagulasi positivi (CPS) in
matrici alimentari. I dati qui riportati descrivono le
performance del nuovo metodo automatizzato confrontato
con il metodo di riferimento previsto dal nei Regolamenti (CE)
n° 2073/2005 e 1441/2007 (ISO 6888-2). Inoltre, il
RISULTATI
Nella tabella 1 sono indicati i risultati ottenuti sulle colture
batteriche pure per valutare la specificità del test. Con i
metodi TEMPO e Petrifilm Staph Express + DNAse disk una
percentuale analoga di rispettivamente 3,4% e 4,4% dei
ceppi ha mostrato una cross-reazione.
Tabella 1: Prove di specificità
Risultati falsi positivi
Ceppi analizzati
TEMPO Petrifilm ISO
Staflococchi coagulasi- 127
7
9
0
negativi
Altri Gram positivi
56
0
0
0
Gram negativi
18
0
0
0
Yeast
5
0
0
0
In particolare per TEMPO sono stati identificati come CPS :
S. haemolyticus (2 sui 5 ceppi analizzati ), S. lentus (1/5), S.
sciuri (1/5), S. simulans (2/5), S. xylosus (1/10). Il metodo
34
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Petrifilm ha identificato come CPS S. capitis (1/5), S. caprae
(4/5), S. chromogenes (3/5), S. simulans (1/5).
Grafico 5: Regressione lineare tra metodo TEMPO STA e
ISO 6888-2
Tabella 2: Prove di fertilità
Fertility results
Tested strains
TEMPO
Petrifilm
ISO
49
49 (100%) 49 (100%) 49 (100%)
S. aureus
Per quanto riguarda i campioni di alimento, i risultati ottenuti
con il metodo TEMPO STA sono stati confrontati sia con il
metodo ISO 6888-2 che con il metodo 3M Petrifilm Staph
Express. In totale erano disponibili rispettivamente 996 e
1002 risultati utili (considerando anche le diverse diluizioni
effettuate per il metodo TEMPO STA).
I risultati sono stati considerati in disaccordo quando la
differenza tra il metodo TEMPO e il secondo metodo è
risultata maggiore di ±1 log. I grafici 3 e 4 mostrano
rispettivamente il grado di concordanza del metodo TEMPO
STA rispettivamente con il metodo ISO 6888-2 e 3M Petrifilm
Staph Express.
LogRefer
2
R = 0.863
con
P > 0.05 (0.083)
DISCUSSIONE
Tutti i ceppi di S.aureus testati sono stati identificati come tali
dal sistema TEMPO STA. Solo il 3,4% dei ceppi non
coagulasi positivi ha dato reazioni falsamente positive.
Lo studio di regressione ha dimostrato un buon grado di
correlazione tra il sistema TEMPO STA e il metodo normato
ISO per il conteggio degli Stafilococchi coagulasi positivi.
Il sistema automatizzato TEMPO STA permette di ottenere il
risultato dopo 24 ore di incubazione senza ulteriori indagini
analitiche o prolungamenti dell’incubazione. Inoltre il sistema
automatizzato riduce le operazioni manuali dell’operatore
(preparazione dei terreni di coltura, esecuzione delle diluizioni
e conteggio delle colonie) abbassando la probabilità
dell’errore manuale e riduce la quantità di rifiuti a rischio
microbiologico prodotti a seguito delle analisi di
laboratorio.,Tuttavia, il metodo richiede l’impiego di kit
commerciali e della strumentazione reperibile sul mercato a
prezzi che possono essere facilmente ammortizzati dai
laboratori che processano un elevato numero di campioni.
Grafico 3: concordanza (nero) dei risultati tra TEMPO STA e
ISO 6888-2
TEMPO vs ISO 6888-2
1,7%
BIBLIOGRAFIA
98,3%
(1) REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 DELLA COMMISSIONE del
15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti
alimentari
(2) REGOLAMENTO (CE) N. 1441/2007 DELLA COMMISSIONE del
5 dicembre 2007 che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui
criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari
(3) ISO 16140: 2003 Microbiology of food and animal feeding stuffs
Protocol for the validation of alternative methods
(4) ISO 6888-2: Microbiology of food and animal feeding stuffs -Horizontal method for the enumeration of coagulase-positive
staphylococci (Staphylococcus aureus and other species) -- Part 2:
Technique using rabbit plasma fibrinogen agar medium
Grafico 4: concordanza (nero) dei risultati tra TEMPO STA e
Petrifilm
TEMPO vs Petrifilm
3,8%
96,2%
I risultati relativi alla regressione lineare sono riferiti al metodo
TEMPO STA valutato in relazione al metodo ISO 6888-2 e
sono riportati nel grafico 5. Dai dati in nostro possesso risulta
che non ci sono differenze statisticamente significative tra i
valori ottenuti con TEMPO STA e quelli ottenuti con metodo
normato ISO 6888-2.
35
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
STIMA DELL’INCERTEZZA DI MISURA DEI METODI DI MICROBIOLOGIA ALIMENTARE
DELL’IZSVE SECONDO LE NORME ISO 7218:2007 E ISO 19036:2006
Mancin M. (1), Grimaldi M. (2), Trevisan R. (2), Mioni R. (2)
(1)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Struttura complessa di Analisi del Rischio e Sistemi di Sorveglianza in Sanità Pubblica
(2)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Struttura complessa di Microbiologia Alimentare
Key words: Incertezza di misura, Deviazione standard della riproducibilità
Introduzione
In seguito all’emanazione della nuova revisione della ISO
7218: 2007 (1) relativa alle analisi di Microbiologia
alimentare, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle
Venezie (IZSVe) ha recepito le modalità di calcolo
dell’incertezza di misura prescritte dalla ISO 19036:2006 (2)
richiamata dalla ISO 7218 stessa.
Il calcolo dell’incertezza di misura dell’IZSVe viene effettuato,
in base alla ISO 19036:2006, per ogni procedura di prova e
per tipologia di matrice, con alcune modifiche/interpretazioni
condivise con gli IIZZSS:
x Le matrici considerate dall’IZSVe sono le seguenti:
categoria 1: liquidi e polveri;
categoria 2: solidi ben miscelati.
La ISO 19036 prevede 4 categorie di matrici, le due sopra
citate, solidi in piccoli pezzi e altri solidi. Le tre matrici di
tipologia solida sono state unificate nell’unica matrice solidi
ben miscelati in quanto l’analisi microbiologica parte
sempre
da
un
omogenato
del
campione
indipendentemente dalla composizione fisica del campione
stesso all’arrivo in laboratorio.
x L’IZSVe, composto da 8 sedi che eseguono analisi di
Microbiologia alimentare nel Triveneto, è stato considerato
come un unico laboratorio in modo tale da poter emettere
rapporti di prova con la stessa incertezza di misura
indipendentemente dai laboratori che eseguono le analisi.
L’incertezza di misura viene espressa come incertezza
estesa, calcolata come 2 volte la deviazione standard della
riproducibilità, ottenuta utilizzando due delle tre possibilità
indicate dalla norma:
x opzione 1: deviazione standard della riproducibilità
intralaboratorio;
x opzione 2: deviazione standard della riproducibilità
derivante da un circuito interlaboratorio.
In questo lavoro vengono presentati i metodi utilizzati per il
calcolo dell’incertezza di misura delle procedure di prova in
uso presso l’IZSVe, riportando a titolo di esempio il calcolo
delle incertezze estese delle metodiche più comuni previste
dal Reg. CE 2073/2005 relativo ai criteri microbiologici
applicabili ai prodotti alimentari (3).
La deviazione standard della riproducibilità è stata calcolata
utilizzando i dati di tutti i laboratori dell’IZSVe secondo la
formula della ISO 19036:
Materiali e metodi
Calcolo dell’incertezza di misura tramite la deviazione
standard della riproducibilità intralaboratorio
Il numero di campioni previsto dalla ISO 19036 per il calcolo
dell’incertezza di misura di un unico laboratorio è di n>=10.
Nel caso del laboratorio IZSVe, comprendente 8 sedi, sono
state effettuate da ogni sede, per procedura di prova e per
categoria di matrice, almeno 5 analisi di campioni di routine,
naturalmente o artificialmente contaminati, eseguite in
doppio, in condizioni estreme di riproducibilità (operatori
diversi, apparecchiature diverse, lotti di terreni diversi, ecc.)
per un totale di almeno n>=40 campioni.
Tutti gli operatori dello stesso laboratorio hanno contribuito al
calcolo della deviazione standard della riproducibilità
eseguendo almeno una prova.
Gdltotale
SR
1 n ( yiA yiB ) 2
¦
n i 1
2
dove
n= numero di campioni analizzati
yiA= osservazione del campione i dell’operatore A in log10
yiB= osservazione del campione i dell’operatore B in log10
Calcolo dell’incertezza di misura tramite la deviazione
standard della riproducibilità derivante da un circuito
interlaboratorio
La ISO 19036 prevede che possa essere utilizzata la
deviazione standard della riproducibilità calcolata con i dati di
un circuito interlaboratorio solo se:
x durante il circuito è stato utilizzato il metodo di routine;
x il campione è paragonabile in termini di matrice e di
livello di contaminazione ad un campione di routine;
x se un sufficiente numero di partecipanti (laboratori
IZSVe) utilizzano lo stesso metodo.
L’IZSVe, che rispetta le condizioni sopra citate, ha utilizzato i
dati a disposizione dei circuiti interlaboratori eseguiti da tutte
le sedi dell’Istituto su matrice latte liofilizzato (Circuito IZSVe:
AQUA – Circuito interlaboratorio per l’assicurazione qualità
dei risultati) (4,5,6), per calcolare l’incertezza di misura di
alcune procedura di prova, per la categoria liquidi e polveri.
La deviazione standard della riproducibilità derivante dai dati
di un circuito interlaboratorio è stata calcolata con l’analisi
ANOVA che fornisce la quota di devianza spiegata dalle
componenti considerate nell’analisi di dati, la devianza di
errore che non contribuisce al calcolo dell’incertezza di
misura e i gradi di libertà (Gdl).
In particolare nel circuito interlaboratorio AQUA dell’IZSVe le
componenti che entrano a far parte del calcolo dell’incertezza
di misura sono la variabilità dovuta agli operatori e la
variabilità delle repliche per operatore. Quindi:
Devianzatotale
Devianzatra _ repliche Devianzatra _ operatori Devianzaerrore
Gdltra _ repliche Gdltra _ operatori Gdl errore
Indicando con n= numero di osservazioni, p= numero
di repliche e k= numero di operatori la devianza totale
misura la variazione totale tra le osservazioni:
Dev _ Tot
¦ ¦
p
k
j 1
i 1
( X ij X ) 2
la devianza tra le repliche misura la variazione tra le medie
delle repliche:
¦
Dev _ tra _ repliche
p
j 1
( X X )2 ˜ n j
.j
la devianza tra operatori misura la variazione tra le medie
degli operatori:
Dev _ operatori
36
¦
k
i 1
( X i . X ) 2 ˜ ni
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Come si può notare, il calcolo dell’incertezza di misura
derivante dai circuiti interlaboratorio porta ad ottenere valori
più elevati di quelli ottenuti con le prove intralaboratorio.
Questo è dovuto essenzialmente al metodo di calcolo diverso
per le due categorie.
L’incertezza ottenuta con le prove intralaboratorio, condotte in
condizioni estreme di riproducibilità, è veramente molto bassa
a testimonianza del fatto che tutti i laboratori dell’IZSVe
operano concordemente tra loro e con un elevato grado di
precisione.
e la devianza d'errore, detta anche residuo, misura la
variazione che rimane di ogni osservazione dopo aver tolto gli
effetti dei fattori già considerati.
La deviazione standard della riproducibilità è data da:
Sr
Dev _ repliche Dev _ operatori
gdl repliche gdloperatori
Espressione dell’incertezza di misura
Una volta calcolata la deviazione standard della riproducibilità
con entrambi i metodi, secondo quanto previsto dalla ISO
19036, l’incertezza di misura viene espressa come incertezza
estesa
U
Summary
The new revision of the ISO 7218: 2007, with the reference to
the ISO 19036:2006, has fixed the procedures to calculate
the uncertainty of measure of the analyses of food
Microbiology, providing three options of calculation to the
laboratory.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), to
estimate the uncertainty of measure, uses two of these
options:
• the calculation of the uncertainty of measure through the
intralaboratory standard deviation;
• the calculation of the uncertainty of measure through the
standard deviation of the reproducibility obtained from a
interlaboratory circuit.
The uncertainty of measure is calculated elaborating the data
of all the laboratories of food Microbiology of the IZSVe with
the purpose to get an only uncertainty of measure of Institute
specific for analysis and for matrix.
K ˜ Sr
equivalente a
U
2 ˜ Sr
se si considera il fattore di copertura al 95% (K=2).
Tra le varie possibilità previste dalla ISO 19036, l’IZSVe ha
scelto di esprimere i limiti di confidenza nella stessa unità di
misura del risultato. L’esito di un’analisi viene pertanto
espresso come segue:
Risultato: N UFC/g
Intervallo di confidenza: limite inferiore
superiore
10 y 2 S R
10 y 2 S R UFC/g - limite
UFC/g con y=log(N), K=2 (al 95%).
Risultati e discussione
Si riportano le incertezze di misura calcolate sulle metodiche
più comuni previste dal Reg. 2073/2005 (3) .
Per la categoria liquidi e polveri l’incertezza di misura è stata
calcolata tramite la deviazione standard della riproducibilità
derivante da un circuito interlaboratorio, per la categoria solidi
ben miscelati l’incertezza di misura è stata calcolata tramite la
deviazione standard intralaboratorio.
Le incertezze estese dell’IZSVe per le matrici considerate
sono riportate in tabella 1:
Tabella 1: Incertezze estese di metodiche
Microbiologia alimentare calcolate dall’IZSVe
Liquidi e
polveri
NORME ISO
ISO 4833:2003
Numerazione di microrganismi
mesofili a 30°C
ISO6888-2:1999 Amd 1 2003
Numerazione di Stafilococchi
coagulasi positivi
ISO 11290-2:1998 Amd 1
2004
Numerazione di Listeria
monocytogenes a 37° C
ISO 16649-2:2001
Numerazione di Escherichia
coli ß-glucuronidasi positivi a
44°C (conta in piastra)
ISO 21528-2:2004
Numerazione di Enterobatteri
a 37°C
ISO
Riferimenti bibliografici
1. ISO 7218:2007 - Microbiology of food and animal feeding stuffs General requirement and guidance for microbiological examinations
2. ISO 19036:2006 - Microbiology of food and animal feeding stuffs –
Guidelines for the estimation of measurement uncertainty for
quantitative determinations
3. Regolamento CE n. 2073/2005 della Commissione del 15
novembre 2005 – Criteri microbiologici applicabili ai prodotti
alimentari (G.U. Unione Europea L 338/1 del 22/12/05)
4. GRIMALDI M., MANCIN M., TREVISAN R., MIONI R.
“Assicurazione qualita’ dei risultati. Un esempio di circuito
interlaboratorio di microbiologia alimentare: numerazione di
stafilococchi coagulasi positivi” . Atti del IX Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V. – Roma, 14-16 novembre 2007.
5. MANCIN M., GRIMALDI M., TREVISAN R., MIONI R. “Calcolo
dell’omogeneita’ e stabilita’ dei dati in un circuito interlaboratorio di
microbiologia alimentare per l’assicurazione qualita’ dei risultati”. Atti
del IX Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. – Roma, 14-16 novembre
2007.
6. M. GRIMALDI, M. MANCIN, R. TREVISAN, R. MIONI “Il circuito
interlaboratorio “AQUA” di microbiologia alimentare dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. Verifica dell’omogeneità e
della stabilità dei campioni prova e calcolo dello Z-score” – Biologi
Italiani 5/2008, 91-96.
di
Solidi ben
miscelati
U
U
derivante
da circuiti
Intralab.
0,110635
0,022800
0,105127
0,033665
0,180987
0,026592
0,157646
0,021809
0,115031
0,027221
37
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
MELAMINA: UN ANNO DI CONTROLLI UFFICIALI
Ferro G.L., Squadrone S., Mauro C.,. Amato G., Poma Genin E., Loria A., Marchis D., Abete M.C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino;
C.Re.A.A. – Centro di Referenza Nazionale per la Sorveglianza ed il Controllo degli Alimenti per Animali
Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Key words: Melamina, GC-MS, mangimi
INTRODUZIONE
MATERIALI E METODI
La melamina (2,4,6-triammino-1,3,5-triazina, formula bruta
C3H3N6) è un composto eterociclico di color bianco,
dall’aspetto polverulento, scarsamente solubile in acqua.
Trova largo impiego nella produzione di resine plastiche
termoindurenti, come le resine ammidiche ottenute dalla
reazione di policondensazione tra la melamina e la
formaldeide. Gran parte delle resine melaminiche viene
utilizzata nella produzione di rivestimenti per mobili e nella
produzione di stoviglie plastiche (piatti, ciotole, ecc.).
Dato che il contenuto di azoto nella formula della melamina
è circa il 66%, nel corso del tempo ha trovato larga
applicazione come fertilizzante in campo agricolo. Sempre
per il suo alto tenore di azoto viene addizionata
fraudolentemente nelle materie prime per aumentare il
contenuto di azoto totale.
Sono di seguito riportati (Tabella 1) il numero dei campioni e la
tipologia degli stessi, analizzati nel periodo che intercorre dal 1
Agosto 2007 al 1 Agosto 2008.
Tabella 1
Tipologia di mangime
Figura 1: formula della melamina
NH2
N
H2N
Cane
27
Gatto
14
Bovino
4
Suino
1
Pesce
37
Materie Prime
52
Mangimi completi - specie varie
10
Totale
145
Il Diagramma 1 mostra la suddivisione per specie animale dei
campioni di mangime analizzati.
N
N
Numero
Diagramma 1
NH2
Specie Varie
Tra settembre 2006 e il primo trimestre 2007 sono stati
ritirati dal mercato statunitense molte partite di pet food
ritenute responsabili del decesso di migliaia di cani e gatti.
A fine marzo 2007, l’U.S. Food and Drug Administration
(FDA) ha riscontrato la presenza di melamina (1) e
composti affini in materie prime destinate alla produzione di
pet food ha emanato un’allerta sulla presenza di tale
sostanza in diverse materie prime proteiche di
importazione cinese.
Facendo seguito alle segnalazioni dell’FDA, anche la
Comunità Europea con il suo sistema di allerta rapido
(RASFF, Rapid Alert System for Food and Feed) ha aperto
una notifica di allerta per le materie prime di origine
proteica importate dalla Cina (2). Il 2 maggio 2007, la
Commissione Europea ha chiesto agli Stati Membri di
predisporre gli adeguati controlli sulle materie prime
importate.
A metà maggio 2007 il Ministero della Salute ha chiesto
agli uffici ed ai laboratori ufficiali di predisporre il controllo
delle materie prime di importazione. Nel mese di luglio il
C.Re.A.A. ha completato la procedura di validazione del
metodo analitico e ha dato inizio all’attività di controllo.
Cane
Materie Prime
Gatto
Bovino
Suino
Pesce
Il metodo analitico messo a punto per la determinazione della
melamina è un metodo quantitativo in GC/MS previa
derivatizzazione
dei
campioni
con
N,Obis(trimetilsililtrifluoroacetammide)
(BSTFA)
e
1%
trimetilclorosilano (TMCS) in piridina.
In ogni campione viene utilizzato uno standard interno per
controllare il processo di derivatizzazione: la sostanza utilizzata
come standard interno è la 2,4-diammino-4-cloropirimidina
(DACP). In ogni sessione analitica viene inserito un campione
positivizzato per verificare il processo di estrazione ed
assicurare il mantenimento delle condizioni di ripetibilità e
accuratezza in fase di routine, con l’utilizzo della relativa carta di
controllo. Il metodo è stato validato in accordo al Regolamento
882/2004/CE.
38
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Nella Tabella 2 vengono riportati i parametri fondamentali
della validazione del metodo (3).
Dei 145 campioni analizzati, 143 sono risultati conformi con una
quantità di melamina presente inferiore al limite di
quantificazione del metodo (10 mg/kg) e due sono risultati
positivi con quantità di 106,7 e 100,8 mg/kg.
Per i due campioni non conformi, mangimi completi per specie
varie, si è avviata la normale procedura di irregolarità.
Tabella 2
LOD
2,38 mg/kg
LOQ (calcolato)
7,85 mg/kg
LOQ (assunto)
10 mg/kg
Campo di misura
10-750 mg/kg
Livello di positivizzazione
75 mg/kg
Le illustrazioni che seguono mostrano rispettivamente lo
spettro di massa della melamina derivatizzata (Figura 2) e i
cromatogrammi in TIC (Corrente Ionica Totale) della
matrice negativa e del fortificato a 75 mg/kg (Figure 3 -4).
Figura 2
Std4000pg #370-373 RT: 11.05-11.10 AV: 4 SB: 14 10.99-11.07 , 11.10-11.18 NL: 2.13E6
T: + c Full ms [ 50.00-450.00]
327
100
95
90
85
80
73
75
70
65
55
342
50
45
40
35
30
99
DISCUSSIONE
Il metodo validato secondo il Regolamento 882/2004/CE ha
dimostrato di essere robusto ed utilizzabile su diverse tipologie
di materie prime di natura proteica, su mangimi completi e
complementari per diverse specie animali, ed ovviamente sui
pet food sia secchi che umidi.
L’allarme internazionale riguardante la presenza di melamina
nei pet food ha destato grosse preoccupazioni a livello sanitario
e nell’opinione pubblica.
L’utilizzo fraudolento di sostanze chimiche non autorizzate per
aumentare il valore commerciale della merce è una pratica in
uso da diversi anni.
Solo il puntuale ed efficace controllo delle materie prime e dei
prodotti finali può garantire la salute degli animali e di riflesso la
sicurezza dei consumatori.
Proprio in questa ottica di controllo il Piano Nazionale
Alimentazione Animale (PNAA) per l’anno 2008 (4) ha inserito
come controllo ufficiale il campionamento per la ricerca di
melamina.
20
213
15
74
10
71
5
115 130
156
141
100
75
50
100
343
285
172 197
181
214
90
0
150
239
244
200
344
286
269
288
250
m/z
345
325
300
361 376
350
402 417 428 442
400
BIBLIOGRAFIA
450
(1) U.S.Food and Drug Administration, GC-MS Screening for the
Presence of Melamine, Ameline, Ammelide and Cyanuric Acid,
Version 2.1, 22 Maggio 2007, www.fda.gov.
(2) Notifica di allerta RASFF numero 07/0362, 07/0362 e 07/0365,
Commissione Europea, Bruxelles.
(3) Regolamento 882/2004/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio, 9 Aprile 2004.
(4) Ministero della Salute, Piano Nazionale Alimentazione Animale
2008, Roma 2008.
Figura 3
RT: 11.50 - 15.00
NL:
4.38E6
TIC F: MS
Neg
12.63
100
95
90
85
80
75
70
Relative Abundance
65
60
13.47
55
50
13.41
SUMMARY
45
40
35
30
25
13.66
20
15
12.77
10
5
11.55
0
11.5
13.00
11.85 12.03 12.07
12.0
12.5
13.89
14.00
13.13
14.48
14.77
14.33
13.0
13.5
14.0
14.5
15.0
Time (min)
Figura 4
RT: 11.50 - 15.00
NL:
4.58E6
TIC F: MS
Pos75ppm
12.63
100
13.84
95
90
85
80
75
70
65
Relative Abundance
Relative Abundance
171
60
25
RISULTATI
60
55
Last year, in US many brands of pet foods were recalled,
following reports of pet illnesses and deaths. The authorities
began an investigation and it was found that wheat gluten
imported from China and used for the production of pet feed
was the origin of these problems. Melamine, an industrial
chemical high in nitrogen, is fraudulently added to wheat gluten
and other protein sources to enhance the apparent protein
content of feed. Member States have been asked by the
Commission to control consignments of wheat gluten, corn
gluten, corn meal, soy protein, rice bran and rice protein
concentrate originating from third countries for the presence of
melamine. We developed and validated a quantitative method
to detect melamine in animal feed according to Regulation
882/2004/CE.
13.48
50
45
13.41
40
35
30
25
20
13.66
15
12.77
10
5
11.55
11.5
13.89
13.00
11.85 11.97 12.07
12.0
12.5
14.48
13.13
13.0
14.77
14.34
13.5
14.0
14.5
15.0
Time (min)
39
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
DETERMINAZIONE DI ALLERGENI IN ALIMENTI A BASE DI CARNE: ATTIVITA’ DI MONITORAGGIO NELLA
REGIONE PIEMONTE
1
1
1
1
1
1
2
1
Fragassi S, Lai J, Fabbri M, Adriano D, Gallina S, Bianchi DM, Barbaro A, Decastelli L.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti,Torino;
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Osservatorio Epidemiologico,,Torino
1
Keywords: allergeni, ovoproteine, proteine del latte
Entrambi i kit si basano sulle stesse procedure analitiche: 1 g
di campione viene omogenato con 20 mL di buffer di
estrazione fornito dal kit in Stomaker®. Si procede, quindi,
all’incubazione per 10’ a 60°C e successivamente alla
filtrazione su filtro di nitrocellulosa. Un’aliquota di 50 μL del
surnatante è testata con ciascun kit ELISA. La lettura si
effettua allo spettrofometro a 450 nm e dall’assorbanza viene
calcolata la concentrazione del campione secondo la legge di
Lambert – Beer.
Il limite di rilevabilità per il kit ELISA RIDASCREEN ȕlactoglobulin è 0,2 mg/kg; per il kit ELISA RIDASCREEN
FAST Ei/Egg Protein è di 0,6 mg/kg.
Determinazione del lattosio
Per la determinazione del lattosio il kit utilizzato è il LactoseD-Galactose UV-method della ditta Boehringer Mannheim/RBiopharm: 5g di campione vengono estratti in acqua distillata
a 70°C per 15’ e filtrati su filtro di nitrocellulosa. Da una
aliquota di surnatante di 1mL viene effettuata una cinetica
enzimatica, secondo le istruzioni fornite dal kit, che viene
rilevata da una lettura spettrofotometrica a 340 nm: dal valore
dell’assorbanza si calcola la concetrazione di lattosio
presente nel materiale sottoposto a prova.
Le analisi di revisione sui campioni risultati positivi, sono state
effettuate presso l’ISS con l’impiego degli stessi kit.
SUMMARY
Food allergies are an important health problem in
industrialized countries. Undeclared allergens in the label
represent a big risk for consumers. The Directive 2003/89/EC
oblige to declare in the label all ingredients and derived
substances. In this study, the Piedmont monitoring plan of
allergens in meat products is presented. Analyses are carried
out with an ELISA test for the detection of the egg-proteins,
the detection of milk protein or UV-method for the lactose.
4,25% of samples resulted to be not conform.
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni le allergie e le intolleranze alimentari sono
divenute sempre più frequenti destando sempre maggior
interesse in quanto circa il 2-2,5% della popolazione è
soggetta a questi disturbi (1). Di queste allergie, circa il 90%
viene attribuita a 8 alimenti: latte vaccino, uova, crostacei,
pesce, arachidi, soia, frutta con guscio, cereali (2, 3). In
passato, la normativa sull’etichettatura dei prodotti alimentari
imponeva l’elenco degli ingredienti ma non richiedeva il
dettaglio dei singoli costituenti degli ingredienti composti
qualora questi ultimi non superassero il 25% degli ingredienti
totali. Tale limite non era adatto a tutelare i consumatori
allergici, nei quali anche solo piccole tracce di allergene
possono scatenare la reazione avversa. Di qui nasce
l’esigenza di avere una legislazione specifica che regolamenti
la dichiarazione in etichetta di ogni ingrediente alimentare al
fine di minimizzare il rischio di allergie nella popolazione. La
Direttiva 2003/89/CE, recepita a livello nazionale con il
Decreto n.114 del 08/02/2006 sancisce quindi, l’obbligo di
dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti dei prodotti
alimentari.
Per la tutela dei consumatori e per monitorare l’eventuale
presenza di non conformità delle etichette, nella Regione
Piemonte a partire dall’anno 2007, è stato emanato un Piano
di Monitoraggio per la ricerca di allergeni negli alimenti.
Secondo questo piano sono state effettuate analisi su
prodotti a base di carne per la ricerca di proteine delle uova,
proteine del latte e lattosio; tuttavia quest’ultimo non è
considerato un vero e proprio allergene in quanto genera
un’intolleranza alimentare e non una vera e propria allergia.
RISULTATI
Delle 729 analisi eseguite su prodotti a base di carne sono
risultate conformi 698 analisi (95.75%) e 31 sono risultate
non conformi (4.25%): la suddivisione delle analisi per
tipologia di analisi con le relative percentuali è mostrata nella
tabella n.1.
Tabella n. 1 Analisi eseguite su alimenti suddivise per
tipologia di analisi.
Numero
Numero
di analisi
% di non
di analisi
Numero di analisi
conformità
non
conformi
conformi
Analisi Totali 729
698
31
4.25
Analisi per
230
222
8
3.48
lattosio
Analisi per ȕ236
225
11
4.66
lattoglobuline
Analisi per
263
251
12
4.56
ovoproteine
MATERIALI E METODI
I campioni sono stati prelevati in 4 o 5 aliquote dai Servizi
Veterinari Regionali. Nel periodo considerato (anno 2007 e
primo semestre 2008) sono state effettuate 729 analisi su
prodotti a base di carne per la ricerca di proteine dell’uovo
(ovomucoidi, ovalbumina, ovotransferrina e lisozima), di ȕlattoglobulina e di lattosio.
La metodica utilizzata per le analisi è stata un ELISA per la
ricerca di proteine del latte e delle uova. Per la ricerca di
lattosio si è impiegato un kit con lettura spettrofotometrica di
una cinetica enzimatica.
Ricerca di ȕ-lattoglobuline e proteine delle uova con tecnica
ELISA
Per la ricerca di ȕ-lattoglobuline è stato utilizzato il kit ELISA
RIDASCREEN ȕ-lactoglobulin (R - Biopharm Italia Srl); per la
ricerca di proteine delle uova è stato impiegato il kit ELISA
RIDASCREEN FAST Ei/Egg Protein
(R - Biopharm
Italia Srl).
Per quanto riguarda le analisi per il lattosio delle 8 risultate
non conformi, 6 derivano da campioni di preparazioni a base
di carne (salsicce fresche, hamburger) e 2 sono prodotti a
base di carne (uno è un salame e l’altro un wurstel di
pollame) (Grafico n.1).
Per quanto riguarda le analisi per le ȕ-lattoglobuline, di 11
non conformità 6 sono preparazioni a base di carne (salsicce,
hamburger), 4 sono prodotti a base di carne (1 di insaccato
cotto, 1 salame, 1 wurstel di pollame) e 1 carne macinata di
bovino (Grafico n.2). Di questi 11 campioni, 8 sono risultati
positivi anche per la ricerca del lattosio.
Per quanto riguarda infine le 12 analisi non conformi per le
ovoproteine, queste sono rappresentate da: preparazione
gastronomica a base di carne (n° = 1), preparazioni a base di
40
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
dimensioni. In queste realtà potrebbe risultare difficile
separare completamente le linee produttive contenenti
ingredienti allergizzanti da quelle che ne sono prive.
carne (n° = 7 di cui 6 hamburger e 1 campione di polpette) e
prodotti a base di carne ( n° = 4 salami) (Grafico n.3).
Ad oggi, tutti i campioni inviati per l’analisi di revisione ed
esaminati dall’Istituto Superiore di Sanità, sono stati
confermati.
BIBLIOGRAFIA
1. Molkhou P. (2005). Epidemiology of food allergies. Rev. Infirm.
111, 24-27
2. Campisi G.and Di Liberto C. (2003). Food allergy in oral medicine.
A review of the literature. Minerva Stomatol. 52 (7-8), 351-363.
3. Moneret-Vautrin DA. and Morisset M. (2005). Adult food allergy.
Curr. Allergy Asthma Rep. 5 (1), 80-854.
Grafico n.1 Alimenti non conformi per lattosio
25%
75%
Prep. a base di carne
Prodotti a base di carne
Grafico n.2 Alimenti non conformi per ȕ-lattoglobuline
9%
36%
55%
Prep. Gastronomica
Prep. a base carne
Prodotti a base carne
Grafico n. 3 Alimenti non conformi per ovoproteine
33%
67%
Prep. a base carne
Prodotti a base carne
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti mostrano l’importanza dei piani di
monitoraggio per controllare la corretta applicazione e il
rispetto della normativa comunitaria per l’etichettatura dei
prodotti alimentari.
Si ritiene utile sviluppare dei metodi di conferma da affiancare
alla metodica ELISA, che fornisce ottimi risultati per lo
screening iniziale, ma necessita di metodi di conferma
sensibili e specifici (ad esempio spettrometria di massa)
Si segnala che la maggior parte delle positività riscontrate è
ascrivibile a prodotti alimentari di aziende di piccole
41
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IDENTIFICAZIONE CON TECNICA ESR DI CARNI IRRADIATE (EQUINO, SUINO, OVINO, CAPRINO,
CONIGLIO, TACCHINO) CONTENENTI OSSA.
Mangiacotti M., Chiaravalle A. E., Marchesani G.
Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico-Veterinario, IZS Puglia e Basilicata, Foggia;
Key words: Irradiated food, meat, Electron Spin Resonance (ESR)
ABSTRACT – Food irradiation can be used to increase the
microbiological safety and to extend the shelf life of a wide
range of foods. Community legislation states that any food or
food ingredients must be labelled and that every year each
Member State, particularly Italy, has to carry out checks. In
this work, turkey, pork, horse, rabbit, sheep and goat meat
samples containing bone irradiated at dose level (0,10 ÷ 3)
kGy, were analysed by ESR method. The main aim is to
extend the range of applicability of the method providing a
reliable tool to enforce correct labelling.
sottoposto a procedura di validazione intralaboratorio
verificandone l’attendibilità e la fruibilità analitica. Vengono,
infine, presentati i dati preliminari dei controlli effettuati su
prodotti alimentari prelevati sul mercato locale ed i risultati di
uno studio interspecie sulle diverse sensibilità del segnale
ESR per il femore dell’equino, del suino e del tacchino.
MATERIALI E METODI – Un numero di 6 set di ossa,
ciascuno composto, per ogni singola specie animale
analizzata (equino, suino, ovino, caprino, coniglio e
tacchino), da 3 campioni di ossa diverse (femore, radio, tibia
ed omero) appartenenti ad individui differenti fra loro per
caratteristiche varie (età, sesso, alimentazione) sono stati
prelevati con il criterio della casualità dalle competenti
autorità sanitarie e conferite al Centro di Referenza
Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore
Zootecnico-Veterinario. Il protocollo sperimentale prevede
due fasi principali: confronto di due tecniche preparative
alternative per l’ottimizzazione del trattamento del campione
e verifica dell’applicabilità del metodo alle specie considerate
con restituzione dei principali parametri di validazione
intralaboratorio. Nella prima fase, finalizzata alla separazione
dell’osso dalla polpa e dal midollo, per ottenere un campione
il più possibile privo di segnali spuri dovuti alla frazione
organica, sono state testate due diverse tecniche
preparative: una di tipo chimico e l’altra di tipo fisico. La
prima prevede il riscaldamento in bagno ad ultrasuoni alla
temperatura di 60 ÷ 70 °C della soluzione di NaOH 5 M,
rinnovata ad intervalli regolari di tre cicli della durata di 8 ore
ciascuno e contenente il frammento osseo, precedentemente
ripulito della parte organica, per quanto possibile, con
l’ausilio di un bisturi. Il secondo trattamento di tipo meccanico
consiste essenzialmente nella riduzione del campione in
forma di polvere con mulino elettrico a coltelli con successiva
operazione di setacciamento nell’intervallo (0,5 ÷ 1) mm. In
entrambi i trattamenti scopo principale è quello di ridurre
l’effetto di spiccata anisotropia del segnale ESR dovuto ai
cristalli di idrossiapatite per migliorare la precisione del
metodo ed in particolare la ripetibilità della misura singola. Le
fasi successive del protocollo qualitativo messo a punto
prevedono l’essiccazione della polvere, trasferita in capsule
Petri di 5 cm di diametro, in stufa ventilata alla temperatura di
40 ± 5 °C per circa 3 h, e l’alloggiamento in appositi
contenitori per l’irraggiamento, con sorgente a Co-60, a
diversi livelli di dose nel range 0.10 ÷ 3 kGy. Dopo il
trattamento radiante i campioni vengono trasferiti in tubi di
quarzo di diametro interno di 4 mm, puliti esternamente con
salviette tipo “kimwipes”, per essere poi sottoposti a lettura
con spettrometro modello EMX 10/12 della ditta Bruker,
dotato di cavità risonante cilindrica ed operante in banda X.
La fase di lettura strumentale prevede il posizionamento del
tubo al centro della cavità e l’acquisizione dello spettro ESR
adottando i parametri di registrazione riportati in tabella 1.
INTRODUZIONE – La food irradiation rappresenta
attualmente per l’industria alimentare un processo
tecnologico in grado di soddisfare le esigenze di una
adeguata conservazione degli alimenti garantendo così una
più elevata fruibilità commerciale ed innalzando, inoltre, il
livello della qualità igienico-sanitaria di quei prodotti trattati
con radiazioni ionizzanti. Considerate le numerose ricadute
positive sia dal punto di vista commerciale che igienicosanitario a livello mondiale tale tecnologia ha conquistato un
ruolo di primaria importanza con il risultato che un numero
sempre più vasto di derrate alimentari vengono annualmente
sottoposte a tale trattamento. In particolare i prodotti carnei
risultano tra le tipologie alimentari per le quali l’irraggiamento
a dosi ben determinate è stato implementato già da tempo in
tutti i paesi muniti di impianti di irraggiamento autorizzati al
trattamento. L’Unione Europea con l’intento di disciplinare
questa controversa materia, a causa delle differenti opinioni
da parte delle maggiori organizzazioni internazionali (FAOIAEA-OMS) che risultano favorevoli al trattamento rispetto ad
alcune tra le maggiori associazione dei consumatori
contrarie all’uso di tale tecnologia, ha emanato due direttive
(1999/2/CE e la 1999/3/CE) a loro volta recepite nel quadro
normativo italiano dal D.Lgs. n° 94 del 30/01/01 (1).
Indipendentemente dal fatto che venga effettuato o meno il
trattamento con radiazioni ionizzanti sul proprio territorio,
l’Italia, con l'apertura dei mercati, si trova costretta ad
affrontare l'immissione sul mercato interno di prodotti carnei
trattati sia nei paesi membri dell’Unione Europea che in paesi
extra-europei dotati di idonei impianti di irraggiamento. A
maggior tutela del consumatore sono stati quindi previsti dei
piani di controllo ufficiale da eseguirsi con cadenza annuale
sui prodotti presenti in fase di commercializzazione con il
duplice scopo di identificare prodotti irradiati non
correttamente etichettati o autorizzati. Attualmente con la
ESR, tecnica di conferma di tipo fisico, sono state sottoposte
a validazione interlaboratorio, con l'unico scopo di valutare
l'avvenuto trattamento radiante, esclusivamente campioni di
carni di pollo e manzo. Per adempiere a precisi obblighi
legali e per ampliare il consenso verso tale tecnologia di
conservazione, sarebbe auspicabile estendere e validare il
metodo normato UNI EN 1786 (2) anche su altre matrici quali
prodotti carnei di equino, suino, ovino, caprino, coniglio e
tacchino. Nel presente lavoro la tecnica ESR, basata sulla
rivelazione di radicali radioindotti, è stata ottimizzata nella
fase di preparazione ed applicata con successo a matrici che
risultano al contempo prodotti di largo consumo e suscettibili
di essere trattati. L’elenco infatti include anche quei prodotti
carnei che al momento non appartengono alla lista positiva
degli alimenti autorizzati nelle rispettive normative nazionali.
Il metodo così ottimizzato è stato successivamente
Tabella 1 - Parametri di acquisizione dello spettro ESR
Potenza a microonde
Ampiezza di modulazione
Campo di scansione
Numero di scansioni
Costante di tempo
42
10.57 mW
3G
150 G
5
163.84 ms
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
La valutazione dello spettro ESR, per l’identificazione
dell’avvenuto trattamento con radiazioni ionizzanti, consta di
due operazioni: un’analisi visiva di tipo qualitativo ed una
successiva conferma analitica con la determinazione dei
valori dei fattori g1 e g2 dello spettro acquisito. La conferma
visiva del trattamento con agenti fisici ionizzanti si attua
verificando la presenza nello spettro della sequenza di due
segnali a valori di g decrescenti: un primo segnale
asimmetrico dovuto ai centri paramagnetici presenti nel
campione (radioindotto e segnale nativo), seguito dal segnale
simmetrico del marker, costituito da polveri contenenti ioni
paramagnetici a singola linea con valore di g noto (1.9800 ±
0.0006) e costantemente inserito in cavità. La determinazione
dei valori g può avvenire in due modi: tramite la misura dei
parametri fisici di frequenza delle microonde trasmesse in
cavità e dell’intensità di campo magnetico in essa presente
oppure tramite l’ausilio di un software di elaborazione spettri
con l’utilizzo di un opportuno marker tenuto fisso in cavità. La
soluzione adottata in questo studio contempla l’uso di un
marker fornito direttamente dalla ditta Bruker. Un esempio di
spettro tipico di un campione irradiato viene riportato in figura
1.
rappresenta il fattore più importante al fine di garantire
l’identificazione durante l’intera shelf-life dell’alimento.
2
Tabella 2 - Parametri della validazione: Linearità R , Minima
Dose Rivelabile (MDR) e Fading (F)
Specie
animale
Equino
Suino
Tacchino
Coniglio
Ovino
Caprino
Parametri della Validazione e
Radiosensibilità relativa del femore (S)
R2 = 0,98; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 0,89
R2 = 0,99; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 1
R2 = 0,96; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 0,88
R2 = 0,97; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 0,86
R2 = 0,96; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 0,87
R2 = 0,98; MDR = 0,10 kGy; F ” 2% S= 0,87
Da tale studio, condotto monitorando ciascun tipo diverso di
osso per un periodo di un intero anno, non si è registrata
nessuna variazione significativa dell’intensità. Tale variabilità
risulta compresa all’interno dell’intervallo di variabilità del
metodo valutata nell’ordine del 2%. Inoltre il confronto dei due
diversi metodi di preparazione del campione, di tipo fisico e
chimico, finalizzati ad ottenere una riduzione del segnale di
fondo, a garantire le condizioni di isotropia e ad aumentare la
stabilità del segnale radioindotto, ha evidenziato unicamente
un aumento, dell’ordine del 15 %, della sensibilità del segnale
ottenuto con il trattamento chimico rispetto alla preparazione
di tipo meccanico. L’ottimizzazione della fase preparativa del
metodo è stata realizzata scegliendo la preparazione di tipo
meccanico. E’ da notare infatti che, nonostante sia evidente
un innalzamento della sensibilità prodotto dal solo metodo di
trattamento chimico, la sua adozione non è attualmente
giustificata, non solo per i tempi di analisi più lunghi rispetto al
metodo fisico, ma anche perché quest’ultimo possiede già
una capacità di rivelazione (MDR) idonea per le normali
pratiche e dosi di irraggiamento. Infatti la minima dose
rivelabile risulta inferiore alla più bassa dose di trattamento
(0,15 kGy) utilizzata per le carni di maiale. Oltre ad una
valutazione delle prestazioni analitiche del metodo proposto,
si mostrano in tabella 2 le diverse radiosensibilità del femore
per le diverse specie considerate ed espresse in termini
relativi rispetto alla specie suina, che risulta la più sensibile.
Infine si riportano i dati relativi ad un monitoraggio preliminare
effettuato su trenta campioni prelevati in maniera casuale e
presenti in fase di commercializzazione sul mercato locale.
Tale indagine è stata effettuata su un numero totale di 30
campioni (6 di pollo, 3 di tacchino, 6 di maiale, 5 di manzo, 2
di coniglio, 3 di equino, 3 di ovino, 2 di caprino) e non si è
evidenziata nessuna non conformità rispetto alla normativa
vigente in materia di corretta etichettatura. In conclusione è
possibile affermare che il metodo analitico proposto così
ottimizzato, a prescindere dalla tecnica preparativa prescelta,
soddisfa i requisiti di un metodo idoneo alla identificazione di
alimenti trattati con radiazioni ionizzanti risultando al
contempo affidabile, semplice nella fase preparativa, rapido e
non distruttivo. Quest’ultima caratteristica, coniugata con la
forte stabilità del segnale radioindotto nell’idrossiapatite
dell’osso irradiato, rendono il metodo per spettroscopia ESR
fra i metodi di conferma a disposizione, quello di elezione a
patto che sia possibile estrarre dal campione di carne anche
solo piccoli frammenti ossei.
Figura 1 Spettro ESR di un campione di polvere di ossa
(equino) irradiato a 0,5 kGy con marker a singola linea
presente in cavità.
Inoltre come parametro di confronto, necessario per eseguire
una analisi quantitativa delle sensibilità delle diverse specie
analizzate, è stata considerata l’altezza picco-picco della
componente principale del segnale (g1), generato dai radicali
radio-indotti CO2- , normalizzata all’altezza del segnale del
marker ed alla massa di polvere irradiata. L’intero apparato
di misura è stato sottoposto a rigorosi controlli di qualità
durante l’intera attività.
RISULTATI E DISCUSSIONE – L’identificazione corretta del
trattamento con radiazioni ionizzanti di carni contenenti ossa
si basa sulla determinazione dei valori sperimentali g1 e g2
presenti nello spettro e sul successivo confronto dei risultati
ottenuti con i due intervalli di accettabilità seguenti: g1 (2,002
± 0,001) e g2 (1,998 ± 0,001). La sperimentazione condotta
ha permesso di verificare l’applicabilità del metodo su tutte le
tipologie di prodotti carnei analizzati per i quali è stato
determinato il livello di minima dose di irraggiamento per cui il
metodo risulti affidabile. Una richiesta essenziale da parte
degli organismi pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni di
controllo ufficiale, è la disponibilità e l’uso di metodi accurati,
semplici e validati. Si riportano a tal proposito in tabella 2 i
principali parametri di validazione ottenuti da prove
intralaboratorio. Le principali caratteristiche indagate
risultano: la minima dose rivelabile (MDR), la linearità, ed il
fading del segnale. E’ stata infatti considerata anche la
stabilità nel tempo del segnale radioindotto in quanto
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1) Decreto Legislativo n° 94 del 30 gennaio 2001, G.U. n° 79 del 4
aprile 2001.
2) UNI EN 1786 (Aprile 1997): Prodotti alimentari – Ricerca di
alimenti irraggiati contenenti ossa. Metodo per spettroscopia di
risonanza elettronica di spin (ESR)
43
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE NEGLI ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO MEDIANTE
PCR. CONFRONTO TRA DIFFERENTI METODI DI ESTRAZIONE DEL DNA.
Vodret B.1, Schiavo M.R. 2, Serratrice G. 1, Sparacino L. 2, Altissimi M.S. 3 e Haouet M.N.3
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
Key words: BSE, farine animali, PCR
SUMMARY
It is generally accepted that route of infection of cattle with
BSE is by consumption of feeds containing processed
animals proteins. This likely route resulted in total feed
bans that were expected to develop into a future
enforcement of the “species to species” ban. These bans
require support of species-species identification methods.
The aim of this work was to compare different DNA
extraction methods for the application of PCR to detect
specific sequences of DNA. Results evidence that not all
methods are suitable for the isolation of DNA from feed.
INTRODUZIONE
Il rischio di diffusione negli animali d’allevamento della
Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) ha determinato
come misura preventiva, il divieto di somministrazione ai
ruminanti di proteine derivate da mammiferi su tutto il
territorio comunitario. Alla fine del 2000 il divieto è stato
ampliato a tutte le proteine animali destinate agli animali
d’allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la
produzione (1-2). Oggi l’Unione Europea discute
l’opportunità di reinserire progressivamente talune
proteine derivate per talune specie (per esempio farine di
pesce nei giovani ruminanti), dopo una attenta
valutazione del rischio e dei risultati di sorveglianza
raccolti negli anni successivi al feed-ban. Il progressivo
reintegro di alcune proteine punta di nuovo l’attenzione,
da parte dei laboratori di controllo ufficiale, sulla ricerca e
standardizzazione di un metodo di supporto al metodo
ufficiale riconosciuto dall’Unione Europea (3-4), per la
determinazione della classe animale. Il metodo ufficiale,
basato sul trattamento del campione con un solvente
chimico e successiva valutazione microscopica del
sedimento separato, permette di
determinare una
contaminazione al livello dello 0.1 %. Il riconoscimento di
frammenti ossei di mammiferi, volatili e pesci che si
effettua attraverso il confronto fra le caratteristiche di tali
frammenti (5), dipende fortemente dall’esperienza del
lettore, è soggettivo e può comportare tempi lunghi nella
lettura al microscopio. Da diversi anni si sono sviluppate
tecniche alternative, tra cui, prevalentemente, metodi di
determinazione
del
DNA
(PCR)
applicati
per
l’identificazione delle proteine animali trasformate nei
mangimi (6). L’estrazione del DNA dalla matrice del
campione, prima tappa di tutti i metodi di biologia
molecolare, rappresenta un punto critico di tale
metodologia, determinante per l’ottenimento di un risultato
finale soddisfacente. Diversi protocolli di estrazione
possono essere implementati direttamente in laboratorio,
altri metodi richiedono l’impiego di specifici kit
commerciali: questi ultimi hanno il vantaggio di essere più
rapidi e riducono sicuramente i tempi della fase estrattiva.
Obiettivo del presente lavoro è il confronto di alcuni
metodi di estrazione del DNA (commerciali e non) da
mangimi per uso zootecnico: tale lavoro è correlato alle
precedenti attività di ricerca svolte dagli Istituti
Zooprofilattici Sperimentali della Sardegna, della Sicilia,
dell’Umbria e Marche. Le analisi sono state condotte
presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
44
della Sardegna e della Sicilia, su campioni di mangimi
contenenti, e non, proteine animali trasformate: il DNA è
stato estratto mediante l’utilizzo di tre metodi differenti, e
identificato mediante PCR.
MATERIALI E METODI
Le prove sono state eseguite parallelamente dall’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna e della
Sicilia. Ogni campione di mangime (Tabella n.1) è stato
analizzato in doppio dai due laboratori. Sono stati utilizzati
mangimi contaminati con lo 0,1% di proteine animali
trasformate (PAT) di mammifero (Campioni 1 e 2), con lo
0,1% di PAT di volatile (campione 3 e 4), o privi di
proteine di origine animale (campione 5 e 6).
Tabella n. 1: Elenco dei mangimi sottoposti a estrazione
Campione n. 1
0,1% PAT di mammifero
Campione n. 2
0,1% PAT di mammifero
Campione n. 3
0,1% PAT di volatile
Campione n. 4
0,1% PAT di volatile
Campione n. 5
Assenza di PAT
Campione n. 6
Assenza di PAT
Tutti i campioni sono stati omogeneizzati con un
omogeneizzatore a lame e una parte di essi è stata
sottoposta all’analisi col metodo ufficiale.
Il DNA è stato estratto utilizzando tre differenti tecniche di
estrazione: metodo A (estrazione con CTAB (7) integrato
con lo step della purificazione mediante mini colonne
Wizard (Promega) (8); metodo B (QIAamp DNA Mini Kit,
QIAGEN) e metodo C (GenElute DNA, Mammalian
Genomic, Miniprep kit, SIGMA). I protocolli dei due kit
commerciali sono stati opportunamente modificati per
l’estrazione del DNA dai mangimi (metodi B e C), non
considerati nel campo di applicazione dei kit, utilizzando
in particolare una quantità superiore di matrice, rispetto a
quelle indicate dalle ditte produttrici. La valutazione della
resa del DNA e della qualità dell’estratto, è stata eseguita
mediante lettura spettrofotometrica e/o elettroforesi su
gel di agarosio all’0,8%. Il DNA estratto è stato utilizzato
per le prove di amplificazione di PCR: le prove sono state
eseguite utilizzando la metodica sviluppata dall’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche.
Mediante l’utilizzo di due primers specifici sono stati
ricercati i DNA mitocondriali di mammifero e volatile. Tutte
le prove di PCR sono state eseguite utilizzando il
programma di amplificazione e la miscela di reazione
riportati nelle Tabelle 2 e 3. Dopo l’amplificazione, il DNA
è stato separato mediante elettroforesi su gel di agarosio
2% e le bande ottenute sono state confrontate con quelle
di campioni positivi (Mammifero 118 bp, volatile 131 bp).
Parallelamente all’analisi sui mangimi, sono stati estratti e
analizzati in doppio campioni di muscolo bovino, suino,
pollo e tacchino (n. 2 campioni/tipologia di tessuto/metodo
di estrazione).
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella n.2 Programma di amplificazione
Mammifero 30 cicli
Figura n.1 1 (Campione 1 - Metodo B); 2 (Campione 1 Metodo C); 3 e 11 (Muscolo bovino - Metodo B); 4 e 12
(Muscolo bovino - Metodo C); 5 e 13 (controllo negativo),
6 e 8 (vuoto); 7 (Ladder 100 bp); 9 (Campione 2 - Metodo
B); 10 (Campione 2 - Metodo C).
Volatile 35 cicli
T (°C)
Tempo (s)
T (°C)
Tempo (s)
95
600
95
300
94
30
94
30
61
30
51
30
72
30
72
30
72
180
72
180
1
2
3
4
5
6 7
8
9 10 11 12 13
Tabella n.3 PCR-MIX miscela di reazione (volumi in μl)
Mammifero
DISCUSSIONE
La legislazione Europea ha già da tempo indicato alla
comunità scientifica (3) la possibilità di adottare metodi
alternativi per la determinazione delle proteine animali nei
mangimi destinati agli animali da allevamento, al fine di
implementare il sistema di controllo e di sorveglianza della
trasmissione della BSE. Lo sviluppo di nuove metodologie
è stato fortemente centrato sulle tecniche in PCR: il punto
critico per l’applicazione di questa tecnica è l’estrazione
del DNA poiché influenza l’efficienza della reazione e
l’accuratezza dei risultati. Infatti l’efficienza della PCR
dipende dalla qualità e purezza del DNA estratto (scarsa
degradazione, rapporto 260/280, libero da inibitori): le
proteine, i polisaccaridi e i grassi presenti in matrici
complesse possono talvolta inibire l’estrazione del DNA e
i successivi protocolli di amplificazione.
Dall’analisi dei nostri risultati, sebbene emerga che i tre
metodi possono essere applicati all’estrazione del DNA,
risultano notevoli differenze per l’identificazione delle
proteine animali trasformate attraverso l’analisi PCR sui
differenti estratti di DNA dei mangimi. In particolare iI
metodo A (CTAB seguito dalla purificazione con
colonnine
Wizard),
è
risultato
adeguato
per
l’amplificazione degli estratti di DNA da tutte le tipologie di
campioni analizzati, sebbene comporti tempi di
esecuzione un po’ lunghi. Anche il metodo di estrazione B
ha fornito risultati adeguati dopo l’amplificazione dei DNA
estratti, con entrambi i primers. Il metodo C non risponde
altrettanto efficientemente con nessuno dei primers
utilizzati. Va ricordato che, in nessuno dei due kit
commerciali testati, è compresa la matrice mangime nel
campo di applicazione e che tali metodi, in particolare il
metodo C, andrebbero opportunamente adattati a tal fine.
Considerata la complessità degli alimenti per uso
zootecnico e i diversi trattamenti a cui vengono sottoposte
le
proteine
animali
trasformate
eventualmente
addizionate, sono necessarie a nostro parere, ulteriori
modifiche ai protocolli utilizzati per migliorare la risposta
della PCR. Inoltre è nostra intenzione di proseguire il
presente lavoro con l’applicazione di altri metodi di
estrazione presenti in commercio.
Volatile
Buffer 10 x
3.0
5.0
MgCl2 25mM
3.0
3.0
DNTPS 10mM
0.6
1.0
Primer 1 30 pmol/ҏ l
0.5
0.5
Primer 2 30 pmol/ҏ l
0.5
0.5
TAQ Hot Start type 5U
0.3
0.5
Acqua sterile
17.1
34.5
DNA campione
5.0
5.0
Totale
30.0
50.0
RISULTATI
I risultati ottenuti dalla valutazione spettrofotometrica e/o
mediante gel di agarosio, hanno evidenziato alcune
differenze tra i metodi di estrazione del DNA. Il metodo A
e il metodo B permettono l’estrazione di DNA di buona
qualità (buon rapporto 260/280, presenza di bande non
degradate). La resa è buona per entrambi i metodi mentre
il metodo C presenta una resa più bassa.
Nella tabella 4 sono riportati i risultati espressi in termini di
presenza/assenza di DNA mitocondriale relativamente
alle due classi animali, ottenuti dopo amplificazione. Per
quanto riguarda i campioni di mangime, i risultati ottenuti
sono molto soddisfacenti con i metodi di estrazione A e B,
su tutti i campioni analizzati. Il metodo C ha dato, invece,
risultati negativi con gli estratti dei mangimi n. 1, 2, 3 e 4
il cui DNA non viene amplificato mediante PCR con i
relativi primers.
Tabella 4 Risultati ottenuti sui campioni di mangime
sottoposti alle diverse estrazioni
Primer
Volatile
Mammifero
Metodo
Metodo
Metodo
Metodo
Metodo
Metodo
A
B
C
A
B
C
+
+
-
-
-
n.d
2
+
+
-
-
-
n.d
3
-
-
n.d
+
+
-
4
-
-
n.d
+
+
-
5
-
-
n.d
-
-
6
-
-
n.d.
-
-
Camp.
1
BIBLIOGRAFIA
1) Decisione 2000/766/CEE
2) Decisione 2001/9/CEE
3) Direttiva 2003/126/CE
4) Decreto ministeriale 09/09/04
5) Gasparini G., Crisafulli A.(1996). Identificazione delle farine
di carne di mammiferi nei mangimi. Tecnica Molitoria 8, 766778.
6) Van Raamadonk L.W.D et al. (2007). New developments in
the detection and identification of processed animal proteins in
feeds. Animal Feed Science and Technology. 133, 63-83
7) Lipp M et al. (1999). IUPAC Collaborative Trial Study of a
Method to detect Genetically Modified Soy Beans and Maize in
dried powder. Journal of AOAC International. 82, 923-928
8) Bononi M et al. (2002). Innovazioni in PCR per
l’identificazione di OGM in lecitine di soia. Industrie Alimentari
XLI, 535-539.
n.d
n.d
Per quanto riguarda i campioni di tessuto, i risultati
ottenuti con i tre diversi metodi sono sufficientemente
coerenti tra loro. In Figura 1 è riportata la foto al
transilluminatore dell’elettroforesi dei campioni di
mangime n.1 e n.2 estratti con il metodo B e C, amplificati
con i primers per mammifero.
45
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
APPLICAZIONE DEL TEXTURE PROFILE ANALYSIS (TPA) TEST NELLA DEFINIZIONE DELLE PROPRIETÀ
REOLOGICHE DEL PROSCIUTTO DI PECORA SARDA
Busia G., Colleo M.M., Melillo R., Piras F., Meloni D., Mazzette R.
Dipartimento di Biologia Animale, sez. Ispezione Alimenti, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Sassari
Key words: texture, TPA, quality
2. Set-up del TPA test.
La determinazione delle proprietà meccaniche è stato
effettuata mediante l’ Universal Testing Machine TAXT plus
Texture Analyser (Stable Microsystems Ltd., Surrey,
England), utilizzando il Texture Exponent software (Vs
2.0.0.7). Le prove sono state condotte utilizzando la sonda
piatta P/75, con cella di carico di 5 kg, alla velocità di 1mm/s,
applicando ad ogni campione una deformazione del 50%, con
un tempo di attesa tra i due cicli di compressione (bite) pari a
0 secondi (5).
E’ stato applicato il Texture Profile Analysis (TPA) test,
diffusamente utilizzato per la descrizione del comportamento
meccanico alla masticazione di diverse matrici alimentari ed
in particolare del prosciutto (4).
SUMMARY
The aim of the present study was to evaluate the rheologic
properties of dry-cured sheep ham during the manufacturing
process using the TPA test. Samples were obtained from
raw material, semi-finished and final products of 7 production
batches. The mean value of hardness in dry-cured sheep
ham (5379,81 ± 2676,39 g) was sensibly higher than in drycured swine ham, this is due to a lower aw and a poor
proteolysis. Springiness, cohesiveness, chewiness and
adhesiveness values were more similar to dry-cured swine
ham’ ones.
INTRODUZIONE
Il prosciutto crudo di pecora di razza sarda è un salume tipico
inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Sardegna (1)
ed è stato recentemente oggetto di un percorso di
valorizzazione finalizzato all’acquisizione di un marchio di
riconoscimento comunitario (DOP). Nell’ambito di questo
progetto è stato condotto uno studio di caratterizzazione che
ha riguardato la definizione del profilo microbiologico, di
composizione e dei parametri reologici (2). Le caratteristiche
sensoriali (colore, texture, flavour) dei prosciutti crudi
rientrano tra i fattori che condizionano l’accettabilità da parte
dei consumatori (3). In particolare il prosciutto di pecora è un
prodotto a breve stagionatura (circa 120 gg), le cui
caratteristiche organolettiche risentono di tempi di
stagionatura prolungati, con una maggiore consistenza ed un
eccessiva disidratazione. La misurazione delle proprietà
reologiche (texture) rappresenta uno strumento di valutazione
di parametri che sono direttamente correlati alle proprietà
sensoriali dei prodotti, la cui determinazione può risultare più
indaginosa e costosa (4). Numerosi studi hanno evidenzato
l’effetto del contenuto in umidità, NaCl e del pH sulle
caratteristiche reologiche finali in prosciutti crudi suini in
relazione all’effetto sui fenomeni proteolitici (5).
Lo scopo del presente lavoro è stato l’applicazione del test
Texture Profile Analysis (TPA) nella definizione delle
proprietà reologiche del prosciutto crudo di pecora. In
particolare è stata valutata la relazione tra le caratteristiche
chimico-fisiche e la texture durante il processo di produzione
e di stagionatura, allo scopo di individuare una griglia di
parametri strumentali utili a definire le caratteristiche
sensoriali desiderate dal consumatore (6).
3. Esecuzione del TPA test.
Da ogni campione sono stati prelevati, in doppio, delle sezioni
di muscolo semimembranoso di forma cubica (1,5 cm di lato),
che sono state poste con i fasci muscolari paralleli rispetto al
piano di analisi ed alla superficie della sonda.
Il test prevedeva una doppia compressione assiale,
rappresentata graficamente da due curve gaussiane forzatempo, la cui analisi consente di ricavare i seguenti parametri
(4):
- hardness (g), H: indica la forza massima per comprimere il
campione;
- cohesiveness, Co: rappresenta la forza dei legami interni al
campione che si oppongono all’azione esterna di
compressione;
- springiness, S: esprime l’elasticità del campione, ovvero la
capacità di riacquisire la forma originaria dopo l’effetto della
compressione;
- chewiness, Ch: indica l’energia richiesta per rendere un
campione solido pronto per essere deglutito;
- adhesiveness (g x s), A: è un parametro convenzionalmente
negativo, che esprime il lavoro necessario per superare la
forza di attrazione tra la superficie del campione e quella
della sonda cui aderisce.
4. Analisi chimico-fisiche.
Per tutti i campioni sono stati inoltre determinati (media di 4
misurazioni): pH, mediante pHmetro GLP21 Crison; aw,
mediante AQUALAB.
5. Analisi statistica.
I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza,
secondo la procedura GLM, e la differenza tra le medie è
stata valutata usando il test LSD (Stat. Plus, 5.1).
MATERIALI E METODI
1. Campioni sottoposti ad esame.
Sono stati analizzati in doppio i seguenti campioni di
prosciutto di pecora provenienti da n. 7 lotti (L1 ´ L7) di
produzione: cosce fresche (MP), prosciutti al termine della
stagionatura (P, 4 mesi). Per L6 ed L7 sono stati analizzati
anche i prosciutti a fine salatura (S, 28-30 gg) ed a fine
essiccamento (E, 5-6 gg). Nel complesso sono stati sottoposti
ad analisi di tipo reologico: 28 cosce, 8 prosciutti al termine
della salagione, 8 al termine dell’ essiccazione e 28 al
termine della stagionatura.
RISULTATI
In tabella n.1 vengono riportati i risultati medi delle
determinazioni, in relazione alle fasi di lavorazione. La
dinamica del pH ha evidenziato differenze tra i lotti ed un
aumento dei valori medi (p>.05) nel corso della stagionatura.
Viceversa i valori medi di aw hanno presentato una
progressiva riduzione, con differenze significative (p<.05) in
relazione al lotto. Relativamente ai risultati del TPA test è
stata evidenziata una notevole variabilità fra i lotti (p<.01),
particolarmente per i valori medi di hardness e chewiness. I
valori di H aumentavano nel corso del processo, fino a
raggiungere livelli pari a 5379,81 ± 2676,39 g nei prodotti al
46
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
cured hams compared to traditional hams. Sci. Agric. (Piracicaba,
Braz.), 65, n.2,169-173.
8) Ruiz-Ramírez J., Serra X., Arnau J., Gou P. (2005). Profiles of
water content, water activity and texture in crusted dry-cured loin
and in non-crusted dry-cured loin. Meat Science, 69, 519–525.
9) Ruiz-Carrascal J., Ventanas J., Cava R., Andrés A.I., García C.
(2000). Texture and appearance of dry cured ham as affected by
fat content and fatty acid composition. Food Research International
33, 91-95.
10) Okeudo N.J., Moss B.W. (2005). Interrelationships amongst
carcass and meat quality characteristics of sheep. Meat Science
69, 1–8.
termine della stagionatura. Tali valori sono risultati superiori
rispetto a quelli rilevati in prosciutti di suino italiani e spagnoli,
che vengono sottoposti a un periodo di stagionatura più
prolungato (7). I parametri S e Co hanno presentato una
dinamica simile nelle fasi MP, S, ed E, con valori compresi in
un range variabile da 0,70ĺ0,83, per il primo, e da
0,54ĺ0,51 per il secondo. I valori ottenuti nei prosciutti
stagionati (0,38 ± 0,08 e 0,36 ± 0,05) si presentavano
notevolmente inferiori rispetto a quelli riportati in prosciutti di
suino (7). Tali risultati rappresentano un indice di scarse
proprietà elastiche e limitata resistenza alla rottura, inoltre
condizionano il valore del parametro Ch, che presentava in P
livelli medi pari a 742,94 ± 423,25, paragonabili a quelli
riscontrati in prosciutti ottenuti da carne suina (7). I valori di A
riscontrati nelle cosce fresche (-120,92 ± 59,31) divenivano
più negativi nel corso della fase di salatura (-465,81 ± 193,38)
ed essiccamento (-412,98 ± 93,44), per riportarsi a valori
simili a quelli iniziali (-131,13 ± 102,82) nei prodotti stagionati,
nei quali il valore di adhesiveness è risultato confrontabile
con quanto riportato in bibliografia per i prosciutti di suino (7).
Tabella n.1: Valori medi e deviazioni standard di pH, aw e
dei parametri di texture del prosciutto di pecora in relazione
alle fasi di lavorazione.
DISCUSSIONE
Il TPA test si è dimostrato un utile strumento per valutare le
caratteristiche reologiche del prosciutto di pecora. Il riscontro
nei prodotti finiti di valori di H notevolmente più elevati
rispetto agli omologhi prodotti suini potrebbe essere messo in
relazione al basso tenore dell’aw (valori medi finali: 0,85 ±
0,04) raggiunto al termine della stagionatura. Diversi autori
hanno infatti dimostrato un rapporto inversamente
e l’hardness, che aumenta
proporzionale tra
l’aw
sensibilmente nei prodotti a base di carne stagionati quando
l’ attività dell’ acqua scende al di sotto di 0,870 (8). Ulteriori
fattori di condizionamento del valore di H sono rappresentati
dalla qualità e dalla distribuzione del grasso intramuscolare e
soprattutto dall’entità dei fenomeni di proteolisi, che
interessano la componente muscolare durante la
stagionatura dei prosciutti. Tali fenomeni risultano di limitata
entità nel prosciutto di pecora, che non va incontro ad una
adeguata acidificazione (pH medio finale: 6,17 ± 0,21),
condizione indispensabile perché avvenga un regolare
processo d’intenerimento delle carni (9, 10). I risultati,
seppure preliminari, rappresentano un interessante contributo
ed un supporto scientifico alla predisposizione di interventi di
ottimizzazione del processo e di miglioramento dei requisiti
qualitativi del prosciutto di pecora.
RINGRAZIAMENTI
Lavoro svolto in collaborazione con l’azienda La Genuina
s.r.l. di Ploaghe (SS).
BIBLIOGRAFIA
1) D.M. 14/06/2002 “Seconda revisione dell'elenco nazionale dei
prodotti agroalimentari tradizionali”, pubblicato sulla G.U.R.I. n°
167 del 18/07/2002, Supplemento Ordinario n° 144.
2) Mazzette R., Desantis E.P.L., Coppa G, Meloni D., Colleo M.M.,
Cosseddu A.M. DBA- sez. Ispezione degli Alimenti, Sassari
(2005). Microbiological and chemical-physical parameters during
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Proc. of Int.Congr.Intradfood, 609-612.
3) Arnau, J. (1991). Aportaciones a la calidad tecnológica del
jamón curado elaborado por procesos acelerados. Thesis.
Barcelona, Spain: Universitat Autònoma de Barcelona, Facultat de
Veterinària.
4)
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between water content and texture parameters in biceps femoris
and semimembranosus muscles in dry-cured ham. Meat Science,
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7) Costa M. de R., Filho W. B., Silveira E. T. F., de Felício P. E.
(2008). Colour and texture profiles of boneless reestructured dry-
47
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
APPLICATION OF MOLECULAR GENETICS TO IMPROVE ANIMAL HEALTH
John L. Williams
Parco Tecnologico Padano, Lodi
Key words: genetics, genomics, breeding
Abstract
Improvement of livestock focussed phenotypic selection
has been successful in increasing the quantity of output;
however the approach has been less successful with traits
such as health and resistance to disease. Molecular
genetics can provide a strategy for improvement these
more difficult traits. With the availability of genome
sequence for many species and improved genomic tools
identifying the genes beneficial for improved animal health
should become a more rapid process, and the application
of these new tools in section programme could lead to
more rapid improvement in a large number of traits.
Where molecular genetics can play a valuable role is by
providing the means to identify the genetic control of, at
least part of, the variation observed in a wide range of
traits, including traits such as health that are difficult to
measure routinely, and provide strategies for their
improvement. Knowing the alleles at particular genetic loci
that confer superior characteristics for a particular trait will
allow direct selection choices to be made by identifying
individuals that carry the beneficial alleles for that trait.
Therefore, in theory at least, a strategy to select for
improved performance in a number of traits could be
developed using genetic markers. However the identifying
the genes and beneficial alleles for diverse traits is a
major challenge. Identifying the genes controlling
particular traits can be approached in a number of ways.
Fortunately, recent rapid increase in the power of genomic
tools and the resulting increased knowledge of genome
sequence and gene function is making this task more
tractable.
Genetic Selection
Genetic improvement of livestock has been achieved by
selective breeding from individuals with superior
phenotypes. With the development of increasingly
advanced statistical methods this simple approach has
been spectacularly successful in increasing the quantity of
output. However, these traditional selection methods have
been less successful in improving traits where the
phenotype is difficult to measure, such as health and
resistance to disease. Whereas the primary drivers in
natural selection are survival traits, such as reproductive
success and resistance to disease, the criteria for
selection in domestic species have, for the most part,
ignored health traits in favour of productivity traits.
However, good productivity is dependent on good health.
In order to maintain the health status of domesticated
species management strategies have become increasing
dependent on veterinary interventions and the
prophylactic use of vaccines and antibiotics. Recently
there have been numerous human health problems
associated with transfer of diseases from livestock
(zoonosis), these include the increased prevalence of
bacterial disease caused by eg Ecoli and Salmonella
arising from contact with farm animals and contaminated
food. The BSE epidemic in cattle, and subsequent
identification of variant CJD, has heightened concerns
over livestock management practices. While avian
influenza, is an ongoing cause of concern with respect to
human health worldwide. With this increased awareness
of zoonosis there is public pressure for animal health to
have a higher priority in livestock production systems.
Natural genetic resistance to disease allows stock to
survive without the requirement for expensive protective
measures, and is robust to many of the mechanisms that
pathogens can adopt to become resistant to control
measures. Thus, genetic selection for disease resistance
could raise the health status of production animals, lower
production costs, reduce the environmental burden of
pathogens and protect human health.
The simplest approach to identifying the genes controlling
phenotypic variation, which is most effectively used for
monogenic traits, is to make informed guesses regarding
the genes involved. The approach bases the selection of
the “candidate genes” on knowledge of the physiology of
the trait and any other available information, such as
information on the genetic control of a similar trait in
species where more extensive information is available on
the genetic control of mendelian traits, most often humans
(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/omim/) or laboratory models
such as mice (http://www.informatics.jax.org/). The
candidate genes can be examined for variations which are
then tested for their effect on the target trait. This
approach clearly requires a good a priori knowledge of the
trait and the underlying physiology, or the availability of
relevant information from other species, but in some
cases has been successful. Complex traits, such as
disease resistance, several genes are likely to contribute
to the observed variation. Even with a good knowledge of
the physiology of the trait, genes not involved in the
obvious biochemical pathways may contribute to the
variation and control mechanisms may differ between
species. Therefore for complex traits it is better to use a
molecular genetic approach to genetically localise than
identify the genes involved.
.
The use of genetic markers to improve estimated
breeding values was suggested over 15 years ago
(Fernando and Grossman 1989), but in general the use of
markers to increase the accuracy of selection. The use of
markers linked to genetic loci which have a large effect on
target traits can be used in marker assisted selection
(MAS) programmes (Kashi et al 1990). There are several
theoretical advantages of using markers in selection
programmes, rather than relying on phenotype-based
selection. These include a more rapid and accurate
prediction of the phenotype and hence earlier selection of
breeding stock, particularly where the phenotype is only
seen in adult animals, or where the trait is observed in
only one sex but where selection is carried out in the other
Molecular Genetics
Using traditional breeding schemes improvement in one
trait through selective breeding is often associated with
losses in other traits, eg increased productivity is
associated with reduced fertility in cattle and poultry.
48
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
sex the obvious example being milk production. However,
the linked markers identified from simple genetic mapping
studies are generally a long distance from the locus
controlling the trait; therefore recombination is likely to
occur between the marker and the trait gene. This means
that at a population level it is not known relationship
between alleles present at the marker loci and those at
the trait locus. Therefore, before the linked markers can
be use for MAS it is first necessary to determine the
phase of the markers, i.e. which alleles at the marker loci
are linked to the favourable alleles at the trait gene. This
has to be done for every family that is under selection.
Although MAS has been used in a limited way in breeding
schemes, it not very efficient and it is better to identify the
genetic change that is directly responsible for the
phenotypic variation. Information on the functional genetic
variation can be used directly to test all animals, without
first having to determine the phase. However, identifying
the genetic polymorphisms controlling phenotypic
variations is not easy, therefore, initially simple genetic
variations, particularly those controlling inherited disease,
such as bovine lymphocyte adhesion deficiency (BLAD) or
simple phenotypes, such as colour, were identified and
used in breeding programmes. Today, there are several
examples in domestic species where the genes controlling
important production traits have been identified and these
are being tested in genetic selection programmes.
t. The genome selection approach estimates the genetic
value of each individual section of the genome of an
individual, rather than the effect at selected trait loci. With
the availability of a 50K single nucleotide polymorphism
genotyping panel for cattle, it has been possible to assess
the feasibility of the genome selection approach. Using
data from Holstein cattle, van Tassel et al (2008)
demonstrated a hybrid approach in which genome-wide
marker data is combined with the phenotype data to
calculate a genome assisted breeding value (GAEBV).
This GAEBV is significantly better than the breeding value
calculated simply on phenotypic measurements, and so
increases the accuracy of selection and confidence in the
choice of the best animals. Knowledge of the genetic
control of traits at the level of the genome will also
optimise improvements in traits a wide range of traits and
may be particularly useful in addressing controlled by loci
with pleiotropic effects: ie where current selection makes
progress in one trait but has a negative impact on another
important trait. These ever-increasing refinements will
gradually provide breeders with better tools to adapt
genetic selection choices and respond more rapidly to
changing market demands.
References
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selection using best linear unbiased prediction. Genet. Sel. Evol,
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Marker Maps. Genetics, 157: 1819–1829.
Genomics
Over the past 20 years there have been rapid advances in
the development of molecular biological techniques and
knowledge, which have been applied to understanding the
regulation of gene expression and function. The
application of these techniques to the field of genetics has
advanced knowledge of the genome structure and
identified sequence variations between individuals, some
of which have known effects on gene function and
phenotypic variation. The most significant advance in this
field in the past few years has been the completion of the
human genome sequencing project (Lander et al 2001).
The resources developed to sequence the human
genome have subsequently been used to sequence the
genomes of many other species. For domestic species
the draft chicken genome sequence was published in
2004 (Chicken Genome Consortium, 2004) and the first
draft of the bovine sequence was released in October
2004 and a more complete sequence including the
annotation of the genes was made available in 2007
(http://www.ensembl.org/Bos_taurus/index.html).
A
genome-sequencing project for pigs is currently underway
and the entire pig sequence is likely to be available in
2009 (http://pre.ensembl.org/Sus_scrofa/index.html). The
sequences of these genomes together with information on
genetic variations, gene structure, expression and
regulation should facilitate the more rapid identification of
the genes controlling variations in commercially relevant
trait such as those beneficial for improved animal health.
Currently these new tools and genomic information are
being used to define the genetic regulation of biochemical
pathways and identify the genes that control variation
particular traits and phenotypes. Armed with this
information, it will then be possible to select for
improvement on several criteria and multiple genetic loci,
each of which are involved in the development of the
desired phenotype. The next step will be the use of
genome wide marker information to select the best
animals based on their whole genome, rather than on a
few markers (Meuwissen et al. 2001, Gianola et al. 2004)
49
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
STUDIO DEI DIFFERENTI ALLELI DEL GENE NRAMP1 IN BUFALE BATTERIOLOGICAMENTE POSITIVE A
BRUCELLA SPP.
Alfano F., Corrado F., Ascione G., Galiero G., Iovane G.,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno- Portici (NA)
Keywords: Nramp1, Bufalo e Brucella abortus
Abstract
Genetic selection, for disease resistence, may be an
approach to the control of water buffalo brucellosis, that is
a costly animal disease. 183 samples, derived from water
buffalo cows infected with Brucella abortus, were tested
for the Nramp1 genotype. We found 5 different alles
distributed in 11 genotypes. In particular the percentage of
the AA genotype (susceptible) was 33,5%, the BB
genotype (resistant) was 7% and the CC e DD
respectively 2% and 3%. These preliminary results give
us the opportunity to select interesting genotypes that
must be used for the study regarding the possible role of
Nramp1 in the resistence of water buffaloes to B. abortus.
rispetto ai monociti degli individui AA. Inoltre, quando
infettati con Brucella abortus, i monociti BB hanno esibito
una minore replicazione intracellulare del patogeno se
paragonati ai monociti AA. Probabilmente il maggiore
livello basale della proteina antibatterica NRAMP1
conferisce agli animali BB la possibilità di contrastare i
batteri immediatamente dopo la loro entrata nella cellula,
prima che essi attivino i propri geni di virulenza.
Allo scopo di approfondire gli studi riguardo alla regione 3’
UTR non tradotta del gene Nramp1, nel presente studio si
è indagato sul genotipo di animali abbattuti e risultati
positivi all’esame batteriologico condotto sugli organi.
Materiali e Metodi
L’indagine è stata eseguita complessivamente su 183
campioni di tessuto linfonodale, di animali risultati positivi
all’esame batteriologico, provenienti da 30 differenti
aziende, prelevati nell’ambito del piano di risanamento
della brucellosi. Il DNA è stato estratto con DNeasy
Tissue Kit (Qiagen) ed è stato amplificato mediante PCR
utilizzando i primers riportati in tabella 1. Le condizioni di
amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a 95° per 1
ciclo, seguito da 35 cicli a 94° per 30’’, 55° per 30’’ e 72°
per 30’’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a
72° per 7’. I prodotti della PCR sono stati poi, denaturati a
94° per 3’ con formammide e ROX 500 size standard
(Applied Biosystems). L’elettroforesi capillare è stata
effettuata su ABI Prism 310 (P-E Applied Biosystems) ed i
dati sono stati acquisiti mediante ABI Prism 310 collection
software. Le dimensioni degli alleli sono state determinate
mediante l’uso dei seguenti softwares: 310 GeneScan
3.1.2 e Genotyper 2.5.2 (Applied Biosystems).
Introduzione
L’immunità innata rappresenta un aspetto determinante
della strategia di difesa degli individui contro i
microrganismi patogeni. L’approccio dell’allevamento
selettivo come metodo per aumentare la resistenza degli
animali domestici contro agenti infettivi non è nuovo, ma i
recenti progressi nell’analisi e caratterizzazione del DNA
hanno reso tale metodica più affascinante. La brucellosi
animale, patologia causata da un batterio intracellulare,
Brucella spp., è una malattia endemica in molte parti del
mondo. Essa causa gravi perdite economiche
nell’industria lattiero-casearia (produzione ridotta di latte,
parti meno frequenti) e costituisce anche un problema per
la salute dell’uomo al quale tale malattia può essere
trasmessa.
In letteratura è ampiamente riportata la presenza di un
gene Nramp1, che sembra avere un ruolo cruciale nella
difesa innata di molti animali contro i patogeni
intracellulari. In particolare il gene Nramp1 del topo
determina resistenza o suscettibilità ai batteri intracellulari
Mycobacterium bovis, Salmonella typhimurium e
Leishmania donovani. L’omologo bovino del gene murino
Nramp1 determina resistenza o suscettibilità del bestiame
a Brucella abortus. Inoltre, quando la linea cellulare
suscettibile dei macrofagi RAW264.7 viene trasfettata con
l’allele Nramp1 associato alla resistenza murina o bovina,
essa diventa capace di inibire la replicazione intracellulare
di S. typhimurium o B. abortus, rispettivamente.
Il gene Nramp1 è conservato nei mammiferi, nelle piante,
negli insetti e nei batteri. La sua presenza nei batteri
suggerisce che il patogeno intracellulare e l’ospite
possano competere per lo stesso nutriente. In precedenti
lavori è stata da noi indagata la presenza nel bufalo di
alleli del gene Nramp1 coinvolti nei meccanismi di
resistenza dell’animale contro la Brucella abortus. Gli
animali utilizzati sono stati testati sia per il genotipo
Nramp1 (mediante elettroforesi capillare) che per la
presenza di anticorpi anti Brucella abortus (mediante
agglutinazione e fissazione del complemento). Nella
regione 3’ UTR non tradotta del gene Nramp1 sono stati
individuati quattro alleli (A, B, C, D). Il genotipo omozigote
BB è risultato essere presente solo fra i controlli (animali
sieronegativi, non infetti), suggerendo che questo
genotipo potrebbe conferire resistenza a Brucella spp. A
conferma di tale ipotesi i monociti degli individui BB hanno
mostrato un livello basale dell’mRNA di Nramp1 più alto
Tabella 1 Sequenze dei primers
l’amplificazione del gene Nramp 1.
utizzati
per
Forward: 5’-6 FAM-GTGGAATGAGTGGGCACAGT-3’
Riverse: 5’-CTCTCCGTCTTGGAGTGCAT-3’
Risultati e Discussione
I risultati ottenuti riportati nella tabella 2 e Fig.1, mostrano
che a conferma di quanto ipotizzato nei lavori precedenti il
genotipo presente in maggiore percentuale (33,5%) è il
210/210 (AA) quello reputato più sensibile all’infezione.
Gli animali omozigoti 206/206 (CC) e 212/212 (DD)
presenti rispettivamente nella percentuale del 2% e 3%
sembrerebbero essere poco sensibili all’infezione. Di
contro il genotipo considerato più resistente BB (214/214)
si è presentato nella percentuale del 7% (Fig.2) . Inoltre è
stata osservata anche se in bassa percentuale (0,5%) la
presenza di un nuovo genotipo (208/210) dovuto alla
presenza di un nuovo allele (208) finora non descritto.
Questi risultati preliminari ci hanno permesso di
selezionare dei genotipi che sembrano essere di notevole
importanza per gli studi successivi che riguarderanno:
l’identificazione di altri geni coinvolti nella resistenza
genetica e le interazioni fra questi geni, inoltre gli alleli
50
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
saranno nuovamente sequenziati e sarà effettuato un
confronto con le sequenze da noi inserite in GenBank
(Acc. num. DQ376110,
DQ376109,
DQ095781,
DQ095780) per verificare se sono intervenute eventuali
mutazioni.
Poiché i geni non agiscono nel vuoto ma interagiscono fra
loro, talvolta il livello di espressione di un gene è modulato
da un altro gene. Inoltre fra i geni possono stabilirsi
dipendenze gerarchiche (interazioni epistatiche): un gene
che conferisce suscettibilità può per esempio
neutralizzare l’azione di un gene che conferisce
resistenza. L’immunità innata utilizza diversi geni contro lo
stesso patogeno, è importante quindi identificare nuovi
geni di resistenza e cercare di capire come questi
interagiscono fra loro. Sulla base di quanto detto risulta
quindi chiaro che ad uno stesso genotipo possono
corrispondere fenotipi diversi (resistenza o suscettibilità),
a seconda del contesto in cui il gene si trova ad agire, è
quindi di fondamentale importanza identificare nel bufalo
diversi geni di resistenza alla B. abortus e comprendere
come questi interagiscono fra loro.
Comprendere le interazioni fra questi tipi di geni
permetterebbe di creare i presupposti per la creazione
nell’ambito degli allevamenti di strati molteplici di
resistenza contro la B. abortus.
210
214
206
Tabella 2 Distribuzione dei genotipi del gene Nramp1 dei
183 animali testati
GENOTIPO
Percentuale animali
206/206
2%
206/210
9%
206/212
2%
206/214
3%
208/210
0,5%
210/210
33,5 %
210/212
8%
210/214
25%
212/212
3%
212/214
7%
214/214
7%
212
Fig. 2 Elettroferogrammi relativi agli alleli (A, B, C, D)
della regione 3’ UTR non tradotta del gene Nramp1.
Bibliografia
1.
2.
206/206
206/210
35 %
30 %
206/212
206/214
25 %
208/210
210/210
20 %
15 %
210/212
210/214
10%
5%
212/212
0%
GENOTIPO
212/214
214/214
Fig. 1 Grafico relativo alla distribuzione dei genotipi
riscontrati nei 183 animali esaminati.
51
Capparelli R, Alfano F, Amoroso MG, Borriello G,
Fenizia D, Bianco A, Roperto S, Roperto F, Iannelli D.
Protective effect of the Nramp1 BB genotype against
Brucella abortus in the water buffalo (Bubalus bubalis).
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Borriello G, Capparelli R, Bianco M, Fenizia D, Alfano
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Genetic resistance to Brucella abortus in the water buffalo
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X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
GLI ALLELI AT137RQ E ARQK176 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA PROTEGGONO LE PECORE
DALLA SCRAPIE.
1
1
2
1
1
1
1
1
2
Vaccari G., Scavia G. , Sala M., Cosseddu G., Chiappini B., Conte M., Esposito E., Ciaravino G., Lorenzetti R.,
2
Perfetti G., 2Marconi P., 2Scholl F., 2Barbaro K., 1Babsa S., 1Parisi C., 1Bella A., 1Nonno R. ed 1Agrimi U.
1
2
Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 299, 00161 Rome, Italy
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Via Appia Nuova, 1411 - 00178 Rome, Italy
Keywords: scrapie, selezione genetica, Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili.
ABSTRACT
The susceptibility of sheep to scrapie is under the control of
the host’s genotype at the prion protein (PrP) gene and it is
also influenced by of the strain of the agent. PrP
polymorphisms at codons 136, 154 and 171, combined in the
five main alleles VRQ ARQ, AHQ, ARH and ARR, have been
identified
as
the
main
determinants
of
the
susceptibility/resistance of sheep to scrapie. On this basis,
selective breeding programs have been undertaken in the
European Union and the US to increase the frequency of the
resistant ARR allele in sheep populations. Herein, we report
the results of a large multi-flock study demonstrating the
protective effect of AT137RQ and ARQK176 PrP alleles
against natural scrapie.
To further confirm the protective influence of these alleles,
investigations with other scrapie sources are needed.
However, ongoing studies confirm the protective effect of
AT137RQ and ARQK176 alleles also in sheep experimentally
infected with scrapie, BSE and L-type BSE. These alleles are
quite frequent in Sarda breed sheep and have been
described also in other countries. All the above indicates the
possibility to use PrP alleles other than the ARR for scrapie
eradication strategies and to maintain a wider variability of the
PrP gene.
MATERIALI E METODI
Focolai di Scrapie
Nello studio sono inclusi 5 focolai di scrapie (A,B,C,D ed E)
identificati fra il 2004 e 2006 in Toscana. Nei focolai A,B,C ed
E è stato applicato l’abbattimento selettivo degli animali con
genotipo della PrP suscettibile e successivo test diagnostico
di scrapie. Nel focolaio D ove è stato applicato l’abbattimento
totale, sia la genotipizzazione sia il test diagnostico è stato
eseguito su un campione dell’effettivo. Il numero degli animali
testati in ciascun focolaio è riportato in tabella 1
Tabella 1
Allevamenti
Animali
A
B
C
D
E
Totale
Nell’allevamento 923 1774 570 3618 829
7714
Genotipizzati
903 1707 566 1482 728
5386
Testati per TSE
163
1309
150
140
710
146
Genotipizzazione tramite Real-Time PCR.
I saggi di discriminazione allelica sono stati eseguiti in 4
differenti reazioni di PCR. (codoni 136, 154, 171-1 e 171-2)
con 1x TaqMan Universal PCR Master Mix, primers 900 nM e
MGB-probes a concentrazione variabile, riportati in tabella 2.
Tabella 2
INTRODUZIONE
La scrapie è una encefalopatia spongiforme trasmissibile
(EST) come la BSE dei bovini e la malattia di CreutzfeldtJacob (MCJ) dell’uomo. L’evento chiave di queste malattie
consiste nella modificazione post traduzionale della PrP
cellulare in un’isoforma patologica (PrPSc) che si accumula
nel cervello. Secondo la teoria prionica la PrPSc è il maggiore,
se non unico, componente dell’agente eziologico di queste
malattie.
Il rischio che la BSE possa circolare fra le popolazioni ovicaprine europee ed il riconoscimento di un caso di BSE in
una capra [1] ha evidenziato la necessità di strategie per il
controllo e la profilassi nei confronti delle EST ovi-caprine.
La suscettibilità delle pecore alle EST è influenzata dal
genotipo dell’ospite a livello del gene della PrP (Prnp) [2].
I polimorfismi ai codoni 136 (A/V), 154 (R/H) e 171 (Q/R/H)
combinati nei 5 alleli VRQ, ARQ, AHQ, ARH ed ARR sono i
principali determinanti della suscettibilità/resistenza alla
scrapie. L’allele ARR è associato a resistenza mentre gli alleli
VRQ, ARQ, AHQ ed ARH ad un differente grado di
suscettibilità. La variabilità del Prnp è tuttavia maggiore di
quella osservata ai soli tre codoni, infatti sono stati descritti
ulteriori 24 siti polimorfici. Basarsi sui soli tre codoni 136, 154
e 171 non è sufficiente per predire la suscettibilità delle
pecore alle EST. Ne è esempio la recente dimostrazione di
elevata suscettibilità dell’allele AF141RQ nei confronti del
Nor98 [3].
E’ inoltre stato evidenziato da un nostro studio di trasmissione
sperimentale della scrapie e della BSE, che animali con
l’allele AT137RQ o ARQK176 sono protetti dalla malattia [4]. In
questo studio sono riportati i risultati di un’indagine
multicentrica caso controllo sulla suscettibilità alla scrapie
associata ai polimorfismi del Prnp.
PCR
Primer
MGB-Probe
AA
136
136F: ctgcagctggagcagtggta
136Ala: FAM-tcrtggcacttcc
Ala (300nM)
136R:
gatagtaacggtcctcatagtcattgc
154F: tggcaatgactatgaggaccg
136Val: VIC-ctcatgacacttcc
Val (200nM)
154
154R: tggtctgtagtacacttggttggg
171-1
171-2
171F:
gttaccccaaccaagtgtactacaga
171R: tgttgacacagtcatgcacaaag
171F:
gttaccccaaccaagtgtactacaga
171R: tgttgacacagtcatgcacaaag
154Arg: FAMactatcgtgaaaacat
154His: VICtactatcatgaaaacatg
171Arg: FAMccagtggatcggtata
171His: VIC accagtggatcattat
171Arg: FAMccagtggatcggtata
171Gln: VICaccagtggatcagtata
Arg (120nM)
His (200nM)
Arg (150nM)
His (120nM)
Arg (150nM)
Gln (200nM)
Sequenziamento della PRNP
La regione codificante la PrP è stata amplificata con i primer
F1 (5’-catttatgacctagaatgtttatagctgatgcca-3’) e R1 (5’ttgaatgaatattatgtggcctccttccagac-3’), il sequenziamento è
stato effettuato con Big Dye Terminator Cycle sequencing Kit
con i primer T1 (5’-ggtcctcatagtcattgcc-3’), T2 (5’tggtggctacatgctggg-3’), T3 (5’-tttacgtgggcatttgatgc-3’) e T4
(5’-ggctgcaggtagacactcc-3’) e le sequenze rilevate con ABI
PRISM 3130.
Epidemiologia ed Analisi Statistica
Al fine di comparare il rischio di scrapie tra i soggetti di
genotipo ARQ/ARQ che presentavano mutazioni addizionali
rispetto ai capi portatori del genotipo ancestrale
ARQwt/ARQwt, sono stati sottoposti a sequenziamento del
Prnp tutti i soggetti affetti da scrapie (casi) ed un campione di
378 soggetti ARQ/ARQ negativi (controlli). Per ciascun
focolaio è stato calcolato il valore di odds ratio (OR),
considerando lo status di malattia, variabile dipendente e la
presenza/assenza di mutazioni addizionali come variabile
indipendente. Poiché l’età rappresenta un possibile fattore di
confondimento e distorsione della stima del rischio, la
differenza di età tra i casi e i controlli è stata preliminarmente
52
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
saggiata con il test U-Mann Whitney, risultando non
significativa. Inoltre le differenze nella distribuzione per coorte
di nascita dei casi positivi e dei controlli negativi non sono
risultate statisticamente significative (test di CochraneArmitage).
* p”0.05
Sebbene i valori di OR siano risultati inferiori a 1 per tutti i
polimorfismi, sono state ottenute stime statisticamente
significative solo per i genotipi AT137RQ, AF141RQ e ARQK176
(tab 4 ).
RISULTATI
Polimorfismi aggiuntivi oltre i 3 codoni sono stati osservati
solo in animali ARQ/ARQ e hanno interessato 6 dei 154 casi
di scrapie. Tra i 378 animali ARQ/ARQ negativi del campione
di controllo sottoposti a sequenziamento, sono stati riportati
polimorfismi in 204 capi (fig. 1).
DISCUSSIONE
Nel presente studio gli alleli AT137RQ e ARQK176 risultano
associati a resistenza alla scrapie. Infatti nonostante la loro
elevata frequenza nei focolai esaminati, non sono stati
riportati casi di malattia in animali portatori di tali alleli.
Anche l’allele AF141RQ appare associato a resistenza tuttavia
di livello inferiore. Per gli altri alleli, il numero di soggetti
osservati e la loro scarsa frequenza non consente di definirne
il ruolo nei confronti della suscettibilità alla scrapie.
I risultati di questo studio confermano dunque quanto
precedentemente osservato, ovvero la resistenza degli
animali portatori di alleli AT137RQ e ARQK176 nei confronti
della scrapie e BSE sperimentalmente trasmesse [4]. È
necessario, tuttavia, ottenere informazioni sul comportamento
di tali alleli in razze e popolazioni ovine differenti, così come
confermare il loro ruolo protettivo anche nei confronti di altri
ceppi circolanti.
Inoltre ulteriori studi analitici finalizzati ad una più accurata
stima del rischio associato a tali alleli anche rispetto all’allele
ARR, potrebbero contribuire ad un eventuale a valutare il loro
utilizzo nei piani di selezione gentica. I piani di selezione
genetica , infatti, sono considerati l’unico strumento efficace
di controllo della scrapie. Essi si basano sull’utilizzo di
riproduttori portatori di alleli associati a resistenza al fine di
incrementarne la frequenza nella popolazione. Attualmente
l’unico allele per il quale si persegue la selezione è l’allele
ARR. La possibilità di avvalersi di altri alleli quali AT137RQ e
ARQK176 potrebbe costituire una risorsa importante per il
mantenimento della eterogeneità del genotipo della Prnp,
anche nell’eventualità dell’insorgenza di nuovi ceppi con
diversi targeting genetici. Il loro utilizzo, inoltre, potrebbe
ampliare la disponibilità di alleli di resistenza ovvero di
riproduttori con particolare vantaggio per quelle razze ovine
caratterizzate da scarsa frequenza dell’allele ARR.
Figura 1
I genotipi completi dei casi e dei controlli sono riportati in
tabella 3
Tabella 3
Casi ARQ/ARQ
Controlli ARQ/ARQ
Allevamento
B
C
Allevamento
Genotipo
A
D
E
A
B
C
D
E
ARQwt/ ARQwt
23 31 48 39
7
54 36
7
59
18
ARQwt/ T112ARQ
1
ARQwt /V127ARQ
1
ARQwt /AT137RQ
ARQwt /AF141RQ
1
2
1
1
1
1
7
10 14
10
13
3
8
13
16
4
ARQwt /AK142RQ
1
ARQwt /AR143RQ
6
ARQwt /ARQK176
2
T112ARQ/AT137RQ
1
12 20
26
AT137RQ/AT137RQ
1
AT137RQ/AF141RQ
1
AT137RQ/AR143RQ
1
AT137RQ/ARQK176
1
AF141RQ/V127ARQ
1
2
2
1
BIBLIOGRAFIA
1
AF141RQ/AF141RQ
1
AF141RQ/ARQK176
ARQK176/ARQK176
TOTAL
15
2
1
1
1
1
1
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1
23 32 50 39 10 76 75 47 113 67
Il rischio di scrapie per gli ovini ARQ/ARQ portatori di
polimorfismi, stimato attraverso il calcolo dell’OR, è risultato
assai inferiore rispetto ai soggetti portatori del genotipo
ancestrale ARQwt/ARQwt. Infatti l’effetto protettivo di mutazioni
addizionali risultava molto elevato nei focolai B (OR=0.03;
CI95% 0.00; 0.20), C (OR=0.01; CI95% 0.00; 0.41) ed E
(OR=0.16; CI95% 0.02; 0.80) ed era addirittura completo nei
focolai A (OR=0.00; CI95% 0.00; 0.42) e D (OR=0.00; CI95%
0.00; 0.11).
Per discriminare maggiormente l’effetto associato alla
presenza delle diverse mutazioni è stato calcolato il valore di
OR associato a ciascuno dei 7 polimorfismi individuati,
rispetto al genotipo ARQwt/ARQwt.
Tabella 4
Foc.
AT137RQ/XXX
AF141RQ/XXX
ARQK176/XXX
A
0,00 [0,00; 0,94] *
0,00 [0,00; 2,38]
0,00 [0,00; 3,18]*
B
0,00 [0,00; 0,33] *
0,11 [0,01; 0,82] *
0,00 [0,00; 0,29] *
C
0,00 [0,00; 0,04] *
0,06 [0,01; 0,47] *
0,00 [0,00; 0,03] *
D
0,00 [0,00; 0,56] *
0,00 [0,00; 0,46] *
0,00 [0,00; 0,22] *
E
0,00 [0,00; 0,68] *
0,26 [0,02; 1,63]
0,00 [0,00; 0,68] *
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per l’assistenza tecnica Sara Simeoni, Rita
Fanelli, Silvia Luccica, Fortuna Ascione, Emanuela Bovi,
Stefania Peddis, Norma Polinomi, Raffaella Parmigiani,
Alessia Scarito, Roberto Fucecchi, Fernando Palmerini and
Rosalba Giannini.
Questa ricerca è stata supportata dalla Ministero della Salute,
Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e
la sicurezza degli alimenti e dal Network Europeo
NeuroPrion.
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X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CODONI DEL GENE CHE CODIFICA PER LA PROTEINA PRIONICA (PRNP) COME MARKER GENETICI PER RUMINANTI
SARDI DOMESTICI E SELVATICI
Maestrale C., Attene S., Galistu A., Crudeli S., Cabras P., Firinu A., Marongiu E., Ligios C.
Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento di Sanità Animale, Laboratorio d'Istopatologia Generale e Patologia e
Diagnostica delle TSE – Sassari.
Key words: marker genetico, polimorfismo, sequenza
Introduzione- Il profilo genetico, cioè la diversità del DNA
che rende unico ciascun soggetto, rappresenta una sorta di
“impronta digitale” che consente l’identificazione univoca di
un animale e la determinazione delle sue relazioni biologiche
con altri soggetti. L’analisi del profilo genetico permette agli
allevatori di certificare il pedigree dell’animale e di
documentare gli attestati di parentela; in campo forense
veterinario consente di verificare l’identità dell’animale se
ritrovato dopo furto o smarrimento; aiuta le autorità preposte
alla salvaguardia del patrimonio nazionale ad affrontare casi
di bracconaggio, atti di crudeltà e di commerci illeciti;
supporta i ricercatori nella identificazione di specie e del
singolo animale.
La scelta dei marcatori genetici, ossia dei tratti di DNA
genomico caratteristici, dipende dal tipo di indagine che
occorre condurre. Nella determinazione di specie, che in
campo forense veterinario trova applicazione, ad esempio,
nella lotta alla caccia di frodo, al commercio illecito di animali
e alle frodi alimentari, vengono scelte sequenze geniche
altamente conservate e non polimorfiche. Individui
appartenenti ad una stessa specie presentano, infatti,
tendenzialmente, la stessa sequenza nucleotidica per quel
gene o per parti specifiche di esso (codoni caratteristici) (1).
Per la determinazione di individuo, invece, si fa ricorso ai
microsatelliti, o Short Tandem Repeats (STR), che sono
costituiti da DNA extragenico ripetuto in tandem in unità
costituite da 1 a 4 paia di basi ripetute da 10 a 100 volte e
aventi un tasso di mutazione genetica molto alto. Gli STR
sono di conseguenza caratterizzati da un numero
elevatissimo di alleli che si assortiscono tra loro in migliaia di
differenti genotipi specifici per specie ed individuo (2).
Anche in Sardegna, come nel resto del territorio nazionale il
bracconaggio è un’attività illecita assai diffusa ed è rivolta in
particolare verso i mufloni, i cervi e i daini che rappresentano
specie protette e tutelate (L.R. 23/98 del 29 luglio 1998).
In questi casi di bracconaggio spesso le analisi genetiche
sono le uniche che possono portare ad una identificazione di
specie.
In questo lavoro è stato condotto uno studio di ricerca di
marker genetici per la differenziazione di pecore, capre,
bovini, mufloni, cervi e daini sardi. Tali specie di animali
appartengono tutte al sottordine dei Ruminanti e alle due
distinte famiglie: Bovidi, con i generi Bos, Ovis e Capra; e
Cervidi, con i generi Cervus e Dama (Tab.1).
Come tratto di DNA genomico per la ricerca di sequenze
peculiari per le diverse specie, è stato scelto il gene che
codifica per la proteina prionica (PRNP). Questo gene, infatti,
presente in singola copia cromosomiale, nei ruminanti,
mantiene un grado di conservazione di oltre il 90% all’interno
del sottordine, arrivando a superare quello del 95% nella
stessa famiglia, similitudine che spiegherebbe tra l’altro la
facilità di trasmissione inter-specie delle malattie prioniche tra
bovini, ovini e caprini (3). La parte variabile del gene presenta
sequenze codoniche diverse all’interno di famiglie e generi, e
anche, all’interno di alcune specie, codoni polimorfici (SNP)
che possono codificare per un aminoacido differente oppure
per lo stesso aminoacido (mutazione silente) (4). Le
sequenze codoniche non polimorfiche diverse tra i generi
possono essere deputate a diventare marker genetici
importanti per la differenziazione di queste specie di
ruminanti.
Materiali e metodi- L’analisi della sequenza del gene PRNP
è stata condotta su 576 pecore, 466 capre, 20 bovini, 25
mufloni, 5 cervi e 5 daini provenienti dal territorio della
Sardegna. L’estrazione del DNA genomico è stata condotta in
accordo con il protocollo di “DNeasy ® Blood & Tissue Kit”
(Qiagen) su 100 ȝl di sangue o su 25 mg di tessuto vario.
L’intero gene PRNP è stato amplificato con i primers:
PrP1(+): 5’- CAGGTAACACCCTCTTTATTTTGCAG
PrP1(-): 5’- ACCTCTAGAAGATAATGAAAACAGGAAG
disegnati sulla sequenza del gene ovino e complementari a
regioni fiancheggianti che delimitano un tratto genico della
lunghezza di ~800bp. Le sequenze complete del gene sono
state ottenute in doppio strand mediante Dye Terminator
Sequencing (Applied Biosystems) e l’elettroforesi dei prodotti
di sequenza è stata condotta in sequenziatore automatico
ABI PRISM 3100 Genetic AnaLyzer a 16 capillari (Applied
Biosystems).
Ciascuna sequenza ottenuta è stata
allineata con il
programma Mutation Surveyor e confrontata con la sequenza
del gene PRNP di pecora sarda (GenBank AF195247), con
l’intento di identificare sequenze codoniche peculiari per ogni
specie. Inoltre, le sequenze dei cervi e daini, per il limitato
numero di campioni a nostra disposizione, sono state
allineate e confrontate con quelle presenti in NCBI di 20 cervi
di 6 specie diverse e 4 daini di 2 specie, provenienti da
diverse parti del mondo.
Risultati e conclusioni- La maggiore variabilità intra-specie,
intesa come numero di polimorfismi, è stata rilevata nelle
pecore e nelle capre, mentre, per quanto riguarda i mufloni, il
gene è risultato quasi totalmente non polimorfico e
indistinguibile da quello wildtype della pecora. Anche nei cervi
e nei daini, il gene, sebbene diverso da quello ovino per la
sequenza di numerosi codoni, è risultato estremamente
conservato tra le due specie a ribadirne la vicinanza
filogenetica. L’analisi delle sequenze di PRNP bovino ha
confermato i dati riportati in letteratura (4, 5) attestando la
quasi totale assenza di codoni polimorfici e la differenza nel
numero di ripetizioni dell’octapeptide ricco in glicina e prolina
che costituisce la parte più conservata della proteina prionica
di tutte le specie di mammiferi. Nei bovini analizzati, infatti, le
ripetizioni rilevate sono state di 6 o 7, con l’inserzione di 23 o
variabilmente 46 nucleotidi all’altezza del codone 70 e del 90,
mentre nel resto delle specie analizzate si è sempre
confermato di 5.
Allineando e confrontando le sequenze complete di tutti gli
animali testati in questo studio sono state identificate delle
sequenze codoniche non polimorfiche che possono essere
deputate a diventare marker genetici. In particolare, la
tripletta GTC al codone 21, sinonima di quella che nelle altre
specie codifica per la valina nella stessa posizione,
caratterizza i cervi; la tripletta GGC al codone 61, sinonima di
quella che nelle altre specie codifica per la glicina e quella
AAT al codone 138, che sostituisce la serina con
l’asparagina, caratterizzano i daini; la sequenza CGT al
codone 51 (sinonima di quella CGC in tutti i ruminanti che
codifica per l’arginina in questa posizione) caratterizza i
bovini, in associazione con la presenza dell’inserzione dei
54
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Più problematica si è rivelata invece la caratterizzazione delle
pecore e dei mufloni. Infatti le uniche sequenze peculiari sono
risultati i codoni polimorfici 231 e 237 che hanno però una
frequenza abbastanza ridotta tra le pecore (42%) ed inoltre
sono presenti anche nel gene del muflone. Tuttavia la
distinzione del genere Ovis è resa possibile dall’assoluta
assenza delle sequenze marker segnalate per le altre specie.
In funzione di tali considerazioni, si può concludere che i
marker genetici individuati su PRNP sembrano indicati a
discriminare ruminanti appartenenti allo stesso genere ma
non a specie diverse all’interno dello stesso genere. Infatti
non sono state trovate sequenze in grado di distinguere
pecore da mufloni che appartengono entrambi al genere
Ovis. Per risolvere tale problema è in corso nel nostro
laboratorio uno studio di STR che costituiscono un pannello
di 11 marcatori polimorfici ad elevato potere discriminativo
per le pecore, suggerito dall’ISAG (International Society of
Animal Genetics). Tali polimorfismi sono risultati presenti
anche nel genoma del muflone sardo, e presumibilmente uno
studio approfondito di questi alleli e della loro variabilità nelle
le due specie potrà rilevare delle differenze importanti per la
loro discriminazione.
nucleotidi deputati a codificatre per uno o due octapeptidi
aggiuntivi della proteina (Tab.1).
Per le pecore, mufloni e capre non sono state individuate,
invece, sequenze non polimorfiche caratteristiche. Tuttavia le
mutazioni silenti ai codoni 231 (AGGĺACG) e 237
(CTCĺCTG) sono state rilevate esclusivamente nelle pecore
e nei mufloni, sebbene con frequenza differente tra le due
specie (rispettivamente del 42% e del 84%); mentre i
polimorfismi silenti ai codoni 42 (CCGĺCCA) e 138
(AGCĺAGT) sono risultati tipici delle capre il cui gene
presenta sempre almeno una delle due sostituzioni in forma
etero o omozigote. Da rilevare che la sequenza caprina a
livello del codone 138 è sempre differente da quella scelta
come marker per differenziare il daino (Tab.1).
I marker genetici rilevati per i bovini, cervi e daini, essendo
sequenze sinonime non polimorfiche del gene, risultano
essere marker più “sicuri” in quanto sempre presenti e non
variabili. Tuttavia anche la discriminazione delle capre, pur
basata sull’analisi di polimorfismi variabili, sembra essere
possibile in quanto non sono stati individuati animali il cui
gene risulti privo di entrambe le mutazioni silenti scelte come
marker.
Tab.1- Parziale albero filogenetico dei ruminanti analizzati in questo lavoro e sequenze dei codoni di PRNP scelte come
marker genetici per la differenziazione dei diversi generi. Nello schema si evidenzia che le sequenze codoniche permettono di
distinguere i diversi generi mentre sono insufficienti per distinguere le specie.
SOTTORDINE FAMIGLIA
GENERE
SPECIE
MARKER GENETICI IN PRNP
Cervus
Cervus elaphus corsicanus
Codone 21 (GTC)
Dama
Dama dama
Codone 61 (GGC) e codone 138 (AAT)
Bos
Bos taurus
Codone 51 (CGT) e 23-46 bp in aggiunta
Ovis
Ovis aries
Ovis musimon
Cod. 231(AGGĺACG) -cod. 237(CTCĺCTG)
oppure assenza degli altri marker
Capra
Capra hircus
Cod. 42(CCGĺCCA) –cod. 138(AGCĺAGT)
Cervidi
Ruminanti
Bovidi
Milan D., Hammond K., Cardellino R., Haley C. and Plastow G.
Genetic diversity in European pigs utilizing amplified fragment length
polymorphism markers (2002). Anim Genet. 2002 Feb ;33 (1):72-3
11849142
3. Wlilesmith J.W., Ryan J.B.M. and Atkinson M.J. Bovine spongiform
encephalopathy: epidemiological studies on the origin. (1991) Vet
Rec. Mar 2;128(9):199-203.
4. Lee I.Y., Westaway D., rian F.A. Smit A. F.A., Wang K, Seto J.,
Chen L., Acharya C., Ankener M., Baskin D., Cooper C., Yao H.,
Prusiner S. B. and Hood L.E. Complete Genomic Sequence and
Analysis of the Prion Protein Gene Region from Three Mammalian
Species (1998) Vol. 8, Issue 10, 1022-1037
5. Hunter N. PrP genetics in sheep and the applications for scrapie
and BSE (1997) Trends Microbiol Aug;5(8):331-4. Review
Summary – The aim of this work was to identify genetic
markers in prion protein gene (PRNP) in order to characterize
different species of Ruminant suborder. Sequencing and
annealing the whole PRNP gene from 576 sarda sheep, 466
goats, 20 cattles, 25 muflons, 5 elks and 5 deers we identified
conserved characteristic sequences and polymorphic codons
able to distinguish the animal genus.
Bibliografia
1. Foulley J-L, van Schriek MGM, Alderson L, Amigues Y, Bagga M,
Boscher M-Y, Brugmans B, Cardellino R, Davoli R, Delgado JV,
Fimland E, Gandini GC, Glodek P, Groenen MAM, Hammond K,
Harlizius B, Heuven H, Joosten R, Martinez AM, Matassino D, Meyer
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Vega-Pla JL, and Ollivier L. Genetic Diversity Analysis Using Lowly
Polymorphic Dominant Markers: The Example of AFLP in Pigs
(2006). Journal of Heredity 97(3):244-252
2. SanCristobal M., Chevalet C., Peleman J., Heuven H., Brugmans
B., van Schriek M .,. Joosten R., Rattink A. P., Harlizius B., Groenen
M. A. M., Amigues Y., Boscher M.-Y., Russell G., Law A., Davoli R.,
Russo V., Dèsautés C., Alderson L., Fimland E., Bagga M., Delgado
J. V., Vega-Pla J. L., Martinez A. M., Ramos M., Glodek P., Meyer J.
N., Gandini G., Matassino D., Siggens K., Laval G., Archibald A.,
Lavoro effettuato con i fondi della ricerca corrente IZS SA 05/07
RC del Ministero della Salute
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X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
VALUTAZIONE DI MARCATORI GENETICI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE E
VALIDAZIONE DEL PROTOCOLLO OPERATIVO STANDARD
Riina M.V.1, Colussi S.1, Peletto S.1, Trisorio S.1, Mignone W.2, Dellepiane M.3, Robetto S.4, Domenis L.4, Orusa R.4,
1
1
Caramelli M. , Acutis P.L.
1
CEA-Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Torino.
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Imperia.
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Savona.
4
CERMAS-Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Aosta.
Key words: citocromo b, citocromo ossidasi subunità I, validazione.
SUMMARY – Until recently, species identification has relied
on phenotypic traits or biochemical markers, but technologies
based on DNA analysis seem to be more suitable. Aim of this
work is the evaluation of the mitochondrial cytochrome b and
cytochrome oxidase I genes as genetic markers for the
identification and discrimination of animal species for
veterinary forensic purposes. Results of the validation method
are presented. Two examples of its usefulness are also
described as case reports.
INTRODUZIONE – L’identificazione di specie animali risulta
essere un valido strumento per ostacolare fenomeni di caccia
illecita, pesca e commercio illegale, per evitare frodi, errata
etichettatura o sostituzioni e per affiancare studi di
classificazione tassonomica. Fino ad ora ci si è avvalsi del
riconoscimento morfologico, ma spesso questo tipo di analisi
non è adeguato e può portare ad un’identificazione incerta,
per esempio in caso di rimozione delle caratteristiche
tassonomiche. L’identificazione di specie può essere
condotta anche mediante indagini immunologiche, ma con
queste metodiche si possono identificare solo quelle specie
per le quali è stato sviluppato l’anticorpo. Possono essere
effettuati, in alternativa, studi sul profilo proteico, che però
non danno informazioni sufficienti in caso di trattamento
termico del campione.
Il progresso della genetica molecolare ha introdotto un nuovo
approccio che è basato sulla diversità della sequenza
nucleotidica tra le diverse specie in particolari regioni di DNA
chiamate marcatori genetici.
In questo lavoro si sono messi a confronto i risultati ottenuti
mediate il sequenziamento di due porzioni mitocondriali
altamente conservate all’interno della stessa specie: il gene
che codifica per il citocromo b (cytb) e quello per la citocromo
ossidasi subunità I (COI), ampiamente usati per
l’identificazione di specie e per stabilire relazioni filogenetiche
tra di esse. Si riportano, inoltre, i risultati della validazione
della metodica e la sua applicabilità nella risoluzione di due
casi in ambito forense.
MATERIALI E METODI – Il DNA di 26 specie animali
(Balaenoptera physalus, Bos taurus, Bubalus bubalis, Canis
familiaris, Capra hircus, Capreolus capreolus, Cervus
elaphus, Cyprinus carpio, Dama dama, Delphinus delphis,
Equus caballus, Felis catus, Gallus gallus, Gramphus
griseus, Homo sapiens, Lepus europaeus, Meleagris
gallopavo, Ovis aries, Rupicapra rupicapra, Stenella
coeruleoalba, Steno bredanensis, Sus scrofa, Sylvilagus
floridanus, Tetrao tetrix, Tursiops truncatus, Ziphius
cavirostris) è stato estratto da sangue o altri tessuti, usando
kit per purificazione di DNA disponibili in commercio. I geni
cytb e COI sono stati amplificati in una reazione simplex di
PCR modificando i protocolli pubblicati da Verma et al. (3) e
da Dawnay et al. (2), rispettivamente. Nella mix di PCR è
stata utilizzata la uracil-DNA glicosilasi per minimizzare i
problemi legati al carry-over. Dopo aver verificato la corretta
amplificazione dei frammenti di cytb e COI rispettivamente di
472bp e 658bp su gel di agarosio al 2% con bromuro di
etidio, si è proceduto al sequenziamento di entrambi i
filamenti su ABI Prism 3130 Genetic Analyzer. Le sequenze
ottenute sono state allineate con il programma SeqMan e la
sequenza consensus è stata confrontata con quelle
depositate nel database pubblico NCBI usando il programma
MegaBlast. Con il programma MegAlign, ogni consensus è
stato confrontato con le sequenze a più alto match ottenute
dall’allineamento con MegaBlast al fine di controllare la
percentuale di similarità e i siti variabili.
Sulla base dei risultati ottenuti è stata prodotta una procedura
operativa standard per il solo cytb ed è stata allestita una
validazione della metodica analizzando 5 animali delle
suddette specie, provenienti da aree geografiche diverse, per
calcolare la specificità e per valutare la variabilità intraspecifica (1) (4).
Per i case report, in aggiunta, è stato eseguito un
allineamento con il programma MegAlign per effettuare un
diretto confronto tra la sequenza del frammento di cytb del
campione e le sequenze delle specie potenzialmente
coinvolte. Sono state calcolate le distanze genetiche ed è
stato costruito l’albero filogenetico. Il test di confidenza
bootstrap è stato usato per determinare il significato statistico
dell’assegnazione di specie, assumendo che un valore di
bootstrap •70% solitamente corrisponde a una probabilità
•95% che il cluster corrispondente sia vero.
RISULTATI E DISCUSSIONE – Tutte le specie sono state
correttamente identificate dall’analisi mediante il cytb, che
quindi ha rivelato un buon potere discriminatorio. Il valore di
Query Coverage è stato 97%-100%, mentre il range di Max
Identity ottenuto era 95%-99%. Il marker non è stato in grado
di discriminare specie filogeneticamente vicine appartenenti
al genere Felis, Canis e Bos.
campione
GATTO
CANE
BOVINO
Bos taurus
Felis catus Canis familiaris
/
gene cytb
/
/
Bos frontalis
Felis silvestris Canis lupus
/
(Bos indicus)
Il COI ha mostrato in generale una buona capacità di
discriminazione tra le specie, con valori di Query Coverage
pari al 96%-99% e una Max Identity di 87%-99%. Il suo
impiego, però, non è stato efficace per riconoscere specie
filogeneticamente vicine appartenenti al genere Felis e Canis.
Inoltre, nessun risultato è stato ottenuto per le specie Ovis
aries, Capra hircus e Rupicapra rupicapra dovuto al fatto che
il set di primer impiegato non è in grado di legarsi alla
sequenza del gene COI di queste specie. Si ritiene
necessario disegnare un nuovo set di primer universali tale
da consentire l’amplificazione della zona variabile delle
diverse specie. Altresì, i database pubblici sono ancora molto
carenti in termini di numero di sequenze depositate.
56
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Nessuna sequenza di Capreolus capreolus risulta essere
depositata nel database NCBI: i più alti valori di identità si
sono ottenuti con le sequenze di Rangifer tarandus, Cervus
elaphus e Cervus nippon. L’allineamento delle sequenze di
queste quattro specie e il calcolo della matrice di distanza
hanno mostrato che il capriolo ha un elevato grado di
divergenza con la renna, il cervo europeo e il cervo sika.
Questo ha portato alla conclusione che il COI è in grado di
discriminare la specie Capreolus capreolus.
campione
gene COI
GATTO
Felis catus / Felis silvestris
CANE
Canis familiaris / Canis lupus
CAPRA
CAMOSCIO
Specie non assegnabile
Oryctolagus cuniculus
OVINO
Case Report n°2
Da una segnalazione alla guardia forestale è stato rinvenuta,
nel congelatore di un privato cittadino, la carcassa di un
animale appartenente all’oridine Lagomorpha. Su richiesta
del servizio CITES era necessario stabilire se l’animale
appartenesse ad una specie domestica: secondo la legge
italiana 157/92 questo cittadino poteva essere perseguibile di
reato non essendo un cacciatore.
Il test del bootstrap ha indicato che la sequenza del campione
in esame clusterizzava con la sequenza della specie S.
floridanus con una probabilità •95%.
Specie non assegnabile
Specie non assegnabile
S .floridanus
I risultati preliminari sulla capacità discriminatoria di questi
due marcatori genetici hanno condotto alla stesura della
procedura operativa standard per l’utilizzo del solo cytb e alla
sua validazione. La specificità è risultata essere pari al 100%
per tutte le 26 specie prese in esame. Il suino e il cinghiale,
correttamente identificati come specie Sus scrofa, non sono
distinguibili tra loro, in quanto occorrerebbe arrivare alla
distinzione della sottospecie.
L’utilizzo di MegaBlast non consente di distinguere le specie
filogeneticamente
vicine
quali
F.catus/F.silvestris
e
C.familiaris/C.lupus. Un’analisi più accurata con SeqMan,
però ha mostrato una similarità del 100% delle sequenze di
gatto e cane con la vera specie di appartenenza.
La situazione è risultata essere più complicata per le specie
appartenenti al genere Bos, in quanto non sembra essere
possibile una discriminazione tra B.taurus e B.frontalis data la
similarità delle sequenze depositate.
L’analisi della variabilità intra-specifica ha rivelato un basso
tasso di variazione nucleotidica del frammento di cytb, con un
valore di divergenza ”3%. Le differenze interessavano siti
variabili e non siti diagnostici per la specie, indice del fatto
che la variabilità intra-specifica non inficia il potere
discriminatorio di tale marker.
Contig_1= campione
Il protocollo utilizzato per condurre indagini forensi è risultato
efficace: la ricerca con MegaBlast per determinare la specie
di appartenenza e il successivo controllo dei siti variabili e
diagnostici tra il campione e le specie possibilmente
interessate si sono rivelati un buon approccio per la
risoluzione di questo tipo di casi.
Dallo studio sui marcatori, si ritiene necessario creare una
propria banca dati con sequenze di riferimento. Uno dei
prossimi obbiettivi che questo lavoro si pone è quello di
implementare il proprio database nel quale sono già state
inserite le sequenze delle specie utilizzate per la validazione
della metodica.
Case Report n°1
Parte di una carcassa mummificata appartenente ad un felide
è stato rinvenuto in un comune in provincia di Imperia, dove
si ipotizza il ritorno della lince. La conferma pare giungere da
alcuni fenomeni di predazione a carico di animali domestici
che si sono verificati nella zona e che però da qualche tempo
sono cessati. La necessità di identificare la specie
dell’animale trovato era, quindi, per confermare la presenza
della lince. Alternativamente si supponeva che i resti fossero
di un gatto domestico o selvatico.
L’esame ha interessato porzioni di cute della coda e alcuni
peli della stessa. Il confronto della sequenza del cytb con
MegaBlast ha identificato il campione come appartenente alle
specie Felis catus/Felis silvestris. Tale risultato è stato
confermato anche dall’allineamento delle sequenze con il
programma MegAlign.
BIBLIOGRAFIA –
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b sequence analysis as a method of species identification”. Journal
of Forensic Sciences 48(2003) 83-87.
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species identification”. Forensic Science International 173 (2007)
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identity of an enormous number of animal species for forensic
application”. Molecular Ecology Notes (2003) Primer Note.
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Program for the DNA Analysis by the Technical Working Group on
DNA Analysis Methods (TWGDAM)”. Crime Laboratory Digest 22
(1995) 21-43.
57
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
GENOTIPIZZAZIONE INDIVIDUALE NELL’AMBITO DEL PIANO STRAORDINARIO PER LE EMERGENZE
SANITARIE
Scasciamacchia S.
(1)
(1)
(1)
(1)
(2)
(3)
, Garofolo G. , Chiocco D. , Losito S. , Mongelli O. , Avetta M. , Fasanella A.
(1)
(1)
(2)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Unità Operativa C.P.O. Laboratorio di biotecnologie, Foggia (Italy); Servizi
(3)
Veterinari Regione Puglia; Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la
nutrizione e la sicurezza degli alimenti
Key words: Short Tandem Repeat, genotipizzazione, bovini, bufali
Introduzione
unica e si configura come una vera impronta digitale
genetica (“DNA Fingerprint”) (5, 6).
I loci target vengono amplificati in PCR utilizzando
primers fluorescinati e successivamente sequenziati.
L’analisi consiste in un’elettroforesi capillare che separa
i frammenti in base alla dimensione. Il sequenziatore è
in grado di convertire il segnale luminoso emesso dai
fluorocromi
in
un
impulso
elettrico
che
nell’elettroferogramma si visualizza come un picco
allelico (Fig.1).
Il Piano straordinario in Puglia
In Italia i piani di eradicazione per le principale zoonosi
sono in vigore da più di venti anni, e se da un lato ci
sono regioni che hanno ampiamente raggiunto
l’obiettivo, ve ne sono altre in cui tale risultato non solo
stenta ad arrivare, ma sembra che addirittura ci sia una
tendenza ad un incremento dei casi umani (1). Alla luce
di questi allarmanti dati epidemiologici, la Commissione
Europea con il report DG(SANCO)/8204/2006 (2)
raccomanda l'adozione di efficaci misure di controllo. Il
Ministero della Sanità, in ottemperanza alle suddette
linee guida ha emanato l'ordinanza 14 novembre 2006:
«Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di
tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovicaprina, leucosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia»
(3), che potenzia ed integra le preesistenti normative.
In particolar modo, in caso di notifica ufficiale della
positività degli animali, il Servizio veterinario deve
provvedere a contrassegnare ed identificare in maniera
univoca tutti i capi da abbattere o mediante
l'applicazione del bolo endoruminale ceramico o
mediante il test genetico comparativo (verifica della
corrispondenza genetica fra i campioni prelevati dallo
stesso individuo in momenti differiti: allevamento e
macello).
La regione Puglia per le specie bovina e bufalina ha
adottato l'identificazione genetica, mentre per gli ovini e
caprini l'identificazione elettronica ( bolo endoruminale
ceramico).
Il piano straordinario di genotipizzazione individuale è
di durata triennale e ha coinvolto l’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Puglia e della Basilicata (IZS PB)
nella parte del piano che prevede l’identificazione
genetica. I campioni di cute prelevati sul territorio
regionale vengono inviati all’IZS PB che provvede alla
registrazione,
all’appaiamento
(campione
dall’allevamento e campione dal macello) e infine alla
processazione.
I campioni vengono dichiarati omologhi quando, nel
confronto fra i due genotipi appartenenti allo stesso
individuo, il pattern allelico risulta identico e del tutto
sovrapponibile. In caso di eventuale mancanza della
corrispondenza genetica, l’IZS PB comunica tale
risultato al Ministero della Salute, ai Servizi Veterinari
della Regione Puglia, al Servizio Veterinario della ASL
di competenza, al Comando Carabinieri N.A.S.
Fig.1 - Software Genemapper 4.0: elettroferogramma di
campione bovino
Materiali e Metodi
Il test di genotipizzazione prevede 4 fasi: appaiamento
dei 2 campioni dello stesso individuo; estrazione del
DNA; amplificazione in Polymerase chain reaction
(PCR) dei loci target; analisi dei microsatelliti.
Appaiamento campioni
Tutti i campioni provenienti dal macello vengono
appaiati
ai
corrispettivi
dell'allevamento
precedentemente pervenuti, e registrati in un database.
Estrazione del DNA
L’estrazione del DNA genomico dal tessuto cutaneo
viene realizzata con il Kit DNeasy BLOOD AND
TISSUE KIT (Qiagen).
PCR
Per la specie bovina si amplificano 11 loci target:
TGLA227, BM2113, TGLA53, ETH10, SPS 115,
TGLA126,TGLA122,INRA23,ETH3, ETH225, BM1824
(7, 8). La PCR è allestita in un unica reazione nel
termociclatore Applied Biosystem GeneAmp PCR
sistem 9700.
Per la specie bufalina si amplificano 14 loci target:
D5S2, INRA006, CSSM19, BM1706, RM4, CSSM42,
INRA026, MAF65, BMC1013, BM0922, CYP21,
CSSM47, CSSM38, CSSM60 (7,9,10). La PCR è
Il Test adottato
Il protocollo analitico di genotipizzazione è basato
sull'analisi dei microsatelliti (STR analysis) secondo gli
standard ISAG (International Society of Animal
Genetics) (4).
I microsatelliti o STR, sono brevi sequenze
oligonucleotidiche, altamente variabili, ripetuti in
tandem, uniformemente e casualmente distribuiti nel
genoma. Per il loro elevato grado di polimorfismo, in
ciascun individuo la combinazione dei microsatelliti è
58
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
allestita in due multiplex nel termociclatore Applied
Biosystem GeneAmp PCR sistem 9700.
Analisi dei microsatelliti
Gli amplificati vengono diluiti 1:20 in acqua deionizzata
bidistillata sterile e caricati con 9,25μl di HiDi formamide
e 0,25μl di Liz 500 (Applied Biosystem) sul
sequenziatore
ABI-Prism
3130.
Le
corse
elettroforetiche vengono analizzate con il software
Genemapper 4.0 (Applied Biosystem) per l'attribuzione
dei size allelici e la successiva analisi comparativa.
Ogni campione viene processato in doppio.
caratteri morfologici di interesse zootecnico, nonché la
selezione genetica. E’ su questi aspetti che
suggeriamo alla competenti autorità sanitarie di
estendere tale metodo identificativo alle altre specie di
animali coinvolte nel piano (pecore e capre soprattutto).
Bibliografia
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2. European Commission Directorate F-Food and
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straordinarie di polizia veterinaria in materia di
tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovicaprina, leucosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia»
Gazzetta Ufficiale N. 285 del 7 Dicembre 2006
4. International
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and Immunity, Apr. 2006, p.2115-2120
Risultati
Nel primo anno del piano straordinario sono pervenuti
presso l’IZS PB, 607 coppie di campioni, di cui 72, pari
all’11,86%, sono risultati non idonei in quanto nelle
provette risultava essere presente una quantità di
materiale non sufficiente per effettuare il test. La
creazione di un data base ha permesso di superare le
difficoltà relative all’appaiamento dei campioni. Tuttavia
i tempi di attesa, anche se molto ridotti rispetto ai primi
mesi, si mantengono ancora relativamente lunghi
soprattutto per l’identificazione di quegli animali per i
quali la seconda aliquota proviene da macelli fuori
regione.
Discussione
Il test di genotipizzazione individuale è la metodica
analitica scientificamente più valida per l’attribuzione
dell'identità
genetica
univoca
e
difficilmente
contestabile.
I primi risultati sul suo utilizzo in un programma
sanitario straordinario mostrano dei punti di debolezza
e dei punti di forza. I punti di debolezza sono
rappresentati dal fatto che questo è un test che si basa
sul doppio prelievo che viene effettuato sullo stesso
animale in posti e da attori diversi e questo può
determinare un rallentamento dei tempi di risposta.
Tuttavia uno degli aspetti più importanti del piano di
emergenza basato sulla identificazione genetica è che
esso rappresenta un ottimo sistema per la tracciabilità
dei capi dichiarati infetti, poiché l'ulteriore verifica è
attuata da un ente terzo, in questo caso l’IZS PB, che
agisce con un ruolo che va ad integrare il controllo
effettuato dai Servizi Veterinari delle ASL. Inoltre l’IZS
diventa anche collettore di preziosi dati in grado di
fornire in tempo reale lo stato dell’arte relativo alla fase
di eliminazione dei capi infetti.
In campionamenti in vivo per l'identificazione genetica,
risultano poco cruenti e pertanto potremmo affermare
che
essa, rispetto alla elettronica, osserva una
maggiore tutela del benessere animale.
Una certa attenzione andrebbe rivolta al dato che
riguarda i campioni non idonei, la totalità dei quali è
rappresentata da prelievi di cute effettuati in
allevamento e giunti presso l’IZS privi di contenuto. Per
ovviare a questo genere di errori nella manualità,
occorrerebbe migliorare la formazione del personale sul
campo, ponendo attenzione non solo agli aspetti legati
alla quantità di materiale da prelevare ma curando
anche la qualità dello stesso al fine di evitare forme di
inquinamento del DNA dovuto ai contatti tra campioni
diversi.
L’analisi dei microsatelliti offre molteplici vantaggi, è
facilmente standardizzabile e il risultato è sempre
ripetibile, inoltre questa tecnica è già ampiamente
applicata con successo in altri settori come
la
tracciabilità di filiera, la determinazione della parentela,
lo studio di genetica delle popolazioni e lo studio dei
SUMMARY
The authors show the results about the individual
genotyping test on infected animals adopted in Puglia in
compliance with the extraordinary emergency plan
(O.M. 14 Novembre 2006) to eradicate infectious
disease. Were collected 607 double samples but 72
were not suitable for the test. In fact the amount of the
material was not sufficient to obtain the DNA for the
amplification and identification. In conclusion the
individual genotyping analysis is a good method to
verify the correct elimination of infected animals in the
infectious disease eradicate plans.
Collaborazione tecnica: Ester Valentina D’ADDETTA, Gilda
OCCHIOCHIUSO, Angela ACETI
59
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LEGAME TRA MAGNETISMO E PROTEINA PRIONICA
Balzano F.1, Basagni M.1, Marongiu A.2, Ligios C. 2, Fresu S.1 and Sanna V.1,
1
2
PRION DIAGNOSTICA srl, Porto Conte, Fraz. Tramariglio, 07041, Alghero (SS), Italia; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Via
Duca degli Abruzzi, 07100, Sassari, Italia.
ABSTRACT
The mechanism of conversion of the normal prion protein (PrPC) into aggregates of its pathological conformer (PrPSc) remain
unclear.
The aim of this study was to evaluate the effects induced by exposure of biological samples containing PrPSC to a magnetic field.
The results show that the magnetic field induced prominent molecular changes of samples indicated by the IR spectra located in the
region that contains contribution primarily from absorption of amides. This finding suggest the existence of a strong correlation
between the magnetism and PrPsc.
Gli spettri IR sono stati acquisiti nel range tra 4000 e 400 cm
1
utilizzando uno Spettrometro FT-IR ed elaborati con OPUS
INTRODUZIONE
6.0 ed Origin Pro 8.
Le malattie da prione, note come Encefalopatie Spongiformi
Trasmissibili (TSE), rappresentano un gruppo di malattie
RISULTATI E DISCUSSIONE
neurodegenerative con esito fatale che includono la malattia
di Creutzfeldt–Jakob nell’uomo e le Encefalopatie
L’analisi mediante FT-IR è una tecnica utilizzata per rilevare
Spongiformi Bovine (BSE) nei bovini e la scrapie negli ovini
specifiche informazioni biochimiche relative a proteine
(1). Tali malattie sono caratterizzate da un accumulo di
distribuite in diversi tessuti (4).
placche amiloidi in particolari regioni del cervello ed altri
In Fig. 1 è riportato uno spettro FT-IR tipico ottenuto
tessuti, generate da depositi di aggregati dell’isoforma
dall’analisi eseguita su campioni di omogenato di cervello di
Sc
C
patogena (PrP ) della proteina cellulare prionica (PrP ) (2).
animali sani e affetti da scrapie trattati. Le bande di
assorbimento corrispondono alle vibrazioni dei differenti
Il ruolo funzionale della proteina PrPC ed i meccanismi alla
gruppi funzionali contenuti nelle proteine, lipidi, carboidrati e
base della sua conversione nella forma PrPSc non sono stati
acidi nucleici presenti nel campione. In particolare, le bande
ancora chiariti. E’ stato dimostrato che tale trasformazione è
di maggiore interesse, evidenziate nell’immagine, risultano
associata al passaggio da una struttura ricca di D-eliche
-1
C
Sc
quelle comprese tra 3000 e 2838 cm , relative agli stretching
(PrP ) ad una più ricca di foglietti EPrP ) conseguente ad
vibrazionali
dei
gruppi
CH
e
CH
,
e
quelle tra 1750 e 1480
2
3
un riarrangiamento spaziale della proteina (3).
-1
,
relative
all’
assorbimento
delle
ammidi I e II delle
cm
Obiettivo di questo lavoro è stato valutare gli effetti indotti
proteine (4).
dall’esposizione ad un campo magnetico su campioni
biologici contenenti la proteina prionica nell’isoforma
Fig. 1: tipico spettro FT-IR ottenuto dall’analisi di omogenati
patologica.
di cervello ovino trattato
MATERIALI E METODI
I campioni biologici utilizzati provenienti da due ovini sani
(denominati negativi) e da due ovini affetti da Scrapie
(denominati positivi) sono stati preparati sospendendo 5 mg
di omogenato di cervello in 10 ml di Phosphate Buffered
Saline (PBS, 1x).
I materiali nanostrutturati utilizzati sono state sintetizzati
presso i laboratori della Prion DGN (Porto Conte Ricerche).
Trattamento dei campioni biologici
I campioni biologici positivi provenienti da due animali diversi
sono stati suddivisi in tre aliquote da 10 ml. Ciascun
campione è stato separato in due frazioni da 5 ml ed in una
frazione è stata inserita un’ ancoretta magnetica che è stata
lasciata a contatto col campione per circa 15 minuti e
successivamente rimossa. Entrambe le aliquote (trattata e
non trattata con magnete) sono state incubate in presenza
dei nano materiali, secondo una procedura originale, a
temperatura ambiente e mantenute in agitazione per 2 ore.
Dopo incubazione e separazione, i campioni sono stati
essiccati a 60 °C per una notte.
I risultati ottenuti hanno messo in evidenza delle differenze
sostanziali tra i campioni analizzati (trattati e non con
magnete) individuate nella regione delle ammidi (1750-1480
cm-1).
Come rappresentato in Fig. 2, gli spettri IR dei campioni non
esposti al magnete (linee grigie) mostrano la banda di
assorbimento dell’ammide I a 1640 cm-1 e una bassa e
-1
slargata banda dell’ammide II a 1537 cm . Il trattamento dei
campioni provenienti dallo stesso animale con il magnete
produce delle modifiche degli spettri di assorbimento (linee
Caratterizzazione dei campioni
I campioni essiccati sono stati successivamente inglobati in
pastiglie di KBr (1%, p/p) ed analizzati mediante
Spettrometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR).
60
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
-1
nere) con uno shift della banda dell’ammide I a 1637 cm e
-1
del picco dell’ammide II a 1540 cm .
Il profilo degli spettri dei campioni trattati con magnete risulta
praticamente sovrapponibile a quello di campioni provenienti
da animali sani (linea tratteggiata) riportato come termine di
confronto.
Fig. 2: spettri IR di un campione positivo trattato con magnete
(linea nera) e non trattato con magnete (linea grigia)
confrontati con un campione di riferimento negativo (linea
tratteggiata). Gli esperimenti sono stati eseguite in tre
repliche
La stretta analogia riscontrata tra i campioni trattati con
magnete ed i campioni negativi suggerisce che la stessa
SC
sia stata attratta dal magnete e di conseguenza
PrP
allontanata. Sulla base di questa evidenza si può ipotizzare
che la trasformazione della proteina PrP cellulare in
patologica possa essere associata ad un cambiamento delle
caratteristiche fisiche della proteina, come l’acquisizione di
proprietà magnetiche del dominio globulare 27-30. Questa
suggestiva ipotesi trova conferma nelle capacità fisiche
intrinseche di resistenza a temperature elevate, e potrebbe
essere alla base dei riaggiangiamenti dei legami chimici che
avvengono nella molecola a livello della struttura secondaria
e terziaria (Prusiner, 1997).
Questi risultati preliminari, se ulteriormente confermati,
contribuiscono a supportare in maniera indiretta la teoria da
noi formulata e potrebbero trovare interessanti applicazioni
nel trattamento dei fluidi biologici (latte e sangue) contaminati
da proteina prionica.
Tali risultati sono stati confermati su un campione positivo
proveniente da un animale diverso, sottoposto allo stesso
trattamento. Anche in questo caso, gli spettri IR dei campioni
non esposti al magnete (linee grigie) mostrano la banda
-1
dell’ammide I a 1637 cm e una bassa e slargata banda
dell’ammide II a 1542 cm-1. Il trattamento con il magnete
-1
produce uno shift della banda dell’ammide I a 1632 cm e del
-1
picco dell’ammide II a 1544 cm (Fig. 3), simile allo spettro
del campione utilizzato come confronto.
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano la Prof. A. Pusino e la Dott.ssa M.V. Pinna, il
Dott. L. Ligios, la Dott.ssa C. Santucciu, Dott.ssa MG
Tilocca.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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changes of preclinical scrapie can be detected by infrared
spectroscopy. Journal of Neuroscience. 22(8): 2989-97
Fig. 3: spettri IR di un campione positivo trattato con magnete
(linea nera) e non trattato con magnete (linea grigia)
confrontati con un campione di riferimento negativo (linea
tratteggiata). Gli esperimenti sono stati eseguite in tre
repliche
61
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
BACKGROUND FILOGENETICO E PROFILI DI VIRULENZA IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI SENSIBILI E
RESISTENTI ALLA CIPROFLOXACINA ISOLATI DA UOMO E DA SPECIE AVIARE
1
2
3
4
5
2
1
1
2
Graziani C. , Luzzi I. , Corrò M. , Tomei F. , Parisi G. , Accogli M. , Morabito S. , Caprioli A. , Cerquetti M.
1
2
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Roma; Istituto Superiore di Sanità,
3
Dipartimento di Malattie infettive, Parassitarie ed Immunomediate, , Roma; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venzie, Legnaro;
4
5
Laboratorio Bios, Roma; Ospedale San Camillo Forlanini, Roma
Key words: Escherichia coli, geni di virulenza, gruppo filogenetico
SUMMARY
Previous studies have suggested that human fluoroquinolone
(FQ) resistant Escherichia coli strains probably emerged as a
consequence of fluoroquinolone use in poultry. This study
aims to provide further insight on the possible avian origin of
human FQ-resistant extra-intestinal pathogenic E. coli
(ExPEC) strains.
Determinazione del pulsotipo mediante elettroforesi in campo
pulsato (PFGE):
Le correlazioni genetiche tra 40 ceppi appartenenti al
principale profilo di virulenza (traT-iucD-iutA) è stata
determinata attraverso la PFGE. I profili PFGE sono stati
analizzati con il Software del BioNumerics.
INTRODUZIONE
Le infezioni extra-intestinali causate da ceppi patogeni di E.
coli sono molto comuni sia nell’uomo (ExPEC) che nelle
specie aviarie (APEC). Nelle specie avicole, tali infezioni
sono note come colibacillosi e rappresentano una delle
principali cause di mortalità con danni economici rilevanti per
gli allevatori (2). Fattori di virulenza quali adesine, tossine,
fattori per l’acquisizione del ferro e invasine, che permettono
di superare le difese dell’ospite, invaderne i tessuti e causare
malattia, sono stati evidenziati sia negli ExPEC che negli
APEC. I fluorochinoloni sono considerati farmaci di scelta per
il trattamento di infezioni da ExPEC e l’incremento negli ultimi
anni dei ceppi resistenti ai fluorochinoloni ha destato
preoccupazione per la sanità pubblica. Questi farmaci sono
ampiamente utilizzati anche in medicina veterinaria e diversi
ceppi resistenti di E. coli sono stati isolati nelle specie aviarie.
E’ stata così ipotizzata una probabile origine zoonotica di
questi patogeni che possono infettare l’uomo attraverso
l’ingestione di cibo contaminato ed in particolare prodotti
avicoli. Lo scopo di questo studio è di fornire indicazioni sulla
probabile origine aviaria dei ceppi ExPEC fluorochinoloni
resistenti attraverso lo studio del background filogenetico e il
profilo dei geni di virulenza in ceppi isolati dall’uomo e da
specie aviaria.
Analisi dei dati:
L’analisi e la comparazione dei dati è stata effettuata
utilizzando EpiInfo2000 version 3.3.1 (CDC, Atlanta 2005) e il
chi-square test or Fisher exact test. Il valore limite per la
significatività statistica è stato P ”0.05.
RISULTATI E DISCUSSIONE
L’analisi dei risultati ha mostrato in generale che (Tabella 1):
x i geni riscontrati con maggiore frequenza sono quelli
associati all’invasione dei tessuti (iutA, iucD, iroN, traT);
x i ceppi ciprofloxacina resistenti presentano una minore
frequenza dei geni di virulenza rispetto ai ceppi sensibili
indipendentemente dall’origine.
I profili di virulenza prevalenti nell’uomo sono stati traT-iucDiutA (43.8% R; 9.8% S) e iucD-iutA (21.9% R; 3.3% S). Tali
profili risultano presenti nelle specie aviarie esclusivamente
nei ceppi resistenti anche se con basse frequenze. Nelle
specie aviarie prevalgono i profili traT-iroN-iss (18.2% R;
2.1% S) e traT-cvaC-iucD-iroN-iss-tsh-iutA (6.1% R; 21.3%
S), generalmente non riscontrati nei ceppi umani. L’analisi
delle correlazioni genetiche con PFGE (Figura 1) tra 34 ceppi
umani e 6 aviari con profilo traT-iucD-iutA ha evidenziato la
presenza di diversi cluster (A, B, C, D, E, F). Tuttavia i ceppi
umani e quelli aviari sono risultati non correlati. La
distribuzione dei ceppi nei quattro gruppi filogenetici ha
mostrato una frequenza maggiore dei ceppi umani al gruppo
B2 (45.6%) mentre i ceppi aviari prevalentemente al gruppo
D (41.8%).
In conclusione dai risultati ottenuti si evince che:
x non sono state evidenziate similitudini nei profili di
virulenza tra i ceppi umani ed aviari ad eccezione dei ceppi
con profilo traT-iucD-iutA;
x non è stata evidenziata una correlazione genetica tra i
ceppi umani ed aviari con profilo traT-iucD-iutA;
x è stata osservata una diversa distribuzione dei ceppi
umani ed aviari nei gruppi filogenetici.
In definitiva non ci sono evidenze che supportano l’ipotesi
della possibile origine aviaria dei ceppi umani ciprofloxacina
resistenti da noi analizzati anche se sono da valutare alcuni
punti critici come la selezione del campione, l’area geografica
e l’intervallo di tempo considerato.
MATERIALI E METODI
Ceppi di E.coli analizzati:
Sono stati analizzati un totale di 238 ceppi:
uomo (61 sensibili e 64 resistenti alla ciprofloxacina)
aviario (47 sensibili e 66 resistenti alla ciprofloxacina).
I ceppi isolati dall’uomo provengono dall’attività di diagnostica
del laboratorio di analisi BIOS (Roma) e da pazienti
ospedalizzati presso l’ospedale San Camillo Forlanini
(Roma). I ceppi isolati da specie aviaria provengono
dall’attività di diagnostica e di controllo dell’Istituto
Zooprofilattico delle Venezie (Padova).
Ricerca dei geni di virulenza:
Tutti i ceppi selezionati sono stati sottoposti ad analisi
molecolare per la ricerca dei geni di virulenza (Tabella 1)
attraverso la reazione a catena della polimerasi (PCR).
L’estrazione del DNA è stata effettuata attraverso bollitura di
colonie isolate di E. coli. Le sequenze dei primers e le
condizioni di amplificazione sono state reperite in letteratura
(3, 4).
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Wieler LH. Avian pathogenic, uropathogenic, and newborn
Determinazione del gruppo filogenetico:
Tutti I ceppi sono stati assegnati ad uno dei quattro gruppi
filogenetici (A, B1, B2, D) mediante una PCR multiplex
secondo il metodo di Clermont (1).
62
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Tabella 1. Distribuzione dei geni di virulenza e del gruppo filogenetico nei ceppi di E. coli isolati da uomo e da specie aviaria
Totale
Sensibile
Resistente
Gene/
Totale
Uomo
Aviario
Totale
Uomo
Aviario
Uomo
Aviario
Gruppo
(No=130)
(No=64)
(No=66)
(No=108)
(No=61)
(No=47)
(No=125) (No=113)
filogenetico
N° (%)
N° (%)
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
0 (0)
0 (0)
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
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0 (0)
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0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
eae
3 (2.4)
1 (0.9)
4
3.7
3
4.9
1
2.1
0
0
0
0
0
0
cldt
20 (16)
1 (0.9)
21 19.4 20 32.8
1
2.1
0
0
0
0
0
0
cnf
18 (14.4)
42 (37.2)
33 30.6
9
14.8 24 51.1
27 20.8
9
14.1 18 27.3
cvaC
19 (15.2)
23 (20.3)
27
25
15 24.6 12 25.5
15 11.5
4
6.3
11 16.7
ireA
27 (21.6)
78 (69.0)
59 54.6 21 34.4 38 80.9
46 35.4
6
9.4
40 60.6
iroN
17 (13.6)
83 (73.4)
48 44.4 10 16.4 38 80.9
52 40.0
7
10.9 45 68.2
iss
77 (61.6)
74 (65.5)
63 58.3 26 42.6 37 78.7
88 67.7 51 79.7 37 56.1
iucD
84 (67.2)
79 (69.9)
72 66.7 30 49.2 42 89.4
91 70.0 54 84.4 37 56.1
iutA
80 (64)
84 (74.3)
73 67.6 39 63.9 34 72.3
91 70.0 41 64.1 50 75.8
traT
3 (2.4)
34 (30.1)
18 16.7
0
0
18 38.3
19 14.6
3
4.7
16 24.2
tsh
Gruppo A
28 (22.4)
29 (26.3)
22 20.2 10 16.4 12 25.0
35 27.8 18 28.1 17 27.4
Gruppo B1
6 (4.8)
16 (15.5)
8
7.3
4
6.6
4
8.3
14 11.1
2
3.1
12 19.4
Gruppo B2
61 (48.8)
19 (17.3)
44 40.4 31 50.8 13 27.1
36 28.6 30 46.9
6
9.7
Gruppo D
30 (24.0)
46 (41.8)
35 32.0 16 26.2 19 39.6
41 32.5 14 21.9 27 43.5
Figura 1. Analisi mediante Elettroforesi in Campo Pulsato
Dice (Opt:1.20%) (Tol 1.2%-1.2%) (H>0.0% S>0.0%) [0.0%-100.0%]
E.coli
55
Xba
60
65
70
75
80
85
90
95
No
c
e
p
p
o
F
o
n
t
e
10
0
M
a
l
a
t
t
i
a
101
Chicken Colibacillosis A
63
Chicken Healty
A
6R
Human UTI
B2
IN6R
Human Sepsis
B2
39R
Human UTI
D
38R
Human UTI
B2
IN16R Human Sepsis
B2
33R
Human UTI
B2
14R
Human UTI
B2
29R
Human UTI
B2
31R
Human UTI
B2
35R
Human UTI
B2
IN30R Human Sepsis
B2
19R
Human UTI
B2
37S
Human UTI
B2
12R
Human UTI
B2
8R
Human UTI
B2
7R
Human UTI
B2
18R
Human UTI
B2
IN40R Human Sepsis
B
A
B2
IN32R Human Sepsis
B2
40R
Human UTI
B2
4S
Human UTI
B2
IN22R Human Sepsis
B2
IN31R Human Sepsis
B2
IN36R Human Sepsis
B2
51
63
G
r
u
p
p
o
C
Turkey Colibacillosis A
16R
Human UTI
30
Avian
B2
43
Chicken Colibacillosis A
54
Chicken Colibacillosis A
Colibacillosis A
IN21R Human Sepsis
D
IN44R Human Sepsis
D
IN45R Human Sepsis
D
IN12R Human Sepsis
D
IN18R Human Sepsis
D
27S
Human UTI
D
IN1S
Human Sepsis
D
IN17S Human Sepsis
D
D
E
F
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LE INDAGINI BIOMOLECOLARI APPLICATE ALLO STUDIO DEI FOCOLAI DI TUBERCOLOSI BOVINA
Mazzone P. 1, Cagiola M. 1, Biagetti M. 1, Crotti S. 1, Ortenzi R.1, Faccenda L. 1, Ferrante G.1, Bugatti M. 1,
Savini G.2, Boni M. 2, Farinelli M. 2, Boniotti B.3, Pacciarini M. 3
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ; ASL Umbria – Dipartimento di prevenzione - Servizio di Sanità Animale;
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna –
Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi bovina da M.bovis
Key words: Mycobacterium bovis, Spoligotyping, VNTR-typing
redatte dai colleghi del Servizio Veterinario nel corso
dell’indagine epidemiologica nei focolai.
Esame colturale: è stato eseguito secondo le metodiche
tradizionali previste dal D.M. 592/95, sui campioni prelevati in
sede ispettiva. Nella fase di decontaminazione del materiale
di partenza sono stati impiegati due trattamenti differenti, in
una metodica è stato utilizzato idrossido di sodio al 2%,
nell’altra acido esadecilpiridinio all’1,5%. Per la semina sono
stati utilizzati i terreni solidi selettivi Stonebrink, Lowenstein
Jensen Medium, Lowenstein Jensen senza glicerina. Il
materiale è stato incubato a 37°C in atmosfera al 10% di CO2
per i primi 15 giorni e successivamente a 37°C in atmosfera
normale. La crescita delle colonie è stata monitorata
settimanalmente per un periodo di almeno due mesi.
Identificazione molecolare dei ceppi isolati: si è proceduto ad
una estrazione del DNA tramite bollitura a partire da colonie
isolate su terreni selettivi. Per la differenziazione di
Mycobacterium. spp,, Mycobacterium avium e Mycobacterium
tuberculosis complex è stata eseguita una metodica PCR,
secondo quanto riportato da Kulski et al. (1). Le colonie
classificate come appartenenti al M. tuberculosis complex
sono state successivamente tipizzate applicando il protocollo
suggerito da Huard et al. (2).
Caratterizzazione molecolare dei ceppi di M. bovis: le
tecniche di tipizzazione molecolare adottate sono state lo
Spoligotyping, l’analisi dei loci ETRs (3) e di alcuni marcatori
VNTR/MIRU (4, 5).
Lo Spoligotyping è un saggio basato sul polimorfismo del
locus DR (short ripetitive direct repeats) presente nel genoma
dei Micobatteri appartenenti al Mycobacterium tuberculosis
complex.
La tipizzazione ETRs si basa sulla presenza di 5 loci (ETR da
A ad E) ognuno dei quali contiene un'unica sequenza ripetuta
a tandem, la cui dimensione varia da 53 bp a 79 bp. Ogni
ceppo di M.bovis è caratterizzato da un numero variabile di
sequenze ripetute, la combinazione del numero di ripetizioni
presenti nei 5 loci definisce un codice a cinque cifre specifico
per ogni ceppo analizzato.
L’analisi VNTR/MIRUs riguarda i marcatori VNTR2163a,
VNTR2163b, VNTR3155, MIRU26 selezionati sulla base
dell’elevato valore di diversità allelica (6). La combinazione di
queste tecniche di tipizzazione, introdotte dal CRN, ha
aumentato la capacità differenziativa (calcolata mediante
l’indice di Hunter-Gaston) da 0,7 (solo spoligotyping) a 0,98
(tutti i marcatori indicati).
Epidemiologia molecolare: al fine di ottenere informazioni di
ordine epidemiologico, i ceppi in esame sono stati confrontati
con ceppi isolati nello stesso arco di tempo, nelle stesse zone
e nel territorio nazionale. La georeferenzazione degli
allevamenti ci ha permesso di individuare la compresenza di
ceppi omologhi circolanti nella stessa zona. Attraverso
l’analisi dei profili genetici circolanti in Italia, derivati dalla
banca dati del CRN, è stato possibile correlare ceppi di M.
bovis comparsi recentemente in Umbria e isolati nello stesso
arco di tempo in altre regioni italiane.
Summary
The application of the control measures included in the
national tuberculosis eradication programmes, allowed us to
reduce the prevalence of Bovine Tuberculosis (TB) in several
Italian regions. However further efforts are necessary in order
to achieve the eradication of the disease in all the national
territory. An important component of the eradication
campaigns is a thorough epidemiological analysis of every
tuberculosis outbreak, to determine areas with high risk of
infection. In order to gain a better understanding of the
epidemiology of the disease at local and regional levels, the
National Reference Center for TB has applied a number of
molecular typing techniques (Spoligotyping, ETRs and
VNTR/MIRU marker) to M. bovis strains isolated in Italy. In
this study we describe 8 outbreaks of TB, spread in Umbria,
related to 3 different M. bovis strains. We combined the
information derived from the epidemiological investigation
with the data of the molecular typing, reaching a good
understanding of TB transmission in our region.
Introduzione
In Italia l’applicazione delle misure di controllo previste dai
piani di eradicazione della Tubercolosi bovina (TB), ha
condotto ad una progressiva riduzione della prevalenza della
infezione nel territorio nazionale. Tuttavia dal momento che i
requisiti sanitari previsti dalla normativa comunitaria (Direttiva
97/12/CE, recepita con Decreto L.vo n. 196 del 22 maggio
1999), richiedono una percentuale annua di allevamenti infetti
da TB inferiore allo 0,1% negli ultimi 6 anni, il nostro paese
non può ancora dichiarare l’intero territorio nazionale
ufficialmente indenne da TB e si procede attraverso la
dichiarazione di indennità su scala provinciale e regionale. In
questo contesto legislativo e territoriale assume particolare
importanza poter ricostruire le vie di diffusione e trasmissione
della tubercolosi bovina, per individuare aree e fattori di
rischio associate alla persistenza dell’infezione nel territorio
nazionale. A tal fine, negli ultimi anni, all’indagine
epidemiologica convenzionale si è affiancata l’elaborazione
dei dati forniti dalla tipizzazione molecolare dei ceppi di
M.bovis isolati, con il risultato di confermare o in alcuni casi
svelare fonti di contagio diversamente non correlabili.
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche in
collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale (CRN),
nell’ottica di fornire elementi utili per il raggiungimento della
qualifica sanitaria europea nel territorio di competenza, dal
2002 ha effettuato la genotipizzazione dei ceppi di M.bovis
isolati nei focolai di TB delle due regioni.
Nel presente lavoro vengono descritti 8 focolai di TB riferibili
a tre diversi cluster genetici di M. bovis, nei quali è stato
possibile ricostruire le dinamiche dell’infezione combinando le
informazioni dell’indagine epidemiologica tradizionale con i
risultati della tipizzazione molecolare.
Materiali e metodi
I focolai oggetto di studio sono insorti nella regione Umbria
nel biennio 2006/2007. In cinque casi erano coinvolti
allevamenti da ingrasso, uno riguardava una stalla di sosta
ed in due casi l’infezione ha interessato allevamenti da
riproduzione. I dati relativi alle movimentazioni degli animali
ed all’identificazione degli allevamenti correlati, sono stati
estrapolati delle “Schede di rilevamento dati in allevamento”
Risultati e Discussione
I ceppi di M.bovis isolati nei focolai bovini dell’Umbria e delle
Marche dal 2002 ad oggi, sono stati differenziati mediante
spoligotyping in 6 diversi spoligotipi, tra i quali: SB0120,
64
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ampiamente diffuso in Italia, SB0419 compatibile con
l’identificazione di M. caprae (7), isolato in Umbria la prima
volta nel 2006 e lo spoligotipo 4-13,15 (mancante degli
spacers 4-13 e 15) comparso in Umbria nel 2007 e
riscontrato anche in allevamenti provenienti dal Sud Italia. I 6
spoligotipi sono stati ulteriormente differenziati con il saggio
ETRs in 16 sottogruppi di cui 11 localizzati in Umbria. Di
questi ultimi abbiamo considerato epidemiologicamente
rilevante il genotipo “SB0120/45432”, dal momento che è
stato evidenziato in aziende limitrofe di una definita zona
territoriale (Tab.1). Il primo isolamento è stato ottenuto da un
vitellone, regolarmente macellato, proveniente da un
allevamento da ingrasso a conduzione familiare. L’indagine
epidemiologica ha consentito di risalire all’azienda d’origine
del capo, un allevamento da riproduzione (Azienda A) che nel
2005 vendeva ad allevamenti da ingrasso. Le prove in vivo
(IDT e gamma-interferon) effettuate negli allevamenti che
avevano acquistato dall’Azienda A hanno consentito di
individuare altri 4 capi positivi dai quali è stato isolato il
genotipo “SB0120/45432”. La successiva analisi dei
marcatori MIRU e VNTR ha permesso di dimostrare
corrispondenza genotipica tra i ceppi isolati dai bovini
provenienti dalle tre aziende acquirenti ed i ceppi di M. bovis
isolati dai vitelli della azienda A (Tab.1). In questo caso,
l’indagine epidemiologica condotta negli allevamenti sede di
focolaio, ha consentito di rintracciare gli allevamenti correlati;
la genotipizzazione dei ceppi isolati presso le aziende A, B, C
e D ha permesso di risalire in maniera puntuale all’origine
dell’infezione.
M. caprae, è stato riscontrato nel 10% dei ceppi isolati in
Italia da bovino (8); il genotipo SB0419, isolato in Umbria nel
2006 e 2007, è stato evidenziato anche in diverse regioni
italiane. L’indagine epidemiologica, condotta nei focolai umbri
del 2007, ha permesso di ricostruire le movimentazioni degli
animali ed è stata individuata una stalla di sosta umbra
(Azienda E) che acquistava vitelli da aree del Sud Italia dove
sono stati isolati ceppi con spoligotipo SB0419. In particolare
in queste aree è stato isolato SB0419 combinato con gli
ETRs 63424, 53434 e 53424, genotipi isolati anche nelle
aziende umbre G e F che nel 2007 acquistavano dall’azienda
E (Tab.1). Nel 2006 da capi provenienti da un allevamento da
ingrasso (Azienda H), apparentemente non correlato con le
aziende sede dei focolai del 2007, è stato isolato un
M.caprae SB0419/ETR53424. A seguito di un’attenta analisi
sull’origine dei capi dell’azienda H, si è riusciti a risalire alle
stesse aziende del Sud Italia da cui acquistava nel 2007 la
stalla di sosta umbra ed a correlare i due focolai.
quanto risulta presso la banca dati del CRN è sempre
associato al profilo allelico ETR44432. Questo genotipo è
stato trovato quasi esclusivamente in focolai che si sono
verificati in aziende del Sud del nostro paese.
La tecnica dello Spoligotyping si è rilevata scarsamente
discriminante quando in una regione predominano uno o
pochi genotipi ed è stato determinante affiancare l’analisi dei
loci ETRs per differenziare ulteriormente la popolazione di M.
bovis circolante. L’analisi dei marcatori VNTR e MIRUs
associata ai profili ETRs/Spoligotyping ha permesso di
confermare interessanti correlazioni epidemiologiche. Nel
caso del genotipo SB0120/45432 isolato nelle aziende A, B,C
e D, siamo riusciti ad evidenziare un’origine dell’infezione a
livello regionale. Nel caso dei genotipi di SB0419 e dello
spoligotipo 4-13,15, comparsi in Umbria solo negli ultimi anni,
è stato possibile risalire alle “aree geografiche a rischio” da
cui è stata introdotta l’infezione e comprendere le modalità di
diffusione della stessa. Nello studio dei focolai presi in esame
le informazioni ottenute dalla caratterizzazione genetica, si
sono rilevate essenziali per completare e avvalorare le
indagini epidemiologiche convenzionali.
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Sempre nel 2007 nell’Azienda G è stato isolato, da un bovino
proveniente dal Sud Italia, transitato per la stalla di sosta
umbra (Azienda E), il M.bovis spoligotipo 4-13,15 che, da
Kulski J.K., Khinsoe C., Pryce T. and Crhistiansen K. 1995. Use
of a Multiplex PCR to Detect and Identify Mycobacterium avium
and Mycobacterium intracellulare in Blood Culture Fluids of
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bovis Strains Isolated in Italy from 2000 to 2006 and Evaluation
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Variable-Number-Tandem-Repeats
for
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Aranaz A, Cousins D, Mateos A, Domínguez L Elevation of
Mycobacterium tuberculosis subsp. caprae Aranaz et al. 1999
to species rank as Mycobacterium caprae comb. nov., sp. nov.
Int J Syst Evol Microbiol. 2003 Nov; 53(Pt 6):1785-9.
Pacciarini M.L., Boniotti M.B., Zanoni M., Alborali G.L.,
Tagliabue S., Zanardi G. VII Congresso Nazionale SIDiLV 2005
Volume Atti 18-21
Tabella 1: Spoligotipo, profilo ETRs, VNTR/MIRU dei ceppi isolati da bovini e rispettive aziende d’origine e movimentazione capi
Spoligotipo
ETRs
VNTR/MIRU
Azienda
Tipologia
Movimentazioni
Nomenclatura interna Nomenclatura ufficiale A B C D E 11A 11B 15 M26
A
Riproduzione
Nel 2005 vende a B, C e D
BCG LIKE
SB0120
4 5 4 3 2
10
10
5
4
3
3
5
5
B
Ingrasso
Acquista da A
BCG LIKE
SB0120
4 5 4 3 2
10
5
3
5
C
Riproduzione
Acquista da A
BCG LIKE
SB0120
4 5 4 3 2
10
4
3
5
D
Ingrasso
Acquista da A
BCG LIKE
SB0120
4 5 4 3 2
10
5
3
5
E
Stalla di sosta
Acquista dal Sud Italia
M. caprae 14+
SB0419
6 3 4 2 4
10
5
3
5
FeG
Ingrasso
Nel 2007 acquistano da E
M. caprae 14+
SB0419
5 3 4 3 4
10
5
3
5
G
Ingrasso
Nel 2007 acquista da E
Spoligotipo 4-13,15
//
4 4 4 3 2
10
4
3
5
H
Ingrasso
Acquista da stessi allevamenti di E
M. caprae 14+
SB0419
5 3 4 2 4
10
6
3
5
65
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI PORCINE ENTEROVIRUS E TESCHOVIRUS ISOLATI IN ITALIA NEL
2006-2007
Sozzi E., Barbieri I., Lavazza A., Moreno A., Lelli D., Luppi A., Canelli E., Bugnetti M., Cordioli P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia
Key words: porcine enterovirus e teschovirus, RT-PCR, caratterizzazione molecolare
SUMMARY
Porcine enterovirus (PEV) and Teschovirus (PTV), belonging
to the family Picornaviridae, are ubiquitous and mainly cause
asymptomatic infections in pigs. In the present study a total of
40 Italian porcine entero-teschovirus isolates were
characterized by the analysis of the sequences of the capsid
VP1 encoding gene. The assay turned out to be a useful
diagnostic tool for the molecular diagnosis of porcine
teschovirus/enterovirus strains and for the study of molecular
epidemiology and evolution of these viruses confirming the
possibility of correlating virus genotype to serotype.
come PEV-8. Al contrario, PEV-9 e PEV-10 sono stati isolati
in Italia, Inghilterra e Giappone (2).
Nel presente lavoro è stata realizzata la caratterizzazione
genetica di ceppi di porcine enteric picornavirus isolati in Italia
nel periodo 2006-2007.
La tipizzazione molecolare è stata realizzata tramite l’analisi
filogenetica di un frammento della regione che codifica per la
proteina del capside VP1.
MATERIALI E METODI
Virus:
I 40 virus selezionati per la caratterizzazione genetica sono
stati isolati presso il Centro per lo Studio e la Diagnosi delle
Malattie Vescicolari (CERVES), dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna
(IZSLER) di Brescia, negli anni 2006 e 2007, da pool di feci di
suini provenienti da diverse regioni italiane e sottoposti a
campionamento nell’ambito del Piano di sorveglianza della
Malattia Vescicolare del suino (SVD). I ceppi virali sono stati
propagati su monostrato confluente di una linea cellulare di
rene suino (IBRS-2). Ad effetto citopatico completo, gli isolati
sono stati sottoposti ad un ciclo di gelo/scongelo e
successiva centrifugazione a 2500 X g per 10 min a 4°C ed il
sovranatante aliquotato e stoccato a -70°C.
Identificazione molecolare:
Per l’identificazione molecolare di porcine teschovirus e
porcine enterovirus A e B sono state impiegate due differenti
RT-PCR (5, 6), che utilizzano due coppie di primers specifici
per amplificare una porzione della regione altamente
conservata 5’-NTR.
Sequenziamento ed analisi filogenetica:
Per la caratterizzazione molecolare degli isolati è stata
amplificata una porzione della proteina capsidica VP1
impiegando primers precedentemente pubblicati (4). Gli
amplificati sono stati purificati mediante il Gel Extraction Kit
(Qiagen), sequenziati con il BigDye Terminator Cycle
Sequencing Kit e sottoposti ad elettroforesi capillare su
sequenziatore automatico ABI PRISM 3130 Genetic Analyzer
(Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state
analizzate in BLAST e confrontate con quelle di ceppi di
riferimento ottenuti in GenBank mediante allineamento con il
programma CLUSTAL W a parametri di default, mediante il
software Lasergene (DNASTAR Inc., Madison, WI, USA).
L’albero filogenetico è stato costruito con il metodo Neighborjoining con il programma MEGA 4.0.
INTRODUZIONE
Porcine enteric picornavirus sono agenti ubiquitari
responsabili di infezioni nella popolazione suina di tutto il
mondo. Classificati nella famiglia delle Picornaviridae,
comprendono, in base ai risultati ottenuti in virusneutralizzazione (VN), 15 sierotipi, tutti precedentemente
ascritti al genere enterovirus.
Attualmente, sulla base della sequenza genomica e della
relazione con gli altri picornavirus, sono suddivisi in tre
gruppi:
1.
PEV CPE gruppo I, che è stato riclassificato come
Teschovirus. I teschovirus comprendono 11 distinti sierotipi
all’interno dell’unica specie Porcine Teschovirus (PTV). PEV
da 1 a 7 sono stati rinominati PTV da 1 a 7 e PEV da 11 a 13
ridefiniti PTV da 8 a 10. Inoltre, recentemente, è stato
descritto un nuovo sierotipo, chiamato PTV-11 (7).
2.
PEV CPE gruppo II, che possiede un solo sierotipo
(PEV-8) provvisoriamente incluso nella specie Porcine
Enterovirus A. Secondo studi recenti, l’organizzazione
genomica e il sequenziamento nucleotidico di PEV-8 rivelano
che non può essere classificato in nessuno dei presenti
generi di picornavirus (3) e dimostrano una stretta
correlazione con diversi simian picornaviruses. Di
conseguenza è stato suggerito di riclassificare questi virus in
due specie di un nuovo genere di picornavirus denominato
Sapelovirus (Simian and porcine enterovirus-like viruses;
Knowles, Picornavirus Study Group).
3.
PEV CPE gruppo III, che comprende i sierotipi PEV9 e PEV-10. Sono tipici enterovirus e sono inclusi nella
specie Porcine Enterovirus B.
Sebbene le infezioni siano frequentemente asintomatiche,
ceppi di PTVs/PEVs sono implicati in una notevole varietà di
manifestazioni cliniche. I due ceppi di PTV-1, Teschen e
Talfan, sono stati isolati, in Europa, in focolai di
polioencefalomielite, rispettivamente nel 1929 e nel 1957. Da
allora, le encefalomieliti da enterovirus (precedentemente
conosciute come malattie di Teschen/Talfan) sono state
considerate di una certa rilevanza socioeconomica e per
questo inserite nella Lista della OIE (Office International des
Epizooties). Forme più lievi di encefalomielite sono sostenute
da altri sierotipi di PTVs/PEVs. Inoltre, alcuni sierotipi sono
associati con diversi sintomi clinici, che includono disordini
riproduttivi nella scrofa, patologie enteriche, polmoniti e
dermatiti. Virus appartenenti ai sierotipi 1, 3, 6 e 8 sono stati
isolati in casi associati alla sindrome SMEDI.
I ceppi PTV-1 associati con la malattia di Teschen classica
sono presenti in Europa centrale ed Africa, ma non sono mai
stati isolati in Nord America. I ceppi a minor virulenza e quelli
rappresentativi degli altri sierotipi di PTV sono ubiquitari, così
RISULTATI
Identificazione di PEV/PTV:
Tutti i virus isolati nel periodo 2006-2007 sono stati identificati
tramite le metodiche RT-PCR descritte: 21 ceppi dei 40 isolati
sono stati identificati come teschovirus, uno come PEV-A, tre
come PEV-B, mentre in 15 colture cellulari sono stati
evidenziati almeno due generi diversi e precisamente in 2
ambedue le specie del genere enterovirus (PEV-A e PEV-B),
in 11 PEV-A e PTV ed in 2 PEV-B e PTV.
Caratterizzazione genetica:
A seguito del sequenziamento e della genotipizzazione tutti i
virus sono stati caratterizzati. I risultati della tipizzazione dei
PTVs sono riportati in tabella 1 e figura 1.
66
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Il sequenziamento dei 14 PEV-A non è stato eseguito in
quanto questa specie include un unico sierotipo (PEV-8).
Tabella 1: numero di ceppi di PTVs suddivisi per sierotipo.
PTV
PTV-1
PTV-2
PTV-3
PTV-4
PTV-5
PTV-6
PTV-7
PTV-8
PTV-9
PTV-10
PTV-11
n° di ceppi
virali
4
15
0
1
2
1
2
3
0
2
4
DISCUSSIONE
Dopo le epizoozie avvenute in Europa nella prima metà del
20° secolo, i picornavirus enterici sono diventati enzootici in
molti Paesi.
Lo sviluppo di nuove strategie biomolecolari per la
sierotipizzazione di PTVs e PEVs ha sostituito la metodica
tradizionale di VN ed ha permesso di caratterizzare ceppi non
tipizzabili sierologicamente. Come già dimostrato da altri
autori (4), i primers impiegati nell’RT-PCR e che codificano
per una porzione della 5’-NTR si sono dimostrati specifici
nell’individuare il gruppo genetico di appartenenza. Inoltre,
l’amplificazione e il sequenziamento di una porzione del gene
che codifica per la VP1, che rappresenta la proteina
maggiore di superficie del virione dei picornavirus e che
contiene la maggior parte di epitopi neutralizzanti, ha
permesso di caratterizzare geneticamente gli isolati e di
correlarli con la classificazione sierotipica classica.
L’albero costruito sulla base dell’allineamento delle sequenze
sia dei ceppi di riferimento sia di ceppi di campo mostra
clusters sierotipo-specifici: ceppi dello stesso sierotipo sono
riuniti nello stesso cluster con la rispettiva sequenza di
riferimento e con virus di campo sequenziati in precedenza e
ottenuti in GeneBank.
A conferma di quanto riportato in bibliografia, i risultati della
nostra indagine dimostrano che i teschovirus (CPE-gruppo I)
e gli enterovirus tipo A (CPE-gruppo II) sono i più diffusi.
Le metodiche biomolecolari sopraccitate costituiscono un
valido iter diagnostico per una rapida diagnosi e tipizzazione
di PTVs/PEVs e permettono l’identificazione di sierotipi nuovi
o varianti e la contemporanea rilevazione di infezioni miste,
che, come evidenziato, risultano essere frequenti nel suino.
Figura 1: relazione filogenetica tra la proteina capsidica VP1
parziale di ceppi di PTVs isolati in Italia nel 2006-2007 e
ceppi di riferimento ottenuti in GenBank indicati con i relativi
numeri di accesso.
AF296120
AF296096
AM261026
AF296121
147746 07
277121 06
AY392550
268602 06
100 268641 06
71
80
Sierotipo 11
AY392555
AY392535
AF296100
AF296103
AF296104
100
AY392532
AF296097
100
AF231767
AF231768
AF296106
AY392551
AY392554
100
Sierotipo 1
AF296098
AF296105
AF296102
AB038528
AF231769
100
AF296099
267800 06
AF296101
AY392553
272799 06
100 273216 06
280329 06
AF296088
Sierotipo 3
AY392540
100 AF296119
AF296095
24305 06
AY392547
Sierotipo 10
AY392549
AY392548
100
268632 06
AY392539
82717 07
100
100 24114 06
Sierotipo 8
25623 06
AF296118
AF296093
72
AF296113
100
AF296112
AM261025
Sierotipo 4
AF296111
210936 06
AF296089
AF296117
96
AY392546
142073 07
Sierotipo 6
AF296116
AF296115
AM261024
100 AF296091
278811 06
136514 07
274566 06
280327 06
88291 07
277081 06
273188 06
266343 06
77378 07
AF296110
AY392537
AM261027
268624 06
Sierotipo 2
AF296107
281874 06
270947 06
280605 06
70693 07
71
272217 06
AY392534
AY392533
78
100 AY392542
AY392541
AF296109
AF296108
AF296087
275836 06
100
Sierotipo 7
270869 06
AF296092
Sierotipo 9
AF296094
273171 06
25018 06
100
Sierotipo 5
AF296114
AF296090
83
81
92
93
89
97
78
99
99
86
95
78
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
0.02
Tra i PTVs i sierotipi più rappresentativi sono il 2, l’1 e l’11,
mentre non sono state individuate sequenze appartenenti ai
sierotipi di PTV 3 e 9.
Tra i PEVs-B, 7 isolati sono risultati appartenenti al genere
PEV-B sierotipo 10, mentre nessun ceppo è stato identificato
come PEV-B sierotipo 9 (Figura 2).
5.
6.
Figura 2: relazione filogenetica della proteina capsidica VP1
parziale di ceppi di PEVs-B.
100
AM261009
AM261018
AM261023
100
100
72
7.
UKG/410/73
Sierotipo 9
82717/07
87325/07
86592/07
AM261016
AM261017
AM261011
AM261021
70
90
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia la Sig.ra Campagna Debora per il prezioso
contributo tecnico.
83275/07
147746/07
AM261015
Sierotipo 10
278805/06
87
Knowles N.J., Buckley L.S. and Pereira H.G. (1979)
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teschoviruses comprise at last eleven distinct serotypes:
molecular and evolutionary aspects” J. Virol. 75:1620-1631.
AM261020
LP/54
93
78
81
NOTE
AM261022
AM261019
AM261010
AM261012
AM261013
AM261014
Ricerca parzialmente finanziata dal PRC del Ministero della
Salute 2002/007.
25481/06
0.05
67
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
INDAGINI SIEROLOGICHE E VIROLOGICHE IN UN ALLEVAMENTO CAPRINO UFFICIALMENTE
INDENNE DA LENTIVIRUS OVI-CAPRINI
Reina R1, Grego E1, Robino P1, Profiti M1, Quasso A2, Masoero L3, De Meneghi D1, Rosati S1
1
Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino.
2
Servizi Veterinari, Dipartimento di Prevenzione, ASL 19, Asti
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D'Aosta
Key words: Lentivirus dei piccoli ruminanti, ELISA, nested-PCR
Abstract
Maedi visna virus (MVV) and caprine arthritis encephalitis
virus (CAEV) are a heterogeneous group of infectious agents
affecting sheep and goat. Most of the genotypes already
described can be classified as MVV-like (genotype A), CAEVlike (genotype B) and the newly described genotype E in an
Italian goat population of the Roccaverano breed. Control
programmes are based on early diagnosis, using ELISAs
coated with recombinant/synthetic antigens and isolation or
culling of seropositive animals. Furthermore, ELISAs made
with strain-specific antigens have improved serological
diagnosis. Here, we used an ELISA based on the genetic
sequence of the three quoted genotypes to describe the
presence of seropositive animals in a long term negative flock
controlled by commercial serology. In addition, we described
that seropositivity is not correlated with presence of provirus
(PCR). These results highlight the importance of detect
infected seronegative animals.
Introduzione
I lentivirus ovicaprini sono un gruppo di agenti infettanti
eterogenei dal punto di vista genetico, antigenico e biologico.
L’impatto economico di queste infezioni nell’allevamento
caprino è principalmente legato alle forme articolari e
mammarie sostenute dal genotipo B1 (Caprine ArthritisEncephalitis Virus, CAEV), importato negli anni ’80 con l’
introduzione delle razze Alpine e Saanen. Nell’area di studio
considerata nel presente lavoro (Langa Astigiana) viene
allevata una popolazione di capre di circa 3200 capi di cui
solo il 20% può essere considerata autoctona. E’ facile quindi
comprendere il danno economico causato dalle forme
cliniche negli allevamenti caprini negli anni successivi alla
introduzione di razze cosiddette miglioratrici. L’esigenza di
avviare piani di controllo e risanamento su base volontaria è
stata fortemente sentita dagli stessi allevatori e si è
sviluppata già a partire dai primi anni ’90 attraverso piani
pilota che hanno via via coinvolto un numero sempre
crescente di allevatori. Lo sviluppo di metodi diagnostici
sempre più sensibili e disponibili commercialmente ha
contribuito a ridurre la prevalenza dell’infezione, fino a
raggiungere, almeno sulla carta, l’eradicazione completa
secondo quanto previsto dalla legislazione internazionale
(assenza di infezione negli ultimi 3 anni). Il metodo
diagnostico di uso routinario è il test ELISA indiretto, allestito
con antigene nativo purificato o antigene ricombinante. In
entrambi i casi viene utilizzato un singolo stipite virale
appartenente al genotipo A (Maedi Visna Virus, MVV) o B
(CAEV). Recenti studi indicano che nonostante la cross
reattività fra i due genotipi coinvolga tutte le proteine
strutturali, esistono epitopi immunodominanti genotipo
specifici che contribuiscono ad aumentare la sensibilità
diagnostica delle infezioni omologhe (1, 3, 5).
Dal momento che le capre sono egualmente suscettibili alla
infezione da MVV una vera eradicazione deve contemplare
metodi diagnostici in grado di svelare tutte le infezioni da
lentivirus dei piccoli ruminanti. Lo scopo del presente lavoro è
stato quello di esaminare dal punto di vista sierologico e
virologico un allevamento di grosse dimensioni sottoposto a
risanamento da più di 10 anni.
Materiali e metodi
E’ stato testato un allevamento di 405 capre CAEV-free
situato nella zona di Roccaverano, in provincia di Asti,
costituito rispettivamente da 109 animali di razza roccaverano
(26.91%), 107 di razza saanen (26.42%), 184 camosciate
(45.43%) e 5 animali provenienti da loro incroci (1.23%).
L’allevamento in oggetto, gestito con sistema semi-intensivo,
aderisce a un piano volontario di eradicazione CAEV. I
capretti utilizzati per la rimonta in allevamento vengono
separati alla nascita dalle madri e alimentati con colostro e
latte artificiale.
Dal sangue di ciascun animale, prelevato in un’unica
sessione, è stato ottenuto plasma e buffy-coat, utilizzati
rispettivamente per il test sierologico e la reazione di
amplificazione genica.
Per l’analisi sierologica è stato utilizzato un test ELISA
indiretto basato su 3 antigeni ricombinanti ottenuti mediante
la fusione della proteina di matrice (P16) e della proteina
maggiore del capside (P25), corrispondenti ai genotipi A, B
ed E (3). In breve le piastre sono state sensibilizzate con 100
ng/pozzetto di ciascun antigene. Dopo bloccaggio le piastre
sono state incubate con i sieri in esame diluiti 1/20. Le piastre
sono poi state lavate e incubate con anticorpo monoclonale
anti-pecora/capra, diluito 1/8000. A seguito di ulteriore
lavaggio le piastre sono state sviluppate mediante reazione
colorimetrica e lette allo spettrofotometro alla Ȝ di 405 nm.
Come controlli positivo e negativo sono stati utilizzati sieri di
referenza specifici per ciascun genotipo.
Da tutti i soggetti risultati positivi ad almeno un antigene e da
un egual numero di soggetti negativi sono state allestite
nested-PCR da buffy-coat, utilizzando un set di primers
validati in precedenti studi (2) ed in grado di svelare gli stessi
genotipi.
La concordanza fra i due test è stata valutata mediante
coefficiente K (4). Inoltre sono state effettuate comparazioni
fra la positività e alcuni parametri (anno di nascita delle capre
e razza).
Risultati
Su 405 sieri di capra, provati al test ELISA, 18 sono risultati
positivi ad almeno un antigene. In particolare 7 sono risultati
positivi al genotipo A (3 di razza roccaverano, 2 di razza
saanen, 3 di razza camosciata); 8 al genotipo B (3 di razza
saanen, 4 di razza camosciata e 1 incrocio) e 3 al genotipo E
(razza roccaverano). Ogni siero ha reagito verso gli antigeni
ricombinanti di un solo genotipo.
Sono stati testati, mediante nested-PCR della regione gag,
32 campioni di cui 18 positivi in ELISA ad almeno un antigene
68
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
e 15 negativi a tutti tre gli antigeni.
Tra i 18 campioni ELISA positivi, 9 sono risultati positivi alla
nested-PCR. I prodotti di amplificazione verranno
successivamente sottoposti a sequenziamento per correlare il
genotipo circolante con la reattivitá sierologica negli stessi
soggetti.
Inoltre sono state riscontrate alcune positivitá in nested-PCR
tra i 15 campioni sieronegativi, in particolare 8 sono risultati
positivi e 7 negativi.
Non é stata trovata concordanza fra il test ELISA e la nestedPCR (K=-0.033149171; I.C. = 0,74-0,85).
La distribuzione delle positivitá riscontrata nella sierologia
rispetto a l'anno di nascita dell'animale sono state riportate
nella Fig. 1. Gli animali nati prima dal 2001 (5% sul totale
dell'allevamento), nel 2002 (13,3%) e nel 2004 (10,5%) sono
risultati tutti sieronegativi. Il genotipo E é stato trovato negli
animali nati nel periodo 2001-2003; il genotipo A in quelli nati
tra il 2003 e il 2006; il genotipo B dal 2001-2007.
10
% ELISA positivi
9
8
7
6
A
5
B
E
4
3
2
1
0
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Figura 1. Distribuzione delle sieropositivitá secondo l’anno di
nascita degli animali e il genotipo.
La distribuzione delle positivitá é stata valutata anche sulla
base delle razze presenti nell'allevamento. La razza
Roccaverano é risultata sieropositiva agli antigeni dei genotipi
A ed E; la razza Camosciata verso l'antigene A e B e la
Saanen verso A e B (Fig. 2).
25
% ELISA positivi
20
15
A
B
E
10
messo in evidenza la circolazione di almeno 3 differenti
genotipi nella popolazione caprina: Il genotipo A, di probabile
origina ovina, il genotipo B proveniente dalle razze importate
ed il genotipo E autoctono della razza Roccaverano.
Quest’ultimo presenta caratteristiche genetiche del tutto
peculiari in quando risulta deleto per la subunità dUTPasi del
gene pol e del gene accessorio codificante per la proteina
virale R. Studi retrospettivi indicano che tale virus, dotato di
scarsa o nulla patogenicità, persiste nella razza roccaverano
e viene trasmesso esclusivamente attraverso la via familiare
con il colostro. Non sorprende quindi che l’antigene
corrispondente al genotipo E abbia identificato solo 3 soggetti
in questa razza, nati prima del 2004, senza nuove infezioni
nelle generazioni successive, alimentate esclusivamente con
colostro e latte in polvere. Più preoccupante appare invece la
presenza dei genotipi A e B. Quest’ultimo, agente eziologico
dell’artrite-encefalite caprina, viene efficacemente trasmesso
per via orizzontale e la presenza di soggetti infetti nati fra il
2005 ed il 2007 indica che qualcosa è sfuggito dalle maglie
della diagnostica tradizionale negli ultimi anni. Il test utilizzato
attualmente dal laboratorio accreditato si basa su antigeni
ricombinanti di derivazione Maedi-Visna (genotipo A) e
proprio le divergenze antigeniche possono essere
responsabili della selezione di soggetti infetti che non
producono anticorpi cross-reattivi. La presenza infine di
soggetti PCR positivi e sieronegativi pone un nuovo problema
sulla reale utilità della diagnostica sierologica ai fini dell’
eradicazione delle lentivirosi dei piccoli ruminanti.
L’importanza di animali infetti sieronegativi ai fini della
persistenza dell’infezione nella popolazione non è del tutto
chiara. Infatti soggetti con alti tassi anticorpali presentano
normalmente cariche virali più elevate e trasmettono l’
infezione per via orizzontale in modo più efficiente rispetto a
soggetti infetti sieronegativi, nei quali lo stimolo antigenico
risulta limitato per motivi ancora non chiariti.
In conclusione questo studio mette in evidenza come la
diagnostica sierologica basata su un singolo ceppo virale non
sia di per se sufficiente per giungere ad una reale
eradicazione delle infezioni sostenute dai lentivirus dei piccoli
ruminanti. Le eterogeneità antigeniche fra i diversi genotipi e
la selezione di soggetti infetti sieronegativi sembrano essere i
principali problemi su cui concentrare gli sforzi nei futuri piani
di risanamento.
Riferimenti bibliografici
1)
5
0
ROCCAVERANO
CAMOSCIATE
SAANEN
METICCE
Figura 2. Distribuzione delle sieropositivitá secondo la razza
e i diversi genotipi.
Il genotipo E é risultato specificatamente associato alla razza
Roccaverano (p< 0,01).
Conclusioni
2)
3)
4)
5)
Lo sviluppo di metodi sierologici sempre piu’ sensibili e
specifici ha consentito in diversi paesi europei di
intraprendere piani di eradicazione per le lentivirosi dei piccoli
ruminanti. L’eterogeneità antigenica degli stipiti circolanti
rende tuttavia problematica l’identificazione di tutti i soggetti
infetti, in particolare quelli infetti con genotipi virali eterologhi
rispetto agli antigeni utilizzati nel test diagnostico. Recenti
studi condotti dal nostro gruppo nella Langa Astigiana hanno
69
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VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULO-MEDIATA A SEGUITO DELLA VACCINAZIONE
CONTRO ABORTO OVINO DA SALMONELLA
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
Cagiola M. , Severi G. ,Forti K. ,Filippini G. , Papa P. ,Bugatti M. ,De Giuseppe A. ,Mazzone P. ,Fumanti.P. ,Pasquali P.
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche;
2 Dipartimento di sicurezza alimentare e Sanità pubblica Veterinaria, Istituto Superiore di Sanità
Parole chiave: Salmonella abortusovis, gamma-interferon, aborto ovino
unità formanti colonie (UFC). La purezza microbica ed il
numero dei germi vitali sono stati valutati mediante la semina
della matrice su piastre di TSA.
Produzione del vaccino inattivato
e dell’antigene
impiegato per J-IFN test. Per la produzione del vaccino è
stato impiegato lo stesso ceppo di Salmonella abortusovis
impiegato nell’infezione challenge. Una singola colonia di S.
abortusovis coltivata su piastre di TSA è stata trapiantata in
bottiglie Roux contenenti terreno TSA messe poi ad incubare
a 37°C per 24 h. Le colture sono state raccolte e sospese in
S.F. sino alla concentrazione di 1,5x109 UFC/ml con la
metodica sopra descritta. L’inattivazione del germe è stata
eseguita impiegando Formaldeide allo 0,05% (v/v). Alla
coltura inattivata (150 ml) sono stati aggiunti 60 ml di
Idrossido d’Alluminio (AlOH3), come adiuvante. Infine, il
vaccino ottenuto è stato sottoposto ai controlli di sterilità ed
innocuità in animali da laboratorio. L’antigene è stato invece
ottenuto coltivando un ceppo di S. abortusovis ATCC
(31685) su piastre di TSA incubate a 37°C per 24 h. Le
colture ottenute sono state inattivate al calore, centrifugate a
10.000 x g per 30 min ed il pellet è stato poi risospeso in 30
ml di PBS e lisato meccanicamente impiegando
l’omogenizzatore Potter-Elvehjien. Il surnatante ottenuto, è
stato successivamente liofilizzato e ricostituito sino ad
ottenere una concentrazione proteica pari 500 mg/ml
mediante la metodica Lowry. L’antigene è stato conservato a
-70 °C sino al momento dell’uso.
Modello Sperimentale. Trenta pecore adulte (incrocio
appenninica x bergamasca) sono state stabulate presso
l’unità di massima sicurezza del nostro Istituto. Tutti gli sono
risultati negativi agli esami sierologici eseguiti per S.
abortusovis ed per altri agenti abortigeni (Brucella, Clamidia,
Febbre Q, ecc..). Le pecore sono state sottoposte a
sincronizzazione degli estri e poi fecondate naturalmente
con montoni. L’accertamento della gravidanza è stato
eseguito con ecografo, 43 g. dopo la fecondazione. A questo
punto un gruppo di 15 animali gravidi (Gruppo A) è stato
inoculato 53 g. dopo la fecondazione con una dose di vaccino
(2 ml) ripetuta dopo 15 g. Un altro gruppo di 15 animali
gravidi è stato lasciato invece come controllo (Gruppo B), da
quest’ultimo sono stati eliminati 2 animali, risultati non gravidi.
Ciascun animale del Gruppo A e B è stato infettato
sperimentalmente per via endovenosa con una dose di 1,5 x
109 di S. abortusovis patogena, 30 g. dopo la seconda
vaccinazione. La temperatura rettale di ogni animale è stata
poi controllata giornalmente.
Campioni di sangue ed esami batteriologici. Per valutare
la risposta immunitaria umorale sono stati prelevati campioni
di siero sia agli animali vaccinati che non vaccinati e
sottoposti al test sierologico SAT, impiegando la metodica
descritta nel Manuale OIE (5). Per valutare la risposta
immunitaria cellulare, campioni di sangue eparinizzato sono
stati prelevati prima della seconda vaccinazione degli animali
del gruppo A, a cadenza settimanale sino all’’infezione.
Ulteriori campioni sono stati prelevati 12 g. dopo l’infezione.
Gli esami batteriologici sono stati eseguiti sui tamponi
vaginali effettuati sulle pecore che avevano abortito, sugli
organi dei feti (fegato, milza e cervello) e di tutti gli animali
(fegato, milza linfonodi meseraici ed utero), compreso gli
agnelli nati - vitali, abbattuti a fine esperimento.
Summary
Salmonellosis due to Salmonella enterica serovar abortus
ovis (S. abortusovis) is mainly characterized by abortion in
sheep. We evaluated the immune response of pregnant ewes
vaccinated and successively exposed to full virulent S.
abortusovis. We found that the inactivated vaccine induced
both humoral and cellular-mediated immune response and
that it provided protection against a challenge infection due to
a fully virulent S.abortusovis. Furthermore, we found an
association between the lack of capability to produce J-IFN
and abortion. Our findings represent an interesting insight to
better understand the interplay host and S. abortusovis and
effector mechanism underpinning immune-based protection.
Introduzione
La Salmonella è un microrganismo patogeno per l’uomo e per
gli animali. Alcuni sierotipi (Salmonella typhimurium,
Salmonella enteritidis) causano gravi gastroenteriti nelle
diverse specie animali, altri (sierotipi specie-specifici)
provocano invece infezioni sistemiche molto gravi, spesso
letali. S. abortusovis pur essendo specie specifica degli ovini
è poco patogena nelle pecore adulte dove induce
generalmente aborto nei soggetti gravidi (1). Tale germe
riesce in genere a superare le difese immunitarie ed a
persistere nell’organismo-ospite (1, 2). Tale caratteristica è
stata evidenziata anche nella specie suina con Salmonella
choleraesuis (3). S. abortusovis rappresenta la causa
maggiore di aborto nelle pecore adulte e di mortalità negli
agnelli, in Europa ed Asia occidentale (4). Il germe penetra
attraverso le mucose e dopo una breve fase batteriemica, si
localizza nell’utero degli animali gravidi provocando aborto ed
una successiva eliminazione di batteri nell’ambiente esterno
tramite i feti abortiti e le secrezioni vaginali. In genere le
pecore infette abortiscono una sola volta, dopodiché si attiva
una risposta immunitaria che le protegge nella successiva
gravidanza. Oggetto del nostro studio è stata la valutazione
della risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata di
pecore vaccinate con vaccino inattivato
ed infettate
sperimentalmente con un ceppo patogeno di S. abortusovis.
Infatti, i dati sinora disponibili sulla risposta immunitaria
cellulo-mediata alla vaccinazione erano quelli relativi a studi
effettuati sul modello murino. I risultati da noi ottenuti hanno
dimostrato che il vaccino induce negli animali una risposta
immunitaria adeguata e duratura capace di contrastare
l’infezione–challenge e di prevenire l’aborto.
Materiali e metodi
Ceppo batterico impiegato nell’infezione-challenge. La
Salmonella abortusovis usata nell’infezione-challenge era
una mutante streptomicina-resistente, isolata da un feto
abortito e mantenuta in laboratorio attraverso passaggi
periodici su piastre di Trypticase Soy agar (TSA). La
sospensione batterica è stata ottenuta incubando la coltura
batterica 37°C per 24 h e risospendendola in soluzione
fisiologica (S.F.) sino alla concentrazione di 1,5x109
batteri/ml, determinata mediante la metodica delle
70
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
rettale durante tutto il periodo di osservazione. Undici pecore
del gruppo A e cinque del gruppo B sono risultate positive al
test J-IFN (Fig. 3 A). In merito alla risposta immunitaria
umorale (Fig. 3B) maggiori titoli sono stati riscontrati negli
animali del gruppo A (vaccinati) rispetto al gruppo B (Pd0.05).
Tutti gli animali vaccinati hanno partorito regolarmente,
mentre 5 pecore del gruppo B hanno abortito entro 4
settimane dall’infezione (dati non pubblicati), valore risultato
statisticamente significativo (Pd0.05). Inoltre tutte le pecore
del gruppo B che avevano abortito erano risultate negative al
test J-IFN, mentre 5 delle 7 che non avevano abortito erano
risultate positive. Questo risultato con valori significativi dal
punto di vista statistico (Pd0.05), ha evidenziato una
correlazione tra la produzione di J-IFN e la mancanza di
aborto negli stessi animali. Tale dato è stato ulteriormente
confermato dal fatto che 16 delle 22 pecore che hanno
partorito, erano risultate tutte positive al test J-IFN (Pd0.01).
Relativamente agli esami batteriologici eseguiti per
S.abortusovis, sono risultati positivi tutti i feti abortiti, i
tamponi vaginali delle pecore che avevano abortito e gli
organi di 3 pecore non vaccinate, abbattute a fine
esperimento (dati non pubblicati).Tutti gli altri animali (pecore
gruppo A - B, agnelli nati) sono invece risultati negativi.
Figura 3 - Risposta immunitaria delle pecore 15g. dopo
l’infezione con S. abortusovis. Percentuale delle pecore
che mostravano una produzione in vitro di J-IFN dopo
l’infezione (A) e differenza di titolo sierologico tra pecore
vaccinate e non, dopo l’infezione (B)
Gamma-interferon test (IFN-J). La risposta immunitaria
cellulo-mediata è stata valutata in base alla capacità dei
linfociti di produrre J-IFN a seguito della stimolazione in vitro
con S. abortusovis. A tale scopo è stato impiegato il kit
commerciale Bovigam (CSL Ltd). La procedura impiegata era
la stessa decritta nel manuale del kit, con l’unica variazione di
impiegare lo specifico antigene Salmonella abortusovis
(prodotto in laboratorio) nella fase di stimolazione in vitro. Un
aliquota (1ml) di sangue eparinizzato prelevato a ciascun
animale è stato messo a contatto con 50 Pg di S.abortusovis
ed incubato per 22 h (± 2) a 37°C al 5% di CO2. Il surnatante,
ottenuto mediante centrifugazione a 500 x g per 10 min., è
stato poi sottoposto al test Elisa BovigamTM. I risultati ottenuti
sono stati espressi in Indice di Stimolazione (SI) basato sulla
seguente formula: media della densità ottiche delle colture
stimolate con l’antigene / la media delle densità ottiche delle
colture di controllo. Un campione è stato considerato positivo
se il valore SI risultava t 2.0 (set cut-off point).
Analisi Statistica. L’analisi statistica è stata eseguita
impiegando il t di Student o il test del chi-quadro (F2 test). Le
differenze erano considerate significative quando il valore di
P era d0.05.
Risultati e Discussione
Negli animali vaccinati, a parte una lieve reazione locale
scomparsa dopo pochi giorni, non sono state riscontrate
reazioni generali durante tutto il periodo di osservazione.
Negli stessi soggetti è stata valutata la risposta immunitaria
umorale ai giorni 0, 9 e 15 dopo la vaccinazione booster ed è
stata riscontrata una positività, già prima della seconda
vaccinazione (Tab.1). Un incremento di titolo è stato
riscontrato soprattutto dopo 9 giorni. Gli animali non vaccinati
sono risultati invece tutti sierologicamente negativi.
Tabella 1 - Risposta anticorpale delle pecore (gruppo A)
dopo vaccinazione booster
In conclusione, i risultati ottenuti nella nostra indagine
dimostrano che il vaccino spento per S. abortusovis induce
negli animali una buona, duratura e protettiva risposta
immunitaria anticorpale e cellulare. Relativamente alla
produzione di J-IFN interessante è stato il riscontro della
correlazione tra la capacità di produrre tale citochina e la
resistenza all’aborto. Tale dato, se supportato da ulteriori
indagini, risulta essere di estrema rilevanza scientifica,
fornendo
un’ulteriore
conoscenza
sui
meccanismi
d’interazione tra il germe e l’organismo ospite e creando i
presupposti per lo sviluppo di nuovi presidi immunizzanti da
impiegare nella lotta a tale patologia.
Bibliografia
Relativamente alla risposta immunitaria cellulare è stata
evidenziata una crescente positività negli animali del gruppo
A (Fig. 1). Gli animali positivi sono risultati 1/15 al giorno 0,
5/15 a 9 g. e 6/15 a 15 g. dalla vaccinazione booster.
Figura. 1 - Percentuale delle pecore vaccinate (bianco) o
non vaccinate (nero) che producono J-IFN in risposta a
una stimolazione in vitro con S. abortusovis
1. Uzzau, S., Leori, G.S., Petruzzi, V., Watson, P.R., Schianchi, G., Bacciu, D.,
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tuberculosis. Tuberculosis (Edinb.) 81, 147-155.
A seguito dell’infezione sperimentale solo i soggetti non
vaccinati hanno evidenziato un aumento della temperatura
71
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RUOLO DEI FENOTIPI LEUCOCITARI BOVINI NELLA VALUTAZIONE DELL’IMMUNITA’ CELLULARE IN
CORSO DI MASTITI DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS
1
1
Sottili R., 1 Donvito V.M., 2 Pavone D., 1 Montagna C.O.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia ;
2
Medico Veterinario Libero Professionista
Key Words : Staphylococcus aureus, Citometria di flusso, CD4-CD8
SUMMARY
This survey investigates the changes of the subsets of
T lymphocytes by flow cytometry in blood and milk in 30
dairy cattle suffering from clinical S. aureus mastitis. A
significant increasing of CD4+ was recorded in milk
samples whereas a non significant data were found in
blood.
linfocitarie nel sangue e nel latte tramite citometria di
flusso, verificare l’aumento dei leucociti nel latte e
l’eventuale variazione del rapporto tra linfociti CD4+ e
CD8+ nel sangue tramite esame citofluorimetrico
nell’infezione spontanea da S. aureus e valutare il
potenziale ruolo dei fenotipi linfocitari nella protezione
nei confronti delle mastiti bovine.
INTRODUZIONE
S. aureus è riconosciuto come il più diffuso agente
patogeno nella eziologia delle mastiti batteriche che
colpiscono i bovini da latte (1). A causa della sua
ubiquità e della resistenza ai trattamenti antimicrobici,
rappresenta un importante fattore negativo nella
produzione lattea nazionale. Nella lotta a questo
microrganismo negli allevamenti bovini risulta
fondamentale il riconoscimento precoce dell’infezione. I
protocolli diagnostici prevedono attualmente la conta
leucocitaria (cellule somatiche) nel latte e l’esame
batteriologico per poter identificare i soggetti infetti e
attivare le procedure indicate per l’eradicazione
dell’infezione (2). Questi mezzi di diagnosi, seppur
validi e standardizzati, presentano l’inconveniente della
scarsa sensibilità e precocità a causa dell’aumento
tardivo delle cellule somatiche durante l’infezione e
della eliminazione intermittente del patogeno in oggetto
nel secreto mammario. Un importante contributo alla
soluzione di questo problema potrebbe essere dato
dalla citometria di flusso, in grado di rilevare il profilo
immunologico di soggetti affetti da patologie batteriche
virali e parassitarie. Al momento sono pochi gli studi
che riguardano il fenotipo dei linfociti associati
all’infezione mastitica. Le diverse sottopopolazioni
linfocitarie sono caratterizzate dalla presenza di
antigeni di superficie (Cluster of Differentiation)
codificati da un numero (es. CD4; CD8), che ne indica
la funzione: ad esempio la sigla CD4 è associata ai
linfociti T-Helper mentre i CD8 sono presenti sulla
superficie dei T-citotossici. Alcuni autori (3) hanno
riscontrato un aumento dei linfociti marcati CD4+ nel
latte dopo infezione sperimentale con S. aureus . Altri
autori (4) durante studi sugli effetti delle infezioni
spontanee della ghiandola mammaria bovina, hanno
rilevato un significativo aumento dei CD4+ nel latte
delle bovine malate rispetto a soggetti non infetti. In
contrasto autori francesi (5) hanno riscontrato un
aumento dei CD8+ nel latte durante mastiti
stafilococciche suggerendo il ruolo fondamentale di
questa sottopopolazione di linfociti T nell’infezione
cronica da S. aureus. Ancora (6) hanno evidenziato nel
latte di bovine affette da mastite stafilococcica (S.
aureus) un aumento dei CD4+, mentre hanno rilevato
un aumento di entrambi (CD4+;CD8+) nelle mastiti
streptococciche. Park et al. hanno dimostrato
l’inversione del rapporto CD4+/CD8+ nel latte di bovine
con infezione mammaria da S. aureus.
MATERIALI E METODI
Ai fini del presente studio, sono stati individuati 5
allevamenti di bovine da latte di medie dimensioni (2530 capi in lattazione) distribuite nelle provincie di Bari e
Taranto.
Queste
aziende
zootecniche
erano
caratterizzate dalla segnalazione di ripetuti episodi di
mastiti cliniche e subcliniche, in cui la diagnostica
batteriologica aveva evidenziato positività per S.
aureus. Questi allevamenti vengono ogni anno testati
per indagare la presenza di brucellosi e leucosi bovina
enzootica. Inoltre sono stati eseguiti esami per
escludere la presenza di patologie virali tipiche
dell’allevamento bovino (diarrea virale bovina - BVD,
vulvo vaginite pustolosa - IBR, virus respiratorio
sinciziale - BHV4) e batteriche quali Salmonellosi,
Clamidiosi. Questo al fine di escludere coinvolgimenti
immunitari verso patologie diverse dalle mastiti.
Nell’ambito di ciascun allevamento sono stati individuati
6 vacche da latte, di cui 3 pluripare (III lattazione)
caratterizzate da anamnesi di mastite stafilococcica e 3
primipare esenti da mastite che non presentano segni
clinici di alcuna malattia. Sono stati prelevati da ogni
soggetto un campione di sangue tramite prelievo
venoso e un campione di latte rappresentativo, risultato
della mungitura dei quattro quarti. Inoltre ad ogni bovina
è stato eseguito un prelievo sterile di latte di premungitura
da
ogni
capezzolo,
per
l’esame
batteriologico.
Su ciascun campione di latte (pool dei quattro quarti) è
stata eseguita la conta dei leucociti o conta cellulare
tramite strumento Fossomatic FC (contaglobuli
fluoroelettronico); sui campioni di secreto mammario dei
singoli quarti è stato effettuato l’esame batteriologico
tramite semina su specifici terreni colturali (MSA –
mannitol salt agar, per la ricerca degli stafilococchi;
Agar sangue modificato Edwards per gli streptococchi;
Agar Mac Conkey terreno di elezione per gli
enterobatteri) ed incubazione a 37°C per 24 ore. Il
riconoscimento delle colonie sospette isolate è stato
effettuato tramite prove biochimiche di identificazione.
I campioni di sangue e di latte sono stati esaminati
tramite Citofluorimetro Partec CA-IV ed elaborati tramite
software FloMax Dako Flow Cytometry System.
RISULTATI
Nella descrizione delle osservazioni le 5 aziende
zootecniche sono state identificate con le lettere dalla A
alla E ed i capi bovini oggetto di studio sono stati
contrassegnati con numero progressivo da 1 a 6 per
ciascuno allevamento. I numeri da 1 a 3 riguardavano
le bovine pluripare con anamnesi di mastite, i capi
Lo scopo del presente studio era standardizzare una
metodica per la misurazione delle sottopopolazioni
72
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
BIBLIOGRAFIA
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Udder
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and
Streptococcal
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Analysis
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Lymphocite
Subsets
and
Adhesion
Molecule
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S. Chiang, S. Y. Hwang, G.A. Bohach, 2006 –
Unique features of bovine lymphocytes
exposed to a staphylococcal enterotoxin.
Journal of Veterinary Science, 2006, 7(3), p.
233-239.
contrassegnati da 4 a 6 si riferivano ai soggetti primipari
e apparentemente sani.
I risultati ottenuti sono indicati in tabella1.
DISCUSSIONE
L’esame batteriologico sui campioni di secreto
mammario ha rilevato la presenza di S. aureus su 12
capi rispetto ai 15 attesi. Le altre vacche sono risultate
positive per Stafilococchi coagulasi negativi. La conta
cellulare nel latte era sensibilmente superiore nei
soggetti infetti con alcune eccezioni (C/1, D/4, D/5, E/1,
E/2, E/4).
L’esame citometrico su sangue intero ha mostrato un
andamento variabile con una tendenza all’aumento dei
linfociti CD4+ rispetto ai CD8+ nei soggetti infetti. Si
tratta peraltro di una variazione non costante in quanto
diversi soggetti infetti da S. aureus presentavano un
rapporto CD4+ CD8+ del tutto sovrapponibile a soggetti
sani.
Il sangue delle bovine con esame microbiologico del
latte positivo per Stafilococchi coagulasi negativi e
Streptococcus uberis mostrava in citometria un
andamento simile ( rapporto da 0.94 a 1.37).
Nell’azienda A, sono state determinate le percentuali
dei linfociti marcati CD4+, CD8+ nel latte di tutte le
bovine esaminate. I dati mostrano una netta differenza
tra le bovine 1,2,3 e 6 (positività per S.aureus, conta
cellule somatiche elevata, mastite subclinica) rispetto a
quelle 4, 5 (sane).
In conclusione i risultati degli esami citometrici su
differenti matrici come sangue e latte relativi alle
sottopopolazioni linfocitarie della specie bovina in corso
di mastite, potrebbero suggerire che queste possono
costituire degli indicatori diagnostici aggiuntivi rispetto
a strumenti consolidati come la conta delle cellule
somatiche e la diagnostica batteriologica soprattutto in
riferimento alle fasi infiammatorie precoci. Infine essi
potrebbero risultare degli indicatori prognostici
sull’evoluzione delle
mastiti contagiose negli allevamenti bovini colpiti da
questo problema.
Ovviamente, occorrono approfondimenti per poter
aggiungere informazioni a queste prime osservazioni
eseguite su campo e in laboratorio.
Azienda
Cellule
Somatiche
Esame
Batteriologico
RINGRAZIAMENTI: Si ringrazia per la collaborazione tecnica
il Dr. Ridolfi Donato.
Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del
Ministero della Salute (Ricerca corrente IZS001/07)
CD4+/CD8+
sangue
Azienda
A
Cellule
Somatiche
Esame
Batteriologico
C
1*
663
1.30
4
103
S. aureus
2*
1318
1.40
5
172
S. aureus
3*
687
1.90
6
92
S. aureus
D
4
33
0.70
1*
195
S. aureus
5
25
1.29
2*
375
S. aureus
6*
193
0.86
3*
652
S. aureus
S. aureus
B
1*
481
1.32
4
405
S. aureus
2*
636
1.0
5
426
S. aureus
3*
1714
1.4
6
74
S. aureus
E
4
50
1.1
1**
30
Staph. spp.
5
214
0.9
2**
68
Staph. spp.
6
138
0.6
3**
188
Staph. spp.
C
1*
23
1.52
4**
87
Strep. uberis
S. aureus
2*
111
1.46
5**
2467
Strep. uberis
S. aureus
3*
2238
1.15
6**
560
Staph. spp.
S. aureus
Tab. 1 correlazione tra indicatori di infiammazione, esame batteriologico e profilo linfocitario.
73
CD4+/CD8+
sangue
1.10
0.80
0.65
1.38
1.40
1.23
0.80
0.77
1.05
1.33
1.22
0.94
1.11
1.37
1.03
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
STUDIO E ALLESTIMENTO DI UN VACCINO A DNA CONTRO M.agalactiae.
1
Chessa B, 1Pittau M, 1Piras I, 1Lai A, 2 Puricelli M, 2Dall’Ara P, 1Carcangiu L, 1Cacciotto C, 3Rosati S, 1Alberti A.
1
2
Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy
3
Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università degli Studi di Torino, Torino, Italy
Key words: Vaccini a DNA, p48, Mycoplasma agalactiae.
intramuscolo nel quadricipite femorale dx e sn, con una
soluzione contenente bupivacaina cloridrato (0.5%) + 100 μg
(1 μg/μl) del costrutto pVAX/P48 (gruppo vaccinato) o 100 μg
(1 μg/μl) di pVAX (gruppo di controllo) in PBS. Ad ogni
animale è stata somministrata una dose di richiamo dopo 15
e 30 giorni dalla prima somministrazione. Sono stati prelevati
dei campioni di siero prima dell’immunizzazione (T0) e ogni
14 giorni per 8 settimane(T1, T2, T3, Tf). I sieri sono stati
testati in Western blotting per verificare qualitativamente la
produzione di anticorpi anti-P48, mentre la valutazione
quantitativa è stata effettuata in P48-ELISA. La proteina rP48
purificata, prodotta in E. coli JM105 dopo trasformazione di
queste con il plasmide pGEX2T/P48 (Rosati et al., 2000), è
stata utilizzata per verificare la presenza di anticorpi specifici
nei topi vaccinati e in quelli di controllo.
La risposta cellulo-mediata al vaccino è stata valutata
mediante il test di linfoproliferazione, in breve: le cellule
mononucleate prelevate dalla milza dei topi vaccinati e non
vaccinati, sono state isolate e preparate come descritto in
letteratura (Xiao et al., 2004), successivamente sono state
coltivate in piastra da 96-wells con densità di 2 x 105
cellule/well. Sono stati poi aggiunti in ogni pozzetto 100 μl di
medium con o senza la rP48 purificata (15 μg/ml), il controllo
positivo era costituito dalla concanavalina A (5 μg/ml). Dopo
incubazione per 72 h è stata valutata la risposta proliferativa
con il Cell Titer 96 AQueus one solution cell proliferation
assay (Promega). L’indice di stimolazione (SI) è stato
calcolato come il rapporto tra l’OD media dei pozzetti
contenenti cellule stimolate dall’antigene e l’OD dei pozzetti
contenenti solo le cellule con il medium. Da queste cellule è
stato estratto l’RNA totale ed è stato sintetizzato poi il cDNA.
Sono state selezionate dalla letteratura coppie di primers per
le citochine di topo: IFN-Ȗ e IL-2 (Ramos-Payan et al., 2003);
IL-12 e IL-4, (Liu et al., 2005); e per i fattori di trascrizione Tbet (Liu et al., 2003) e gata3 (Ise et al., 2002) che sono stati
utilizzati in real-time PCR (7900HT Fast Real-Time PCR
System, Applied Biotechnologies) per valutare le quantità
relative di ogni citochina/fattore di trascrizione negli animali di
controllo e in quelli vaccinati. Il gene per la ȕ-actina è stato
scelto come controllo interno per normalizzare l’espressione
genica. Le amplificazioni in real-time PCR sono state
realizzate utilizzando il Platinum SYBR Green qPCR Super
Mix-UDG (Promega). Ogni esperimento è stato ripetuto in
triplicato. Valutazioni statistiche: la significatività statistica
delle differenze delle medie tra i due gruppi è stata valutata
per ogni citochina con il test non parametrico Mann-Whitney
e con Anova (Minitab release 13.0). Tutte le conclusioni sono
basate su un livello di significatività di P<0.05.
Introduzione
Mycoplasma agalactiae è l’agente eziologico dell’agalassia
contagiosa, una patologia dei piccoli ruminanti che provoca
danni ingenti nelle aree in cui viene praticato l’allevamento
intensivo. Una delle strategie sanitarie per controllare la
diffusione del M. agalactiae è costituita dalla profilassi e dalla
diagnosi tempestiva all’interno degli allevamenti (Nicholas,
2005). L’uso di norme igienico-sanitarie è importante ma non
sufficiente a impedire la diffusione della patologia, quindi è
necessario affiancare a queste adeguati programmi di
vaccinazione. L’uso dei vaccini inattivati ha riportato alcuni
successi, ma comporta diversi svantaggi: inducono
un’immunità transitoria, principalmente di tipo umorale; non
sono stabili e vengono facilmente inattivati, inoltre non è
possibile distinguere con i normali metodi diagnostici i capi
vaccinati da quelli naturalmente infetti. Sembra necessario
quindi trovare nuove strategie attraverso l’utilizzo di vaccini di
nuova generazione. Tra questi, i vaccini a DNA potrebbero
essere i candidati ideali per diversi motivi: sono stabili anche
in condizioni operative non ottimali, inducono sia una risposta
immunitaria umorale che cellulo-mediata (Lowe et al., 2006),
la risposta dell’ospite può essere amplificata con diversi
adiuvanti molecolari (Gurunathan et al., 2000), è possibile
discriminare i soggetti vaccinati da quelli naturalmente infetti.
In questo lavoro abbiamo sviluppato un vaccino a DNA
codificante per l’antigene P48 di M.agalactiae, il quale risulta
essere immunodominante, sempre espresso ed invariabile
(Rosati et al., 2000). La risposta immunitaria indotta dal
vaccino è stata testata su topi BALBc.
Materiali e Metodi
Il frammento di 1.3 kb contente il gene codificante per la P48
di M. agalactiae è stato isolato dal plasmide pGEX-2T/P48
(Rosati et al., 2000) mediante reazione di PCR. L’amplificato
ottenuto è stato digerito con gli enzimi di restrizione BamHI
ed EcoRI ed inserito nei plasmidi di espressione per cellule
eucariotiche pVAX1 (Invitrogen), pCDNA3.1 (Invitrogen),
pCMV-Script (Stratagene) a valle del CMV promoter. Sono
stati così ottenuti i plasmidi pVAX/rp48, pcDNA3.1/rp48 e
pCMV-Script/rp48.
Per valutare la corretta espressione del gene p48 nei
plasmidi ottenuti, sono state allestite colture di cellule HEK
293 in terreno di coltura supplementato con 10% FBS, a 37°C
in incubatore con 5% CO2. Le colture cellulari sono state
transfettate alternativamente con i vettori pcDNA3.1/rp48,
pVAX1/rp48 e pCMV-Script/rp48 utilizzando il kit CalPhos
Mammalian Transfection Kit (Clontech). Dopo 48 ore le
cellule sono state raccolte e da queste è stato estratto l’RNA
®
totale con Trizol reagent (Invitrogen), successivamente
retrotrascritto con il sistema SuperScriptTM First-Strand
Synthesis System (Invitrogen). Il cDNA ottenuto è stato
utilizzato per allestire una reazione di PCR con dei primers
specifici per il gene p48. La produzione della proteina P48
nelle cellule transfettate è stata valutata in immunoblotting,
utilizzando un siero policlonale specifico contro la P48.
Immunizzazione dei topi: in questo esperimento sono state
utilizzate 12 femmine di topo BALB/c di 6 settimane,
seguendo le linee guida dell’Unione Europea. Gli animali
divisi in due gruppi di 6 individui, sono stati inoculati
Risultati e Discussione
La corretta espressione del gene per la p48 in cellule di
mammifero è stata valutata in colture di cellule HEK 293
transfettate con i plasmidi ottenuti. Nonostante p48-mRNA
venga sintetizzato in tutti i plasmidi costruiti in questo lavoro,
in immunoblotting non è stato possibile rilevare la proteina
P48 nei lisati cellulari delle cellule transfettate con i plasmidi
pcDNA3.1/P48 e pCMV-Script/P48, ma solo in quelle con
pVAX1/P48. Il sequenziamento del plasmide pVAX1/P48 ha
confermato il clonaggio corretto del gene p48 nel vettore;
questo plasmide è stato quindi scelto per la fase di
74
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
immunizzazione genetica. Nei topi vaccinati con il plasmide
pVAX1/P48 sono stati rilevati anticorpi IgG specifici per la
rP48 nel pool di sieri provenienti dai topi vaccinati, nel
momento T3, mentre il pool di sieri dei topi di controllo,
prelevati nello stesso momento, non ha mostrato nessuna
reattività con la rP48 (Fig.1), sempre nei topi vaccinati si è
riscontrato un lieve ma significativo aumento delle IgG,
apparentemente associato alla sottoclasse IgG1. Non è stato
possibile osservare un aumento del titolo di IgG2 in rP48ELISA (Fig.2). Nonostante questo, la proliferazione delle
cellule CD4+ (Fig.3), e il profilo di espressione delle citochine
in cellule della milza stimolate con l’antigene P48 purificato
sono tipiche di una risposta immunitaria di tipo Th1 . Infatti
nella milza dei topi vaccinati sono stati rilevati elevati livelli di
IFN-Ȗ, IL-12 e IL-2 caratteristici della risposta Th1 (Fig.4);
negli stessi campioni è stato osservato un lieve incremento di
IL-4. I due fattori di trascrizione T-BET e GATA-3 (Fig.4),
associati alla modulazione, rispettivamente, di Th1 e Th2,
sono stati debolmente attivati nei topi immunizzati con
pVAX1/P48.
Insieme questi dati indicano che la vaccinazione con
pVAX1/P48 induce nei topi una risposta mista di tipo Th1/Th2,
associata ad una debole risposta umorale. In conclusione, in
questo studio è stato dimostrato che la vaccinazione genetica
con il vettore pVAX1/P48 è in grado di indurre le risposte Th1
e Th2 (con tendenza verso una maggiore risposta di tipo Th1
associata ad una debole risposta di tipo Th2 dimostrata da
dall’aumento delle IgG1) e rappresenta un potenziale
approccio nella messa a punto di vaccini contro M.
agalactiae.
Fig. 4 Quantità relative delle citochine espresse nella milza
dei topi vaccinati e in quella dei topi di controllo, valutate in
RT real time PCR.
Fig. 1 Valutazione della risposta umorale nei topi vaccinati
con pVAX1/P48 in immunoblotting: Mag = reattività della rP48
con siero di coniglio iperimmune anti-rP48 (controllo positivo);
pVAX1/P48 = pool di sieri dei topi vaccinati prelevati a T3;
pVAX = pool di sieri dei topi di controllo prelevati a T3
Bibliografia
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351.
Fig. 2: rP48-ELISA: A) variazioni del titolo di IgG; B)
variazioni nel titolo di IgG1 (bianco) e IgG2 (grigio).
Abstract
A DNA vaccine against contagious agalactia was developed
for the first time, encoding the P48 of M. agalactiae. Specific
immune responses elicited in BALB/c mice were evaluated.
Both total IgG and IgG1 were detected in mice vaccinated
with pVAX1/P48. Proliferation of mononuclear cells of the
spleen, levels of gamma interferon, interleukin-12, and
interleukin-2 mRNAs were enhanced in immunized animals.
Results indicate that pVAX1/P48 vaccination induced both
Th1 and Th2 immune responses.
Fig. 3 Test di proliferazione di cellule mononucleate prelevate
dalla milza di topi immunizzati con pVAX1/P48 o pVAX1.
75
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
DIAGNOSI DI ECHINOCOCCOSI CISTICA UMANA MEDIANTE ELISA E IMMUNOBLOTTING
Longheu C., Corona L., Mastrandrea S., Cillara G., Masala G. e Tola S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna
Key words: Echinococcosi cistica, sieri, ELISA, Immunoblotting
Abstract
In this work we have collected 1707 sera from different
patient groups: group A, 1472 sera from the Transfusion
Centers of Sardinia (healthy patients); group B, 175 sera from
a high-risk category and group C, 60 sera from patients with
recent or past clinical history of cystic echinococcosis. All
sera were analyzed by a ELISA assay based on antigens
purified from hydatid cyst fluid to detect antibodies against
Echinococcus granulosus. Positive sera were confirmed by
Western Blotting.
8000 rpm per 20 minuti e risospesi in buffer fosfato. La
concentrazione è stata determinata mediante lettura
spettrofotometrica.
Sieri umani – Sono stati raccolti 1707 sieri umani
appartenenti a diverse tipologie di popolazione (Tabella 1):
- gruppo A: un campione rappresentativo della popolazione
adulta di donatori di sangue afferenti ai Centri Trasfusionali
(CT) presenti nel territorio regionale sardo;
- gruppo B: un campione rappresentativo di lavoratori del
settore zootecnico rappresentato dagli operatori ARA
(veterinari e agronomi);
- gruppo C: pazienti con storia clinica presente riferita ad
echinococcosi cistica (presenza di cisti attive, transitorie e
inattive) o passata (interventi chirurgici)
Introduzione
L’echinococcosi cistica (EC) è un’antropozoonosi parassitaria
causata dalla forma larvale di Echinococcus granulosus e
rappresenta un grosso problema di salute pubblica in molti
paesi del mondo nei quali viene effettuato un allevamento a
carattere intensivo, Sardegna inclusa (Eckert et al., 2004).
Nonostante la denuncia dei casi sia obbligatoria, a tutt’oggi
non esistono dati aggiornati sulla diffusione dell’idatidosi in
Italia. Le statistiche ufficiali parlano di circa 300 casi l’anno,
ma in base a dati ufficiosi si può affermare che si verificano
almeno 1000-1500 nuovi casi l’anno (Riganò e Siracusano,
1996). Le categorie a rischio sono rappresentate da
proprietari di animali (allevatori di ovini, caprini, bovini, suini e
cani) e medici veterinari. L’echinicoccosi cistica (EC) è una
delle poche malattie parassitarie la cui diagnosi biologica sia
basata sulla sierologia invece che sull’isolamento del
parassita (diagnostica indiretta). Tuttavia l’indagine sierologia
nell’EC è ancora poco soddisfacente, perché la risposta
anticorpale dell’ospite è poco prevedibile, con possibilità di
falsi negativi, reazioni crociate con altre parassitosi come la
cisticercosi e falsi positivi in caso di neoplasie.
I test di siero-diagnosi sono basati sull’utilizzo di due antigeni
predominanti (antigene 5 e antigene B) due lipoproteine
purificate dal liquido cistico idatideo. L’antigene B è una
proteina polimerica di 120-160KDa fortemente immunogenica
che in condizioni riducenti si dissocia in 3 subunità da 8-12,
16 e 20-24KDa (Lightowlers et al.,1989). L’antigene 5 è una
proteina termolabile e altamente immunogenica, costituita da
due componenti di 57 e 67KDa (Di Felice et al.,1986) che in
condizioni riducenti si dissocia nelle subunità da 38 e 2224KDa (Lightowlers et al.,1989).
Le metodiche sierologiche utilizzate in campo umano per la
diagnosi e il follow-up dell’EC comprendono vari test, ma la
scelta dipende più spesso dalla disponibilità presso il
laboratorio, piuttosto che dalla sua sensibilità e specificità.
Lo scopo del lavoro è stato quello utilizzare un test ELISA
basato su antigeni purificati dal liquido cistico idatideo al fine
di valutare la presenza di anticorpi anti-Echinococcus
granulosus in 1707 sieri umani. I sieri positivi all’ ELISA sono
stati ulteriormente analizzati in immunoblotting.
Gruppo A
1472
Gruppo B
175
Gruppo C
60
Totali
1707
Tabella 1 – Sieri analizzati in questa ricerca.
ELISA – Tutti i sieri sono stati esaminati in ELISA. Piastre di
polistirene a 96 pozzetti sono state sensibilizzare con 5μg/ml
di antigene purificato in tampone carbonato/bicarbonato pH
9.6 a 4°C per 18 ore. Dopo vari lavaggi con PBS contenente
Tween 20 (washing buffer), la piastra è stata saturata
mediante incubazione per 1 ora a 37°C con washing buffer +
1% BSA (blocking buffer). Dopo vari lavaggi, la piastra è stata
incubata per 1 ora a 37°C con i sieri umani diluiti 1:100 in
blocking buffer. Come controllo positivo è stato utilizzato il
siero di un allevatore di 65 anni affetto da echinococcosi
cistica confermata da controlli ecografici. Dopo ulteriori
lavaggi, la piastra è stata incubata a 37°C per 1 ora con antihuman IgG coniugato con perossidasi diluito in blocking
buffer. La reazione è stata sviluppata con Buffer Citrato pH
5.0 + OPD + H2O2 e bloccata con H2SO4. La lettura
spettrofotometrica delle piastre è stata fatta ad una lunghezza
d’onda di 492 nm.
SDS-PAGE e immunoblotting – I sieri positivi in ELISA sono
stati esaminati in immunoblotting. Aliquote di 5μg di antigene,
solubilizzate in 10μl di loading buffer (0.125M Tris-HCl pH
6.8, 5% SDS, 10% ȕ-mercaptoetanolo, 10% glicerolo e
0.01% Bromophenol Blue), bollite per 2 minuti e raffreddate a
20°C, sono state fatte correre in un gel di acrilamide al 10%.
La mobilità elettroforetica delle proteine dei campioni è stata
valutata in relazione alla mobilità elettroforetica degli standard
molecolari utilizzati, costituiti da una miscela di proteine con
peso molecolare compreso tra 6.638 e 204.6KDa (Bio-Rad) e
contrassegnate con colori differenti. Dopo l’elettroforesi gli
antigeni sono stati trasferiti su membrane di nitrocellulosa
mediante l’apparecchio Trans-Blot-semidry (Bio-Rad). Le
Materiali e metodi
Liquido cistico idatideo (HCF, hydatid cyst fluid) – E’ stato
prelevato da cisti fertili localizzate nel fegato e nel polmone di
pecore infestate da E. granulosus macellate in Sardegna. Il
liquido cistico è stato centrifugato a 10000 rpm per 2 ore a
4°C. Le proteine del surnatante sono state precipitate
mediante dialisi in presenza di buffer fosfato e di buffer
acetato (Oriol et al., 1971). Gli antigeni sono stati pellettati a
76
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
membrane blottate sono state saturate mediante incubazione
per 4 ore a temperatura ambiente (t.a) in PBS 5% skim milk
(Difco, Detroit, USA) e poi incubate a 4°C over night con i
sieri umani diluiti in PBS 5% skim milk. Dopo diversi lavaggi
in PBS-tween, le membrane sono state incubate a t.a. per 3
ore con immunoglobuline anti-IgG di uomo coniugate con
perossidasi (Kirkegaard e Perry, Gaithersburg, Maryland).
Dopo vari lavaggi, le membrane sono state messe a contatto
con il substrato di sviluppo della perossidasi contenente 4cloro-1-naftolo (IBI) e 30% di H2O2 (Sigma). La reazione è
stata bloccata infine con acqua.
dagli operatori ARA (veterinari e agronomi); gruppo C – pazienti con
storia clinica presente o passata riferita a echinococcosi cistica
I sieri sono stati considerati dubbi in immunoblotting quando
alla diluizione 1:100 compariva una banda molto lieve,
maggiormente marcata alla diluizione 1:10 del siero.
M
Risultati e Discussione
A causa della notevole variabilità dei segni e dei sintomi della
malattia, la diagnosi clinica di EC è spesso difficile e richiede
sia esami fisici, che l’utilizzo di tecniche per immagini e
diagnostiche (Gottstein, 1992).
L’immunodiagnosi è utile non solo per la diagnosi primaria
ma anche per seguire il decorso post-operatorio (follow-up)
e/o il trattamento farmacologico dei pazienti affetti da EC.
Le proteine del parassita maggiormente utilizzate per la
diagnosi di Echinococcus granulosus sono l’antigene 5 e
l’antigene B. Poichè l’antigene 5 è ritenuto il responsabile di
cross-reazioni, maggior attenzione è stata focalizzata
sull’antigene B, ritenuto un antigene con un più alto valore
diagnostico. Proprio per questo motivo l’abbiamo utilizzato
per screenare 1707 sieri umani, al fine di poter effettuare
un’indagine epidemiologica e dimostrare la sua efficacia
come test rapido e sensibile per la diagnosi di echinococcosi
cistica umana.
Per valutare gli antigeni da utilizzare in ELISA ed
immunoblotting, abbiamo allestito una corsa elettroforetica in
SDS-PAGE delle frazioni proteiche del liquido cistico
precipitate con buffer acetato. La corsa ha evidenziato la
presenza di un doppietto proteico di 60-65 KDa fortemente
immunogenico
Tali antigeni sono stati utilizzati per analizzare tutti i 1707 sieri
raccolti. Il test ELISA è servito come test di screening di
massa, mentre l’immunoblotting come test di conferma per i
sieri positivi o dubbi (Figura 1).
L’anali e il confronto tra i due test ha prodotto i seguenti
risultati:
gruppo A: su 1472 sieri analizzati, 1 è risultato positivo;
gruppo B: su 175 sieri analizzati, 3 sono risultati dubbi;
gruppo C: su 60 sieri analizzati, 6 sono risultati positivi, 2
dubbi e 52 negativi (Tabella 2).
Positivi
Dubbi
Negativi
Gruppo A
1
0
1471
Gruppo B
0
3
172
Gruppo C
6
2
52
Totali
7
5
1695
K+ 1
2 3 4 5
6
7
K-
Figura 1 – Diagnosi di EC mediante Immunoblotting : M, Marker, K+,
controllo positivo, linee 1-7, sieri analizzati, K-, siero negativo. Il
campione 6 è risultato positivo
In conclusione, i risultati ottenuti in questa ricerca ci inducono
a proporre i sistemi ELISA e WB, basati su proteine native
purificate, per la sierodiagnosi dell’idatidosi Tali metodi
potrebbero risultare dei validi ausili diagnostici nel trattamento
clinico dell’echinococcosi cistica dell’uomo.
Bibliografia
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TOTALE SIERI 1707
Tabella 2 - Sieri analizzati: gruppo A - popolazione adulta di donatori
di sangue afferenti ai Centri Trasfusionali (CT) presenti nel territorio
regionale; gruppo B - lavoratori del settore zootecnico rappresentato
77
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
EQUINE INFECTIOUS ANEMIA: SHOULD THE AGAR IMMUNODIFFUSION TEST STILL BE USED FOR
SCREENING AND AS UNIQUE CONFIRMATORY TEST?
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
Scicluna M.T ., Zini M. , Caprioli A. , Cordioli P ., Vulcano G. , Della Verità F. , Gregnanini S. , Palmerini T. , Simula M. , Stilli D. ,
1
Autorino G.L .
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Direzione Operativa Diagnosi delle Malattie Virali, Via Appia Nuova 1411,
2
Roma. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Via Bianchi 2, Brescia
Key Words: Equine infectious anemia, Comparison, Serological methods
Abstract
Following the introduction in 2007, of an extraordinary
surveillance programme, imposing the serological control of
the Italian equine population for infectious anemia (EIA), our
laboratory adopted as screening test, a previously validated
in-house p26 CElisa. Samples with positive or doubtful
results, were subsequently confirmed by the agar
immunodiffusion (AGID), the prescribed confirmatory test.
The Western blot (WB) assay, recommended by World
Organisation Animal Health (WOAH) as complementary test,
was applied for the first time in the EIA control programme,
for routine samples with equivocal results occurring in our
laboratory (positive/doubtful CElisa-negative AGID). Over a
17-month period, 253 sera resulted reactive out of the 32 448
horses bled in the province of Rome. Among the former, 83
were confirmed positive in AGID. For those available, i.e. 91
samples, further analysis in WB was carried out. Ten of the
CElisa pos/AGIDneg horses were confirmed positive,
because reactive with both core protein p26 band and at least
one of the 2 surface glycolproteins bands, gp45 and gp90,
considered this as specific response pattern to an EIA
infection. These preliminary results demonstrate the greater
sensitivity of the in-house CElisa compared to AGID,
important characteristic in a screening test. For such
equivocal results, the in series use of Elisa and AGID and/or
WB, improves the overall specificity of EIA diagnosis,
essential in the eradication of this low prevalent infection.
indispensable for the control and eradication of this low
prevalent infection.
Materials e methods
The in–house C-Elisa was developed in collaboration with the
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lombardia
ed Emilia Romagna. The method is as here briefly described:
Nunc Maxisorp ® plates are sensitised overnight at 4° C,
using as catcher an anti-p26 Mab diluted in phosphate buffer
solution. In time for the end of the sensitisation, on inert
microplates, serum samples are diluted 1/3 in PBS pH 7,2 –
7,4, containing yeast extract (0.05%) and mouse serum (1%)
together with the following internal controls: a antigen control,
a positive and negative control and a blank reaction control.
The recombinant p26 antigen is added to all samples and
controls, prepared in double replicates. At the end of a 75’
incubation at 37°C, the samples and controls are transferred
onto the previously washed sensitised plate. Terminated the
distribution of the samples, the horseradish conjugated tracer
Mab is added, so as to then proceed with another incubation
under the same conditions as before. The reaction is
developed by the addition of OPD substrate and stopped
after 10’, using 1M sulphuric acid. The samples reactivity is
read at 492 nm using a spectrophotometer.
The results are interpreted using the following algorithm:
Percentage Inhibition (PI) = 100 - (OD mean of sample/OD
mean of negative control X 100).
The sample is considered negative if the PI is < 30%, positive
if > to 50%, doubtful if PI is between 30 and 50%.
The AGID is conducted as described by the Manual of
Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals OIE
2004 (2), using again as antigen the recombinant p26
produced by our Institute (2). After 24–48 hours, the plates
are examined for the precipitation reaction, typical of a
positive serological reaction.
The WB is conducted as described by C. Issel et. al. (3),
diluting 1/20 the samples as well as the weak positive control,
and 1/50 the strong positive control. The reagents, as well as
the internal controls, were supplied by the same authors. A
sample is positive for EIA virus (EIAV) when reactive with
both core protein p26 band and at least one of the 2 surface
glycoproteins bands, gp45 and gp90, considered this as
specific response pattern to an EIA infection (Figure 1).
Introduction
EIA is a viral equid disease transmitted by insect vectors and,
not less important, by iatrogenic means. In 2007, an
extraordinary surveillance programme for the control of EIA
was introduced in Italy, imposing the serological control of all
horses, above the age of 3 months. The surveillance was
implemented due to a series of important outbreaks which
had occurred over a short period, in spring of 2006. In view of
the high number of samples which were to be tested, our
laboratory adopted the use of a previously validated in-house
p26 CElisa as a screening test, in substitution of the more
time consuming and laborious AGID. The method was
validated in an inter-laboratory test, involving 11 National
Official Laboratories, testing a panel of positive and negative
sera supplied by the “National Veterinary Services
Laboratories – United States Department of Agriculture,
obtaining values of 99% and 96% respectively for relative
diagnostic sensitivity and specificity(1). As prescribed by the
WOAH, all Elisa positive and doubtful sera were
subsequently confirmed in AGID. Due to a number of
equivocal results on replicate samples, i.e. positive and
doubtful in CElisa and negative in AGID, the WB assay,
indicated as complementary test by, was applied for the first
time in the EIA control programme, in Italy.
Using in this study as reference method, the WB, the
preliminary results presented here indicate a greater
sensitivity for the in-house Celisa, when compared to the
AGID, essential property in a screening test which even if it
compromises its specificity. The CElisa used in series
together with AGID and /or WB, improves the overall
sensitivity as well as the specificity of EIA diagnosis,
EIAV Immunoblot - Lanes N°1 to 4 – pos samples N° 5
to 8 – neg samples N° 9, 10 –weak and positive controls
Figure 1
gp90
gp45
p26
1
78
2
3
4
5
6
7
8
9
10
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
The samples tested were from horses present in the province
of Rome tested within the EIA surveillance programme during
2007 and the 1st semester of 2008 and their number is
reported in Table 1. The Elisa positive or doubtful samples
were confirmed in AGID, while the WB was conducted for all
available equivocal samples , the number of these samples is
reported in Table 1 and 2.
current control programmes for EIA are based. The principal
proteins to which the horse responds are mainly 3, the core
protein p26, the most abundant viral protein and the two
glycoproteins (gp) 45 and 90, the most immuneresponsive
(4).
However, the majority of the EIA serological methods, both
AGID and Elisa, are based on the reactivity to the group,
genetically conserved, immunereactive, core protein, p26 .
While the AGID test is the official confirmatory test, it is still
also widely used as screening test. In view of the preliminary
results here presented as well the results from the
comparison of AGID with Elisa reported in other papers, we
must reconsider the use of this test in such a context.
Reasons for such discordant results can be, on one hand, the
higher analytical sensitivity of the Elisa in the presence of low
levels of p26 antibodies or a minor specificity of this test in
the presence of cross-reactive antibodies directed against
interspecies antigens. Another factor conditioning the higher
sensitivity of the Elisa could be due to the less subjective
reading of the enzyme test.
In view of the data which is presented here, in accordance
with what has been reported by other authors (3, 5, 6 and 7)
the following considerations should be made:
¾ should the AGID test still be used as a screening test?
¾ in case of equivocal results with Elisa, should the AGID
be the only confirmatory test or should it always be followed
in case of a negative result by the WB?
¾ should an animal with a discordant result between an
Elisa and the AGID and or WB be recontrolled again at
least after the period considered as maximum for an
antibody response, i.e. 90 days later?
¾ could the molecular diagnostic methods come in aid to
solve equivocal results?
Independently from which test to use and in which context,
these should be constantly controlled to ensure maximum
diagnostic accuracy by the use of control panels, as also the
laboratory technical efficiency, should be assessed through
the periodic participation to proficiency trails.
In the case of EIA, severe sanitary restrictions are imposed,
principally represented by the permanent confinement of the
infected horse and after the removal of the former, by a 90
day standstill of the in-contact horses within which period they
must remain negative. All this represents great potential
economic losses. In consideration of this, the accurate
diagnosis of EIA should be the drive for the development of
serological methods based on scientific proof data, as
essential tool in the aid of an improved control of this
economically important equine infection.
Results
The number of samples tested in the CElisa are reported in
Table 1. In 2007, 53 of the 162 CElisa positive samples
tested were confirmed in AGID on the total of the 18 159
samples controlled, while in 2008, 36 of the 91 were
confirmed of the 14 289 samples controlled. Both years
confirm the EIA infection as sporadic.
Table 1
Year of sampling
2007
2008
18 159
14 289
N° of samples tested in elisa
N° samples (% on total)
CElisa pos/AGID pos
CElisa pos/AGID neg
total
CElisa doubt. / AGID pos
CElisa doubt. / AGID neg
total
51 (70%)
22 (30%)
73
36 (57.1%)
27 (42.9%)
63
2 (2.2%)
87 (97.8%)
0 (0%)
28 (100%)
89
28
Of the total samples testing positive in Elisa i.e.
corresponding to 253 horses, over the total period reported,
a total of 89 of these subjects were confirmed (35%) as EIA
positive using the AGID as confirmatory test.
When 91 of the discordant results were also tested in WB the,
10 further horses were found positive (11%) as highlighted in
Table 2, increasing the positivity of EIA positive horses from
35% to 39%.
Table 2
Reactivity of
Horses examined in WB
CElisa pos / AGID pos / WB pos
CElisa pos / AGID neg / WB Pos
CElisa pos / AGID neg / WB neg
CElisa doubt. / AGID neg / WB neg
CElisa doubt. / AGID pos / WB pos
CElisa doubt. / AGID neg / WB pos
Total
2007
2008
Total
23
2
4
22
1
0
2
5
16
13
0
3
25
7
20
35
1
3
52
39
91
Acknowledgment
We would like to thank Dr. Charles Issel and Dr. Frank Cook,
from Gluck Equine Research Institute - Kentucky, USA, for
kindly supplying us WB reagents and their precious
assistance.
Even more interesting, is the case of 4 horses, which were
tested at subsequent times, starting with an CElisa pos /AGID
neg / WB neg reactivity which, on further sampling, were all
confirmed as positive in WB, while 2 also became positive in
AGID.
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serological test for the diagnosis of equine infectious anemia. Vet. Microbiol.
33, pp 353-360.
Discussion
Subsequent to exposure to EIA, the virus replicates in the
monocytes/macrophages cell lineage and although viremia is
as early as 5-7 days post-infection, it is infrequently persistent
and therefore in case of negativity cannot be used for the
definitive diagnosis of this infection. On the other hand, once
a horse is infected with EIAV, it is assumed that it will become
positive for antibodies to the virus around 20 – 30 days postinfection, in a serologic test and will remain infected and test
positive for the rest of its life. This is the keystone upon which
79
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
UTILIZZO DELL’ANTIGENE RICOMBINANTE NS3, ESPRESSO TRAMITE BACULOVIRUS, NEI TEST
SIEROLOGICI PER ANTICORPI ANTI-PESTIVIRUS
Pezzoni G., Brocchi E.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
Key words: Pestivirus, NS3 recombinante, anticorpi monoclonali-ELISA
Summary
Bovine Viral Diarrhea Virus (BVDV) belongs to Pestivirus
group with viruses responsible for Border Disease and
Classical Swine Fever; the three viruses are antigenically
related. Currently, serological assays for Pestiviruses are
based on evaluation of antibody against the non structural
protein 3 (NS3). This study reports on the use of a
baculovirus expressed NS3 in substitution of Pestivirus as
source of antigen in two ELISA formats (trapping and
competitive) for detection of antibodies in bovine and swine
sera. The discrimination power between positive and negative
sera provided by assays using the recombinant antigen led to
a sensitivity and specificity of 100% in relation to analogous
ELISAs based on virus.
l’antigene virale, seguito dai sieri alla diluizione 1/50, e da
anti-IgG bovine coniugate con perossidasi in successione.
Cicli di lavaggio erano eseguiti tra ogni step e la reazione
veniva infine sviluppata con OPD. I risultati sono stati
espressi in PP(percentuale di positività) rispetto ad un
controllo positivo.
ELISA competitiva: L’antigene ricombinante NS3 è stato
fissato alla fase solida attraverso il legame all’AcM 3H4,
come nell’ELISA trapping; quindi sono stati distribuiti i sieri in
esame in due diluizioni scalari partendo da 1/4; dopo lavaggio
nel caso di sieri bovini o per aggiunta diretta nel caso di sieri
suini, segue un’incubazione con l’AcM competitore (3A3),
marcato con perossidasi, ad una concentrazione ottimale
predeterminata, tale da produrre una DO di 1-1,5 unità. Dopo
lavaggio, la reazione è sviluppata con OPD ed i risultati
vengono espressi come percentuale di inibizione della
reazione dell’AcM 3A3 all’antigene rispetto ad una reazione
non inibita (assenza di siero). La soglia di positività è stata
fissata e corrisponde ad inibizione del 60%.
Introduzione
Il virus della Diarrea Virale Bovina (BVDV) appartiene al
genere Pestivirus, famiglia Flaviviridae. Ai Pestivirus
appartengono anche i virus della Border Disease e della
Peste Suina Classica, antigenicamente correlati a BVDV. Il
monitoraggio sierologico delle infezioni da Pestivirus è
prevalentemente basato sulla dimostrazione di anticorpi
verso la NS3. Con l’obiettivo di allestire un test sierologico
per Pestivirus che comporti vantaggi in termini di
biosicurezza, standardizzazione, nonché di rese produttive, è
stato valutato l’utilizzo di un antigene ricombinante in
sostituzione del virus nei saggi sierologici ELISA, di tipo
trapping e competitivo, per Pestivirus.
Risultati e Discussione
Scelta dell’antigene ricombinante: La proteina NS3
rappresenta una componente fortemente immunogena dei
Pestivirus, le sue caratteristiche funzionali ed immunologiche
risiedono in epitopi conformazionali. La produzione in
baculovirus ha reso possibile l’espressione di due proteine,
una corrispondente alla NS3 totale e l’altra al suo dominio
NTPasico e Elicasico (NS3E), entrambe con proprietà
reattive equivalenti alla proteina virale nativa (1). Le rese
produttive e la reattività con sieri positivi di entrambe le
proteine ricombinanti sono risultate equivalenti; pertanto solo
la proteina NS3E è stata scelta per l’utilizzo nei saggi ELISA .
Selezione del procedimento e degli AcM. Per il test ELISA
trapping è stata confermata la scelta dell’AcM 3H4, idoneo
alla cattura ed orientamento della proteina con esposizione
ottimale degli epitopi riconosciuti dai sieri bovini BVDVpositivi. Per il disegno dell’ELISA competitiva sono stati
identificati un AcM il cui legame alla proteina ricombinante
era inibito dai sieri positivi (3A3) ed un AcM di cattura (3H4)
che esponesse nel modo ottimale l’epitopo in gioco nella
competizione. I medesimi AcM sono utilizzati con analoga
funzione anche nei rispettivi test che utilizzano il virus BVDV
come sorgente di antigene.
ELISA trapping e ELISA competitiva su sieri bovini: La
distribuzione di frequenza dei valori di PP ottenuta valutando
in ELISA trapping 414 sieri bovini di campo mostra un profilo
sovrapponibile a quello ottenuto con antigene virale (Fig.1).
Utilizzando un cut-off di PP di 10% i risultati dei due test con
antigene virale e ricombinante coincidono, con 119 campioni
positivi e 295 negativi in entrambi i test (Tab.1).
L’espressione del risultato come percentuale di positività può
assumere un valore quantitativo e la correlazione tra i valori
di PP dei sieri positivi ottenuti con antigene virale e
ricombinante è molto elevata R² = 0.7089 (Fig.2). 369 dei
414 sieri valutati con ELISA trapping sono stati riesaminati
anche nel test ELISA competitiva con antigene ricombinante
NS3: la distribuzione delle percentuali di inibizione dei sieri
(Fig.3) mostra una netta separazione tra campioni negativi e
positivi, il 95% (213/222) dei campioni negativi si distribuisce
tra 0%-30%, mentre l’89% (132/147) dei campioni positivi
mostra una percentuale di inibizione superiore a 90%. Con
un cut-off al 60% la coincidenza dei risultati positivi e negativi
Materiali e Metodi
Proteina NS3 ricombinante: la produzione e caratterizzazione
della proteina ricombinante, espressa in Baculovirus, è
descritta in un altro lavoro agli Atti del medesimo congresso
(1); l’antigene utilizzato nel test ELISA è costituito da un
semplice lisato di cellule Sf9 (Spodoptera Frugiperda):
brevemente, 3 giorni dopo l’infezione con baculovirus
ricombinante a MOI 10 le cellule sono raccolte, risospese in
tampone di lisi e sonicate; il sovranatante, ottenuto dopo
centrifugazione per separare i detriti cellulari, costituisce
l’antigene per la reazione ELISA; l’antigene ricombinante
estratto da 12 106 Sf9 infette permette l’esecuzione di 4500
test in ELISA trapping e 6000 test in ELISA competittiva.
Anticorpi Monoclonali (AcM): due AcMs anti-NS3
caratterizzati sia nei confronti del virus che della proteina
ricombinante (1, 2) sono stati selezionati per l’allestimento dei
test ELISA: l’AcM 3H4 come anticorpo di cattura (ELISA
trapping e competitiva) e l’AcM 3A3 come anticorpo marcato
competitore (ELISA competitiva).
Sieri valutati: sono stati utilizzati sieri di campo bovini e suini,
in particolare:
414 sieri bovini da allevamenti del nord Italia
408 sieri suini da allevamenti del nord Italia;
Test di riferimento: I sieri sono stati classificati come positivi e
negativi sulla base dei risultati ottenuti con un test ELISA
trapping in-house per i sieri bovini ed ELISA competitiva per i
sieri suini (2), entrambi eseguiti utilizzando virus BVDV,
ceppo NADL come sorgente di antigene. L’antigene virale
consiste nel sovranatante di cellule Aubek infettate, prelevato
ad effetto citopatico completo.
ELISA trapping sieri bovini: il AcM 3H4 è stato adsorbito in
concentrazione saturante (10Pg/ml) su piastre ELISA;
successivamente è stato incubato il lisato proteico NS3 o
80
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
tra antigene virale e ricombinante è completa. Questi risultati
confermano l’equivalenza tra ELISA competitiva ed ELISA
trapping nella valutazione dei sieri bovini.
risultato del test in uso, ELISA competitiva con antigene virale
(2), sono stati riesaminati verso l’antigene ricombinante in
una ELISA competitiva analoga: come per i sieri bovini, la
distribuzione di frequenza delle percentuali di inibizione
osservate mostra una netta separazione tra campioni positivi
e negativi e aiuta nell’identificazione del cut-off ottimale
(Fig.4). Mantenendo la scelta del cut-off al 60% di inibizione i
risultati del test con antigene ricombinante NS3E e dell’ELISA
competitiva con antigene virale, come termine di riferimento,
coincidono.
Conseguentemente, sensibilità e specificità diagnostica del
test competitivo, applicato all’esame di sieri suini con utilizzo
dell’antigene ricombinante, raggiungono valori del 100% nel
confronto con l’antigene virale (Tab.2).
Figura1 : Distribuzione di frequenza dei valori di PP di sieri bovini in
ELISA trapping; confronto tra antigene virale e ricombinante
288
290
Numero di sieri
300
250
200
80
150
7
100
16 74
15
4
8
17
10-20
20-30
30-40
5
50
7
1
16
0
0-5
5-10
40-50
Figura 4: Distribuzione di frequenza dei valori di percentuale di
inibizione in ELISA competitiva dei sieri suini con antigene
ricombinante
>=50
Distribuzione di Percentuale di Positività
Virus
Ag ricombinante
135
140
Tabella1: Valutazione della sensibilità e specificità diagnostica
dell’ELISA trapping con antigene ricombinante rispetto all’antigene
virale
Numero di sieri
120
Sensibilità diagnostica: 100% (119/119)
Specificità diagnostica: 100% (295/295)
105
100
78
80
60
44
40
ELISA trapping antigene virale
sieri
+
totale
+
119
0
119
3
11
80-90
90-100
70-80
414
60-70
295
4
2
50-60
119
40-50
totale
30-40
295
20-30
295
10-20
0
9
0
0-10
-
13
4
<0
ELISA
trapping
antigene
ricombinante
20
Distribuzione di frequenza percentuale di competizione
Sieri negativi
Sieri positivi
Tabella 2: Valutazione della sensibilità e specificità diagnostica
dell’ELISA competitiva con antigene ricombinante rispetto
all’antigene virale su sieri suini.
Figura2 : Correlazione tra risultati ottenuti con antigene virale e
ricombinante in ELISA trapping
Scatter plot di 119 sieri bovini positivi per BVDV
Sensibilità diagnostica: 100% (123/123)
Specificità diagnostica: 100% (283/283)
PPantigne ricombinante
200
R² = 0.7089
150
ELISA
competitiva
antigene
ricombinante
100
50
Conclusioni
La proteina ricombinante NS3E è prodotta con rese più alte
ma con caratteristiche strutturali ed antigeniche sovrapponibili
a quelle dell’antigene virale nativo (1); il suo utilizzo come
sorgente di antigene nei test sierologici per la ricerca di
anticorpi anti-pestivirus in sieri bovini e suini ha dimostrato la
capacità di discriminare correttamente sieri positivi e negativi
con performance analoghe ai test che utilizzano il virus in
toto. L’introduzione di un antigene ricombinante, associato
all’impiego di AcM, nell’allestimento dei test diagnostici
valutati comporta indiscutibili vantaggi in termini di
standardizzazione e riproducibilità oltre che di facilità e resa
produttiva.
0
0
50
100
150
200
PPantigene virale
Figura 3: Distribuzione di frequenza dei valori di percentuale di
inibizione dei sieri bovini in ELISA competitiva con antigene
ricombinante
132
140
120
90
Numero di sieri
100
80
69
51
60
Ringraziamenti: lavoro parzialmente finanziato con progetto ricerca
IZSLER 12/05 RC Ministero della Salute
Bibliografia
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BVDV (Bovine Viral Diarrhea Virus) in baculovirus con
caratteristiche conformazionali ed antigeniche analoghe alla
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2. Brocchi, E., et al. Development of a panel of anti-pestivirus
monoclonal antibodies useful for virus identification and antibody
assessment. Proceeding of the second symposium on
Pestiviruses. 1-3 October 1992.
40
20
13
9
3
2
0
80-90
Sieri negativi
90-100
70-80
60-70
50-60
40-50
30-40
20-30
10-20
0-10
0
Distribuzione di frequenza percentuale di competizione
ELISA competitiva
antigene virale
sieri
+
totale
+
123
0
123
0
285
285
totale
123
285
408
Sieri positivi
ELISA competitiva su sieri suini: 408 sieri suini di campo di
cui 123 positivi per pestivirus e 285 negativi in base al
81
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ESPRESSIONE DELLA PROTEINA CAPSIDICA DI UN CEPPO DI EPATITE E SUINO
E SVILUPPO DI ANTICORPI MONOCLONALI
Di Bartolo I. 1, Ponterio E. 1, Inglese N.1 , Martelli F.2, Caprioli A.3 , Ostanello F. 2, Ruggeri F.M.1
1
2
Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma.
Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Università di Bologna, Ozzano Emilia (BO)
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Roma.
SUMMARY
Hepatitis E virus (HEV) is the causative agent of hepatitis E,
and is a positive sense single-stranded RNA virus.
Genetic similarity between human and swine HEV strains
from the same area suggests zoonotic transmission.
In 2006, we evaluated the presence of HEV in swine farms in
Northern Italy. Results of molecular diagnosis indicated a
wide presence of genotype 3 HEV strains, predominating in
pigs worldwide.
Viral RNAs from positive samples were used to obtain full
length ORF2 fragments. A deletion fragment lacking the first
111 aa at the N-terminal portion of the capsid protein was
cloned in the Baculovirus system. The sequence of the
recombinant construct confirmed the proper frame of ORF2,
and the genotype 3 specificity of the Italian strain. The
bacmide with the HEV¨111ORF2 was transfected into Sf9
and High Tn5 insect cells, and the Bac HEV¨111ORF2 virus
stock obtained was used to express the HEV capsid protein.
One protein band of 50 kDa was detected by Western
blotting using a pig serum (kindly provided by N Pavio,
AFSSA) in either cell lysate and supernatant. Self-assembly
of capsid protein into virus-like particles (VLPs) was
investigated by electron microscopy.
frammento di 1.7kb, corrispondente ad una delezione dei
primi 111 aa, della regione capsidica (ORF2) di HEV.
Questo è stato successivamente clonato nel vettore
pfastBAC per l’espressione con il sistema di Baculovirus.
La presenza della ORF2 all’interno del bacmide e il suo
corretto frame di lettura sono stati confermati mediante
analisi di sequenza.
RISULTATI
L’espressione della proteina del capside virale è stata
condotta infettando cellule di insetto Sf9 e Tn5 con
Baculovirus ricombinante BacHEV'111ORF2. Dopo 7 giorni,
i monostrati cellulari mostravano evidente effetto citopatico e
le cellule venivano raccolte e concentrate mediante
centrifugazione (fig. 1). L’estratto proteico cellulare e del
sovranatante di coltura sono stati analizzati mediante SDSPAGE e Western blotting (WB).
Sia le cellule Tn5 (fig 1A-B) che le cellule Sf9 (fig. 1C)
esprimevano una proteina di 50kDa presente sia all’interno
delle cellule (linee 2: cel) che nel sovranatante di coltura
(linee 3: medium), sebbene il livello di espressione fosse
superiore nelle cellule Sf9 (fig. 1C).
La proteina visualizzata al microscopio elettronico mediante
colorazione negativa non assemblava in Virus-like particles
(VLP).
INTRODUZIONE
L’Epatite E è una malattia infettiva con caratteristiche cliniche
di epatite acuta. L’agente responsabile è il virus a RNA
dell’Epatite E (Hepatitis E virus, HEV), di recente
identificazione. La malattia è considerata endemica nei paesi
in via di sviluppo, dove si manifesta con episodi epidemici
generalmente associati al consumo di acqua contaminata. Di
recente, casi sporadici di origine autoctona sono stati descritti
anche in numerosi paesi industrializzati, compresa l’Italia (1).
Nel 2006 uno studio da noi condotto nel nord Italia ha
evidenziato una diffusa presenza di Epatite E, appartenente
al G3, in suini clinicamente sani (2,3).
Una possibile origine zoonotica con trasmissione del virus dal
suino all’uomo è suggerita da evidenze epidemiologiche e
virologiche.
Ad oggi non esiste un sistema cellulare per la crescita del
virus in vitro, limitando conseguentemente gli studi sulla
patogenesi e immunologia di HEV.
La proteina del capside virale di un ceppo di HEV suino,
identificato in Italia, è stata clonata ed espressa nel sistema
ricombinante di Baculovirus (4). La proteina è stata inoltre
utilizzata per produrre sieri policlonali e anticorpi monoclonali
murini.
Figura 1. SDS-PAGE A)Tn5, C) Sf9; 1B) Western blotting
Tn5 con siero policlonale suino positivo per HEV
1A
97-
MW
N.i.
Cel Medium
1B
100-
N.i. Cel Medium
1C
MW
Sac Cel
Medium
9766-
665045-
MW
45-
3731-
31-
252120-
Quindici sieri di suini adulti sani, provenienti da allevamenti
dell’Emilia Romagna, sono stati testati per la presenza di
anticorpi contro la proteina capsidica di HEV espressa,
mediante Western Blotting (fig. 2).
Undici sieri risultavano positivi per la presenza di anticorpi in
grado di riconoscere la proteina ricombinante, facendo
ipotizzare che gli animali avessero avuto una esposizione al
virus dell’Epatite E.
Inoltre, i risultati del WB confermavano che la proteina
espressa è antigenicamente simile al virus naive.
MATERIALI E METODI
L’RNA totale è stato estratto da un campione di bile di un
suino clinicamente sano (positivo per HEV) utilizzando il kit
Qiamp Viral Extraction (Qiagen), e utilizzato per sintetizzare il
cDNA mediante reverse transcription (Superscript I,
Invitrogen) a partire dalla regione poliA del genoma virale.
Il cDNA è stato utilizzato in una reazione di PCR con primers
F¨111ORF2-RORF2 disegnati al fine di amplificare un
82
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Figura 4 Esperimenti di Immunocitochimica su monostrati di
cellule Sf9 infettati con BacHEV¨111ORF2, colorati con sieri
policlonale suino (A) e murino (B), come controlli positivi, e
con gli anticorpi monoclonali generati (C).
Figura 2 Western Blotting con la proteina capsidica di HEV
parzialmente purificata da cellule Sf9 infettate (K+) e non
infette (K-) ibridizzato con sieri suini e con un siero suino
positivo per HEV (K+)
A
K+
Sieri Suini
K-
B
C
DISCUSSIONE
In questo lavoro è stata espressa e purificata la proteina
capsdica di un ceppo suino di HEV identificato in Italia,
mediante il sistema ricombinante di Baculovirus. La proteina
viene riconosciuta in maniera specifica da sieri di suini infetti,
dimostrandosi simile antigenicamente alla proteina capsidica
del virus naive. Inoltre la proteina ricombinante è stata
utilizzata per immunizzare topi Balb-c, permettendo
l’isolamento di 61 anticorpi monoclonali in grado di
riconoscere l’antigene in esperimenti ELISA. Tali anticorpi
sono stati in parte caratterizzati: 37 riconoscono un epitopo
lineare della proteina, mentre 8 riconoscono la proteina
capsidica ricombinante di HEV suino in esperimenti di
immunocitochimica.
Non essendo ad oggi disponibile un sistema cellulare per la
crescita in vitro del virus HEV, la produzione della proteina
capsidica virale con sistemi di espressione ricombinanti
risulta di estrema importanza, poichè la stessa condivide con
il virus naive simili caratteristiche antigeniche e
immunogeniche.
Topi Balb-c sono stati immunizzati i.p. con 25 μg di proteina
capsidica di HEV parzialmente purificata, utilizzando
adiuvante di Freundt. I sieri iperimmuni sono stati analizzati
in esperimenti di Western blotting utilizzando l’antigene
ricombinante purificato. I sieri riconoscevano una sola banda
relativa alla proteina con la taglia attesa (50kDa) (fig. 3A),
identica alla proteina riconosciuta da un siero iperimmune
suino contenente anticorpi anti-HEV (fig. 3B).
Figura 3 Western Blotting con estratto proteico di cellule Sf9
infettate (K+) e non infette (K-) immuno-colorato con sieri
policlonali murini (A) e con siero suino positivo per HEV (B) .
A
K+ K-
B
K+
12480-
49-
REFERENZE
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Hepatitis E Virus (HEV) in Italian pig herd. Veterinary Record
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E’ stato prodotto un pannello di anticorpi monoclonali (MAbs)
utilizzando protocolli consolidati presso il Laboratorio. I MAbs
sono stati testati mediante ELISA utilizzando la proteina
capsidica di HEV parzialmente purificata, di cui 61
risultavano positivi. Di questi, ulteriormente testati mediante
WB, 37 sono risultati positivi essendo verosimilmente diretti
contro epitopi lineari della proteina capsidica. Infine,
l’espressione della proteina capsidica di HEV è stata
saggiata mediante esperimenti di immunocitochimica su
monostrati di cellule Sf9 infettati con baculovirus
ricombinante
BacHEV¨111ORF2 e ibridati con sieri
iperimmuni murini (Fig. 4A eB) come controlli positivi e con i
61 MAbs ottenuti (Fig. 4 C, test condotto con uno dei 61
MAbs).
Otto MAbs hanno prodotto una colorazione specifica negli
esperimenti
di
immunocitichimica,
confermando
il
riconoscimento specifico della proteina capsidica espressa
da parte degli anticorpi.
3. Di Bartolo I, Martelli F, Inglese N, Pourshaban M,
Caprioli A, Ostanello F, Ruggeri FM. (2008) Widespread
diffusion of genotype 3 hepatitis E virus among farming swine
in Northern Italy. Vet Microbiol. (in stampa)
4. Li TC, Takeda N, Miyamura T, Matsuura Y, Wang JC,
Engvall H, Hammar L, Xing L, Cheng RH. (2005)
Essential elements of the capsid protein for self-assembly
into empty virus-like particles of hepatitis E virus.
J Virol. 79:12999-3006.
83
Posters
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CONTAMINANTI INORGANICI E PROTOZOI ZOONOSICI IN VONGOLE (Chamelea gallina) e VONGOLE
FILIPPINE (Ruditapes philippinarum) IN UN COMPRENSORIO DELL’ALTO ADRIATICO
1
1
2
1
1
2
Abete M.C. , Prearo M. , Caffara M. , Tarasco R. , Gavinelli S. , Florio D. ,
2
2
Gustinelli A. , Fioravanti M.L.
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino;
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Via Tolara di sopra, 50 – 40064 Ozzano Emilia
(BO).
Key words: Metalli pesanti, Protozoi zoonosici, Vongole
INTRODUZIONE
atomico
con
atomizzazione
elettrotermica
previa
mineralizzazione dei campioni in microonde. I limiti di
quantificazione (LOQ) del metodo sono risultati essere 0,01
ppm per il cadmio, 0,04 ppm per il piombo, 0,05 ppm, per il
cromo (1, 5, 6).
La ricerca del mercurio invece è stata effettuata mediante
l’analizzatore diretto del mercurio (DMA80) e l’LOQ è pari a
0,07 ppm (2).
La capacità dei molluschi bivalvi di filtrare elevati volumi di
acqua li rende in grado di accumulare microrganismi
potenzialmente patogeni per l’uomo. Tra questi Giardia spp. e
Cryptosporidium spp. assumono oggi notevole interesse in
relazione al possibile ruolo zoonosico.
I protozoi flagellati appartenenti al genere Giardia
(Metamonadida, famiglia Hexamitidae), sono parassiti che
possono vivere nell’acqua e possono causare problemi di
salute sia nell’ospite uomo che in diverse specie animali.
Causa una zoonosi che si trasmette per via oro-fecale,
causando nell’organismo ospite diarrea e disidratazione (4).
Le spore dei parassiti appartenenti al genere Cryptosporidium
(Apicomplexa, Coccidia) causano un’infezione parassitaria
sia di importanza medica, sia veterinaria, che colpisce le
cellule epiteliali del tratto gastro-intestinale, l’epitelio dei dotti
biliari e del tratto respiratorio sia dell’uomo che di altri
vertebrati. Anche in questo caso si tratta di una zoonosi
trasmissibile per via oro-fecale, causando diarrea profusa (3,
4).
A tal proposito 2340 molluschi bivalvi allevati e/o pescati in
Emilia-Romagna (comprensorio Alto Adriatico), sono stati
sottoposti ad indagini parassitologiche al fine di stabilirne il
possibile ruolo nella trasmissione all’uomo di questi parassiti.
Di questi soggetti, 780 sono stati inoltre sottoposti alla ricerca
di metalli pesanti, quali cadmio, piombo e mercurio per i quali
esiste un limite massimo indicato dal Regolamento CE
1881/2006 (7). È stata inoltre valutata anche la presenza del
cromo, in quanto molto diffuso nell’ambiente e per il quale
non esiste ad oggi una normativa specifica che ne sancisca i
limiti.
Figura 1 – Vongola filippina (Tapes philippinarum).
Figura 1 – Vongola (Chamelea gallina).
MATERIALI E METODI
A partire da febbraio 2006 fino a tutto gennaio 2007, sono
stati condotti campionamenti periodici di vongola filippina
(Tapes philippinarum) (Fig. 1) nelle zone di produzione di
Goro-Porto Garibaldi (provincia di Ferrara) e di vongola
(Chamelea gallina) (Fig. 2) negli areali costieri antistanti
Rimini; sono stati prelevati 11 campioni (26 pool pari a 1560
soggetti) della prima specie e 9 campioni (13 pool pari a 780
soggetti) della seconda. Ogni pool era costituito di 60
soggetti. Da ogni esemplare sono stati raccolti: emolinfa dal
muscolo adduttore laterale, branchie e ghiandole digestive.
Per la ricerca di Cryptosporidium sp. e Giardia sp., tutte le
matrici sono state sottoposte a PCR, colorazione di ZiehlNeelsen modificata e di Giemsa semplificato, mentre solo
l’emolinfa concentrata con sucrose è stata sottoposta ad
immunofluorescenza (IF). La ricerca dei metalli pesanti è
stata eseguita su 240 soggetti di C. gallina, suddivisi in 4
campionamenti e 540 soggetti di T. philippinarum, suddivisi in
9 campionamenti distinti. I campioni sottoposti alla ricerca dei
metalli pesanti sono stati raccolti tra febbraio e maggio 2006.
La determinazione analitica di piombo, cadmio e cromo è
stata effettuata mediante spettrofotometria ad assorbimento
RISULTATI
Dei 39 pool di emolinfa (26 di T. philippinarum e 13 di C.
gallina) sottoposti ad IF, tutti sono risultati negativi.
In 4 pool è stata individuata la presenza di elementi riferibili a
Cryptosporidium spp. con la colorazione di Ziehl-Neelsen
modificata, mentre la colorazione di Giemsa semplificato è
sempre risultata negativa.
La PCR condotta su tutti i 39 pool di emolinfa e relativi pool di
liquido di lavaggio branchiale e ghiandola digestiva ha
87
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
evidenziato solo in 5 pool di emolinfa (2 di T. philippinarum e
3 di C. gallina) la presenza di una banda di circa 400 bp. Il
sequenziamento ha però permesso di confermare
l’appartenenza al genere Cryptosporidium solo in due casi,
peraltro non confermati da successive analisi.
Nessuno dei 39 pool è risultato positivo per Giardia sp. alla
PCR.
Per quanto riguarda la ricerca di metalli pesanti nei campioni
di C. gallina, il tenore medio di cadmio è risultato essere
0,014 ppm (DS 0,013), di cromo 0,40 ppm (DS 0,028) mentre
di piombo 0,075 ppm (DS 0,021); in nessun campione si è
rilevata la presenza di mercurio al di sopra del limite di
quantificazione del metodo. Nei campioni di T. philippinarum,
il cadmio ha presentato un livello medio pari a 0,07 ppm (DS
0,035), il cromo di 1,26 ppm (DS 0,65) ed il piombo di 0,145
ppm (DS 0,064); per quanto riguarda il mercurio, in 1 pool si
è riscontrato una concentrazione superiore all’LOQ (0,11
ppm), mentre in tutti gli altri il livello è risultato sempre al di
sotto del limite di quantificazione del metodo.
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
DISCUSSIONE
Sebbene i molluschi bivalvi siano stati individuati da diversi
ricercatori (3, 4) quali possibili ospiti “accumulatori” di oocisti
di Cryptosporidium e/o di cisti di Giardia, e quindi prodotti ittici
da porre in relazione ad infezioni umane sostenute da questi
agenti, i risultati di questa indagine non hanno consentito di
confermare un loro ruolo rilevante nella epidemiologia di
queste infezioni zoonosiche negli ambienti in studio.
Per quanto riguarda invece il livello di contaminazione da
composti inorganici, In tutti i campioni esaminati non sono
mai stati superati i limiti di cadmio, piombo e mercurio previsti
dalla normativa cogente (rispettivamente 1 ppm, 1,5 ppm e
0,5 ppm) (7): pertanto i molluschi in oggetto possono essere
considerati sicuri per il consumatore anche da questo punto
di vista. Tuttavia la presenza costante di cromo nelle due
specie, starebbe ad indicare come tale elemento sia
costantemente presente nell’ambiente acquatico, per cui
sarebbe interessante verificare la sua presenza anche nelle
acque e in altri organismi acquatici per poter valutare
l’effettivo impatto sulla catena trofica. Inoltre sarebbe utile
approfondire l’origine dell’inquinamento da cromo, nonché la
forma chimica (organica o inorganica) di questo elemento per
poter definire la reale tossicità.
Da questi dati preliminari appare come le due specie e le
relative zone di prelievo presentino un livello di
contaminazione diverso, seppur a livelli non preoccupanti.
Resta da valutare se il diverso grado di contaminazione
debba essere imputabile esclusivamente al sito di prelievo e
al grado di contaminazione diverso o dipenda anche dalla
specie. Questo tipo di monitoraggio appare quanto mai utile
per poter definire il grado di contaminazione ambientale
presente oltre a valutare l’edibilità di questi molluschi. Risulta
pertanto opportuno intensificare questi tipi di monitoraggio
per poter definire sia il grado di contaminazione ambientale
sia il rischio nell’ambito della sicurezza alimentare.
SUMMARY
The aim of this research was to investigate the presence and
the diffusion of Cryptosporidium spp. and Giardia spp. and
heavy metal (cadmium, chromium, lead and mercury) among
the most commercially important mollusks farmed and/or
caught along the coast of Emilia Romagna (Italy), in order to
establish their zoonotic importance and/or their pathoghenic
role for consumers.
RINGRAZIAMENTI
La presente ricerca è stata finanziata con fondi MUR 05 e
fondi IZSPLV.
BIBLIOGRAFIA
(1)
Clarkson T.W. (1986). Mercury. In W. Mertz ed.,
“Trace elements in human and animal nutrition – fifth
edition, vol. 1: 417-428.
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Lal A.A. & Xiao L. (2003). Contamination of Atlantic
coast commercial shellfish with Cryptosporidium.
Parasitol. Res., 89: 141-145.
Giangaspero A., Molini U., Traversa D., Iorio R. &
Ceschia G. (2004). Giardia and Cryptosporidium in
seawater clams (Chamelea gallina and Ruditapes
philippinarum) of the Adriatic coast of central and
northern Italy. Parassitologia, 46: 153.
Kostial K. (1986). Cadmium. In W. Mertz ed., “Trace
elements in human and animal nutrition – fifth
edition, vol. 2: 319-345.
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elements in human and animal nutrition – fifth
edition, vol. 2: 281-317.
Regolamento CE n. 1881/2006 della Commissione
del 19 dicembre 2006 che definisce I tenori massimi
di alcuni contaminanti nei prodotti alimentary.
G.U.C.E. del 2012/2006: L365/5.
Anderson R.A. (1986). Chromium. In W. Mertz ed.,
“Trace elements in human and animal nutrition – fifth
edition, vol. 1: 225-244.
88
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ISOLAMENTO DI BRUCELLA SUIS IN ALLEVAMENTI SUINI DELLA SARDEGNA
Alongi C, Spazziani A, Zulato B, Deiana A, Frongia M, Orrù G, Liciardi M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dip.to di Cagliari
Keywords: aborto , brucella, zoonosi
Summary: Brucellosis is a highly infectious disease affecting
humans and animals; in pigs is a contagious disease caused
by B. suis biovars 1,2 or 3, The most important symptom of
infections caused by biovars 1 or 3 is miscarriage occurring at
any time during gestation. We examined 25 sows for a total
of 81 organs. Due to the cross-reactivity of the serological
assay a molecular diagnostic tool in PCR is suggested in
order to improve sensitivity and specificity and to riduce the
time sequired for the examination of several type of samples.
L’esame colturale è stato effettuato utilizzando il metodo di
prova accreditato SINAL e standardizzato secondo il Manuale
di diagnostica OIE (Manual of diagnostic tests and vaccines
for terrestrial animals OIE, Paris,2004)
L’esame molecolare in PCR è stato messo a punto su ceppi
di riferimento di Brucella spp.
Materiali e Metodi:
Campioni esaminati: Gli organi, prelevati da 25 scrofe
provenienti da tre allevamenti, erano rappresentati da 18
uteri, 13 feti (cervello), 25 linfonodi e 25 milze per un totale di
81 campioni.
La manipolazione dei campioni è stata eseguita sotto cappa
biologica a flusso laminare.
Esame colturale: la superficie dell’ organo utilizzato per la
semina è sterilizzata mediante flambatura, quindi asportata
per prelevare una porzione interna di tessuto di circa 30-50 g.
Tale campione è posto in una busta per stomacher,
contenente soluzione fisiologica sterile pari al doppio del suo
volume. 1 ml di omogenato si trasferisce in brodo
SDBS(Serum Dextrose Broth Selective, Oxoid) 1 ml su piasta
di SDAS (Serum Dextrose Agar Selective, Oxoide). Le
provette con il brodo selettivo sono incubate a 37±2 °C per 67 gg in atmosfera al 5-10% di CO2; le piastre sono incubate
nelle stesse condizioni e osservate ogni 48 h per un
massimo di 6 giorni. Le colonie sospette si trapiantano su
piastre di SDA non selettivo (Serum Dextrose Agar, Oxoid).
Dopo incubazione, le brodo-colture si trapiantano in SDA
non selettivo. Le colonie sospette sono identificate secondo
metodica standardizzata (Manual of diagnostic tests and
vaccines for terrestrial animals OIE, Paris,2004).
Esame molecolare: Per confermare i risultati è stata
eseguita la PCR, previa estrazione del DNA dai brodi selettivi
SDBS utilizzati per la semina, e successivamente autoclavati
a 121°C per 15’. Per l’estrazione del DNA si utilizza il Wizard
Genomic DNA Purification Kit (Promega). Per la PCR si
utilizzano i primers OG157 (5’-GGCATGAACCGCTGTCC-3’)
e OG158 (5’-CTTCCGGGGCGAGTTG-3’); come controllo
positivo un ceppo di riferimento di Brucella melitensis (ceppo
NCTC 10123) .
Introduzione: Brucella suis, parassita endocellulare del
sistema reticolo endoteliale, è un coccobacillo gram negativo,
ossidasi e catalasi positivo, di cui se ne conoscono 5
biovarianti delle quali solo 1, 2, 3, sono patogene anche per
l’uomo.
Nel suino la malattia ha decorso lento e sintomi poco
apparenti, le manifestazioni cliniche più gravi sono a carico
dell’apparato riproduttore e sono rappresentate da aborto,
ritenzione placentare, metrite purulenta e bassa fertilità nella
femmina e orchite nel maschio. Nei soggetti pesanti
all’ingrasso sono state segnalate forme ascessuali a carico
dei dischi intervertebrali, delle borse sinoviali e dei tendini. Gli
animali infetti eliminano il microrganismo con gli invogli fetali,
gli aborti e in minor misura con il colostro ed il latte.
La trasmissione si ha prevalentemente per via orale, ma non
si esclude la via venerea o la trasmissione congenita e
perinatale.
Nell’uomo l’infezione si contrae per contatto diretto con i suini
infetti e sono a rischio in particolar modo gli addetti ai lavori,
allevatori, macellai, veterinari e laboratoristi durante le fasi di
manipolazione dei campioni pervenuti. La diffusione
interumana è rara.
La diagnosi di brucellosi si effettua con metodi sierologici e
microbiologici.
Con i metodi sierologici si possono avere delle false positività
per la presenza di cross-reazioni con altri microrganismi
(Yersinia enterocolitica O:9, E.coli O:157 e Salmonella spp.)
e di false negatività dovute ad una bassa risposta immunitaria
dei soggetti colpiti (1). L’esame colturale richiede tempi lunghi
in quanto la brucella è un microrganismo a crescita lenta.
Per queste ragioni negli ultimi anni si sta cercando di
utilizzare sempre di più la biologia molecolare per lo
screening di campioni biologici.
Le indagini sierologiche eseguite presso il nostro Istituto in
seguito a numerosi e ripetuti casi di aborto nelle scrofe, in
allevamenti della provincia di Cagliari, hanno messo in
evidenza un’alta percentuale di positività ad alto titolo per
Brucella spp. In seguito a questo si è proceduto
all’abbattimento di tutti capi e alla ricerca colturale del
microrganismo negli organi bersaglio ( linfonodi mammari,
milza, utero, testicoli) e nei feti.
Questo studio intende confrontare l’esame colturale, ritenuto
test di riferimento, con l’esame molecolare in PCR, altamente
sensibile e specifico (2,3). A questo scopo sono stati
esaminati gli organi di scrofe macellate in quanto
appartenenti ad allevamenti infetti, nei quali diversi animali
erano risultati sieropositivi ai test sierologici di riferimento:
SAR e FDC, con titoli all’FDC fino a 1280 UICFT/ML.
Risultati e discussione: Degli 81 organi esaminati,
provenienti da un totale di 25 capi, 2 (utero e linfonodo
mammario, provenienti dallo stesso capo con sieropositività:
FDC 320 UICFT/ML, SAR positiva) sono risultati positivi
all’esame colturale e alla PCR, mentre 1 utero proveniente da
un scrofa (con sieropositività FDC 320 UICFT/ML, SAR
positiva ) di un altro allevamento, è risultato positivo alla
PCR ma non all’esame colturale. Alla tipizzazione il ceppo
isolato, da campioni positivi all’esame colturale, è risultato
Brucella suis. Le positività si sono riscontrate nei linfonodi
mammari ed utero e non nella milza, da taluni autori,
considerata l’organo elettivo per la ricerca di Brucella. I
risultati ottenuti inducono ad attribuire all’esame molecolare
una maggiore specificità rispetto al saggio sierologico, ed una
maggiore sensibilità rispetto all’esame batteriologico. Tale
ipotesi tuttavia è da verificare mediante allestimento di
opportune diluizioni scalari di un ceppo di riferimento e di
89
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
campioni clinici con la contemporanea analisi batteriologica e
molecolare.
Nel corso di un piano di controllo per la brucellosi suina, si
potrebbe ricorrere allo screening molecolare sugli organi dei
capi sieropositivi, in quanto il metodo anche se costoso, è
più rapido ed attendibile ed inoltre riduce le eccessive
manipolazioni di organi infetti.
Bibliografia:
1. Ciuchini F, Adone R, Pasquali P, Marinelli C, Tarantino M,
Bandino E, Firinu A, Liciardi M, Lollai S, Battistacci L, Dalla
Pozza M, 2005. Brucellosi animali: rassegna sul fenomeno delle
aspecificità e delle discordanze tra sieroagglutinazione rapida
con antigene al rosa bengala e fissazione del complemento.
Rapporti ISTISAN 05/21
2. Leyla G, Kadri G, Umran O, 2003. Compararison of
polymerase chain reaction and bacteriological culture for tha
diagnosis of sheep brucellosis using aborted fetus samples. Vet
Microbiol. 2003 May 2;93(1):53-61
3. Ilhan Z, Solmaz H, Aksakal A, Gulhan T, Ekin IH,
Boynukara B, 2007. Comparison of PCR assay and
bacteriological culture method for the detection of Brucella
melitensis in stomach content samples of aborted sheep
fetuses. Dtsch Tierarztl Wochenschr 2007 Dec;114(12):460-4
90
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IMPORTANZA DEL CONTROLLO MICROBIOLOGICO NEL LATTE CRUDO ALLA SPINA
Amatiste S., Patriarca D., Pietrini P., Battisti S.; Palmieri P., Scaramella L., Rosati R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Key words: Latte crudo bovino, E. coli O:157, Campylobacter
Scopo di questo lavoro è illustrare i risultati dei controlli
microbiologici, previsti dalle suddette norme, nel latte crudo
per la vendita diretta pervenuto presso i nostri laboratori.
SUMMARY
The health hazards of consuming raw milk is an actual
problem also in Italy.
For safety reason, it’s very important an unfailing control of
raw milk sale for human consumption mainly through
automatic sale milk machines, in order to avoid food
poisoning or foodborne disease.
From january 2007 to july 2008, 140 milk raw samples from
12 different farms have been collected. Microbiological tests
have been carried out in our Lab. The results show the
absence of Salmonella spp and Listeria monocytogenes.
Total bacterial count and coagulase-positive staphylococci
are in conformity with the law in a high percentage of
samples. Nevertheless were found 5 positive samples from
two farms: 4 with E. coli O157 and 1 with E. coli O157 and
Campylobacter jejuni.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra gennaio 2007 e luglio 2008 sono
stati analizzati 140 campioni di latte crudo bovino prelevati
nell’ambito sia dell’attività ufficiale di controllo da parte degli
enti preposti sia dell’attività di autocontrollo, in 12 aziende
della provincia di Roma che già vendevano il latte crudo per
il consumo diretto o che intendevano intraprendere questa
attività.
I campioni sono stati sottoposti alle seguenti analisi: Carica
Batterica Totale (CBT) determinata mediante metodo
optpfluoroelettronico (Bactoscan FC); ricerca di Salmonella
spp (ISO 6579), Listeria monocytogenes (ISO 11290/1),
coliformi (ISO 4832), Escherichia coli ȕ glucuronidasi
positivi (ISO 16649-2), Stafilococchi coagulasi positivi (ISO
6888-2), Campylobacter termotolleranti, E. coli O:157.
Per la ricerca di Campylobacter termotolleranti è stata
impiegato un metodo di screening di tipo immunoenzimatico
validato AFNOR (Vidas-ELFA, Enzyme Linked Fluorescent
Assay) e in caso di positività il protocollo UNI EN ISO 102721:2006 per la conferma.
L’identificazione presuntiva di Campylobacter spp è stata
effettuata attraverso esame microscopico e successivamente
confermata a livello di genere e specie mediante metodi
biomolecolari:
PCR per la definizione del gruppo C. coli, C. jejuni e
C. lari;
PCR multiplex per la differenziazione tra C. coli e C.
jejuni.
Per la ricerca di E. coli O157 è stato utilizzato un metodo di
screening di tipo immunoenzimatico validato AFNOR (VidasELFA, Enzyme Linked Fluorescent Assay) e in caso di
positività il protocollo ISO 16654:2001 per la conferma.
La presenza di E. coli VTEC, è stata verificata con saggi PCR
per la evidenziazione dei geni codificanti per le
verocitotossine vtx1 e vtx2 e del gene eae responsabile del
meccanismo “attaching and effacing” (8,9,10).
INTRODUZIONE
Continua nel nostro paese l’incremento della vendita di latte
crudo alla spina con la nascita di nuovi distributori posti
presso le aziende di produzione primaria o in luoghi dove è
più semplice l’approvvigionamento da parte dei consumatori
come i supermercati. Un altro sistema di vendita del latte
crudo alimentare risulta essere il distributore itinerante.
Le misure igienico sanitarie per la vendita diretta di latte
crudo per l’alimentazione umana sono stabilite nell’atto di
intesa della Conferenza Stato Regioni del 25/01/2007 (1) e
le Regioni Lazio e Toscana hanno recepito nel corso del
2007 quanto previsto dall’intesa (2,3). Nella nota n.15990 del
30/5/2008 il Ministero della Lavoro della Salute e delle
Politiche Sociali esorta ad intensificare i controlli sul latte
crudo alla spina prevedendo un programma straordinario di
controllo, attivato dalle ASL di concerto con i NAS, per la
verifica della conformità di questo prodotto in funzione del
rischio microbiologico intrinseco. Questo conferma, se ce ne
fosse bisogno, la preoccupazione di quanti si occupano di
sicurezza alimentare per i rischi legati al consumo di latte
che non abbia subito alcun trattamento termico, come
potenziale fonte di malattia per l’uomo (4). In particolare
l’attenzione è rivolta alla presenza di patogeni quali
Campylobacter termotolleranti ed E. coli O:157 spesso
coinvolti in episodi di malattia in cui il veicolo di trasmissione
è il latte crudo bovino (5,6). La prevenzione è incentrata sui
controlli ma anche sulla educazione di produttori e
consumatori per rendere tutti consapevoli delle differenze
sostanziali tra latte crudo e latte trattato termicamente. La
prevenzione di episodi tossinfettivi legati al consumo di latte
crudo si basa sull’applicazione dei criteri di biosicurezza
nelle aziende di produzione primaria e sui controlli
microbiologici del latte destinato alla vendita. L’ interesse
degli allevatori e dei consumatori, gli uni mossi dalla
necessità di rendere più redditiva la propria attività (7), gli
altri da motivazioni diverse quali il risparmio, la voglia di bere
un prodotto non “manipolato” in alcun modo dall’uomo, fanno
sì che il numero di punti vendita e la quantità del latte crudo
venduto sia sempre in aumento. E’ per questo che rimane
sempre alto l’interesse circa i risultati delle prove
microbiologiche eseguite su questa tipologia di latte.
RISULTATI
La media delle CBT di tutti i campioni esaminati è risultata
pari a 84.546 ufc/ml; nell’80% dei campioni è risultata
<100000 ufc/ml, nel 66% è risultata <50000 ufc/ml e nel 50%
dei campioni è risultata <25000 ufc/ml (limite di legge
100000 ufc/ml).
Si riporta un grafico nella Figura 1 dove si può vedere che i
risultati delle CBT suddivise in classi, fra due periodi di
controllo sovrapponibili, da noi rilevati nel latte crudo per
vendita diretta a partire dal 2006 (11), non mostrano
particolari differenze.
Il valore medio per i coliformi è stato di 3297 ufc/ml e circa
l’80% dei campioni ha dato valori <1000 ufc/ml; la media per
gli Escherichia coli ȕ glucuronidasi positivi è stata di 32
ufc/ml con più del 90% dei campioni con valori < 50 ufc/ml;
per gli Stafilococchi coagulasi positivi la media è stata di 86
ufc/ml, in particolare il 62% dei campioni ha dato valori < 10
91
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ufc/ml e il 90% di campioni < 100 ufc/ml (limite per staf.
aureus: m = 500, M = 2000, n = 5, c = 2).
I campioni sono risultati tutti negativi per Salmonella spp e
Listeria monocytogenes.
Nel 2007 nessun campione esaminato è risultato positivo
per Campylobacter termotolleranti ed E. coli O:157.
Nel 2008 sono risultati positivi 5 campioni di latte di massa
crudo provenienti da due diverse aziende di cui 4 per
presenza di E. coli O157 ed 1, prelevato in una azienda che
ancora non aveva intrapreso la vendita diretta, per la
contemporanea presenza di E. coli O157 e di
Campylobacter jejuni.
Uno dei ceppi di E. coli O157 isolato dal latte della suddetta
azienda è risultato positivo all’esame biomolecolare per la
presenza del gene codificante la verocitotossina vtx1.
CBT
Figura 1
2007/2008
fondamentale tra la produzione di latte destinato ad essere
trattato termicamente e latte da destinare alla vendita diretta
al consumo, per far sì che la consapevolezza dei rischi legati
a questo alimento funzioni da incentivo per la produzione di
un latte sempre più sano.
Bibliografia
1.
Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6 della legge 5
giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano in materia di
vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione
umana. Rep. n. 5/CSR. GU n.36 del 13/2/2007.
2.
Regione Lazio, Determinazione n. D4370 del
28/11/2007.
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ufc /ml x 1000
>100
da 50 a 100
da 25 a 50
”25
0
10
20
30
40
50
60
% campioni
CONCLUSIONI
I risultati dei controlli microbiologici condotti sui 140 campioni
di latte crudo per la vendita diretta, hanno mostrato la
conformità della maggior parte di essi, rispetto a quanto
previsto dalle norme, per Carica batterica totale e numero di
Stafilococchi coagulasi positivi, la piena rispondenza per
quanto riguarda l’assenza di Salmonella spp e Listeria
monocytogenes, ma l’isolamento di patogeni importanti quali
E coli O157 (di cui uno positivo all’esame biomolecolare per
la presenza del gene codificante la verocitotossina vtx1) e
Campylobacter jejuni, seppur in un esiguo numero di
campioni.
I controlli prima dell’inizio della attività di vendita della
azienda risultata positiva sia per E. coli O157 con presenza
di vtx1 sia per Campylobacter jejuni, hanno consentito
l’individuazione di potenziali pericoli che con l’attuazione di
misure correttive legate al management aziendale hanno
portato alla eliminazione del problema.
La realtà della vendita diretta del latte crudo alla spina è a
tutt’oggi un fenomeno in crescita ed il meccanismo domanda
offerta ne mantiene vivo l’interesse economico. Le
problematiche di sicurezza alimentare legate a questo
delicato prodotto fanno sì che sia altrettanto vivo l’interesse
di chi è deputato alla protezione della salute umana. Il
monitoraggio microbiologico costante del latte posto in
vendita è uno dei cardini della prevenzione delle malattie
potenzialmente trasmesse da questo prodotto ma deve
sempre essere integrato dalla applicazione delle buone
pratiche di allevamento, di mungitura e di igiene e
conservazione del latte fino al momento del consumo.
Dalla nostra esperienza scaturisce un quadro tutto sommato
soddisfacente della realtà di questo prodotto nel nostro
territorio ma conferma l’importanza dei controlli prima e
durante la commercializzazione del latte crudo.
Si ribadisce inoltre dal nostro punto di osservazione la
necessità di formare e informare gli allevatori sulla differenza
92
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
VALUTAZIONE IN VIVO E IN VITRO DELLA FERTILITA’ DEL VERRO IN CONTESTO AZIENDALE
Bacci M.L. 1, Fantinati P.
1,3
, Alborali GL. 2, Zannoni A. 1, Penazzi P. 3, Bernardini C. 1, Forni M. 1, Ostanello F.
1
4
2
Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria e Produzioni Animali, Università di Bologna; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e
3
4
dell’Emilia-Romagna, Brescia ; Libero professionista; Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Università di Bologna.
Key words: Swine, fertility, health.
SUMMARY
In pig industries, the decline in boar fertility, non bound to
apparent causes, is a common and economically relevant
problem. This study was designed to evaluate if temporary
fertility decline could be due to contact with pathogens at
level not sufficient to evocate clinical signs of disease but
adequate to stimulate the seroconversion. Nine boars have
been monitored during 5 months and sperm and blood
samples have been repeatedly collected for seminal and
serological evaluations. At this level we researched ADV,
PRRSV, PCV2, SIV (H1N1, H2N1, H3N2) antibodies. In order
to evaluate boar fertility we utilized in vitro as well as in vivo
parameters (Farrowing Rate and Litter Size outcome of 230
Artificial Insemination). The low percentage (<5%) of
damaged acrosome in an ejaculate significantly correlates
with high LS. On the contrary no correlations have been
found among seroconversions for PRRSV (2 boars) and for
ADV (2 boars) and in vivo fertility as well as positivity for SIV
(H1N2 strain) (4 boars).
dal prelievo i seguenti parametri: conta cellulare nell’eiaculato
in toto; integrità di membrana e attività mitocondriale (high
MMP) con la colorazione composta di propidio ioduro, JC-1 e
SYBR-14; integrità acrosomiale mediante colorazione con
Coomassie blue; ricerca del genoma di PRRSV mediante
PCR; analisi microbiologiche per la ricerca di E. coli, Proteus
spp., Pseudomonas spp., Staphilococcus spp.. Sui sieri di
sangue raccolti sono state effettuate le determinazioni dei
valori anticorpali nei confronti di: virus della Malattia di
Aujeszky (anticorpi totali e anti gE, ELISA competitiva),
circovirus suino tipo 2 (PCV2, ELISA competitiva), virus della
sindrome riproduttiva e respiratoria (PRRSV, ELISA), SIV
(sierotipi
H1N1,
H1N2
e
H3N2,
inibizione
dell’emoagglutinazione).
Sui campioni di sangue in toto è stata effettuata la
determinazione di: proteine totali, albumina, urea, creatinina e
fosforo, sodio, bilirubina totale, alanina amino transferasi
(ALT), aspartato amino transferasi (AST), gamma
glutamiltransferasi (GGT). I parametri di fertilità in vivo
considerati sono stati: a) rapporto percentuale tra scrofe
gravide e quelle inseminate con dosi provenienti dal
medesimo prelievo di seme; b) media del totale dei i suinetti
nati per scrofa gravida da inseminazioni effettuate con dosi
provenienti dal medesimo prelievo di seme; c) media del
totale dei i suinetti nati per scrofa inseminata con dosi
provenienti dal medesimo prelievo di seme). L’analisi dei dati
quantitativi è stata effettuata, previa valutazione della
normalità della distribuzione campionaria, utilizzando
l’ANOVA.
INTRODUZIONE
Nelle aziende suinicole, l’inseminazione artificiale (IA) è una
pratica ormai applicata da decenni e che ha consentito una
netta diminuzione dei costi di produzione, una riduzione
dell’impiego di manodopera e una diffusione più mirata e
rapida delle caratteristiche genetiche ricercate. I fattori che
possono influenzare i parametri di fertilità in vivo e in vitro del
seme impiegato nell’IA sono numerosi e comprendono, oltre
a fattori ambientali e di management dei riproduttori anche
fattori microbiologici (Brown et al., 1995; Allan et al., 1994;
Pejsak & Truszczynski, 2006; Swenson et al., 1994). La
valutazione della quantità e qualità dell’eiaculato rappresenta
quindi un importante strumento che consente di garantire la
fertilità dei riproduttori maschi utilizzati e di individuare e
intervenire sui quei fattori che possono condizionare le
performance riproduttive del verro (Flowers W.L.,1997; Turba
et al., 2007).
Il presente lavoro ha avuto come obiettivo la valutazione in
vivo e in vitro di alcuni parametri di fertilità del verro e la loro
eventuale relazione con alcuni fattori sanitari.
RISULTATI
Parametri clinici ed emato-biochimici: al momento dei prelievi
la temperatura rettale è risultata nella norma (range: 37,939,4°C) e non sono stati evidenziati sintomi clinici apparenti. I
parametri biochimici analizzati sono risultati nella norma.
Esami batteriologici e virologici: seme e siero. Tutti i soggetti
esaminati sono risultati negativi alla ricerca di PRRSV nel
siero e nel seme.
Esami sierologici: tutti i soggetti presentavano elevati titoli
anticorpali
anti-PCV2
per
l’intera
durata
della
sperimentazione; in 2 verri (D e I) è stata osservata una siero
conversione per PRRSV; analogamente, nei soggetti C e E è
stata osservata una sieropositivizzazione nei confronti della
gE di ADV. Gli animali A, B, H, E sono risultati positivi per
H1N2.
I parametri di fertilità in vivo considerati non sono risultati
statisticamente differenti in funzione delle condizioni di
sieropositività evidenziate.
Quando la percentuale di spermatozoi con danno
acrosomiale era al di sotto del valore ritenuto fisiologico (5%)
la media di suinetti nati/scrofa coperta è risultata
significativamente più elevata (F=4,41; p=0,045). Prossima ai
limiti della significatività statistica è risultata la percentuale di
scrofe gravide (F=3,72; p=0,064). Gli altri parametri di fertilità
in vitro considerati non esprimono differenze statisticamente
significative verso i parametri di fertilità in vivo (tab. 1).
MATERIALI E METODI
Animali. Sono stati arruolati nello studio 9 verri (2 Large White
e 7 Duroc, di età compresa tra 11 e 28 mesi) impiegati per
l’IA in una azienda di selezione genetica di circa 1000 scrofe.
Gli animali venivano allevati in box individuali, con fotoperiodo
naturale, umidità relativa del 65% e temperatura compresa tra
18 e 21°C. Tutti gli animali erano vaccinati contro il virus della
malattia di Aujeszky (ADV) e i virus influenzali (SIV, sierotipi
H1N1 e H3N2). Tra marzo e luglio su 8 verri sono stati
effettuati 4 prelievi di seme a distanza di 21 giorni; per un
verro sono stati effettuati solo 2 prelievi. Al momento del
prelievo sono state valutate le condizioni cliniche dell’animale,
è stata misurata la temperatura rettale ed è stato prelevato un
campione di sangue. L’eiaculato raccolto, previa valutazione
del volume e della concentrazione spermatica, necessari per
la corretta diluizione con mestruo SFM (Fantinati et al., 2008)
9
del materiale ad un valore di circa 3x10 spermatozoi
mobili/dose, è stato conservato a 16°C e utilizzato entro 4
giorni dal prelievo per l’inseminazione di 230 scrofe LW. Su
una aliquota del seme raccolto sono stati valutati entro 24 ore
DISCUSSIONE
Durante il periodo di osservazione i riproduttori inseriti nel
contesto aziendale hanno mostrato una condiziona sanitaria
soddisfacente, in assenza di sintomatologia clinica riferibile a
93
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
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(SFM) efficiency in preserving spermatozoa quality during long
term storage in comparison to four commercial swine extenders.
Animal, in press.
patologie infettive. Nonostante ciò abbiamo rilevato eventi di
siero conversione in 4 soggetti (2 per PRRSV e 2 per ADV)
ed abbiamo identificato 4 soggetti positivi ad H1N2. Un solo
soggetto ha mostrato positività da H1N2 e contemporanea
sieropositivizzazione ad ADV. Da un punto di vista
riproduttivo, le condizioni evidenziate a livello sierologico non
hanno influenzato i parametri riproduttivi (in vivo ed in vitro)
considerati. Questo risultato è estremamente significativo
poiché si ipotizzava che cali di fertilità temporanei, osservati
in verri riproduttori, potessero essere dovuti al contatto con
agenti eziologici in grado di interferire con la sfera riproduttiva,
anche in assenza di malattia conclamata.
Irisultati del presente lavoro mostrano inoltre come alcuni
parametri innovativi di valutazione morfofunzionale in vitro
dell’eiaculato correlino in modo significativo con la fertilità in
vivo. In modo particolare il parametro danno acrosomiale è
risultato interessante sia per il numero medio di nati per
scrofa che per il tasso di gravidanza. Dato che la valutazione
dell’integrità dell’acrosoma può venire effettuata con una
semplice colorazione e successiva valutazione al microscopio
ottico, si propone l’utilizzo di tale colorazione anche in
condizioni aziendali.
Il presente lavoro è stato finanziato da RFO (ex 60%) Università di
Bologna.
Tabella 1: Risultati relativi alla valutazione della fertilità in vivo
ed in vitro.
parametro valore
Integrità di >80%
Tasso
di
gravidanza
Nidiata
(n)
media nati
totali/scrofa
coperta
Media
0,72
10,43
7,58
Dev.std.
0,19
1,65
2,67
membrana
%
<80%
Totale
danno
<5%
Media
0,67
9,40
6,97
Dev.std.
0,32
3,12
3,64
Media
0,70
9,98
7,32
Dev.std.
0,25
2,42
3,09
Media
0,75
10,54
8,00
Dev.std.
0,19
1,46
2,58
acrosoma
%
> 5%
Total
High
ok
Media
0,58
9,03
5,71
Dev.std.
0,30
3,38
3,29
Media
0,68
9,92
7,06
Dev.std.
0,25
2,51
3,06
Media
0,67
10,55
7,17
Dev.std.
0,14
1,35
2,31
MMP
%
<70%
Total
Media
0,70
9,93
7,31
Dev.std.
0,29
2,56
3,20
Media
0,69
10,00
7,30
Dev.std.
0,27
2,44
3,08
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CELLULE STAMINALI DA GRASSO DI EQUINO: LORO APPLICAZIONE NELLA RIGENERAZIONE OSSEA
Barbaro K.1, Autorino G.L. 1, Bonini P.1, Gentili C. 2, Cancedda R. 2, Scholl F. 1,Canonici F. 3, Amaddeo D. 1
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Genetica (D.O.Bi.G.) dell’Università degli Studi di Genova, Medico Veterinario Libero Professionista, Clinica Veterinaria Equine Practice
Key words: Stem cells, adipose tissue, bone rigeneration
E’ stata eseguita anche la colorazione per la Fosfatasi
Alcalina per mettere in evidenza questo marcatore precoce
del differenziamento osteogenico.
-Differenziamento adipogenico in vitro:
Le colture sono state stimolate per 2 settimane in ĮMEM
contenente FCS 10% supplementato con desametasone
1PM, insulina 10Pg/mL, indometacina 0,2mM e 3-isobutilmetil-xantina 0,5mM. I lipidi sono stati evidenziati mediante
colorazione istologica con Oil Red.
-Differenziamento osteogenico in vivo:
Le AMSC al primo passaggio sono state risospese in 100PL
di Tissucol e 20PL di trombina e fatte adsorbire su cubetti di
idrossiapatite. Successivamente impiantati sottocute in topi
immunodepressi (topi nudi, ceppo Cd1 Nu/Nu). Dopo otto
settimane, gli animali sono stati sacrificati e gli impianti
prelevati. Questi campioni, data la presenza di una matrice di
idrossiapatite, sono stati prima decalcificati mediante
l’impiego di una soluzione di EDTA. La matrice ossea
depositata e’ stata evidenziata mediante colorazione con
ematossilina eosina. Come controllo positivo sono state
utilizzate MSC di midollo osseo di pecora.
- Preparazione del substrato per l’impianto:
Dopo arricchimento in coltura, le AMSC sono state raccolte e
sospese nel plasma piastrinico (4X) arricchito dello stesso
soggetto nella concentrazione di 400.000 cellule/mL. Il gel
(gel piastrinico), avente funzioni di supporto ai fini
dell’impianto e di apporto di fattori di crescita, è stato
ottenuto mediante aggiunta di cloruro di calcio al 10% plasma
piastrinico contenente le AMSC.
-Inoculazione delle AMSC in cavità cistica:
Previo curettage, l’impianto del gel è stato effettuato in
artroscopia, mediante riempimento della cavità cistica usando
una siringa da 20 mL collegata ad una cannula.
L’attecchimento dell’impianto ed il successivo grado di
riempimento della cavità cistica è stato monitorato mediante
esame radiografico a 3, 5 e 10 mesi dall’intervento.
ABSTRACT
Multipotency of mesenchymal stem cells (MSC) derived from
bone marrow (BMSC) as well as from adipose tissue (AMSC)
has been broadly demonstrated. However, compared with
BMSC, use of AMSC is advantageous in terms of their major
concentration in the tissue of origin, practicability of fat
collection, simpler cell isolation and enrichment.
In this study, we investigated the feasibility of using
autologous AMSC for the bone regeneration in repairing a
case of subchondral bone cyst of the medial femoral condyle
of a thoroughbred horse.
In vitro and in vivo
characterisation and verification of differentiation capacity
into osteogenic and adipogenic lineage was carried out.
A platelet gel was used not only as scaffold, but, more
importantly, to guarantee the supply of cell growth factors.
The efficacy of treatment, based on the radiographic and
clinical follow up, was conducted over 20-month period
assessing bone growth and functional recovery following
implantation.
INTRODUZIONE
Le cellule staminali di origine mesenchimale isolate dal
midollo osseo, in presenza di adeguati fattori di crescita, sono
in grado di moltiplicare e differenziare in linee di popolazioni
cellulari mesenchimali (miociti, osteociti, condrociti, neuroni,
adipociti, fibroblasti, epatociti, ecc.).
Le cellule staminali mesenchimali sono state isolate anche
dal tessuto adiposo (2) e possono essere moltiplicate in vitro
e differenziare al pari di quelle da midollo osseo (3, 5, 6).
Considerati i diversi vantaggi tra cui la facilità di isolamento,
la rapidità di espansione, la multipotenzialità ed il numero di
cellule presenti fino a 50 volte superiore (1, 4), le AMSC
possono costituire un substrato alternativo a quelle del
midollo osseo.
Scopo del lavoro è stato quello di caratterizzare il potenziale
differenziativo delle AMSC equine, in vitro ed in vivo, in senso
osteogenico e adipogenico e definire un protocollo
sperimentale per il loro impiego terapeutico nel trattamento
della cisti subcondrale del condilo femorale mediale del
cavallo.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Le cellule isolate dal soggetto in questione sono giunte a
confluenza già in quarta quinta giornata dall’isolamento.
La popolazione cellulare isolata mostrava una morfologia
allungata fibroblastoide, piuttosto omogenea già dal primo
passaggio.
Il differenziamento osteogenico in vitro delle AMSC risultava
evidente già al termine della prima settimana di stimolazione
con i fattori di induzione, essendo possibile evidenziare sia la
presenza di abbondanti depositi di calcio, mediante la
colorazione con Alizarina S (Fig. 1a), sia la presenza di
Fosfatasi Alcalina.
Il differenziamento adipogenico in vitro è stato invece
osservato dopo la seconda settimana dall’inizio della
specifica stimolazione. Ciò era rilevabile per la positività di
alcune colonie adipocitiche alla colorazione con Oil Red (Fig.
1b).
MATERIALI E METODI
-Isolamento di cellule staminali:
Le AMSC sono state ottenute da grasso sottocutaneo
prelevato in zona pericaudale ad un cavallo Purosangue
inglese da corsa di 5 anni. Il soggetto che presentava una
zoppia di quarto grado (scala di 5) era stato in precedenza
sottoposto a due interventi chirurgici in artroscopia per
l’enucleazione della cisti ed il currettage della cavità, senza
esito risolutivo.
Il grasso è stato digerito con collagenasi I allo 0,075%. Le
cellule isolate state quindi sospese in ĮMEM contenente FCS
10% e coltivate a 37°C al 5% di CO2 .
-Differenziamento osteogenico in vitro:
le colture sono state stimolate per 2 settimane in mezzo
standard supplementato con acido ascorbico 50Pg/mL, Eglicerofosfato 10mM, desametasone 10-7M. Il controllo
negativo era rappresentato dalle AMSC fatte crescere in
ĮMEM contenente FCS 10%. La presenza di depositi di
calcio è stata rilevata tramite la colorazione Alizarina Red S.
95
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
pertanto essere considerato un substrato di elezione per
l’ottenimento di cellule progenitrici mesenchimali.
Il suo impiego potrebbe trovare anche altre differenti
applicazioni oltre a quella di medicina rigenerativa descritto
nel presente lavoro.
a
a
Fig. 3: Evoluzione radiografica della cisti
subcondrale. a) situazione preoperatoria e b)
dopo 10 mesi dall’operazione. Le frecce
indicano la regione della cisti subcondrale.
b
Fig. 1: Differenziamento in vitro (a)
osteogenico, b) adipogenico. Monostrato
cellulare visto al microscopio ottico (la freccia
indica i depositi di calcio).
BIBLIOGRAFIA
1.
Il differenziamento osteogenico in vivo nei topi nudi è stato
osservato all’ottava settimana. All’esame istolologico si
evidenziava una formazione ectopica di osso negli scaffold di
idrossiapatite caricati sia con le AMSC di cavallo , sia in quelli
con le MSC di origine ovina impiegate come controllo (Fig. 2).
2.
3.
4.
mo
mo
5.
a
b
c
6.
mo
ta
b
Fig. 2: Formazione di osso in vivo. a) e b) =
AMSC equine, c) = MSC di midollo osseo
ovino, mo= matrice ossea e ta= tessuto
adiposo.
Le radiografie di controllo, effettuate dopo 3, 5 e 10 mesi
dall’inserimento del gel piastrinico contenente le AMSC,
hanno mostrato un costante e progressivo miglioramento con
aumento di spessore della placca subcondrale e riempimento
della cavità cistica fino a quasi scomparsa (Fig. 3).
Dal punto di vista funzionale la zoppia è scomparsa a partire
dal secondo mese dall’intervento, il soggetto ha ripreso il
training dal quarto mese ed ha iniziato l’attività agonistica fra
il decimo e l’undicesimo mese.
L’impianto di AMSC in gel piastrinico ha fornito risultati
incoraggianti e potrebbe pertanto trovare utile impiego anche
per altre patologie ossee di dimensioni non critiche resistenti
alle terapie ortopediche di tipo convenzionale.
In particolare, con l’impiego di AMSC e gel autologhi viene
meno ogni problematica connessa a rigetto.
Per le tecniche di prelievo poco invasive, l’abbondanza sia in
termini di matrice biologica, sia di concentrazione e le
caratteristiche di crescita osservate, il tessuto adiposo può
96
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UTILIZZO DI STRUMENTI BIOINFORMATICI “WEB-BASED” PER LO STUDIO DI UN NUOVO PROTOCOLLO
MOLECOLARE PER LA RILEVAZIONE DI PCV2
Barocci S, Briscolini S, Silenzi V, Nardi S, Simoni E, Sabbatini M
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia;
KEYWORDS: PCV2, PCR, web-based
software BioEdit (7.0.5.3). Dopo l’allineamento multiplo
(applicazione ClustalW Multiple Alignment) è stata
determinata la sequenza consensus su cui sono stati
disegnati i primer. La parte di consensus a livello dell’ORF1
che ha dimostrato avere la sequenza maggiormente
conservata è stata utilizzata per il primer design con Primer3
(v. 0.4.0). Fra i primer ottenuti, sono stati selezionati quelli che
hanno dato risultati migliori per specificità teorica in silico,
dopo
controllo
tramite
BLAST
(http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi), programma Nucleotide
Blast, ottimizzato per sequenze altamente simili (Megablast) .
INTRODUZIONE
Il circovirus suino tipo 2 (PCV2) è un membro della famiglia
Circoviridae, una famiglia virale definite recentemente,
composta da piccoli virus con capside icosaedrico, senza
envelope, con un genoma a DNA circolare a singolo
filamento. Il PCV2, ritrovato in tutto il mondo, sia nei suini che
nei cinghiali, è stato recentemente associato ad alcuni stati
patologici che sono stati definiti malattie da circovirus suino
(PCVD). Postweaning multisystemic wasting syndrome
(PMWS), porcine dermatitis and nephropathy syndrome
(PDNS) e disordini riproduttivi sono le più rilevanti. Fra
queste, solo la PMWS è considerata una malattia con un
pesante impatto nella produzione di suini domestici (1, 3).
Il PCV2 ha due principali open reading frames (ORF), ORF1
(gene rep), essenziale per la replicazione del DNA (2), e
ORF2 (gene cap), che codifica la proteina maggiore del
capside (5). Uno dei fattori responsabili della persistenza del
virus nell’organismo è da attribuirsi alla variabilità genetica
che si verifica durante la replicazione virale nell’ospite con
implicazioni antigeniche, di virulenza e di immunogenicità.
L’analisi filogenetica delle sequenze di PCV2 riportate in
GenBank hanno suggerito che l’ORF2 è adatto per separare
gli isolati di PCV2 in gruppi e cluster, mentre l’ORF1 è
altamente conservato. L’emergenza di molti nuovi genotipi di
PCV2, come dimostrato dall’analisi filogenetica dell’intero
genoma o delle sequenze capsidiche, rende necessario
creare metodiche biomolecolari basate su sequenze
conservate. Scopo del presente lavoro è stato quello di
creare una nuova metodica in PCR per PCV2, utilizzando
strumenti bioinformatici “web-based” e ad accesso gratuito. Il
protocollo di PCR si basa sull’allineamento di diverse
sequenze genomiche complete depositate negli ultimi anni in
GenBank, in modo da ottenere una metodica efficace basata
sulle sequenze dei ceppi virali attualmente circolanti.
PCR
Nella prima prova di messa a punto è stato eseguito un
gradient di 10°C (da 56 a 66°C), con variazione di 1°C per
colonna, per valutare la migliore temperatura di annealing.
Successivamente la metodica è stata effettuata a varie
concentrazioni di MgCl2 (da 1 a 2,5 mM) per individuare la
migliore quantità di magnesio per l’amplificazione. Una volta
ottimizzati questi due parametri, la PCR è stata effettuata in
un volume di 25 ȝL contenente MgCl2 (1,5 mM), Buffer
GoTaq® 1X (Promega, WI, USA), dNTPs (0,2 mM), primer
(Invitrogen,
USA)
PCV2-FMTSEf
(5’AGAAACAAGTGGTGGGATGG-3’) e PCV2-FMTSEr (5’®
TACAGCTGGGACAGCAGTTG-3’) (1 ȝM), GoTaq (1,25 U)
e 2 ȝL di DNA. Il protocollo di amplificazione utilizzato è stato
il seguente: denaturazione iniziale a 93°C x 3’; 35 cicli a 93°C
x 15’’, 60,5°C x 10’’, 72°C x 30’’; estensione finale a 72°C x 8’.
Il protocollo ha una durata di 75 minuti in amplificatore
Mastercycler ep gradient S (Eppendorf, Germania). Gli
ampliconi ottenuti sono risultati di 219 bp. La corsa
elettroforetica è stata eseguita su gel di agarosio al 2%. Per la
visualizzazione del DNA (Sistema GelDoc 2000, BioRad,
Francia) è stato utilizzato bromuro di etidio (Sigma-Aldrich,
Italia) e, come marker di peso molecolare, è stato scelto il
Ladder 100 bp (Celbio, Italia).
MATERIALI E METODI
Per le prove di sensibilità analitica è stato utilizzato un DNA
di PCV2 estratto e quantificato secondo metodi tradizionali
(7). Per le prove di sensibilità diagnostica sono in corso di
analisi campioni riscontrati positivi per PCV2 all’isolamento
virale ottenuti dalla routine diagnostica. In quest’ultimo caso
l’estrazione del DNA è stata effettuata sia da vari tipi di
organo (estrazione con GenElute Mammalian Genomic DNA
Maniprep kit, SIGMA, USA), che da sovranatante di colture
cellulari di rene neonatale suino, NSK (estrazione per
bollitura), precedentemente testate come PCV2 negative.
Real-Time PCR
I campioni di campo sono stati sottoposti ad isolamento virale
su colture cellulari (NSK) ed il DNA virale, estratto da 200 μl
di surnatante, è in corso di analisi in real-time PCR. Il
protocollo di estrazione utilizzato è quello descritto dalla
metodica QIAamp DNA Mini Kit (QIAGEN, Italia). Per
l’amplificazione sono stati utilizzati primer da sequenze
conservate di ORF2 (6). La reazione di amplificazione è stata
effettuata in un volume di 20 μl contenente: 1X Master Mix
(Eppendorf, Germania), 200 nM forward primer (5’TAGGTGAGGGCTGTGGCCTTT-3’), 200 nM reverse primer
(5’-ATGGCATCTTCAACACCCGCC-3’), 100 nM TaqMan®
probe (5’-ATCTCATCATGTCCACCGCCCAGGA-BHQ1-3’).
Dopo aver aggiunto 5 μl di DNA, i campioni sono stati
amplificati in Real-Time PCR System DNA Engine Opticon 2
(Bio-Rad, Francia) usando i seguenti parametri: iniziale
attivazione della polimerasi a 95°C per 1 minuto seguita da 35
cicli a 94°C per 20 secondi e un ciclo a 60°C per 1 minuto. Il
Studio in silico
Tutti gli strumenti bioinformatici utilizzati nel presente lavoro
sono disponibili sul web.
Le sequenze di interesse dell’intero genoma di PCV2
depositate negli ultimi tre anni sono state ottenute da
GenBank (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/gquery). Tutte le
168 sequenze selezionate sono state allineate utilizzando il
97
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
numero dei cicli richiesti per calcolare la fluorescenza (Ct) è
stato determinato per ogni campione.
DISCUSSIONE
Il nuovo protocollo di PCR proposto risulta uno strumento
efficace per la diagnostica di PCV2 da varie matrici. Il
protocollo, infatti, è stato applicato dopo diversi tipi di
estrazioni e da varie matrici (diversi organi e sovranatante di
colture cellulari), ottenendo sempre i medesimi risultati,
rispetto a protocolli utilizzati in precedenza, che non erano
caratterizzati dalle stesse performance. La real-time PCR,
effettuata in triplicato, ha mostrato un’ottima concordanza con
la metodica proposta.
Nonostante i dati per tutti i trenta campioni utilizzati nella fase
preliminare della validazione debbano essere integrati (sono,
infatti, in corso le analisi in real-time PCR dei restanti
campioni), i risultati ottenuti in questa prima parte della messa
a punto sono molto confortanti, soprattutto riguardo al limite di
rilevabilità riscontrato.
RISULTATI
Il lavoro eseguito tramite strumenti bioinformatici “webbased” ha permesso lo studio completo di una nuova PCR
per PCV2. Gli stessi strumenti possono essere utilizzati per
lo studio di metodiche in PCR a tutti i livelli.
Figura 1. Limite di rilevabilità della PCR. Lane 1: ladder 100
bp; lane 2-10: diluizioni seriali di DNA di PCV2 (da 33,4 ng a
0,025 ng totali per reazione); lane 11 e 12: controlli negativi
di estrazione ed amplificazione.
1
2
3
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6
7
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9
10
11
12
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Tale metodica è in corso di validazione secondo i principali
parametri di valutazione dell’OIE (4).
Figura 2. Real-Time PCR di conferma della sensibilità
diagnositica della PCR. La reazione è stata eseguita da DNA
estratto da surnatante di colture cellulari (NSK) inoculate con
alcuni campioni positivi di campo (C1-C5). I campioni
presentano un Ct compreso fra 14.20 e 19.77.
SUMMARY
Porcine circovirus type 2 (PCV2) infects porcids and is the
causative agent of an important emerging swine disease
(PMWS). In this work we show the study and preliminary data
on the evaluation of a new diagnostic PCR, based on a
consensus sequence obtained from the alignment of 168
whole genomes of PCV2. All the study has been performed
using web-based and freeware softwares. The rapid PCR
protocol, during this part of evaluation, demonstrated good
sensitivity, specificity and detection limit and can potentially
be used for routine analyses either from pooled organs or cell
culture supernatants.
I dati preliminari ottenuti dalla validazione in corso sono
confortanti ed evidenziano che la metodica ha buone
sensibilità e specificità diagnostiche, relativamente a
isolamento virale e real-time PCR. Il limite di rilevabilità
stimato è di 0,05 ng di DNA per reazione, quindi una
concentrazione di DNA estratto di 0.025 ng/ȝL (Fig. 1). Per
ottenere i dati di sensibilità diagnostica, tutti i campioni (N.
30), sia positivi che negativi, sono stati sottoposti ad
isolamento virale ed i surnatanti sono in corso di analisi in
real-time PCR. La real-time PCR risulta importante a causa
dell’assenza di effetto citopatico da PCV2 su NSK. Tutti i
campioni analizzati finora in PCR hanno evidenziato una
buona correlazione con i risultati ottenuti in real-time-PCR
(Fig. 2).
Si ringraziano per la collaborazione il Dott. Stefano Petrini, il Dott.
Riccardo Villa e la Dott.ssa Maura Ferrari.
Per informazioni: [email protected]
98
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ESAME BATTERIOLOGICO/PCR SU TAMPONI NASALI DI BOVINI IN FOCOLAI DI MALATTIA
RESPIRATORIA
1
Benedetti V, 2Manzoli C, 1Vezzoli F, 1Luini M
1
2
IZSLER - Sezione di Lodi; Farmaceutici Gellini
Key words: nasal swab, cattle, PCR
ABSTRACT
The prevalence of main bacterial respiratory pathogens was
studied in 354 cows of different age and attitude during
outbreaks of respiratory disease. The animals were sampled
with swabs of the deep nasal cavity (30 cm of length). P.
multocida, M. haemolitica and A. pyogenes were
demonstrated by culture and typing with conventional
method. H. Somni and M. Bovis were demonstrated by
culture and subsequent specific PCR on developed colonies.
M. bovis was the pathogen more frequently demonstrated
(33,6%), followed by P. Multocida (21,5%) H. Somni (13,6%),
M haemolitica (11,9%) and A pyogenes (1,1%). The
microorganisms were frequently associated. Our method of
culture/PCR is valid to demonstrate “difficult microorganism”
from potentially contaminated sources.
e vitelloni da carne) dislocati nel Nord Italia. Sono stati inclusi
nel campionamento animali con sintomi respiratori e non
appartenenti a gruppi in cui fosse in corso un focolaio di
malattia respiratoria.
Tamponi nasali – Su ciascun animale è stato effettuato un
tampone nasale profondo previo contenimento dell’animale,
pulizia del musello e introduzione per quasi tutta la sua
lunghezza in una delle due cavità nasali di un tampone di
cotone di 30 cm. munito di una guaina protettiva in silicone. Il
tampone, dopo essere stato sfregato sulla mucosa della
cavità nasale è stato recuperato ed immediatamente immerso
in terreno di trasporto agarizzato Amies al carbone. Il
campione ottenuto è stato immediatamente refrigerato e
consegnato al laboratorio entro 48 ore dal prelievo.
Esame batteriologico – I tamponi sono stati risospesi in 0,5
ml di PBS e seminati su due piastre di Agar Sangue (5% g.r.
di montone), una di BHI Agar, una di Mc Conkey Agar ed una
di PPLO Agar (20% di siero equino e 5% di autolisato di
lievito, penicillina e acetato di tallio). Le piastre sono state
incubate a 37°C per 24/48 ore e le colonie morfologicamente
riferibili a P. multocida e M. haemolytica sono state isolate e
tipizzate secondo le comuni metodiche in uso nel nostro
laboratorio. Per l’isolamento di H. Somni una piastra Agar
Sangue è stata incubata a 37°C in micro-aerofilia al 10% di
CO2 per 48/72 ore. La piastra di PPLO per l’isolamento di M.
bovis è stata incubata a 37°C in micro-aerofilia al 10% di CO2
per 5-7 giorni per la valutazione della comparsa di tipiche
colonie a uovo fritto con caratteristica produzione di film. A
causa della relativa frequenza di contaminazioni da
microrganismi ambientali H. somni e M. bovis sono stati
dimostrati con PCR anche in presenza di altri microrganismi a
crescita più rapida (i.e. Pasteurella e Mannheimia) o di flora
microbica contaminante. A tale scopo tutte le colonie su
piastre di Agar Sangue e su PPLO Agar incubati in CO2,
rispettivamente dopo 48/72 ore e 5/7 giorni sono state
raccolte e sottoposte a PCR. Il protocollo utilizzato per le
ricerche batteriologice condotte è schematizzato nella figura
1.
INTRODUZIONE
Le forme respiratorie dei bovini, Bovine Respiratory Disease
Complex (BRDC), sono causa di elevate perdite economiche
ed è ampiamente dimostrato che i fattori eziologici coinvolti
siano molteplici: l’animale, l’ambiente, il management e
numerosi agenti patogeni. I virus maggiormente coinvolti
sono il Virus Respiratorio Sinciziale del Bovino (VRSB), il
virus della Rinotracheite Infettiva del Bovino (IBR), il virus
Parainfluenza 3 (PI3) e il virus della Diarrea Virale del Bovino
(BVDV) (2). Dal punto di vista batteriologico Mycoplasma
bovis è primariamente coinvolto nel determinismo di forme
respiratorie e ci sono evidenze che l’infezione induca una
immunodepressione che può predisporre all’invasione da
parte di altri patogeni (1,8). Mannheimia haemolytica,
Pasteurella multocida e Histophilus somni sono altri batteri
isolati con frequenza in corso di BRDC. Questi germi
possono essere presenti come organismi opportunisti nella
cavità orofaringea dei mammiferi e situazioni debilitanti
possono intervenire sulle normali difese consentendone la
moltiplicazione fino ad una invasione dei tratti più profondi
dell’albero respiratorio (3,6,10). M. haemolytica, grazie a
specifici fattori di virulenza, è in grado di indurre patologia
primaria anche in assenza di pregresse infezioni virali (10). H.
somni è stato riconosciuto come causa di numerose
manifestazioni patologiche tra le quali forme di
meningoencefalite tromboembolica (TME), pleuropolmoniti,
miocarditi, otiti, congiuntiviti, ma anche disordini nella sfera
riproduttiva (6). H. somni si è dimostrato sperimentalmente in
grado di determinare lesioni respiratorie anche come unico
agente infettivo, tuttavia nella patologia spontanea agisce
molto spesso in sinergia con altri comuni patogeni respiratori
del bovino. In particolare è stato dimostrato un netto
incremento della capacità pneumopatogena di H. Somni
quando questo si sovrappone ad infezioni respiratorie
sostenute da VRSB (5).
Questo lavoro riporta il protocollo e le metodiche utilizzate in
una indagine effettuata su tamponi nasali di giovani bovini
colpiti da forme respiratorie.
Tampone in PBS
Fig. 1 – Protocollo per semina di tamponi nasali e raccolta di
materiale da piastre per identificazione mediante PCR.
ASA CO2
ASA 37°C
48/72 h
Spatolato
0,5 ml diH2O sterile+DEPC
ASA CO2
MATERIALI E METODI
Animali – Sono stati soggetti a campionamento 354 animali
di età compresa tra i 20 giorni ed i 15 mesi di vita. I bovini, di
varie razze, provenivano da 53 allevamenti a diversa tipologia
(linea vacca-vitello, vitelli a carne bianca, allevamenti da latte
PCR H. SOMNI
BHI
MC
PPLO
5/7 Giorni
Spatolato
0,5 ml diH2Osterile+DEPC
PPLO
PCR M. BOVIS
VIROLOGICO
Estrazione del DNA – Come sopraccennato, per ogni
piastra tutte le colonie cresciute sono state risospese in 0,5
99
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ricerche segnalate in letteratura (1,2,4). Il prelievo con
tampone profondo delle cavità nasali praticato ad oltre 20 cm.
dall’entrata delle narici e utilizzando un tampone protetto da
una guaina di silicone non ha comunque impedito una
elevata frequenza di tamponi con flora batterica contaminante
(62,4%) o completamente inquinati (3,9%). Senza il ricorso al
metodo batteriologico/PCR da noi utilizzato quasi tutti i
positivi per H. somni (91,7%) e una parte considerevole dei
positivi per M. bovis (23,5%) sarebbero sfuggiti al solo esame
batteriologico in seguito all’inquinamento della coltura od al
mascheramento della crescita da parte di altri microrganismi.
Probabilmente il ricorso al tampone profondo protetto da una
ulteriore guaina da utilizzarsi durante la introduzione nella
cavità nasale, da perforare solo nel momento in cui il
tampone avesse già raggiunto il sito di prelievo avrebbe
condotto a risultati migliori. Del resto è apparsa chiara una
differenza di percentuali di contaminazione dei prelievi da
parte di diversi veterinari operatori e a seconda della
esperienza acquisita nell’operazione. Gli aspetti clinici dei
casi considerati, che pure sono stati registrati, non sono
oggetto della presente trattazione, anche perché sono in
corso ulteriori esami virologici, che saranno seguiti da una
analisi dei risultati ottenuti su animali ammalati e di controllo
presenti nei focolai.
Riteniamo in conclusione che il metodo batteriologico/PCR
sia valido e proponibile soprattutto per la dimostrazione di
microrganismi a difficili, a lenta crescita, specie su campioni
suscettibili di contaminazione nel prelievo come tamponi
nasali, vaginali o cervicali, urine e dove i terreni selettivi non
siano sufficientemente tali o vi sia il rischio di selezione anche
dei microrganismi che si intende dimostrare.
ml di H2O distillata sterile addizionata di DEPC
(dietilpirocarbonato 0,1%). Il prodotto così ottenuto è stato
conservato a -20°C fino al momento dell’estrazione.
L’estrazione del DNA è stata effettuata mediante bollitura a
100°C per 15’.
PCR – Dal DNA estratto sono state effettuate due PCR
singole secondo metodiche riportate in letteratura o
precedentemente utilizzate (7,9). Brevemente, per H. somni è
stata utilizzata una coppia di primers specie specifici (HS Fw:
5’ GGA GGC GAT TAG TTT AAG AG 3’ - HS Rw: 5’ TTC
GGG CAC CAA GTR TTC A 3’) che amplificano un
frammento di 400 bp del gene 16s rRNA . La reazione è stata
condotta in un volume finale di 20 Pl, contenente 0.25 PM di
ciascun primer, 100 PM di dNTPs, 0,5 unità di Taq polimerasi
(Hot Star®) e 2 Pl del lisato ottenuto dalla bollitura diluito 1:50
in H2O distillata sterile addizionata di DEPC. È stato utilizzato
il seguente protocollo di amplificazione: denaturazione a 95°C
per 15’, 35 cicli di 94°C per 1’, 55°C per 1’ e 72°C per 1’ con
una extension finale a 72°C per 5’. Dieci microlitri dei prodotti
così ottenuti sono stati visualizzati mediante elettroforesi su
gel di agarosio al 1.5% (9). Per M. bovis è stata utilizzata la
seguente coppia di primers specie specifici: MYCBV-Fw – 5’
TAT CGG TGA CCC TTT TGC AC 3’; MYCBV-Rw – 5’ TTC
CAC TTC CTG ACT CAC CA 3’ che amplificano un
frammento di 348 bp. La reazione è stata condotta in un
volume finale di 20 Pl, contenente 0.2 PM di ciascun primer,
200 PM di dNTPs, 1 unità di Taq polimerasi (Roche
Diagnostics®) nel suo buffer di reazione 1x 1.5mM di MgCl2
e 5 Pl del lisato ottenuto dalla bollitura. E’ stato utilizzato il
seguente protocollo di amplificazione: denaturazione a 95°C
per 5’, 36 cicli di 95°C per 1’, 55°C per 30” e 72°C per 30” con
una extension finale a 72°C per 7’. Dieci microlitri dei prodotti
così ottenuti sono stati visualizzati mediante elettroforesi su
gel di agarosio al 1.5% (7).
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia la Sig.ra Giuseppina Bramè e la Sig.ra Valentina
Vezzini per la eccellente collaborazione tecnica prestata. Si
ringraziano i medici veterinari che hanno effettuato i prelievi.
RISULTATI
Nei 354 tamponi nasali esaminati il microrganismo patogeno
dimostrato con maggiore frequenza è stato M. bovis con 119
positivi (33,6%), seguito da P. multocida con 76 positivi per
(21,5%), H. Somni con 48 positivi (13,6%), M. Haemolitica
con 42 positivi (11,9%) e A. pyogenes con 4 campioni positivi
(1,1%). Nel 62,4% sulle piastre di Agar sangue era presente
la crescita di una flora batterica polimorfa più o meno
abbondante, ma tale da consentire comunque di identificare
la contemporanea presenza di agenti patogeni. Nel 3,9%
delle piastre invece era presente un inquinamento che ha
reso impossibile la interpretazione delle colture. Nel 25,4%
dei casi gli agenti patogeni sono stati isolati in diverse
associazioni tra di loro, associazioni composte anche da tre
patogeni (4,2%). In 19 tamponi si è messa in evidenza la
contemporanea presenza di M. Bovis e H. Somni. In 53
tamponi si è messa in evidenza la presenza del solo M.
Bovis, in 15 quella del H. Somni, in 15 di P. Multocida, in 22
di M. Haemolitica.
Con i metodi descritti gli esami colturali hanno permesso
l’isolamento di 91 ceppi di M. Bovis e di soli 4 ceppi di H.
somni, mentre con PCR ne sono stati dimostrati
rispettivamente 119 e 48.
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Health Res 8(2):117-28.
DISCUSSIONE
I metodi da noi utilizzati si sono dimostrati utili nella
dimostrazione dei principali batteri patogeni responsabili di
forme respiratorie nel bovino, riscontrati da soli o associati nel
55.1% dei campioni analizzati ed hanno evidenziato una alta
frequenza di positività specie per M. bovis (33,6%) e per P.
multocida (21,5%). Anche la dimostrazione di H. somni e di
M. haemolytica è risultata frequente con percentuali di
positività rispettivamente del 13,6% e 11,9%. Questi risultati
confermano le nostre precedenti ricerche (7) e analoghe
100
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
QUADRI ANATOMO-PATOLOGICI E ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. IN ALLEVAMENTI BOVINI
PIEMONTESI
Bergagna S., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Adriano D., Grattarola C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Keywords: Salmonella – cattle – infection
Introduzione
La Salmonellosi è una patologia importante negli animali
domestici sia per la gravità dei sintomi a lei associati sia per i
risvolti di natura sanitaria conseguenti il carattere zoonosico
dell’infezione.
La sintomatologia clinica nei bovini comprende, come
nell’uomo, febbre, depressione e diarrea, caratterizzata da
feci acquose, talvolta striate di sangue, muco, con presenza
di cenci necrotici di mucosa intestinale (2). Occasionalmente
possono manifestarsi anche forme differenti quali: setticemia,
aborti, patologie a carattere respiratorio o articolare. Non
mancano infine i soggetti asintomatici e diffusori (4).
Dal Report EnterVet Anno 2006, si evince che il sierotipo più
frequentemente isolato negli animali risulta essere S.
Typhimurium con una frequenza pari al 18,96% (17,59% nel
2005 e 22,24% nel 2004). Lo stesso andamento viene
osservato nel bovino.
La ricerca delle salmonellosi animali è da considerarsi quindi
un’importante attività svolta presso gli Istituti Zooprofilattici
Sperimentali (IZS) in materia di controllo e di monitoraggio di
infezioni trasmissibili all’uomo.
Pertanto, lo scopo principale di questo report è quello di
descrivere i quadri clinici ed anatomo-patologici legati
all’infezione da Salmonella spp. nel bovino osservati nel
corso dell’attività diagnostica degli ultimi anni presso l’IZS
della Sede di Torino.
Agar Sangue (AS) per diluizione. Dopo incubazione di 18-24
ore, sono stati valutati i seguenti parametri: viraggio di colore,
produzione di H2S e sviluppo di gas su TSI. A partire dalle
colonie su AS è stata allestita la prova dell’ossidasi. Le
colonie con caratteristiche riferibili a quelle di Salmonella spp.
sono state sottoposte ad identificazione mediante galleria API
e tecnica ELISA per la valutazione degli antigeni sia somatici
(O) che flagellari (H). La fagotipizzazione dei ceppi di
Salmonella Typhimurium è stata eseguita presso il Centro di
Referenza Nazionale delle Salmonellosi di Padova.
Tabella n. 1: isolamento di Salmonella spp. nei bovini –
attività e risultati
Materiali e Metodi
Campionamento – Nella tabella n. 1 sono riportati i casi
relativi a salmonellosi nel corso degli anni 2002-2008
(aggiormanento al 31/07/08) sul totale dei capi bovini
esaminati per anno.
Esami di laboratorio – Su tutti gli animali sono stati condotti
esami anatomo-patologici ed esami microbiologici mirati
all’accertamento della causa di morte e un (Tabella n. 2).
Isolamento di Salmonella sp. con metodo classico (1,3) –
Arricchimento. I campioni sono stati suddivisi in due aliquote
e sottoposti a due diverse modalità di arricchimento. La
diluizione osservata è stata di 1/10 e ai campioni è stata
aggiunta idonea quantità di Selenito Cistina (SC) e di
Rappaport Vassiliadis (RV) o Mueller-Kauffman Tetrationato
(Mkttn). Per l’aliquota trattata con SC, l’incubazione è
avvenuta a 37°C per 18-24 ore, mentre l’aliquota in RV è
stata posta in incubatore a 42°C. Isolamento. Osservato il
periodo d’incubazione, I campioni in SC e in RV sono stati
seminati in doppio su terreni solidi Brilliant Green Agar (BGA)
e Xilose Lysine Deoxycholate Agar (XLD), inoculando 0,1ml
di liquido. Le piastre sono state incubate a 37°C per 18-24
ore.
Isolamento di Salmonella sp. con MSRV (4) –
Prearricchimento. Dal campione sono stati prelevati 200g di
materiale omogenato con pari volume di BPW. Tutti i
campioni sono stati messi ad incubare in termostato a 37°C
per 18-24 ore. Isolamento. I campioni sono stati in seguito
seminati su altrettante piastre di terreno semisolido MSRV,
seminando tre gocce della sospensione in esame a formare
gli apici di un triangolo. Le piastre sono state messe in
incubatore a 42°C per 48 ore, controllando l’eventuale
crescita a 24 e a 48 ore.
Identificazione batterica – Le colonie che hanno presentato
crescita caratteristica sui terreni utilizzati, sono state
trapiantate su Triple Sugar Iron Agar (TSI) per infissione e su
anno
Campioni
positivi
Campioni
testati
Tipologia
animale
2002
1
162
1 vitello
2003
1
153
1 vitello
2004
0
216
-
2005
0
211
-
2006
0
144
-
2007
1
218
1 vitello
2008
4
216
3 vitelli
1feto
Risultati
Nella tabella n. 2 sono stati riassunti i risultati delle indagini di
laboratorio condotte presso l’IZS di Torino.
Tabella n. 2: risultati delle indagini condotte sui bovini risultati positivi
[TETRAKIT: kit ELISA per la ricerca di Cryptosporidium parvum, E.
coli K99, Rotavirus, Coronavirus; EB: esame batteriologico]
*(fagotipizzazione in corso)
CASO
anno
BVD
TETRAKIT
ES.BATT
Caso1
2002
N
CRYPTOSPORIDIUM
E. COLI, S.Typhimurium
U302
Caso2
2003
N
N
S.Typhimurium DT104
Caso3
2007
N
CRYPTOSPORIDIUM
S.Typhimurium DT138
Caso4
2008
N
CRYPTOSPORIDIUM
S.Typhimurium*
N
N
S.Typhimurium DT110
N
ROTAVIRUS
NEGATIVO
N
CRYPTOSPORIDIUM
E. COLI, S. DERBY
Caso5
2008
Caso6
2008
101
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Caso7
2008
N
-
(71%). Questo può essere spiegato dal fatto che l’insorgenza
della patologia è fortemente condizionata da fattori igienicosanitari ed errori di management. Scarsa pulizia dei ricoveri,
insufficiente opera di derattizzazione e sovraffollamento delle
vitellaie sono le criticità osservate nei casi 2, 3, 4 e 5.
A riprova di ciò, è importante osservare che gli stessi fattori
predisponenti sono stati alla base dell’insorgenza in questi
allevamenti di altre patologie infettive a carattere
gastroenterico (criptosporidiosi, rotavirosi, coccidiosi e
colibacillosi).
In linea con quanto riportato da altri autori (2), si ritiene,
quindi, che l’inserimento sistematico di esami microbiologici
per la ricerca di Salmonella spp. nei protocolli diagnostici
delle enteriti neonatali rappresenta un valido strumento per il
controllo costante di tale infezione nel bovino.
S. DUBLIN
L’esame necroscopico ha evidenziato:
Caso1/2002: enterite a sfondo emorragico, iperplasia dei
linfonodi meseraici, anemia.
Caso2/2003: cachessia, enterite catarrale, iperplasia dei
linfonodi meseraici.
Caso3/2007: anemia, broncopolmonite catarrale, petecchie e
soffusioni a livello epicardio, enterite catarrale, iperplasia dei
linfonodi meseraici.
Caso4/2008: enterite catarrale (contenuto fecale gialloverdastro), iperplasia dei linfonodi meseraici, anemia.
Coccidiosi
Caso5/2008(a): grave colite necrotico-difterica associata a
iperplasia dei linfonodi meseraici, peritonite fibrinosa,
artrosinovite.
Caso5/2008(b): enterite catarrale, iperplasia dei linfonodi
meseraici, anemia
Caso6/2008: grave enterite e abomasite catarrale, iperplasia
dei linfonodi meseraici, anemia
Caso7/2008: il contenuto del IV stomaco si presenta
emorragico. Successive indagini di laboratorio condotte sul
feto non hanno evidenziato positività agli agenti abortigeni. La
ricerca è stata mirata per l’esclusione di Listeria spp.,
Chlamydia spp., miceti, Campylobacter fetus, Brucella spp.,
BHV4, IBR, PI3.
Bibliografia
1. AFNOR NF V 08-052 (1997)
2. Barberio A. et al., 2005. Osservazioni cliniche ed anatomopatologiche in un focolaio di salmonellosi bovina da Salmonella
enterica subsp. Enterica sierotipo typhimurium nella provincia di
Vicenza. Atti della Società Italiana di Buiatria. 37: 145-150.
3. Decreto del Ministero della Sanità 10/03/1997-“Programma di
controllo per Salmonella enteritidis e Salmonella typhinurium negli
allevamenti di galline ovaiole destinate alla produzione di uova da
consumo
4. ISO 6579
5. Wray C. & Wray A., Eds. (2000). Salmonella in domestic animals.
CAB International, Wallingford, Oxon, UK
Discussione
In tutti i casi di Salmonellosi descritti in questo studio,
venivano riportati nell’anamnesi episodi di enterite neonatale
con tassi elevati di mortalità e in un caso (Caso 2)
sintomatologia gastroenterica e ipertermia anche negli adulti.
Come riportato in bibliografia (2,5), l’infezione da Salmonella
nel bovino è sostenuta principalmente da S. Typhimurium e i
risultati da noi ottenuti sono in linea con questa tendenza
Abstract
In this report we have described pathological findings
occurred principally on eight 7-21 days old calves that
became infected by Salmonella spp. We have observed non
specific pathological features, except in a case. This report
reminds that It is always important to exclude the involvement
of Salmonella spp. in all outbreaks of neonatal enteritis.
102
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
PRESENZA DI COXIELLA BURNETII E MYCOBACTERIUM PARATUBERCULOSIS NEL LATTE CRUDO:
MONITORAGGIO MEDIANTE TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE
Bertasi B., Maccabiani G.,Tilola M., Daminelli P., Boni P
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di
Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia
Key words: latte crudo, coxiella, mycobacterium, PCR
frequentemente, per contaminazione del latte in corso di
mungitura, rappresentando
un potenziale rischio di
contaminazione umana, che si ritiene collegabile con lo
sviluppo della malattia di Crohn’s nell’uomo, anche se non
esistono tuttora evidenze scientificamente inconfutabili di
questo rapporto (8). E’ noto come i micobatteri siano
microrganismi particolarmente resistenti e difficoltosi da
evidenziare mediante le tecniche colturali tradizionali, in
quanto l’isolamento richiede tempi molto lunghi (fino a tre
mesi) ed, inoltre, procedure di decontaminazione capaci di
diminuire la sensibilità del metodo. La necessità di rilevare in
modo rapido e su larga scala la presenza di microrganismi
patogeni collegati al consumo, rende indispensabile la
disponibilità di sistemi diagnostici rapidi e di semplice
esecuzione. Le tecniche di biologia molecolare (PCR e PCR
Real Time) si prestano in particolar modo alle situazioni
precedentemente descritte e rappresentano metodiche in
grado di fornire risultati in tempi brevi, che non superino la
shelf-life del prodotto. Inoltre l’indicazione della presenza di
contaminazione risulta essere un dato importante, anche dal
punto di vista epidemiologico, a prescindere dalla capacità di
distinguere microrganismi vitali da quelli che non lo sono.
Obiettivo del presente lavoro è stato l’applicazione di tecniche
di biologia molecolare, nell’ambito di un piano di monitoraggio
del latte crudo indetto dalla Regione, per effettuare una
preliminare valutazione epidemiologica relativa alle
contaminazioni da parte di Coxiella burnetii e Mycobacterium
paratuberculosis.
SUMMARY
Related to increase of raw milk consuming, it is necessary to
control
products
about
pathogens
contaminations.
Mycobacterium paratuberculosis and Coxiella burnetii are
zoonotic agents that can contaminate raw milk.
M. paratuberculosis is the causative agent of a degenerative
disease primarily in ruminants, but there is a possible link with
development of Crohn’s Disease in humans. Coxiella burnetii
is a causative agent of Q-fever, a widespread zoonosis. It is
not well know how are the links between microrganisms
presence and disease in humans, so it is necessary to
perform monitoring and epidemiological studies. Isolation of
these microrganisms it is very difficult and it takes very long
time when it is performed by traditional culture tecniques; so
in this field molecular biology methods seem to be the most
useful techniques.
INTRODUZIONE
Il crescente orientamento del consumatore verso alimenti
poco o nulla manipolati, per lo più afferenti alla cosiddetta
“catena corta”, a maggior ragione se caratterizzati da vita
commerciale breve (pochi giorni di shelf life) comportano la
necessità di un adeguamento del sistema complessivo dei
controlli.
Tale evoluzione coinvolge anche l’utilizzo di
metodiche di analisi in grado di fornire riscontri nel più breve
tempo possibile, al fine di quanto meno limitare l’impatto sul
consumatore di possibili situazioni di rischio, in particolare
riferita ad agenti microbici, a maggior ragione se dotati di
caratteristiche zoonosiche.
Fra gli alimenti afferenti alla catena corta occupa una
posizione di preminenza il latte crudo che potrebbe
presentare, tra le altre, contaminazioni da Mycobacterium
paratuberculosis e Coxiella burnetii.
Le conseguenze dell’infezione da Coxiella negli animali sono
piuttosto conosciute; nella maggior parte dei casi il decorso si
presenta asintomatico, ma può esitare in aborto. Nonostante
siano note alcune caratteristiche importanti di questo
microrganismo (resistenza al calore, al disseccamento ed ai
disinfettanti) e le modalità di trasmissione dall’animale
all’uomo, pochissimo si conosce relativamente alla diffusione
dell’infezione umana, che risulta certamente sottostimata
(4,5). La mancanza di dati a questo riguardo potrebbe
essere giustificata dal fatto che la sintomatologia si presenta
come altamente aspecifica, sfuggendo quindi alle
segnalazioni ospedaliere, e che tale infezione è sempre stata
classificata come malattia strettamente professionale, in
quanto il maggior rischio di contrarla appartiene agli operatori
del settore (veterinari, allevatori ecc.). Le principali vie di
trasmissione sono orale e respiratoria. Il microrganismo, oltre
ad essere eliminato nelle urine e nelle feci, può ritrovarsi
anche nel latte (6,7); il ritorno alla possibilità di
commercializzare latte crudo potrebbe ampliare la diffusione
delle infezioni umane ed apportare una contingente
motivazione a supporto di studi epidemiologici più
approfonditi.
Anche Mycobacterium paratuberculosis
rappresenta un problema nell’ambito della sanità pubblica in
relazione all’aumento del consumo del latte crudo. Tale
microrganismo, che principalmente infetta i ruminanti, può
riscontrarsi nel latte per eliminazione mammaria diretta o, più
MATERIALI E METODI
Nel corso degli anni 2007-2008 per effetto di un
provvedimento regionale (2,3), sono state controllate tutte le
aziende produttrici di latte crudo. Il campionamento è
avvenuto alla stalla e a ogni punto di erogazione automatica.
Secondo quanto previsto dal piano regionale, ciascun
campione veniva esaminato per la ricerca di Listeria spp. e L.
monocytogenes. , Salmonella, Campylobacter ed E. coli. La
disponibilità di questi campioni ha reso possibile l’esecuzione
di una indagine conoscitiva sulla diffusione di Coxiella burnetii
e Mycobacterium paratuberculosis.
A tal fine il latte crudo è stato sottoposto ad estrazione del
DNA (protocollo modificato del kit Qiagen Stool, Qiagen) e gli
estratti ottenuti sono stati amplificati mediante PCR
tradizionale per quanto riguarda Coxiella e PCR Real-Time
per Mycobacterium. I primer utilizzati e le condizioni di
amplificazione sono rappresentate in tabella 1:
Tabella 1: Ricerca di Coxiella burnetii e Mycobacterium
paratuberculosis: Primer e condizioni di PCR e PCR Real-Time
Patogeno
Primer/sonde
Profili termici
95°C x 10’
95°C x 30’’- 64°C x 30’’ –
72°C x 1’’; 5 cicli touchdown)
Coxiella burnetii
103
Primer
5’-TATGTATCCACCGTAGCCAGTC-3’
5’-CCCAACAACACCTCCTTATCC-3’
95°C x 30’’
(95°C x 30’’- 59°C x 30’’ –
72°C x 50’’;
40 cicli )
72°C x 5’
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Micobacterium
paratubercolosis
Primer
5’-CCGGTAAGGCCGACCATTA-3’
5’-ACCCGCTGCGAGAGCA-3’
Sonda
5’-FAMCATGGTTATTAACGACGACGCGCAGCTAMRA-3’
4) Kocianova E., Kovacova E. & Literak I. "Comparison of virulence of
Coxiella burnetii isolates from bovine milk and from ticks", Folia
Parasitologica, (2001) 48: 235-239.
5) Mc Quiston JH., Childs JE. & Thompson HA" Q Fever", JAVMA,
(2002) 6: 796-799.
6) Dorko E., Kalinova Z., Weissovà T., Pilipþinec E. Seroprevalence
of antibodies to Coxiella Burnetii among employees of the veterinary
university in Košice, eastern Slovakia. Ann Agric Environ Med 2008,
15, 119-124
7) Panning M., Kilwinski J., Greiner-Fisher S., Peters M., Kramme S.,
Frangoulidis D., Meyer H., Henning K., Drosten C. High throughput
detection of Coxiella burnetii by real-time PCR with intyernal control
system and automated DANN preparation. BMC Microbiology 2008,
8:77, pg 1-8
8) Stanley E.C., Mole R.J., Smith R.J., Glenn S.M., Barer M.R.,
McGowan M., Rees C.E.D. Development of a new, combined rapid
method using phage and PCR for detection and identification of
Viable Mycobacterium paratuberculosis bacteria within 48 hours.
Applied and Environmental Microbiology, 2007; vol. 73 (6), pag 18511857
50°C x 2’
(95°C x 10’- 95°C x 15’’-60°C
x 1’;
50 cicli)
Per quanto riguarda la ricerca di Mycobacterium
l’amplificazione avviene a livello della sequenza d’inserzione
ripetuta IS900; relativamente a Coxiella i primer sono diretti
verso un Transposon-like element. I campioni rivelatisi
positivi non sono stati sottoposti a conferma microbiologica in
quanto lo scopo del lavoro era quello di mappare le
contaminazioni dal punto di vista epidemiologico oltre che
emettere il risultato entro il periodo brevissimo di
conservazione dell’alimento.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Sono state considerate nei due anni rispettivamente 245 e
252 aziende. In totale sono stati esaminati per
Mycobacterium paratuberculosis 3750 campioni e
per
Coxiella burnetii 3761.
I risultati ottenuti permettono di evidenziare una elevata
positività per la presenza di Coxiella burnetii nei campioni di
latte in entrambi gli anni di monitoraggio; le percentuali di
positività si aggirano infatti attorno al 40%, sia considerando i
due anni separatamente od integrati. I valori di positività
riscontrati invece nell’ambito della ricerca di Micobacterium
sono di molto inferiori e si aggirano intorno all’1% (Tab. 2).
Tabella 2: Ricerca di Coxiella burnetii e Mycobacterium
paratuberculosis mediante tecniche molecolari: percentuali di
positività
microrganismo
M.
paratuberculosis
Coxiella burnetii
N° campioni
% positivi
N°
campioni
tot
%
positivi
tot
2007
1962
2008
1788
2007 2008
1.2
0.7
3750
0.99
1969
1792
41.9
3761
44
46.5
Sulla base dei dati ottenuti si possono trarre le seguenti
considerazioni.
A fronte delle minime contaminazioni del latte da parte dei
patogeni tradizionalmente ricercati (1) altrettanto bassa è da
considerare
la
prevalenza
di
Mycobacterium
paratuberculosis. Viceversa rilevante è risultata la positività
per Coxiella burnetii, sebbene non negli stessi termini di
prevalenza (circa il 65% in precedenti indagini) riscontrate nel
corso di indagini sierologiche.
Una presenza di Coxiella burnetii nel 40% dei campioni di
latte pone indubbiamente un problema di potenziale rischio
per la salute pubblica, al quale per altro non si parallelano
denunce di episodi di infezione umana se non sporadici.
E’ di tutta evidenza dunque come sia necessario, anche sulla
base
delle
moderne
tecniche
diagnostiche
ed
epidemiologiche a disposizione, studiare e chiarire le
condizioni nelle quali una così rilevante presenza di elementi
riferibili a Coxiella burnetii nel latte si traducano, anche in
termini di dose infettante, in rischio per l’uomo.
BIBLIOGRAFIA
1) Bertasi B., Corneo P.E., Daminelli P., Finazzi G., Zanardini N.,
Agnelli E., Losio M.N. Boni P. Consumo di latte crudo: valutazione
del livello di esposizione ai principali patogeni batterici attraverso
metodiche colturali e biomolecolari. Industrie Alimentari, settembre
2008, in press.
2) Circolare 19/SAN/07 Giunta Regione Lombardia, Direzione
Generale Sanità
3) Circolare n° 39 / 2005 Dir. Gen. Sanità Reg. Lombardia
104
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
SVILUPPO DI METODICHE DIAGNOSTICHE INNOVATIVE PER IL RILEVAMENTO DEI
PRINCIPALI AGENTI ABORTIGENI NEI RUMINANTI
1
1
1
1
1
1
2
Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Magistrali C., Ortenzi R., Checcarelli S., Lauterio C.,
2
2
2
2
2
Pittau M., Passotti C., Marini M., Atzori M., De Montis A.
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia; Bcs Biotech S.p.A. - Laboratori di Ricerca e
Sviluppo, Cagliari
key words: microarray, Enzime Immunoassay, abortion agents.
diverse soluzioni di primer modificando le seguenti
variabili biochimiche e termodinamiche:
2+
), che, influenza l’attività
lo ione magnesio (Mg
dell’enzima, aumentando la temperatura di denaturazione
del DNA bersaglio, condizionando l’attacco dei "primer",
stabilizzando l’ibrido molecolare
la concentrazione dei "primer" ricordando che
concentrazioni più elevate possono promuovere
l’accumulo di prodotti aspecifici, che determinano un
notevole calo in resa dei prodotti desiderati
la temperatura e la durata della fase di "annealing" in
dipendenza dalla concentrazione, dalla lunghezza e
composizione in basi dei "primer".
Le diverse coppie di primer e le condizioni di PCR
selezionate sono state validate per ciascun patogeno
singolarmente e poi in contemporanea. Gli amplificati,
singoli o multipli, sono stati rivelati sia su gel che su
micropiastra
mediante
le
sonde
specifiche
preventivamente calibrate nel saggio colorimetrico.
Rilevazione tramite sonde
Nel disegnare le sonde utilizzate per il presente lavoro
sono stati presi in considerazione una serie di parametri
come:
la Temperatura, tenendo presente che la massima
velocità di ibridazione si ha a temperature di 5-10°C più
basse al di sotto della Tm [Suggs et al., 1981]. Al di sotto di
questi valori di temperatura, aumenta la possibilità di
reazioni crociate tra sequenze non perfettamente
omologhe.
Grado di omologia: sequenze non perfettamente
omologhe ibridano a velocità inferiori: è stato stimato che
la velocità di ibridazione, in condizioni ottimali di
temperatura, è ridotta della metà per ogni 10 % di errati
accoppiamenti tra basi.
Composizione e lunghezza della sonda, considerando
che la velocità di ibridazione del DNA in soluzione è
direttamente proporzionale alla lunghezza dell’acido
nucleico, in particolare, se la lunghezza del bersaglio e
della sonda risulta essere differente, la velocità
dell’ibridazione in soluzione è proporzionale alla radice
quadrata della lunghezza del frammento più corto. Il DNA
enzyme immunoassay sviluppato è basato sull’ibridazione
del DNA amplificato con una sonda oligonucleotidica,
immobilizzata sulla parete dei pozzetti di micropiastre
grazie ad un legame streptavidina-biotina.
L’ibrido tra la sonda ed il DNA in esame è rivelato
dall’impiego di un anticorpo monoclonale di topo antiDNAds. Questo anticorpo reagisce selettivamente con il
DNA a doppia elica e non si lega al DNA a singola elica.
Distribuendo gli amplificati di DNA denaturati nei pozzetti,
la sonda lega in modo specifico l’elica complementare, se
presente, formando un ibrido. Viceversa, nel caso di un
campione negativo, non contenente la sequenza in
esame, l’ibrido (la specie molecolare a doppia elica) non si
forma.
Dopo l’incubazione ed il successivo allontanamento del
campione, l’aggiunta dell’anticorpo anti-DNA a doppia
elica consente di identificare i pozzetti dove è avvenuta
l’ibridazione (legame dell’anticorpo, reazione positiva) e
INTRODUZIONE
Nell’ambito diagnostico, un fattore limitante è
rappresentato dai lunghi tempi necessari per
l’isolamento dei molti germi patogeni. Infatti,
nonostante l’impiego dell’ amplificazione genica
(PCR), che ha sicuramente portato ad un
abbattimento della tempistica, permangono ancora
molto lunghe e indaginose le tecniche che
consentono la diagnosi di specie e nell’ambito di
questa dei diversi sottotipi. La tecnologia dei
microarray consiste nell’ibridazione di sonde
specifiche (spot) immobilizzate su opportuni supporti
(chip) con il DNA del campione da analizzare
direttamente o previa amplificazione. Questo
permette di rilevare contemporaneamente la
presenza di DNA o RNA di origine batterica o virale di
uno o più patogeni e nello stesso tempo di tipizzare il
patogeno stesso.
Obiettivo del progetto è la messa a punto di un
sistema multisonda (micropiastra e chip) capace di
determinare i principali agenti abortigeni nei
ruminanti. Come agenti patogeni sono stati scelti la
brucella, listeria, clamidia, leptospira, toxoplasma e
neospora.
MATERIALI E METODI
Sono stati impiegati DNA ottenuti da campioni
biologici risultati positivi per i diversi patogeni sopra
citati nell’ambito della diagnostica di routine. Tali DNA
sono stati utilizzati 1)per la calibrazione di una PCR
Multiplex che consentisse la contemporanea
amplificazione dei diversi bersagli genici per i singoli
gruppi di patogeni 2) per il disegno di sonde
specifiche da impiegare per la rilevazione dei diversi
amplificati in micropiastra mediante rilevazione
colorimetrica 3) per il clonaggio di regioni geniche
specifiche di ciascun patogeno al fine di verificare la
specificità e sensibilità del sistema.
Reazione di amplificazione – PCR Multiplex
Per ciascuno dei patogeni oggetto del test sono state
selezionate sequenze altamente conservate e
specifiche tramite BLAST e banche dati disponibili in
rete. I primer necessari per l’amplificazione sono stati
disegnati di dimensioni e sequenza compatibili con
una amplificazione multipla, ovvero tra loro non esiste
complementarietà significativa. Le dimensioni di
ciascun amplicone ricadono tra le 200 – 300 pb
Dal punto di vista strutturale i "primer" contengono
una lunghezza compresa tra i 18 ed i 24 nucleotidi ed
una composizione in G +C tra il 50 % ed il 60%. È
stato evitato l’uso di "primer" che presentano
complementarità all’estremo 3’, perché in tal caso
verrebbero a formarsi dei dimeri tra i diversi primer
riducendo cosi la resa del prodotto desiderato. Inoltre
nel disegnare i diversi "primer" si è cercato di ridurre
al minimo l’utilizzo di sequenze palindrome in modo
da evitare la formazione di strutture secondarie
estese
Per riuscire a ottimizzare le condizioni di reazione
delle PCR multiplex, sono state preparate e testate
105
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
quelli dove la sonda non ha legato il DNA ed è
rimasta nella forma a singola elica (assenza di
legame dell’anticorpo, reazione negativa). L’aggiunta
di un tracciante enzimatico (proteina A coniugata con
perossidasi di rafano) consente di rivelare il legame
DNA/anticorpo. La lettura spettrofotometrica a 450 nm
permette la quantificazione del segnale(1,2) (Figura 1)
Clonaggio
La tecnica di clonazione è utilizzata per inserire una
sequenza specifica di DNA all’interno di un vettore,
allo scopo di ottenere la propagazione in
numerosissime copie attraverso la moltiplicazione
delle cellule in cui tale vettore è stato inserito.
Per ciascuno dei 6 patogeni oggetto del test sono
stati creati altrettanti clonati cellulari e purificati i DNA
plasmidici contenenti almeno 1010 copie/ȝl di
sequenza target.
Questi diversi agenti abortivi rivestono una importante
problematica nel campo degli allevamenti zootecnici
perché possono essere causa di aborto, senza trascurare
i danni che possono arrecare all’uomo. La piattaforma
tecnologica sviluppata si basa sulla possibilità di disporre
di corte sequenze oligonucleotidiche (probe) selezionate
specificatamente per l’individuazione dei diversi agenti
abortivi. Le probe poi vengono immobilizzate su un
supporto (micropiastra). Con una metodica di PCR
multiplex vengono quindi amplificati contemporaneamente
i diversi target genici dei vari agenti abortivi, segue poi
l’identificazione
per
ibridazione
tra
sequenze
complementari (probe/target specifico). La lettura della
micropiastra è affidata a dei lettori che in pochi minuti
forniscono i dati finali dell’analisi. Dall’analisi dei dati
sperimentali emersi, il sistema presenta un’elevata
specificità per ciascuno dei target genici identificati, non si
osserva infatti alcuna crossibridazione sia impiegando i
clonati che i campioni reali certi positivi per uno solo dei
patogeni oggetto del test. Anzi la specificità è così elevata
che l’uso di tale test ha consentito in alcuni campioni dati
per positivi solo per Neospora, di evidenziare una
positività misconosciuta anche per clamidia, positività che
è
stata
confermata
dopo
lunghe
indagini
e
sequenziamento. Non esiste inoltre alcuna crossreattività
con altri patogeni potenzialmente presenti nel campione
ma non oggetto del test che potrebbero dare adito a falsi
positivi quali Listerie non patogene, Mycoplasma
agalactiae Salmonella abortus ovis, Streptococcus
agalactie, Salmonella enteritidis, Salmonella typhimurium,
Campylobacter jejuni, cosa che fa ben sperare anche in
un possibile inserimento di tali patogeni in futuro nel test.
Il falso negativo riscontrato è stato forse legato al fatto che
in natura il gene P30 nel Toxoplasma è presente in
singola copia, per cui se il toxoplasma è presente in poche
copie o se il DNA del campione è parzialmente degradato,
il campione può risultare negativo. Alla luce di tale risultato
e per innalzare la sensibilità del sistema stiamo valutando
l’inserimento del gene ripetuto B1 come sequenza
bersaglio per il Toxoplasma, al posto o in associazione al
gene P30. Riesaminati quindi tutti i dati in nostro
possesso, possiamo concludere che il sistema ha una
specificità del 100% e una sensibilità diagnostica al
momento del 95.2%.
Figura 1 – Piattaforma EIA
DNA gene
DNA PCR
anti-sense Primer
sense Primer
Amplificato
TMB
HRP
Ig anti-DNAds
Y
Ibridazione
Rivelazione
Colorimetrica
Y
Y
Sonda
biotinilata
Y
Y
Y
Y
Y
RISULTATI
I risultati ottenuti sono mostrati in tabella 1. Tutti i sei
clonati sviluppati a partire dagli agenti patogeni
selezionati hanno confermato la loro positività per
l’inserto specifico sia per digestione enzimatica che
dopo PCR, sia se rilevati su gel di agarosio che in
EIA. Dei 25 campioni reali analizzati, di cui 15 positivi
per i patogeni in esame e 10 negativi, il sistema EIA,
ha riconosciuto 14 positivi e un falso negativo, mentre
tutti i campioni negativi sono stati individuati
correttamente.
BIBLIOGRAFIA
1) Marini M., Pittau M., Belluscio E., Venditti G., Biagetti M.,
Cagiola M., De Montis A. 2006, Diagnosi e caratterizzazione
molecolare dei determinanti di patogenicità di E.coli. Atti
3°congresso nazionale della società italiana di microbiologia
farmaceutica, pagg. 69-71, Cagliari Nora 25-27/05/2006
2) Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Crotti S., Magistrali C.,
Tagliabue S., Marini M., Attori M., Pittau M., Casula.M., Costa
Marras G.C. De Montis A. 2007 EIA e BIOCHIP finalizzati alla
caratterizzazione molecolare dei ceppi di E. coli. Atti IX
Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. pag.41-42 Roma 14-16/11/2007
Tabella 1
Camp.pos. 6 clonati
Camp. di 15
campo
Falsi neg.
Camp.neg. 10
PCR
6
14
EIA
6
14
6/6
14/15
10
10
1/21
10/10
CONCLUSIONI
Lo scopo principale di questa ricerca è stato quello di
sviluppare una piattaforma biotecnologica per la
ricerca multipla di vari agenti abortigeni: Brucella
Spp, Toxoplasma gondii, Neospora spp, Clamidia
spp, Listeria monocytogenes, Leptospira interrogans
SUMMARY
To accomplish an accurate and multiple determination of
causative agents of abortion, a DNA Enzyme
immunoassay was developed.
106
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CRITERI DI IGIENE DEL PROCESSO (REG. CE 1441/2007): L’AUTOMAZIONE IN LABORATORIO PER IL
CONTEGGIO MICROBICO
Bianchi DM, Gallina S, Sant S, Liuni FF,Adriano D, Decastelli L
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, Torino
Keywords: criteri di igiene, numerazione, automazione
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati in totale 67 campioni di alimenti di
origine animale di varia natura, così come riportato in
dettaglio nella tabella 2.
Ciascun campione è stato processato per i tre parametri
microbici (carica mesofila totale, E. coli e coliformi totali) per
un totale di 201 analisi; le prove sono state eseguite in
doppio, con il metodo di riferimento e il metodo
automatizzato, per un totale di 402 determinazioni.
SUMMARY
The aim of this study was to evaluate the performances of a
new automated system, based on MPN technique, that allows
the enumeration of Total Viable Count, ȕ-glucuronidase
Escherichia coli, coliforms in foodstuffs.
INTRODUZIONE
Il Regolamento
CE 1441/2007 (1) che modifica il
Regolamento CE 2073/2005, (2) sancisce i parametri
microbiologici applicabili ai prodotti alimentari: i criteri
microbiologici vengono suddivisi in criteri di sicurezza e in
criteri di igiene del processo.
I criteri di sicurezza alimentare definiscono l’accettabilità di un
prodotto o di una partita di prodotti alimentari e sono
applicabili agli alimenti immessi sul mercato. Tra di essi si
trovano
i
più
comuni
agenti
patogeni
(Listeria
monocytogenes, Salmonella spp, E.coli) e loro tossine
(enterotossine stafilococciche).
I criteri di igiene, invece, definiscono il funzionamento del
processo di produzione: essi non si applicano ai prodotti
immessi sul mercato, ma fissano un valore indicativo di
contaminazione al di sopra del quale sono necessarie misure
correttive volte a mantenere l’igiene del processo di
produzione, in ottemperanza alla legislazione in materia di
prodotti alimentari. Tra i criteri di igiene vengono inclusi il
conteggio delle colonie aerobie, le enterobatteriacee, E. coli
ed altri parametri microbiologici.
Il regolamento stesso indica, inoltre, il metodo d’analisi di
riferimento che deve essere impiegato per l’esecuzione delle
prove di laboratorio. L’impiego di metodi d’analisi alternativi è
accettabile quando tali metodi siano validati da una parte
terza in base al protocollo definito nella norma EN/ISO 16140
(3), o ad altri protocolli analoghi accettati a livello
internazionale. Per tale motivo, nell’ultimo periodo, sono stati
immessi sul mercato numerosi kit commerciali pronti all’uso e
utilizzabili con strumenti automatizzati; alcuni di questi sono
stati validati da enti ed organismi riconosciuti a livello
internazionale (AOAC, AFNOR, ecc.) in conformità alla norma
EN/ISO16140, come richiesto dalla normativa vigente.
Il presente lavoro riporta i risultati ottenuti presso il
Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, in uno
studio volto a valutare l’applicabilità in routine di un metodo
automatizzato per la verifica dei criteri di igiene del processo.
In particolare sono stati considerati i kit per carica mesofila
totale ed E. coli già in possesso della validazione AFNOR al
momento dello studio (tabella 1). Inoltre, si sono voluti
considerare anche le performance del kit per il conteggio dei
coliformi totali, anch’esso validato, ma non menzionato tra i
criteri di igiene. Lo studio è stato condotto confrontando i
risultati ottenuti da campioni analizzati in doppio con i metodi
di riferimento e con il metodo automatizzato oggetto dello
studio.
Tabella 2: matrici analizzate
N° campioni
Matrice
analizzati
Carne bovina
6
Carne avicola
16
Formaggi
22
Pesce
10
Uova e prodotti d’uovo
13
Totale
67
Il metodo automatizzato e i relativi kit pronti all’uso sono
commercializzati da BioMérieux con il nome di TEMPO® TVC,
®
®
TEMPO EC, TEMPO TC, rispettivamente per carica
mesofila totale, E. coli e coliformi totali.
Il principio del metodo si basa sul conteggio MPN (Most
Probable Number). Il test è composto da un flacone di terreno
di coltura e da una card, specifici per il parametro
microbiologico da testare. Il terreno di coltura viene inoculato
con il campione da saggiare e successivamente trasferito in
modo automatico in una card che contiene 48 pozzetti di 3
volumi differenti. La card è infatti costituita da 3 serie di 16
pozzetti con una differenza di volume di un log tra ogni serie.
La card viene poi sigillata ermeticamente, garantendo quindi
che la successiva manipolazione sia esente da rischio di
contaminazione. Durante l’incubazione, secondo le
indicazioni della ditta produttrice (tabella 3), il microrganismo
target presente nel campione provoca una alterazione del
substrato (terreno di coltura) che viene rilevata dal sistema di
lettura dello strumento. In funzione del tipo e del numero dei
pozzetti positivi, il sistema deduce il numero di microrganismi
presenti per g o per mL di campione secondo un calcolo
basato sul metodo MPN. Il tipo di alterazione che viene
rilevata dal sistema varia a seconda del microrganismo
target.
Tabella 3: tempi e temperature di incubazione del metodo
TEMPO
Parametri microbiologici
°C
Ore
Carica mesofila aerobia totale a 30 °C
30±1 40-48
E. coli beta glucuronidasi positivi
37±1 22-27
Coliformi totali
30±1 24-27
Tabella 1: riferimenti delle Validazione AFNOR dei kit
®
TEMPO
Parametri microbiologici
Rif. AFNOR BIO
Carica mesofila aerobia totale a 30 °C 12/15-09/2005
E. coli beta glucuronidasi positivi
12/13-02/2005
Coliformi totali
12/17-12/2005
Per quanto riguarda i metodi di riferimento sono stati utilizzati
i protocolli riportati in tabella 4.
107
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella 4: metodi di riferimento utilizzati per le analisi
Riferimento
Parametri microbiologici
normativo
Carica mesofila aerobia totale a 30 °C
UNI 10981:02 (4)
E. coli beta glucuronidasi positivi
UNI 10980:02 (5)
Coliformi totali
AFNORV08-050 (6)
DISCUSSIONE
Dal punto di vista delle performance analitiche lo strumento e
i kit ad esso legati hanno dato risultati soddisfacenti: i risultati
restituiti con il metodo automatizzato sono ben correlati con
quelli ottenuti dai metodi normati.
I kit oggetto dello studio hanno ottenuto la validazione da
parte dell’AFNOR secondo i criteri previsti dalla norma
EN/ISO 16140: per questi motivi risultano utilizzabili nei
laboratori ufficiali o che effettuano l’autocontrollo per
l’esecuzione delle analisi previste dai Reg CE 2073/2005 e
Reg CE 1441/2007.
L’utilizzo in laboratorio dello strumento e dei kit ad esso
correlati, ha evidenziato punti di forza e punti di debolezza.
Tra gli aspetti positivi del sistema TEMPO® si deve
considerare innanzi tutto la diminuzione dell’errore umano:
l’operatore infatti è tenuto ad eseguire soltanto la diluizione
primaria del campione, mentre le diluizioni successive
vengono effettuate in modo del tutto automatizzato. Nelle
tradizionali metodiche microbiologiche, l’operatore esegue
diluizioni scalari successive, operazione che richiede tempo,
con costi notevoli, esperienza ed abilità manuale. Inoltre, la
distribuzione dell’inoculo e dei terreni di coltura nelle Piastre
Petri può aumentare la possibilità di inquinamento del
campione. Infine, la lettura delle piastre, soprattutto in
laboratori che processano quotidianamente molti campioni
richiede molto tempo e personale esperto e purtroppo non
prescinde dall’interpretazione soggettiva di chi effettua il
conteggio delle colonie.
Il sistema consente, inoltre, di ridurre notevolmente la fase di
preparazione di terreni di coltura e riduce la quantità di rifiuti a
rischio biologico da smaltire quotidianamente.
Inoltre, il sistema di riconoscimento campioni, che avviene
tramite lettore di codice a barre, riduce i tempi di scrittura
degli identificativi dei campioni e limita gli errori di
trascrizione. In conclusione, l’automazione di alcune fasi di
allestimento e lettura delle analisi consente al laboratorio di
processare un numero di campioni superiori ai metodi
tradizionali con un impegno minore da parte del personale.
®
Di contro però, il sistema TEMPO richiede un investimento
piuttosto cospicuo per l’acquisto delle postazioni di lavoro e i
costi dei kit commerciali sono più elevati rispetto ai reagenti
previsti dalle tecniche tradizionali e normate. Tuttavia, si
ritiene che tali costi possano essere ammortizzati in maniera
piuttosto rapida da laboratori che processano un elevato
numero di campioni.
RISULTATI
I risultati delle analisi sono stati analizzati mediante
regressione lineare, dopo trasformazione dei valori in scala
logaritmica per garantire una distribuzione normale ai valori.
I grafici 1, 2 e 3 mostrano le rette di regressione
rispettivamente per carica mesofila totale, E. coli e coliformi
totali.
I valori di R2 ottenuti variano da 0.80 per la carica mesofila a
0.94 per E.coli beta glucuronidasi positivi.
Grafico 1: correlazione per analisi di carica mesofila totale
Carica Mesofila Totale
y = 0,9714x + 0,1853
R2 = 0,8006
8,00
7,00
6,00
5,00
4,00
3,00
2,00
1,00
0,00
0,00
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
7,00
8,00
Grafico 2: correlazione per analisi di E. coli beta glucuronidasi
positivi
E. coli beta glucuronidasi
5,00
4,50
4,00
3,50
3,00
2,50
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
0,00
1,00
2,00
3,00
y = 0,7113x + 0,2433
R2 = 0,9445
4,00
5,00
Finanziamento Ricerca Corrente Ministero della Salute IZS
PLV 07/05
6,00
BIBLIOGRAFIA
1. REGOLAMENTO (CE) N. 1441/2007 DELLA COMMISSIONE del
5 dicembre 2007 che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui
criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari
2. REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 DELLA COMMISSIONE del
15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti
alimentari
3. ISO 16140: 2003 Microbiology of food and animal feeding stuffs
Protocol for the validation of alternative methods
4. UNI 10981:2002 Metodo orizzontale di routine per la conta di
microrganismi mesofila aerobi
5. UNI 10980:2002 Metodo orizzontale di routine per la conta di E.coli
beta glucuronidasi positivi
6. AFNOR NF V 08-050 1999 Dénombrement des coliformes
comptage des colonies obtenues à 30 °C
Grafico 3: correlazione per analisi di coliformi totali
y = 0,8636x + 0,3189
Coliformi totali
R2 = 0,872
6,00
5,00
4,00
3,00
2,00
1,00
0,00
0,00
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
108
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
APPLICAZIONE DELL’ART. 223 DEL D.L.vo 271/89 “NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E
TRANSITORIE DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE” SU CAMPIONI DI ALIMENTI NEL PERIODO
1999-2007
Bogdanova T., Bugattella S., Flores Rodas E.M., Sampieri C., Pecchi S., Bilei S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Key words: alimenti, controlli ufficiali, diritto alla difesa
ABSTRACT
During the time interval 1999–2007, 220 out of a total of 6,216
samples (3,5%) from food classified as perishable according
to the Ministry Decree of 16.12.1993 and belonging to the
categories of fresh meat, dairy products, food preparations,
salami and eggs, resulted as unsatisfactory in the first unit
microbiological tests. The confirmatory tests, repeated on the
second units, in accordance to the art. 223 of Legislative
Decree 271/89, has subsequently confirmed the previous
unsatisfactory results in the 55,4% of the tests. During the
same period, 328 single unit samples from food products
were analysed and 66 of them (25,2%) gave unsatisfactory
results.
richiesti, 1 per la ripetizione delle analisi limitatamente ai
parametri non conformi ed 1 rimane a disposizione per
un’eventuale richiesta di perizia ordinata dall’autorità
giudiziaria.
L’art. 4 del D.L.vo 123/93 stabilisce che in caso di
accertamento di non conformità microbiologica il responsabile
del laboratorio debba procedere, con le garanzie per gli
interessati previste dall’art. 223 del D.L.vo 271/89 “Norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di
procedura penale”, alle analisi della seconda aliquota
limitatamente ai parametri non conformi, dando avviso
tempestivamente agli interessati del parametro difforme e
della metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e
l’ora in cui le analisi saranno ripetute, in modo da consentire
ai medesimi o a persone di loro fiducia di presenziare alle
analisi, eventualmente assistiti da un consulente tecnico.
La medesima procedura deve essere applicata dall’organo
prelevatore o dal responsabile del laboratorio qualora siano
previsti accertamenti analitici non ripetibili su campioni reperto
o su campioni di prodotti altamente deperibili o prossimi alla
scadenza per i quali le garanzie difensive ed in particolare il
“contraddittorio tecnico” sulle modalità di esecuzione delle
operazioni e di valutazione dei risultati, devono essere
anticipate.
INTRODUZIONE
Lo scopo del controllo ufficiale sugli alimenti è quello di
verificare la conformità alle prescrizioni della normativa
comunitaria e nazionale diretta a prevenire i rischi per la
salute pubblica, a proteggere gli interessi dei consumatori e
ad assicurare la lealtà nelle transazioni commerciali. I controlli
ufficiali riguardano tutte le fasi della produzione,
trasformazione, magazzinaggio, trasporto, commercio,
somministrazione e importazione e possono essere eseguiti
dall’Autorità sanitaria competente nazionale e comunitaria.
Secondo la definizione riportata nel D.L.vo 123 del 3 marzo
1993, il controllo consiste in una o più delle seguenti
operazioni: ispezione, prelievo ed analisi dei campioni
prelevati, controllo dell’igiene del personale, esame del
materiale scritto e dei documenti ed esame dei sistemi di
verifica installati dall’impresa alimentare. Il campionamento
può essere eseguito sul prodotto finito, sul semilavorato, sulle
materie prime e sulle superficie di lavoro.
Con entrata in vigore dal primo gennaio 2006 del cosiddetto
“pacchetto igiene”, un gruppo di Regolamenti comunitari che
rinnovano completamente la normativa riguardante la
sicurezza alimentare, è stato modificato l’approccio delle
attività di controllo ufficiale. Viene messo in pratica il principio
contenuto nel “Libro bianco” sulla sicurezza alimentare, che
prevede una distinzione chiara tra le mansione delle Autorità
sanitarie e quelle degli operatori del settore degli alimenti e
dei mangimi. Il controllo ufficiale previsto da tali Regolamenti
è basato sulla programmazione ed espletamento delle
verifiche in funzione del livello di rischio delle diverse attività
della filiera alimentare; applicazione di procedure predefinite;
documentazione delle attività svolte e notifica delle carenze
eventualmente riscontrate; verifica della qualità del controllo
effettuato ai diversi livelli, sia da parte delle autorità
competenti (Stato e Regione), sia in modo autonomo dalla
struttura incaricata, mediante audit (esterni ed interni).
In relazione ai parametri fissati dal D.M. 16.12.93 gli alimenti,
ai fini dei controlli microbiologici ufficiali, sono considerati
deteriorabili o non deteriorabili e quindi soggetti
rispettivamente ad analisi “ripetibili“ o “irripetibili”.
Il campione viene ripartito in 4 o in 5 aliquote qualora sorgano
dubbi sulla deteriorabilità delle sostanza alimentare, di cui 1
lasciata al detentore del prodotto unitamente al verbale di
prelievo. Delle 3 restanti, 1 è utilizzata per gli accertamenti
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2007, sono stati
sottoposti ad analisi microbiologiche complessivamente
13.697 campioni ufficiali, con l’esclusione dei prodotti ittici,
prelevati ai sensi della normativa vigente dalle Autorità
preposte e 328 campioni reperti, di alimenti destinati
all’alimentazione umana. Sulla base delle positività registrate,
le differenti tipologie di alimento sono state raggruppate in
alcune categorie per facilitare la rappresentazione dei risultati
ottenuti: Carni fresche (tagli anatomici e carni macinate
appartenenti a diverse specie), Derivati del latte (formaggi,
latticini, burro, yogurt, latte per l’infanzia), Preparati
gastronomici (preparati a base di carne, dessert, paste
alimentari farcite e preparati a base di vegetali), prodotti di
salumeria, uova. Le analisi microbiologiche sono state
condotte in conformità ai seguenti standard internazionali:
ISO 4833 (carica mesofila totale); ISO 6888-1 – Parti 1 e 2
(conta di Staphylococcus aureus); ISO 6579 (Salmonella
spp); UNI EN ISO 11290-1 (Listeria monocytogenes); ISO
16654 (E. coli O:157); ISO 10273 (Yersinia enterocolitica);
UNI EN ISO 10272-1 (Campylobacter termotolleranti). Per
quanto riguarda la determinazione della presenza di
Enterotossine stafilococciche prima dell’emanazione del
Regolamento 2073/2005 è stato utilizzato il metodo
dell’agglutinazione passiva inversa al lattice con l’uso del SET
RPLA Toxin detection kit dell’Oxoid e successivamente il
metodo ELISA quantitativo con l’impiego del Kit Transia Plate
Staphylococcus Enterotoxins della Diffchamb.
109
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RISULTATI
La percentuale di conferma della non conformità registrata
pari a 55,4%, risulta essere in linea con quanto riferito da altri
Autori.
L’esecuzione delle prove non ripetibili sui campioni reperto, è
avvenuta nel 33,2% dei casi in presenza degli interessati o
dei loro consulenti tecnici, convocati nel 35,4% direttamente
dall’organo prelevatore. Le dichiarazioni registrate sul verbale
di apertura, pari al 59,6%, hanno fatto riferimento soprattutto
al non riconoscimento dell’alimento perché sconfezionato,
parzialmente consumato o deteriorato e alla temperatura di
trasporto non adeguatamente documentata. Il frequente
conferimento alle Autorità di campioni direttamente da parte
di privati, è il motivo principale della minore frequenza con cui
all’apertura dei campioni reperto sono intervenuti gli
interessati.
La maggior parte dei reperti risulta prelevata a seguito di
episodi tossinfettivi o su diretta richiesta di privati cittadini
all’autorità sanitaria o giudiziaria e solo in pochi casi per
l’indisponibilità del quantitativo sufficiente di alimento per la
costituzione di più aliquote. Nel 17,4% dei casi il prelievo è
stato effettuato dalle forze dell’Ordine ed in particolare dai
Carabinieri del NAS.
La prevalenza significativa dell’intervento di consulenti tecnici
all’apertura dei campioni sia per la ripetizione delle analisi che
in caso di analisi non ripetibili, è espressione della importanza
data dalle aziende alimentari a tale fase procedurale. La
scrupolosa osservanza del dettato normativo da parte del
Laboratorio d’altra parte, garantisce la regolarità del
procedimento nella costituzione del fascicolo per il
dibattimento e il diritto di difesa agli interessati.
Complessivamente nel periodo 1999-2007 sono stati registrati
come non conformi all’esame microbiologico di prima istanza,
220 campioni sui 6.216 (3,5%) pervenuti ed appartenenti alle
medesime tipologie alimentari di quelli riscontrati almeno una
volta difformi. Le prevalenze registrate per ciascuna categoria
sono state carni fresche (25%), derivati del latte (4,5%),
preparati gastronomici (15,4%), prodotti di salumeria (51,6%)
e uova (5,4%) (Tabella 1).
Nell’ambito dei prodotti di salumeria, l’insaccato fresco è
risultata la matrice più frequentemente non conforme con il
45,9% di campioni sfavorevoli alla prima istanza e con una
tasso di positività pari all’8,3% rispetto ai 1.217 campioni della
medesima matrice complessivamente esaminati nel periodo
considerato.
I principali motivi di non conformità sono risultati la presenza
di Salmonella (83,7%) riscontrata con maggiore frequenza
negli insaccati freschi (97%), la presenza di Listeria
monocytogenes (5,9%) isolata prevalentemente da salumi e
l’isolamento di Staphylococcus aureus enterotossico (A,C e
D) (5%) prevalentemente da derivati del latte.
% su totale
NC
2° aliquota
% su totale
% conferma
1° aliquota
Carni fresche
1.697
51
3
30
1,8
66,6
Derivati latte
1.433
10
0,7
7
O,5
70
Categorie
alimentari
Totale
campioni
NC
1° aliquota
Tabella 1. Frequenze e prevalenze delle positività in 1° e in 2°
istanza nel periodo 1999 – 2007
Preparati gastr.
911
34
3,7
18
Prod. salumeria
1.464
113
7,7
65
2
4,2
52,9
57,5
Uova
711
12
1,7
2
0,3
16,6
Totale
6.216
220
3,5
122
2
55,4
BIBLIOGRAFIA
1. Bozzano A.I., Di Guardo G., Saccares S., Bilei S., Zottola T.,
Brozzi A. M., Panfili G., Fontanelli G., 1993 “Frequenza degli
isolamenti di Salmonella da carni suine e da prodotti a base
di carni suine nel Lazio (Italia centrale) dal 1980 al 1989 –
Italian Journal of Food Sci., 2, 167-172.
2. Decreto Legislativo 3 marzo 1993, n, 123 “Attuazione della
direttiva 89/397/CEE relativa ai controllo ufficiale dei prodotti
alimentari”, art. 2 e 4.
3. Decreto Ministeriale del 16/12/1993 “Individuazione delle
sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di
controlli microbiologici ufficiali”.
4. Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271 “Norme di attuazione,
di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale”.
5. Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 193 “Attuazione della
direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza
alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel
medesimo settore”.
6. Regolamento (CE) n. 882/2004 del 29 aprile 2004, relativo ai
controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in
materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali.
7. Regolamento (CE) n. 854/2004 del 29 aprile 2004, che
stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli
ufficiali sui prodotti di origine animali destinati al consumo
umano.
8. Regolamento (CE) n. 1441/2007 del 5 dicembre 2007, che
modifica
il Regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri
microbiologici applicabili ai prodotti alimentari.
9. Rubini V., 2005 “Analisi di laboratorio e non conformità: la
Cassazione torna sulle garanzie difensive del soggetto
sottoposto a controlli” – Eurocarni , 2 , 13-14.
10. Saccares S., Bilei S., Bozzano A.I., Fontanelli G., Aleandri M.,
1992 “Alimenti non regolamentari: denunce e comunicazioni
alla Autorità sanitaria e giudiziaria in base ad esami di
laboratorio” - Atti della Società Italiana delle Scienza
Veterinarie, 631-634.
La ripetizione dell’analisi secondo l‘art. 223 del D.L.vo 271/89,
ha confermato la precedente non conformità nel 55.4% del
totale dei campioni. In particolare è risultato confermato il
91% degli stafilococchi enterotossici, il 53,8% di L.
monocytogenes e il 53,5% di Salmonella.
Per quanto riguarda i campioni reperto, di cui 66 risultati non
conformi (25,2%), il 34,8% è risultato infestato da parassiti, il
19,7% contaminato da muffe e il 12% con presenza di corpi
estranei, tra cui un cerotto in una confezione di latte in
polvere ed un bullone in una di yogurt. Tra i riscontri
microbiologici positivi la presenzadi Salmonella in 5 campioni
di cui 2 di uova riferentesi ad altrettanti episodi tossinfettivi e
di sostanze inibenti in 1 campione di carne bovina.
DISCUSSIONE
Dallo studio della documentazione, risulta che la ripetizione
delle analisi non conformi su campioni di alimenti deteriorabili
è avvenuta nel 46% dei casi in presenza dell’interessato o del
consulente tecnico e che nel 60,4% dei verbali di apertura
della seconda aliquota, risultano registrati contestazioni
rilasciate dai convenuti. Le dichiarazioni hanno avuto come
principale oggetto le modalità di prelievo e di trasporto del
campione e la sua apertura oltre il termine previsto della
scadenza.
110
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ANALISI DELLE SOTTOPOPOLAZIONI LINFOCITARIE IN PECORE INOCULATE CON DIFFERENTI
SIEROTIPI DEL VIRUS DELLA BLUE TONGUE
1
Bonelli P., Savini G. , Canalis M., Re R., Pilo GA., Colorito P., Fresi S., Pais L., Nicolussi P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Sassari;
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, Teramo, Italy.
1
Keywords: blue tongue, sottopopolazioni linfocitarie, vaccino.
Visite cliniche
Tutti gli animali sono stati visitati quotidianamente e le
temperature rettali registrate per un periodo di circa un mese
dal giorno dell’infezione (giorno 0).
Campionamento e esami di laboratorio
I campioni di sangue prelevati in
K3EDTA il giorno
dell’infezione e nei 5, 7, 10, 14, 17, 26 e 33 giorni seguenti
sono stati analizzati per l’esame emocromocitometrico e
l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in citometria
a flusso. L’emocromo con formula leucocitaria è stato
determinato con un conta globuli automatico (ADVIA 2120,
Siemens). Le sottopopolazioni linfocitarie sono state
identificate su sangue intero con l’impiego di anticorpi
monoclonali (vedi tabella) in un protocollo di marcatura diretta
“Lyse and wash”.
ABSTRACT
The present study aimed to evaluate changes in lymphocytes
subsets of immunised and non immunised sheep following
bluetongue virus serotype 1, 2 and 4 (BTV-1, BTV-2, BTV-4)
infection. Our findings suggest that inoculation of non
vaccinated sheep with BTV-1 causes more clinical signs and
hematological modifications than other tested serotypes.
Further studies are needed in order to better understand cell
mediated immune response mechanisms involved in host
defense response to BTV infection.
INTRODUZIONE
La febbre catarrale degli ovini, piu' comunemente conosciuta
come Blue Tongue (BT), e' una malattia infettiva non
contagiosa dei ruminanti trasmessa da insetti vettori del
genere Culicoides (Diptera: Ceratopogonidae). L'agente
eziologico e' un virus appartenente alla famiglia Reoviridae,
genere Orbivirus, del quale si conoscono 24 sierotipi. La loro
patogenicita' e' variabile e, benche' tutte le specie di ruminanti
siano recettive, la malattia si manifesta in forma grave negli
ovini, con sintomi caratterizzati da infiammazione,
congestione, edema a carico della regione della testa,
emorragie ed ulcere delle mucose. Dal 1998 sei differenti
sierotipi sono stati isolati sul territorio europeo (BTV-1, 2, 4, 8,
9, 16) interessando anche alcune nazioni settentrionali (BTV8). Diverse sono state le strategie vaccinali intraprese in Italia
nel corso degli ultimi anni con l’obiettivo di contenere le
perdite economiche dirette dovute alla mortalità riscontrata
negli ovini (sino al 10%) ed indirette attribuibili alla
circolazione virale.
Sebbene l’importanza dell’immunità umorale sia ben
riconosciuta nella protezione degli animali nei confronti della
Blue Tongue, il ruolo dell’immunità cellulo-mediata (CMI) in
questa
malattia
infettiva
necessita
di
ulteriori
approfondimenti. Alcuni autori hanno ipotizzato l’attivazione
dei meccanismi dell’immunità cellulo-mediata in quei casi in
cui si riscontra una protezione efficiente contro l’infezione da
BTV in assenza di anticorpi neutralizzanti (1, 2). Inoltre altri
studi suggeriscono come la CMI possa spiegare l’assenza di
segni clinici in animali della specie bovina infettati con il BTV
(3).
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di valutare eventuali
modificazioni nelle sottopopolazioni linfocitarie di pecore
vaccinate e non vaccinate inoculate sperimentalmente con tre
differenti sierotipi del virus della Blue Tongue.
Antigene
CD4
Clone
44.38
Fluorocromi
FITC
CD8
38.65
PE
WC1
19,19
FITC
Reattività
Linfociti T
helper
Linfociti T
citotossici
Linfociti T
Ȗį
Dittà
Serotec
Serotec
Serotec
L’analisi dei campioni è stata eseguita in citometria a flusso
(FACS Calibur, BD).
Analisi statistica
I dati sono stati elaborati con l’analisi della varianza (ANOVA)
(Minitab inc.)
RISULTATI
Nelle pecore non vaccinate e inoculate con il sierotipo BTV-1
si riscontrava ipertermia dopo 7, 8 e 9 giorni dall’infezione in
coincidenza con il picco viremico. Lo stesso non si verificava
nei gruppi di animali inoculati con i sierotipi BTV-2 e BTV-4,
nei quali si potevano ugualmente evidenziare temperature
superiori al gruppo controllo senza differirne in maniera
significativa (Fig. 1).
Si segnalava nel gruppo infettato con il BTV-1 ed
esclusivamente nelle pecore non vaccinate una moderata
diminuzione dei granulociti ed un lieve incremento dei linfociti.
Nei gruppi infettati con il BTV-2 e BTV-4 non si riscontravano
modificazioni sostanziali dell’emocromo.
Nel gruppo infettato con il BTV-1 l’incremento dei linfociti
nelle
pecore
non
vaccinate
sarebbe
imputabile
principalmente ad una maggior presenza in circolo di linfociti
T CD8+ a partire dal 10° giorno dall’infezione (Fig. 2). A
differenza di quanto verificatosi per le pecore vaccinate,
infatti, nelle pecore non vaccinate si sono evidenziate
differenze significative (P”0,05) nelle percentuali di cellule
CD8+ ai vari tempi di campionamento. Inoltre, dopo 5 e 7
giorni dall’infezione le percentuali di CD8+ nelle pecore
vaccinate erano maggiori rispetto alle pecore non vaccinate
(P”0,05). Nel gruppo inoculato con il BTV-1, si evidenziava
anche una diminuzione delle cellule CD4+ nel gruppo di
pecore non vaccinate rispetto alle pecore vaccinate, resa
evidente soprattutto dopo 17 giorni dall’infezione. Le
modificazioni delle sottopopolazioni linfocitarie CD4+ e CD8+
riscontrate nel gruppo BTV-1 trovano conferma nel variato
rapporto CD4/CD8 evidenziato in figura 2. A differenza di
MATERIALI E METODI
Animali
Ventiquattro pecore di razza sarda selezionate in base alla
loro accertata sieronegatività nei confronti del virus della blue
tongue sono state suddivise in tre gruppi (n=8). In ciascun
gruppo quattro animali sono stati vaccinati con un vaccino
vivo attenuato trivalente che includeva nella formulazione i
sierotipi 1 (BTV-1), 2 (BTV-2) e 4 (BTV-4) mentre le restanti 4
pecore costituivano gli animali controllo non vaccinati. Cinque
mesi dopo la vaccinazione gli animali (vaccinati e controlli)
dei tre distinti gruppi sono stati inoculati rispettivamente con
ceppi di campo del BTV-1, BTV-2 e BTV-4 isolati da focolai
italiani.
111
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
quanto finora riportato nei gruppi di pecore inoculati con BTV2 e BTV-4 non si evidenziavano differenze o modificazioni
degne di nota nelle sottopopolazioni linfocitarie. Le
percentuali di linfociti T Ȗį non presentavano modificazioni in
alcuno dei tre gruppi.
Figura 1. Temperature rettali registrate quotidianamente nelle
pecore vaccinate e non vaccinate dei tre differenti gruppi
(BTV-1, BTV2, BTV-4) dal giorno dell’infezione ai seguenti 26
giorni. * indica una differenza significativa (P”0,05) tra i due
gruppi (vax e ctr)
DISCUSSIONE
I risultati della prova di infezione sperimentale con i diversi
sierotipi del BTV hanno messo in evidenza come il BTV-1
abbia determinato nelle pecore non vaccinate alterazioni
cliniche maggiormente evidenti rispetto ai sierotipi 2 e 4.
Analizzando, infatti, i dati relativi alle temperature si evince
come il sierotipo 1 abbia provocato ipertermia nelle pecore
non vaccinate a differenza di quanto riscontrato negli animali
vaccinati, mentre tali differenze non si sono riscontrate in
entrambi i gruppi (vaccinate e non vaccinate) inoculati con il
BTV-2 e BTV-4. Analogamente, le pecore non vaccinate del
gruppo BTV-1 hanno manifestato alterazioni nelle percentuali
di linfociti e granulociti, modificazioni che rimanevano
comprese comunque all’interno degli intervalli di riferimento
caratteristici della specie. Nessuna differenza è stata
registrata nell’esame emocromocitometrico degli animali
infettati con il BTV-2 e BTV-4. Anche per quanto riguarda i
risultati delle sottopopolazioni linfocitarie si sono messe in
evidenza alterazioni esclusivamente nel gruppo di pecore non
vaccinate ed inoculate con il BTV-1. In accordo con quanto
riportato da altri autori (1) l’infezione con il virus della BT ha
determinato un incremento delle cellule CD8+, al quale si
accompagnava un diminuzione delle CD4+ e un conseguente
aumento del rapporto CD4/CD8. In un precedente lavoro (4)
avevamo messo in evidenza come l’inoculazione del BTV-1
determinasse una diminuzione delle cellule CD4+ in pecore
non immuni, mentre non si verificava alcuna modificazione
delle sottopopolazioni linfocitarie in pecore immunizzate per il
sierotipo 1 con un vaccino vivo attenuato monovalente. I dati
relativi alle visite cliniche ed agli esami di laboratorio
suggeriscono come l’infezione sperimentale con il sierotipo 1
abbia determinato alterazioni cliniche ed ematologiche
evidenti nelle pecore non vaccinate rispetto a quanto
osservato con il BTV-2 e il BTV-4, lasciando supporre una
maggiore patogenicità del ceppo inoculato. Inoltre, le
osservazioni sulle pecore vaccinate suggerirebbero che le
preparazioni vaccinali impiegate siano in grado di proteggere
gli animali dall’insorgenza delle manifestazioni cliniche della
BT. Studi maggiormente approfonditi si rendono necessari al
fine di meglio chiarire il ruolo della CMI nella risposta degli
ovini all’infezione con il BTV.
Figura 2. Sottopopolazioni linfocitarie nelle pecore vaccinate
(vax) e non vaccinate (ctr) del gruppo BTV-1. * indica una
differenza significativa (P”0,05) tra i due gruppi (vax e ctr)
BIBLIOGRAFIA
1)
2)
3)
4)
Ellis JA, Luedke AJ, Davis WC, Wechsler SJ, Mechan JO,
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sheep to bluetongue virus: in vitro Induced lymphocyte
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Hungary.
112
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO:
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DEI PATOGENI DURANTE IL PROCESSO PRODUTTIVO
Boni P ., Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Bonometti E.,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di
Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia
Key words: Microbiologia predittiva, Ars-alimentaria, Regolamento CE 2073/2005
SUMMARY
The aim of this paper is the presentation of the experimental
draft used by Food Department of Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna to
demonstrated the safety of food processing by use of
challenge test combined with mathematic model of predictive
microbiology .
crudo, tagli di carne, etc.) che i semilavorati (cagliata,
panna, etc.) derivati da precedenti fasi di trasformazione;
l’elenco degli ingredienti deve consentire la precisa
identificazione di ogni componente, compresi aromi ed
additivi, specificando in quale fase del diagramma di
produzione esso è utilizzato.
La conoscenza del processo produttivo comprende anche
la rilevazione delle temperature delle fasi di processo e i
tempi di esposizione alle suddette temperature, con
particolare attenzione ai processi termici (pastorizzazione,
cottura, giacenza sotto siero), alla durata della stagionatura,
alle modalità di confezionamento, distribuzione e consumo.
Rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche
del prodotto
L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la
premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei
prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei
parametri microbiologici, chimico-fisici e merceologici
finalizzata alla creazione di standard di processo e standard
di prodotto.
Correlando le nozioni relative ai processi tecnologici con i
dati scaturiti dalle caratterizzazioni degli alimenti è possibile
interpretare quali fasi, in un processo di trasformazione,
costituiscono un “punto critico” per la sopravvivenza o meno
di una popolazione batterica.
Il sito www.ars-alimentaria.it (5) è attualmente aggiornato
con i processi produttivi di oltre 10000 produzioni relative a
circa 5800 aziende produttrici, costituendo una banca dati di
riferimento nazionale per l’approfondimento delle conoscenze
relative ai processi di trasformazione.
Contaminazione sperimentale del prodotto
L’utilizzo dei challenge test per la documentazione
scientifica dell’adeguatezza delle misure di controllo di un
processo produttivo presuppone la determinazione di quali
pericoli microbiologici considerare: Listeria monocytogenes e
Salmonella spp sono i patogeni che più frequentemente
costituiscono un pericolo per il consumatore (rispettivamente
negli alimenti pronti al consumo e/o nei prodotti a base di
carne); i challenge test possono prevedere anche l’utilizzo di
altri patogeni quali Campylobacter termotolleranti o
Escherichia coli O 157:H7; la conduzione di queste prove
sperimentali basate sulla contaminazione di materie prime
destinate alla trasformazione è subordinata all’utilizzo di
miscele di ceppi di riferimento e di ceppi di campo, specifici
per l’alimento considerato ed in possesso di caratteristiche
fenotipiche di importanza significativa in relazione alle fasi di
processo che devono essere valutate (ad esempio
determinazione della termoresistenza dei ceppi di L.
monocytogenes utilizzati per la valutazione di processi che
prevedano trattamenti termici).
Le prove sperimentali prevedono la contaminazione degli
alimenti con livelli di patogeni certamente superiori a quelli
tollerati dalla normativa e a quelli realmente possibili; questo
è dovuto alla necessità di valutare la “dinamica di
comportamento dei microrganismi” nel tempo e presuppone
7
9
contaminazioni variabili da 1 x 10 ufc/g o ml a 1 x 10 ufc/g o
ml di prodotto (3).
La scelta del momento in cui contaminare un prodotto
sottoposto ad un challenge test ed il successivo piano di
INTRODUZIONE
Il Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici
applicabili ai prodotti alimentari (1), modificato recentemente
dal Regolamento CE 1441/2007 (2), se da un lato identifica in
modo inequivocabile nell’operatore alimentare il ruolo di
responsabile della sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti,
dall’altro pone il veterinario ispettore (e più in generale
l’”Autorità Sanitaria”) nella condizione di doverne valutare
l’operato non più, o non solo, attraverso l’esecuzione di
prelievi ufficiali di alimenti, ma verificando che il rispetto dei
requisiti microbiologici sia supportato da basi scientifiche che
consentano di valutare la stabilità commerciale di un
prodotto, l’efficacia di un trattamento di processo e la
dinamica di comportamento dei patogeni durante la vita
commerciale del prodotto.
L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la
premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei
prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei
parametri microbiologici, chimico-fisici, merceologici e
tecnologici.
L’operatore del settore alimentare è chiamato ad assumersi
piena responsabilità riguardo alla sicurezza igienico-sanitaria
del prodotto nei confronti dei pericoli microbiologici, “dovendo
dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente”, il
raggiungimento di tale obiettivo “durante il periodo di
conservabilità (1) ” senza considerare la fase cui si applica il
criterio né l’esito di un eventuale campionamento ufficiale.
Gli strumenti a disposizione per valutare la sicurezza
igienico-sanitaria dei processi e delle produzioni sono (4):
x challenge test
x studi di shelf life
x modelli matematici di microbiologia predittiva.
Scopo del presente lavoro è presentare il protocollo dei
challenge test redatto dal Dipartimento Alimenti e Sicurezza
Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna proposto quale strumento
scientifico per valutare la conformità ai criteri microbiologici
fissati dal Reg CE 2073/2005 riportando alcuni esempi di
attività sperimentali.
MATERIALI E METODI
Il protocollo sperimentale per la valutazione della dinamica di
comportamento dei patogeni durante il processo produttivo
prevede 3 fasi:
x rilievo del processo produttivo;
x rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimicofisiche del prodotto;
x contaminazione sperimentale del prodotto.
Rilievo del processo produttivo
Consiste nel definire gli ingredienti che sono utilizzati nelle
trasformazioni alimentari, intendendo sia le materie prime
direttamente provenienti dalla produzione primaria (latte
113
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
nel salame artigianale) e quindi i tre prodotti, pur non
consentendo durante il processo lo sviluppo del patogeno,
non sono in grado di abbatterne la carica oltre 1 unità
logaritmica
durante
la
stagionatura,
sottolineando
l’importanza di un attento controllo delle materie prime e delle
condizioni igieniche di lavorazione onde evitare che l’alimento
giunga alla bocca del consumatore con livelli di L.
monocytogenes oltre il livello di 100 ufc/g stabilito dai
Regolamenti comunitari.
Al contrario, E. coli O 157:H7 e S. typhimurium hanno un
comportamento abbastanza simile che sottolinea come questi
tre processi produttivi non consentono il raggiungimento alla
bocca del consumatore di livelli considerati a rischio, nel
rispetto dei tempi di stagionatura.
campionamento implicano un’attenta analisi del processo
produttivo; la contaminazione dovrà essere effettuata a
monte della fase considerata “punto critico di processo” che
potrà essere identificata nel trattamento termico, nella
stagionatura o direttamente nelle materie prime (latte,
impasto, etc) mentre il campionamento sarà funzionale alle
caratteristiche dello “standard di prodotto” precedentemente
rilevate.
0
20
40
60
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
Log UFC/g
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0
20
tempo (giorni)
log ufc/g
regressione
40
60
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0
20
min
log ufc/g
regressione
40
60
tempo (giorni)
tempo (giorni)
max
max
min
log ufc/g
regressione
max
min
Nei grafici da 4 a 6 sono sono descritti gli andamenti
rispettivamente di S. typhimurium, E. coli O 157 H:7 e L.
monocytogenes durante il processo produttivo di un salame
tipo Cacciatore D.O.P. con una stagionatura di circa 35
giorni; la contaminazione è stata effettuata direttamente
nell’impasto.
Grafico 5
log ufc/g predetto
Grafico 4
Grafico 10
Grafico 6
Grafico 11
9
0.965
8
0.96
7
0.955
6
0.95
5
0.945
4
0.94
3
0.935
2
0.93
1
0.925
0
-10
0
10
20
30
40
50
60
0.92
70
9
0.97
8
0.96
7
0.95
6
0.94
5
0.93
4
0.92
3
0.91
2
0.9
1
0
0.89
0
tempo (giorni)
Aw
Grafico 3
Andamento di Listeria monocytogenes nel Salame cremini
log ufc/g predetto
Grafico 2
Andamento di Escherichia coli O157:H7 nel Salame Cremini
sperimentalmente contaminato
DISCUSSIONE
La conoscenza approfondita dei processi produttivi e dello
“standard di processo” dei prodotti considerati, permette,
abbinando i risultati dei challenge test ai modelli matematici di
microbiologia predittiva (6), di valutare l’andamento di alcuni
patogeni quali S. typhimurium sulla base della semplice
conoscenza dei parametri chimico fisici di altri prodotti il cui
“standard di processo” sia compatibile a quello rilevato
nell’alimento sperimentalmente contaminato.
Il grafico 10 mostra il confronto tra i valori attesi ed
osservati di S. typhimurium nel processo di stagionatura del
Salame artigianale (Grafico 1), mentre nel grafico 11 vengono
riportati gli stessi risultati ma riferiti al salame tipo Cacciatore
D.O.P. (Grafico 4).
Aw
Grafico 1
Andamento di Salmonella typhimurium nel Salame Cremini
sperimentalmente contaminato
Log UFC/g
Log UFC/g
RISULTATI
Nei grafici da 1 a 3 sono sono descritti gli andamenti
rispettivamente di S. typhimurium, E, coli O 157:H7 e L.
monocytogenes durante il processo produttivo di un salame
di produzione artigianale con una stagionatura di circa 40
giorni; la contaminazione è stata effettuata direttamente
nell’impasto.
5
10
15
20
25
30
35
40
tempo (giorni)
Predizione
Nei grafici da 7 a 9 sono sono descritti gli andamenti
rispettivamente di S. typhimurium, E. coli O 157 H:7 e L.
monocytogenes durante il processo produttivo di un salame
tipo Spianata. con una stagionatura di circa 45 giorni; la
contaminazione è stata effettuata direttamente nell’impasto.
Grafico 7
Grafico 8
profilo Aw
andamento previsto
media dati osservati
profilo Aw
In entrambi i casi i dati osservati esprimono un minore
rischio rispetto alla predizione del modello matematico,
probabilmente in quanto quest’ultimo non considera la
presenza di flore lattiche, caratteristiche dei salumi italiani, in
grado esercitare un’azione di bio competizione nei confronti
dei patogeni; al termine del periodo di stagionatura
comunque i dati si allineano a quanto indicato dai modelli di
predizione, a sostegno del fatto che, l’applicazione dei
modelli matematici di microbiologia produttiva risulta
particolarmente utile quando abbinato a challenge test basati
sulla scrupolosa conoscenza di standard di processo e quindi
condivisibili con alimenti accomunabili ad uno stesso
“standard di prodotto”.
Grafico 9
I dati analitici ottenuti, elaborati mediante modelli
matematici di microbiologia predittiva (3, 6), permettono di
calcolare, per ogni patogeno, il tempo di riduzione decimale D
e quindi di valutare se ed in che misura il processo produttivo
inteso sino al termine della stagionatura possa impedire o
ridurre la capacità di sopravvivenza dei patogeni
eventualmente presenti nelle materie prime.
Pur trattandosi di tre prodotti a base di carne con
tecnologia di produzione differente, per alcuni patogeni si
possono trarre conclusioni comuni; L. monocytogenes
possiede un tempo di riduzione decimale molto alto
(compreso tra i 48 giorni nel cacciatore D.O.P. ed i 66 giorni
Dati osservatis
BIBLIOGRAFIA
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3.
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eat: la normativa comunitarie e la regolamentazione per
l’esportazione verso gli U.S.A.” Industrie Alimentari XLVI (2007)
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www.ars-alimentaria.it
www.combase.cc
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
UNA ESPERIENZA DI CONDIVISIONE INFORMATICA DELLE ANAGRAFICHE DEGLI ALLEVAMENTI
BASATA SULLA COOPERAZIONE APPLICATIVA NELLA REGIONE VENETO
1
1
1
1
2
1
1
1
1
Bortolotti L, Ponzoni A, Rizzo S, Redigolo L, Benvegnù F, Rostellato D, D’Este L, Mazzagallo S, Farina G ,
1
Brichese M, Marangon S
3
1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) 2) Ditta Info.C.E.R., Venezia 3)Regione Veneto - Unità di Progetto per la
Sanità Animale e la Sicurezza Alimentare, Venezia
Key words: cooperazione applicativa , Izilab, BDR
Introduzione. L'IZSVe effettua ogni anno circa 1.400.000
esami su campioni che provengono da strutture zootecniche
della Regione Veneto. La gestione di questa attività, in
particolare nella fase di accettazione dei campioni, necessita
di anagrafiche consolidate e validate, che costituiscono la
base informativa per una corretta gestione del flusso
operativo. Per l'attività in oggetto l'anagrafica di riferimento è
costituita dalla BDR (Banca Dati Regionale dell’Anagrafe
Zootecnica del Veneto) in cui sono censite e gestite le
informazioni relative agli stabilimenti zootecnici e agli animali
in essi contenuti.
La Base Dati Anagrafica è stata messa a disposizione del
sistema di accettazione e refertazione dell'IZSVe (Izilab) con i
meccanismi previsti dalla cooperazione applicativa e
dall'interoperabilità realizzando un sistema basato sui web
services di G2G (Governement to Governement) secondo
quanto previsto nel Piano d'Azione per l'e-Governement
emanato dal Governo.
Materiali e Metodi. I sistemi informatici di supporto all'attività
veterinaria sono :
Izilab come strumento per l'accettazione dei campioni e
la refertazione degli esiti utilizzato dai laboratori
dell’IZSVe. Il sistema è operativo dal 1.1.2005.
BDR centralizzata su base regionale dal 1.1.2003, che
rappresenta il riferimento per la gestione delle
anagrafiche in ambito zootecnico in Veneto.
Per consentire l’allineamento anagrafico dei due sistemi è
stato necessario garantirne l'interoperabilità realizzando un
modello di cooperazione applicativa tramite web services.
Questa si concretizza in una interrogazione in fase di
accettazione da parte di Izilab a BDR per la verifica e la
validazione delle figure anagrafiche, con successivo
aggiornamento dell’archivio anagrafico di Izilab.
La comunicazione avviene tramite l’utilizzo di chiavi aperte e
condivise tra le due anagrafiche, in particolare l’identificativo
univoco aziendale (codice 317). FIG. 1
La maturità e la diffusione ormai raggiunta dai protocolli
nell'ambito web sono elementi essenziali per la realizzazione
di quanto esposto, in particolare lo standard XML è
determinante per definire le modalità di descrizione e
comunicazione delle informazioni alla base dell'integrazione e
dell'interoperabilità di sistemi informativi pubblici.
I protocolli standard e ormai consolidati coinvolti nella
definizione e nell’uso dei web services sono quindi : SOAP,
HTTP, XML, UDDI e WDSL.
Risultati. I due sistemi eterogenei ed indipendenti
comunicano tramite i paradigmi tipici della cooperazione
applicativa dal 1.1.2005 con l'integrazione delle informazioni
dell'anagrafe BDR in Izilab, quali il codice aziendale e le
figure anagrafiche ad esso correlate- ragione sociale,
detentore e proprietario degli animali.
Il numero di anagrafiche di allevamenti registrate in Izilab è di
31.000, che costituiscono una quota parte delle 52.000
censite in BDR.
Con Izilab ogni mese, in media, vengono effettuate circa
5.500 accettazioni di campioni relativi ad allevamenti del
Veneto, di cui circa 200 con interrogazione della BDR da
parte di Izilab (dati anno 2008).
Figura 1
Porta Applicativa
Porta Delegata
Richiesta
Dominio A
Server
BDR
001BL001
Risposta
Anagrafica
allevamento
Dominio B
Client
Izilab
INTERNET
Conclusioni. L’esperienza maturata in oltre 3 anni ha
evidenziato una notevole stabilità nella tecnologia informatica
e nei protocolli web utilizzati. Il principale punto critico è in
genere rappresentato dalla necessità di modificare le
procedure operative e i flussi informativi dei servizi territoriali
e dei laboratori coinvolti. Talvolta gli operatori si adattano con
difficoltà all’impiego di tali strumenti informatici, malgrado i
vantaggi pratici che ne derivano, rappresentati da un minore
dispendio di tempo nella registrazione dei dati e dall’evidente
riduzione degli errori di digitazione dei dati.
Si è infatti verificato che la possibilità di allineare le
anagrafiche di Izilab con quanto presente in BDR, che
rappresenta il dato ufficiale, si scontra con il parallelo flusso
documentale, non sempre correttamente referenziato e
compilato, ma che tuttavia rappresenta ancora spesso il
punto di riferimento per la registrazione delle anagrafiche
associate ai campioni.
Pertanto, per trarre tutti i benefici che la cooperazione
applicativa offre, nell’immediato futuro sarà necessario
rivedere i flussi informativi ed operativi al fine di semplificarli
e renderli più pratici, eliminando le possibili incongruenze e
ridondanze. Parallelamente saranno estesi i servizi fruibili
tramite l'interoperabilità applicativa dei sistemi informatici.
Riassunto. Applicative cooperation allows the collaboration
among public authorithies giving the opportunity to exploit all
the potential provided by information technology to transform,
enrich and simplify information interchange. IZSVe has
developed a system based on web services in order to collect
farms’ data directly from the Regional Data Base. This report
describes the IT applied and summarize the results obtained
in the last three years.
115
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
SVILUPPO DI METODICHE ALTERNATIVE PER LA RICERCA DI FRAMMENTI OSSEI DI ORIGINE ANIMALE
NEI MANGIMI
1
Buonincontro G., 2Squadrone S., 2Benedetto A., 1Fragassi S., 1Sant S., 3Della Torre E., 4Parasacco M. & 1Decastelli L.
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, TORINO
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, C.R.eA.A. (NRL proteine animali nei mangimi), TORINO
3
A. S.L. 4, Servizio Veterinario “Area C”, TORINO
4
A. S.L. 5, Servizio Veterinario “Area C”, TORINO
Keywords: farine animali, PCR, real-time PCR
Introduzione
Sin dal 1994 l'Unione europea ha messo in atto misure
specifiche per proteggere la salute umana ed animale
dall’Encefalopatia spongiforme bovina (Bse). Ogni anno
circa 10 milioni di animali sono testati per la Bse in Europa.
Poiché è ormai accertato che la BSE si trasmette per via
alimentare in seguito ad una non completa inattivazione
dell’agente infettante presente in alimenti ad uso
zootecnico contaminati da farine di carne, la legislazione
europea e nazionale ha vietato l’utilizzo di farine animali nei
mangimi, consentendo esclusivamente l’impiego di farine di
pesce nei mangimi destinati ai non ruminanti (Regolamento
Commissione CE 1292/2005) (1).
Le analisi ufficiali effettuate sui mangimi si basano
sull’identificazione dei componenti di origine animale
attraverso un metodo microscopico (metodica ufficiale
secondo la Direttiva 2003/126/CE recepita a livello
nazionale con il D.M. 09/09/2004) (2).
Nel decreto, inoltre, si fa esplicito riferimento all’eventuale
impiego di “metodi diversi o alternativi, per migliorare
l’identificazione di taluni tipi di costituenti di origine animale
o per specificarne l’origine”, la cui validità scientifica sia
stata comprovata, infatti, negli ultimi anni sono state messe
a punto tecniche alternative di biologia molecolare (D.M.
09/09/2004).
Tali tecniche possono rappresentare un ausilio alla
metodica microscopica ufficiale, permettendo infatti di
identificare la presenza di DNA di origine animale nei
mangimi attraverso l’utilizzo di primers universali (3) che
amplificano una sequenza di DNA mitocondriale codificante
per la subunità 16S ribosomiale e di identificare la specie
animale attraverso l’utilizzo di primer specie-specifici (4, 5,
6).
In questo lavoro un campione di mangime complementare
risultato positivo alla metodica ufficiale di controllo per la
presenza di frammenti ossei di animali terrestri è stato
analizzato con tecniche PCR-based (simplex PCR e real
time PCR) al fine determinare la specie animale presente.
Materiali e metodi
Campionamento
Dal 01/01/2008 al 31/07/2008 sono stati analizzati 308
campioni di alimenti ad uso zootecnico: 266 dalle ASL del
Piemonte come previsto dal Piano di sorveglianza
Nazionale per alimentazione animale (PNAA) e 42
campioni provenienti dai Posti di Ispezione Frontaliera
(PIF).
Tutti i campioni sono stati analizzati secondo la metodica
ufficiale di controllo che prevede la ricerca microscopica dei
frammenti ossei (D.M. 20/09/2004).
Dei campioni processati solo uno è risultato positivo per la
presenza di frammenti ossei di animali terrestri.
Il campione di mangime complementare per bovini è stato
prelevato da un mezzo di trasporto utilizzato per lo
spostamento dei materiali dal silos alla sala di mungitura.
L’aliquota in esame presentava numerosi frammenti ossei
visibili al microscopio come particelle semi-trasparenti, di
forma irregolare e rotondeggiante con lacune nere su
sfondo grigio, presumibilmente riconducibili alla presenza
di resti di mammifero.
In seguito al riscontro della positività, l’ASL competente ha
effettuato in diversi allevamenti campioni di mangime
preparati con le stesse materie prime.
Nel
mangimificio,
inoltre,
sono
state
prelevate
singolarmente tutte le materie prime presenti nel mangime
risultato positivo per un totale di 12 campioni. Tutti i
campioni effettuati e sopradescritti hanno dato esito
negativo per la ricerca di frammenti ossei.
Estrazione del DNA
Il DNA è stato estratto dal mangime mediante l’utilizzo del
PureLink TM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen).
Il DNA è stato in seguito purificato e concentrato
®
utilizzando il kit ChargeSwitch Forensic DNA Purification
(Invitrogen,). Questo kit consente di allontanare gli
eventuali inibenti presenti nella matrice grazie all’utilizzo di
biglie magnetiche che legano per affinità di carica
esclusivamente il DNA. La successiva eluizione dell’acido
nucleico può essere effettuata in un volume molto piccolo e
variabile di tampone, consentendo in questo modo di
concentrare il DNA estratto precedentemente.
Amplificazione del DNA
Il DNA è stato amplificato mediante simplex PCR
utilizzando primers che hanno come bersaglio un tratto
della sequenza del DNA mitocondriale codificante per la
subunità 16S dell’RNA ribosomiale (primer universali). In
seguito all’amplificazione del DNA il prodotto è rilevato
tramite elettroforesi su gel di agarosio al 2% e sono
visualizzati ampliconi di peso diverso a seconda della
specie animale presente. Successivamente il campione è
stato sottoposto a PCR simplex specie-specifiche per
l’identificazione di bovino, suino, ovi-caprino e specie
avicole.
Real time PCR
Il campione è stato analizzato con PCR real time tramite
l’uso di primers specifici per bovino, suino, agnello, pollo e
tacchino (7) e relative sonde fluorogeniche MGB (minor
groove
binding,
Applied
Biosystems)
tramite
strumentazione StepOne Real_Time PCR Systems
(Applied Biosystems.). Il controllo interno di reazione è
costituito da un ulteriore TaqMan MGB detector basato su
sequenze consenso del gene del 18S RNA ribosomiale che
consente di valutare la presenza di DNA eucariotico oltre
che costituire un’indicazione sul contenuto totale di DNA
amplificabile della reazione.
Un secondo protocollo in real-time PCR comprendente un
set di primers-probe specifici per bovino, suino e pollo (8) è
stato utilizzato per confermare i risultati.
Risultati
La lettura al microscopio ottico del campione ha
evidenziato la presenza di numerosi frammenti ossei. Le
ossa presenti avevano caratteristiche morfologiche tali da
escludere l’appartenenza alla classe degli animali
acquatici,
mentre
risultava
più
difficoltosa
la
discriminazione tra mammiferi e volatili, pertanto l’esito
della prova riporta la dicitura “presenza di animali terrestri”,
sebbene il lettore fosse maggiormente indirizzato verso la
presenza di resti di mammifero.
116
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
La simplex PCR eseguita con primers universali sul DNA
estratto dal mangime, mediante l’utilizzo del PureLink TM
Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen) seguito da purificazione
con il kit ChargeSwitch® Forensic DNA Purification
(Invitrogen,), ha confermato la presenza in bassissima
concentrazione di DNA animale nel campione. (Vedi foto
concentrazioni di frammenti ossei inferiori allo 0,1% e non
necessitando di apparecchiature sofisticate. Richiede,
però, lunghi tempi d’esecuzione e personale esperto.
La sensibilità dei metodi bio-molecolari è molto elevata e
consente di rilevare piccole tracce del target ricercato;
tuttavia in presenza di matrici complesse la presenza di
sostanze inibenti potrebbe interferire con l’efficienza della
reazione di amplificazione.
L’applicazione di metodi molecolari in real-time PCR,
consente di aumentare la sensibilità e la specificità e quindi
di identificare con ragionevole sicurezza la specie
presente.
L’uso di queste tecniche è particolarmente utile nella
ricerca di costituenti di origine animale nei mangimi, poiché
il DNA è meno suscettibile alla degradazione al calore
rispetto alle proteine. L’uso della real-time PCR ha
consentito di discriminare le specie animali responsabili
della contaminazione del mangime in esame, bovino e
suino. Ciò è dovuto alla maggior sensibilità del metodo in
real-time: in particolare l’uso di sonde TaqMan MGB
aumenta la specificità di reazione, riducendo anche il
rumore di fondo.
L’affiancamento di metodiche innovative all’analisi ufficiale
permette di ottenere non solo la conferma dei positivi ma
anche di identificare con certezza la specie animale di
appartenenza.
1).
Foto 1. PCR eseguita con primers universali per ricerca
DNA animale
Le PCR simplex specie-specifiche per l’identificazione di
bovino, suino, ovi-caprino e specie avicole eseguite sul
medesimo campione di DNA hanno dato tutte esito
negativo.
La PCR real time allestita secondo il protocollo di Lopez (7)
ha evidenziato la presenza di DNA di bovino in percentuale
paragonabile al controllo positivo dello 0.1%MBM. Infatti il
ciclo soglia in cui il target amplificato raggiunge un
threshold fisso (Ct) è paragonabile: 39 Ct per il campione
analizzato e 38 Ct per il controllo dello 0.1% su 50 cicli di
amplificazione previsti dalla metodica ( vedi foto 2).
Bibliografia
1. Regolamento Commissione CE 1292/2005, recante modifica
dell’allegato IV del regolamento (CE) n. 999/2001 del Parlamento
e del Consiglio per quanto riguarda l’alimentazione animale. G.U.
n. 205/3 del 05/08/2005
2. D.M. 09/09/2004 del Ministero delle politiche Agricole e
Forestali: Metodo analitico per la determinazione dei costituenti di
origine animale nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti per
animali – supplemento n. 18; recepimento della direttiva
2003/126/CE. G.U. serie generale n. 221 del 20/09/2004
3. Bottero M.T., Dalmasso A., Numera D., Turi R.M., Rosati S.,
Squadrone S., Goria M., Civera T. 2003. Development of a PCR
assay for the detection of animal tissues in ruminant feeds. J. Food
Protection 66: 2307-2312
4. Bottero M.T., Civera T., Anastasio A., Turi R.M., Rosati S.,
2001. Identification of Cow’s Milk in Buffalo Cheese by Duplex
Polimerase Chain Reaction. Journal of Food Protection. 65/2: 362366
5. Calvo J.H., Zaragoza P., Osta R., 2001. Technical note: a quick
and more sensitive method to identify pork in processed and
unprocessed by PCR amplification of a new specific DNA
fragment. J. Animal Science. 79: 2108-2112
6. Rosati S., Pittau M., Alberti A., Pozzi S., York D.F., Sharp J.M.,
Palmarini M., 2000. An accessory open reading frame (orf-x) of
jaagsiekte sheep retrovirus is between different virus isolates.
Virus Research. 66: 109-116
7. Lòpez-Andreo M., Lugl L., Garrido-Pertierra, Prieto M.I., Puyet
A.2005. Identification and Quantitation of species in complex DNA
mixtures by real-time polymerase chain reaction. Analytical
Biochemistry, 339: 73-82.
8. Krcmar P. & Rencova E..2005. Quantitative detection of
species-specific DNA in feedstuffs and fish meal. J. Food
Protection, 6:1217-1221.
Foto 2. Amplification plot real-time PCR (Lopez et al.2005)
target bovino ed endogeno 18S
Inoltre è stata riscontrata la presenza di DNA di suino in
bassissima percentuale (uscita del Ct al 41° ciclo).
Le real time PCR eseguite in parallelo per agnello, pollo e
tacchino hanno dato esito negativo. Questo dato è stato
confermato dai risultati ottenuti seguendo il protocollo di
real time PCR di Krcmar(8): in questo caso il Ct per il
mangime analizzato nel caso del bovino è 37 contro 38 Ct
del controllo 0.1%; mentre per il suino il Ct è 41 su 45 cicli
di PCR. Le real time PCR per ovino e pollo hanno dato
esito negativo.
Discussione
La metodica ufficiale per la ricerca di frammenti ossei
presenta alcuni vantaggi, essendo precisa, con una
sensibilità pari all’99.39% ed una specificità pari al 99.77%
(Dati Ring Test 2007, ISS – IIZZSS), rilevando
SUMMARY
The European Union issued the first ban on feed protein
derived from ruminant tissue that was targeted to be fed to
ruminant species in 1994. Animal protein may enter the
feed chain mainly in the form of a meat-and–bone meal
(MBM). The only EU official method for the detection of
MBM in animal feed is the microscopic examination.
Molecular genetic methods are capable of detection of
specie-specific DNA in heat-processed samples. In this
study we analysed a sample resulted positive for the
presence of MBM with the official method and DNA-based
techniques.
117
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
FRAZIONAMENTO DEI SUBPROTEOMI DI MICOPLASMI AGENTI EZIOLOGICI DI AGALASSIA CONTAGIOSA
1
Cacciotto C, 1,2Addis MF, 1Alberti A, 1Chessa B, 1Carcangiu L, 1Pittau M
1
Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari
2
Porto Conte Ricerche Srl, Tramariglio, Alghero
Key words: Mycoplasma, Agalassia Contagiosa, Proteomica
Introduzione
I micoplasmi sono i più piccoli e semplici batteri capaci di
replicazione autonoma, sono privi di parete ed hanno un
genoma di dimensioni ridottissime. Viste le esigenze
metaboliche, i micoplasmi possono essere coltivati in vitro
solo con l’aggiunta di siero, e formano delle colonie dalla
tipica morfologia ad “uovo fritto” (5). I micoplasmi causano
diverse patologie di interesse veterinario, tra cui l'Agalassia
Contagiosa (CA). L’agente eziologico della CA “sensu stricto”
è Mycoplasma agalactiae, che si localizza a livello della
mammella, a livello oculare e articolare dei piccoli ruminanti. Il
quadro patognomonico della CA è caratterizzato da mastiti,
Rad) secondo le istruzioni del produttore e colorate con
Coomassie R250. Per il western blotting, le proteine sono
state trasferite su nitrocellulosa con la Mini-Transblot Cell
della Bio-Rad secondo le istruzioni del produttore. Dopo il
trasferimento, la membrana è stata bloccata con PBS-tween
0,05% (TPBS) contenente il 5% di skim milk. La membrana è
stata incubata con un siero iperimmune di coniglio anti-rP48
per 2 ore, lavata con TPBS e quindi incubata con anticorpi
anti-coniglio coniugati con perossidasi. Dopo il lavaggio, la
membrana è stata sviluppata con un substrato
chemiluminescente
(Sigma).
Per
l’elettroforesi
bidimensionale, 150 μg di proteine in lysis buffer sono state
utilizzate per la reidratazione passiva di IPGstrips pH 3-10NL
(GE Healthcare), condotta O/N a 20°C. Successivamente, le
strip sono state sottoposte a focalizzazione isoelettrica su
una IPG-Phor (GE Healthcare) per un totale di 80.000 VH. Al
termine della focalizzazione, le strip sono state equilibrate e
sottoposte ad elettroforesi nella seconda dimensione in
presenza di SDS. Al termine della separazione, i gel sono
stati colorati con il metodo dell’impregnazione argentica. Le
immagini sono state acquisite con un ImageScanner (GE
Figura 2. Da sinistra verso destra: Colonie di micoplasmi su
terreno solido; artrite; cheratocongiuntivite.
Figura 1: Schema sperimentale
artriti, cheratocongiuntiviti ed aborti (Fig. 1). Altri micoplasmi
appartenenti al cluster del M. mycoides causano sindromi
affini che alcuni autori indicano collettivamente come
Sindrome da Agalassia Contagiosa (4). In Sardegna i
micoplasmi dei piccoli ruminanti più frequentemente segnalati
sono, oltre al M. agalactiae, il M. capricolum subsp.
capricolum, il M. mycoides subsp. mycoides L.C. e il M.
putrefaciens. La CA causa gravi perdite economiche in aree
in cui l’allevamento dei piccoli ruminanti riveste particolare
importanza economica, come nel caso della nostra regione.
Di conseguenza, la caratterizzazione di proteine coinvolte nei
meccanismi di patogenicità e di difesa dell’ospite è
fondamentale per lo sviluppo di strumenti di diagnosi,
profilassi e controllo di questa patologia. Le tecniche
principali per lo studio del proteoma sono l’elettroforesi delle
proteine, mono e bidimensionale, e la spettrometria di massa.
Prerequisito per lo svolgimento di queste analisi è la messa a
punto di metodi di estrazione, frazionamento ed analisi dei
proteomi e dei subproteomi dei microrganismi.
Healthcare) e processate con i software ImageMaster
Platinum (GE Healthcare) e Photoshop Elements (Adobe).
Nella Figura 2 è illustrato lo schema sperimentale seguito e
sono raffigurati gli strumenti utilizzati per questo lavoro.
Materiali e Metodi
M. agalactiae PG2 e M. capricolum CK sono stati coltivati in
terreno PPLO addizionato con siero di cavallo al 20%. Dopo
coltura a 37°C, i batteri sono stati raccolti in centrifuga e lavati
con PBS. Le proteine totali sono state estratte mediante
risospensione del pellet in Lysis buffer (urea 7M, tiourea 2M,
CHAPS 4%, IPG buffer 3-10 1%, inibitori di proteasi). Il
frazionamento delle proteine idrosolubili e liposolubili è stato
condotto con il metodo del Triton X-114, seguendo la
metodica inizialmente descritta da Bordier (2) e
successivamente ottimizzata nel nostro laboratorio. Le
proteine sono state risospese in Laemmli buffer (3), oppure
precipitate con TCA 10% a 4°C, lavate con acetone,
risospese in Lysis buffer e quantificate con il metodo di
Bradford. In seguito, come controllo sono state separate su
gel di poliacrilammide al 10% su una Protean Tetra Cell (Bio-
Risultati e Discussione
Allo scopo di caratterizzare il proteoma dei micoplasmi agenti
eziologici di CA, le proteine totali dei ceppi di riferimento di M
agalactiae PG2 e M. capricolum CK sono state estratte e
sottoposte a separazione mediante 2D-PAGE. Questa
tecnica elettroforetica permette di separare le proteine
secondo due coordinate: il punto isoelettrico (da sinistra
verso destra) ed il peso molecolare (dall’alto verso il basso).
In seguito a questa separazione, viene generata una mappa
riproducibile che può essere utilizzata a fini di proteomica
differenziale mediante analisi di immagine. Inoltre, la 2DPAGE può essere utilizzata come metodo preparativo per
l’isolamento di spot contenenti una sola o poche proteine,
rendendo possibile l’applicazione della spettrometria di
massa MALDI-TOF. Come si può osservare nella Fig. 3, sono
118
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
state ottenute mappe ben risolte e contenenti un elevato
numero di proteine. Le proteine di superficie e di membrana
svolgono un ruolo importante nella patogenesi dei
micoplasmi, essendo fondamentali per l’adesione, la
colonizzazione, la formazione di biofilm e, nelle specie che ne
sono capaci, nell’invasione. È stato inoltre dimostrato che
alcune di queste proteine sono importanti antigeni
immunodominanti, come la P48 di M. agalactiae e la P60 di
M. capricolum (1,6). Il loro studio e la loro caratterizzazione
liposolubili di M. agalactiae (a sx) e di M. capricolum (a dx).
L’ottenimento di questo risultato aprirà ora diverse prospettive
sperimentali. In primo luogo, sarà possibile studiare la
risposta degli animali colpiti da CA utilizzando la sola frazione
di membrana dei micoplasmi come antigene per studi di
Western Immunoblotting mirati a valutare la risposta
immunologica degli animali. Inoltre, la possibilità di lavorare
con subproteomi faciliterà lo studio sistematico delle proteine
delle diverse frazioni mediante spettrometria di massa. Nel
lungo
termine,
questo
lavoro
sarà
finalizzato
all’individuazione, lo sviluppo e la realizzazione di nuovi ed
efficaci strumenti per la profilassi, la diagnosi e il controllo
della sindrome da Agalassia Contagiosa.
Questo lavoro è stato finanziato dalla Regione Autonoma
Figura 3: Mappe bidimensionali delle proteine totali di
M. agalactiae PG2 (sx) e M. capricolum CK (dx)
Figura 3: 2D-PAGE delle frazione idrosolubile (in alto) e
della frazione liposolubile (in basso) di M. agalactiae
PG2(a sinistra) e di M. capricolum CK (a destra)
sono quindi di importanza fondamentale per i nostri scopi.
Una debolezza della 2D-PAGE condotta con i metodi classici
di estrazione e separazione è data dal fatto che in genere
questa componente è poco rappresentata rispetto alle
proteine solubili. Di conseguenza, abbiamo adattato alla
separazione elettroforetica mediante 2D-PAGE una metodica
di frazionamento basata su Triton X-114 descritta in
letteratura, che era stata ottimizzata nel nostro laboratorio per
Figura 4: SDS-PAGE i micoplasmi. Inizialmente, l’efficienza
del frazionamento è stata valutata
e WB di proteine
mediante
elettroforesi
monototali, idro e
dimensionale seguita da western
liposolubili
blotting ed incubazione con anticorpi
diretto verso la P48, una basic
membrane protein. Questa proteina
costituisce un controllo valido in
quanto si tratta di una proteina
basica, e quindi di difficile estrazione,
è altamente idrofobica ed è associata
alla membrana. Il segnale della
proteina
è
stato
evidenziato
solamente nelle proteine totali e nella
frazione liposolubile, indicando la
validità del metodo di frazionamento
da noi applicato. Nella Figura 4 sono
riportati i profili relativi alle proteine
totali, idro e liposolubili di M.
capricolum CK (in alto), i profili relativi
alle proteine totali, idro e liposolubili
di M. agalactiae PG2 (al centro), e il
segnale relativo alla P48 nelle
proteine totali e nella frazione
liposolubile. Una volta ottenuta con
successo la separazione delle due
frazioni, era necessario che le
proteine si trovassero nel tampone
adeguato
per
l’elettroforesi
bidimensionale, poiché i sali e i detergenti presenti nei
campioni frazionati possono interferire con la focalizzazione
isoelettrica delle proteine, alterandone la migrazione. A
questo scopo, le proteine sono state sottoposte a diversi
metodi di precipitazione e risospensione. Il risultato migliore è
stato ottenuto con la precipitazione in TCA, il lavaggio in
acetone e la risospensione in Lysis buffer. Nella Figura 5
sono riportate le mappe relative alle proteine idrosolubili e
della Sardegna,
Programmazione.
Assessorati
alla
Sanità
e
alla
Riferimenti bibliografici
1) Alberti A, Robino P, Chessa B, Rosati S, Addis MF, Mercier P,
Mannelli A, Cubeddu T, Profiti M, Bandino E, Thiery R, Pittau M.
2008. Characterisation of Mycoplasma capricolum P60 surface
lipoprotein and its evaluation in a recombinant ELISA. Vet.
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2)Bordier, C. 1981. Phase-separation of integral membrane
proteins in Triton X-114 solution. J. Biol. Chem. 25, 1604-1607.
3)Laemmli, UK. 1970. Cleavage of structural proteins during the
assembly of the head of bacteriophage T4. Nature 227, 680-685.
4)Lambert, M., 1987. Contagious agalactia of sheep and goats. In:
Mycoplasmoses of ruminants. Rev. Sci. Tech. OIE 6, 699–711.
5)Razin SD, Yogev D, Naot Y. 1998. Molecular biology and
pathogenicity of mycoplasmas. Mol. Biol. Rev. 62, 1094-1156.
6)Rosati S, Robino P, Fadda M, Pozzi S, Mannelli A, Pittau M.
2000. Expression and antigenic characterization of recombinant
Mycoplasma agalactiae P48 major surface protein. Vet. Microbiol.
71, 201-210.
Abstract
M. agalactiae and M. capricolum are aetiologic agents of an
economically detrimental infectious disease of small
ruminant, Contagious Agalactia. A method for fractionation of
M. agalactiae and M. capricolum hydrophilic and hydrophobic
subproteomes has been developed and adapted to 2DPAGE. In the future, this will allow systematic and differential
proteomic studies of these microorganisms, and it will enable
identification of immunodominant proteins suitable for
prophylaxis, diagnosis, and control of Contagious Agalactia.
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X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
INDAGINE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. IN ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE DEL NORD
ITALIA
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1
2
1
1
1
1
Cammi G. , Arrigoni N. , Belletti GL. , Garilli F. , Ricchi M. , Vicari N. , Tamba M. , Galletti G.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”.
Corso di Laurea in “Tecnologie delle Produzioni animali e sicurezza degli alimenti” Facoltà di Medicina Veterinaria. Università di Parma.
2
Key words; Prototheca spp., latte di massa, mastite bovina
situati nella Regione Emilia-Romagna, 36 nella Regione
Lombardia (Tabella 1).
Trattandosi di campioni di latte conferiti per le analisi
merceologiche con presenza del conservante Sodio Azide
(0,016 g/100 ml di latte), è stato necessario, in via
preliminare, valutare l’eventuale impatto di questa sostanza
ad azione batteriostatica, sulla sopravvivenza nel latte e sullo
sviluppo in vitro di Prototheca spp. A questo scopo, campioni
di latte di massa bovino (controllati per l’assenza di
Prototheca spp.) con e senza il conservante, sono stati
contaminati con la medesima sospensione di un ceppo di
campo di Prototheca spp. e quindi conservati a temperatura
di refrigerazione (0-4°C) per un periodo di 13 giorni. Il
confronto tra le conte delle cariche di Prototheca spp.,
effettuate periodicamente dalle due tipologie di campioni, ha
permesso di verificare che il Sodio Azide non ha alcun effetto
di tipo batteriostatico sulla microalga.
L’esame per la ricerca di Prototheca spp. è stato condotto,
dopo opportuna agitazione del campione, inoculando
direttamente 0,5 ml di latte in una piastra di PIM, (Prototheca
Isolation Medium) (6), successivamente incubata a 30 °C per
72 ore in condizioni di aerobiosi (soglia di rilevabilità: 2
ufc/ml). In questo modo è stato possibile rilevare la presenza
anche di una sola bovina infetta su 100, qualora eliminasse
almeno 200 ufc di Prototheca spp. /ml di latte (valore minimo
di ufc/ml da noi rilevato in vacche infette). Terminato il
periodo di incubazione, le colonie cresciute sulle piastre sono
state osservate allo stereomicroscopio per valutarne la
morfologia e quindi sottoposte a colorazione di Gram. Le
colonie di Prototheca spp. sono state contate fino ad un
massimo di 300 per piastra (corrispondenti a 600 ufc/ml di
campione). I conteggi delle piastre con un numero superiore
di colonie, sono state espressi come superiori a 600 ufc/ml di
campione.
Da ciascuna delle piastre con sviluppo di Prototheca spp.
sono state prelevate una o più colonie con morfologia
rappresentativa, e trapiantate su Tryptone Soya Yeast Extract
Agar Slant per la successiva identificazione mediante PCR.
I ceppi isolati sono stati sottoposti ad identificazione mediante
PCR, amplificando una regione conservata del RNA 18S con
primers Proto18-4f e Proto18-4r, secondo la metodica
descritta da Roesler et al. (2006) (8). Per ogni campione
controllato, sono stati registrati anche i dati relativi alla Carica
batterica totale ed alla conta delle cellule somatiche,
determinati rispettivamente mediante Bactoscan FC (tecnica
optofluorometrica) e Fossomatic 5000 (conta diretta in
optofluorometria). Infine, sulla base del numero di vacche in
lattazione, gli allevamenti sono stati inseriti in tre fasce di
consistenza: fino a 50, 51-100, >100 bovine in lattazione.
Summary
Bulk tank milk samples collected from 350 dairy herds located
in the Po Valley (Northern Italy) were investigated for
Prototheca spp. All samples were cultured on PIM at 30 °C for
72 h for total number of Prototheca cells and analyzed also for
total bacteria count and somatic cells count. Prototheca spp.
were isolated in milk sample from 54 (15,43%) dairy herds.
No statistical correlation resulted between Prototheca spp.
isolation and bulk tank milk somatic cell counts and total
bacterial count.
Introduzione
Al genere Prototheca appartengono microalghe unicellulari
strettamente correlate alle alghe verdi del Genere Chlorella,
ma incapaci di attività fotosintetica. Largamente diffuse
nell’ambiente come saprofiti, esse prediligono habitat umidi e
ricchi di sostanza organica. In taluni casi possono assumere il
ruolo di patogeni opportunisti per uomo ed animali. In campo
animale la patologia da Prototheca più conosciuta è
sicuramente la mastite sostenuta da Prototheca zopfii,
descritta per la prima volta da Lerche nel 1952. Segnalata in
passato come forma sporadica, questa patologia del bovino,
sta assumendo in molti Paesi, tra cui il nostro, un andamento
endemico nell’ambito dell’allevamento colpito, arrivando a
provocare significative perdite economiche (1, 2, 3, 5, 7).
Essa si manifesta generalmente con una forma clinica di lieve
entità, con modeste alterazioni del latte, senza sintomi
sistemici o in forma sub-clinica con solo rialzo cellulare. In
molti casi si ha anche diminuzione significativa della
produzione lattea. Inoltre, l’assoluta assenza di risposta alle
terapie antibiotiche, con conseguente evoluzione cronica
della patologia, rende necessario allontanare gli animali
colpiti dall’allevamento (5). P. zopfii viene considerata
primariamente un patogeno ambientale; infatti può trovare
nell’allevamento bovino habitat favorevoli a livello di
abbeveratoi (acqua e zone circostanti), mangiatoie (alimenti
quali mangimi, foraggi, insilati), feci e lettiera, liquidi di
percolazione, latte infetto, tettarelle, impianti di mungitura.
Una gestione igienico-sanitaria non ottimale dell’allevamento,
specialmente a livello di mungitura, può favorire la comparsa
della mastite in forma contagiosa.
La diagnosi di mastite da Prototheca, impossibile da un punto
di vista clinico, richiede il supporto di esami di laboratorio. La
messa in evidenza di Prototheca spp., viene effettuata con
esami microbiologici, sia sul latte delle singole bovine che sul
latte di massa, come pure da diverse tipologie di campioni
ambientali (acqua di abbeverata, acqua di lavaggio
dell’impianto di mungitura, lettiera, feci, tamponi di superfici,
foraggi ed altri tipi di alimenti, ecc..).
Scopo del lavoro è presentare i dati relativi alla diffusione
dell’infezione da Prototheca nell’allevamento bovino da latte.
Tabella 1: Provenienza e consistenza degli allevamenti
sottoposti a monitoraggio
Materiali e metodi
Sono stati analizzati per presenza di Prototheca spp., 350
campioni di latte di massa, prelevati da altrettanti allevamenti,
nel mese di maggio 2008, per la determinazione dei
parametri merceologici previsti nei piani di controllo per il
pagamento del latte secondo qualità. 314 allevamenti erano
Vacche in lattazione
Allevamenti
120
in EmiliaRomagna
in Lombardia
”50
51-100
>100
Tot.
Allev.
171
78
65
314
12
11
13
36
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tot.
183
89
78
350
Risultati
All’esame microbiologico sono risultati positivi 54 campioni,
tutti confermati in PCR come appartenenti al Genere
Prototheca. La percentuale di positività per presenza di
Prototheca spp. nel latte di massa è stata quindi del 15,43%.
La positività ha interessato allevamenti appartenenti alle tre
fasce di consistenza individuate, con una leggera superiorità
in quelli con un numero di bovine in lattazione superiore a
100 (Tabella 2). E’ stata individuata una debole relazione tra
la consistenza di capi in lattazione e la presenza di
2
Prototheca spp.: p<0.01 al test F considerando le tre classi di
consistenza individuate (”50, 51-100, >100); OR=1,0071,
risultato di una regressione logistica tra presenza/assenza di
Prototheca spp. e consistenza degli allevamenti
Tabella 2: Allevamenti positivi per presenza di Prototheca
spp . nel latte di massa
Vacche in
lattazione
Allevamenti
controllati
Allevamenti
postivi
”50
51-100
>100
Totale
183
89
78
350
17
12
25
54
(9,28%)
(13,48%)
(32,05 %)
(15,43%)
Bibliografia
1. Allodi S., Bertocchi L., Moroni P., Miranda Ribera A.,
Pisoni G., Casula A., Scaccabarozzi L., Toni F., Bronzo V.
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sp. nov. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 1419-1425
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Guizzardi S., Bottoli E., Favalli F. (2006). Indagine
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in allevamenti di bovine da latte. Buiatria. Journal of the
Italian Association for Buiatrics. 2, 45-53
Nessuna relazione risulta tra il valore di cellule somatiche e la
presenza/assenza di Prototheca spp. (p>0.05 al test F2).
Non è stata rilevata alcuna relazione neppure tra l’entità della
contaminazione del latte da Prototheca spp. (ufc/ml) ed il
valore di cellule somatiche (l’analisi della varianza non ha
rilevato differenze significative all’interno dei tre gruppi definiti
sulla base delle ufc/ml di Prototheca nel latte, ”10, 11-100,
>100) ( Tabella 3 ).
Tabella 3: Entità della contaminazione da Prototheca spp.
nel latte di massa degli allevamenti positivi
ufc Prototheca spp/ml
”10
11-100
>100
Tot.
Allevamenti postivi
13
22
19
54
dell’infezione, approfondendone gli aspetti epidemiologici ed
eziologici.
Dai risultati dell’indagine effettuata, emerge inoltre, la
necessità di introdurre la ricerca di Prototheca spp. nella
routine diagnostica della mastite bovina; infatti, il modo più
efficace per controllare questo tipo di infezione, resta la
precocità della diagnosi e la repentina applicazione delle
specifiche misure igienico-sanItarie e, se possibile,
l’eliminazione degli animali infetti. A questo riguardo va
sottolineato che il latte di massa si conferma un campione
estremamente valido, oltre che pratico e poco costoso, per
rilevare in tempi rapidi la presenza di Prototheca
in
allevamento.
L’altro dato che emerge dall’indagine effettuata è la mancata
correlazione tra il valore delle cellule somatiche e della carica
batterica totale del latte di massa con la presenza/assenza di
Prototheca spp; il dato si spiega tenendo presente che questi
parametri sono influenzati dalla prevalenza di infezione,
dall’entità dell’eliminazione della microalga dalla mammella
oltre che dalla gestione igienico-sanitaria generale
dell’allevamento e da quella relativa alla mastite.
Negli allevamenti con infezione largamente diffusa e
persistente, secondo la nostra esperienza (2) ed in accordo
con quanto segnalato da altri Autori (1), vi è generalmente
una ripercussione negativa sui valori di carica batterica e
cellule somatiche del latte di massa che possono andare ben
oltre i limiti di legge.
Il 76% degli allevamenti positivi ha presentato valori di carica
batterica inferiori alle 50.000 ufc/ml nel latte di massa; i
campioni positivi e negativi si distribuivano in maniera
sovrapponibile nelle classi di frequenza individuate per la
carica batterica (fino a 20, 20-50, 50-100, 100-200, 200-300,
>300 ufc/ml x 1000).
Conclusioni
L’indagine condotta ha evidenziato la presenza di Prototheca
spp. nel 15,43% degli allevamenti, con un numero di ufc/ml
compreso tra 2 ed oltre 600.
Pur non essendo disponibili dati sulla situazione sanitaria
degli allevamenti, è possibile comunque ipotizzare che la
positività riscontrata sia riferibile primariamente alla presenza
di animali infetti eliminatori, che rappresentano la principale
fonte di contaminazione del latte. Infatti, bisogna considerare
che un’elevata contaminazione dell’ambiente da Prototheca è
legata alla presenza di animali infetti ed eliminatori. Negli
allevamenti in cui non vi sono casi di mastiti da Prototheca, la
presenza dell’alga nell’ambiente è generalmente limitata (4,
9). La percentuale di positività riscontrata rileva una evidente
diffusione dell’infezione nell’allevamento da latte nel nostro
territorio. Il dato richiede sicuramente ulteriori indagini per
individuare le cause che hanno permesso il diffondersi
121
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ALLESTIMENTO DI UN METODO ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI
ANTI-STREPTOCOCCUS UBERIS NEGLI OVINI
1
1
Campesi F., 2Marogna G., 1Uzzau S., 2Leori G.S.
Dipartimento di Scienze Biomediche, sezione di Microbiologia Sperimentale e Clinica, Università agli Studi di Sassari;
2
IZS della Sardegna– Centro di Referenza Nazionale per le Mastopatie degli Ovini e dei Caprini (CReNMOC)
Parole chiave: mastite, diagnosi, sierologia
Abstract
Infection of mammary gland by environmental micro
organisms in milking sheep is becoming more
frequent, due to breeding changes techniques. Diagnosis of
infection within a flock is generally obtained by cultural
methods, that are time consuming, expensive, and
limited/restricted to clinically infected animals. To improve
current disgnostic methods, we developed an indirect ELISA
that appears highly specific, cost-effective, and useful even
during dry period. The test has been set up using surface
proteins of Streptococcus uberis. Such method enabled us to
identify 100% of sheep that tested positive to S. uberis by
cultural standard methods.
soluzione A (contenente 80mM Tris-HCl pH7.4, 1.2M NaCl).
A questo punto i batteri sono stati sottoposti a sonicazione
con impulsi di 30 secondi per 12 volte, fino a completa lisi
cellulare. Dopo la sonicazione è stato aggiunto 1/3 del
volume di soluzione B (contenente 40mM Tris-HCl pH7.4,
600mM NaCl; 4% Triton X-114) e la sospensione batterica è
stata incubata in ghiaccio per 1 ora agitando al vortex
frequentemente. La sospensione batterica è stata quindi
centrifugata per separare le eventuali cellule intere restanti e
il surnatante è stato prelevato ed incubato in un bagneto
termostatato a 30°C per 5 min. e successivamente
centrifugato a 1300 x g per 10min a temperatura ambiente.
La fase acquosa è stata trasferita in un nuovo eppendorf e ad
essa è stata aggiunto il Triton-X-114 fino a raggiungere la
concentrazione finale del 5%.
La sospensione è stata incubata nuovamente a 30°C per 5
min. In questo modo la fase acquosa si trasferisce
lentamente
nella
fase
detergente.
Dopo
nuova
centrifugazione a 1300 x g per 10min a temperatura
ambiente, la fase acquosa è stata rimossa e le proteine
idrofobiche presenti nella fase detergente sono state
precipitate a –20°C O/N in 10 volumi di acetone. Il giorno
successivo le proteine presenti nel pellet ottenuto mediante
centrifugazione a 10000 x g per 10min a 4°C sono state
risospese in 5 ml di PBS sterile e conservate in freezer a –
20°c.
x Protocollo ELISA - Le proteine estratte sono state
quantificate con il Kit “DC Protein Assay” della Bio-rad e
diluite in modo da avere una concentrazione di 2 μg/ml. Si è
proceduto quindi all’adsorbimento dell'antigene sul fondo
delle piastre multiwell da 96 pozzetti versando in ogni
pozzetto 50 μl di proteine. Per l’adsorbimento le piastre
vengono tenute O/N a 4°c. Il giorno successivo si provvede
alla rimozione dell'antigene in eccesso con dei lavaggi in PBS
+ 0.05 % Tween 20 e alla saturazione dei siti liberi sulla
superficie dei pozzetti di reazione con proteina non reattiva
(albumina di siero bovino) per impedire l'adsorbimento
dell'anticorpo alla superficie della vaschetta. In ogni pozzetto
sono stati messi 100 μl di sieri di pecore naturalmente
infettate da Streptococcus uberis diluiti 1:500 in PBS e
lasciati 90 minuti a temperatura ambiente. Dopo incubazione
per permettere la formazione dell'eventuale complesso
antigene-anticorpo la soluzione che contiene l'anticorpo
libero viene rimossa. E’ stata quindi fatta un’incubazione di un
ora a temperatura ambiente con anticorpo secondario antiSheep (anticorpo policlonale diretto contro IgG o IgM di ovino
e coniugato con perossidasi) per la rivelazione del complesso
antigene-anticorpo primario. L'anticorpo secondario forma un
complesso con l'anticorpo primario a sua volta associato
all'antigene (specifico). L'anticorpo secondario in eccesso è
stato quindi allontanato e il complesso antigene-anticorpo è
stato rilevato mediante aggiunta del substrato dell'enzima
coniugato all'anticorpo secondario. La presenza del
complesso antigene-anticorpo primario viene rilevata
attraverso lo sviluppo del colore. L'intensità del colore
dipende (a parità di tempo di incubazione) dal numero di
complessi presenti. l'assenza del colore giallo indica
l'assenza del complesso antigene-anticorpo primario nel
Introduzione: le mastiti degli ovini sono prevalentemente di
natura infettiva e i microrganismi principalmente incriminati
nel loro determinismo sono batteri Gram positivi appartenenti
ai generi Staphylococcus e Streptococcus. Fra questi ultimi,
la specie più rappresentativa è lo Streptococcus uberis. Si
tratta di un microrganismo largamente diffuso in natura, la cui
sopravivenza non dipende strettamente dalla ghiandola
mammaria, di riscontro comune nelle lettiere delle stalle e
degli ovili. Storicamente viene considerato come la causa più
frequente di infezioni mammarie nelle bovine in asciutta.
Recentemente, anche a causa delle mutate condizioni di
allevamento degli ovini, caratterizzate dal progressivo
abbandono delle tecniche estensive verso la zootecnia
intensiva, questo microrganismo è diventato di comune
rinvenimento nel latte mastitico nonché il principale agente
eziologico diagnosticato in focolai di mastite degli allevamenti
ovini che praticano la stabulazione e la mungitura meccanica.
Fino ad oggi la diagnosi di mastite provocata dall’infezione di
Streptococcus uberis è stata garantita da esami colturali a
partire dal latte infetto. La tecnica di identificazione si avvale
dell’utilizzo di gallerie biochimiche commerciali purtroppo
calibrate per batteri di origine umana e non veterinaria.
Questo
ha
comportato
e
comporta
dei
limiti
nell’identificazione delle infezioni da Streptococcus uberis
negli ovini. Questi limiti hanno spinto verso l’allestimento di
tecniche di identificazione molecolare in PCR e
nell’allestimento di una metodica ELISA, ossia un saggio
ELISA indiretto per l’identificazione di proteine della
membrana di Streptococcus uberis. Questa metodica,
rispetto ai test sierologici più frequentemente utilizzati, come
la microagglutinazione lenta, presenta il vantaggio di
permettere l’identificazione e la discriminazione tra gli
anticorpi IgG ed IgM. Questa discriminazione consente di
valutare l’evoluzione temporale della malattia, una distinzione
che può rappresentare un’importante informazione nella
gestione del focolaio epidemico. La metodica inoltre è
potenzialmente in grado di distinguere tra animali immunizzati
e con infezione in corso.
Materiali e Metodi
x Preparazione dell’antigene - Una colonia di S. uberis
(ceppo di campo 1168) è stata fatta crescere in 3 ml di
terreno LB broth O/N a 37°C in agitazione. Il giorno
successivo 1ml di brodo coltura è stato inoculato in 500 ml di
LB broth e lasciato O/N a 37°C. 500 ml di coltura batterica
sono stati centrifugati per 10 minuti a 6000 rpm. Il pellet è
stato risospeso in 40 ml di PBS centrifugato nuovamente alle
stesse condizioni. Il pellet è stato quindi risospeso in 5 ml di
122
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
punto gli esami sierologici avrebbero la doppia valenza di
essere indispensabili sia all’identificazione dell’agente
eziologico, sia alla conoscenza della sua diffusione all’interno
del gregge. Il metodo da noi utilizzato, a differenza della
microagglutinazione lenta, consente di valutare l’evoluzione
temporale della malattia discriminando fra le due categorie di
anticorpi IgM e IgG. La nostra metodica si è dimostrata
efficace nell’identificare l’agente eziologico e nel differenziare
le due classi di anticorpi. L’utilizzo di una metodica basata
sull’estrazione di pools di proteine di membrana, tuttavia, può
avere il limite di non discriminare tra agenti eziologici dello
stesso genere (inclusi S. suis ed S. bovis) o di generi correlati
(es. Enterococcus). Pertanto, il nostro gruppo ha avviato uno
studio di proteomica differenziale, ancora in corso, che mira
ad identificare specificità antigeniche proprie di Streptococcus
uberis ed assenti in altri patogeni correlati, inclusi S. bovis, S.
suis e Enterococcus faecalis. Questi antigeni verranno
utilizzati per l’allestimento di un nuovo saggio ELISA capace
di individuare più specificamente gli animali infetti, compresi
gli asintomatici. I vantaggi che l’uso di questa metodica può
comportare nella gestione di focolai epidemici soprattutto nel
periodo dell’asciutta sono evidenti. Una ulteriore applicazione
della metodica potrebbe essere individuata nei test routinari
da prevedere in situazioni di compravendita degli ovini
durante il periodo d’asciutta. Proprio in questo periodo infatti,
avvengono la maggior parte dei passaggi di proprietà di ovini,
in assenza di latte per eventuali esami diagnostici e
nell’impossibilità di apprezzare eventuali lesioni del
parenchima a causa della fisiologica atrofia. L’utilizzo di
questa metodica consentirebbe di ovviare a queste limitazioni
e quindi contribuirebbe a limitare il commercio e gli
spostamenti di animali infetti e potenzialmente contagiosi. E’
inoltre nostra intenzione completare il quadro delle possibilità
diagnostiche predisponendo l’allestimento di un’ulteriore
nuova ELISA in grado di identificare e differenziare, in un
unico test, le Ig specifiche per i generi: Staphylococcus,
Streptococcus, Enterococcus e Micoplasma ai quali
appartengono i più importanti agenti eziologici di mastite degli
ovini, tutti accomunati dalla difficoltà di diagnosi durante il
periodo dell’asciutta.
campione analizzato; l'intensità del colore giallo nei diversi
pozzetti della piastra ELISA è proporzionale al numero di
complessi antigene-anticorpo (primario) formati e quindi alla
concentrazione dell'antigene (in grado di legare l'anticorpo
primario) nel campione analizzato.
x Sieri - Sono stati testati sieri prelevati da pecore con
segni clinici di mastite attribuibile ad infezione naturale di
Streptococcus uberis, l’eziologia è stata accertata mediante
esame colturale batteriologico del latte e successiva
identificazione biochimica dell’isolato microbiologico. A
conferma dell’identificazione biochimica veniva eseguita una
PCR specifica. I sieri provenivano da diversi allevamenti
sardi. In tutto sono stati esaminati 23 sieri di 23 capi infetti da
Streptococcus uberis. Come principale controllo negativo è
stato utilizzato del PBS. Come ulteriori controlli negativi
abbiamo utilizzato sieri ovini di animali clinicamente sani e
negativi agli esami colturali del latte (5 sieri). Il metodo è stato
ulteriormente testato con sieri di pecore infettate da
Salmonella abortusovis (3 sieri) e Staphylococcus
chromogenes (3 sieri) per verificare una eventuale Crossreatività. Come controlli positivi sono stati utilizzati due sieri di
animali con infezione naturale conclamata da parte di
Streptococcus uberis (1497 e 1545).
Risultati: sieri degli animali naturalmente infetti da
Streptococcus uberis hanno dato una media di lettura, a 450
nm, di 0.26 OD per le IgG e di 0.20 OD per le IgM. Il valore
cut-off è stato di 0.115 OD per le IgG e di 0.09 OD per le IgM.
La sensibilità della metodica è stata del 100%. Tutti gli
animali con mastite, positivi agli esami colturali e con
identificazione in PCR di Streptococcus uberis sono risultati
positivi alla ricerca degli anticorpi specifici nel siero.
Conclusioni: fra i primi quesiti che ci si deve porre in
presenza di un focolaio di mastite infettiva negli ovini ci sono
l’identificazione dell’agente eziologico e il suo stato di
circolazione all’interno del gregge. Se anche negli ovini si
confermasse (e studi preliminari sembrerebbero averlo
accertato) che l’infezione da Streptococcus uberis viene
contratta principalmente in prossimità del periodo dell’asciutta
per decorrere quasi asintomatica fino al termine della
gravidanza, potrebbe sorgerebbe il problema dell’assenza di
latte con il quale effettuare diagnosi in tempo utile. A questo
Figura 1. – Risultati di un test ELISA indiretto per Streptococcus uberis su sieri ovini
CTRL+
Sieri anti-SAO
CTRL-
Sieri anti-S.uberis
123
Siero anti-Staphylo
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ALLESTIMENTO ED USO DI UN METODO MULTIPLEX-PCR PER LA DIAGNOSI DI
STREPTOCOCCUS UBERIS E ENTEROCOCCUS FAECALIS DA LATTE OVINO
1
1
Campesi F., 2Marogna G., 1Uzzau S., 2Leori G.S.
Dipartimento di Scienze Biomediche, sezione di Microbiologia Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Sassari;
2
IZS della Sardegna-Centro di Referenza Nazionale per le Mastopatie degli Ovini e dei Caprini (CReNMOC)
Parole chiave: mastite, pecore, streptococchi.
mai identificate. Enterococcus faecium, Streptococcus bovis e
Streptococcus suis rappresentavano la rimanente parte degli
isolamenti. A seguito di questo primo screening si riteneva
prioritario allestire una metodica che privilegiasse la diagnosi,
direttamente dal latte, di Streptococcus uberis e
l’Enterococcus faecalis. I primers utilizzati sono stati disegnati
ex-novo sulla base della sequenza di regioni altamente
conservate. I primers sono stati prima analizzati
singolarmente e quindi in multiplex. Per aumentare la
specificità della reazione ed evitare artefatti è stata allestita
una Nested-PCR, costituita da due PCR successive che
utilizzano coppie di primers differenti, con la seconda che
inquadra una sequenza inclusa in quella amplificata dalla
prima coppia. La prima fase della Nested-PCR ha previsto
l'amplificazione del 23S rDNA
utilizzando dei primers
"universali" (nadFmod e nadR) capaci di amplificare circa
l’intero 23SrDNA di tutti gli Streptococchi. Questa reazione ha
consentito l'ottenimento di un unico prodotto di amplificazione
della dimensione di 1700bp che da solo non è tuttavia
sufficiente a discriminare le diverse specie appartenenti allo
stesso genere. Il DNA amplificato in questo primo step della
Nested è stato quindi utilizzato come templato per il secondo
step nella multiplex PCR.
Ceppi di campo: diverse specie di streptococchi (308) isolati
da campioni di latte ovino sono stati identificati prima con uno
screening che prevedeva colorazione di Gram e successivo
esame della catalasi e, in un secondo tempo, utilizzando i
test API Strep (Biomerieux - France). Di questi il 65% è stato
identificato come Streptococcus uberis (200), e il 10,7%
come Enterococcus faecalis (33).
Ceppi di riferimento: i ceppi di riferimento (Streptococcus
uberis: ATCC 700407; Enterococcus faecalis: ATCC 29212)
utilizzati come controlli positivi sono stati fatti crescere su
Luria Bertani-agar (Invitrogen Life Technologies). Le piastre
sono state incubate in termostato a 37°C per 24 ore.
Estrazione del DNA: da ciascun ceppo è stato estratto il
DNA attraverso la metodica boiling-prep. A tale scopo 7
colonie di ciascun ceppo sono state stemperate in 100ҏμl di
H2O milliQ sterile ed incubate a 100°C per 10 minuti. Dopo
centrifugazione in una microcentrifuga a 12000 rpm per 5
minuti a temperatura ambiente, il surnatante, contenente il
DNA è stato trasferito in un tubino sterile ed utilizzato per le
reazioni di PCR.
Nested-PCR - 1°step: il DNA batterico è stato amplificato in
un volume finale di 25 μl , contenente 10mM Tris HCl pH 8.8,
1.5mM MgCl2, 50mM KCl, 0.1% triton X-100, 200 μM di
ciascun desossiribonucleotide, 0.5 unità di DyNazyme DNA
Polymerase (FINNZYMES) e 0.075ҏҏμMҏ di ciascun primer. La
reazione è stata effettuata utilizzando 5ҏҏμl di DNA.
La miscela di reazione è stata sottoposta al seguente ciclo
termico di amplificazione genica:
Abstract
Mastitis due to Streptococcus spp in Sardinian milking sheep
is becoming very common, and rapid diagnosis is important in
order to control spreading of the disease within a flock. A
Multiplex–PCR has been set up to identify the two major
species involved, namely Streptococcus uberis and
Enterococcus faecalis. 308 strains has been identified. The
method showed to be highly sensitive, rapid, and it has been
successfully applied directly to sheep milk samples. Further
progress is discussed.
Introduzione
La mastite causata dall’infezione di streptococchi rappresenta
una delle patologie più insidiose che colpiscono l’allevamento
ovino da latte. La messa in atto di un programma di
prevenzione e controllo della malattia non deve prescindere,
oltre che dal rispetto da parte dell’allevatore delle condizioni
igieniche in seno all’allevamento, dalla pronta e specifica
individuazione dei microrganismi patogeni circolanti. Quanto
più è rapida e specifica la diagnosi tanto più aumentano le
possibilità di controllo dell’infezione. Nel caso delle mastiti
streptococciche la diffusione della malattia è favorita da fattori
ambientali che possono consentire la disseminazione dei
microrganismi fra gli animali, in particolare dalle operazioni di
mungitura, principalmente da quella meccanica. Le procedure
"standard" di identificazione degli streptococchi dal latte
richiedono l'isolamento di colture pure seguito da test che
analizzano alcune caratteristiche fenotipiche, quali i caratteri
biochimici e morfologici dei microrganismi. Se queste
metodologie si sono rivelate efficaci per l’identificazione di
alcuni batteri, resta il fatto che questi kit sono progettati per
identificare un numero relativamente ristretto di microrganismi
e in genere non possiedono tutti quei requisiti che un buon
protocollo per la identificazione e/o la tipizzazione di un
isolato batterico dovrebbe avere: specificità, sensibilità,
riproducibilità, rapidità, semplicità e basso costo. Per questo
motivo si è reso necessario applicare nuove metodologie
molecolari alla diagnosi. In particolare la tecnica basata sulla
PCR si è rivelata un mezzo estremamente veloce ed efficace
per l' identificazione, la tipizzazione ed il monitoraggio di
questi batteri. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di
allestire una PCR per isolare e identificare le due principali
specie di streptococchi responsabili di mastite negli ovini in
Sardegna: lo Streptococcus uberis e l’Enterococcus faecalis.
Per ogni specie è stata scelta una coppia di primers per la
messa a punto di una Multiplex-Polymarase Chain Reaction
(Multiplex-PCR) che permettesse di ottenere un solo
amplicone per specie di grandezze differenti.
Materiali e Metodi
Nella messa a punto della metodica si è lavorato sia con
ceppi di riferimento che con ceppi di campo isolati da
campioni di latte ovino. I ceppi di streptococchi isolati da
campioni di latte provenivano da allevamenti di ovini sardi
sede di focolai di mastite infettiva. A partire da circa 3.000
campioni di latte individuale, prelevati nella stagione 2006,
venivano effettuati esami colturali e successive identificazioni
con l’ausilio di test biochimici-colturali disponibili in
commercio. Gli isolati identificati come streptococchi sono
stati circa trecento. Poco più dell’80% degli isolati veniva
identificato come Streptococcus uberis o Enterococcus
faecalis. Alcune specie come Streptococcus agalactiae e
Streptococcus dysgalactiae, più volte citate in letteratura
come agenti eziologici di mastiti nelle pecore, non venivano
5 min
94°C
1 min
1min
2 min
94°C
57°C
72°C
10 min
72°C
30 cicli
Multiplex-PCR - 2°step: la miscela di reazione del volume
finale di 25 μl, conteneva 10mM Tris HCl pH 8.8, 1.5mM
124
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
MgCl2, 50mM KCl, 0.1% triton X-100, 200ҏμM di ciascun
dNTPS, 0.5 unità di DyNazyme DNA Polymerase
(FINNZYMES) e 0.075ҏҏμM di ciascun primer e 1ҏμl del DNA
proveniente dalla prima amplificazione diluito 1:10. La
miscela di reazione è stata sottoposta al seguente ciclo
termico di amplificazione genica:
5 min
94°C
1 min
1 min
2 min
94°C
56°C
72°C
10 min
72°C
Streptococcus constellatus) venivano rinvenute solo
occasionalmente, ad eccezione di Enterococcus faecium
identificato 8 volte (2,6%). In alcuni casi il metodo biochimico
non ha consentito una identificazione di specie certa, per cui
si è identificato solo il genere come: Streptococcus spp, 26
campioni (8,4%) ed Enterococcus spp, 12 campioni (3,9%).
La multiplex-PCR da noi allestita è stata testata sugli stessi
campioni identificando come Streptococcus uberis 217 ceppi
(70%) e come Enterococcus faecalis 59 ceppi (16%). I
campioni diagnosticati dal metodo biochimico esclusivamente
come genere sono stati identificati dalla Multiplex PCR come
specie nel 100% dei casi. I 26 Streptococcus spp sono stati
identificati come Str. uberis in 20 campioni e Ent. faecalis in
3; nei 2 rimanenti campioni non si evidenziava alcun
amplificato. Su 12 campioni diagnosticati come Enterococcus
spp, 11 venivano identificati come Enterococcus faecalis e
uno come Streptococcus uberis. Neanche uno degli 8 ceppi
identificati come Enterococcus faecium è stato confermato
nella diagnosi in PCR. La multiplex ha diagnosticato 4
Enterococcus faecalis, uno Streptococcus uberis mentre, su
2 campioni si è registrata la presenza di bande non specifiche
per le due specie testate, mentre su un campione non si è
rivelato nessun amplificato. Una PCR con primers specifici
per Enterococcus faecium ha confermato come nessuno
degli 8 campioni analizzati contenesse batteri appartenenti a
questa specie. Raffrontando le diagnosi ottenute con
entrambe le metodiche, nel caso di Streptococcus uberis si
evince che l’identificazione biochimica è stata confermata da
quella molecolare 190 volte su 200 (95%) e, nei 10 campioni
non rispondenti, su 9 non si otteneva nessun amplificato e su
un campione si rinvenivano delle bande non specifiche. Le
identificazioni biochimiche di Enterococcus faecalis (33
campioni) venivano confermate anche dalla PCR (nel 91%
dei campioni), tranne che su 3 casi diagnosticati come
Streptococcus uberis.
Discussione
I limiti di identificazione degli streptococchi che spesso si
registrano con l’utilizzo delle tecniche biochimiche appaiono
più evidenti con il contemporaneo uso delle tecniche
molecolari. La nostra metodica PCR ha infatti modificato in
modo significativo il quadro delle identificazioni condotte con
le tecniche classiche e routinarie di batteriologia. La
sensibilità della tecnica PCR, intesa come la capacità
espressa in termini percentuali di individuare correttamente
gli animali infetti è del 100%. Anche nei tempi necessari
all’ottenimento della diagnosi, nonché sui costi, la metodica
molecolare mostra maggiori margini di utilità e convenienza.
Nelle infezioni mammarie causate da streptococchi la velocità
e l’accuratezza con la quale viene eseguita la diagnosi
possono risultare determinanti nel controllo del focolaio. Il
sistema Multiplex-PCR da noi perfezionato consente
l’identificazione delle due specie di streptococchi
maggiormente responsabili di mastite negli ovini, partendo
direttamente da latte, in meno di 24 ore. A completamento di
questa metodica abbiamo allestito una ulteriore e nuova
Multiplex-PCR specifica per tutte le specie minori di
streptococchi che sono state diagnosticate in Sardegna
(Streptococcus suis, Streptococcus bovis e Enterococcus
faecium) dal latte di pecore. Le due multiplex consentono
quindi l’identificazione di tutte le specie di streptococchi finora
riconosciute come agenti eziologici di mastite nelle pecore
della Sardegna.
30 cicli
I prodotti di PCR sono stati analizzati mediante corsa
elettroforetica su gel di agarosio all’1% in TAE Buffer e
visualizzati con bromuro d’etidio su un transilluminatore a
raggi UV. Come standard di peso molecolare è stato usato
1Kb DNA ladder (Gibco)
Sensibilità della Multiplex-PCR su latte: per valutare la
sensibilità della PCR è stato necessario conoscere la quantità
di DNA presente nella mix di reazione o la concentrazione dei
batteri dai quali viene estratto il DNA. Per le specie di
streptococchi utilizzate in questo studio non esisteva una
curva standard che correlasse i valori di OD Ңҏottenuti tramite
lettura spettrofotometrica al numero di cellule batteriche. Per
ovviare a questo problema si è risaliti alla concentrazione
batterica di ciascuna specie in una coltura O/N con la conta
delle colonie cresciute su LB agar a seguito di diluizioni
scalari. Per ogni specie di streptococco analizzata è stata
preparata una coltura O/N inoculando 1 colonia in 3 ml di LB
broth in agitazione. Dopo 24 ore, 1ml di brodocoltura è stato
centrifugato a 12000 rpm per 10 min. e, dopo aver eliminato il
surnatante per inversione, il pellet è stato risospeso in 1,2 ml
di PBS sterile. Da questa soluzione sono state eseguite delle
diluizioni seriali di un fattore 10-1 sino ad arrivare a 10-6. Delle
-4
-5
-6
diluizioni 10 , 10 , 10 sono stati piastrati 10ҏμl e 100 μl su
LB agar. Contemporaneamente 1 ml di ogni diluizione è stato
centrifugato e il pellet risospeso in 50ҏμl di latte di pecora
sterile. Tutti i tubini contenenti le varie concentrazioni
batteriche in latte sono stati conservati in freezer a –20°C, in
attesa di essere utilizzati per l’estrazione del DNA. Dopo 24
ore sono state contate le colonie di tutte le piastre e
conseguentemente i calcoli per risalire al numero di cellule
presenti in 1 ml della coltura O/N originaria dalla quale erano
state fatte le diluizioni.
x
x
Per Streptococcus Uberis la coltura O/N era di circa
3x108 Ufc/ml
Per Enterococcus faecalis la coltura O/N era di circa
8
2,4x10 Ufc/ml
Dalle diluizioni corrispondenti alle concentrazioni batteriche
105,104, 103, 102, 101 e da un campione dello stesso latte
usato per le varie diluizioni, è stato quindi estratto il DNA
secondo la metodica di estrazione di DNA da latte messa a
punto dall’IZS di Sassari per l’estrazione di DNA di
Micoplasma agalactiae da campioni di latte ovino.
Risultati
Il limite di detenzione della metodica Multiplex-PCR è risultato
essere di 30 CFU/ml per Streptococcus uberis e di 24 CFU/ml
per Enterococcus faecalis.
L’utilizzo della nuova metodica ha fatto registrare variazioni
significative rispetto ai risultati delle identificazioni
biochimiche. Su 308 ceppi diagnosticati come appartenenti ai
generi Streptococcus ed Enterococcus, il metodo biochimico
identificava come Streptococcus uberis 200 campioni (65%) e
come Enterococcus faecalis 33 campioni (10,7%), altre
specie ( Streptococcus bovis I e II, Streptococcus suis e
Ringraziamenti: lavoro eseguito con finanziamenti del
Ministero della Salute, Progetto di Ricerca Corrente IZSSA
05/04 e della Fondazione Banco di Sardegna.
125
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA IN SITU DI FOLLICOLI LINFATICI SECONDARI E TERZIARI IN ORGANI
DI OVINI.
Cancedda M. G., Demontis F., Macciocu S., Denti S., Ligios C.
Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento di Sanità Animale, Laboratorio d'Istopatologia Generale e Patologia e
Diagnostica delle TSE – Sassari.
Key words: ovino, linfatico, antigene
Introduzione - L'identificazione in situ del fenotipo delle
cellule del sistema immunitario risulta importante sia negli
studi patogenetici che nell'ambito diagnostico di molte
malattie.
La fenotipizzazione delle cellule del sistema immunitario si
basa sull'utilizzo di anticorpi monoclonali (MAb) che
reagiscono con antigeni di membrana convenzionalmente
indicati come Cluster of Differentiation (CD).
La fissazione in formalina, prima della inclusione in paraffina
dei tessuti, ha spesso come conseguenza il mascheramento
degli epitopi antigenici sia a causa dell’alterazione
conformazionale delle proteine che dell'instaurarsi di crosslinkage che tendono a ridurre l’antigenicità dei tessuti (7).
Per ovviare a questo problema, sono state identificate diverse
procedure che permettono anche nei tessuti fissati in
formalina di ripristinare l’antigenicità assicurando allo stesso
tempo la preservazione dei dettagli morfologici. Queste
procedure sono basate sull’applicazione di metodi di
smascheramento antigenico, singoli o associati e sulla scelta
di anticorpi che reagiscono con epitopi resistenti alla
fissazione ed al processamento del campione. La maggior
parte degli anticorpi che reagiscono con i vari CD hanno una
scarsa reattività in tessuti fissati in formalina ed inclusi in
paraffina (2). Per questo abbiamo ritenuto utile
standardizzare appropriati protocolli adatti a identificare in
situ tali antigeni caratteristici di determinati stadi evolutivi dei
linfociti T e B, dei macrofagi e delle cellule follicolari
dendritiche (FDC) sia nei follicoli secondari che terziari
ectopici di ovini.
Materiali e metodi - La prove di caratterizzazione fenotipica
dei follicoli linfatici secondari è stata effettuata su campioni di
linfonodi e tonsille di ovini sani regolarmente macellati a 2
anni d’età. Per lo studio dei follicoli terziari sono stati utilizzati
campioni di tessuto mammario e polmone di ovini infettati
sperimentalmente a 20 giorni di età con virus Visna-Maedi
(isolato di campo 85/34PP) e sacrificati a 2 anni di età. In
questi organi all'esame istologico si sono riscontrate le tipiche
lesioni linfoproliferative con formazione di follicoli terziari.
Tutti i campioni sono stati fissati in formalina tamponata al
10% per 2-5 giorni prima della inclusione in paraffina. Per la
identificazione dei campioni di tessuto, contenenti le strutture
linfatiche secondarie e terziarie idonee per le prove, è stato
eseguito un esame istologico su sezioni di tessuto di 3 μm di
spessore
colorate con Ematossiliana-Eosina secondo
metodiche routinarie.
Per la prova immunoistochimica, sezioni di 3 μm sono state
sottoposte a differenti trattamenti termici, chimici ed
enzimatici per lo smascheramento degli epitopi. Come
anticorpi primari sono stati testati per i linfociti T il PAb A0452
specifico per CD 3 dell'uomo (2), per i linfociti B il MAb HM57
specifico per CD79Įcy (5), per le cellule follicolari dentritiche
(FDC) il GB25A specifico per CD21 (3) e il MAb CNA.42
specifico per un antigene di 120 kDa espresso su FDC
dell'uomo (6), infine per i macrofagi sono stati utilizzati il MAb
EBM11 specifico per il CD68 dell'uomo (2) ed il MAb DH59B
specifico per il CD172 (3). La reazione antigene anticorpo è
stata amplificata e visualizzata mediante un sistema indiretto
Streptavidina-biotina con Fast Red (Dako REAL detection
System, Alkaline Phosphatase/RED – DakoCytomation, USA)
o un metodo indiretto Avidina-biotina (R.T.U. Vectastain –
Vector, USA) con 3,3'- diaminobenzidina (DakoCytomation,
USA).
Risultati e discussione - Dei protocolli tecnici utilizzati,
preparati combinando diversi sistemi di smascheramento con
i vari anticorpi, quelli che hanno permesso di evidenziare i
determinanti antigenici ricercati sono riassunti nella tabella 1.
I pattern di distribuzione delle cellule immunocompetenti
evidenziate nei follicoli secondari sono risultati sovrapponibili
a quelli osservati nei follicoli terziari formatisi nel polmone e
nella mammella di ovini sperimentalmente infettati con il virus
Visna-Maedi. In particolare i linfociti T marcati con l’anticorpo
anti-CD3, risultano localizzati principalmente nella zona
corticale inter-follicolare, cosi come riportato nell'ovino (2) e
nel suino (5). L’anticorpo anti-CD79 utilizzato si è dimostrato
capace d'identificare lo stadio immaturo dei linfociti B,
localizzati principalmente nel mantello dei follicoli ma anche
rilevabili all’interno del centro germinativo (2; 5).
L’anticorpo MAb CNA.42, in grado di marcare un antigene di
120 KDa espresso selettivamente sulle FDC localizzate nei
centri germinativi dei follicoli linfoidi secondari e terziari,
presenta un pattern di colorazione citoplasmatico e più
intenso attorno alla membrana cellulare come già riportato in
letteratura (4).
In accordo con Lezmi et al. (4), l’anticorpo MAb CNA.42
reagisce in maniera specifica anche con la membrana di
cellule rotondeggianti localizzate alla periferia del follicolo, le
quali non possono essere considerate FDC in quanto non
mostrano una morfologia riferibile a tali cellule ed inoltre non
sono localizzate all’interno del centro germinativo. Infine tale
antigene è espresso anche nell’endotelio delle cellule vasali
come già osservato (2).
Dai nostri risultati è evidente che l’antigene CD172 viene
espresso soprattutto dai macrofagi localizzati alla periferia dei
follicoli, anche se qualche cellula positiva è stata osservata a
livello dei centri germinativi (8).
E' interessante sottolineare come i follicoli terziari, che si
formano nel corso dei fenomeni di linfo-neo-genesi (1) in
organi non-linfatici, presentano una organizzazione istologica
identica a quella normalmente presente in organi linfatici
secondari.
Inoltre la presenza di FDC nei follicoli terziari conferma l’alto
grado di organizzazione delle strutture linfoidi neoformate.
Infatti le FDC svolgono un ruolo essenziale nella formazione
e nel mantenimento del centro germinativo dei follicoli linfatici
attraverso la produzione di chemochine e citochine specifiche
implicate nel reclutamento dei linfociti B localizzati nella zona
centro-follicolare (1). La reattività degli anticorpi sia negli
organi ovini che in quelli di uomo (2) conferma che nei
mammiferi gli antigeni riconosciuti da questi anticorpi sono
conservati.
126
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella 1: descrizione schematica dei protocolli mediante i quali sono stati evidenziati in situ gli antigeni di membrana espressi
dai linfociti T, linfociti B, macrofagi e cellule follicolari dendritiche presenti nei follicoli secondari e terziari di organi ovini.
*Incubazione overnight
Anticorpo
Specificità
Fenotipo
cellulare
Metodo di smascheramento
Diluizione
Ab
(4°C)*
Sistema
di rivelazione
PAb
A0452
Human CD3
Linfociti T
Microonde in Tris Buffer EDTA pH 9
2x10 min. 850W
1:50-1:100
Fast Red
MAb
HM57
Human
CD79Įcy
Linfociti B
Microonde in Tris Buffer EDTA pH 9
2x10 min. 850W
1:50-1:100
Fast Red
MAb
CNA42
Human follicular
dendritic cell
FDC
Bagno termostatato in DakoCytomation
Target Retrieval pH 9.9
97.8 °C x 15 min.
1:50
Fast Red
MAb
DH59B
SWC3(porcine
myelomonocytic
antigen) CD172a
Macrofagi
Microonde in ac.formico 99% 0,1M
1x7 min. 600 Watt
1x6 min. 150 Watt
1:100
DAB
Summary - In this work we tested, on paraffin embedded
tissues from healthy and experimentally Visna-Maedi-affected
sheep, different monoclonal and polyclonal antibodies against
CD3, CD79, CD172 and follicular dendritric cells antigens,
which were expressed in secondary and tertiary lymphoid
follicles. By using a variety of different antigen retrieval
techniques, the reactivity of these antibodies demonstrated
that secondary and tertiary lymphoid follicles have the same
organization.
4 Lezmi; A. Bencsik A., Baron T. (2001); CNA42 monoclonal antibody
identifies FDC as PrPsc accumulating cells in the spleen of scrapie
affected sheep; Veterinary Immunology and Immunopathology Vol.
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Prion (PrPsc)- accumulating Cells in Lymphoid and Neural Tissues of
Naturally
Scrapie-affected
Sheep
by
Double-labeling
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127
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
TIPIZZAZIONE GENETICA DI CEPPI DEL VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV) ISOLATI IN
LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA DAL 1999 AL 2007
Canelli E., Luppi A., Barbieri I., Lavazza A., Moreno Martin A., Sozzi E., Lelli D., Cordioli P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini”, Brescia
Keywords: bovine viral diarrhoea virus, phylogenetic analysis, 5’ untranslated region
SUMMARY
A panel of 115 BVDVs isolated in the 1999-2007 period from
cattle breed in Lombardia and Emilia Romagna regions was
subtyped by sequencing and phylogenetically analyzed.
Primers used target a fragment of the 5’UTR region of BVDV
genome. The data obtained show that the isolates belong to 9
subtypes within BVDV-1, indicating a high level of genetic
heterogeneity. Two subtypes never reported before in Italy
are described. BVDV-1b and 1e are the most frequent
isolated subtypes. The low frequency of BVDV-2 isolates is in
agreement with the sporadic Italian occurrence.
embrionale bovino ed identificato impiegando una metodica
ELISA sandwich (2) e mediante immunoperossidasi. La
maggior parte dei ceppi virali è stata isolata da pool di visceri
(tab. 1). Uno dei campioni è stato ottenuto da un vaccino per
IBR, responsabile di un focolaio di BVDV-2 nel Nord Italia nel
1999 ed inserito nello studio per valutare l’omologia tra
questo ceppo ed eventuali BVDV-2 isolati. L’estrazione
dell’RNA virale è stata eseguita direttamente dai campioni
originali, con una metodica basata sull’uso di trizolo. Le fasi di
retrotrascrizione e di PCR sono state condotte mediante una
one step RT-PCR (One-step RT-PCR Kit, Qiagen),
impiegando
i
primer
BE
(posizione
108-127nt,
5’AGGGTAGTCGTCAGTGGTTCG3’) e B2 (posizione 395375nt, 5’CATGCCCTTAGTAGGACTAGC3’) ed andando ad
amplificare un frammento della 5’UTR di 287 bp (6). I prodotti
della PCR sono stati sequenziati con Big Dye Terminator Kit
(Applied Biosystems) utilizzando gli stessi primer della one
step RT-PCR dopo purificazione (QIAquick Gel extraction kit,
Qiagen), mediante sequenziatore automatico ABI PRISM
3130 (Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state
analizzate in Blast e confrontate con quelle dei ceppi di
riferimento e di altri ceppi disponibili in GenBank (per il
gruppo 1 a: NADL, SD1; b: OSLOSS, NY1, 551-84, 1103-88,
P; c: DEER, 2B; d: Lampspring 735, 16-111; 9466-91; e: 3IT,
10FR, 20FR; f: W; g: A; h: G,KM; k:REBE, SUWA; i: 23-15; j:
M1515A, M065B; l: 71_03, 71_15, 71_16; m: ZM95; n: SOCP/75; o: ISCP/01; per il 2: BVDV2, NY-93, 11MI97,
BVDV7937; SY89, BVDV17011-96, aj288903; Lees, U94914;
PSC: MMR-take, EBTr; BDV: BDV78_1978). Inoltre l’analisi
comprende le sequenze di alcuni BVD virus isolati dal nostro
laboratorio nel 1999, dei quali il sequenziamento è già stato
eseguito e descritto nel 2003 da Falcone et al. (3).
L’allineamento delle sequenze è stato effettuato mediante
CLUSTALW (software Lasergene-DNASTAR Inc.). L’analisi
filogenetica è stata condotta utilizzando il metodo NeighborJoining (software MEGA 4).
INTRODUZIONE
Il virus della Diarrea Virale Bovina (BVDV) appartiene alla
famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus, insieme ai virus della
Peste Suina Classica (CSFV) e della Border Disease (BDV),
ed è l’agente eziologico della Diarrea Virale Bovina/Malattia
delle Mucose (BVD/MD). La BVD/MD è una malattia infettiva
e contagiosa dei bovini, diffusa in tutti i paesi dove viene
praticato l’allevamento bovino ed è inserita nella lista OIE,
data la notevole rilevanza economica. In Italia sono state
documentate alte prevalenze sierologiche sia in allevamenti
di vacche e bufale da latte, sia di bovini da carne. Il BVDV
presenta due differenti genotipi, BVDV-1 e 2, che causano
patologie cliniche simili, ad eccezione di ceppi ipervirulenti di
BVDV-2 che possono causare trombocitopenia e forme
emorragiche, frequenti nell’America del Nord e descritte
anche in Italia dagli anni Novanta (7). Il genoma del BVDV ha
una lunghezza di circa 12.5 kb e contiene un solo ORF (open
reading frame), alle estremità del quale si trovano sequenze
non tradotte denominate 5’UTR e 3’UTR. La genotipizzazione
viene condotta su diverse regioni del genoma virale,
impiegando principalmente la 5’UTR e le sequenze codificanti
pro
(N-terminal
per la proteina strutturale E2 e per la N
autoprotease). La regione 5’UTR è quella maggiormente
conservata ed è in grado di fornire informazioni significative
sulle differenze genetiche tra ceppi analizzati (9), per questo
viene utilizzata da molti autori (3,4,5,6,7,8,9), fornendo così il
maggior numero di dati disponibili per la comparazione
genetica. In base alla divergenza nucleotidica in 5’UTR, il
genotipo 1 viene suddiviso in 15 sottogruppi o subgenotipi,
rispettivamente identificati come BVDV-1 a-o (7), mentre il
genotipo 2 comprende due sottogruppi (a,b) (9). I risvolti
pratici legati alla variabilità genetica ed antigenica dei ceppi di
BVDV non sono ancora stati completamente chiariti. Una
maggiore conoscenza dei ceppi circolanti sul territorio appare
comunque rilevante, considerando le implicazioni che la
diversità genetica può avere sull’epidemiologia, sulla
diagnostica e sullo sviluppo di adeguate strategie per il
controllo della malattia, soprattutto vaccinali. In questo lavoro
viene descritta l’analisi genetica basata sul sequenziamento
di un frammento della regione 5’UTR di ceppi di BVDV isolati
da bovini allevati nel Nord Italia.
RISULTATI
Dei 115 campioni analizzati, 111 sono stati classificati come
BVDV-1 e raggruppati in 9 diversi sottogenotipi (tab.1). I due
sottogruppi maggiormente rappresentati sono stati BVDV-1b
(41 ceppi) ed 1e (34 ceppi).
Tab.1 Campioni divisi per sottogruppo e per matrice originale
siero
1a
1b
1d
1e
1f
1g
1h
1k
1?
2
MATERIALI E METODI
L’analisi genotipica è stata effettuata, partendo da 115
campioni (siero di sangue, pool di visceri, polmoni, feci, latte
e organi fetali) prelevati da allevamenti di bovini del territorio
di competenza e pervenuti al reparto di Virologia e Sierologia
Specializzata dell’IZSLER, sede di Brescia, durante il periodo
gennaio 1999 - aprile 2007. Da questi campioni il BVDV era
stato isolato tramite inoculo su colture cellulari di rene
9
2
2
1
1
pool
tamp
polm intest feto feci latte
TOT
visceri
nasali
5
18
4
19
3
1
5
2
2
1
4
1
2
1
9
1
5
1
1
1
1
1
1
1
1
3
1
1
1
1
2
6
41
9
34
6
2
6
2
5
4
Dall’analisi filogenetica appare evidente come tutti i ceppi
appartenenti al subgenotipo 1b costituiscano un gruppo
128
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
omogeneo, con un’omologia media del 96% (92-100%),
mentre i ceppi identificati come BVDV-1e, siano spesso
differenti tra loro e sembrino disporsi in almeno due cluster
genetici separati. A questo proposito, infatti, l’omologia
genetica all’interno del gruppo 1e è compresa tra l’89% e il
97,5%, mentre tra isolati che appaiono in uno stesso cluster è
in media del 97%. I restanti BVDV-1 sono risultati
appartenere ai subgenotipi 1a, 1d, 1f, 1g, 1h, 1k
(rispettivamente 6, 9, 6, 6, 2 e 2 ceppi). Cinque isolati con
un’omologia media del 99% tra loro sono risultati distanti
dagli altri sottogruppi considerati (eterologia superiore all’8%).
Per quanto riguarda il tipo 2, sono stati isolati solo 4 ceppi:
uno, quello ottenuto dal vaccino contaminato, è risultato
appartenere al sottogenotipo BVDV-2 a, mentre gli altri tre
isolati sono risultati BVDV-2 b.
Olanda, Germania, Belgio, rafforza l’ipotesi che questo
sottogruppo sia di origine europea. A conferma del
fondamentale ruolo svolto dal commercio di bovini tra diversi
paesi nella diffusione della malattia, il sottogruppo 1a,
presumibilmente di origine americana, è preponderante nei
paesi con rapporti commerciali con il Nord America, come
l’Inghilterra. Per quanto riguarda la distribuzione a livello
geografico locale, tutti i cluster contengono virus provenienti
da diversi distretti delle due regioni e gli isolati di una
particolare area si distribuiscono lungo tutto l’albero, tranne
poche eccezioni. Questo sottolinea che non ci sono relazioni
apparenti tra una determinata area geografica di provenienza
e il sottogruppo di appartenenza. Inoltre i risultati dimostrano
che non è ipotizzabile una correlazione tra anno di
isolamento e tipizzazione genetica. Nonostante i dati
confermino precedenti lavori italiani (3, 7), in questo studio
sono stati descritti per la prima volta in Italia virus
appartenenti al sottotipo k, fino ad ora riportato solo in
Svizzera (10). I cinque ceppi che non appaiono raggruppabili
in nessuno dei cluster fino ad oggi descritti, potrebbero
rappresentare un nuovo sottogruppo, ma per confermare
l’attendibilità di questo dato, è in corso l’analisi degli isolati
pro
anche per l’intero gene N . Il basso numero di BVDV-2
isolati è in accordo con la sporadica descrizione in Europa e
con la bassa prevalenza italiana. L’elevata eterogeneità
genetica dei ceppi di BVDV circolanti in Italia è, con ogni
probabilità, il risultato dell’importazione di capi infetti da altri
paesi (solo la Lombardia e l’Emilia Romagna, ad esempio,
importano circa il 20% dei bovini da carne) e dell’assenza di
sistematiche misure di controllo della malattia. Per questi
motivi, lo studio filogenetico dei ceppi circolanti, oggetto della
presente analisi, contribuisce ad una migliore comprensione
dell’evoluzione del BVD virus, dell’epidemiologia e della
prevalenza dei diversi sottotipi. Inoltre i risultati ottenuti
potranno avere importanti risvolti pratici ed essere la base per
lo sviluppo di efficaci strategie diagnostiche e di controllo
della malattia a livello nazionale.
Fig.1 Albero filogenetico costruito dall’analisi delle sequenze
in 5’UTR.
BVDV-1 n
BVDV-1 a
BVDV-1 e
10-FR
20-FR
SO-CP 75
Deer NADL 06z127
BVDV-1 c
BVDV-1 l
71 16
3-IT
REBE
BVDV-1 j
BVDV-1 k
U97429
Osloss
Lamspringe-735
BVDV-1 d
NY1
KM
BVDV-1 b
BVDV-1 h
BVDV-1 ?
A
W
IS25-CP 01 BVDV-1 o
BVDV-1 f
BVDV-1 g
ZM95
BVDV-1 m
Ringraziamenti
Si ringraziano il Prof. Stephan Vilþek per la preziosa
collaborazione, Manenti Sonia e Fazio Michela per il supporto
tecnico.
PSC
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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domestic and wild ruminants. J Gen Virol, 78, pp. 1357-1366
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with pestivirus by a sandwich ELISA with anti-p80 monoclonal
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diarrhoea virus in Italy. Vet Res Commun, 27, pp. 485-494
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diarrhoea virus strains in intensive cattle herds in Italy. Vet
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146, pp. 99-115.
10. Vilþek et al., 2004, Genetic diversity of international bovine
viral diarrhoea virus (BVDV) isolates: identification of a new
BVDV-1 genetic group, Vet. Res. 35, pp. 609-615.
BDV
BVDV-2 a
AF039175
11MI97
0.02
NY93
SY89 AJ288903
BVDV-2 b
DISCUSSIONE
L’analisi dei dati ottenuti ha evidenziato come sul territorio di
competenza, fortemente rappresentativo della realtà italiana,
con il 37% del patrimonio bovino nazionale (fonte ISTAT
2007), siano circolati 9 diversi sottogruppi del BVDV tipo 1,
sottolineando un elevato livello di eterologia, anche rispetto
agli altri paesi europei. La distinzione tra i diversi
sottogenotipi nell’albero è supportata da buoni valori di
bootstrap. I virus appartenenti ai subgenotipi BVDV-1b e
BVDV-1e sono stati quelli riscontrati con maggiore frequenza.
Sulla base dei risultati dell’analisi filogenetica eseguita, il
gruppo 1e appare eterogeneo (confidenza del 70% rispetto a
quella degli altri sottogruppi superiore al 90%) ed i ceppi al
suo interno tendono a disporsi in almeno due cluster (fig. 1).
L’elevata variabilità genetica del subgenotipo 1e, è già stata
peraltro descritta anche da Hurtado per ceppi di BVDV isolati
da bovini spagnoli (4). La maggior prevalenza del
sottogruppo BVDV-1b in Italia, simile a quella riportata in
129
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
MALATTIA PERIODONTALE OVINA (BROKEN MOUTH): ASPETTI CLINICO-PATOLOGICI E
BATTERIOLOGICI.
1
1
1
1
1
2
1
Canu G., Cancedda M.G., Piredda M.A., Patta C., Ligios C., Mancosu A., Carboni G.A.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Sassari; 2Associazione Regionale Allevatori Sassari.
Key words:periodontite; broken-mouth; ovino.
Introduzione. Con il termine “broken-mouth” (BM) viene
descritta negli ovini una grave periodontite, spesso ad
elevata morbilità intra-gregge, che esita nella perdita precoce
degli incisivi permanenti con conseguente stato di
malnutrizione, perdita di peso e disturbi di carattere sistemico
(1). Si manifesta più frequentemente, in soggetti di età
compresa tra i 3 e i 4 anni, (7,8) con una diffusione
geograficamente ristretta all’Australia e Nuova Zelanda (3,4).
La broken-mouth viene descritta come sindrome
multifattoriale in cui agenti meccanico-fisici che riducono la
funzione masticatoria, disordini metabolici, immunitari,
alimentazione e genetica legata alla razza, sono considerati
fattori predisponenti (4). La malattia periodontale negli ovini
presenta molte analogie, sia da un punto di vista clinico che
batteriologico, con quella umana (5); inizia con una gengivite
acuta associata alla formazione di placche batteriche subgengivali, che innescano una risposta infiammatoria a livello
del margine gengivale. Il coinvolgimento di batteri patogeni,
con la formazione di placche e la cronicizzazione
dell’infiammazione, svolgono un’azione determinante nella
distruzione dei componenti del periodontio (legamento
periodontale, cemento, osso alveolare) e nella formazione di
tasche periodontali. In questo stadio della malattia, la
valutazione clinica può essere fatta tramite la misurazione
della profondità delle tasche, mediante apposita sonda (4). I
batteri più frequentemente isolati nei casi di BM, sono
Bacteroides spp., Fusobacterium spp., Lactobacillus spp.,
Clostridium spp., Peptostreptococcus spp., Actinomyces spp.
e diverse Spirochete (7). Considerando l’assenza di dati
sull’incidenza di questa patologia in Italia, abbiamo ritenuto
interessante descrivere gli aspetti clinico-patologici e
batteriologici riscontrati in un grave episodio verificatosi in
Sardegna .Materiali e Metodi. L’episodio oggetto della nostra
indagine, ha interessato un gregge di 300 capi ovini di razza
Sarda. Nell’anamnesi il proprietario riferiva che durante la
fine della stagione primaverile, si erano verificati nel gregge
numerosi casi di una sindrome clinica, caratterizzata
principalmente da perdita di materiale ruminale dalla bocca,
grave stato di deperimento organico e debolezza che, nei
casi più gravi, avevano reso necessaria l’eutanasia dei
soggetti colpiti. A seguito di un sopralluogo in azienda, si è
ritenuto opportuno, per accertamenti batteriologici ed
anatomo-istopatologici, inviare presso il nostro Istituto, una
pecora pluripara di 6 anni di età, che manifestava grave
sintomatologia. Il soggetto è stato sacrificato a scopo
diagnostico con Penthotal Sodium e EmbutramideMebenzonio ioduro-Tetracaina, (Tanax) per via endovenosa.
Dopo l’estrazione degli incisivi, che presentavano un’elevata
mobilità, sono stati eseguiti tamponi, sia dal margine
gengivale che dal fondo delle tasche periodontali per le prove
batteriologiche. I tamponi sono stati seminati su piastre di
Agar Columbia (Bio-Merieux), con aggiunta del 25% di
sangue di montone ed incubate per 18-24 ore a 37°C, sia in
aerobiosi che in anaerobiosi con il sistema Anaerobic Plus
System
(Oxoid).
Successivamente,
per
facilitare
l’identificazione preliminare, sono state eseguite sub-colture
in Agar Columbia CN delle colonie sospette. Per la
caratterizzazione dei germi isolati sono state adoperate
gallerie Api (Biomerieux). Per l’esame istologico sono state
eseguite biopsie lungo il margine ed il solco della gengiva in
corrispondenza dei denti incisivi. I campioni di tessuto sono
stati fissati in formalina tamponata al 10%, inclusi in paraffina,
tagliati in sezioni di 5 μm di spessore e colorati con
Ematossilina-Eosina secondo metodiche routinarie. Risultati.
Gli esami clinici effettuati in azienda, hanno evidenziato la
presenza in numerose pecore del gregge, di una colorazione
anomala di tutti i denti dovuta alla formazione di tartaro, con
presenza di corpi estranei tra gengiva e denti (Fig.1); inoltre si
è osservata, intensa alitosi e periodontite, che nei casi più
gravi, ha dato origine alla formazione di tasche periodontali
(Fig.2). La progressiva retrazione gengivale con conseguente
aumentata esposizione del colletto dentale, ha esitato in un
apparente allungamento dei denti, in particolare degli incisivi.
Inoltre, in numerosi soggetti, è stata rilevata aumentata
mobilità ed abnorme inclinazione degli stessi, che con la
cronicizzazione del processo patologico, hanno determinato
la loro caduta (Fig.3). Seppur con una gravità che variava
individualmente, questo quadro clinico ha interessato nel
complesso 50 primipare, 30 pluripare e 2 dei 4 arieti presenti
nel gregge. Gli agnelli, d’età inferiore ad un anno,
presentavano una dentizione nella norma. Dai tamponi
gengivali, del soggetto sacrificato, è stato isolato ed
identificato lo Peptostreptococcus intermedius. L’esame
istopatologico delle biopsie gengivali ha evidenziato, a carico
dell’epitelio, un’iperplasia simil-epiteliomatosa con formazione
di rete ridges, importante fibroplasia a carico del derma con
fenomeni infiammatori multifocali caratterizzati da un infiltrato
cellulare, quasi esclusivamente costituito da plasmacellule, in
posizione perivasale (Fig 4; 5).Risultati e discussione. I rilievi
clinici, batteriologici e patologici ci hanno permesso di
classificare la sindrome osservata come una grave
periodontite cronica con perdita degli incisivi, più
comunemente definita nella bibliografia anglosassone come
BM (3). La perdita degli incisivi nelle pecore di circa 7-8 anni
d’età rappresenta un fenomeno fisiologico legato
all’invecchiamento; viceversa il riscontro di tale fenomeno, in
animali più giovani, in particolare se associato ad un grave
processo infiammatorio dei tessuti di supporto dentali, è da
considerarsi un evento patologico particolarmente invalidante.
La prevalenza di placche batteriche subgengivali nei soggetti
affetti da BM ed il parallelo aggravarsi della gengivite,
suggerisce che le stesse placche giocano un ruolo importante
nella patogenesi della patologia periodontale anche nell’ovino
(9). L’associazione tra presenza di placche e formazione di
tasche sub-gengivali, negli animali più vecchi e il riscontro di
un elevato numero di placche negli animali più giovani, senza
tasche, indica che la presenza di placche batteriche precede
la formazione di tasche gengivali (8). Questo è in linea con
quanto riportato nella patogenesi delle malattie periodontali
dell’uomo (2; 6) in cui risulta primario il ruolo delle placche
sub
gengivali.
L’isolamento
di
Peptostreptococcus
intermedius conferma il ruolo importante di questo batterio
nella patologia periodontale ovina (7) così come riportato
nell’uomo (10). L’esame istologico ha permesso di
evidenziare la gravità del fenomeno infiammatorio e il grado
di coinvolgimento tessutale con aspetti molto simili a quanto
riferito da altri AA nell’ovino (3). Nella nostra indagine non
sono stati isolati altri microrganismi anaerobi, quali ad
esempio Bacteroides spp. e Fusobaterium spp. molto spesso
implicati nella patologia periodontale ovina (7). Un punto
critico, a nostro avviso, nel pervenire ad una corretta diagnosi
microbiologica di tale patologia, è rappresentato dal sito di
130
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
9.Spence, J.A. & Aitchison, G. U. (1986) Clinical aspects of dental
disease in sheep. Veterinary Record 8, 128–135.
10.Silva C.M, A. V. Colombo,. A. Haffajee, A.P.V.Colombo (2006).
Identification of oral bacteria associated with crevicular epithelial
cells from chronic periodontitis lesions. Jurnal of Medical
Microbiology, 55, 609-615.
campionamento. Inoltre è preferibile eseguire i tamponi dalla
base delle tasche periodontali e su un numero di soggetti che
presentano stadi diversi della malattia per migliorare la
possibilità di isolamento e di identificazione batteriologica di
tutti i germi coinvolti. Ciò potrebbe essere utile al fine di
allestire eventualmente un vaccino stabulogeno da utilizzare
nei greggi a rischio. A seguito delle indagini effettuate,
malgrado non sia stato possibile stabilire la causa che ha
scatenato l’insorgenza della periodontite nel gregge,
l’episodio descritto ci ha fornito alcuni elementi utili per
definire un
approccio diagnostico corretto. Sarebbe
auspicabile infatti, a fronte di un’anamnesi che segnala
situazioni di deperimento organico, inserire tra le diagnosi
differenziali anche questa patologia.
Fig.1:Colorazione
anomala dei denti
e presenza di
tartaro.
Fig.2: Periodontite
e tasche
periodontali.
Fig.4: Iperplasia
similepiteliomatosa
della gengiva.
Fig.5: Fenomeni
infiammatori
multifocali nel
derma.
Fig.3:Perdita
degli incisivi.
Summary. In this report we describe the clinical, pathological
and batteriological findings of a severe ovine periodontal
disease resulting in a incisor loss (broken mouth) that
occurred in a Sarda breed sheep flock. This disease, which is
communally reported in many countries has never been
describe in Sardinia despite the presence of more than 3
million of sheep.
Bibliografia:
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disease in sheep. Veterinary Record 115, 411–412.
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disease. J Comp Pathol.:275-92.
131
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IPOTESI DI CONTROLLO CENTRALIZZATO DELLE PROVE DIAGNOSTICHE
BASATE SULLA METODICA ELISA
Capello K , Nardelli S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie IZSVe, Legnaro (PD)
Key words : prova diagnostica, densità ottica, correlazione
Summary
Different laboratories of IZSVe use the same commercial
ELISA kits to test blood samples for serological diagnosis of
different diseases. The aim of this study has been to provide
a method for the evaluation of intra and inter-laboratory
diagnostic performances to monitor and ensure quality of
results. Two software have been used: an “home-made”
software to collect and store ELISA results on PC , and a
statistical software for data collection and analysis. The
identified methodology provided significant information about
the overall process and critical points to be improved.
La metodologia di analisi è costituita da:
verifica del rispetto dei parametri di validità definiti per
ciascun kit;
analisi della correlazione e variabilità fra le repliche dei
controlli allestite su ogni piastra per ciascun kit,
focalizzando l’attenzione sui controlli “colorati” (controllo
positivo per ELISA non competitiva, controllo negativo
per ELISA competitiva).
Ulteriori specifiche dell’analisi condotta sono riportate in
tabella 1.
Tutte le analisi prevedono l’applicazione di opportuni test
statistici non parametrici, data la non normalità delle
distribuzioni trattate.
Introduzione
Le prove diagnostiche basate sulla metodica ELISA sono
frequentemente utilizzate in campo sierologico veterinario. In
molti casi tali prove si basano sull’impiego di kit commerciali
spesso distribuiti ed utilizzati contemporaneamente in più
laboratori afferenti la medesima struttura. Nel caso specifico
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
(IZSVe), sette laboratori diversi impiegano le medesime
tipologie di kit ELISA su campioni di sangue analizzati per
IBR (anticorpi totali, gB, gE), BVD (virus, anticorpi non
strutturali, anticorpi totali), leucosi bovina enzootica ed altre
patologie di rilevanza veterinaria.
Un classico strumento di controllo delle prestazioni
diagnostiche di laboratori diversi è costituito dal ring test su
pannelli di campioni standard; tale strumento viene impiegato
con una cadenza temporale che non può essere strettissima,
ed inoltre potrebbe non sempre rispecchiare la reale qualità
del dato diagnostico, dato il livello superiore di attenzione che
viene inevitabilmente riservato a questa prova. Una
possibilità di controllo alternativa, molto più stringente in
termini di cadenza temporale, è rappresentata dall’analisi dei
dati riferiti ai campioni che vengono routinariamente
esaminati; ciò è possibile solo se esiste un sistema
informatico che permetta l’acquisizione automatica dei valori
di densità ottica (OD) riferiti a tali campioni.
Scopo del presente lavoro è presentare la metodologia
sviluppata per la raccolta e analisi centralizzata dei dati
ottenuti dall’applicazione dei kit ELISA per la diagnosi
sierologica.
Tabella 1 – Metodologia di analisi dati
Verifica dei parametri di validità definiti dai kit:
a percentuale di piastre con reattività dei controlli non
conforme alle indicazioni dei kit
a percentuale di piastre con reattività dei controlli superiore
al valore massimo di taratura dello spettrofotometro
Analisi della correlazione e variabilità delle repliche, per
entrambi i controlli:
a per laboratorio e kit, calcolo di un indice di correlazione,
variabile da -1 a 1, fra le repliche collocate sulla stessa
piastra
a calcolo dello scostamento percentuale fra le repliche:
[(valore massimo-valore minimo)/valore minimo]*100
a analisi della variabilità nelle distribuzioni degli scostamenti
per kit e laboratorio
a per laboratorio e kit, percentuale di piastre con
scostamento maggiore a quello associato al 95° percentile
sulla distribuzione complessiva (scostamento “accettabile”)
Risultati
Complessivamente nel 2007 sono stati analizzati i valori di
OD di 7231 piastre distribuiti nei diversi laboratori. Il kit con il
minor numero di piastre è risultato quello per BVD anticorpi
NS2-3 (n=546) mentre quello con il numero massimo l’IBR
anticorpi totali (n=2104). Dalla prima analisi condotta è stato
possibile evidenziare elevate percentuali di piastre entro i
limiti definiti dai parametri di validità: il valore percentuale
massimo di piastre “anomale” è risultato inferiore al 10% per
tutti i kit, per cui il numero di piastre utilizzate per le ulteriori
analisi è passato da 7231 a 6844.
L’analisi dell’associazione fra le repliche dei controlli, positivi
e negativi, ha fornito risultati soddisfacenti in quanto il valore
medio di correlazione calcolato su tutti i kit per tutti i laboratori
è risultato pari a 0.85 per entrambi i controlli (range controllo
negativo: 0.62-0.98; range controllo positivo: 0.53-0.98).
Attraverso l’analisi dello scostamento percentuale sono
emerse le situazioni con maggiore variabilità nei valori di OD
fra le due repliche allestite sulla stessa piastra; in questi casi
si sono osservate rilevanti percentuali di piastre con
scostamento “eccedente” rispetto al valore considerato come
accettabile (tabella. 2). Tali risultati sono indicativi di processi
di lettura più o meno stabili e più o meno uniformi fra i vari
laboratori, anche se si deve considerare che nessuno dei kit
considerati prevede la verifica della ripetibilità dei valori di OD
all’interno della stessa piastra.
Materiali e metodi
La metodologia proposta prevede l’utilizzo di due software
diversi, ed esattamente
software ‘home-made’ per la gestione dei lettori ELISA,
che consente l’acquisizione e l’archiviazione dei dati su
PC, nonché l’estrazione in formato testo. Il software è
installato presso ciascun laboratorio che effettua prove
sierologiche ELISA
software statistico STATA 9.0 per l’aggregazione dei dati
relativi ai valori OD dei controlli positivi e negativi prodotti
dai sette laboratori in un database unico e conseguente
elaborazione statistica degli stessi
Sono stati selezionati sei kit ELISA particolarmente
rappresentativi dell’attività sierologica dell’Istituto in quanto
utilizzati per i test IBR anticorpi totali, IBR anticorpi gB, IBR
anticorpi gE, BVD virus Erns, BVD anticorpi NS2-3, LBE
anticorpi.
132
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella 2 – analisi scostamenti fra le repliche (controlli “colorati”)
Valore
Percentuale di piastre per laboratorio con scostamento percentuale superiore a quello
Kit per ricerca:
“accettabile”
“accettabile”
scostamento
Lab A
Lab B
Lab C
Lab D
Lab E
Lab F
Lab G
IBR anticorpi totali
18%
5,4
16,1
4,7
1,1
2,6
9,8
1,1
IBR anticorpi gB
14%
0,0
7,6
5,5
0,0
8,4
2,8
3,6
IBR anticorpi gE
16%
11,4
10,1
4,6
1,9
1,3
6,8
3,2
BVD virus Erns
12%
7,5
9,9
1,9
1,1
1,3
5,0
4,2
BVD anticorpi NS2-3
19%
6,7
10,3
1,1
7,1
3,1
1,8
0,0
LBE anticorpi
24%
0,0
6,9
9,6
0,0
6,8
10,0
2,0
Conclusioni
La possibilità di monitorare su base costante i risultati dei test
ELISA tramite archiviazione automatizzata dei dati e
successiva analisi statistica , è sicuramente importante in un
ottica di valutazione. I risultati dell’applicazione della
metodologia descritta dal presente lavoro hanno infatti fornito
indicazioni significative sulla riproducibilità dei test considerati
e hanno permesso l’individuazione di alcuni punti critici.
Risulta tuttavia evidente come, nella totalità dei kit
considerati, manchi, fra i controlli, il campione a reattività
‘intermedia’ che potrebbe rilevare al meglio le fluttuazioni di
reattività dei sistemi ELISA nelle diverse sedute di reazione. Il
fatto di utilizzare controlli “nettamente” positivi / negativi
rende, da questo punto di vista, il sistema meno sensibile nei
confronti delle fluttuazioni suddette.
La risoluzione delle criticità rilevate può rendere
maggiormente stabile e uniforme il processo di archiviazione
delle piastre nei diversi laboratori. Inoltre dal punto di vista
metodologico, ciò consentirebbe di costruire opportune carte
di controllo e di limitare il numero di parametri da calcolare.
133
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
ANALISI BIOMOLECOLARI, SEROLOGICHE ED ISOLAMENTO IN UN GATTO INFETTO DA LEISHMANIA SPP.
1
Caracappa S., Migliazzo A., Lupo T., Lo Dico M. , Calderone S.,Rea S.,Currò V.,Vitale M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo;
1
Medico Veterinario LLPP
Key words: Leishmania, Gatto, Isolamento.
SUMMARY - Leishmaniasis, caused by Leishmania
infantum, is an endemic zoonosis in the Mediterranean
area. Dogs are considered the major host for these
parasites,. In recent years, asymptomatic infection or
clinical disease caused by L. infantum in cats has been
reported in several countries where zoonotic leishmaniasis
is present. We report a case of Leishmania infection in a
cat living in an endemic focus which resulted positive by
real time PCR, IFAT and isolation.
necroscopica sono stati prelevati fegato, milza, rene e
pancreas (fig. 1). Tale materiale è stato inviato al
C.Re.Na.L. per
l’eventuale isolamento e la PCR
Quantitativa Leishmania spp.
SOMMARIO – La leishmaniosi del cane è una patologia
iperendemica nel territorio Siciliano e i cani sono stati fino
ad ora considerati i principali “reservoirs” del protozoo per
l’uomo. Negli ultimi anni però sono stati riportati casi
asintomatici o clinicamente manifesti dell’infezione anche
nel gatto, questi concentrati in aree dove la Leishmaniosi
assume caratteri iperendemici. Gli autori riportano un caso
di un soggetto maschio di specie felina castrato, incrocio di
razza persiana di 10 anni di età, risultato positivo alla
leishmania spp. tramite test sierologico, PCR Quantitativa
e isolamento.
Fig. 1
INTRODUZIONE – A fine ottobre del 2007 è giunto presso
il laboratorio del Centro di Referenza Nazionale per le
Leishmaniosi (C.Re.Na.L), con sede presso l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” sede
centrale Palermo, un campione di emosiero appartenente
ad un soggetto di specie felina di 10 anni di età per ricerca
anticorpi-anti leishmania. Il soggetto di cui sopra
presentava all’anamnesi un trattamento per il diabete e alla
visita clinica buone condizione generali ad esclusione di
una forma di stomatite. Si è proceduto quindi ad effettuare
l’emocromo, il profilo biochimico completo (Urea-creatininasodio-potassio-fosforo-cloro-zinco-calcio-magnesiobilirubina
totaleALT-ALP-AST-Ȗ-GT-proteine
totali
Albumine- glucosio-colinesterasi-amilasi-lipasi-colesterolofruttosamina-trigliceridi),comprensivo
di
elettroliti
e
fruttosemia (indicativa nel gatto per la diagnosi di diabete)
nonché elettroforesi, esame chimico-fisico delle urine e
saggi sierologici per FIV, Felv e FIP. Le analisi di
laboratorio, hanno rilevato la negatività per FIV, FelV, e
FIP, mentre hanno evidenziato leucocitosi, iperglicemia e
glicosuria; la fruttosamina risultava prossima al valore
massimo dell’intervallo di riferimento. L’ elettroforesi
evidenziava una lieve ipoalbuminemia ed una moderata
ipergammaglobulinemia, ed il relativo A/G risultava essere
di 0.39. E’ stato effettuato sul soggetto Test sierologico per
la ricerca di anticorpi anti-leishmania tramite IFAT presso il
C.Re.Na.L. dando esito positivo. Successivamente è stata
effettuata una ecografia addominale per accertare
eventuali reni policistici o forme di pancreatiti subcliniche.
All’ecografia era evidenziabile una lieve linfoadenomegalia
dei linfonodi addominali con epatomegalia. Il soggetto è
stato sottoposto a terapia per il diabete e dopo una
remissione iniziale dei sintomi si è andato incontro ad uno
progressivo scadimento delle condizioni generali. Quindi
si è provveduto a sottoporre ad eutanasia il gatto e in sede
MATERIALI E METODI – Si è proceduto all’estrazione del
DNA da 25 mg di tessuto proveniente da rene, fegato e
pancreas e da 10 mg di tessuto proveniente dalla milza. Il
fegato è la milza sono stati sottoposti ad un processo di
purificazione.
Il sistema di PCR in Real Time è stato sviluppato su Abi
Prism 7700 Sequence Detector (Applied Biosystem),
sfruttando la chimica TaqMan Master Mix (Applied
Biosystem) che prevede l’uso di una coppia di primers e di
una sonda marcata. I test sono stati effettuati sulla base di
una curva di taratura, ottenuta saggiando diluizioni
successive in base 10, di una soluzione di DNA estratto dal
ceppo MHOM/IT/80/IPT1 di Leishmania infantum. Secondo
tale schema, sono stati ottenuti 6 punti per curva, in un
6
1
intervallo compreso tra 10 e 10 Leishmanie per ml di
estratto. La miscela di reazione per il test è stata sviluppata
come segue: 1X TaqMan Universal PCR Master Mix
(Applied Biosystem), 5μl ciascun primer, 0.2μl sonda
marcata, 1X Exo IPC mix e Exo IPC DNA (Applied
Biosystem), 2μl di estratto di DNA campione e H2O fino al
completamento del volume di reazione (25μl). In questa
mix i due kit Applied Biosystems rappresentano
rispettivamente il tampone di reazione e la miscela per il
controllo interno. Le 40 ripetizioni del programma di
amplificazione, sono state ottimizzate come segue: 95°C
per 15 sec, 60°C per 60 sec; precedute da un passaggio a
50°C per 2 min e a 95°C per 10 min.
Nell’ IFAT Il siero campione è stato sottoposto a
centrifugazione a circa 1300xg per circa 5’ allo scopo di
separarlo dalla parte corpuscolata ed inattivato in
bagnomaria a 56° C per 30 minuti allo scopo di eliminare il
complemento presente. Il siero è stato diluito in PBS, 1:5
da qui si è proceduto alla titolazione per raddoppio.
134
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
La lettura è stata effettuata spingendosi fino a estinzione
del fenomeno di fluorescenza.
Il controllo positivo (Standard interno) è costituito da un
emosiero, proveniente da un soggetto che si presenta
clinicamente affetto da Leishmaniosi e risultato positivo alla
PCR, controllato mediante IFI e validato dal C.Re.Na.L.IZSSi.
Il controllo negativo (Standard interno) è costituito da un
siero, proveniente da un soggetto che si presenta
clinicamente non affetto da Leishmaniosi e risultato
negativo alla PCR; il siero è controllato mediante IFI e
validato dal C.Re.Na.L. IZSSi.
La coltura dei quattro tessuti di frammento, ha portato
all’isolamento della Leishmania spp. esclusivamente dai
campioni provenienti dalla milza e dal rene. Questi hanno
raggiunto una loro stabilizzazione e sono stati conservati in
azoto liquido. Il frammento di tessuto proveniente dal
fegato è risultato inquinato, mentre il frammento di tessuto
proveniente dal pancreas è risultato negativo.
I ceppi ottenuti sono stati avviati alla caratterizzazione
molecolare tramite microsatelliti, e risulta tuttora in corso la
conferma della tipizzazione isoenzimatica presso il Centro
di Referenza Europeo per le Leishmaniosi di Montpellier.
CONCLUSIONI – Dal caso analizzato si è rilevato che il
soggetto felino è risultato positivo alla PCR Quantitativa,
IFAT e isolamento pur non presentando infezioni virali
concomitanti (FIV, FELV, FIP) che avrebbero potuto
giustificare una possibile immunodeficienza. Si può
avanzare quindi avanzare l’ipotesi che il gatto possa
essere infettato in un territorio ad alta endemia per la
Leishmania e rappresentare quindi un “reservoir” minore.
Ci si pone come obiettivi futuri sia quello di una
caratterizzazione molecolare tramite analisi di microsatelliti
sia la tipizzazione isoenzimatica classica che permetterà di
l’individuazione dei ceppi circolanti in una specie di sempre
maggiore interesse per una patologia in crescente aumento
nel territorio italiano a causa dei gravi cambiamenti climatici
in atto a livello mondiale. In futura può essere utile inoltre
includere gli accertamenti per la leishmania nell’analisi
delle possibili infezioni feline soprattutto nei gatti
provenienti da zone iper endemiche per il parassita.
Nell’ isolamento abbiamo prelevato una piccola quantità
(0,5 grammi circa) di tessuto per ogni organo. I frammenti
di tessutio sono stati mantenuti singolarmente in soluzione
antibiotata per circa 10’, quindi spezzettati finemente con
bisturi, in cui è stato aggiunto circa 1 ml di Tobie EMTM
(Evans’ Modificated Tobie Medium), la fase liquida. Dopo
alcuni minuti di riposo il campione è stato trasferito su
Tobie EMTM, la fase solida.
La semina del campione è avvenuta portando a
temperatura ambiente le provettine necessarie di Tobie
solido completo, aggiungendo 0,4ml di Tobie liquido
completo ed attendendo qualche minuto. Quindi è stato
seminato 0,1 ml dell’omogenato e incubato a 24-26°C.
In questo modo si è proceduto ad una serie passaggi, ad
intervalli di 15 giorni circa.
RISULTATI – Per la PCR Quantitativa abbiamo ottenuto i
seguenti risultati da DNA estratto da tessuto:
DNA estratto da
rene
fegato
pancreas
milza
BIBLIOGRAFIA –
1) Poli A., Abramo F., Bassotti Leva S., Gramiccia M.,
Ludovisi A., Mancianti F., (2002) Feline Leishmaniosis due
to Leishmania infantum in Italy . Veterinary Parassitology,
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3) Mancianti F., Sozzi S., (1995) Isolation of Leishmania
infantum from a newborn puppy. Transactions of the Royal
Society of Tropical Medicine and Hygiene, 89: 402.
Leish/ml
2*103 Leish/ml
103 Leish/ml
7*101 Leish/ml
105 Leish/ml
Il Test sierologico per la ricerca di anticorpi anti-leishmania,
effettuato tramite IFAT presso il Centro di Referenza
Nazionale per le Leishmaniosi, è risultato positivo con un
titolo di 1/320.
135
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
VIROSI DELLE API E MORTALITA’ DEGLI ALVEARI
Cardeti G.1, Lavazza A.2, Cittadini M.1, Ponticello L.1, Formato G.1, Tittarelli C.2, Amaddeo D.1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
Virus, api, diagnosi
strettamente collegato alla “Sindrome dello spopolamento
degli alveari” (CCD) (5).
Le infezioni sono spesso latenti o inapparenti e la
sintomatologia dipende da dose e modalità d’infezione,
predisposizione genetica e stato generale della colonia. La
maggior parte dei virus causa “accorciamento della vita”
delle api; in condizioni normali però il loro impatto è
trascurabile o transitorio. Soltanto 2 virus (virus della
covata a sacco = SBV e virus della paralisi cronica =
CBPV), per i sintomi caratteristici indotti possono essere
diagnosticati facilmente su base clinica. Nella tabella 1
sono elencate le principali caratteristiche dei 2 virus delle
api più frequentemente isolati nella nostra attività
diagnostica.
Summary
Specific viruses affecting honeybees are widespread and
normally give latency i.e. they can be detected in seemingly
healthy bees. In the last decade we investigated the
presence and spread of bee viruses in Italian hives.
Samples of honeybees at different stages were examined
by electron microscopy methods, including IEM for ABPV
and ELISA test for DWV. DWV and ABPV were often
detected in high titres in association with severe signs:
depopulation, adult bees with paralysis and/or deformed
wings, mortality.
Introduzione
Le virosi delle api rappresentano gravi patologie a volte
sottovalutate da apicoltori, esperti apistici e veterinari; sono
diffuse in tutto il mondo e possono causare elevate perdite
economiche, soprattutto quando associate ad altre
malattie. Dal 1963 in cui fu isolato il primo virus (CBPV),
sono stati identificati e caratterizzati non meno di 19 virus
(Fig. 1). Per la maggior parte vengono classificati nella
Picornavirus-like superfamily, ordine Picornavirales,
famiglie Dicistroviridae (genere Cripavirus: BQCV e genere
Aparovirus: ABPV, IAPV e KBV) ed Iflaviridae (genere
Iflavirus: SBV, DWV, KV, VDV). Restano ancora da
classificare, invece, i seguenti virus: SBPV, BSPV, CBPV,
CWV, ABP, BBP, BXV, BYV, EBV, FV. In quanto virus
Picorna-like presentano le seguenti caratteristiche: privi di
envelope, a forma icosaedrica con diametro di 27-30nm,
morfologicamente simili ed evidenziabili mediante
osservazione al microscopio elettronico a trasmissione
(TEM).
Tabella 1. Caratteristiche del virus delle ali deformi e della
paralisi acuta
DWV (Deformed Wing Virus)
Virus identificato nel 1991 (2), oggi molto diffuso
Può causare infezioni latenti
Replicazione più lenta di ABPV
Molto spesso associato a varroa
Malformazioni delle ali
ABPV (Acute Bee Paralysis Virus)
Virus molto diffuso
Stagionale: tarda estate, autunno
Associato a CBPV
Infezione correlata a quella da varroa
Latente nel tessuto adiposo; rapida replicazione
Mortalità nella covata; paralisi, accorciamento della
vita e alterazioni comportamentali negli adulti
Figura 1. Principali caratteristiche dei virus delle api
Materiali e metodi
Presso l’IZSLT, dal 01 settembre 2004 al 30 giugno 2008
sono stati esaminati 228 campioni (larve, pupe, api allo
sfarfallamento e adulti) prelevati da 195 arnie di 87 aziende
apistiche, nelle quali erano state osservate: lentezza nella
ripresa primaverile delle colonie, paralisi e malformazioni
degli adulti, elevata mortalità delle larve ed in qualche caso
grave spopolamento e morte.
In laboratorio, oltre alle comuni indagini parassitologiche
(varroa, nosema ed amebiasi) e batteriologiche (peste
europea ed americana) sono stati eseguiti esami virologici
mediante tecniche di microscopia elettronica. L'esame al
microscopio elettronico (ME) in colorazione negativa ricalca
in larga parte la metodica comunemente in uso per la
diagnosi di infezioni virali (9). Gli estratti sono preparati e
trattati secondo il protocollo descritto da Bailey e Ball (2):
ogni individuo viene omogenizzato in 1 ml di PBS 0,01M,
pH 6,7, contenente il 2% di sodio dietilditiocarbamato
(DIECA), per prevenire la melanizzazione, aggiungendo
successivamente 0,5 ml di dietiletere. Il tutto viene quindi
emulsionato con 0,5 ml di tetracloruro di carbonio (CCl4) e
centrifugato, una prima volta a 3.000 rpm per 30 min. e poi
a 9.000 rpm per 30 min. Il sovranatante, in ragione di 80 μl,
viene quindi ultracentrifugato con Beckman Airfuge a 21 psi
(103.000 rpm) per 20 min in un rotore A100 a sei provette
da 175 μl, in cui sono alloggiati adapters che permettono il
pellettamento delle sospensioni virali direttamente su
griglie in rame rivestite con formvar e carbonate. Le griglie
sono colorate negativamente con una soluzione al 2% del
Le caratteristiche biochimiche, antigeniche e genomiche
dei vari virus sono conosciute solo in parte e solo per 6 di
essi (SBV, BQCV, ABPV, KBV, DWV, KV) è disponibile la
sequenza genomica completa. Non infrequenti sono le
segnalazioni di nuovi ceppi virali o di varianti antigeniche,
quale, ad esempio, l’Israeli Acute Paralysis Virus (IAPV),
un Dicistrovirus recentemente classificato nel genere
Aparoviurs che, secondo diversi Autori, sarebbe
136
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
sale sodico dell'acido fosfotungstico (NaPT), pH 6,8 ed
esaminate al microscopio elettronico ad ingrandimenti
compresi fra 28000 e 36000x. Per l’identificazione della
specie virale è stata utilizzata sia l’IEM con siero specifico
anti-ABPV, sia il test ELISA-DWV (8).
- le manifestazioni cliniche riferibili alle patologie delle api
sono raramente patognomoniche, con molti sintomi in
comune a differenti malattie;
- è sempre necessario ricorrere alle analisi di laboratorio
per confermare l’eziologia dei sospetti clinici;
- gli stati patologici associati alle virosi sono conseguenza
di una compromissione generale della colonia, a seguito
di disordini di varia natura (tossica, parassitaria,
genetica, biochimica, metabolica) corresponsabili della
rottura dell'equilibrio di forza delle famiglie;
- i virus sono agenti complicanti che trovano in altri
patogeni quali la varroa, il fattore scatenante la loro
attivazione e/o replicazione, contribuendo a determinare
il collasso e la morte delle famiglie;
- un altro importante fattore causa di sviluppo di malattie
virali conclamate è rappresentato dallo stress prolungato
(es. errato posizionamento delle arnie, freddo dovuto a
frequenti visite invernali da parte dell’apicoltore, squilibrio
numerico tra api adulte/covata, etc.).
- la
prevenzione
delle
malattie
virali
dipende
principalmente dal controllo della varroa con interventi
appropriati e programmati nel territorio.
Sebbene la microscopia elettronica e l’ELISA DWV
costituiscano utili e validi metodi di diagnosi, per una più
corretta identificazione dei 6 principali virus delle api (DWV,
ABPV, CBPV, SBV, BQCV, KBV) si rende necessario
l’impiego di metodi molecolari. A tal fine, sono in corso di
studio e allestimento protocolli di RT-PCR, sulla scorta di
quanto recentemente pubblicato in letteratura (6).
Risultati e discussione
Sono state riscontrate virosi delle api in 65 (74,71%) delle
87 aziende apistiche (55/72 nel Lazio, 4/8 in Toscana, altre
zone 6/7) sottoposte ad indagine. Particelle Picornaviruslike (Fig. 2) erano presenti in 128 campioni pari al 56,14%
(Tab. 2) con n.43 campioni positivi per DWV, n.5 campioni
positivi
per
ABPV,
n.2
campioni
positivi
contemporaneamente per ABPV e DWV e n.5 campioni
positivi per SBV-like. I restanti 73 campioni, per i quali non
è stato possibile identificare le particelle osservate,
verranno quanto prima sottoposti ad analisi biomolecolari.
L’infezione virale risultava spesso associata ad un’alta
infestazione da varroa. Diagnosi di virosi veniva fatta in
molte arnie con sospetta sindrome da spopolamento.
Inoltre, i ceppi virali identificati erano spesso associati ad
altri agenti patogeni (Tab. 3).
Figura 2. Particelle di DWV al ME (materiale purificato)
Riferimenti bibliografici
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mellifera L.) by ectoparasitic mite Varroa jacobsoni Oud. J.
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Pettis J.S., Lipkin W.I. (2007). A metagenomic survey of
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Arculeo P. (1996). Indagine sulla diffusione delle virosi in Italia
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gastroenterite nei cani: identificazione al microscopio elettronico
con
applicazioni
di
immuno-elettromicroscopia,
rilievi
istopatologici, ematologici e clinici. Ann. Fac. Med. vet. Torino,
26: 3-20.
Tabella 2 – Risultati delle analisi effettuate presso l’IZSLT
per malattie virali delle api dal 01/09/2004 al 15/06/2008
Aziende n. (Pos./Tot.)
Lazio Tosc Altro Tot
2004
1/1
0
0
1/1
2005
3/4
0/1
0
3/5
2006 11/16 0/1
1/1 12/18
2007 22/27 3/5
2/2 27/34
2008 18/24 1/1
3/4 22/29
Pos/Tot 55/72 4/8
6/7 65/87
Anno
Campioni n. (Pos./Tot.)
Lazio Tosc Altro
Tot
2/2
0
0
2/2
9/14
0/2
0
9/16
21/58 0/1
2/2 23/61
54/92 4/6
3/3 61/101
25/36 1/1 7/11 33/48
111/202 5/10 12/16 128/228
Tabella 3 - Patologie associate ai ceppi virali isolati
Virosi
Ameba Nosema PA PE PE+PA PMS Totale
DWV
1
3
5 10
2
5
18
ABPV
4
4
SBV-like
4
4
ABPV+DWV
1
1
Legenda: PA=Peste Americana; PE=Peste Europea;
PMS=Parasite Mite Syndrome
Tali riscontri, in accordo con le precedenti indagini (1, 4, 7)
confermano che:
137
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
BETANODAVIRUS IN SPECIE ITTICHE ALLEVATE E SELVATICHE: RISULTATI DI INDAGINI DI
LABORATORIO CONDOTTE NEL PERIODO NOVEMBRE 2004 – LUGLIO 2008 PRESSO L’IZS LAZIO E
TOSCANA
Cardeti G., Lorenzetti R., Conti R., Del Bove M., Amiti S., Dell’Aira E., Bossù T., Amaddeo D.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma
Nodavirus, specie ittiche marine, epidemiologia
Summary
marmore, 4 tracine, per un totale di 226 soggetti) è stato
campionato sia durante episodi di moria in zone di mare del
Lazio (Golfo di Gaeta, litorale Civitavecchia) e della Toscana
(Laguna di Orbetello) sia durante gare di pesca sportiva
(Toscana, Monte Argentario e Puglia, Salento).
I campioni di encefalo ed occhi sono stati omogenati in
terreno EMEM addizionato di HBSS e soluzione antibiotata e
quindi sottoposti ad analisi biomolecolare (estrazione acido
nucleico, retrotrascrizione ed amplificazione). Cinque Pl di
RNA purificato con il sistema ”QIAmp Viral RNA minikit”
(QIAGEN“, Germania) sono stati trasferiti in 50 Pl finali della
miscela di RT-PCR 1 (SuperScript One Step PCR, Life
Technologies, Invitrogen£, USA) costituita, in particolare, da
600 nM primer VER-1 (5’-GACTGG GACACGCTGCTAGA3’), 600nM primer VER-2 (5’-AGTCGAACACTCCAGCGACA3’) e 2mM Mg2SO4. La reazione di RT-PCR 1 è stata quindi
condotta alle seguenti condizioni: 30’ a 54°C, 2’ a 94°C, 40
cicli ciascuno composto da 30” a 94°C, 30” a 62°C e 45” a
72°C seguiti da 5’ a 72°C (3). Il prodotto di amplificazione di
347bp, è stato separato su gel di agarosio all’1,5% e quindi
visualizzato mediante colorazione in bromuro di etidio.
Un Pl del prodotto di RT-PCR 1 è stato quindi trasferito in
50Pl finali delle miscela di PCR 2, costituita in particolare da
200nM primer VNNV-3 (5’-ATTGTGCCCCGCAAA CAC-3’),
200nM primer VNNV-4 (5’-GACCGT TGACCACATCAGT-3’),
1,5mM MgCl2 e 1 unità di Platinum Taq DNA polimerasi (Life
Technologies, Invitrogen£, USA).
Il profilo termico di amplificazione impiegato è stato il
seguente: 94°C per 30 sec, 57°C per 30 sec, 72°C per 30
sec. per 40 cicli. Il prodotto di amplificazione di 255bp, è stato
separato su gel di agarosio all’1,5% e quindi visualizzato
mediante colorazione in bromuro di etidio. Entrambe le
amplificazioni sono state condotte in un amplificatore
GeneAmp PCR System 9700 (Applied Biosystems).
I campioni positivi in RT-nPCR sono stati inoculati su colture
cellulari SSN-1 per l’isolamento virale (7). Il tappeto cellulare
è stato quindi osservato quotidianamente al microscopio
ottico fino alla comparsa dell’effetto citopatico (ECP). Per
ciascun campione è stato effettuata comunque almeno una
subcultura a 7 giorni post infezione. In presenza di ECP il
surnatante è stato sottoposto a RT-nPCR per l’identificazione
del ceppo.
Betanodavirus infection is worldwide distributed and
responsible of Viral Encephalo-Retinopathy (VER) in several
farmed marine fish species with high mortality and high
economical losses. Also many wild fish species can be
infected and their epidemiological role is important. In this
survey we investigated the presence of the infection in
farmed and wild fish mainly from the Tirrenian Sea. Samples
from 1.332 fish belonging to 15 different species were
analyzed by RT-PCR and virus isolation on SSN-1 cell line.
348 samples from 7 different species resulted positive.
Introduzione
I Betanodavirus appartengono alla famiglia Nodaviridae e
sono in grado di infettare soprattutto specie di pesci d’acqua
salata. L’Encefalo-Retinopatia Virale (VER) di cui sono
responsabili, ha una distribuzione cosmopolita e si manifesta
nei pesci marini allevati con elevata mortalità nelle larve e
negli stadi giovanili e gravi perdite economiche (8). I
Betanodavirus sono virus privi di envelope, a struttura
icosaedrica, di circa 25 nm di diametro. Sulla base del
genoma, costituito da 2 molecole di ssRNA (+), sono stati
individuati 4 genotipi (9) riconosciuti dalla tassonomia ufficiale
come 4 specie (4): SJNNV (Striped Jack Nervous Necrosis
Virus), BFNNV (Barfin Flounder Nervous Necrosis Virus),
TPNNV (Tiger Puffer Nervous Necrosis Virus) e RGNNV
(Redspotted Grouper Nervous Necrosis Virus). In Italia la
VER è stata segnalata per la prima volta nel 1995 nel
branzino (Dicentrarchus labrax). A tutt’oggi le specie recettive
riconosciute sono oltre 40 e l’infezione è stata segnalata in
molte specie selvatiche (1, 2). Il ruolo di quest’ultime nella
diffusione dell’infezione è tuttora in studio sia mediante prove
sperimentali che studi biomolecolari al fine di caratterizzare e
comparare i ceppi isolati nei soggetti selvatici e allevati (5; 6).
Attualmente, non potendo ricorrere a terapia o vaccinazione,
la profilassi si basa su controllo ambientale e diagnosi
precoce: le indagini di laboratorio, RetroTrascriptase nested
Polymerase Chain Reaction (RT-nPCR) e colture cellulari
(TC) condotte presso l’IZSLT nel periodo 2004-2008, hanno
avuto come obiettivo l’ampliamento delle conoscenze
epidemiologiche in specie allevate e selvatiche provenienti
soprattutto da Lazio e Toscana, ma anche da altre regioni
italiane.
Risultati e discussione
Materiali e metodi
I risultati ottenuti confermano l’ampia diffusione del virus in
tutti gli allevamenti sottoposti a campionamento in diverse
regioni italiane; interessate tutte le specie ad eccezione del
rombo (P. maxima) per il quale gli esemplari testati (n.13)
sono risultati negativi (Figura 1). I soggetti riscontrati positivi
inoltre, provenivano sia da allevamenti a terra che in gabbia.
In Tabella 1 è riportato il numero dei campioni esaminati
(totale e positivi per nodavirus) relativamente alle specie
allevate e alla relativa distribuzione secondo le due differenti
metodiche utilizzate ovvero TC e RT-nPCR.
Nel periodo novembre 2004–luglio 2008, sono stati analizzati
campioni di encefalo e occhi prelevati da pesci allevati e
selvatici, appartenenti rispettivamente a 4 e 12 specie ittiche
marine. I pesci allevati, per un totale di 1106 soggetti (544
spigole, 469 orate, 80 sogliole, 13 rombi) provenivano da
allevamenti siti in Toscana (n.8) e Lazio (n.4), in Calabria
(n.1), Campania (n.2), Liguria (n.1) e Sicilia (n.3). Il pescato
(17 spigole, 135 cefali, 12 salpe, 2 torpedini, 4 tordi marvizzo,
5 tordi pavone, 24 saraghi maggiore, 9 corvine, 10 sardine, 4
138
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Figura 1. Risultati RT-nPCR, campioni specie allevate
In Tabella 2 sono riportati il numero totale di campioni
esaminati ed il numero dei positivi osservati per ogni singola
specie selvatica.
In particolare sono risultate positive le seguenti specie:
spigola (D. labrax), cefalo (M. cephalus), torpedine (T.
mormorata) e tordo marvizzo (L. berggylta); per queste ultime
due si tratta di una prima segnalazione di positività (Figura 2).
Tutti i selvatici analizzati non presentavano sintomi di VER e
ad eccezione della specie M. cephalus, sono risultati negativi
all’esame batteriologico (ricerca di germi patogeni speciespecifici) e parassitologico a fresco.
I risultati ottenuti concordano con quelli di altri autori ad
eccezione della sardina che è risultata positiva in precedenti
lavori (1); tale discordanza potrebbe essere dovuta alla
scarsa numerosità campionaria. La prima segnalazione per
torpedine e tordo marvizzo amplia ulteriormente il range di
specie selvatiche mediterranee riscontrate sensibili al virus.
In generale è possibile concludere, anche sulla base dei dati
bibliografici disponibili, che i betanodavirus sono ampiamente
diffusi nelle specie ittiche selvatiche del Mar Mediterraneo.
Questo pone alcuni quesiti, in particolare relativamente alla
potenziale patogenicità dei nodavirus di origine selvatica nei
confronti delle specie allevate; alla possibilità che siano
antigenicamente e/o geneticamente differenti da quelli isolati
in altri paesi; ed infine come questi ceppi selvatici debbano
essere considerati nella regolamentazione ufficiale ai fini
della prevenzione e del controllo della VER nelle specie
allevate.
Per rispondere a tali importanti interrogativi è necessario
eseguire ulteriori indagini di natura epidemiologica e
biomolecolare.
nodavirus in specie allevate
120,00
100,00
%
80,00
pos %
60,00
neg %
40,00
20,00
0,00
nodavirus in specie selvatiche
120,00
100,00
%
80,00
pos %
60,00
neg %
40,00
20,00
Pos/Tot
32/168
12/21
90/202
N.E.
%
19,05
57,14
44,55
N.E.
Totale n.
17
5
135
12
24
9
2
4
10
4
4
a
a
ci
n
tra
ne
or
rd
i
ar
m
Sa
m
e
zz
o
in
vi
ar
rp
ed
m
to
rd
o
to
rv
i
na
e
o
Riferimenti bibliografici
RT-nPCR
Pos/Tot
%
137/436
31,42
21/71
29,58
163/503
32,41
0/13
0
1. Ciulli S., Galletti E., Grodzki M., Alessi A., Battimani M., Prosperi
S. (2007). Isolation and genetic characterization of Betanodavirus
from wild marine fish from the Adriatic sea. Vet Res Commun, 31:
221-224
2. Baeck G.W., Gomez D.K., Oh K.S., Kim J.H., Choresca Jr. C.H.,
Park S.C. (2007). Detection of piscine nodaviruses from apparently
healthy wild marine fish in Korea. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 27:
116-122
3. Dalla Valle L., Zanella L., Patarnello P., Paolucci L., Belvedere P.,
Colombo L. (2000). Development of a sensitive diagnostic assay
for fish nervous necrosis virus based on RT-PCR plus nested
PCR. J. Fish Dis., 23: 321-328
4. Fauquet C.M., Mayo M.A., Maniloff J., Desselberger U. & Ball L.A.
(2005). Virus taxonomy classification and nomenclature of viruses.
Eight ICTV Report, Academic Press, San Diego, CA, USA
5. Gagné N., Johnson S.C., Cook-Versloot M., MacKinnon A.M. &
Olivier G. (2004). Molecular detection and characterization of
nodavirus in several marine fish species from the northeastern
Atlantic. Dis. Aquat. Org., 62: 181-189
6. Gomez D.K., Sato J., Mushiake K., Isshiki T., Okinaka Y & Nakai
T. (2004). PCR-based detection of betanodaviruses from cultured
and wild marine fish with no clinical signs. J. Fish Dis., 27: 603-608
7. Manuale OIE, 2005. Viral Encephalopathy and Retinopathy.
Chapter 2.1.7.
8. Munday B.L., Kwang J. & Moody N. (2002). Betanodavirus
infection in teleost fish: a review. J. Fish Dis., 25: 127-142
9. Nishizawa T., Furuhashi M., Nagai T., Nakai T. & Muroga K.
(1997). Genomic classification of fish nodaviruses by molecular
phylogenetic analysis of the coat protein gene. Appl. Environ.
Microbiol., 63: 1633-1636
Tabella 2. Betanodavirus in specie selvatiche: risultati in RTnPCR
Specie
Spigola
Tordo pavone
Cefalo
Salpa
Sarago maggiore
Corvina
Torpedine
Tordo marvizzo
Sardina
Marmora
Tracina
co
lp
a
gi
or
ag
m
fa
lo
ce
vo
sa
ra
g
To
rd
o
pa
Sp
ig
ol
a
ne
0,00
sa
Orata
Sogliola
Spigola
Rombo
TC
spig
ola
Figura 2. Risultati RT-nPCR, campioni specie selvatiche
Tabella 1. Betanodavirus in specie allevate: risultati in TC e
RT-nPCR
Specie
rom
bo
sog
liola
orat
a
Positivi n.
8
0
16
0
0
0
2
1
0
0
0
139
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI VIBRIO ALGINOLYTICUS E VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Colussi S., Corvonato R., Zuccon F., Giorgi I., Serracca L., Acutis P.L., Prearo M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Key words: Vibrio alginolyticus, Vibrio parahaemolyticus, Multiplex PCR
INTRODUZIONE
Nell’ambito del progetto di ricerca denominato: “Approccio
polifasico nell’identificazione di isolati appartenenti al genere
Vibrio in materiale ittico”, differenti metodiche di PCR
precedentemente pubblicate sono state applicate allo
screening di ceppi di campo (vedi poster di Zuccon et al., X
Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.), classificati su base
fenotipica, presenti nella collezione del laboratorio di
Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico di Torino. Il progetto
prevedeva inoltre lo sviluppo di nuove tecniche di PCR e lo
studio di target molecolari alternativi per l’identificazione delle
differenti specie appartenenti al genere Vibrio.
In questa prima fase di studio sono state considerate soltanto
alcune tra le specie prevalentemente isolate tra cui V.
anguillarum, V. alginolyticus e V. parahaemolyticus. .
Questo lavoro descrive lo sviluppo di una nuova multiplex
PCR che consente la contemporanea identificazione di V.
parahaemolyticus e V. alginolyticus, specie geneticamente e
biochimicamente affini e per questo talvolta erroneamente
classificate. Si è partiti dalla valutazione di una PCR multiplex
per l’identificazione di V. parahaemolyticus, V. alginolyticus. e
V. cholerae descritta da Di Pinto et al. (2) basata
sull’amplificazione del gene della collagenasi. Questa
metodica, a detta degli autori stessi, è risultata specifica ma
da indagare ulteriormente vista l’esiguità campionaria. Essa
nel nostro caso non ha fornito i risultati attesi per
l’identificazione di V. parahaemolyticus, pertanto si è
proceduto all’associazione dei primers specifici disegnati da
Di Pinto per l’identificazione di V. alginolyticus ai primers
specifici per l’identificazione di V. parahaemolyticus (1) che
determinano l’amplificazione del gene tl (emolisina
termolabile) (Tab. 2). A tale scopo sono stati modificati i
parametri di PCR in modo tale che i primers scelti potessero
funzionare in una multiplex PCR.
(Invitrogen) 25Pl, con aggiunta dei primers indicati in tabella
2 (300 nM).
Ciascun campione estratto è stato quantificato mediante
lettura spettrofotometrica a 260 nm e ne è stata valutata la
purezza mediante calcolo della ratio (OD260/OD280). La
quantità di DNA utilizzata è stata 150 ng.
Il ciclo di PCR prevedeva una fase iniziale di attivazione
caratterizzata da due step: 50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguita
da 25 cicli 94°C per 30’’, 57°C per 30’’, 72°C per 60’’ e
un’estensione finale di 72°C per 5’.
La rivelazione dopo corsa elettroforetica a 80V per 1 ora è
stata fatta su gel di agarosio al 3% con aggiunta di Sybr Safe
(Invitrogen). È stato utilizzato il marcatore di peso molecolare
AmpliSize Molecular Ruler (50-2000 pb Ladder) (BIO-RAD).
L’elaborazione delle immagini è stata effettuata mediante Gel
Doc (BIO-RAD).
Tabella 1: Elenco dei ceppi certificati
DSMZ 1027
Vibrio parahaemolyticus
DSMZ 2171
Vibrio alginolyticus
ATCC 43305
Vibrio anguillarum
Aeromonas allosaccharophila DSMZ 11576
DSMZ 7386
Aeromonas veronii
DSMZ 6393
Aeromonas ichthiosmia
DSMZ 12609
Aeromonas salmonicida
DSMZ 7312
Aeromonas trota
DSMZ 30187
Aeromonas hydrophila
hydrophila
DSMZ 7323
Aeromonas caviae
DSMZ 11577
Aeromonas encheleia
DSMZ 4881
Aeromonas media
DSMZ 30188
Aeromonas hydrophila
anaerogenes
DSMZ 13956
Aeromonas bestiarium
DSMZ 6394
Aeromonas enteropatogenes
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati 14 ceppi certificati DSMZ (Deutsche
Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen) e 1 ceppo
certificato ATCC (American Type Culture Collection)
appartenenti al genere Vibrio e al genere Aeromonas (Tab.1)
e 44 ceppi isolati da prodotti ittici (14 V. parahaemolyticus, 15
V. alginolyticus, 15 V. anguillarum). I ceppi di campo sono
stati identificati biochimicamente mediante galleria API 20NE
(Biomerieux)
e valutazione della sensibilità all’agente
vibriostatico O129 10 Pg e 100 Pg e verifica della capacità
agglutinante con siero monovalente per V. anguillarum
(Bionor Laboratories). Geneticamente i ceppi di V.
parahaemolyticus sono stati testati mediante l’applicazione di
simplex PCR per il gene tl e toxR (1, 4); una simplex PCR,
utilizzando i primers specifici per la collagenasi, è stata
applicata per i ceppi di V. alginolyticus e una simplex PCR,
con primers specifici per il gene rpoN, (3) è stata applicata ai
ceppi di V. anguillarum.
I ceppi sono stati coltivati in agar nutritivo (Difco) addizionato
al 2% di NaCl.
Il DNA è stato estratto mediante tecnica freeze-boiling che
prevede incubazioni di 10 minuti alternate a 100°C e –80 °C
con centrifugazione finale a 16000 rcf per 3 minuti e prelievo
del surnatante.
La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 50Pl
mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG
Tabella 2: primers utilizzati nella PCR multiplex
Sequenza dei primers
Target
5’-aaa gcg gat tat gca gaa gca ctg-3’
5’-gct act ttc tag cat ttt ctc tgc-3’
Emolisina
termolabile
5’-cga gta cag tca ctt gaa agc c-3’
5’-cac aac aga act cgc gtt acc-3’
Collagenasi
Rif.
Bej et
al.,
1999
Di
Pinto
et al.,
2005
RISULTATI
V. parahaemolyticus è stato identificato chiaramente da una
banda caratteristica di 450 pb (Fig 1: 1-15), V. alginolyticus è
invece identificato da una banda di 737 pb (Fig. 3: 1-16).
Campioni non appartenenti alle due specie in esame quali V.
anguillarum (Fig. 1 16-19 e Fig.2 1-12) e differenti specie del
genere Aeromonas, molto simile al genere Vibrio e talvolta
classificate erroneamente secondo un’analisi fenotipica, (Fig.
4: 1-12) mostrano invece assenza di banda.
La PCR sviluppata ha mostrato una sensibilità ed una
specificità, calcolate ad un livello di confidenza del 95%, del
100%; rispettivamente (86,3-100%) e (85,0-100%).
140
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
DISCUSSIONE
La nuova metodica applicata all’identificazione di V.
parahaemolyticus e V. alginolyticus si è rivelata di semplice e
rapido utilizzo, consentendo un’identificazione certa del
patogeno; inoltre necessita di un minor dispendio economico
rispetto alla conduzione di due differenti simplex PCR.
Questa metodica può costituire un valido supporto alle
metodiche di identificazione tradizionali caratterizzate da
numerose criticità legate prevalentemente a lunghi tempi di
esecuzione, alla loro indaginosità e alla scarsa specificità. La
multiplex PCR in esame presenta inoltre vantaggi anche
rispetto ad innovative tecniche di biologia molecolare, quali
l’amplificazione del gene che codifica per r-RNA 16S,
estremamente efficaci ed utili nell’identificazione di varie
specie batteriche ma non utilizzabili in questo caso vista la
similarità genetica delle due specie in esame, superiore al
99% (5 e 6).
La multiplex PCR, applicata a isolati ittici, ha inoltre
consentito di rilevare in due casi una coinfezione (vedi poster
di Zuccon et al.; X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.)
evidenziando
ulteriormente l’inefficacia delle tecniche
biochimiche che in tali condizioni conducono invece all’
identificazione di un unico patogeno.
Fig. 1 PCR multiplex applicata a V. parahaemolyticus e V.
anguillarum
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 M16 17 18 19
Fig. 2 PCR multiplex applicata a V. anguillarum.
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 M
RINGRAZIAMENTI
La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute
nell’ambito dei fondi di Ricerca Corrente 2005.
BIBLIOGRAFIA
(1)
Bej A.K., Patterson D.P., Brasher C.W., Vickery M.C.L.,
Jones D.D. & Kaysner C.A. (1999). Detection of total and
hemolysin-producing Vibrio parahaemolyticus in shellfish
using multiplex PCR amplification of tl, tdh and trh. J.
Microbiol Methods 36: 215-225.
(2) Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D. & Forte
V.T. (2005). A collagenase targeted multiplex PCR assay for
identification of V. alginolyticus, V. cholerae and V.
parahaemolyticus. J. Food Prot. 68 (1): 150-153
(3) Gonzalez S.F., Krug M.J., Nielsen M.E., Santos Y. & Call D.R.
(2004). Simultaneous detection of marine fish pathogens by
using multiplex PCR and a DNA microarray. J. Clin. Microbiol
42 (4): 1414-1419.
(4) Kim Y.B., Okuda J., Matsumoto C., Takahashi N., Hashimoto
S. & Nishibuchi M. (1999). Identification of Vibrio
parahaemolyticus strains at the species level by PCR
targeted to the toxR gene. J. Clin. Microbiol 37 (4): 11731177.
(5) Kita-Tsukamoto K., Oyaizu H., Nanba K. & Shimidu U. (1993).
Phylogenetic relationships of marine bacteria, mainly
members of the family Vibrionacea, determined on the basis
of 16S rRNA sequences. Int. J. Syst. Bacteriol. 43 :8-19.
(6) Ruimy R., Breittmayer V., Elbaze P., Lafay B., Boussemart
O., Gauthier M. & Christine R. (1994). Phylogenetic analysis
and assessment of the genera Vibrio, Photobacterium,
Aeromonas, and Plesiomonas deduced from small-subunit
rRNA sequences. Int. J. Syst. Bacteriol. 44 : 416-426.
Fig. 3 PCR multiplex applicata a V. alginolyticus.
1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 M
Fig. 4 PCR multiplex applicata a Aeromonas sp.
1
2
3
4 5
6
7
8
9 10 11 12 M
SUMMARY
Conventional standard microbiological methods for the
detection of Vibrio spp. based on the traditional analysis of
phenotypic profile are slow and laborious. Furthermore in
case of great similarities among species, as for V.
parahaemolyticus and V. alginolyticus, they could also result
in uncorrected identification. We developed a multiplex PCR
based on the amplification of the collagenase gene for V.
alginolyticus and of the tl gene for V. parahaemolyticus. This
PCR resulted extremely sensitive and specific and could
represent an efficient method for simultaneous detection of
these two pathogens.
141
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E PRODOTTI DI GASTRONOMIA:
RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU TRAMEZZINI
Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Milan M., Mioni R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Struttura Complesssa1- Microbiologia Alimentare – Legnaro (PD)
Keywords: Listeria monocytogenes; challenge test; tramezzini
ABSTRACT
Challenge tests are the preferable instrument to study the
behaviour of Listeria monocytogenes on ready to eat foods,
according to Regulation (EC) 2073/2005. Challenge test with
Listeria monocytogenes on different kinds of sandwiches,
with tuna or with ham, showed a reduction of the listeria
inoculated counts. Nevertheless, in the tuna sandwiches
some episodes of Listeria monocytogenes new growth were
observed. Thus, the tolerance limit of 100cfu/g of Listeria
monocytogenes allowed by Regulation (EC) 2073/2005
seems to be enforceable to this particular kind of foods, even
if with some prudence for the tuna sandwiches .
Per contaminare il prodotto sono stati utilizzati ceppi di
Listeria monocytogenes di campo, precedentemente isolati
dal Laboratorio da matrici analoghe e conservati congelati su
crio-bank. Per allestire gli inoculi i ceppi sono stati risospesi
su TSB+YE, lasciati incubare overnight a 37°C, e seminati su
terreno agarizzato al fine di verificarne la vitalità e la purezza.
Al momento dell’uso, è stata allestita una sospensione
batterica in soluzione fisiologica, titolata al nefelometro e
diluita in modo da avere una carica finale sul prodotto di circa
3
10-10 ufc/gr. L’inoculo di contaminazione è stato depositato
preferenzialmente sull’interfaccia tra farcitura e pane.
Preparazione e conservazione del prodotto
I tramezzini sono stati contaminati presso ambienti dedicati
del Laboratorio, utilizzando prodotti di origine industriale.
Successivamente essi sono stati riconfezionati in atmosfera
modificata, utilizzando la stessa miscela di gas del produttore
(60%N2, 40 %CO2) e conservati in frigorifero ad una
temperatura di 4°C, conformemente alle condizioni di
conservazione riportate in etichettatura, per 26 giorni ovvero
fino ad oltre la scadenza del prodotto (21 giorni).
Determinazioni analitiche
Ciascuna serie di campioni per entrambe le tipologie di
prodotto è stata esaminata ai giorni 0, 3, 6, 10, 17, 21
(scadenza commerciale) e 26.
Ogni prelievo è stato esaminato per aw, pH, carica batterica
totale, batteri lattici e ricerca quantitativa di L.
monocytogenes. La numerazione di L. monocytogenes a
37°C è stata eseguita secondo la metodica ISO 112902:1998/Amd 1 2004, conformemente a quanto disposto dal
Regolamento (CE) 2073/2005; la determinazione della carica
batterica totale è stata eseguita conformemente alla norma
ISO 4833:2003; la numerazione dei batteri lattici è stata
eseguita secondo un metodo interno. Per ridurre l’errore
statistico, in ciascun prelievo è stato esaminato un pool di
due tramezzini diversi.
INTRODUZIONE
Il Regolamento (CE) 2073/2005 (1) stabilisce criteri
microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, individuando
specifici criteri di sicurezza e di igiene. Tra i primi è inclusa
Listeria monocytogenes, la cui presenza in alcune matrici
alimentari è ammissibile fino ad una carica di 100 ufc/g su 5
unità campionarie, purché il prodotto non costituisca terreno
favorevole allo sviluppo del patogeno (prodotti con pH </= 4,4
o aw </= 0,92; prodotti con pH </= 5 e aw </= 0,94; prodotti
con conservabilità < 5 gg) oppure a condizione che gli
Operatori del Settore Alimentare (OSA) siano in grado di
dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che
questo limite non verrà superato per tutta la durata
commerciale del prodotto, fino a scadenza. A tal fine, il
Regolamento prevede che gli OSA si avvalgano di prove
sperimentali, modelli predittivi o dati di letteratura. Gli alimenti
nei quali non è tollerata la presenza del patogeno sono
fondamentalmente quelli destinati a lattanti e a fini medici
speciali, mentre il limite di 100 ufc/g è applicabile agli alimenti
pronti non destinati a lattanti e a fini medici speciali, alle
preparazioni e prodotti a base di carne destinati ad essere
consumati crudi, alle carni macinate, a burro-gelati e
formaggi, agli alimenti pronti contenenti uova crude, ai succhi
di frutta, alla frutta e agli ortaggi pretagliati. Conformemente a
quanto disposto dal Regolamento (CE) 2073/2005, su
richiesta di alcuni Operatori del Settore Alimentare (OSA) la
Struttura Complessa 1 – Microbiologia Alimentare dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha avviato
un’attività di ricerca finalizzata allo studio della dinamica di
Listeria monocytogenes in diverse tipologie di prodotti “ready
to eat” tramite prove di contaminazione sperimentale
(“challenge test”). Il fine delle sperimentazioni è verificare se
la carica di Listeria monocytogenes eventualmente presente
nel prodotto può, nel corso della sua shelf-life e nelle normali
condizioni di uso e conservazione, aumentare fino a superare
il limite di 100 ufc/g consentito.
Nel presente lavoro si riportano i risultati preliminari dei
challenge test eseguiti su alcune tipologie di tramezzini.
RISULTATI
Dalle analisi svolte sui tramezzini al prosciutto cotto, emerge
una tendenza della carica di Listeria monocytogenes
presente a ridursi durante tutto il periodo di conservazione;
nei tramezzini al tonno sono stati invece evidenziati degli
episodi di crescita delle listerie presenti, più marcati nei primi
giorni di conservazione del prodotto e più lievi verso la
scadenza. Nelle Tabelle 1 e 2 sono sintetizzati i risultati
ottenuti rispettivamente per i tramezzini al prosciutto e al
tonno. I grafici riportati nelle Figure 1 e 2 visualizzano in
forma logaritmica la dinamica di Listeria monocytogenes in
entrambe le tipologie di prodotto.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nei tramezzini al prosciutto cotto, la carica di Listeria
monocytogenes presente tende chiaramente a ridursi con il
procedere della conservazione del prodotto; le lievi
fluttuazioni di carica riscontrate al 26° giorno per il lotto 1 e al
17° e al 26° giorno per il lotto 2 non sono da intendersi come
episodi di crescita delle listerie presenti, ma sono piuttosto da
riferirsi alla variabilità statistica insita nel metodo analitico
utilizzato. Per quanto riguarda i tramezzini al tonno, in tutti e
tre i lotti di contaminazione studiati sono stati evidenziati degli
episodi di crescita delle listerie presenti, più marcati nei primi
giorni di conservazione del prodotto e più lievi verso la
MATERIALI E METODI
Tipologia di prodotto
La prova è stata eseguita su due tipologie di prodotto:
- Tramezzini al tonno (shelf-life 21 gg)
- Tramezzini al prosciutto (shelf-life 21 gg)
Contaminazione del prodotto
Per ciascuna tipologia di tramezzini sono state eseguiti tre
serie di campioni (lotti A, B e C), contaminate con cariche di
2
3
listeria dell’ordine rispettivamente di 10, 10 e 10 ufc/g.
142
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
scadenza, che non consentono di considerare accettabili
cariche di listeria superiori alle 30-40 ufc/g, al fine di garantire
il rispetto del limite di legge di 100 ufc/g. Il diverso
comportamento della listeria nelle due tipologie di prodotto
studiate è da attribuirsi al diverso sviluppo delle flore lattiche
sui due substrati, maggiore nei tramezzini al prosciutto cotto
rispetto a quelli al tonno. La letteratura scientifica concorda
infatti nell’attribuire alle flore lattiche la capacità di produrre
acidi e batteriocine che condizionano la possibilità per Listeria
monocytogenes di moltiplicarsi o di sopravvivere nel
substrato. Le batteriocine sono sostanze di natura proteica di
sintesi ribosomiale prodotte come metaboliti secondari dai
batteri Gram positivi, capaci di uccidere o inibire lo sviluppo di
altri batteri (2). Molti sono i batteri lattici che producono
batteriocine; tra quelle più note sono da annoverare risina,
lattacina, lattococcina, pediocina, helveticina, leucocina ed
altre (3,4). Altre specie batteriche capaci di produrre
batteriocine
(enterocine)
efficaci
contro
Listeria
monocytogenes appartengono al genere Enterococcus (4).
Tabella 1
Figura 1
BIBLIOGRAFIA
1. Regolamento della Commissione 2073/2005/CE del 15 novembre
2005 - GU L 338 del 22/12/2005
2. Nes I.F., Diep D.B., Håvarstein L.S., Brurberg M.B., Eijsink V.,
Holo H., 1996. Biosynthesis of bacteriocins in lactic acid bacteria.
Antonie van Leeuwenhoek 70: 113-128
3. Cleveland J., Montville T., Nes I.F., Chikindas M.L., 2001.
Bacteriocins: safe, natural antimicrobials for food preservation. Int.
J. Food Microbiol., 71: 1-20.
4. Franz C.M.A.P., van Belkum M.J., Holzapfel W.H., Abriouel H.,
Gálvez A., 2007. Diversity of enterococcal bacteriocins and their
grouping in a new classification scheme. FEMS Microbiol. Rev., 31
(3): 293-310
0
3
6
aw
0,98
0,99
0,97
10 0,98
pH
5,2
5,1
5,0
5,1
17 0,98
5,1
21 0,99
4,7
26 0,98
4,6
Carica
batterica
totale
Batteri
lattici
5,4 x 106
ufc/g
6,9 x 107
ufc/g
2,2 x 108
ufc/g
1,0 x 108
ufc/g
2,9 x 107
ufc/g
9,3 x 107
ufc/g
1 x 107
ufc/g
3,4 x 106
ufc/g
6,3 x 107
ufc/g
1,7 x 108
ufc/g
4,8 x 107
ufc/g
2,5 x 107
ufc/g
7 x 107
ufc/g
4,4 x 107
ufc/g
Tramezzini al prosciutto:
dinamica di Listeria monocytogenes
Listeria
monocytogenes
Lotto
A
150
ufc/g
130
ufc/g
70
ufc/g
50
ufc/g
50
ufc/g
10
ufc/g
20
ufc/g
Lotto
B
130
ufc/g
170
ufc/g
150
ufc/g
100
ufc/g
110
ufc/g
50
ufc/g
70
ufc/g
Lotto A
Lotto
C
2200
ufc/g
2100
ufc/g
1900
ufc/g
1700
ufc/g
1600
ufc/g
900
ufc/g
400
ufc/g
3,50 3,34
3,32
3
6
0,98
0,98
3,20
3,23
2,95
2,00
2,23
2,18
2,11 2,11
2,04
2,00
1,70
1,85
1,85
1,70
1,70
1,50
1,30
1,00
1,00
0,50
0,00
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
22
24
26
28
giorni di conservazione
Figura 2
pH
5,0
5,1
5,0
10 0,98
5,1
17 0,98
5,1
21 0,98
5,1
26 0,97
5,1
Carica
batterica
totale
Batteri
lattici
5 x 103
ufc/g
6,2 x 103
ufc/g
6,6 x 103
ufc/g
6,5 x 104
ufc/g
2,3 x 106
ufc/g
2,6 x 106
ufc/g
10 x 106
ufc/g
8,4 x 103
ufc/g
3,7 x 103
ufc/g
2,1 x 104
ufc/g
5,5 x 104
ufc/g
1,9 x 105
ufc/g
1,8 x 106
ufc/g
7,6 x 106
ufc/g
Tramezzini al tonno:
dinamica di Listeria monocytogenes
Listeria
monocytogenes
Lotto
A
60
ufc/g
80
ufc/g
150
ufc/g
80
ufc/g
50
ufc/g
60
ufc/g
80
ufc/g
Lotto
B
130
ufc/g
400
ufc/g
120
ufc/g
80
ufc/g
100
ufc/g
140
ufc/g
90
ufc/g
Lotto A
Lotto B
Lotto C
4,00
Lotto
C
1500
ufc/g
2800
ufc/g
1500
ufc/g
1600
ufc/g
1800
ufc/g
1700
ufc/g
1100
ufc/g
3,50
3,45
3,26
3,20
3,18
3,23
3,18
3,04
3,00
2,60
2,50
log10 ufc/g
Giorno
0,97
3,28
2,60
2,50 2,18
Tramezzini al tonno
0
Lotto C
3,00
Tabella 2
aw
Lotto B
4,00
log10 ufc/g
Giorno
Tramezzini al prosciutto
2,18
2,15
2,11
2,00
1,78
2,00
1,90
1,95
1,90 2,08
1,90
1,90
1,78
1,70
1,50
1,00
0,50
0,00
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
giorni di conservazione
143
20
22
24
26
28
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E INSACCATI FERMENTATI:
RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU COPPE STAGIONATE
Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Cassini S., Mioni R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Struttura Complesssa1- Microbiologia Alimentare – Legnaro (PD)
Keywords: Listeria monocytogenes; challenge test; coppe
ABSTRACT
Challenge tests are the preferable instrument to study the
behaviour of Listeria monocytogenes on ready to eat foods,
according to Regulation (EC) 2073/2005. Challenge test with
Listeria monocytogenes on seasoned napes, a kind of pork
fermented sausages, showed, after two weeks of maturation
of the product, a reduction of the listeria inoculated counts.
Therefore, the tolerance limit of
100cfu/g of Listeria
monocytogenes allowed by Regulation (EC) 2073/2005
seems to be enforceable to this particular kind of foodstuff.
monocytogenes di campo, precedentemente isolati da matrici
analoghe e conservati congelati su crio-bank. L’inoculo di
contaminazione è stato depositato sulla superficie del taglio
anatomico.
Determinazioni analitiche
Ciascuna serie di campioni è stata esaminata ai giorni 0, 2,
5, 10, 15, 30, 45 e 60. Ogni prelievo è stato esaminato per aw,
pH, carica batterica totale, batteri lattici e ricerca quantitativa
di L. monocytogenes. La numerazione di L. monocytogenes a
37°C è stata eseguita secondo la metodica ISO 112902:1998/Amd 1 2004; la determinazione della carica batterica
totale è stata eseguita conformemente alla norma ISO
4833:2003; la numerazione dei batteri lattici è stata eseguita
secondo un metodo interno.
INTRODUZIONE
L’industria salumiera nel nostro paese rappresenta un
importante settore produttivo, caratterizzato da una notevole
varietà di prodotti e da una molteplicità di produttori; le
aziende sono prevalentemente di dimensioni medio-piccole, e
gestiscono le fasi di lavorazione secondo protocolli,
difficilmente standardizzabili, frutto delle proprie esperienze.
Per questa tipologia di prodotti il Regolamento (CE)
2073/2005 (1) ammette dei limiti di tolleranza per Listeria
monocytogenes fino ad una carica di 100 ufc/g su 5 unità
campionarie, purché il prodotto non costituisca terreno
favorevole allo sviluppo del patogeno (pH </= 4,4 o aw </=
0,92; pH </= 5 e aw </= 0,94) oppure a condizione che gli
Operatori del Settore Alimentare (OSA) siano in grado di
dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che
questo limite non verrà superato per tutta la durata
commerciale del prodotto, fino a scadenza. A tal fine, il
Regolamento prevede che gli OSA si avvalgano di prove
sperimentali, modelli matematici o dati di letteratura. Su
richiesta di alcuni Operatori del Settore Alimentare (OSA) la
Struttura Complessa 1 – Microbiologia Alimentare dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha avviato
un’attività di ricerca finalizzata allo studio della dinamica di
Listeria monocytogenes in diverse tipologie di prodotti “pronti
per il consumo” tramite prove di contaminazione sperimentale
(“challenge test”). La scelta preferenziale del challenge test
deriva dal fatto che è l’unico strumento che consente di
riprodurre lo specifico processo produttivo del singolo
stabilimento, consentendo di ottenere informazioni reali sulla
dinamica di Listeria monocytogenes in un determinato
prodotto. Nel presente lavoro si riportano i risultati preliminari
dei challenge test eseguiti su campioni di coppa stagionata,
prodotta secondo gli standard di un salumificio industriale.
RISULTATI
Non sono stati dimostrati fenomeni di ricrescita di Listeria
monocytogenes di rilievo, ad eccezione del lotto tre, nel quale
si è verificata una leggera ricrescita nel corso della seconda
settimana di maturazione del prodotto. In tutti i lotti si
evidenzia una lenta ma progressiva tendenza ad una
riduzione della carica di listeria presente, chiaramente
evidente già 4 settimane dopo la produzione dell’insaccato.
La riduzione dell’aw e l’acidificazione sono risultate modeste.
Nelle Tabelle 1, 2 e 3 sono sintetizzati i risultati ottenuti
rispettivamente per i lotti A-B-C; i grafici riportati nelle Figure
1, 2 e 3 visualizzano la dinamica di Listeria monocytogenes.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
In tutti i lotti si è verificata una lenta ma progressiva tendenza
ad una riduzione della carica di listeria presente, chiaramente
evidente già 4 settimane dopo la produzione dell’insaccato; la
stagionatura della durata di 45 giorni normalmente seguita
dalla ditta costituisce una garanzia per la tutela della salute
dei consumatori. Dalle prove eseguite si desume che, anche
qualora il prodotto immesso sul mercato fosse naturalmente
contaminato da cariche di Listeria monocytogenes inferiori al
limite di 100 ufc/g previsto dal Regolamento (CE) 2073/2005,
non sono prevedibili, nelle normali condizioni di utilizzo,
ulteriori aumenti delle cariche riscontrate che possano
determinare un superamento del limite di legge. La dinamica
di Listeria nei primi stadi di maturazione del salume e gli
apparenti fenomeni di ricrescita del patogeno rilevati nei primi
15 giorni di maturazione possono essere spiegati dalla fase di
crescita in cui si trova il ceppo prima di essere inoculato nel
prodotto; le condizioni di pre-incubazione possono infatti
influenzare la coltura batterica con la quale viene preparato
l’inoculo. È stato osservato (2) che la temperatura di preincubazione influenza la durata della fase lag dei patogeni. La
fase lag costituisce la fase in cui microrganismi trasferiti da
un inoculum in un terreno fresco non aumentano subito di
numero, ma anzi diminuiscono. Successivamente, dopo una
fase di “adattamento” al substrato, si verifica una iniziale
ricrescita del patogeno, che negli insaccati è seguita, per il
prosieguo e fino al termine della stagionatura, da una
graduale continua e progressiva diminuzione della carica. La
riduzione della carica di Listeria monocytogenes è da
attribuirsi ai particolari eventi che si realizzano nella matrice
durante le fasi di sgocciolatura, asciugatura e stagionatura.
Acidificazione, riduzione della disponibilità di acqua libera,
sviluppo delle flore lattiche, produzione di acidi e batteriocine
MATERIALI E METODI
Preparazione e conservazione del prodotto
La prova è stata condotta su tre distinti lotti di prodotto (lotti
A, B e C) al fine di studiare il comportamento di Listeria
monocytogenes in condizioni diverse. Per ciascun lotto,
presso il Laboratorio sono state eseguite la contaminazione
della materia prima fornita dal produttore, l’insaccatura con
budelli di proprietà della ditta, l’asciugatura e la stagionatura
in celle dedicate secondo i parametri industriali utilizzati. La
carne suina è stata addizionata di destrosio, saccarosio, sale,
pepe, spezie e aromi, antiossidante E300, conservanti E250
ed E252, colture starter.
Contaminazione del prodotto
Le tre serie di campioni (lotti A, B e C) sono state
contaminate con cariche di listeria dell’ordine rispettivamente
di 10, 102 e 103 ufc/g. Sono stati utilizzati ceppi di Listeria
144
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
da parte di queste ultime condizionano infatti la possibilità per
Listeria monocytogenes di moltiplicarsi o di sopravvivere nel
prodotto studiato. Le batteriocine sono sostanze di natura
proteica di sintesi ribosomiale prodotte come metaboliti
secondari dai batteri Gram positivi, capaci di uccidere o
inibire lo sviluppo di altri batteri (3). L’uso di batteri lattici
come starter è di notevole importanza nella produzione di
salumi stagionati, in quanto, da un lato, producono
batteriocine, dall’altro, in presenza di zuccheri fermentescibili,
determinano un’acidificazione veloce ed efficace, limitando lo
sviluppo delle flore alteranti e/o patogene per il consumatore.
BIBLIOGRAFIA
1. Regolamento della Commissione 2073/2005/CE del 15 novembre
2005 - GU L 338 del 22/12/2005
2. Dufrenne J., Delfgou E., Ritmeester W., Notermans S., 1997. The
effect previous growth conditions on the la phase of some
foodborne pathogenica micro-organism. Int. J. Food Microbiol.,
34:89-94.
3. Nes I.F., Diep D.B., Håvarstein L.S., Brurberg M.B., Eijsink V.,
Holo H., 1996. Biosynthesis of bacteriocins in lactic acid bacteria.
Antonie van Leeuwenhoek 70: 113-128
Tabella 1
Figura 1
Giorno
Coppe lotto A
Aw
pH
Carica
batterica totale
ufc/g
Coppe lotto A:
dinamica di Listeria monocytogenes
Batteri
Lattici
Listeria
monocytogenes
ufc/g
Listeria monocytogenes
350
ufc/g
330
300
2
5
10
0,99
0,98
0,98
0,97
6,5
6,2
5,3
5,5
31x10
57x10
6
270x10
6
280x10
6
15
0,96
5,4
170x10
6
30
0,94
5,2
230x10
6
29x10
6
330
250
51x10
6
170
200
170x10
6
150x10
6
200
170x10
6
180
200x10
6
150
ufc/g
0
6
160
200
170
150
180
160
150
100
50
0
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
22
24
26
28
30
32
giorni
Tabella 2
Figura 2
Coppe lotto B
Batteri
Lattici
Listeria
monocytogenes
ufc/g
ufc/g
ufc/g
Giorno
Carica
batterica totale
Aw
0
0,99
6,2
20x10
2
0,99
6,5
180x10
6
5
0,97
5,6
240x10
6
150x10
10
0,97
5,7
210x10
6
15
0,96
5,2
210x10
5,4
160x10
30
0,93
6
Listeria monocytogenes
450
18x10
6
400
90x10
6
280
350
6
260
300
130x10
6
270
6
170x10
6
250
150
6
160x10
6
240
100
45
0,92
5,6
17x10
6
60
0,92
6,0
85x10
6
89x10
6
240
66x10
6
200
400
ufc/g
pH
Coppe lotto B:
dinamica di Listeria monocytogenes
400
280
260
270
250
240
240
250
200
200
50
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60
giorni
Tabella 3
Figura 3
Coppe lotto C
Batteri
Lattici
Listeria
monocytogenes
ufc/g
ufc/g
ufc/g
Aw
0
0,98
5,8
130x10
2
0,98
6,2
51x10
5
0,97
5,7
660x10
6
270x10
6
200x10
6
10
15
30
45
60
0,95
0,97
0,94
0,92
0,92
pH
5,5
5,3
5,2
5,2
6,1
6
6
96x10
6
1400
49x10
6
800
6
800
170x10
6
1200
140x10
6
1400
180x10
6
160x10
6
100x10
6
6
180x10
6
110x10
6
Listeria monocytogenes
1600
1400
120x10
98x10
Coppe lotto C:
dinamica di Listeria monocytogenes
1400
1400
1200
1200
1000
ufc/g
Giorno
Carica
batterica totale
800
600
800
800
630
440
400
630
200
200
440
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60
200
giorni
145
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BUFALINA IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ANALISI
MICROSATELLITARE
Corrado F., Galiero G., Cutarelli A., Girardi S., Iovane G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno- Portici (NA)
Keywords: Microsatelliti, Bufalo e Bovino
Abstract
In the last decades there is a growing attention of consumers
towards food which is characterized by nutritional and
organoleptic properties, healthiness and a clear production
flow.
The aim of this work was to develop a genetic traceability
test in buffalo based on microsatellites. This genotyping
method might help to guarantee the traceability of meat
along the transformation process.
Introduzione
Negli ultimi tempi è sempre più grande l'attenzione dei
consumatori verso alimenti che siano ben caratterizzati per
quanto riguarda le proprietà nutrizionali ed organolettiche, la
salubrità, oltre che la trasparenza della filiera di produzione.
Lo sviluppo delle tecnologie di analisi del DNA ha permesso un
notevole progresso nel settore della genetica animale,
mettendo a disposizione gli strumenti per la caratterizzazione
del genoma delle singole specie e per l'identificazione di geni con
un effetto rilevante sulle produzioni zootecniche. La nascita di
nuove metodologie di analisi e i progressi fatti in campo di
biologia molecolare, genetica e biochimica, hanno permesso di
dare uno slancio alle ricerche e di ampliare le conoscenze in
questo settore, mutandone l'approccio allo studio. Si è passati
dall'analisi fenotipica del prodotto genico, all'indagine a livello
molecolare e dall'attenzione alla singola frazione proteica, allo
studio dell'intero aplotipo.
Attualmente, per quanto riguarda la specie bufalina (1), in
letteratura sono disponibili informazioni relative a molte
mutazioni già caratterizzate che hanno un effetto su
caratteristiche produttive, riproduttive, di resistenza alle
malattie e che causano difetti genetici. Molte altre informazioni
relative a geni che influenzano i caratteri produttivi sono
attualmente utilizzate, mediante test molecolari a livello del DNA,
nella selezione dei riproduttori in modo da evitare l'utilizzo dei
portatori di varianti non desiderate e per la scelta dei soggetti
portatori di combinazioni geniche favorevoli. Oltre che per il
miglioramento genetico degli animali di interesse zootecnico,
la genetica molecolare offre gli strumenti per l'analisi di
paternità e l'identificazione degli animali, aspetti che influenzano
direttamente o indirettamente la selezione, ma che hanno anche
importanti risvolti commerciali e applicazioni per la tracciabilità dei
prodotti di origine animale (2).
Le indagini effettuate sul DNA nucleare autosomico e sul
cromosoma Y oggi disponibili, comprendono polimorfismi
microsatelliti (Short Tandem Repeats, STRs) e polimorfismi di
sequenza SNP (Single Nucleotide Polymorphism) (3).
I microsatelliti, sono tratti del DNA caratterizzati da un
numero variabile di ripetizioni di sequenze di 1-5 nucleotidi,
sono altamente informativi grazie al loro elevato numero di alleli.
In genere, i microsatelliti si trovano in regioni anonime del DNA,
cioè regioni che non hanno una funzione nota. L'utilizzo di
sequenziatori automatici per la loro analisi e l'impiego di software
per l' interpretazione dei dati ha contribuito a fare dei microsatelliti i
marcatori più utilizzati per la costruzione delle mappe genetiche e
soprattutto per l'identificazione degli individui. Infatti, i sistemi
utilizzati oggi a tali scopi, prevedono l'analisi di polimorfismi
microsatelliti. Attualmente per le principali specie di interesse
zootecnico, per la diagnosi di parentela si basa
prevalentemente sull'analisi del DNA utilizzando i marcatori
microsatelliti.
In generale, per queste diagnosi, una serie di microsatelliti (di
solito 9-12) è amplificata in multiplex ( utilizzando il DNA
estratto dagli animali che si vogliono confrontare e i pattern
elettroforetici dei singoli soggetti sono confrontati. L'utilizzo di un
set di microsatelliti per ogni specie, composto da marcatori
ciascuno dei quali con un elevato potere discriminante nelle
popolazioni considerate, permette di ottenere un'elevata
probabilità di esclusione di paternità.
La specie bufalina riveste una notevole importanza nel settore
agroalimentare e dato il vasto panorama delle indagini
genetiche che si effettuano su di essa, si rende necessario
sviluppare un metodo di elevata automazione per poter
effettuare contemporaneamente: indagini di parentela; analisi
dei polimorfismi di geni candidati coinvolti nella qualità dei
prodotti agroalimentari, individuazione di mutazioni genetiche
responsabili di malattie e identificazione genetica con l’utilizzo
di microsatelliti. L'aumento delle conoscenze a livello del
genoma e i progressi nell'ambito delle biotecnologie, ha
permesso di considerare con più interesse i microsatelliti.in
quanto sono ottimi marcatori
L'analisi dei microsatelliti è utilizzata dall’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Mezzogiorno, e si basa sulla probabilità che
due animali (non gemelli identici) scelti a caso nella popolazione
possano presentare lo stesso genotipo per tutti i marcatori
microsatelliti che costituiscono un particolare set o pannello
utilizzato per l'analisi.
Su questi principi si basa anche la tracciabilità della carne e
dei prodotti di origine animale in generale. Utilizzando questi
concetti, è possibile ritenere che, se diversi campioni biologici
prelevati in momenti differenti della vita di un animale e
successivamente, sulla carne al macello o al supermercato
dopo la sezionatura dei vari tagli, presentano lo stesso
identico profilo per il pannello di marcatori microsatelliti. Nel
caso specifico, il pannello utilizzato nelle analisi di questi
campioni dimostrerà l’appartenenza allo stesso animale,
dichiarato in etichettatura, che può così essere identificato in
modo molto preciso.
Lo scopo del lavoro è stato quello di verificare se l’analisi
microsatellitare ci consente di rilevare minime concentrazioni di carne
bufalina in prodotti carnei.
Materiali e Metodi
I campioni sono stati analizzati contemporaneamente,
secondo le indicazioni stabilite da Frezza et coll (4), e
mediante analisi microsatellitare secondo le indicazioni
stabilite da Moore et coll (2). I campioni, complessivamente
30, sono stati preparati miscelando muscolo bovino e bufalino
in concentrazioni dello 0.1%, 1%, 5%, 30% e 50%. Il DNA dei
campioni è stato estratto utilizzando l’Estrattore Applied
Biosystem 6100 Nucleic Acid Prepstation, secondo il
protocollo fornito dall’Applied Biosystem. L’estratto è stato
amplificato contemporaneamente mediante PCR, per la
specie bovina utilizzando la mix di primers riportata in tab.1 e
per la specie bufalina utilizzando la mix di primers riportata in
tab.2 (4). Le condizioni di amplificazioni sono state:
denaturazione di 10’ a 95° per 1 ciclo, seguito da 35 cicli a
94° per 30’’, 60° per 30’’ e 72° per 30’’. Lo step finale di
estensione è stato eseguito a 72° per 3’ (4). Mentre per la
specie bufalina il DNA estratto è stato amplificato mediante
PCR utilizzando la mix di primers riportata in tab.2. Le
condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a
95° per 1 ciclo, seguito da 35 cicli a 94° per 30’’, 60° per 1’ e
146
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
72° per 1’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a 72°
per 5’ (5). Infine, per visualizzare gli amplificati, 10μl di
ciascun DNA amplificato sono stati caricati su gel di agarosio
al 2% contenente bromuro di etidio (1 μg ml-1) (Fig.1).
Per l’analisi microsatellitare il DNA estratto è stato amplificato
mediante PCR-multiplex utilizzando i seguenti microsatelliti
per la specie bufalina: MAF65 - INRA006- CSSM47CSSM19 -RM4- CSSM42 -CYP21 -D5S2 -BMC1013BM0922 -INRA026- CSSM60- CSSM 38- BM1706 (5). Mentre
per la specie bovina sono stati utilizzati TGLA227, TGLA53,
ETH03, ETH10, TGLA122, TGLA126, INRA023, SPS115,
ETH225 e BMC2113 raccomandati dall’ ISAG (International
Society for Animal Genetics).
Le condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di
10’ a 95° oer 1 ciclo, seguito da 30 cicli a 95° per 15’’, 57°
per1’ e 72° per1’. Lo step finale di estensione è stato eseguito
a 72° per 10’.I prodotti della PCR sono stati poi, denaturati a
95° per 3’ con formammide ed analizzati mediante corsa
elettroforetica ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied
Biosystems, USA), con l’utilizzo di un software Gene Mapper
(ABI PRISM) che ha permesso di determinare gli alleli di
riferimento che sono poi stati analizzati comparando i
frammenti di DNA , le cui dimensioni vengono determinate
per confronto con gli alleli presenti nello standard di pesi
molecolari noti GeneScan-500 LIZ (Fig. 2 e Fig. 3).
Risultati e Discussione
L’analisi mediante PCR, ha consentito di determinare la
quantità relativa delle carni bufalo e bovino in miscela nel
limite di rivelazione dell’1%. Di contro, l’analisi microsatellitare
ha consentito, invece, di determinare la presenza della specie
bufalina e bovina fino a concentrazioni minime. Infatti, la
lettura dei risultati è stata eseguita verificando l'altezza dei
picchi dell'elettroferogramma, vale a dire dei microsatelliti,
che dipende dall'intensità con cui il Dna riemette fotoni dopo
la sollecitazione del laser. Tale intensità dipende a sua volta
dal numero di molecole di Dna colpite dal laser, più molecole
di Dna si troveranno sotto il laser in un dato istante, più alto
sarà il picco di riemissione.
La prova è stata considerata correttamente eseguita in
quanto lo standard e i campioni hanno presentato tutti i picchi
dei microsatelliti attesi, fino alla concentrazione di 0,1% di
presenza.
In conclusione, i dati ottenuti dimostrano che l'utilizzo di
metodiche analitiche biomolecolari (Short Tandem Repeats)
si presta ad essere uno strumento di controllo affidabile per la
verifica del sistema di tracciabilità in ogni fase della filiera
produttiva, con possibili vantaggi per tutte le figure coinvolte
nella
produzione,
commercializzazione,
distribuzione,
somministrazione e controllo delle carni, in particolare modo
quelle bufaline.
Inoltre, la tecnica analitica innovativa quale l’analisi
microsatellitare, offre la possibilità di ulteriori applicazioni, non
strettamente collegate al controllo delle carni, ma anche alla
tracciabilità degli animali, la loro identificazione, e, più in
generale, alle gestione e controllo delle problematiche di
sanità pubblica veterinaria nel settore zootecnico.
150 bp
1 2 34
Fig.1 Elettroforesi su gel di agarosio dei campioni di carne
bovina 100% (lane 1) e bovina 1% (lane 2); bufalina 100%
(lane 3) e bufalina 1% (lane 4).
Fig.2 - Elettroferogramma che mostra la lettura del bufalo in
concentranzione dello 0.1%
Fig.3- Elettroferogramma che mostra la lettura del bovino in
concentranzione dello 0.1%
BIBLIOGRAFIA
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approach
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identification
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Minneapolis ISAG 002 103.
Tab.1 Sequenze primers PCR
5’-CACAATCCAGAACTGACAC-3’
3’-CATTTTGTTTCTCAAGGGGTG-3’
Specie
bovina
bovina
Tab.2 Sequenze primers PCR
5’-GGCATATACTACGGATCATATACC-3’
5’-AATTCATTCAACCAGACTTGTACCA-3’.
Specie
bufalina
bufalina
147
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
1
POSITIVITA’ PER TAYLORELLA EQUIGENITALIS IN UN ALLEVAMENTO DEL VENETO
Corrò M., 1Friso S., 1Perin R., 1Qualtieri K., 1Sturaro A., 2La Greca E., 3Donati V., 3Lorenzetti S. e 3Battisti A.
1
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Laboratorio Diagnostica Clinica, Legnaro, Padova;
2
Servizi Veterinari ULSS 6 Vicenza;
Istituto Zooprofilattico Sperimentaledelle Regioni Lazio e Toscana, Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli equini, Roma
Key words: Taylorella equigenitalis, identificazione, equini
ABSTRACT
Contagious equine metritis (CEM) is a sexually transmissible
disease in horse. Generally, the clinical signs of disease in
mares are not very severe, but they could be responsible for
important economical loss in the international trade of horses.
In this study, we describe a case of Taylorella equigenitalis in
a seven-year-old Quarter Horse: it is the first case of positivity
in
an
a-symptomatic
male
in
Veneto
Region."
senza contatti diretti con gli altri animali presenti in
allevamento. I dati raccolti nel corso dell’indagine
epidemiologica e i risultati degli esami effettuati nell’ultimo
anno sugli altri animali presenti in allevamento non hanno
evidenziato problemi di ipofertilità nelle fattrici, né positività
per la presenza del microrganismo negli altri stalloni.
Come da procedura, i tamponi genitali dello stallone effettuati
da prepuzio, fossetta uretrale ed uretra peniena, sono giunti
al laboratorio in terreno di trasporto di Amies con carbone
attivo entro 48 ore dal prelievo e conservati a temperatura di
refrigerazione (4°C±3°C). Per l’esecuzione dell’esame
colturale e l’identificazione delle colonie sospette si è seguita
la procedura accreditata in uso presso l’Istituto, redatta
secondo le indicazioni del Manuale OIE (9) e i protocolli
operativi forniti dal Ministero della Salute e dal Centro di
Referenza per le Malattie degli equini presso l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana.
La semina è stata effettuata in un terreno di coltura selettivo
(CEM agar) con supplementi nutritivi ed antibiotici per inibire
in parte al crescita microbica contaminante. Le piastre sono
2
state incubate a 37°C±1°C in atmosfera arricchita con CO
(5-10%). Le letture delle piastre sono state effettuate con
cadenza giornaliera a partire dalla seconda giornata di
incubazione (prima lettura a 48 ore). L’incubazione secondo
la procedura viene protratta fino al decimo giorno in caso di
negatività.
Contemporaneamente ai campioni in esame e sullo stesso
lotto di terreno è stato seminato il ceppo di referenza
(Taylorella equigenitalis NTCC 11184), sia per garantire la
produttività del terreno utilizzato e verificare le condizioni di
crescita in atmosfera modificata, sia per confrontare le
caratteristiche morfologiche delle colonie batteriche.
La presenza di colonie sospette già evidente a 48 ore anche
se di dimensioni molto piccole, si sono potute apprezzate
chiaramente dopo il terzo giorno di incubazione: forma
rotondeggiante, bordi regolari, superficie liscia ed opaca di
colore grigio-giallastro, tendente al marrone. Dalle colonie
sospette si sono preparate impronte su vetrino per la
colorazione di Gram: Taylorella equigenitalis al microscopio si
presenta come un coccobacillo gram negativo di piccole
dimensioni (fino a 6 micron), con tendenza al pleomorfismo.
Si sono inoltre effettuate subcolture in agar sangue per
l’allestimento delle prove biochimiche e sierologiche. Le
principali caratteristiche di Taylorella equigenitalis sono
riportate nella tabella 1(7).
INTRODUZIONE
Taylorella equigenitalis è l’agente eziologico della metrite
contagiosa equina (CEM), malattia contagiosa a trasmissione
venerea responsabile di endometrite nella cavalla associata
ad infiammazione di cervice e vagina con scolo mucopurulento di varia entità ed infertilità transitoria. Nella
femmina la malattia con sintomatologia conclamata è,
tuttavia, un evento raro grazie ai controlli sanitari effettuati sui
riproduttori maschi e al miglioramento delle condizioni
igienico-sanitarie di allevamento.
Il maschio è il principale responsabile della trasmissione del
patogeno. Ospita il microrganismo a livello genitale in
assenza di sintomatologia clinica e la presenza di
un’abbondante flora microbica saprofita nelle vie genitali
esterne, contribuisce ulteriormente a celare la presenza del
microrganismo se presente in bassa carica (2,3,4,6).
Il genere Taylorella comprende attualmente due specie: T.
equigenitalis segnalata per la prima volta da Taylor et al. nel
1978 come Haemophilus equigenitalis e successivamente
collocata nell’attuale genere (Sugimoto et al. 1983) (8) e T.
asinigenitalis isolata per la prima volta nel 2001 da un asino
in assenza di sintomi clinici (5). Le due specie sono molto
simili dal punto di vista colturale e biochimico tanto che per la
loro differenziazione si ricorre a metodiche di biologia
molecolare. Di quest’ultima specie non sono ancora
completamente noti caratteristiche epidemiologiche ed
eventuale ruolo patogeno per l’equino (1).
Il laboratorio di Diagnostica Clinica dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale delle Venezie effettua in media 400 esami/anno
su tamponi prepuziali e uretrali di cavallo per la ricerca di
Taylorella equigenitalis nell’ambito delle indagini previste per
l’approvazione degli stalloni alla monta ed altrettanti esami
batteriologici da tamponi uterini effettuati da fattrici con
problemi di ipofertilità inviati dai veterinari che lavorano sul
territorio. I controlli riguardano gli allevamenti con animali
riproduttori e le stazioni di monta dislocati nel Triveneto
(Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). Tutti i
campioni sono sempre risultati negativi per la ricerca di
Taylorella equigenitalis, fino ad ottobre 2007 quando il
microrganismo è stato isolato dai tamponi prepuziali ed
uretrali di uno stallone sottoposto ad esame per l’iter di
approvazione alla monta. Si tratta del primo isolamento
segnalato nel Veneto.
Tabella 1: principali caratteristiche colturali e biochimiche di
T. equigenitalis.
Colorazione di Gram
Crescita 37°±1°C , 5-10% CO2
Crescita 37°±1°C in aerobiosi
Catalasi (sol. 3%H2O2)
Ossidasi (Bactident Oxidase-Merk)
Fosfatasi alcalina
Agglutinazione rapida Monotayl- Bionor
MATERIALE E METODI
L’animale risultato positivo, un Quarter Horse di sette anni
originario degli Stati Uniti, era stato acquistato per la
produzione di seme, ma non ancora utilizzato per tale scopo
perché in attesa degli accertamenti veterinari necessari.
Considerata la particolare attività cui l’animale era destinato,
fin dal suo arrivo era stato allevato in box e paddock separati
148
Gram negativi
positiva
negativa
positiva
positiva
positiva
positiva
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RISULTATI
Il ceppo batterico isolato, presuntivamente identificato come
T. equigenitalis, è stato inviato al Centro di Referenza
Nazionale per le Malattie degli equidi (CeRME) per la
conferma. L’identificazione formale del microrganismo non è
infatti ottenibile con metodi fenotipici né con metodi
sierologici. Per l’identificazione definitiva dell’isolato il Centro
di Referenza Nazionale ha effettuato le prove fenotipiche
previste dallo Standard OIE (9) ed inoltre prove molecolari di
consenso
internazionale
che
oltre
a
confermare
l’appartenenza del microrganismo al Genere Taylorella, sono
in grado di distinguere Taylorella equigentitalis da Taylorella
asinigenitalis.
A seguito della segnalazione di positività all’ASL di
competenza lo stallone è stato sottoposto a terapia locale e
sistemica secondo le indicazioni fornite dal Centro di
Referenza Nazionale.
I tamponi genitali sono stati ripetuti più volte nel corso dei
mesi successivi dopo ogni ciclo terapeutico e rispettando i
tempi di sospensione necessari. Inizialmente si è avuta la
negativizzazione dei soli tamponi prepuziali e persistenza del
microrganismo in quelli effettuati a livello di uretra e fossetta
uretrale: I° controllo effettuato dopo circa 2 mesi dall’
isolamento del patogeno e i successivi rispettivamente dopo
15 e 30 giorni. In realtà i primi interventi terapeutici non sono
stati applicati correttamente fin dall’inizio. In mancanza di
indicazioni precise è stata effettuata inizialmente solo la
terapia locale: lavaggio dei genitali con sapone al 2% di
clorexidina ed applicazione di pomata a base di
nitrofurazone, che si è rivelata insufficiente per eliminare il
microrganismo. Successivamente, grazie alle indicazioni
fornite dal Centro di Referenza Nazionale, si è associata la
terapia per via generale con la somministrazione di
ampicillina, sulfamidici e trimethoprim per almeno nove giorni
consecutivi. Il veterinario che segue l’animale, nel frattempo
trasferito in una clinica per essere seguito più
adeguatamente, ha riferito che i tamponi analizzati presso
l’IZS competente per territorio si sono negativizzati solo dopo
cinque mesi con la ripetizione di due cicli di terapia combinata
locale e generale.
inconvenienti a livello di scambi internazionali, con
conseguenze di tipo economico
(costi per terapia e
mantenimento dei soggetti positivi, interruzione per lunghi
periodi dell’attività riproduttiva, contenziosi per positività
rilevate in altri Paesi in cavalli espatriati, ecc.) a cui si
aggiunge il rischio di creare situazioni di endemicità per la
presenza di soggetti portatori asintomatici sul territorio
nazionale. Attualmente infatti la positività a Taylorella
equigenitalis non è soggetta a denuncia obbligatoria sul
territorio nazionale, a differenza di quanto avviene in altri
Paesi (3,4), nonostante gli accurati controlli sanitari richiesti e
le restrizioni imposte a livello internazionale in quanto
malattia compresa nell’ex Lista B OIE.
A tale proposito, nel corso del 2007 e del 2008 il Centro di
Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini ha potuto
confermare la presenza di T. equigenitalis in 7 stalloni
nazionali, isolata e presuntivamente identificata presso i
laboratori ufficiali degli IIZZSS.
E’ molto sentita da parte dei veterinari che si occupano di
equini e degli addetti al settore la necessità di avere, oltre a
protocolli di screening e di terapia per l’eradicazione
dell’infezione dai soggetti positivi, anche chiare disposizioni
normative
a
livello
nazionale.
Tali
disposizioni
consentirebbero la segnalazione ufficiale all’autorità sanitaria
dei
soggetti
positivi,
l’espletamento
dell’indagine
epidemiologica (incluso tracing back), la corretta ed univoca
applicazione delle misure igienico-sanitarie per i soggetti
positivi o sospetti: in definitiva, un’adeguata gestione della
sorveglianza e del controllo della malattia secondo gli
standard sanitari internazionali.
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Animals OIE 2008, Parte Seconda, Sezione 2.5, Capitolo
2.5.2. (WEB version).
DISCUSSIONE/CONCLUSIONI
L’esperienza maturata in questa occasione ha permesso di
ribadire l’importanza fondamentale, per l’isolamento di
Taylorella equigenitalis, dell’applicazione di corrette modalità
di prelievo e di conservazione dei campioni fino all’arrivo al
laboratorio. In particolare la necessità di inviare i tamponi in
idonei terreni di trasporto e di farli pervenire al laboratorio
entro massimo 48 ore dal prelievo. Taylorella equigenitalis è
infatti particolarmente sensibile all’azione degli UV, inoltre
una scorretta conservazione del campione favorisce la
proliferazione della flora microbica saprofita, particolarmente
abbondante a livello di genitali esterni, che può
compromettere il successivo isolamento del microrganismo,
caratterizzato da crescita lenta nei terreni di coltura.
La corretta distribuzione dell’inoculo e l’utilizzo di specifici
terreni di coltura (9), garantiscono un’azione eugonizzante
per l’agente patogeno e una migliore azione inibente del
terreno contro la flora microbica contaminante durante i primi
giorni di incubazione, permettendo in questo modo di rilevare
la presenza del microrganismo anche se presente in bassa
carica.
Si è potuto inoltre constatare la difficoltà di aggredire ed
eliminare il microrganismo dalle vie genitali esterne nei
soggetti portatori qualora non vengano applicati in modo
corretto i protocolli terapeutici necessari.
Sebbene la manifestazione clinica attualmente più frequente
nelle fattrici non sia particolarmente severa, la colonizzazione
e l’infezione negli equini crea comunque notevoli
149
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
LA PREPARAZIONE DEI LABORATORI DIAGNOSTICI IN CASO DI EMERGENZE VETERINARIE
1
Dalla Pozza M. 1, Ceolin C. 1, Marangon S. 2
Centro Regionale di Epidemiologia Veterinaria (CREV) – Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)
Key words: Veterinary emergency - Laboratory contingency planning
Summary
In order to adequately and efficiently handle outbreaks of
contagious diseases competent veterinary authorities,
including veterinary laboratories, have to be well prepared
and should have functioning contingency plans available.
Laboratory contingency planning (LCP) is designed to
mitigate the risk of system breakdown and service
unavailability in case of a crises. It is a means to ensure that
the laboratory is able to operate effectively and without
excessive interruption or delay during an emergency
situation. Furthermore it allows a laboratory to guarantee that
the necessary quality standards will also be met in a crises
and serves as a reference manual to all the (laboratory)
personnel. This paper describes the methodology adopted by
the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie in order
to prepare a LCP and the preliminary results related to the
implementation of procedures
to support competent
veterinary authority at farm level for the clinical – anatomopathological and diagnostic approach in case of an OIE listed
disease.
valutate le basi normative e procedurali di supporto per la
stesura del piano ed in particolare i piani di emergenza
nazionali sulle malattie infettive e diffusive, le linee
guida/piani
di
intervento
approvati
da
organismi
nazionali/internazionali (Ministero Salute/UE/OIE); il sistema
qualità dell’IZSVE; il sistema informativo per la trasmissione
periodica dei dati fra le componenti del Sistema Sanitario
Nazionale (SSN) coinvolte nella gestione di un emergenza
epidemica. Per la realizzazione del PEL è stato predisposto
uno studio di fattibilità rappresentato da uno schema
operativo per l’individuazione delle aree di intervento, delle
risorse e delle procedure da adottare per ottimizzare la
risposta dell’IZSVE a situazioni di emergenza, con il fine
ultimo di garantire una diagnosi rapida ed un supporto
efficiente all’utenza sia da un punto di vista diagnostico che
epidemiologico. Lo studio di fattibilità è stato delineato per la
gestione, in via prioritaria, di emergenze epidemiche. E’
prevista dallo studio una preliminare valutazione degli assetti
organizzativi, delle dotazioni e delle procedure dell’IZSVE in
situazioni di normalità per stimare le risorse necessarie in
situazione di
“crisi” (personale, attrezzature, materiali,
approvvigionamento reagenti, protocolli operativi, training).
Una volta valutato lo stato dell’arte e stimate le risorse
supplementari necessarie in situazioni di emergenza, deve
essere programmata l’attuazione di procedure ad hoc per la
gestione delle attività in emergenza, sotto i profili
organizzativo (personale coinvolto), infrastrutturale (spazi,
attrezzature, materiali),
procedurale (protocolli operativi
specifici per le diverse situazioni di emergenza) e informativo.
1. Introduzione
Le emergenze veterinarie sono
situazioni che
compromettono la sicurezza e la salute degli animali e dei
loro prodotti lungo tutta la filiera alimentare. Le risposte in tali
situazioni dipendono dall’organizzazione dei servizi veterinari,
ai diversi livelli, in tempo di pace. Prerequisito essenziale per
intervenire in modo efficace è la predisposizione dei piani di
emergenza, previsti dalle normative comunitarie che
regolamentano l’eradicazione delle malattie infettive e
diffusive quali ad esempio le pesti suine e l’influenza aviaria
(1). Detti piani prevedono l’acquisizione di informazioni
dettagliate sul patrimonio zootecnico, sulle risorse disponibili
per affrontare un’emergenza,
la stesura di procedure
operative per la gestione delle emergenze e la preparazione
dei servizi veterinari ad intervenire in modo tempestivo ed
efficace. I laboratori diagnostici costituiscono parte integrante
del sistema di intervento in caso di emergenza. E’ quindi
essenziale individuare, anche per essi, le strategie
organizzative ed operative per permettere che il servizio
diagnostico venga garantito in modo efficiente anche in tali
situazioni, che possono richiedere uno spiegamento di
risorse umane e materiali al di sopra dei normali livelli
d’intervento (2). Ad oggi sono disponibili a livello
internazionale poche informazioni circa le modalità di
preparazione dei piani di emergenza per i laboratori. Scopo
del presente lavoro è quello di illustrare l’approccio operativo
adottato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle
Venezie (IZSVE) per l’implementazione di un Piano di
Emergenza di Laboratorio (PEL) ed i risultati preliminari
raggiunti, che riguardano la predisposizione di procedure a
supporto dei servizi veterinari territoriali sul campo, per un
corretto approccio diagnostico per la conferma di un sospetto
di malattia infettiva e diffusiva.
3. Risultati
Fra le attività realizzate in via prioritaria nell’ambito del PEL
sono state individuate le risorse materiali e procedurali
necessarie per garantire un efficiente supporto diagnostico ed
epidemiologico di campo ai servizi veterinari delle Aziende
Sanitarie Locali (ASL), in caso di sospetto di malattie infettive
e diffusive, come previsto dalle vigenti normative
sull’eradicazione delle stesse. E’ stato pertanto fornito a tutte
le sedi periferiche dell’IZSVE ed alla sede centrale un kit di
pronto intervento per l’esecuzione dell’indagine clinica e il
prelievo di idonei campioni. E’ stato inoltre elaborato un
manuale di pronto intervento contenente le procedure da
adottare sul campo in caso di malattie della lista OIE (Afta
Epizootica, Malattia vescicolare del suino, Pesti Suine,
Influenza Aviaria, Malattia di Newcastle, Blue Tongue, West
Nile Disease). Tale manuale comprende, per ciascuna di
esse, una descrizione delle caratteristiche generali della
malattia e delle forme cliniche (con materiale fotografico su
supporto digitale); la descrizione dell’approccio diagnostico
(modalità
di
campionamento,
confezionamento
e
conservazione dei campioni e gli accertamenti diagnostici da
effettuare); il sistema informativo (modulistica ufficiale da
utilizzare nelle diverse situazioni e modalità di trasferimento
dei dati ); i flussi informativi fra laboratori all’interno dell’IZSVE
e di quelli fra IZSVE e i Centri di Referenza nazionali per la
conferma di diagnosi. Inoltre ricomprende i riferimenti
normativi e gli adempimenti degli Istituti Zooprofilattici nelle
fasi di sospetto e conferma di malattia infettiva e un elenco
dei contatti utili (numeri telefonici ASL, IIZZSS, Centri di
Referenza) di cui disporre in caso di emergenza.
2. Materiali e metodi
E’ stato preliminarmente creato un gruppo di lavoro con la
finalità di esaminare le esperienze pregresse in cui l’IZSVE è
stato coinvolto nella gestione di situazioni di emergenza ed
individuare le priorità operative per la stesura del PEL. Con
riferimento alla gestione di emergenze epidemiche sono state
150
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
nell’esecuzione di sopralluoghi in caso di sospetta malattia
infettiva e diffusiva, per l’esecuzione del campionamento e
della diagnosi. Le procedure predisposte per la gestione delle
principali malattie infettive e diffusive hanno tenuto in
considerazione gli adempimenti previsti dalle rispettive
normative di riferimento oltre che dai manuali operativi redatti
dai relativi centri di referenza nazionali, sia in relazione alle
attività da svolgere che alla gestione del sistema informativo.
L’adozione di tali procedure, supportata dall’attività di
formazione effettuata sul loro utilizzo, unitamente alla messa
in atto del servizio di pronta disponibilità nei giorni festivi e
prefestivi, dovrebbero garantire un efficiente supporto ai
servizi veterinari ufficiali delle ASL e migliorate il flusso
informativo all'interno dell'istituto e fra lo stesso ed i Centri di
referenza Nazionali e le altre componenti del SSN in caso di
emergenza. Ulteriori attività programmate nell’ambito della
realizzazione del PEL riguarderanno, per ogni malattia
infettiva, la predisposizione di un documento di analisi delle
diverse fasi dell’ intervento, delle strutture IZSVE coinvolte sia
da un punto di vista diagnostico che epidemiologico,
identificando in quali fasi dell’emergenza entrano in attività.
Per ciascuna di esse quali sono le prestazioni richieste e
conseguentemente quali possono essere le procedure da
elaborare in risposta all’emergenza nelle sue fasi e rispetto a
possibili diversi scenari. Fondamentale sarà inoltre la messa
a punto di procedure di mobilità del personale fra laboratori
dell’IZSVE e di pronta disponibilità al servizio in orario
extranormale, oltre quelle di acquisizione di materiali
/reagenti in situazioni di emergenza. La formazione del
personale e la pianificazione di esercizi di simulazione di
laboratorio finalizzati a testare il sistema organizzativo
costituiranno parte integrante della realizzazione del piano.
Con l’obiettivo di garantire il necessario supporto tecnicoscientifico e diagnostico all’utenza dell’IZSVE in caso di
eventi improvvisi è stato inoltre istituito un servizio di pronta
disponibilità anche durante i giorni festivi e prefestivi, che
coinvolge il personale dirigente sanitario e veterinario.
Sono inoltre stati realizzati specifici percorsi di aggiornamento
sulla gestione delle emergenze epidemiche e sulle procedure
sopradescritte.
4. Discussione
La possibilità di successo nell’eradicazione di una
malattia infettiva e diffusiva è legata alla rapidità di intervento
e conseguentemente alla realizzazione di una diagnosi
precoce. I laboratori diagnostici devono quindi dotarsi di piani
d’intervento finalizzati a garantire un tempestivo supporto
tecnico-scientifico e
diagnostico nelle prime fasi di
un’epidemia e ad evitare un possibile tracollo del sistema
organizzativo in situazioni di crisi, che può comportare un
ritardo nella diagnosi e una ridotta attendibilità dei risultati. Il
PEL costituisce un mezzo per garantire di operare in modo
efficiente e senza ritardi, oltre secondo standard qualitativi
anche in situazioni di crisi (3). Deve comprendere
informazioni precise sulla catena di comando all’interno del
laboratorio in relazione alla gestione dei campioni (dal
momento della consegna alla loro processazione) e alla
comunicazione dei risultati analitici ed epidemiologici; inoltre
precise procedure operative da adottare da parte degli
operatori (veterinari, personale tecnico ed amministrativo)
nelle diverse fasi di intervento, con descrizione precisa dei
compiti ai diversi livelli. Le priorità di intervento individuate
per la predisposizione del PEL dell'’IZSVE hanno riguardato il
supporto operativo sul campo ai veterinari ufficiali
Bibliografia
1)OIE, 2007: OIE web site. World animal health situation –
Disease Emergency Preparedness.
http://www.oie.int/eng/info/en_prepaurgence.htm?eld5.
2) De Smit A.J., Eble P.L., de Kluijver E.P., Bloemraad M. &
Bouma A. (1999). – Laboratory decision-making during the
classical swine fever epidemic of 1997-1998 in
the Netherlands. Prev. vet. Med., 42 (3-4), 185-199.
3)Koenen F., Uttenthal Å. & Meindl-Böhmer A. 2007. Real-time
laboratory exercises to test contingency plans for classical swine
fever:experiences from two national laboratories. Rev. sci. tech.
Off. Int. Epiz. 2007, 26 3, 629-638
151
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
METODI DIAGNOSTICI E SUSCETTIBILITÀ GENETICA NELLA PARATUBERCOLOSI DEGLI OVINI
De Grossi L. 1, Gelli A. 1, Pifferi A. 1, Giordani F. 1, De Sanctis B. 2, Scorsino G. 3, , Pariset L. 3, Sezzi E.
1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana; Professional;
3
Dipartimento di Produzioni Animali, Università della Tuscia, Viterbo
Keywords: Paratuberculosis, sheep, genes.
Summary:
In this study are compared different diagnostic tests about Paratuberculosis in sheep and are searched the polymorphisms in
NRAMP1 AND CARD15/NOD2 genes that could be associated whith the development of paratuberculosis. The results suggest
that: on milk shows a sensitivity lower then ; PCR analysis shows a lower sensitivity then Elisa on serum. No significant
associations are found between SNPs in CARD15 gene.
INTRODUZIONE
Molti aspetti dell’infezione causata da M. paratuberculosis
sono simili nelle varie specie di ruminanti , ma le
performances e le interpretazioni dei test diagnostici
possono differire tra specie diverse, come bovino , ovino e
caprino. Inoltre restano ancora da approfondire gli aspetti
relativi alla genetica per ciò che riguarda la
suscettibilità/resistenza a questa malattia. I Mycobacteri
sono stati
comunemente ritrovati sia nel suolo che
nell’acqua, questa ubiquità, rapportata con la relativamente
bassa prevalenza della malattia, fa pensare che ci siano dei
fattori determinanti o predisponenti nei confronti della
paratubercolosi, come i fattori genetici.
Due, tra i geni studiati, sembra che abbiano una maggiore
influenza per la suscettibilità ai Mycobacteri in molte specie
incluso topo e uomo, NRAMP1 e CARD15/NOD2 .
Tabella 2. ELISA:
allevamenti
1
2
3
4
Milk vs. Serum
+ ELISAverification
+ ELISAmilk
20
41
2
27
8
22
2
6
%+ milk vs. + serum
40%
54%
100%
22%
90
38
42%
Totali e medie
PCR
Sono state raccolte feci dalle pecore positive e analizzate
tramite PCR utilizzando la specifica sequenza d’inserzione
IS900 seguendo il protocollo indicato. L’estrazione è stata
eseguita tramite Qiamp DNA minikit ( Qiagen) in accordo al
protocollo indicato. I risultati sono riportati in Tab.3
Perciò gli autori si prefiggono due obiettivi:
1) Comparare differenti tests diagnostici negli ovini;
2) Identificare polimorfismi nei geni NRAMP1 e
CARD15/NOD2 degli ovini che potrebbero essere
associati con lo sviluppo della paratubercolosi.
Tabella 3.
MATERIALI E METODI
allevamenti
PCRvs. ELISA
+ELISA
+PCR
%PCRvs. ELISA
Dati Sierologici
1
20
4
20%
2
41
7
17%
Sono stati analizzati 1720 capi adulti di pecora di razza
sarda provenienti da 4 allevamenti tramite il test ELISA,
prima effettuando uno screening ( Tab. 1) e poi il
verification sui sieri e sul latte dei capi positivi per
confermare i risultati( Tab 2).
E’ stato usato un kit
commerciale (Institut Pourquier)
3
2
0
0%
4
27
2
7%
90
13
14%
Tabella1. SieroELISAtest :
allevamenti
1
2
3
4
Totali
e
medie
ANALISI GENETICHE
Analisi genetiche sono state condotte su 31 pecore (18 infette
and 13 sane), ricercando, con metodi standard polimorfismi
collegati alla suscettibilità o predisposizione genetica alla
paratuberculosi negli ovini. I primers per sequenziale CARD
15, non pubblicato sugli ovini, è stato disegnato sulla base
delle sequenze disponibili in GenBank do Bos Taurus E’ Stato
sequenziato esone 1 (901 pb) ed esone 2 (486bp) di
NRAMP1 e non è risultato nessuno SNPs.
Nel CARD 15 è stato sequenziato esone 1 (270bp), esone 2
(500 bp) , esone 3 (235 bp), esone 4 (2000 pb), esone
11(120 pb) e introne 1-2 (1008 pb) introne 5-6 (300 pb) e il
promotore della regione (541 pb). Gli esoni 1, 2 e 11 erano
monomorfici come anche l’ introne 1-2.
ScreeningeVerification
Totali pecore +screening
502
33
703
86
286
7
229
41
1720
Totali
e
medie
167
+verification %verif. Vs. screen %Pos.
20
60%
3.9%
41
47%
5.8%
2
28%
0.7%
27
65%
11.0%
90
54%
5.2%
152
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Tabella4
Gene
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dati sierologici
Resultatidelleanalisi genetiche
Esone
monomorfico
NRAMP1
1-2
CARD15
1-2-3
Introne
monomorfico
Esone
Polimorfico
1-2
Introne
Polimorfico
4
Dai nostri risultati la sieroprevalenza nei greggi andava dal
0,7% to 11% con una media di 5,23. Il 54% degli animali
sieropositivi
erano positivi anche all’ ELISA sul latte,
mostrando una sensibilità molto bassa della prova, dato che
la sensibilità del test ELISA sul siero si attesta intorno al 45%.
Gli individui che mostravano un più alto valore di S/P erano
più frequentemente positivi a d entrambi I test. Questo
conferma che il valore S/P Elisa è un utile strumento nella
diagnosi e controllo della paratuberculosi, particolarmente nei
casi subclinici. Il test ELISA nel latte può essere usato solo
per cercare la presenza dell’infezione in un allevamento, da
campioni individuali.
PCR feci
Le analisi delle feci in PCR hanno confermato come positivi
solo l’14% dei campioni . Questa bassa sensibilità può essere
dovuta al recupero di una scarsa quantità di DNA,
specialmente in campioni complessi come le feci, al metodo
d’estrazione , alla presenza di low shedding o alla presenza
di costituenti fecali inibitori della PCR.
Aspetti genetici
La sequenza dell’esone 4 e dell’esone 2 sono state
pubblicate nel database Gene Bank (Number of accession
EF141018).
Esone 1 ed esone 2 di NRAMP1 e esone 1, 2 e introne 1, 2
di CARD 15 erano monomorfiche alle analisi eseguite.
Esone 4 e introne 5, 6 risultarono polimorfiche mostrando
diverse frequenze stimate.
I dati sono stati analizzati con il test Ȥ2.
Fino ad ora non sono state trovate associazioni significative
tra le variazione nel CARD15 e lo stato di malattia. Ulteriori
studi sono necessari per investigare su una più larga corte di
animali infetti e controlli.
5-6
Tabella 5 SNPs and Frequenze in esone 4 di CARD15
Alleli
C
C/T
T
Frequenza
Controlli
9
2
1
39%
Infetti
10
7
2
61%
Frequenza
61%
29%
10%
P-value
Contingency coefficient
Chi-square
DF
0.43
0.23
1.668
2
Tabella6 SNPs e Frequenze nell’ introne 5-6 di CARD1
Alleli
A
A/G
G
Frequenza
P-value
Contingencycoefficient
Chi-square
DF
Controlli
2
7
2
37%
Infetti
8
9
2
63%
Frequenza
33%
53%
14%
0.40
0.24
1.848
2
Bibliografia
Bartels, C.J. van Maanen,C., van der Meulen, A.M.,Dijkstra,T.,Wouda, W.,2005. Evaluation of three enzyme-linked immunosorbent assays for
detectin to Neospora caninum in bulk milk. Vet. Parasitol. 131, 235-246
Beyerbach, M., Ortmann, G., Gerlach, G.F., Homuth, M., Strutzberg, K., Kreienbrock, L., 2004-Considerations concerning diagnostic certainties
and cut-off values for a bulk milk ELISA for Mycobacterium avium ssp. Paratuberculosis. Dtsch. Tierarztl.Wochenschr. 111, 220-225.
Hardin, L.E., Thorne, J.G.,1996. Comparison of milk with serum ELISA for the detection of paeatuberculosis in dairy cows. J. Am. Vet. Med.
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Clarke, C.J., patterson, I.A., Armstrong, k.E., low, J.C., 1996. Comparison of the absorbed ELISA and agar gel immunodiffusion test with
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Perez, V., tellechea, J., badiola, J.J., Gutierrez, M., Garcia Marin, J.F., 1997. Relation between phatologic findings in sheep with naturally
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Kristen H. Taylor, jeremy F. Taylor, Stephen N. White, James E. Womack.,2006 – Identification of genetic variation and putative regulatory
regions in bovine CARD15.Mamm Genome 17, 892-901.
Neema P. Mayor, Bronwen E. Shaw, Satish Keshav, J. Alejandro Madrigal, Steven G.E. Marsh., 2007- A novel technique for NOD2/CARD
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Leonardo A. Sechi, Maria Gazouli, John Ikonomopoulos, John C. Lukas, Antonio M. Scanu, Niyaz Ahmed, Giovanni Fadda, and Stefania
Zanetti., 2005 - Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, Genetic Susceptibility to Crohn's Disease, and Sardinians: the Way Ahead
J Clin Microbiol. 43(10): 527–5277
153
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
CARATTERIZZAZIONE BIOCHIMICA DI CEPPI DI PAENIBACILLUS LARVAE ISOLATI DALL’IZS-LT
MEDIANTE API® 50CH
Dell’Aira E, Milito M, Tomassetti F, Bragagnolo A,
Saccares S, Formato G
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma
Paenibacillus larvae, API® 50 CH, caratterizzazione
Summary
Paenibacillus larvae is the etiological agent of American
foulbrood (AFB), the most serius and widespread bacterial
disease in the honey bee (Apis mellifera L). The infection
affects the larval stage and is easily transmitted through
the resistant spores of the bacterium (3).
Nineteen strains of Paenibacillus larvae isolated by Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e
Toscana (IZSLT) have been biochemically characterized
with API® 50CH system.
All the 19 assayed strains (100%) were: catalase
negative, showed idrolysis of gelatine and negative
reaction with galactose and with salicine. Eighteen (95%)
of the stains showed positive reaction with D-glucose and
with N-acetylglucosamine, while showed negative reaction
with: D-fructose, D-tagatose, D-maltose, D-sucrose and
potassium gluconate. Seventeen (89%) of the strains
showed positive reaction with nitrate, trehalose and
glycerol. Variable results were observed with D-mannose
(68% of negative reaction), ribose (63% positive) and 5ketogluconate (58% negative).
Risultati e discussione
I risultati sono riportati nella tabella 1.
Tutti (100%) i 19 ceppi testati sono risultati catalasi
negativi, hanno manifestato capacità di dare idrolisi della
gelatina e non hanno reagito nè con il galattosio, nè con
la salicina. Diciotto (95%) sui 19 ceppi testati hanno
reagito positivamente (con produzione di acido) nei
confronti del D-glucosio e della N-acetillglucosamina,
mentre hanno manifestato reazione negativa nei confronti
del: D-fruttosio, D-tagatosio, D-maltosio, D-saccarosio e
del gluconato di potassio. Diciassette (89%) ceppi hanno
ridotto i nitrati a nitriti ed hanno reagito positivamente con
il trealosio ed il glicerolo. Variabili, infine, le reazioni nei
confronti del D-mannosio (68% negative), del ribosio
(63% positive) e del 5-ketogluconato (58% negative).
Nessun ceppo, in accordo a quanto riportato dalla
bibliografia esistente è stato in grado di acidificare lo
xilosio (4, 9), né il mannitolo (2, 4).
A tutt’oggi il sistema API® 50CH si rivela uno strumento
utile nel caratterizzare dal punto di vista biochimico i
diversi diversi ceppi di Paenibacillus larvae; tale
strumento, inoltre, come rivela questo lavoro, potrebbe
essere oggetto di ulteriori studi rispetto alle possibili
risposte che possono essere fornite dai diversi ceppi
dell’agente responsabile della peste americana delle api.
Introduzione
Il Paenibacillus larvae è l’agente eziologico responsabile
della peste americana, la più grave e diffusa patologia
batterica dell’ape mellifera (Apis mellifera L.).
L’infezione interessa gli stadi larvali dell’ape e viene
facilmente trasmessa attraverso le spore del batterio (5).
Nel presente lavoro sono stati caratterizzati dal punto di
vista biochimico, utilizzando il sistema API® 50CH, 19
ceppi batterici di Paenibacillus larvae provenienti da
diversi focolai di peste (tabella 1).
Riferimenti bibliografici
1.
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the causative agent of American foulbrood of honey-bees.
First record of its occurrence in Argentina. Revista Argentina
de Microbiologia 24 (2), 67-72.
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Bacillus larvae and decrease of its proteolytic activity on
glucose media. Natl Inst Anim Health Q 5, 138-145.
3. Bailey L, Ball BV (1991). Honey Bee Pathology. Academic
Press, London, UK
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API 50CHB system for the identification and biochemical
characterization of Bacillus larvae. Apidologie 26, 11-16.
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M, Grecorc A, Hornitzky M, Pernal S.F, Schuch D.M.T.,
Titera D, Tomkies V, Ritter W (2006). Diagnosis of American
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analytical protocols. Letters in Applied Microbiology 43, 583590.
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biochimiques et la determination de la sensibilitè aux
antibiotiques des souches de Bacillus larvae White isoles
des cas de hystolysis infectiosa larvae, dans le voivodat de
Katowice. In: XXIIIe Congr Int Apic Moscow, Bucharest,
Apimondia, 476 (abstract).
7. Gordon RE, Haynes WC, Pang CHN (1973). The Genus
Bacillus – Handbook No 427. United States Department of
Agricolture, Washington DC, USA.
8. Jelinski M (1985a). Some biochiemical properties of Bacillus
larvae White. Apidologie 16, 69-76.
9. Jelinski M (1985b). An attempt at classification of various
types of Bacillus larvae White. Pszcz Zesz Nauk, XXIX, 145157 (in Polish).
10. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial
Animals. 5th edition. 2004. Section 2.9.
Materiali e metodi
Ogni ceppo batterico è stato identificato secondo le
caratteristiche biochimiche tipiche della specie (1, 4) e
crioconservati in criobank a –20°C.
Ciascun ceppo batterico è stato seminato in Tryptone
Soya Yeast Extract Broth (TSYEB) ed incubato in
aerobiosi per 72h a 37°C±1°C. Da ogni brodocoltura sono
stati quindi prelevati 100 ȝl che sono stati spatolati su JAgar con aggiunta di acido nalidixico (10). Le piastre
seminate sono state poste in giara ed incubate per 96h a
37°C±1°C in microaerofilia.
Le colonie di ogni ceppo batterico isolate su J-Agar con
acido nalidixico sono state riprese e messe in
sospensione nel terreno API® 50 CHB/E Medium fino ad
ottenere una opacità uguale al punto 2 Mc Farland.
La sopsensione ottenuta è stata distribuita nella galleria
API® 50 CH e messa ad incubare in termostato con
microaerofilia a 37°C ±1°C.
La lettura delle gallerie è stata effettuata dopo 48h,
considerando positive le provette in cui c’è stata
l’acidificazione del rosso fenolo (viraggio dal rosso al
giallo) ed il viraggio dal rosso al nero per il test
dell’esculina.
154
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
N°
criobank
IZSLT
Provenienza
21
24
31
Viterbo
Frosinone
Roma
72
98
119
135
137
164
167
171
173
178
179
180
181
155
28
174
Acquapendente
(VT)
Roma
Viterbo
Roma
Roma
Scandriglia
(RI)
La Storta (RM)
S. Marinella
(RM)
Viterbo
Pomezia (RM)
S. Lorenzo
Nuovo (VT)
Viterbo
Str. Certosa
(SI)
Alberobello
(Ba)
Mecho
(Argentina)
Gent (Belgio)
Glycerol Ribose Galactose
D-Glucose
ND-Fructose D-Mannose Acetylglucos Salicin Trehalose D-Tagatose 5-Ketogluconate Nitrate Gelatin D-maltose D-Sucrose
amine
Potassium
gluconate
pos
pos
pos
pos
neg
pos
neg
neg
neg
pos
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Neg
Pos
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neg
neg
neg
pos
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155
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
GENI CODIFICANTI PER FATTORI DI PATOGENICITA’, ANTIBIOTICO RESISTENZA E BIOTIPIZZAZIONE DI
CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA CONIGLI DA ALLEVAMENTI INTENSIVI DEL CENTRO ITALIA
Dettori A., D’Angelo G., Grelloni, V., Mangili P.M., Maresca C., Pezzotti G. , Sebastiani C., Magistrali C. F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
Key words: E.coli, coniglio, biotipo, antibiotico-resistenza
Summary
diarrea nei conigli svezzati (Marchès O. et al, 1999). I geni
codificanti per i fattori di patogenicità (eae, AF/R1, AF/R2)
sono stati identificati mediante multiplex-PCR (Gannon et al,
1993, Penteado A.S. et al, 2002). E’ stata valutata inoltre la
sensibilità agli antimicrobici secondo quanto indicato dalle
norme CLSI M31-A2. Gli antibiotici testati sono stati i
seguenti: acido nalidixico (Na), aminosidina (An), apramicina
(Apr), colistina (Ct), enrofloxacin (Enr), flumequina (Ub),
gentamicina (Cn), kanamicina (K), neomicina (N),
sulfametossazolo+trimethoprim (Sxt), tetraciclina (Te).
Escherichia coli has been isolated from healthy and
diarrhoeic rabbits in 21 farms in central Italy. The isolates
(#111) have been biotyped and
tested for antibiotic
sensitivity. In addition, the presence of virulence genes (eae,
AF/R1, AF/R2) has been investigated through PCR. The
biotypes B30 and B28 were mostly identified (53% of the
isolates). All the strains showing the gene AF/R2 were also
positive for the eae gene demonstrating a potential
pathogenicity. On the other hand, there were no isolates with
AF/R1 gene, confirming the low frequency of these strains in
the Italian farms. No strains were colistin resistance, while
common resistance to quinolones, aminoglycosides and
sulfonamides was recorded, similarly to what described in
other intensively reared animal species.
Risultati
Il numero dei campioni positivi è stato 111 su un totale di 210
campioni testati. In 20 aziende su 21 esaminate è stato
isolato almeno un ceppo di E. coli. 2 allevamenti su 21 hanno
segnalato la comparsa di diarrea nel post-svezzamento nella
settimana precedente il campionamento.
Dei 111 ceppi di E. coli, i dati riguardanti la tipizzazione
biochimica sono stati i seguenti: il biotipo B30 è stato isolato
in 37/111 (32%); 22/111 (19%) appartenevano al biotipo B28;
7/111 (6%) a B19 e B20; 6/111 (5%) a B27; 5/111 (5%) a
B16, B18, B22, B26. 4/111 (4%) a B31; 3/111 (3%) a B23 e
1/111 (1%) a B4, B25, B29 (Grafico 1). 11 ceppi su 111
hanno fornito esito positivo con l’antisiero O 103. La
tipizzazione dei geni codificanti per i fattori di virulenza ha
evidenziato la presenza del gene AF/R2 in 19 ceppi, mentre il
gene AF/R1 non è mai stato riscontrato; il gene eae è stato
isolato in 31/111 ceppi. Tutti i 19 ceppi positivi ad AF/R2
presentavano anche il gene eae ed appartenevano ai biotipi
B30 (n=4), B28 (n=8), B22 (n=1), B20 (n=3), B16 (n=2), B4
(n=1). L’associazione tra l’appartenenza ai diversi biotipi e la
presenza di geni codificanti per i diversi fattori di patogenicità,
nonché l’antigene O103, relativamente ai biotipi rappresentati
da almeno 5 ceppi, è indicata in tabella 1. Un solo ceppo B4
ramnosio negativo è risultato essere positivo per entrambi i
geni di virulenza e per l’O103 questo ceppo è stato isolato in
un allevamento in cui non si era osservata la presenza di
diarrea nel corso della settimana precedente. In tutte e due le
aziende con anamnesi positiva per diarrea è stato isolato un
ceppo di E.coli eae e AF/R2 positivo. Per quanto riguarda la
sensibilità agli antimicrobici, i dati relativi alle percentuali di
sensibilità sono indicati in tabella 2.
Introduzione
Le enteriti sostenute da Escherichia coli sono la causa più
frequente di malattia negli allevamenti cunicoli intensivi
determinando in questi alti livelli di morbilità e mortalità. I
ceppi responsabili della malattia sono definiti REPEC (Rabbit
Enteropathogenic Escherichia coli) appartenenti al gruppo
AEEC (Attaching Effacing Escherichia coli) (Milon et al, 1999)
la cui patogenicità si esplica con l’adesione alla mucosa
intestinale dell’ileo distale e del cieco e provoca la distruzione
dei microvilli degli enterociti. Questo meccanismo è dovuto
alla presenza di un’isola di patogenicità chiamata LEE (Locus
of Enterocytes Effacement) all’interno della quale il gene eae
codifica per una proteina di membrana, l’intimina. La capacità
di aderire agli enterociti e di colonizzare l’intestino oltre che
alla produzione di intimina può essere legata anche alla
sintesi da parte di E. coli di alcune proteine come le adesine
fimbriali AF/R1-AF/R2 (Adesive Factor/Rabbit 1-2). (Dow
A.M. et al. 2004)
Scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare i ceppi
di E. coli isolati da conigli con o senza sintomatologia
enterica, individuandone così i principali biotipi, resistotipi, e
valutandone la presenza o meno dei geni responsabili della
virulenza (eae, AF/R1, AF/R2).
Materiali e metodi
Sono state campionate 21 aziende distribuite nei territori di
Umbria, Marche, Lazio e Toscana, 18 delle quali con tipologia
di allevamento a “ciclo chiuso” avendo insieme il settore
riproduttori e ingrasso e 3 con solo ingrasso.
In ciascuna azienda sono stati prelevati i tamponi rettali da 10
conigli nella fase di post-svezzamento. I tamponi sono stati
prelevati in modo casuale.
I tamponi sono stati sottoposti ad esame batteriologico per la
ricerca di E.coli mediante semina su Agar McConkey (Oxoid)
ed incubati a 37°Cr1°C overnight. Almeno una colonia da
ciascun campione è stata isolata su terreno TSA (Trypticase
Soy Agar), ed è stata caratterizzata in base a quanto
descritto da Carter et al. 1994. I ceppi isolati sono stati
biotipizzati in base allo schema di Camguilhem et Milon
(1989) e sottoposti ad agglutinazione rapida su vetrino per il
rilievo dell’antigene O103; i ceppi appartenenti a questo
sierogruppo sono infatti considerati una importante causa di
Grafico 1: numero di biotipi isolati
B31
B30
B29
B28
B27
B26
B25
B23
B22
B20
B19
B18
B17
B16
B4
0
156
10
20
30
40
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Il resistotipo più frequente è stato SXTTE (43 ceppi)
(sulfametossazolo+ trimethoprim e tetraciclina) seguito
dall’associazione apramicina, gentamicina e tetraciclina (10
ceppi) e apramicina, gentamicina. Sulfametossazolo +
trimethoprim (8 ceppi). 25 ceppi hanno evidenziato
caratteristiche di multiresistenza, ad almeno 5 antibiotici
testati. Tra questi 18 ceppi sono risultati resistenti ad almeno
un chinolone (acido nalidixico e/o enrofloxacin e/o
flumequina), un aminoglicoside (aminosidina e/o apramicina
e/o gentamicina e/o kanamicina e/o neomicina) e la
tetraciclina.
eae; inoltre in entrambi gli allevamenti che avevano
presentato diarrea nella settimana precedente al
campionamento è stato isolato un ceppo con queste
caratteristiche. Questa associazione, già osservata da altri
autori, è ritenuta infatti fortemente indicativa per l’autonoma
capacità patogena del germe (Penteado et al. 2002).
Infine, il gene codificante per AF/R1 non è stato mai
riscontrato, confermando la rarità di questa adesina fimbriale,
tipica dello stipite RDEC-1, nei ceppi di campo italiani
(Agnoletti et al 2004).
Per quanto riguarda i dati di sensibilità agli antimicrobici, essi
rilevano buoni risultati per la colistina, nei confronti della
quale la resistenza tende a insorgere lentamente. I dati
relativi a chinoloni, aminoglicosidi e sulfamidico associato a
trimethoprim sono simili a quelli riscontrate in altre specie
allevate intensivamente, e testimoniano il diffuso impiego di
queste classi di antibiotici nella pratica. Questo dato viene
confermato dalla presenza di numerosi stipiti multiresistenti.
Essi sottolineano l’importanza di un monitoraggio della
resistenza agli antimicrobici in una specie considerata
‘minore’ , ma caratterizzata da un ciclo produttivo breve.
Tabella 1: Sono indicati per ogni biotipo i risultati della
ricerca dei geni eae, AF/R2 e agglutinazione per O103
n. biotipo
eae+
eae- AF/R2+ AF/R2- O103+ O103B30 (n=37)
7
30
4
33
1
36
B28 (n=22)
10
12
8
14
0
22
B19 (n=7)
B20 (n=7)
1
6
0
7
1
6
4
3
3
4
0
7
B27 (n=6)
0
6
0
6
3
3
B16 (n=5)
3
2
2
3
0
5
B18 (n=5)
0
5
0
5
2
3
B22 (n=5)
2
3
1
4
1
4
B26 (n=5)
3
2
0
5
0
5
Bibliografia
1.
2.
3.
Tabella 2: esito dei test per la valutazione della sensibilità
agli antimicrobici
antimicrobico
S
%
R
%
I
%
Ac.nalidixico
76
68.5
31
27.9
4
3.6
Aminosidina
96
86.5
12
10.8
3
2.7
Apramicina
78
70.3
31
27.9
2
1.8
109
98.2
0
0.0
2
1.8
Enrofloxacin
81
73.0
7
6.3
23
20.7
Flumequina
78
70.3
14
12.6
19
17.1
Gentamicina
74
66.7
32
28.8
5
4.5
Kanamicina
50
45.0
16
14.4
45
40.5
34
30.6
14
12.6
63
56.8
27
24.3
83
74.8
1
0.9
1
0.9
109
98.2
1
0.9
Colistina
Neomicina
Sulfametossa
zolo+
trimethoprim
Tetraciclina
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Conclusioni
I dati derivanti dalle biotipizzazioni dei ceppi di Escherichia
coli vedono la predominanza di alcuni biotipi, quali B30 e
B28, che insieme raggruppano il 53% degli isolati, e che già
altri autori hanno segnalato come prevalenti negli allevamenti
cunicoli (Agnoletti et al 2004; Penteado et al 2002). Altri
biotipi, quali il B14 e B12, ramnosio negativi, dotati di
particolari caratteristiche di patogenicità, non sono stati
rilevati nel corso della nostra indagine. E’ tuttavia importante
ricordare che il campionamento effettuato non ha interessato
esclusivamente soggetti sintomatici e quindi la frequenza dei
biotipi può differire rispetto a quanto osservato in altri lavori,
effettuati su ceppi isolati nel corso della attività diagnostica. In
effetti, l’unico ceppo ramnosio negativo isolato nel corso di
questo lavoro, appartenente a B4, è risultato positivo per tutti
i fattori di patogenicità ricercati. Nel corso di questa indagine,
tutti i ceppi positivi per AF/R2 sono risultati positivi anche per
157
Agnoletti F., Deotto S., Passera A., Tisato E., Mazzolini E.
Diagnosi di colibacillosi nelle sindromi enteriche del
coniglio. Coniglicoltura, 2004. (5) 40-41.
Quinn P.J., Carter G.R. Markey B.K., Carter G.R. Clinical
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CLSI (exNCCLS) M31-A2 “Performance standards for
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standard.
Crotti S., Grelloni V., Checcarelli S., Cucco L., Mangili P.,
Magistrali C. Messa a punto di una multiplex PCR (m-PCR)
per la ricerca dei geni di patogenicità di E. coli del coniglio.
VIII Congresso Nazionale SIDILV Perugia 9-10 novembre
2006 262-263.
Dow M.A., Tòth I., Alexa P., Davies M., Malik A., Oswald
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Res. 1999. Mar-Jun;30(2-3):203-19
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healthy rabbits in Brasil. Vet. Microbiol. 2002. 89, 41-51
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
DETERMINAZIONE TRAMITE GC/MS DI ETILENTIOUREA (ETU) IN URINE DI LAVORATORI
DI UNA AZIENDA VITIVINICOLA SICILIANA ESPOSTI A MANCOZEB
(a)
(a)
(a)
(a)
(a)
(a)
Di Noto A.M. , D’Oca M.C. , Cardamone C. , Randisi B. , Dara S. , Caracappa S. ,
(b)
(b)
(b)
Verso M.G. , Schillaci S. , Picciotto D.
(a)
(b)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, Palermo
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro” – Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Palermo
Parole chiave: ETU, mancozeb, fitofarmaci.
che è stato quindi utilizzato per la determinazione
quantitativa dell’ETU(3).
I dati ottenuti sui campioni di urina raccolti durante
l'esposizione al fungicida dimostrano un assorbimento
significativo di etilenbisditiocarbammati. Infatti, i livelli
riscontrati durante l’esposizione risultano superiori a quelli
dei campioni basali; in particolare sono stati riscontrati
valori di concentrazione urinaria di ETU compresi in un
range tra 4.12 e 54.60 μg/g di creatinina. Inoltre si è
osservato come la concentrazione urinaria di ETU fosse
maggiore per lavoratori trattoristi (valori compresi tra 12.31
e 54.60 μg/g di creatinina) rispetto ai lavoratori addetti al
rientro e all’allacciatura (valori compresi tra 4.12 e 10.39
μg/g di creatinina).
Abstract
Ethylenethiourea (ETU) is a specific metabolite of
ethylenebisdithiocarbamate (EBDC) pesticide (mancozeb);
its determination in human urine is proposed to biological
monitoring of agricultural workers exposed to EBDCs. The
aim of this work has been to set up the analytical method
suitable for determination of ETU level in human urine of
Sicilian agricultural workers exposed to mancozeb, using
the Gas-chromatography/mass spectrometry.
Introduzione
Grazie alla loro bassa tossicità acuta e al loro basso
impatto ambientale, gli erbicidi Etilenbisditiocarbamati
EBDC (mancozeb, zineb, maneb, etc) sono ampiamente
usati e un significativo numero di lavoratori sono esposti a
questi composti, sia in abito industriale che agricolo (1).
Gli EBDC possono essere assorbiti prevalentemente per
via inalatoria e cutanea ed in misura minore attraverso
l'apparato gastroenterico.
L’Etilentiourea (ETU) è il principale prodotto della
degradazione metabolica e ambientale degli EBDC ed
inoltre è presente come impurità in svariate formulazione di
questi fungicidi. Poichè l’ETU viene prevalentemente
escreta con le urine, è stata proposta come indicatore per il
monitoraggio biologico dell’esposizione ad EBDC(2)
Scopo dello studio è quello di misurare i livelli di
esposizione ad un EBDC, il mancozeb, in un gruppo di
viticoltori di un’azienda vitivinicola siciliana.
Figura 1: cromatogramma di un campione di urine, raccolto
prima dell’inizio della campagna di applicazione del
fungicida.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su 21 viticoltori. Tra i lavoratori,
11 erano trattoristi, 10 addetti al rientro e alla allacciatura.
Per ogni lavoratore è stato raccolto un campione di urine
prima dell’inizio della campagna di applicazione del
fungicida; un secondo campione è stato raccolto al mattino
del giorno di lavoro successivo all’ultima applicazione della
stagione.
Metodo analitico
L’ETU è stata estratta dai campioni di urine su colonne in
terra di diatomee (ExtrElut NT3) con diclorometano e
derivatizzata
con
N-(tert-butyldimethylsilyl)-Nmethyltrifluoroacetamide
(BSTFA)
e
terbutildimetilsililcloruro (1%)
Le soluzione standard di ETU, per la costruzione della
curva di calibrazione, sono state preparate alla
concentrazione di 50, 100, 200, 300 e 500 μg/l in urine. Le
urine per la preparazione delle soluzioni standard di ETU
fanno parte di un pool di urine di soggetti non esposti a
EBDC. L’ETU derivatizzata è stata analizzata usando un
GC/MS in modalità EI/SIM (AGILENT 5973).
Figura 2: cromatogramma di un campione di urine raccolto
il giorno dopo l’ultima applicazione stagionale del fungicida
Conclusioni
Da questo studio si evince come la GC/MS sia un valido
metodo analitico per la valutazione della concentrazione
urinaria di ETU, parametro di primaria importanza per il
monitoraggio biologico dell’esposizione professionale a
mancozeb.
Bibliografia
Risultati
In figura 1 è mostrato un cromatogramma di un campione
di urine, raccolto prima dell’inizio della campagna di
applicazione del fungicida. Al tempo di ritenzione atteso
dello standard di ETU (6.32 min) non è riscontrabile alcun
picco imputabile a tale metabolita.
In figura 2 è mostrato, invece, un tipico cromatogramma di
un campione di urine raccolto il giorno dopo l’ultima
applicazione stagionale del fungicida; al tempo di ritenzione
atteso dello standard è riscontrabile un picco imputabile
all’ETU, confermato dal relativo spettro di massa, in cui
compare il caratteristico picco della frammentazione
dell’ETU a 273 m/z, corrispondente al radicale tert-butil,
1. Maroni M., Colosio C., Ferioli A., Fait A.:Biological Monitoring of
Pesticide exposure: a rewiew. Toxicology 143 (2000) pp. 1-123
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biologico dell’esposizione professionale e non ad antiparassitari.
Ann.Ist.Super.Sanità, vol 37 n.2 (2001) pp. 159-174
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determination of urinary ethylenethiourea in humans. J.of
Chromatography B 814 (2005) pp. 251-258
158
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
DIFFUSIONE DELLA SARCOSPORIDIOSI NELLE CARNI PROVENIENTI DA SUINI E BOVINI ALLEVATI E
MACELLATI PER AUTOCONSUMO NELLA PROVINCIA DI BIELLA
1a
1a
2
2
2
3
3
3
3
3
Domenis L. , Guidetti C. , Sacchi L. , Clementi E. , Genchi M. , Felisari L. , Felisari C. , Mo P. , Vottari F. , Cognata D. ,
3
3
1b
1b
1b
1b
Pellegrini S. , Sala L. , Peletto S. , Campanella C. , Zuccon F. , Acutis P.
1
a
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ( Sezione di Aosta,
2
3
Laboratorio Genetica Torino); Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia; ASL 12- Area B Biella
b
Key Words: Sarcocistys, Biella, carni
INTRODUZIONE
montaggio dei vetrini con balsamo Eukitt, osservazione dei
preparati al microscopio ottico a luce trasmessa (Olympus
BX60).
Nella terza fase, i campioni risultati positivi per la presenza
di cisti attribuibili a sarcosporidi sono stati sottoposti ad una
doppia valutazione: morfologica, al microscopio elettronico
a trasmissione (TEM) e biomolecolare, mediante
sequenziamento genetico. I campioni per la microscopia
elettronica sono stati così processati: isolamento delle
sarcocisti al microscopio ottico rovesciato (Olympus CK2),
fissazione in miscela di Karnowsky, lavaggio in tampone
cacodilato, post-fissazione in tetrossido di osmio all’1% in
tampone
cacodilato,
disidratazione
in
alcoli
a
concentrazione crescente, inclusione in resina epossidica,
allestimento di sezioni semifini per l’individuazione del
particolare morfologico, allestimento di sezioni fini (60-80
nm), osservazione al TEM (Zeiss EM 900).
L’indagine biomolecolare si è basata sullo studio del gene
18S rRNA attraverso le tecniche di sequenziamento diretto
e PCR differenziale.
E’ stato utilizzato il sequenziamento diretto su un gruppo di
44 bovini; questo metodo non permette di caratterizzare più
specie
presenti
nello
stesso
campione
contemporaneamente, anche se si possono evidenziare
possibili coinfestazioni: queste sono state ipotizzate grazie
all’osservazione di sequenze sottese (freccia) nelle
sequenze ottenute con i primers utilizzati (8).
Con il termine sarcosporidiosi si intende una parassitosi
sostenuta da protozoi appartenenti al genere Sarcocystis,
genere caratterizzato da un ciclo biologico obbligato con
due ospiti vertebrati, uno definitivo e uno intermedio.
Nell’ospite definitivo (in genere un carnivoro), dopo
l’assunzione delle sarcocisti presenti nei muscoli degli
animali predati, si svolge la fase enteroepiteliale o
intestinale del parassita seguita da liberazione fecale di
oocisti (o sporocisti) infestanti. Queste vengono a loro volta
ingerite dall’ospite intermedio (in genere un erbivoro o
specie onnivore come i roditori) nel quale si esplica la fase
extraintestinale con formazione di cisti intramuscolari
contenenti bradizoiti e metrociti (1,2). Al di là della
potenziale e variamente descritta azione patogena per gli
animali, occorre considerare la parassitosi una zoonosi
minore. L’uomo infatti può ospitare la fase intestinale di due
specie di sarcosporidi, S. suihominis e S. hominis,
infestandosi con il consumo rispettivamente di carni suine e
bovine infestate (3). Il ciclo enteroepiteliale del protozoo
induce manifestazioni acute con nausea e diarrea.
Secondo alcuni autori l’uomo potrebbe anche fungere da
ospite intermedio, nel qual caso si osserva la formazione di
cisti parassitarie intramuscolari responsabili di miopatie
allergiche e asma bronchiale (4). Oltre a quelle già indicate,
le altre specie riconosciute nel suino sono (tra parentesi è
indicato l’ospite carnivoro) S. miescheriana (cane) e
S.porcifelis (gatto) mentre nel bovino S. bovicanis (cane)
S.cruzi (cane, lupo) e S. hirsuta (gatto).
Nel presente lavoro si descrivono i risultati preliminari di
una ricerca sulla diffusione della sarcosporidiosi nei suini e
bovini allevati e macellati per auto-consumo nella provincia
di Biella. Uno degli obiettivi principali del progetto è stato
quello di definire un protocollo diagnostico efficace che
consentisse di valutare l’incidenza delle varie specie di
Sarcocystis, riservando una particolare attenzione a quelle
zoonosiche.
L’indagine trae ispirazione dalle numerose ricerche svolte
in passato nell’ambito di territori politicamente definiti tra
cui, ad esempio, la provincia di Reggio Emilia in Italia (5),
Uttar Pradesh in India (6), Hokkaido in Giappone (7).
Il confronto con la banca dati di BLAST ha evidenziato la
possibile corrispondenza delle sequenze sottese con
specie patogene per l’uomo.
Il sequenziamento diretto prevede le seguenti fasi:
estrazione del DNA da campioni di tessuto del peso di circa
25 mg (utilizzando il GeneEluteTM Blood Genomic DNA kit
Sigma), amplificazione di circa 340 ng di DNA mediante
PCR con l’utilizzo di primers specifici, rivelazione su gel
d’agarosio all’1%, purificazione dei campioni risultati
positivi alla PCR con Kit Invitrogen e sequenziamento degli
stessi per mezzo di sette primers (8) tramite sequenziatore
3130 Genetic Analyzer ABI.
Nella PCR differenziale (9) si utilizzano circa 125 ng di
DNA e i primers SARf e SARr, quest’ultimo coniugato con
marcatore fluorescente Hex. I primers SARf e SARr
amplificano tre zone diverse del gene 18S rRNA bersaglio,
generando ampliconi di lunghezza diversa in relazione alla
specie: si ottengono frammenti di 164 bp per S. hominis,
172 bp per S. cruzi e 186 bp per S. hirsuta, posizionati in
regioni diverse della sequenza bersaglio. Questa analisi è
MATERIALI E METODI
Il protocollo sperimentale si è articolato in tre fasi. Nella
prima fase di campionamento, sono stati prelevati e
stoccati in congelamento diaframma, esofago e cuore da
383 bovini e 197 suini macellati ad uso famigliare nel
territorio provinciale. Nella seconda fase, i campioni sono
stati sottoposti ad esame istologico rapido al criostato per
lo screening degli animali positivi. Questa tecnica analitica
si svolge secondo la seguente procedura: riduzione del
pezzo a circa 1 cm di diametro, congelamento a –20°C con
liquido OCT, sezionamento al criostato a 5-10 micrometri di
spessore su almeno tre piani di taglio distanti 2-3 mm l’uno
dall’altro, fissazione in alcool 95°, colorazione con
Emallume-Eosina, disidratazione in alcoli a gradazione
crescente, diafanizzazione in bioclear e successivo
159
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
delle cisti, condizione che risulta fondamentale per la
valutazione del parassita al microscopio ottico e soprattutto
elettronico.
La tipizzazione morfologica al TEM ha sempre confermato
la presenza delle specie individuate con le tecniche di
caratterizzazione genetica. Queste ultime, visti i tempi di
esecuzione, si rivelano pertanto un sistema più rapido ed
agevole rispetto al metodo classico basato sulla
microscopia elettronica.
Per quanto riguarda i risultati ottenuti, l’elevata prevalenza
di sarcosporidiosi nel bovino (78%), con predominanza di
S.cruzi (presente nel 93% dei casi positivi), risulta in linea
con i dati bibliografici e va comunque considerata in
relazione all’età degli animali analizzati. Una prevalenza
minore nel suino (29.4%) è probabilmente connessa alla
vita commerciale più breve rispetto ai bovini (in genere un
anno).
Il rilevamento di S.hominis (38.5% dei bovini positivi) e
S.suihominis (100% dei suini positivi) stimola alcune
considerazioni di carattere sanitario. Le cisti protozoarie,
tranne nei rari casi di sarcosporidiosi grave generalizzata
(comunque assenti nel nostro campionamento), non sono
evidenziabili ad occhio nudo al momento della visita
ispettiva post-mortem. Il consumo di carni crude o poco
cotte (soprattutto di bovino, in considerazione delle
abitudini alimentari piemontesi) può pertanto costituire un
fattore di rischio per quanto riguarda la trasmissione della
sarcosporidiosi all’uomo.
stata condotta mediante corsa elettroforetica dei prodotti
PCR sul sequenziatore e l’uso del software Gene Mapper.
RISULTATI
Al test istologico di screening sono risultati positivi 299
bovini (78%) e 58 suini (29.4 %). La foto 1A corrisponde
ad un quadro di infestazione elevata nell’esofago di bovino
(freccia: cisti in sezione longitudinale, doppia freccia: cisti in
sezione trasversale); la foto 1B ad una sarcocisti cardiaca
di bovino con parziale liberazione di bradizoiti (freccia).
1A
1B
Nelle tabelle seguenti si riportano i risultati preliminari della
tipizzazione genetica eseguita sui campioni positivi allo
screening insieme alle relative frequenze percentuali. Per
ora, l’indagine è stata eseguita su 280 bovini e 23 suini,
analizzando per ogni capo l’organo più infestato .
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1.
Tipizzazione molecolare Sarcocystis - Bovini
Specie
Frequenza
percentuale
61.5%
S. cruzi
7%
S.hominis
Coinfestazione S.cruzi, S.hominis
30%
Coinfestazione S.cruzi, S.hominis,S. hirsuta
1,5%
Tipizzazione molecolare Sarcocystis - Suini
100%
S. suihominis
2.
La valutazione al TEM delle sarcocisti è stata eseguita
riferendosi ai morfotipi descritti da Dubey et al. nel 1989
(10) sulla base dell’aspetto assunto dalle espansioni della
parete cistica (Foto 2A: S.hominis; 2B: S. cruzi).
7.
3.
4.
5.
6.
8.
9.
10.
Pampiglione, Canestri, Trotti, 1990. Guida allo studio della
parassitologia”. Società Editrice Esculapio, Bologna.
Georgi Jr, Georgi ME, 1990. Parasitology of
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bovine Sarcocystis spp. by analysis of their 18S ribosomal
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Sarcocystis hominis in Belgian minced beef. J. Food Prot.,
70(6), 1523-1526.
Dubey, JP, Speer, CA, Fayer, R, 1989. Sarcocystosis of
Animals and Man. CRC Press, Boca Raton, FL, 215 pp.
SUMMARY
In this study different analytical techniques have been
carried out in order to establish a diagnostic protocol to
evaluate the incidence of the various species of
Sarcocystis in swines and bovines slaughtered for personal
consumption in the province of Biella (Italy). Analyzing by
histology diaphragm, esophagus and heart, 78% of bovines
and 29.4% of swines resulted positive for sarcosporidia.
Applying electron microscopy and different methods of
gene sequencing on the positive samples, we found these
species of Sarcocystis: bovine (S.cruzi 93%, S.hominis
38.5%. S. hirsuta 1.4%), swine (S. suihominis 100%).
CONCLUSIONI
Il protocollo sperimentale proposto si è dimostrato
applicabile ed efficace a fronte delle seguenti
considerazioni.
Lo
stoccaggio
dei
campioni
in
congelamento (indispensabile per far fronte ai periodi di
attesa tra una fase e l’altra) non ha compromesso l’integrità
Attività
finanziata dalla Regione Piemonte nell’ambito della
Ricerca Scientifica Applicata 2004 – Delibera CIPE 20/04
160
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
STUDIO DELL’ACCURATEZZA E DELL’ATTENDIBILITA’ DEL CALIFORNIA MASTITIS TEST (CMT) NEL
LATTE DI CAPRA
1
2
2
1
1
Dore S. , Doro P. , Fiori S. , Denti G.V. , Manai M.A.L. , Cannas E.A.
1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”, Sassari
2
Associazione Regionale Allevatori della Sardegna, Sassari
Keywords: California mastitis test, somatic cell, goat milk
RIASSUNTO
The aim of this study is to evaluate the accuracy of the CMT
to determine the somatic cell count in goat milk compared
with the fluoro-opto-electronic method and to assess the
reliability of the test measuring the inter-rater agreement
(kappa). The study was carried out on 160 half-udder milk
samples from 80 lactating goats. The best accuracy
calculated on sensitivity, specificity
and the related
parameters was obtained at 300.000 cell/ml level. Kappa
value (0.73) shows a good reliability.
prevedono una responsabilità diretta da parte dell’allevatore
sulla sicurezza alimentare delle proprie produzioni.
SCOPO
L’obiettivo del nostro studio è quello di valutare l’accuratezza
del CMT confrontato con il metodo fluoro-opto-elettronico
(UNI EN ISO 13366-3:1998) nella determinazione del CCS.
Sarà inoltre determinata l’attendibilità attraverso la
misurazione dell’accordo inter-osservazionale tra gli operatori
al fine di valutare l’influenza della soggettività nella lettura del
test.
INTRODUZIONE
Il contenuto in cellule somatiche nel latte è considerato il
“principale indicatore” dello stato di salute della mammella e
viene largamente utilizzato nei programmi di controllo e
risanamento delle mastiti nonchè per l’individuazione dei capi
con mastite subclinica. Un metodo indiretto di determinazione
del CCS nel latte (1) dei singoli animali è rappresentato dal
CMT che può essere effettuato direttamente in azienda
dall’allevatore e viene comunemente utilizzato nel settore
bovino. Trattandosi di un test di screening dovrebbe essere
dotato di una elevata sensibilità, in modo da consentire
l’identificazione del maggior numero di animali che
presentano patologie mammarie. Il risultato, però, può essere
influenzato dalla soggettività di lettura caratteristica di questo
particolare test. La validità del California Mastitis Test risulta
sufficientemente verificata nell’allevamento bovino e ovino,
mentre richiede ulteriori approfondimenti nell’applicazione sul
latte di capra. La disponibilità di uno strumento diagnostico
gestibile dall’allevatore sul campo riveste un ruolo
particolarmente importante nell’ambito dell’autocontrollo
aziendale, in coerenza con i Regolamenti Comunitari che
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato effettuato su 160 campioni di latte di
emimammella provenienti da 80 capre di razza Sarda,
Saanen, Maltese e meticcia in diversi stadi di lattazione
appartenenti a n. 3 allevamenti di medie dimensioni della
zona nord-occidentale della Sardegna. Il CMT viene eseguito
in azienda con doppia lettura da due operatori diversi. Sui
campioni di latte prelevati dalla singola emimammella è stato
determinato il contenuto in cellule somatiche (CCS) con
metodo fluoro-opto-elettronico (UNI EN ISO 13366-3: 1998).
L’accuratezza del test diagnostico è stata analizzata
attraverso lo studio della sensibilità e della specificità e i
valori stimati sui risultati del CMT sono stati calcolati usando
le tabelle di probabilità 2 X 2. Inoltre sono stati calcolati il
tasso di errore falso-negativo e il tasso di errore falsopositivo, il valore predittivo positivo e il valore predittivo
negativo, il rapporto di probabilità positivo e il rapporto di
probabilità negativo. L’attendibilità del test è stato calcolato
attraverso lo misurazione dell’accordo inter-osservazionale
con il test del kappa.
Tabella 1. Calcolo dei parametri relativi allo studio dell’accuratezza del CMT a diversi livelli di CCS.
Valori di CCS dei diversi livelli di riferimento
200 000
300 000
400 000
500 000
600 000
700 000
800 000
900000
1 000 000
Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml
Sensibilità
0,81
0,83
0,87
0,92
0,91
0,92
0,93
0,95
0,95
Specificità
1,00
0,75
0,55
0,54
0,41
0,38
0,34
0,34
0,32
0,00
0,25
0,45
0,46
0,59
0,63
0,66
0,66
0,68
0,19
0,17
0,13
0,08
0,09
0,08
0,07
0,05
0,05
1,00
0,97
0,88
0,82
0,69
0,62
0,54
0,50
0,46
0,18
0,27
0,52
0,76
0,76
0,82
0,85
0,91
0,91
3,30
1,92
2,02
1,54
1,48
1,41
1,43
1,40
0,19
0,23
0,25
0,14
0,22
0,21
0,22
0,15
0,16
0,96
0,92
0,79
0,69
0,59
0,52
0,45
0,41
0,38
Tasso errore falsopositivo
Tasso errore falsonegativo
Valore predittivo
positivo
Valore predittivo
negativo
Rapporto probabilità
positiva (LR+)
Rapporto probabilità
negativa (LR-)
Prevalenza
161
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RISULTATI
Come si evidenzia dalla tabella 1, la sensibilità del test
aumenta in modo proporzionale al livello di CCS considerato,
per la specificità invece avviene il processo inverso. Il valore
predittivo positivo, che definisce la probabilità che un animale
risultato positivo al test possa essere realmente malato,
tende a diminuire con l’aumentare del livello di CCS
considerato, contrariamente al valore predittivo negativo che
invece aumenta proporzionalmente. Diversamente dai valori
predittivi sopra citati, i rapporti di probabilità non sono
influenzati dalla prevalenza. Perché un test sia considerato
buono il rapporto di probabilità positivo dovrebbe essere
maggiore di 1, al contrario, il rapporto di probabilità negativo,
dovrebbe essere quanto più possibile vicino allo 0. Dalla
tabella 1 si evidenzia come il miglior rapporto tra rapporto di
probabilità positivo e rapporto di probabilità negativo si
verifica con il valore di CCS di 300.000 cellule/ml. Nella
tabella 2
sono riportati i valori ottenuti nello studio
dell’attendibilità del CMT attraverso la misurazione
dell’accordo tra due diversi operatori. Il valore del test del
kappa (0.73) sta ad indicare un livello di accordo buono e
pertanto buona può essere considerata l’attendibilità del test.
subcliniche. Le caratteristiche di semplicità e di velocità di
esecuzione ne consentono un suo utilizzo direttamente sul
campo da parte di personale non provvisto di specifiche
competenze tecniche ma comunque supportato da una
adeguata formazione. L’utilizzo del test consente quindi
all’allevatore di monitorare lo stato sanitario dell’ allevamento,
ottimizzando inoltre l’attività del laboratorio che potrà
eseguire i controlli in modo mirato sui capi risultati positivi al
CMT con conseguente risparmio di tempo e di risorse.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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somatiche nel latte e benessere degli ovini. Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”.
3. Dingwell T.D., Lesile K.E., Schukken Y.H., Sargeant J.M.,
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detect an intramammary infection with a major pathogen in early
lactation dairy cows, Can. Vet. J. 44: 413-416
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ovine intramammary infection with the California mastitis test,
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Mastitis Test for identifying intramammary infection in early
lactation. J Dairy Sci 84:2018–2024.
Tabella 2. Calcolo dell’accordo inter-osservazionale con
l’utilizzo della tabella standard 2X2.
Operatore
1
Operatore
2
Totale
Positivo
Negativo
Positivo
85
21
106
Negativo
0
54
54
85
75
160
Totale
Accordo osservato (Ao)
139
Massimo accordo possibile (N)
160
Accordo percentuale complessivo
0,87
Accordo della cella a atteso per caso
56,31
Accordo della cella d atteso per caso
25,31
Accordo della cella a atteso per caso +
Accordo della cella d atteso per caso (Ac)
81,63
Kappa
0,73
DISCUSSIONE
Lo studio dell’accuratezza del test evidenzia come il valore
corrispondente di CCS in cui sia possibile distinguere, con la
migliore precisione, i campioni positivi da quelli negativi al
CMT sia di 300 000 cellule/ml, che è in linea con i valori di
CCS riportati in bibliografia per la specie ovina da latte (7).
Dallo studio dell’accordo inter-osservazionale effettuato si è
riscontrato un buon livello di attendibilità del CMT e quindi le
performance degli operatori non influenzano in modo
significativo il risultato. Il California Mastitis Test rappresenta,
così come per i bovini e gli ovini, anche per le capre uno
strumento attendibile per l’identificazione degli animali che
presentano un contenuto di cellule somatiche elevato anche
in assenza di sintomi clinici evidenti, come nel caso di mastiti
162
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RISCONTRO DI CASI DI LINFOSARCOMA IN BOVINI INFETTI
DA VIRUS DELLA LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA
F. Feliziani1, C. Casciari1, S. Farneti1, F. Vitelli1, E. Manuali1, S. Salamida1, E. Lepri2, D. Rutili1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche; Facoltà di Med. Veterinaria Università di Perugia
Key words:Leucosi Bovina Enzootica, Linfosarcoma, PCR, ELISA
Summary
inoltre previsto l’obbligo di prelievo dei seguenti campioni in
sede di macellazione di capi infetti o sospetti infetti di LEB:
1. campione di siero
2. campione di sangue intero non coagulato (EDTA)
3. campioni di organi linfatici (Milza, Linfonodi
Perirenali, Sopramammari, Mediastinici Peribronchiali
Questi campioni devono essere inviati al Centro di
Referenza Nazionale per lo studio dei Retrovirus correlati
alle patologie infettive dei ruminanti (CEREL) scortati
dall’allegato F all’O.M. che rappresenta la scheda di
rilevamento dati al macello.
Il protocollo diagnostico del CEREL prevede di eseguire i
seguenti esami diagnostici:
Enzootic Bovine Leukosis is contagious disease of cattle
caused by the retrovirus, bovine leukaemia virus (BLV).
The disease causes fatal malignant cancer in a small
percentage of infected animals and can be responsible for
major economic losses. Diagnosis of the disease is based
primarily on detection of antibodies in serum. The disease
can be eradicated by testing and elimination of reactors. A
panel of samples derived from seropositives animals was
examined by histological test to investigate the occurrence
of lynfosarcoma.
Introduzione
Matrice
Siero
Sangue intero
Organi
Il riscontro di linfosarcoma nel bovino non è frequente nel
nostro paese ed è stato occasionalmente descritto solo
come reperto di macellazione. Questa forma tumorale si
può classificare su base epidemiologica ed eziologica in
una varietà enzootica e in una varietà sporadica.
La forma sporadica può essere ulteriormente distinta in:
Leucosi cutanea che colpisce animali di età compresa tra
1-3 anni, Leucosi giovanile a carico di vitelli al di sotto dei
6 mesi, Linfoma timico legato all’evoluzione appunto del
timo e quindi a carico di soggetti di circa 6-18 mesi.
La forma enzootica colpisce prevalentemente i bovini adulti
ed è di origine virale. L’agente eziologico, il virus della
leucemia bovina (BLV), è un Retrovirus appartenente al
genere Deltaretrovirus e può essere trasmesso per via
orizzontale attraverso i linfociti B infetti.
La prevalenza della Leucosi Bovina Enzootica (LEB), è
sensibilmente diminuita grazie al piano di eradicazione
obbligatorio in Italia dal 1996. Restano tuttavia nel territorio
"code" di persistenza dell’infezione la cui eliminazione
appare più problematica del previsto, contribuendo a porre
il livello sanitario del nostro paese su un piano decisamente
inferiore rispetto a quello di altri paesi dell'Unione Europea.
Un ulteriore impulso alla campagna di eradicazione è stato
recentemente ottenuto con l’Ordinanza del Ministero della
Salute 14.11.2006 “Misure straordinarie di polizia
veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e
bufalina, brucellosi ovi-caprina e leucosi nelle regioni
Calabria, Campania, Puglia e Sicilia”. L’ordinanza prevede
un’intensificazione dei controlli e norme più restrittive in
tema di identificazione degli animali.
Le tradizionali metodiche diagnostiche, comunemente
impiegate per le infezioni sostenute da Retrovirus, si
basano essenzialmente sulla sierologia. Per quanto
riguarda la LEB, sono andate sviluppandosi anche
metodiche diagnostiche biomolecolari che trovano, tra
l'altro, un'utile applicazione nella diagnosi della forma
tumorale. L’esame istologico, infatti, non consente di
differenziare la forma sporadica da quella enzootica e per
questo motivo, in sede di conferma, è utile prevedere
l’utilizzo in associazione di diversi test.
Test
AGID - ELISA
PCR
Esame istologico - PCR
Test sierologici: i test sierologici impiegati sono quelli
previsti dalla normativa vigente ed in particolare dal DM
358 del 2-5-1996 e dal D.Lgs. 196 del 22-5-1999. Il test
AGID è stato condotto secondo quanto descritto nel
Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial
Animals 2008 chapter 2.4.11. pubblicato dall’Office
International des Epizoties (OIE). È stato impiegato un
antigene prodotto dall’IZS Umbria e Marche costituito da
una proteina ricombinante del BLV (gp51) espressa
mediante baculovirus. Il siero di riferimento positivo è stato
scelto tra quelli in dotazione del Centro di Referenza
Nazionale. Il test ELISA è un test home made in uso
routinariamente presso il CEREL: si tratta di un ELISA di
tipo sandwich basato su un anticorpo monoclonale anti
gp51 adsorbito alla piastra, un antigene ricombinante gp51
e un anticorpo monoclonale anti bovino coniugato con
perossidasi.
Entrambe
le
tecniche
sono
state
standardizzate come previsto dalla normativa sulla base
dei sieri di riferimento internazionali.
Test PCR: Il DNA dei campioni di linfonodi e milza è stato
estratto da omogenati di pool di organi provenienti dallo
stesso animale, mediante applicazione di un protocollo che
prevede l’utilizzo di QUIAamp DNA Blood mini kit (Qiagen).
Per i campioni di sangue intero il materiale è stato
preventivamente sottoposto a purificazione al fine di
ottenere leucociti dai quali si è successivamente proceduto
all’estrazione del DNA provirale in accordo con le istruzioni
fornite dal produttore, (QUIAamp DNA Blood mini kit
(Qiagen).
Il DNA estratto è stato amplificato utilizzando primers in
grado di identificare (amplificare) un frammento di 380bp
del gene ENV che codifica per una regione altamente
conservata della glicoproteina di superficie gp51.
Le sequenze dei primers utilizzati sono di seguito riportate:
gp51FW S380 CTC TTC TGT GCC AAG TCT CC
gp51 RV AS380 CTG ACA GAG GGA ACC CAG TC
Test Istologico: i campioni sono stati fissati in formaldeide
al 4% per almeno 24h. I pezzi dopo adeguata riduzione,
sono stati disidratati mediante passaggio in una serie
crescente di alcool etilico, chiarificati in xilolo, impregnati ed
inclusi in paraffina. Il processo di inclusione è stato attuato
mediante l’uso di processatore automatico (Leica TP 1050)
Materiali e metodi
Al CEREL vengono routinariamente inviati campioni per la
conferma diagnostica di Leucosi Bovina Enzootica.
Nell’ambito dell’applicazione dell’O.M. 14.11.2006, è stato
163
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
e di dispensatore di paraffina (Leica EG 1140 H). Dai
blocchetti così ottenuti, dopo raffreddamento, sono state
tagliate con microtomo a slitta (Leitz) sezioni sottili dello
spessore di 4-5 micron e allestiti i vetrini. Le sezioni sono
state poi colorate con ematossilina-eosina mediante
coloratore automatico (Leica Autostainer XL V1.81). Dopo
montaggio con vetrino coprioggetto, i preparati sono stati
osservati al microscopio ottico (Leica mod. DMR Fluo HC).
Negli altri soggetti in cui sono state riscontrate lesioni
riconducibili a linfosarcoma, i risultati dei test biomolecolari
e sierologici hanno confermato la presenza di BLV.
Nell’ambito dei test biomolecolari e soprattutto dei test
istologici diversi campioni sono stati giudicati non idonei
all’esecuzione delle prove. Tutto ciò é stato causato dalle
modalità di conservazione e spedizione dei campioni: le
basse temperature infatti hanno causato il congelamento
dei campioni stessi e quindi un’emolisi dei campioni di
sangue inviati per il test PCR e un’alterazione del profilo
istologico dei campioni d’organo.
Risultati e discussione
I campioni esaminati dal CEREL nel 2007 sono riassunti
nella tabella seguente:
campioni
Esame
Analizzati
Positivi
Negativi
Non idonei
ELISA
270
46
224
0
PCR
249
43
186
20
Istologico
77
13
30
34
I campioni positivi all’esame istologico derivavano da 5
bovini provenienti da diversi allevamenti di cui uno soltanto
era stato allevato in Umbria, mentre la derivazione degli
altri animali era da riferire alle regioni soggette
all’Ordinanza Ministeriale.
Foto 3: risultato del test PCR con un controllo positivo (lane
1), pool di organi negativi (lane 2-3-5), pool di organi
positivi (lane 4), buffy coat positivo (lane 6) e master mix
(lane 7)
I risultati ottenuti dimostrano che la prevalenza di
linfosarcoma nei bovini in Italia è sottostimata. I resoconti
inviati dal Ministero della Salute all’Unione Europea negli
ultimi anni, infatti, ne riportano pochissimi casi, ma
l’applicazione dell’Ordinanza Ministeriale del 14.11.2006 ha
già fatto emergere quello che si potrebbe definire un
epifenomeno.
Non stupisce, infatti, il linfosarcoma rinvenuto in Umbria
riferibile alla varietà sporadica giovanile, ma rimangono da
interpretare i quattro casi provenienti da Regioni del
Meridione in cui non è mai stata segnalata la presenza di
linfosarcomi. L’età degli animali risultati positivi per
linfosarcoma oscillava trai 4 e i 6 anni e ciò rappresenta un
fattore epidemiologico a sostegno delle forme tumorali di
LEB riscontrate.
Questo lavoro dimostra ancora una volta la necessità di
costituire nel mattatoio un vero e proprio punto di
osservazione
epidemiologica
specialmente
nel
monitoraggio dei tumori animali.
Foto 1. Linfonodo (obiettivo x40): spiccato monomorfismo
cellulare associato alla presenza di alcune figure mitotiche.
Bibliografia
1. “Evaluation of diagnostic tests to bovine leukemia virus”
Marcelo F. Camargos, Francesco Feliziani, Antônio De Giuseppe,
Leandro M. Lessa, Jenner K. P. Reis, Rômulo C. Leite Revista
Portugesa de Ciências Veterinárias, 169-173
2. DM 2 Maggio 1996 n° 358: “Regolamento concernente il Piano
Nazionale per l’Eradicazione della Leucosi Bovina Enzootica”
3. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial
Animals edition 2008 chapter 2.4.11. Office International des
Epizoties
http://www.oie.int/eng/normes/mmanual/
2008/pdf/2.04.11_EBL.pdf
4. “Produzione e purificazione mediante cromatografia per affinità
della proteina gp51 del virus della Leucosi Bovina Enzootica (BLV)
ricombinante deleta “ Katia Forti, Francesco Feliziani, Giulio
Severi, Simone Marcaccio, Miriam Menichelli, Giovanna Ferrante,
Antonio De Giuseppe Workshop nazionale di Virologia Veterinaria
- Diagnostica ed epidemiologia delle infezioni virali degli animali
domestici – Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Bologna
riassunti p. 37; 7-8/06/2007
Foto 2. Linfonodo (obiettivo x10): infiltrazione della capsula
linfonodale da parte delle cellule neoplastiche.
Il soggetto proveniente dall’Umbria era un vitello risultato
negativo sia al test PCR su matrice sangue ed organi
(Milza e Linfonodi) sia ai test sierologici.
164
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
IGIENE DEL PROCESSO DI MACELLAZIONE: VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI AUTOCONTROLLO
NELLA PROVINCIA DI TRENTO NEL PERIODO 2003 - 2008
Ferrari L., Pizzo E., Debiasi K., Simonato S., Lucchini R., Farina G., Dalvit P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Key words: HACCP, macellazione, igiene di processo
Summary
Tabella 1. Numero di carcasse
microrganismi mesofili ed enterobatteri.
Bovini
Suini
2003
9
13
2004
51
57
2005
50
97
2006
67
111
2007
166
122
2008 (al 22/07)
114
197
Decision 2001/471/EC and more recently Regulation No.
2073/2005/EC have introduced new microbiological criteria
for meat industry. The slaughterhouse operator has to plan a
microbiological monitoring system, assuring satisfactory
hygienic conditions. The aim of this study was to evaluate the
results of the new legislative requirements in meat processes
in Province of Trento since 2003.
Introduzione
A partire dal 2001, la Decisione (CE) n. 471 dell’8 giugno
2001 ha apportato una sostanziale novità nella gestione del
sistema di autocontrollo aziendale delle industrie alimentari
operanti nel settore delle carni. Tale Decisione introduceva
l’obbligo, non contemplato nella preesistente normativa, di
campionare le carcasse negli stabilimenti di macellazione per
la numerazione dei microrganismi mesofili a 30°C e degli
enterobatteri totali, fissandone le modalità di esecuzione, le
frequenze, e i limiti microbiologici di riferimento. A partire dal
1 gennaio 2006, con l’abrogazione della Decisione (CE) n.
471/2001 da parte della Direttiva 2004/41/CE, i criteri
microbiologici definiti per le carcasse sono stati incorporati
nel Regolamento (CE) n. 2073/2005 (capitolo 2: criteri di
igiene del processo). Lo stesso Regolamento introduceva,
inoltre, l’obbligo di campionare le carcasse per la ricerca di
Salmonella spp.
Lo scopo del presente lavoro è quello di fornire una
valutazione oggettiva delle condizioni igieniche del processo
di macellazione nella Provincia di Trento, a sei anni di
distanza dall’effettiva entrata in vigore della Decisione
europea. A tal fine, sono stati presi in considerazione i dati
ricavati dalle analisi microbiologiche su tamponi eseguiti sulle
carcasse e conferiti al nostro Istituto dai responsabili dei
macelli in assolvimento ai nuovi obblighi normativi.
analizzate
per
Totale
22
108
147
178
288
311
Tabella 2. Numero di carcasse analizzate per Salmonella
spp.
Bovini
Suini
Totale
2006
8
0
8
2007
141
108
249
2008 (al 22/07)
65
186
251
Analisi microbiologiche
Le determinazioni analitiche sono state eseguite utilizzando i
metodi di seguito riportati:
-numerazione di microrganismi mesofili a 30°C (CMT)
secondo ISO 4833:2001 e ISO 4833:2003;
-numerazione di enterobatteri a 37°C (ENT) secondo metodo
interno fino al 17/04/06: semina per inclusione in terreno
VRBGA (Violet Red Bile Glucose Agar) (15 ml + 4ml di
terreno fuso) e incubazione a 37°Cr1°C per 24 ore; secondo
norma ISO 21528-2:2004 dal 18/04/06;
-ricerca di Salmonella spp. secondo ISO 6579:2002/Cor
1:2004 (E).
Risultati
Il Reg. (CE) n. 2073/2005 specifica limiti microbiologici
soltanto per il “metodo distruttivo”. La Decisione (CE) n.
471/2001, peraltro, stimava che il prelievo non distruttivo
mediante tampone avesse una capacità di recupero pari a
circa il 20% di quella associata al metodo alternativo. Le
Linee Guida Applicative della Decisione (CE) n. 471/2001,
emanate dal Ministero della Salute il 10 maggio 2002,
disponevano perciò di moltiplicare i risultati ottenuti con il
metodo non distruttivo per il fattore di correzione 5. I risultati,
calcolati sulla base della media giornaliera dei risultati
logaritmici, sono stati classificati come accettabili, marginali o
inaccettabili secondo lo schema riportato in Tabella 3, e
illustrati in Figura 1.
Materiali e Metodi
Campionamento
Oggetto del presente lavoro sono gli stabilimenti di
macellazione, dislocati su tutto il territorio della Provincia di
Trento, che hanno stipulato con l’Istituto una specifica
convenzione sulla base di piani di campionamento prefissati
ad inizio anno nell’ambito dell’attività di autocontrollo. Sono
stati interessati 20 macelli nel 2003, 33 nell’anno 2004, 31
nell’anno 2005, 30 nel 2006, 28 nel 2007 e 24 fino al
22/07/2008. Il campionamento è stato eseguito sulla base di
quanto indicato dalla norma ISO 17604:2003: i prelievi per la
ricerca dei microrganismi mesofili a 30°C e gli enterobatteri
totali sono stati eseguiti dagli addetti alla macellazione
secondo il metodo “non distruttivo”, che prevede l’esecuzione
di 8 tamponi (4 bagnati e 4 asciutti) su 4 punti diversi di
2
prelievo della carcassa, per una superficie totale di 400 cm ;
per la ricerca di Salmonella spp. si è utilizzato un metodo di
prelievo con spugna abrasiva (sponge bag) eseguita su una
superficie di almeno 100 cm2. I campioni così prelevati sono
stati inviati subito al laboratorio in condizioni di refrigerazione,
in modo da assicurare l’inizio dell’analisi entro le 24 ore dal
prelievo. Il numero delle carcasse analizzate, suddivise per
anno e per specie, è riportato nelle Tabelle 1 e 2.
Tabella 3. Valori di riferimento per carcasse bovine e suine.
Serie
Serie
Serie
specie
accettabile marginale inaccettabile
< 3,5 log
3,5 - 5,0 log
> 5,0 log
bovini
CMT
< 4,0 log
4,0 - 5,0 log
> 5,0 log
suini
ENT
165
bovini
< 1,5 log
1,5 - 2,5 log
> 2,5 log
suini
< 2,0 log
2,0 - 3,0 log
> 3,0 log
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Figura 1. Microrganismi mesofili totali ed enterobatteri su carcasse, distinte per specie animale considerata. I valori riportati si
riferiscono alla percentuale di campioni che ogni anno rientrano nelle serie di accettabilità individuate per il metodo non
distruttivo.
accettabili
marginali
inaccettabili
Per la ricerca di Salmonella spp., gli esiti devono essere
riferiti a una serie di 50 campioni successivi; per le carcasse
della specie bovina è ammessa una tolleranza di 2 campioni
positivi, per la specie suina la tolleranza è di 5 positività. Tali
risultati sono stati più che confortanti con due sole positività,
a carico della specie suina, su un totale di 508 carcasse
analizzate
2008, mentre quelle degli enterobatteri restano praticamente
invariate nel 2007 e passano dal 12,2% allo 0,0% nel 2008.
Riferimenti bibliografici
1.
Decisione (CE) n. 471/01 della Commissione dell’8 giugno
2001, che fissa le norme per i controlli regolari delle
condizioni igieniche generali, svolti dagli operatori negli
stabilimenti conformemente alla direttiva 64/433/CEE sulle
condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul
mercato di carni fresche e alla direttiva 71/118/CEE relativa
a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di
volatili da cortile.
2.
Direttiva 2004/41/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 21 aprile 2004 che abroga alcune direttive
recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le
disposizioni
sanitarie
per
la
produzione
e
commercializzazione di determinati prodotti di origine
animale destinati al consumo umano e che modifica le
direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la
Decisione 95/408/CE del Consiglio.
3.
Regolamento (CE) n. 2073/05 della Commissione del 15
novembre 2005, sui criteri microbiologici applicabili ai
prodotti alimentari.
4.
ISO 17604:2003: Microbiology of food and animal feeding
stuffs - Carcass sampling for microbiological analysis.
5.
ISO 18593:2004 – Microbiology of food and animal feeding
stuffs – Horizontal methods for sampling techniques from
surfaces using contact plates and swabs.
6.
ISO 4833:2003: Microbiology of food and animal feeling
stuffs - Horizontal method for the enumeration of microorganisms - Colony count tecnique at 30°C.
7.
ISO 21528-2:2004: Microbiology of food and animal
feeding stuffs - Horizontal methods for the detection and
enumeration of Enterobacteriaceae - Part 2: Colony-count
methodISO 6579:2002/Cor 1:2004 (E): Microbiology of
food and animal feeding stuffs - Horizontal method for the
detection of Salmonella spp.
8.
ISO 6579:2002/Cor 1:2004 (E): Microbiology of food and
animal feeding stuffs - Horizontal method for the detection
of Salmonella spp.
Discussione
I risultati ottenuti relativamente alla carica mesofila totale
evidenziano come ci siano state, soprattutto nei primi due
anni, percentuali importanti di valori inaccettabili e marginali.
In generale, i capi suini hanno rispettato meglio i limiti fissati
dalla Dec. (CE) n. 471/2001, con una percentuale maggiore
di valori che sono ricaduti nella serie di accettabilità. Negli
anni successivi la tendenza è stata quella di una riduzione
generale dei valori marginali a favore di un aumento di quelli
accettabili. I valori inaccettabili, a fronte di una diminuzione
negli anni che vanno dal 2003 al 2006 (con percentuali
prossime allo zero percento per gli enterobatteri negli anni
2005 e 2006), sono stati caratterizzati da una recrudescenza
negli ultimi due anni. Tale peggioramento può trovare tre tipi
di giustificazione:
- aumento del numero di carcasse analizzate che, rispetto al
2006, negli ultimi due anni sono quasi raddoppiate (si veda
Tabella 1);
- migliore esecuzione dei tamponi da parte di operatori più
formati e responsabilizzati;
- introduzione, a partire dagli ultimi mesi del 2006, di un
nuovo stabilimento di macellazione.
Quest’ultimo, in particolare, sembra essere l’aspetto che più
ha inciso nel determinare l’aumento di valori inaccettabili,
almeno per quanto concerne la specie suina, come dimostra
il fatto che, epurando i dati relativi a tale macello, le
percentuali di valori inaccettabili di microrganismi mesofili
passano dal 4,4% al 3,0% nel 2007 e dal 14,3% allo 0,0% nel
166
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA: STUDIO SUI CAMPIONI BORDERLINE AL TEST ELISA PER LA
RICERCA DEGLI ANTICORPI TOTALI CONTRO BHV 1
Ferraris M., Palermo P., Bisignano G., Guidetti C. & Orusa R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta/sezione di Aosta-Cermas
Key words: BHV-1; ELISA gE; ELISA gB
ƒ ELISA gB: OD espresse come % di blocking e cutoff=55%.
I dati sono stati analizzati utilizzando il programma statistico
®
STATA 10 .
Per rendere più agevole la comprensione dei grafici si
riportano le seguenti definizioni:
INTRODUZIONE
Quando si parla di IBR si intende un complesso di patologie
che include la forma classica di Rinotracheite Infettiva Bovina
(IBR), associata o meno a cherato-congiuntivite, aborto,
vulvovaginite e balanopostite. Dal punto di vista eziologico il
responsabile delle patologie sopraindicate è rappresentato
dal virus erpetico BHV 1. Sulla base dell’analisi del genoma si
riconoscono due principali sottotipi virali: BHV1.1 e BHV1.2.
Di questi BHV1.1 è responsabile della patologia respiratoria,
mentre BHV1.2 sostiene quella genitale. I maggiori danni
economici derivano dalla patologia riproduttiva, che si
manifesta principalmente con ipofertilità e aborti.
Il perno della patogenesi è rappresentato dall’infezione
latente. Dopo la replicazione primaria a livello mucosale, il
virus diffonde, per via intra-assonale, al sistema nervoso,
instaurando lo stato di latenza a livello dei gangli del
trigemino e sacrali (1). Il DNA virale rimane in sede nucleare,
ma non si integra nel genoma ospite, ciò implica una assenza
di espressione proteica virale che interrompe la stimolazione
del sistema immunitario dell’ospite. Se non accadono
riattivazioni dello stato di latenza, dovute a eventi stressanti
(intesi come infezioni o infestioni intercorrenti) o a trattamenti
cortisonici, si osserva quindi una diminuzione del titolo
anticorpale nei confronti di BHV1. La disponibilità di vaccini
marker deleti nella glicoproteina E (gE) consente di affrontare
il problema del controllo dell’infezione da BHV1 (5). Tali
vaccini, attraverso la stimolazione dell’immunità cellulomediata, prevengono l’infezione primaria e, inducendo la
produzione di elevati livelli anticorpali, facilitano la protezione
dall’infezione secondaria. Inoltre, la ricerca di anticorpi verso
gE, con opportuno metodo ELISA, permette di valutare lo
stato virologico dell’animale in presenza di vaccinazione
marker.
Il controllo sierologico per IBR in Valle d’Aosta, avviato nel
2003, è stato condotto avvalendosi di tre tipologie di test
ELISA:
Tabella 1: Combinazioni risultati test ELISA
Codice
p
pn
ppn
pnn
n
ELISA
Ab totali
P
P
P
ELISA
gb
P
N
ELISA
gE
status
P
N
N
N
N
positivo
vaccinato
vaccinato
negativo
negativo
Sono stati intesi come campioni borderline tutti quei capi
positivi al test ELISA Ab totali con un range percentuale di
OD compreso tra 45% e 200% (3) e solo su questi è stato
eseguito anche il test ELISA gB che consente, grazie ad una
maggiore specificità e sensibilità, di identificare con maggiore
puntualità lo stato sanitario del capo testato.
STUDIO SU 812 CAMPIONI PNN NEL 2006
Nel corso del primo monitoraggio considerato (2006) 812
campioni hanno avuto la seguente combinazione: ELISA Ab
totali positivo (P), ELISA gB negativo (N), ELISA gE negativo
(N). Di questi 812 campioni è stato possibile seguire
l'andamento sanitario nell'anno 2007 per 658 campioni.
Grafico 1: Evoluzione dei capi pnn dal 2006 al 2007
100
ƒ ELISA indiretta per la ricerca degli anticorpi totali
contro BHV1 (test di screening);
ƒ ELISA gE per distinguere i capi infetti da quelli
vaccinati con marker (4);
ƒ ELISA gB utilizzato come test di conferma sui
borderline (6).
94,46
percentuale
80
60
40
20
0
L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’efficacia
dei test ELISA gB applicato a campioni borderline
monitorando i risultati ottenuti dal 2006 al 2008 nell'ambito del
Piano di controllo e protezione dall'IBR in Valle d'Aosta.
0,03
ppn
0,66
pnn
esiti elisa
MATERIALI E METODI
Dall’intera popolazione testata durante i monitoraggi nel
periodo di riferimento sono stati estrapolati e messi a
confronto i dati riguardanti i campioni borderline.
Le tecniche ELISA adottate si basano su metodi normati
OIE e sulle rispettive metodiche allegate ai kit commerciali.
Le letture in densità ottica (OD) sono espresse come segue:
ƒ ELISA indiretta: OD espresse in valori % e cutoff=45%;
ƒ ELISA gE: OD espresse come rapporto S/N e cutoff=0,7;
5,22
n
0,45
p
2,89 5,3
pn
vaccinati
Come si può notare dal grafico n°1 il 5,22% dei capi si è
negativizzato (n) nel corso del 2007 ( probabilmente trattasi di
capi falsi positivi al test ELISA Ab totali eseguiti nel 2006);
continua ad essere considerato borderline il 94,46% dei capi.
Dal confronto con i dati forniti dall’Ufficio Bonifica Sanitaria
Valle d’Aosta, inerenti le vaccinazioni effettuate nel 2006,
emerge che solo lo 0,66% dei capi in oggetto risulta essere
vaccinato. Questo dato evidenzia l’utilità del test ELISA gB
che, a fronte di un esito ELISA Ab totali positivo, ha
permesso di individuare la reale classificazione del capo,
definendolo negativo anziché vaccinato.
167
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Dei 658 capi considerati nel precedente confronto è stato
possibile seguire l'andamento sanitario nell'anno 2008 per
543 campioni.
Dal grafico n° 4 si evince che il 78% dei capi è passato da
borderline a status di vaccinato, di cui l’8,63% risulta
vaccinato in base ai dati forniti dall'Ufficio Bonifica Sanitaria.
Grafico 2: Evoluzione dei capi pnn dal 2006 al 2008
RISULTATI
Lo studio condotto ha permesso di evidenziare l’importanza
dell’esecuzione del test ELISA gB sui campioni risultati
borderline al test ELISA Ab totali. Il potere discriminante di
quest'ultimo test, meno specifico rispetto al gB, diminuisce
con l’avvicinarsi al valore soglia (cut-off). L’impiego del test
ELISA gB sui borderline ha permesso di evitare un’errata
attribuzione di status vaccinato, smascherando i falsi positivi
al test ELISA Ab totali; inoltre tale test ha consentito di
individuare un possibile fattore di rischio nei capi codificati
ppn, ma non realmente vaccinati. Seppur bassa, la % di
sieroconvertiti, da borderline (con status di vaccinato) a
positivo (p), indica che la presenza di un gB positivo (ppn) è
rappresentativa di un certo movimento anticorpale che il test
ELISA gE non riesce a rilevare. Infatti ad ogni campione
borderline è sempre associato un esito ELISA gE negativo.
La proteina gE, come evidenziato da Beer et al 2003 (2), è a
bassa immunogenicità, e in alcuni casi la chiara definizione di
uno status positivo, con titolo gE rilevabile, si manifesta negli
anni. D’altra parte gli andamenti dei titoli anticorpali possono
subire delle oscillazioni dovute a diversi fattori (età, stato
fisiologico, trattamenti farmacologici, etc.). Per quanto
riguarda i capi che non risultano vaccinati dai dati provenienti
dall'Ufficio Bonifica Sanitari il passaggio da status di
vaccinato (pn) a vaccinato borderline (ppn) a negativo (n)
potrebbe infatti segnalare un progressivo calo anticorpale che
si potrebbe imputare all’età avanzata dell’animale
alla
mancanza di riattivazioni dello stato di latenza.
60
56,54
50
percentuale
40
30
21,18
20
10
17,86
3,13
4
0,74
0
ppn
pnn
n
p
pn
Nel confronto tra i dati percentuali riportati nel grafico 1 e
grafico 2, si evidenzia come ci sia una netta relazione tra la
diminuzione dei capi con esito pnn ed un aumento dei capi
negativizzati (n). Oltre alla presenza di falsi positivi ELISA Ab
totali, tale conversione potrebbe essere dovuta a fattori legati
all’età. Infatti il 46% degli animali testati ha un'età maggiore
ai 48 mesi. Tale dato potrebbe far supporre una meno
efficiente riposta immunitaria nei capi più anziani con
conseguente calo del titolo anticorpale.
Proseguendo l'analisi tra i grafici si osserva un rilevante
passaggio dei capi dalla situazione di borderline a quella di
vaccinato L'aumento nel titolo anticorpale al test ELISA Ab
totali, tale da rendere superfluo l'utilizzo del test ELISA gB,
non è però dovuto ad effettiva vaccinazione, avvenuta solo
nel 4% dei casi.
STUDIO SU 1.145 CAMPIONI PPN NEL 2006
Nel corso del monitoraggio 2006 hanno avuto esito ELISA Ab
totali positivo, ELISA gB positivo, ELISA gE negativo 1.145
campioni. Di questi 1.145 campioni è stato possibile l'incrocio
con l'anno 2007 per 861 campioni.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1.
Grafico 3: Evoluzione dei capi PPN 2006 nel 2007
25
2.
22,76
percentuale
20
15
10
7,43
5
0,81
0
ppn
3.
8,16
6,25
pnn
n
0,58
p
pn
4.
Come si può notare dal grafico n°3 il 22,76% dei capi è
passato dalla situazione borderline (ppn) a status di vaccinato
(pn), subendo quindi un incremento del titolo anticorpale. Dal
confronto con i dati forniti dall'Ufficio Bonifica Sanitaria risulta
effettivamente vaccinato l'8,16% dei capi. Si presume quindi
che il 91,84% dei restanti capi pn è da considerarsi a rischio,
in quanto soggetto ad un aumento del titolo anticorpale
ancora non rilevabile dal test ELISA gE.
Degli 861 capi analizzati precedentemente, per 683 capi è
stato possibile l'incrocio con i dati 2008.
5.
6.
Grafico 4: Evoluzione dei capi PPN 2006 nel 2008
SUMMARY
In this study we've compared the results of test ELISA gB to
confirm weak positive sample to indirect ELISA. ELISA gB
minimize any risk to incur in false vaccinated.
100
78,04
percentuale
80
60
40
20
0
12,74
2,3
ppn
1,17
pnn
3,22
n
1,76
8,33
p
8,63
pn
Ackermann M., Peterhans, E. and Wyler, R., 1982. DNA of
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Kramps J.A., Banks M., Beer M., Kerkhots P., Perrin M.,
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168
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
BOTULISMO ALIMENTARE ASSOCIATO AL CONSUMO DI SALSA TARTUFATA
1
Flores Rodas E. M., 2Fenicia L., 2Anniballi F., 1De Angelis V.,1Del Frate S.,1Di Domenico I., 1Bilei S.
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma; Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica
Veterinaria e Sicurezza Alimentare (DSVSA), Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo (CNRB)
Keywords: Clostridium botulinum, neurotossina, salsa tartufata
ABSTRACT
We investigated an incident of foodborn botulism consisting
of 2 cases and related to the consumption of sauce “salsa
bianca tartufata”, a delicacy prepared with truffles and
mushrooms. Both people involved were hospitalized with
typical gastrointestinal and neurological symptoms.
Unfortunately no biological samples from patients have been
taken but clinical signs, epidemiological and laboratory
investigations on leftovers from food, confirmed the presence
of botulism toxin type B and C. botulinum type B.
Il sopralluogo eseguito dalla ASL Siena 7, zona Valdichiana
Senese, nell’esercizio dove il prodotto era stato acquistato ha
portato al sequestro di 21 confezioni ancora invendute
prodotte da una azienda artigianale umbra, tutte appartenenti
allo stesso lotto di produzione di quello incriminato.
Il reperto inviato all’Istituto Zooprofilattico di Roma è stato
sottoposto alla ricerca di tossine e di spore botuliniche
mediante metodo CDC che prevede il Mouse test (MT).
La misurazione del pH è stata ottenuta con il pHmetro Seven
Multi Mettler Toledo, l’aw con il Rotronic Hygrolab 3.
La ricerca della tossina ha previsto l’estrazione dal materiale
in esame in Tampone Fosfato Gelatina (TFG) freddo incubato
per 6-8 ore a 5°C e la doppia filtrazione con filtri da 0,45μ e
da 0,22μ.
Successivamente si è proceduto con l’inoculazione per via
peritoneale di tre coppie di topi per ciascun campione in
esame di:
- 1 ml di filtrato “tal quale”;
- 1 ml di filtrato addizionato con antitossina polivalente (anti
A, B, E);
- 1 ml di filtrato trattato termicamente a 100°C per 10’;
pari a 0,5 ml per soggetto.
I campioni risultati positivi sono stati quindi inviati all’Istituto
Superiore di Sanità per la tipizzazione della tossina botulinica
mediante Mouse Assay metodica CDC, che prevede l’uso di
antitossina monovalente per ogni tipo di tossina botulinica e
per la ricerca delle spore neurotossigene mediante metodo
colturale CDC e con metodo PCR quadruplex.
INTRODUZIONE
Il botulismo alimentare è causato da una potente
neurotossina prodotta da Clostridium botulinum e raramente
da C. baratii e da C. butyricum.
Tale tossina può essere presente negli alimenti, soprattutto in
quelli che durante il ciclo produttivo subiscono un insufficiente
trattamento termico o hanno un pH non inferiore a 4,6 e
devono essere conservati a temperature di refrigerazione.
Esistono 7 differenti tossine botuliniche (A-G) di cui la A, B, E
e più raramente la F, provocano il botulismo nell’uomo.
Nella maggior parte dei casi C. botulinum produce un solo
tipo di tossina, rari infatti sono i ceppi in grado di formare 2
tossine contemporaneamente.
La forma classica di botulismo è quella alimentare
conseguente al consumo di alimento contenente la tossina
preformata. Il botulismo alimentare può colpire individui di
tutte le età e non è trasmissibile da persona a persona.
I sintomi solitamente si manifestano molto rapidamente, da
poche ore a pochi giorni dall’ingestione della tossina (6 ore 15 giorni). La tossina agisce bloccando il rilascio dei
neurotrasmettitori a livello delle placche neuromotrici
provocando una tipica paralisi flaccida discendente che può
anche avere esito letale.
I sintomi tipici sono quelli di una paralisi bulbare: diplopia,
annebbiamento della vista, afasia, difficoltà nella deglutizione,
secchezza delle fauci e debolezza.
Una diagnosi precoce sulla base dei sintomi clinici e dei
risultati delle analisi di laboratorio permette di instaurare un
protocollo terapeutico specifico efficace.
Focolai di botulismo sono comunque molto rari se paragonati
ad altre malattie alimentari. Dal 1984 al 2007 sono stati
confermati presso il CNRB 283 casi per 177 incidenti, con
un’incidenza annuale di 0,02 ogni 100.000 persone.
Il 60,8% dei casi è stato riportato da regioni del sud Italia ed il
veicolo alimentare è stato confermato in laboratorio nel 43%
dei casi. Il coinvolgimento di alimenti industriali/artigianali è
stata confermata in 18 incidenti che hanno coinvolto
complessivamente 38 persone.
RISULTATI
La ricerca della tossina è risultata positiva in 8 campioni, di
cui 7 presentavano un contenuto alterato nell’aspetto (4),
nella consistenza (2) e in taluni casi, gas (3) mentre 1 non
presentava alcuna alterazione.
I valori di pH dei campioni risultati positivi erano compresi tra
5,6 e 6,0 e l’aw tra 0,93 e 0,95.
Il Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo (CNRB) ha
confermato la presenza in tutti i campioni positivi, di tossina
botulinica tipo B e di C. Botulinum proteolitico tipo B.
DISCUSSIONE
L’indagine epidemiologica messa in atto già al momento del
ricovero dei pazienti con sintomatologia neurologica, ha
permesso di centrare l’attenzione sulla salsa tartufata bianca
sottovetro. Infatti questa preparazione comprende tra gli
ingredienti tartufi e funghi che sono di per sé matrici di difficile
pulizia.
La valutazione del protocollo di produzione della salsa in
esame ha destato non poche perplessità riguardo l’efficacia
del trattamento termico applicato al fine di ottenere la “sterilità
pratica” del prodotto, pari a 115°C per 7 minuti
Considerando la presenza di olio nella composizione del
prodotto la temperatura di sterilizzazione deve essere infatti
superiore ed adeguato il tempo di applicazione.
Molti sono i fattori che influenzano la resistenza al calore dei
microrganismi, i più rilevanti sono il grado di contaminazione
MATERIALI E METODI
Nel mese di maggio 2008 è occorso un caso di botulismo
alimentare che ha coinvolto due individui adulti con
sintomatologia gastrointestinale e neurologica.
Ricoverati presso una clinica privata di Milano, entrambi
hanno riferito il consumo di salsa tartufata bianca sottovetro il
giorno antecedente la comparsa dei primi sintomi, durante un
weekend in Toscana.
169
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
iniziale del prodotto (alta in questo tipo di matrice), le
caratteristiche del substrato (presenza di grassi, basso grado
di acidità (pH >4,6), elevati valori di aw, basso tenore di sale
e di additivi) ed il tipo di trattamento termico.
Un fattore che può influenzare la riuscita della sterilizzazione
è la velocità di penetrazione del calore dall’esterno verso
l’interno del prodotto, che può dipendere dalla consistenza e
dalla composizione del prodotto, dalle dimensioni del
contenitore, dal suo grado di riempimento e dalla natura del
recipiente e, non ultimo, dalla disposizione dei contenitori
all’interno dell’autoclave.
E’ importante conoscere il grado di contaminazione iniziale
delle materie prime per poter calcolare tutti i parametri del
processo di sterilizzazione, supponendo la presenza delle
specie batteriche più resistenti e tenendo un ampio margine
di sicurezza.
Bisogna altresì tenere presente che non sempre è possibile
trattare alcuni prodotti a temperature efficaci perché queste
ne altererebbero le caratteristiche organolettiche tipiche e la
palatabilità.
Per i prodotti non acidi e con aw elevata, un metodo di
contenimento del rischio botulinico è quello della
conservazione a temperatura di refrigerazione durante tutta la
shelf life, se questa è breve.
Un successivo episodio verificatosi in Liguria causato da
un’analoga produzione industriale/artigianale “Crema di
radicchio e noci”, solleva la problematica sulla pericolosità
intrinseca di tali prodotti che non vengono sottoposti a
sterilizzazione e che possono presentare dei parametri
favorevoli allo sviluppo di Clostridium botulinum.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
5.
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United States, 1899-1996. Handbook for Epidemiologists,
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105-120.
170
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
VALUTAZIONE DELLA CAPACITA’ PREDITTIVA DEL POZZETTO DI DRENAGGIO DELLE ACQUE PER IL
MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA MONOCYTOGENES NEI CASEIFICI
1
1
1
2
3
Fraccalvieri R. , Parisi, A. , Latorre L. , Sarli G. , Normanno G. , Santagada G.
1
3
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia ; ASL 2 Potenza;
Università degli Studi di Bari, Facoltà di Medicina Veterinaria – Dip. Sanità e Benessere Animale Valenzano (BA)
Key Words : Pozzetto di drenaggio, L. monocytogenes, Valore predittivo
SUMMARY
In this survey, the results of 32 cheese factories were
elaborated to verify the capacity of the floor drain analysis to
reveal the presence of Listeria monocytogenes in dairy
plants. The sensitivity, specificity, positive and negative
predictive value were calculated showing the high efficacy of
this sampling site in monitoring L. monocytogenes
contamination in dairy farms.
Nel corso del presente lavoro abbiamo voluto verificare la
capacità del pozzetto di drenaggio di svelare la presenza di L.
monocytogenes all’interno dei caseifici ed a tal fine abbiamo
elaborato retrospettivamente i risultati dei 32 caseifici sopra
citati.
MATERIALI E METODI
In ogni caseificio era stato effettuato un solo sopralluogo,
durante il quale erano state prelevate numerose matrici
alimentari ed ambientali, lungo tutta la filiera produttiva
(tab.1).
La ricerca di L. monocytogenes è stata condotta secondo la
metodica ISO 11290-1:1996 e Amendment 1-2004 (2;3),
nella quale, per i prodotti lattiero-caseari, la specificità è del
96,5% mentre la sensibilità va dal 100% per gli alti livelli di
contaminazione all’85,9% per i bassi livelli di contaminazione.
Al fine di valutarne la capacità predittiva, assimilando l’esame
batteriologico del pozzetto ad un test diagnostico utilizzabile
per la valutazione della contaminazione dei caseifici, abbiamo
stabilito di considerare per convenzione:
“contaminati” i caseifici in cui almeno una matrice
alimentare o una superficie a contatto con gli alimenti
risultava positiva per L. monocytogenes
“non contaminati” tutti gli altri caseifici
“veri positivi” i pozzetti positivi in caseifici “contaminati”
“veri negativi” i pozzetti negativi in caseifici “non
contaminati”
“falsi negativi” i pozzetti negativi in caseifici “contaminati”
“falsi positivi”
i pozzetti positivi in caseifici “non
contaminati”.
In base ai risultati ottenuti sono stati calcolati : Sensibilità
(a/(a+c)) probabilità che un caseificio contaminato risulti
pozzetto-positivo; Specificità (d/(b+d)) probabilità che un
caseificio non contaminato risulti pozzetto-negativo; Valore
predittivo POS. (a/(a+b)) probabilità che un caseificio
pozzetto-positivo sia contaminato; Valore predittivo NEG.
(d/(c+d)) probabilità che un caseificio pozzetto-negativo sia
non contaminato. Dove:
a = Pozzetto Pos - Caseificio Contaminato (vero +)
b = Pozzetto Pos - Caseificio Non Contaminato (falso +)
c = Pozzetto Neg - Caseificio Contaminato (falso -)
d = Pozzetto Neg - Caseificio Non Contaminato (vero -)
INTRODUZIONE
Il genere Listeria comprende 6 specie: L. monocytogenes, L.
ivanovii, L. seeligeri, L. innocua, L. welshimeri e L. grayi. Di
queste solo L. monocytogenes e L. ivanovii sono patogene.
L. monocytogenes è patogena per l’uomo e per gli animali
mentre L. ivanovii è principalmente un patogeno animale che
occasionalmente può dare malattia nell’uomo (7).
Listeria monocytogenes, negli ultimi 15-20 anni, ha suscitato
un grande allarme nell’ambito della sicurezza microbiologica
del comparto lattiero-caseario perché gli episodi di listeriosi
alimentare dovuti al consumo di latte e derivati hanno dato
origine a forme cliniche anche gravi, con un tasso di mortalità
elevato (circa 30%) (1). Le caratteristiche fisiologiche di L.
monocytogenes quali l’acidotolleranza, l’alotolleranza e la
psicrotrofia consentono a questo microrganismo di insediarsi,
adattarsi e svilupparsi anche nelle condizioni ambientali più
sfavorevoli (8;9). L’ubiquitarietà e la capacità di formare
biofilms rende estremamente difficile la radicale eliminazione
di L. monocytogenes dal caseificio in quanto numerosi sono
le nicchie adatte alla sua sopravvivenza e al suo sviluppo.
Nel corso di nostre precedenti indagini (5;6) abbiamo
esaminato la filiera di 32 caseifici rappresentativi della realtà
produttiva del territorio appulo-lucano, analizzando le matrici
alimentari (materia prima, semilavorati e prodotti finiti), le
superfici a contatto con le matrici alimentari lungo l’intera
filiera produttiva ed i pozzetti di drenaggio delle acque siti
nella sala di lavorazione del caseificio. Complessivamente
sono risultati positivi per L. monocytogenes 6 caseifici (6/32;
18,7%). Da queste analisi il pozzetto di drenaggio ha
evidenziato una prevalenza di contaminazione da L.
monocytogenes, significativamente (p<0,005) più elevata
rispetto agli altri siti ambientali .
Tab.1 campioni prelevati nei caseifici in esame
Matrici alimentari
n.
latte di giornata
latte refrigerato e stoccato
latte di post pastorizzazione
cagliata
tuma messa in forma
formaggio stagionato
formaggio a pasta filata
formaggio fresco
siero per produzione della ricotta
ricotta
altre matrici
18
25
2
31
19
42
25
13
25
28
7
Positivi
N. %
1 4,0
1 3,2
1 5,3
2 8,0
1 3,5
-
Superfici a contatto con l'alimento
Positivi
N.
%
filtri
32
caldaia per lavorazione cagliata
32 2
6,2
attrezzi per lavorazione cagliata
32 2
6,2
interno dei fuscelli
32 1
3,1
tavoli di sgocciolatura
32 3
9,4
assi di asciugatura e stagionatura
28 1
3,6
interno dei frigoriferi
23 1
4,3
mani del personale
32 2
6,2
altre superfici
10 1
10
Superfici non a contatto con l'alimento
pozzetto di scarico
32 6 18,8
171
n.
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RISULTATI
Nella tabella 2 è indicato il numero dei caseifici contaminati
con pozzetto positivo (a) e di quelli contaminati con pozzetto
negativo (c), il numero dei caseifici non contaminati con
pozzetto positivo (b) e di quelli non contaminati con pozzetto
negativo (d).
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
Tab.2 Caseifici contaminati da L. monocytogenes
CASEIFICI
POZZETTI
non
contaminati
contaminati
positivi
a:
6
b:
0
negativi
c:
0
d:
26
3.
4.
L'elaborazione dei dati della tabella 2 ha portato ai seguenti
risultati:
Sensibilità (a/(a+c)) probabilità che un
caseificio contaminato risulti pozzettopositivo
Specificità (d/(b+d)) probabilità che un
caseificio non contaminato risulti pozzettonegativo
Valore pred. POS. (a/(a+b)) probabilità che
un
caseificio
pozzetto-positivo
sia
contaminato
Valore pred. NEG. (d/(c+d)) probabilità che
un caseificio pozzetto-negativo sia non
contaminato
5.
100%
100%
6.
100%
7.
8.
100%
9.
DISCUSSIONE
Le nostre precedenti indagini (5;6) avevano indicato il
pozzetto di drenaggio come il sito più contaminato in quanto
aveva evidenziato una prevalenza di contaminazione da L.
monocytogenes significativamente più elevata rispetto agli
altri siti ambientali (p<0,005).
I valori di sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e
valore predittivo negativo relativi all’analisi batteriologica del
pozzetto sono risultati pari al 100% e ne hanno pertanto
confermato l’elevata capacità diagnostica dello status del
caseificio nei confronti della contaminazione da L.
monocytogenes.
Alla luce dei dati su esposti riteniamo che, nell’ambito del
piano di autocontrollo di un caseificio per la ricerca di L.
monocytogenes, sarebbe sufficiente limitarsi a monitorare
sistematicamente il solo pozzetto di drenaggio, riducendo
significativamente il numero di prelievi lungo il resto della
filiera con conseguenti vantaggi economici per gli operatori
del settore.
Ovviamente il pozzetto, oltre ad essere un valido indicatore
della presenza di L. monocytogenes nel caseificio, è altresì
una possibile fonte di contaminazione per il caseificio stesso
e pertanto le operazioni di sanificazione devono essere
svolte con grande attenzione; in particolare dovrebbe essere
rigorosamente vietato l’uso di getti di acqua a pressione per
la loro pulizia. Diversi autori segnalano infatti che i pozzetti di
drenaggio delle acque posti all’interno del caseificio
rappresentano un importante fattore di rischio in quanto la
loro pulizia mediante l’uso di getti di acqua a pressione
potrebbe generare aerosol che, favoriti da correnti o da
sistemi forzati di circolazione dell’aria, diffondono i
microrganismi nell’ambiente (4).
Aureli P., Ferrini A.M., Gianfranceschi M., Marongiu C.,
1990. Contaminazione degli alimenti: risultati delle
esperienze in Italia dei servizi di sorveglianza. In Atti
“Giornata di studio su Listeriosi: diagnosi, patologia,
terapia”. Istituto Sup. Sanità, Milano 23.10.1990
International Organization for Standardization. ISO 112901:1996 “Microbiology of food and animal feeding stuffs—
horizontal method for the detection and enumeration of
Listeria monocytogenes – Part 1 : Detection metod “
ISO 11290-1:1996
Amendement 1 2004-10-15
“Modification of the isolation media and the haemolisis test,
and inclusion of precision data”
Kells J., Gilmour A. 2004. Incidence of Listeria
monocytogenes in two milk processing environments, and
assessment of Listeria monocytogenes blood agar for
isolation. Intern. J. Food Microbiol. 91: 167-174
Latorre L., Fraccalvieri R., Nuzzolese N., La Salandra G.,
Parisi A., Santagada G., 2006. Prevalenza di Listeria spp.
in caseifici bovini della Puglia e della Basilicata. Inatti XVI
Convegno
Nazionale
dell’Associazione
Nazionale
Veterinari Igienisti (A.I.V.I.) “Sicurezza alimentare: ruolo e
funzioni del veterinario ispettore europeo” 23 giugno 2006
Valenzano (Bari)
Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A.,
Santagada G. 2008. Prevalenza e caratterizzazione
genotipica di Listeria spp. in caseifici ovi-caprini della
Puglia e della Basilicata Industrie alimentari 480, 486-493
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science. Dairy Food Environmental Sanitation, 14, 70
Ryser E. T., Marth E. H., 1991. Listeriosis, and food safety.
Marcel Dekker, Inc. New York
RINGRAZIAMENTI: Si ringraziano per la collaborazione
tecnica il dott. Leopoldo Contò e la dott.ssa Cristina
Tremamunno.
Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del
Ministero della Salute (Ricerca corrente IZSPB04/05)
172
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
TAYLORELLA ASINIGENITALIS: PRIMA SEGNALAZIONE IN ITALIA IN STALLONI ASININI
Franco A.1, Di Egidio A.1, Troiano P.2, Putrella A.2, Maggi A.3, Iurescia M.1, Lorenzetti R1, Zini M. 1, Ianzano A. 1, Onorati
R. 1, Onorati C.1, Cerci T. 1 , Autorino G. L. 1 e Battisti A. 1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata,
3
Foggia; Veterinario Libero Professionista convenzionato con Istituto Regionale Incremento Ippico Pugliese di Foggia
Key words: Taylorella asinigenitalis, isolamento, identificazione, equini
I due isolati batterici, presuntivamente identificati come
sospetto T. equigenitalis, sono stati inviati al Centro di
Referenza Nazionale per le malattie degli equiini (CeRME)
presso IZS delle Regioni Lazio e Toscana, Roma, per la
conferma. L’identificazione formale delle due specie di
Taylorella non è infatti ottenibile con metodi fenotipici né con
metodi sierologici. Per l’identificazione definitiva dell’isolato il
Centro di Referenza Nazionale ha effettuato oltre alle prove
fenotipiche previste dallo Standard OIE (OIE, 2008), anche
prove molecolari di consenso internazionale (First OIE CEM
Conference, 2007), che hanno identificato l’isolato come T.
asinigenitalis. A seguito della segnalazione di positività al
Servizio Veterinario ASL ed al Centro Regionale di
Incremento Ippico di competenza Allo scopo di evitare
l’ulteriore possibile trasmissione nella popolazione di asini e
cavalli i due stalloni asinini sono stati trattati con
trimethoprim-sulfadiazina i. m. 30 mg/Kg BID and sottoposti a
lavaggi genitali con Clorexidina 4% per 10 giorni. I successivi
controlli per Taylorella spp. ai giorni 14, 21, 28 dall’inizio della
terapia e nei successivi tre mesi ad intervalli mensili hanno
dato esito negativo.
ABSTRACT
Taylorella asinigenitalis colonisation is reported for the first
time in Italy from two donkey jacks of the endangered Martina
Franca breed stabled in the regional institute of horse and
donkey breeding in Apulia, Southern, Italy. The isolates were
phenotypically indistinguishable from T. equigenitalis, and
were identified by a multiplex PCR assay and sequencing of
the 706-bp product fragment from the 16S rRNA. The origin
of the infection remains unclear, as epidemiological field
investigations and sampling of all the equids that had been in
contact with the positive jacks gave negative results.
INTRODUZIONE
La Metrite Contagiosa Equina (CEM) è una malattia venerea
contagiosa degli equidi, sostenuta da un batterio Gram
negativo, Taylorella equigenitalis, descritto per la prima volta
nel Regno Unito nel 1977. (Timoney et al., 1977; Crowhurst
et al., 1979, Sugimoto et al., 1983, Timoney, 1996). La
malattia è stata in seguito osservata in vari paesi dell’Europa
e nel mondo ed è inclusa nell’ex Lista B del Codice
zoosanitario dell’Office International des Epizooties (OIE,
2007) per il notevole impatto negli scambi internazionali di
equidi. E’ trasmessa nella maggior parte dei casi da stalloni
carrier asintomatici, in cui l’agente colonizza le mucose
urogenitali. . II sintomi clinici, presenti nel 30-40% delle fattrici
infette, includono scolo mucopurulento lieve o copioso,
cervicite e vaginite. E’ descritto nelle fattrici anche lo stato di
portatore per periodi prolungati (OIE, 2008).
Nel 1997 un organismo T. equigenitalis-like isolato da asini e
cavalli in California e Kentucky (Katz et al., 2000; Jang et al.,
2001), fu classificato nella nuova specie T. asinigenitalis sulla
base di studi tassonomici molecolari (Jang et al., 2001). Il
batterio è fenotipicamente indistinguibile da T. equigenitalis e
non causa apparentemente forme cliniche nelle asine e nelle
cavalle (Jang et al., 2001, Arata et al., 2001), ma può causare
problemi di misclassificazione come T. equigenitalis (e
conseguenti misure di prevenzione e controllo), allorché si
usino soltanto metodi fenotipici o anche metodi molecolari
non adeguati per l’alto livello di omologia nelle sequenze dei
due agenti (Bleumink-Pluym et al., 1994; Moore et al., 2000).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’origine dei due isolati di T. asinigenitalis ad oggi non è
ancora nota. I due stalloni positivi erano risultati negativi
durante gli screening della stagione di monta precedente e
pertanto avevano servito regolarmente. Le indagini
epidemiologiche ed I campionamenti di tutti le fattrici e gli
stalloni asinini che erano venuti in contatto con i due soggetti
positivi hanno dato esito negativo, così come i soggetti della
specie equina stabulati presso IRIIP. Infatti esiste la
possibilità di trasmissione orizzontale degli agenti del Genere
Taylorella tra gli stalloni degli equidi, così come già descritto
per T. equigenitalis (Burger & Dobretsberger, 2007). Tutti gli
altri stalloni asinini ed equini stabulati presso IRIIP hanno
dato esito negativo in tre successivi controlli effettuati ad
intervalli mensili. Allo scopo di evitare l’ulteriore possibile
trasmissione nella popolazione di asini e cavalli i due stalloni
asinini sono stati trattati con esito negativo alla fine della serie
dei controlli suggeriti dal Centro di Referenza Nazionale. Le
due specie di Taylorella spp. sono altamente correlate da un
punto di vista genetico con un’omologia di sequenza di circa il
98%. Si ritiene che al pari di T. equigenitalis anche T.
asinigenitalis vi sia un’elevata omogeneità genetica tra i ceppi
circolanti. (Båverud et al., 2006).
Per svelare lo status di colonizzazione o infezione da agenti
del Genere Taylorella negli equidi, risulta di fondamentale
importanza l’accurato campionamento dei materiali biologici
degli animali sottoposti a screening, l’accurata conservazione
di tali materiali durante il trasporto in laboratorio e la
consegna per le prove di laboratorio entro le 24-48 ore dal
prelievo (OIE, 2008). E’ inoltre fondamentale che le prove di
laboratorio vengano effettuate presso laboratori ufficiali
accreditati secondo Standard Internazionali (ISO 17025).
In
conclusione,
la
prima
segnalazione
di
colonizzazione/infezione naturale da T. asinigenitalis in Italia
dimostra che l’agente è presente nella popolazione asinina
del territorio italiano ed è potenzialmente trasmissibile ad
animali della specie equina. Tale evenienza potrebbe
causare misidentificazione dell’agente come T. equigentitalis,
MATERIALE E METODI
Durante i controlli sanitari di routine effettuati ai fini
dell’abilitazione degli stalloni equini ed asinini alla monta
presso l’Istituto Regionale per l’Incremento Ippico (IRIIP) di
Foggia, due stalloni asinini della razza Martina Franca di 5 e
9 anni nati ed allevati in regione Puglia sono stati sottoposti a
prelievi di tamponi dell’apparato genitale per CEM secondo
protocolli internazionali presso l’IZS Puglia e Basilicata, Sede
Centrale di Foggia. I tamponi sono stati sottoposti a prova per
T. equigenitalis secondo procedura accreditata presso l’U. O.
Diagnostica Generale (OIE, 2008).
RISULTATI
Le colture hanno rivelato crescita di microrganismi riferibili a
Taylorella, con caratteristiche fenotipiche compatibili con
l’agente eziologico della CEM (catalasi, ossidasi, fosfatasi
positivi ed areattivi ad un panel miniaturizzato di test
biochimici (API 20NE bioMerieux). Il test di agglutinazione al
latice (OIE, 2008) impiegato è risultato positivo.
173
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
con conseguenti problemi di carattere economico e di polizia
veterinaria relativi agli scambi ed alle movimentazioni
nazionali ed internazionali.
E’ importante ricordare che ad oggi l’infezione da Taylorella
equigenitalis non è ancora soggetta a denuncia obbligatoria
sul territorio nazionale, a differenza di quanto avviene in altri
Paesi, e nonostante gli accurati controlli sanitari richiesti e le
restrizioni imposte a livello internazionale in quanto malattia
compresa nell’ex Lista B OIE).
A tale proposito, nel corso del 2007 e del 2008 il Centro di
Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini ha potuto
confermare la presenza di T. equigenitalis in n= 7 stalloni
nazionali, isolata e presuntivamente identificata presso i
laboratori ufficiali degli IIZZSS. E’ altresì molto sentita da
parte del settore dell’allevamento e della veterinaria equini la
necessità di avere, oltre a protocolli di screening e di terapia
per l’eradicazione dell’infezione dai soggetti positivi, anche
chiare disposizioni normative a livello nazionale. Tali
disposizioni consentirebbero la segnalazione ufficiale
all’autorità sanitaria dei soggetti positivi, l’espletamento
dell’indagine epidemiologica (incluso tracing back), la corretta
ed univoca applicazione delle misure igienico-sanitarie per i
soggetti e i gruppi di animali con soggetti positivi o sospetti: in
definitiva, una adeguata gestione della sorveglianza e del
controllo della malattia secondo gli standard sanitari
internazionali.
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano la S.ra Annamaria D’Ecclesia e il Sig. Francesco Tolve
del Laboratorio di Diagnostica Generale Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Puglia e della Basilicata
BIBLIOGRAFIA
Arata, A.B., Cooke, C.L., Jang, S.S., Hirsh, D.C., 2001. Multiplex
polymerase chain reaction for distinguishing Taylorella
equigenitalis from Taylorella equigenitalis-like organisms. J. Vet.
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174
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
1
1
1
2
2
Laboratorio Diagnostica Clinica; Analisi del rischio e sistemi di
sorveglianza in Sanità Pubblica.
CIRCUITO INTERLABORATORIO DI
MICROBIOLOGIA DIAGNOSTICA:
RICERCA TAYLORELLA EQUIGENITALIS
Key words: Circuito Interlaboratorio, Assicurazione Qualità,
Taylorella equigenitalis.
1
Friso S., Perin R., Mancin M. e Corrò M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro,
Padova
sanitari. Ogni distribuzione consta di sei campioni prova
liofilizzati, opportunamente identificati che vengono inviati ai
laboratori partecipanti a temperatura controllata (+4°C±3°C),
rispettando le condizioni previste dalla normativa vigente
riguardante il trasporto di materiale biologico (7). I campioni
prova sono corredati di scheda di sicurezza, istruzioni per la
conservazione ed il ripristino del liofilizzato, la modulistica da
compilare per la registrazione dei risultati. Ogni laboratorio
esterno all’IZSVe è libero di applicare le proprie procedure
per l’analisi dei campioni prova mentre i laboratori dell’Istituto
utilizzano la procedura accreditata PDP DIA 03, redatta
secondo le indicazioni del Manuale OIE (5).
Per la preparazione dei campioni prova si utilizzano ceppi
batterici di riferimento (ATCC, NCTC) e ceppi batterici isolati
ed identificati nel corso dell’attività diagnostica. Si producono
più tipologie di campioni prova con le seguenti caratteristiche:
colture in purezza con cariche diverse e note di Taylorella
equigenitalis; colture costituite da uno o due ceppi batterici
(contaminanti) associati o meno a T. equigentalis e campioni
prova sterili.
Una volta preparate e titolate, le sospensioni batteriche
vengono addizionate ad un crioprotettore (latte sterile con 0.1
% di grassi oppure siero equino sterile, diluito 1:2 in soluzione
fisiologica) e successivamente liofilizzate (liofilizzatore
Edward Minifas 6000) secondo il seguente schema:
raffreddamento a –40°C (±5°C) per almeno 12 ore; fase di
-1
“vuoto” con il raggiungimento di una pressione di 1.10 .
mbar, cui segue innalzamento graduale della temperatura
fino a -10°C (±3°C) che viene mantenuto per 12 ore;
riscaldamento a +15°C (±1°C) per almeno 2 ore e chiusura
ermetica dei flaconi. Ogni lotto di liofilizzato prodotto viene
controllato con criteri statistici per valutarne l’accettabilità,
l’omogeneità e la stabilità.
Per verificare l’accettabilità del lotto si campiona casualmente
un numero n di flaconi, tenendo conto della consistenza del
lotto prodotto, di solito limitata (50-100 flaconi). Stabilito a
priori di eliminare l’intera produzione in caso di presenza
anche di una sola non conformità (C=1), la probabilità di
accettazione del lotto (0”P”1) in funzione della percentuale di
non conformità presenti e della numerosità campionaria n
(n=5, n=10, n=25, ecc.) è rappresentata dalla curva operativa
caratteristica del piano di campionamento semplice per
attributi (figura 1).
ABSTRACT
In this paper we describe methods used to set up a
Qualitative Proficiency Testing for diagnostic labs (AQUA,
Diagnostic Microbiology Scheme), about isolation and
identification of Taylorella equigenitalis. Six years of work
experiences and results are presented.
INTRODUZIONE
La normativa nazionale ed internazionale vigente (6)
stabilisce i requisiti sanitari per gli equidi destinati alla
riproduzione tra i quali anche l’assenza di infezione da
Taylorella equigenitalis, agente eziologico della metrite
contagiosa equina (C.E.M). Il metodo ufficiale di prova
riconosciuto per gli scambi internazionali è l’esame colturale
eseguito su tamponi uretrali e prepuziali di equino.
Per la corretta esecuzione dell’analisi, per garantire
l’attendibilità dei
risultati e rispondere ai criteri di
miglioramento continuo previsti dal Sistema Qualità, i
laboratori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali incaricati
delle indagini, applicano ormai integralmente le norme
previste dal sistema Qualità (8). Tuttavia mancano ancora
strumenti adeguati per valutare le performance dei laboratori
che svolgono attività di tipo diagnostico.
Per ovviare a tale carenza il laboratorio di Diagnostica Clinica
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
(IZSVe) ha attivato, prima in via sperimentale (dal 2003 al
2006) e successivamente in forma ufficiale (dal 2007), un
circuito interlaboratorio di carattere qualitativo per
l’isolamento e l’identificazione di Taylorella equigenitalis.
L’intento iniziale era di confrontare e standardizzare le
metodiche utilizzate dai diversi laboratori e di valutare
l’efficacia delle procedure applicate, considerato il fatto che il
microrganismo non veniva segnalato ufficialmente sul
territorio nazionale da oltre un decennio. Oltre a ciò il circuito
voleva essere un momento di incontro e di scambio tra
laboratori di diversi istituti per discutere le problematiche
incontrate nell’esecuzione della prova e concordare eventuali
miglioramenti ed azioni correttive. Oggi con l’ufficializzazione
del circuito e l’avvio di un percorso per la Certificazione delle
prove interlaboratorio gestite secondo le norme ISO/IEC
Guide 43-1:1997(E) e ILAC G13:2000, l’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale delle Venezie si propone di fornire uno
strumento accessibile ed economico per la valutazione delle
performance di laboratorio, che tenga conto dei differenti
ambiti di attività e che si rivolga con particolare attenzione ai
laboratori che svolgono attività di tipo diagnostico.
Il circuito, denominato “Circuito Interlaboratorio per
l’Assicurazione Qualità dei Risultati (AQUA) (2) comprende
più tipologie di analisi destinate a laboratori che operano in
settori diversi, suddivise in schemi: Batteriologia Alimentare,
Chimica, Sierologia, ecc., tra cui anche lo schema di
Microbiologia Diagnostica (MD) con la ricerca di Taylorella
equigenitalis.
Figura 1: Curva operativa caratteristica per n=5, n=10, N=25.
C ur v a ope r a t i v a c a r a t t e r i s t i c a
1
n=5, C=1
0, 8
n=10, C=1
0, 6
n=25, C=1
0, 4
0, 2
0
0, 00
0, 00
0, 02
0, 05
0, 09
0, 13
0, 17
0, 21
0, 25
0, 29
0, 33
0, 37
0, 41
0, 45
0, 49
P e r c e n t u a l e d i n o n c o n f o r mi t à n e l l o t t o ( p )
MATERIALE E METODI
Attualmente tredici laboratori di cinque istituti zooprofilattici
partecipano al circuito di microbiologia diagnostica, ogni
laboratorio è identificato con un codice alfa numerico per
garantirne l’anonimato. Il circuito comprende due distribuzioni
annuali programmate per i mesi di febbraio e novembre in
modo da coincidere con i periodi di maggiore attività per la
riproduzione degli equidi e lo svolgimento dei relativi controlli
In pratica si accetta il lotto se tutti gli n flaconi esaminati sono
conformi, mentre si elimina se anche un solo flacone dovesse
risultare non conforme. Sullo stesso numero di flaconi si
verificano inoltre l’omogeneità e la stabilità del lotto
eseguendo in doppio la carica batterica. In ogni caso le prove
175
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
di omogeneità e di stabilità vengono ripetute ad ogni nuovo
circuito su tutti i lotti di campioni prova scelti prima dell’invio.
I risultati inviati dai laboratori partecipanti vengono elaborati
utilizzando la statistica Kappa di Cohen (K) che permette di
valutare il grado di concordanza tra risultati ottenuti e risultati
attesi per ogni laboratorio. La statistica K, può assumere
valori compresi tra –1 (massimo disaccordo) e +1 (massimo
accordo). Per l’interpretazione dei valori intermedi si rimanda
alla scala di Landis & Koch (tabella1) (1,4).
latte UHT a basso tenore di grasso come crioprotettore,
permette una migliore solubilizzazione del liofilizzato rispetto
al siero equino.
Inizialmente c’è stata una certa difficoltà da parte di alcuni
laboratori ad isolare ed identificare correttamente Taylorella
equigenitalis nei campioni prova, ma notevoli progressi si
sono ottenuti proprio grazie allo studio delle combinazioni dei
microrganismi, bilanciando le concentrazioni batteriche ed
utilizzando terreni di coltura di adeguata composizione e di
buona qualità. Tutto ciò ha permesso di preparare un
campione prova con caratteristiche ottimali, stabile ed
omogeneo. Il miglioramento dei risultati è visibile
dall’elaborazione statistica dei dati inviati dai laboratori
partecipanti alla prova. In molti casi è di fatto evidente un
aumento del valore di concordanza tra i risultati ottenuti dai
singoli laboratori e risultati attesi.
Il trend positivo del circuito interlaboratorio è il risultato della
standardizzazione della metodica per la preparazione dei
campioni prova, delle conoscenze acquisite sulle interazioni
tra specie microbiche, dell’utilizzo di terreni di coltura più
adatti all’isolamento del microrganismo e dell’esperienza
maturata da tutti i partecipanti alla prova nell’isolamento ed
identificazione del microrganismo.
Come si osserva dalla tabella 2, la maggior parte dei
laboratori hanno raggiunto un valore “buono” o “ottimo” di
concordanza, rispondendo completamente agli obiettivi
prefissati con la realizzazione del circuito interlaboratorio.
Solo due laboratori hanno mostrato una lieve flessione nei
valori del 2008 I° semestre che rimangono tuttavia nell’ambito
di una “buona” concordanza.
Inoltre il lavoro svolto per la preparazione del circuito di
microbiologia diagnostica ha permesso di aumentare le
competenze degli operatori tecnici e di approfondire
conoscenze microbiologiche da condividere con i colleghi di
altri laboratori.
Tabella 1: scala di Landis & Koch
K
d0
0.01-0.20
0.21-0.40
0.41-0.60
0.61-0.80
0.81-1.00
Concordanza
Scarsissima
Scarsa
Discreta
Moderata
Buona
Ottima
RISULTATI
Nella tabella 2 si riportano i valori di K dei laboratori
partecipanti al circuito dal 2003 ad oggi (I° semestre 2008).
Nove laboratori hanno partecipato a tutti i circuiti organizzati,
tre in modo discontinuo e un laboratorio ha aderito alla prova
dal 2005 in poi.
Tabella 2: Valori di K rilevati per laboratorio dal 2003 al 2008
(I° semestre): 2003-2006 fase sperimentale.
Legenda : * 2008 I° semestre; (-) risultati non pervenuti
Codice
lab.
2003
2004
2005
2006
2007
2008*
Lab. 1
1
1
1
1
1
1
Lab. 2
0,75
1
1
0,7143
1
0,6667
Lab. 3
0,75
1
1
1
0,8
1
Lab. 4
1
0,7143
1
1
0,6
1
Lab. 5
0,75
1
1
0,7143
1
0,6667
Lab. 6
0,25
1
1
1
-
-
Lab. 7
1
1
1
1
0,8
1
Lab. 8
0,5
1
1
1
1
1
Lab. 9
1
1
1
1
1
1
Lab. 10
0,25
0,7143
1
0,7143
0,8
1
Lab. 11
-
-
1
1
1
1
Lab. 12
-
-
-
0,5
-
-
Lab. 13
-
-
-
0,7143
-
-
Bibliografia
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25/10/94 n° 91); Circolare Ministero della Sanità 31
gennaio 1995, n°3; Nota del Ministero della Salute
“Malattie degli equidi. Metodologie diagnostiche per le
malattie degli equidi riproduttori maschi ai fini della
disciplina della riproduzione animale” 15 maggio 2005).
7. Circolare Ministero della Salute “Raccomandazioni per la
sicurezza del trasporto di materiali infetti e di campioni
diagnostici” 8 maggio 2003, n°3.
8. UNI CEI EN ISO/IEC 17025: 2005 “Requisiti generali per la
competenza dei laboratori di prova e di taratura”
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Le principali difficoltà tecniche incontrate nella realizzazione
del circuito riguardano in particolare la preparazione dei
campioni prova. Infatti, a causa delle caratteristiche di
Taylorella equigenitalis, crescita lenta (48-72 ore), necessità
di fattori di crescita, esigenze colturali specifiche (condizioni
di incubazione ed isolamento in terreni di coltura contenenti
antibiotici), interazioni con altri
microrganismi (sinergie,
antagonismi), ecc. (5), si presenta il problema di controllare la
crescita dei contaminanti batterici che spesso avviene a
scapito del patogeno da isolare. Pertanto è stato effettuato
uno studio accurato per l’individuazione delle specie
batteriche e delle concentrazioni ottimali di questi
microrganismi che permetta di ottenere un campione prova
che sia rappresentativo della situazione reale e simuli la flora
microbica dei genitali esterni degli equini. Un altro
inconveniente
tecnico
emerso
nel
corso
della
sperimentazione, riguarda le caratteristiche del liofilizzato in
fase di risospensione . Si è constatato infatti che l’utilizzo del
176
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RIFLESSI CLINICI E LABORATORISTICI DI UN REGIME ALIMENTARE IPERPROTEICO NEL CANE
Fusari A., Ubaldi A., Quintavalla F., 1Venturelli B., 1Venturelli G.
1
Dipartimento di Salute Animale. Università degli Studi di Parma: Chemivit s.r.l., Quattrocastella, RE
Keywords: cane, nutrizione,biochimica clinica
INTRODUZIONE
Il cane a seguito delle sue origini evolutive è classificato
come “carnivoro”, anche se nella realtà cinofila è
sottoposto ad un regime alimentare che si discosta dalle
peculiarità del carnivoro per avvicinarsi a quelle
dell’onnivoro. Nella dieta del cane, infatti, sono previsti
alimenti che non rientrano nella dieta di un carnivoro, quali
vegetali fibrosi, cereali diversamente trattati, ecc.
In accordo con quanto sopra descritto, gli esperti di
nutrizione prescrivono per il cane dei tassi proteici nella
dieta pari al 25-32%.
La via migliore per soddisfare i
fabbisogni proteici è, sino ad ora, l’impiego delle proteine
della carne, anche in base alla conoscenza che la
composizione aminoacidica risulta la più vicina alla
composizione teorica del tuorlo d’uovo.
Il tasso proteico indicato per il cane può essere raggiunto
anche con alimenti proteici diversi dalla carne, come i
cereali o i prodotti proteici cosiddetti “tecnologici”. Essi
sono essenzialmente dei complessi proteici ricavati
dall’industria. A scopo esemplificativo si può citare il caso
delle proteine ricavate dal siero di latte, oppure i derivati dei
lieviti (lisati proteici). Questi prodotti tecnologici vantano dei
contenuti proteici nettamente superiori alla carne e
prossimi al 41% .
La presente nota riferisce sui risultati di una
sperimentazione su cani di razza Siberian Husky cui è
stata somministrata una razione alimentare contenente
quote proteiche variabili ed elevate, che aveva lo scopo di
individuare i limiti di compatibilità metabolica dei regimi
iperproteici indotti con proteine tecnologiche nel cane.
MATERIALI E METODI
Animali: n. 17 cani adulti di razza Siberian husky, di cui 11
maschi e 6 femmine. I soggetti selezionati per la presente
sperimentazione avevano un’età compresa tra 4 ed gli 11
anni. Il peso medio delle femmine era di 18 Kg e 23 Kg
per i maschi.
Alimentazione: L’alimento “di base” dell’allevamento è
costituito da: carne di pollo fresca, carne di tacchino fresca,
mangime composto integrato del commercio. La razione
giornaliera era così formulata: 3,5 Kg di carne di pollo, 1,5
Kg di carne di tacchino, 3 Kg di mangime composto
integrato. Da cui si ricava una media di 0,44 Kg per cane al
giorno. Valore che però è stato modificato ed adattato in
base al peso ed al sesso dei singoli cani. Alle quantità
riportate deve essere aggiunta la quantità di concentrato
proteico vegetale anallergico (Sostanza secca totale 95%,
Proteine grezze 41%, Grassi greggi 5%, Carboidrati totali
35%, Ceneri 8%) nelle tre settimane di durata della prova:
nella prima settimana è stato aggiunto il 5% che
corrisponde ad un peso di 400 grammi aggiunti alla razione
giornaliera totale; nella seconda settimana la percentuale di
prodotto aggiunto è salita al 10%, che corrisponde ad un
peso di 800 grammi aggiunto alla razione giornaliera totale;
nella terza settimana la percentuale è salita al 25%, che
corrisponde ad un peso di 2 Kg da aggiungere alla razione
giornaliera.
Il mangime composto integrato utilizzato, la cui
composizione è riportata di seguito, era reperito sul
mercato: umidità 8,00%: proteina grezza 30,00%: grassi
grezzi; 21,00% fibra grezza 2,15%; ceneri 7,20%; calcio
1,50%; fosforo 1,10%. ingredienti: carne fresca di pollo e
tacchino (min. 25%) carni disidratate di pollame, mais, riso,
strutto suino, idrolizzato proteico di pollo, polpe di
barbabietola, lievito di birra, vitamine e minerali,
bioflavonoidi, L-carnitina. Preservato con vitamina E.
Contiene inoltre acido linoleico 3,7%. Integrazione
vitaminico-minerale (per Kg di prodotto): vit. A 14.400 U.I.;
vit. D3 1.080 U.I.; vit. E (alfa-tocoferolo) 290 mg; rame
(solfato rameico pentaidrato) 16 mg.
Alla prova di somministrazione descritta è seguito un
periodo di 30 giorni di ripristino della normale razione
alimentare.
Prelievi di campioni biologici: i prelievi ematici sono stati
effettuati prima dell’inizio della sperimentazione (T0), allo
scopo di determinare i valori fisiologici dei cani prima della
somministrazione
del
prodotto
innovativo
in
sperimentazione, e un prelievo alla fine della
somministrazione (T1).
Analisi di laboratorio: le indagini ematochimiche erano volte
ad individuare le eventuali modificazioni plasmatiche. I test
analitici plasmatici eseguiti sono stati: proteine totali
(P.TOT.), albumina (ALB.), globuline totali (GLOB.),
glucosio (GLUC.), urea (UREA), creatinina (CREAT.),
acido urico (AC. UR.), GOT, GPT, bilirubina totale
(BIL.TOT.), colesterolo totale (COL.TOT.), colesterolo-HDL
(COL-HDL), trigliceridi (TRIGL.) e fosfo-lipidi (P-LIP.).
Osservazioni e controlli clinici: Gli animali impiegati nella
prova sono stati sottoposti ad un costante e programmato
controllo clinico.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nella tabella sono riportati i valori medi di analisi suddivisi
per sesso, ristretti ai parametri biochimico clinici che hanno
presentato un comportamento significativo. I parametri
omessi non hanno presentato alcuna variazione durante lo
svolgimento della prova e nel periodo successivo. Dai
risultati sperimentali si evince che :
1. i valori di uremia mostrano un aumento sensibile, in
rapporto all’elevato tasso proteico della razione finale
della terza settimana
2. i valori di creatininemia mostrano una sostanziale
invariabilità
3. i valori di colesterolemia totale mostrano un
significativo aumento nel gruppo delle femmine,
mentre la variazione non è rilevante nel gruppo dei
maschi
4. le variazioni nei valori di colesterolo-HDL hanno lo
stesso andamento dei valori di colesterolemia totale
5. i valori di trigliceridemia mostrano un lieve aumento,
non statisticamente significativo
6. si osserva un aumento nei valori dei fosfo-lipidi, non
statisticamente significativo
7. si registrano valori contrastanti nei livelli di uricemia,
perché il gruppo delle femmine mostra un lieve
calo,mentre nel gruppo dei cani maschi il
comportamento è inverso
il punto 1 è da intendersi come la conseguenza
dell’eccesso proteico creato dalla aggiunta del 25% del
prodotto iperproteico anallergico. L’eccesso è stato
precedentemente programmato, allo scopo di saggiare gli
eventuali effetti tossici della razione alimentare. L’eccesso
proteico sarebbe stato giudicato potenzialmente tossico se
anche il punto 2 avesse mostrato un aumento sensibile
della creatininemia. Evenienza che non è stata misurata
analiticamente, né osservata clinicamente, e che esclude
177
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Nei maschi l’aumento era di 11-13%, nelle femmine era di
6-8% del peso iniziale. Inoltre, l’aumento di peso maggiore
è stato rilevato in tre soggetti maschi che avevano in
comune i genitori, anche se nati in due gestazioni diverse.
Le misurazioni periodiche dei pesi corporei hanno mostrato
che le femmine sono rientrate prontamente sui valori
dell’inizio della prova dopo la sospensione della dieta
speciale, mentre i maschi hanno mantenuto un sovrappeso
per tempi decisamente più lunghi. I tre maschi
mantenevano un sovrappeso contenuto a distanza di
cinque mesi dal termine della prova.
CONCLUSIONI
La razione alimentare del cane, come è concepita
oggigiorno, prevede la presenza massiccia di carne e
quindi di un tenore proteico elevato in accordo con le
caratteristiche di carnivoro. L’aggiunta di concentrati
proteici di natura tecnologica costituisce una realtà legata
al mondo dello sport, nel quale ai cani sono chieste
prestazioni fisiche impegnative. Nel caso specifico, ai
Siberian Husky è chiesto di percorrere lunghi tratti in
condizioni atmosferiche estreme o comunque difficili per le
basse temperature. La tendenza dei cani alimentati con un
surpuls proteico ad accumulare grasso depone per una
spiccata tendenza ad utilizzare le fonti proteiche e quindi gli
aminoacidi come molecola iniziale per la sintesi lipidica.
La naturale predisposizione metabolica del Siberian Husky
a convertire prontamente l’eccesso proteico in lipidi evita il
sovraccarico renale di composti azotati con conseguenti
stati patologici. Inoltre, il concentrato proteico utilizzato ha
soddisfatto le previsioni di anallergicità indispensabili per
l’inclusione in diete speciali per cani che periodicamente
sono sottoposti a razioni alimentari iperproteiche.
SUMMARY
The introduction of “technological” food in the canine
nutrition to cover the increased needs in particular sportive
trail, without provoke pathologies or imbalance, has been
prooved in this trial. 17 dogs were fed with a diet added
with a hyperproteic concentrated nucleous to verify its the
innoquity on metabolism. Plasma analytical results confirm
that the supplementation applied did not provoke any
imbalance or pathology, but only slight changes in the
blood picture that normalize after the end of the trial.
REFERENCES
l’effetto tossico dell’aggiunta del prodotto iperproteico
anallergico. Il punto 2, come sopra descritto, ha assunto un
valore discriminante nei confronti della funzionalità renale
che, come è noto, si controlla tramite l’esecuzione dei
parametri uremia e creatininemia, che in caso di
compromissione renale assumono valori numerici
nettamente superiori rispetto ai valori basali.
I punti 3 e 4 necessitano di un esame attento, poiché la
razione modificata produce un aumento significativo della
colesterolemia.
L’aumento
del
colesterolo-HDL,
proporzionalmente con il colesterolo totale, costituisce un
fattore positivo, in particolare nelle femmine. E’ noto che le
variazioni del colesterolo totale sono rimarchevoli sul piano
clinico se non sono accompagnate dall’aumento della
frazione denominata colesterolo-HDL.
I punti 5 e 6 segnalano che le frazioni lipidiche trigliceridi e
fosfo-lipidi mostrano un aumento che induce a ritenere che
la dieta con l’aggiunta del prodotto iperproteico apporta un
piccolo quantitativo di lipidi in più rispetto alla razione di
base. L’aumento è conseguente all’assorbimento
intestinale di lipidi, perché è risaputo che i valori ematici dei
fosfo-lipidi sono direttamente proporzionali alla funzione
intestinale (digestione ed assorbimento).
L’aumento della concentrazione plasmatica dei parametri
del comparto lipidico non è, comunque, da riportare ad un
effetto smagrente del prodotto in esame conseguente ad
eccessiva lipomobilitazione dato che i soggetti hanno
mostrato un aumento di peso.
Il punto 7 evidenzia la differenza metabolica tra i cani di
sesso maschile e femminile. Inoltre, è possibile correlare
l’andamento dei valori di analisi del parametro urea con i
valori dell’uricemia. L’aumento di urea e di acido urico nei
maschi è decisamente superiore a quello osservato nelle
femmine. Sapendo che l’urea e l’acido urico sono connessi
al contenuto di composti azotati nell’alimento, si può
spiegare il comportamento dei due parametri anche nel
cane ed in particolare nei maschi.
Alla fase di somministrazione del concentrato proteico è
seguita, come già accennato, la fase di normalizzazione,
cioè un periodo di 30 giorni durante i quali gli animali hanno
assunto la normale razione alimentare. Al termine di questa
seconda fase è stato effettuato un prelievo ematico e sono
state eseguite le stesse analisi sopra descritte. I risultati
analitici non hanno evidenziato significative variazioni
rispetto ai valori che gli animali presentavano al tempo zero
iniziale. Questi risultati di laboratorio testimoniano che
l’ingrediente proteico aggiunto alla razione alimentare non
induce modificazioni permanenti nei parametri ematici e
quindi del metabolismo dei cani. L’osservazione clinica
programmata degli animali, invece, ha evidenziato un
fenomeno inaspettato: i soggetti maschi, ed in misura
minore le femmine, hanno mostrato un aumento di peso.
1) Hand MS., Thatcher CD, Remillard RL, Roudebush P.”Small
th
Animal Clinical Nutrition”,4 Ed.Mark Morris Institute Marceline,
MO USA 2008.
2) Case, Carey, Hirakawa, Daristotle, “Canine and Feline
Nutrition”, A resource for companion animal professionals,
Second edition, 2000.
3) Ubaldi A., Corbella E., Montanari P. Chimica clinica veterinaria.
Ed. Ambrosiana, Milano 1982.
4) Willard M.D., Tvedten H. Small animal clinical diagnosis by
laboratory methods W.B. Saunders Company, 1989.
Tabella: valori plasm atici m edi di cani Siberian Husky prim a dell'inizio dell'additivazione della razione (T0) ed alla fine
dell'additivazione (T1) suddivisi in base al sesso.
valori norm ali cane
M Fem m ine T0
DS F T0
M m aschi T0
DS M T0
M Fem m ine T1
DS F T1
M m aschi T1
DS M T1
UREA
20-25 mg/dl
40,40
8,61
48,83
15,37
45,50
6,90
58,51
13,14
CREAT.
AC.UR.
COL.TOT.
< 1,8 mg/dl 0,20-0,90 mg/dl 105-440 mg/dl
0,92
1,20
202,10
0,16
0,34
28,12
1,10
1,27
190,13
0,14
0,24
39,51
1,00
1,11
259,18
0,22
0,16
54,11
1,10
1,36
210,96
0,37
0,60
62,88
178
COL.HDL
122,70
7,56
117,93
12,97
145,90
17,00
128,95
21,21
TRIGL.
FOSFO-LIP.
50-100 mg/dl 250-500 mg/dl
93,29
482,34
5,49
33,05
92,27
452,23
12,91
77,32
95,64
600,14
8,04
58,67
99,80
493,07
4,81
86,83
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
PREPARAZIONE MEDIANTE FPLC DI IgG DI CAPRA ANTI IgG DI BUFALO
1
Fusco G., 1Amoroso M.G., 1Serpe F.P., 1De Felice A., 2Sarnelli P., 1Iovane G.
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sez. Caserta;
Giunta Regionale della Campania, Area Generale di Coordinamento; Assistenza sanitaria, Settore Veterinario.
Keywords: FPLC, anticorpo policlonale, bufalo
Abstract We built up a method to produce and purify good
polyclonal antispecies antibodies. The protocol was made of
a two step purification: immunoaffinity and ionic-exchange
chromatography. Purified IgG were used to raise, in goats,
specific anti IgG antibodies. Goat anti IgG antibodies showed
very strong affinity for species specific IgG and almost no
reaction with other serum proteins or with IgG belonging to
other species.
1. Introduzione
Per studiare la suscettibilità di molte specie animali alle più
comuni malattie o per eseguire screening diagnostici di
infezioni su alcune specie animali si utilizzano molto spesso
test immunologici che dosano il quantitativo di IgG anti
patogeno presente nei fluidi organici dell’animale. Per fare ciò
si rende necessario l’utilizzo di anticorpi antispecie che
consentano di individuare le suddette IgG. Una delle maggiori
difficoltà che si incontra nell’applicazione delle tecniche
diagnostiche
immunologiche
a
specie
animali
economicamente importanti, quale il bufalo e diverse da
quelle bovina, ovina, caprina e suina, è l’assenza in
commercio di anticorpi antispecie omologhi. Spesso si ricorre
all’uso di anticorpi di altri animali che cross-reagiscono con la
specie in studio (3). Questa pratica però è fortemente limitata
dal fatto che ciascuna specie animale ha un sistema
immunitario unico e specializzato a proteggere l’organismo
dall’attacco di agenti infettivi diversi. L’uso di antisieri
eterologhi per la ricerca di globuline rende il test meno
sensibile e poco attendibile ai fini diagnostici. Per quanto
suddetto appare importante avere a disposizione un
anticorpo che sia in grado di riconoscere in maniera specifica
e sensibile le IgG dell’animale oggetto di diagnosi. Gli
anticorpi policlonali contengono diverse molecole anticorpali
che riconoscono differenti epitopi su una molecola antigenica.
Un antisiero policlonale di buona qualità si rivela utile per
numerose
applicazioni
diagnostiche
quali
ELISA,
immunoprecipitazione, immunoblotting, tutte tecniche in cui il
legame di più di una molecola anticorpale per molecola
antigenica migliora la sensibilità del saggio (2). Obiettivo del
nostro lavoro è stato mettere a punto un protocollo che
consenta di ottenere un anticorpo policlonale antibufalo
altamente specifico. Ciò è stato possibile mediante l’impiego
della cromatografia a flusso (Fast Protein Liquid
Chromatography, FPLC). La ricerca è stata effettuata
producendo un siero di capra rivolto contro le
immunoglobuline di bufalo, fermo restando la possibilità di
applicazione su vastissima scala.
2. Materiali e metodi
I campioni di emosiero bufalino sono stati raccolti, nella
provincia di Caserta, dai veterinari appartenenti alle
AA.SS.LL durante i Piani di risanamento svolti sul territorio.
2.1. Purificazione cromatografica delle IgG di bufalo (WBIgG)
La purificazione è stata eseguita utilizzando una strategia in
due fasi mediante cromatografia liquida rapida delle proteine
(FPLC) (AKTA purifier system, GE, Uppsala, Svezia). I
campioni sono stati prima purificati mediante una colonna ad
immunoaffinità (HiTrap ProteinG 5ml, GE). Le frazioni
raccolte sono state ulteriormente purificate per cromatografia
a scambio ionico eseguita con una colonna MonoQ (1 ml,
GE) usando come tampone di partenza (A) Tris-HCl 20mM
pH 8. Le proteine legate sono state separate mediante un
gradiente lineare di tampone di eluizione (B) (0,5 M NaCl). Le
frazioni eluite sono state verificate mediante SDS-Page.
2.2. Immunizzazione degli animali e raccolta del siero
Le IgG di bufalo purificate sono state impiegate per produrre,
in capra, un siero policlonale anti WBIgG. All’uopo due capre
Saanan di 1 anno d’età (1maschio e 1 femmina in asciutta)
hanno ricevuto 4 iniezioni intramuscolari, (50 mg di WBIgG
emulsionate con un volume di Adjuvante di Freund), ad
intervalli di 3 settimane. I campioni di sangue sono stati
raccolti 3 settimane dopo ogni iniezione, centrifugati e il siero
conservato a -20°C fino all’uso.
2.3. Preparazione della colonna NHS-WBIgG
Le IgG di bufalo purificate sono state legate ad una colonna
HiTrap-NHS (5ml, GE) al fine di isolare, dal siero di capra,
esclusivamente le IgG che l'animale ha prodotto contro le IgG
di bufalo (GoatĮWBIgG). Il legame NHS-WBIgG è stato
realizzato come descritto dal produttore con alcune
modifiche. In breve, abbiamo utilizzato il tampone di legame
consigliato (0,2 M NaHCO3, NaCl 0,5 M) a pH 7,4 invece che
pH 8,3. Il binding del ligando è stato poi effettuato per 3
h/T.A. e poi ricircolo O.N./4°C. Le IgG di capra anti IgG di
bufalo sono state purificate, con la colonna ad immunoaffinità
così prodotta. Il GoatĮWBIgG ottenuto è stato utilizzato, non
coniugato, nei test di immunodiffusione oppure coniugato con
perossidasi di rafano, (HRP) nei saggi ELISA.
2.4. Immunodiffusione ed ELISA
L’immunodiffusione è stato condotta incubando (O.N./37°C) il
GoatĮWBIgG con siero di bufalo. Per esaminare il livello di
cross reazione con altre specie animali sono stati usati sieri di
bovino, pecora e suino. Come controlli negativi sono stati
utilizzati PBS e siero di capra non immunizzata. Al fine di
analizzare il funzionamento e la sensibilità dell’antisiero di
HRP
capra coniugato con HRP (GoatĮWBIgG ), si è allestito un
test ELISA indiretto volto a rivelare le IgG di bufalo anti
Brucella abortus presenti nel siero di bufali allevati nella
provincia di Caserta. In particolare, cellule di Brucella abortus
fenicate (antigene "Unico" per FDC, IZS Lombardia ed Emilia
Romagna) sono state fatte aderire ai pozzetti di una piastra
Immuno-Plate (Nunc) ad una concentrazione di 108
UFC/pozzetto (1-4). I pozzetti sono stati poi saturati (200 ȝl
PBS-gelatina 1%, 1h), lavati (tre volte con PBS-tween 0,05%)
e incubati 2 h a 21 °C (± 5) con 100 ȝl di siero di bufalo diluito
1/20 e 1/100. Dopo un altro step di lavaggio i campioni sono
stati incubati 30 min a 21°C (± 5) con 100 ȝl di
GoatĮWBIgGHRP diluito 1/10, 1/100 e 1/1000. I pozzetti sono
stati nuovamente lavati e si è aggiunta prima una soluzione di
rivelazione (100 ȝl TMB, Sigma) e poi una soluzione di
arresto. I risultati sono stati letti spettrofotometricamente a
450nm. Come controllo negativo si è usato un siero di bufala
negativo alla prova SAR ed FDC e proveniente da un
allevamento Ufficialmente Indenne alla malattia.
3. Risultati e discussione
3.1. Purificazione delle IgG di bufalo
Il primo step del lavoro ha previsto la purificazione delle IgG
di bufalo da impiegare sia nelle immunizzazioni che per
preparare la colonna NHS-WBIgG. Per effettuare la
purificazione si è pensato di usare una colonna ad
immunoaffinità. Al fine di ottenere un buon livello di
purificazione, sono state quindi eseguite prove con diverse
colonne e con vari protocolli di purificazione (tabella 1). Come
è possibile vedere dalla Fig. 1 da nessuna delle prove si è
riusciti a purificare completamente le WBIgG. Si è sempre
avuto un unico picco di eluizione (Fig. 1A) che all’SDS-Page
ha mostrato la presenza di bande contaminanti (Fig. 1B).
179
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
Solo quando si è applicato un gradiente di tampone B
(gradiente di pH) abbiamo ottenuto 2 picchi di eluizione che,
in ogni caso, mostravano un identico profilo elettroforetico
(dati non mostrati). Si è pensato quindi, (come già riportato in
letteratura), che si trattasse di due sottopopolazioni di IgG (5).
maschio, (circa 0.7 mg/ml contro 1.3 mg/ml), a conferma della
forte individualità della risposta immunitaria anche nell’ambito
della stessa specie e della stessa razza animale. Entrambi gli
animali hanno prodotto IgG già dalla seconda settimana dopo
a
la 2 immunizzazione con un lieve aumento di produzione nei
prelievi successivi (dati non mostrati).
3.3. Valutazione della specificità dell’antisiero prodotto
La specificità e la sensibilità dell’antisiero nei confronti delle
WBIgG sono state analizzate mediante immunodiffusione
(Fig. 3B) ed ELISA indiretta. Come si può vedere dalla figura
l’antisiero di capra non presenta alcuna reazione con il siero
suino e ovino e solo una blanda reazione con il siero bovino:
ciò era prevedibile dato la forte somiglianza tra le due specie.
Questa cross-reazione non dà in ogni caso alcun problema
perché l’antisiero prodotto dovrebbe essere principalmente
impiegato in kit diagnostici per la ricerca di IgG di specie
rivolte contro un determinato patogeno. Un esempio è
rappresentato dalla ricerca in siero/latte bufalino di IgG anti
Brucella abortus mediante ELISA indiretto. Per potere usare
l’antispecie prodotto come anticorpo secondario nel test
ELISA suddetto, abbiamo allestito il test impiegando come
antigene corpuscolato Brucella abortus fenicata e come siero
di bufalo un siero positivo alla prova FDC (640UI/ml). Come
anticorpo di rivelazione abbiamo poi usato sia il nostro
antisiero marcato con HRP, sia un anti ruminante marcato
con HRP presente in commercio. I risultati hanno evidenziato
che il nostro antisiero riconosce con molta intensità (550 AU)
il siero di bufalo positivo (a Brucella) e quasi per niente il
siero negativo (170 AU rispetto a 155 AU per il PBS) dando
una positività rispetto al negativo del 70%. L’anti-ruminante
invece, pur dando un segnale molto più alto con il positivo
(3095 AU), mostra anche una forte cross-reazione con il
negativo (2200 AU rispetto a 360 per il PBS), determinando
una positività netta solo del 30%. Il GoatĮWBIgG sembra
quindi reagire in maniera molto più selettiva e quasi
esclusivamente contro le IgG. Sono tuttavia in programma
ulteriori esperimenti volti a valutare in maniera accurata e
definitiva la sensibilità dell’antisiero prodotto. I risultati finora
ottenuti, molto incoraggianti, ci invitano a sostenere che,
realizzando un accurato processo di purificazione delle IgG
della specie di interesse, è possibile ottenere un ottimo
anticorpo antispecie che può trovare tantissime applicazioni
sia diagnostiche che di ricerca. Un buon antispecie, avente
elevata avidità per le IgG e nulla affinità per le altre proteine
del siero, può rivelarsi utile, oltre che nelle classiche
applicazioni diagnostiche previste nei Piani di risanamento
anche per lo studio e la caratterizzazione del sistema
immunitario del bufalo e della risposta anticorpale del citato
animale a determinate malattie. Ciò è importante se si
decide di intraprendere anche in questa specie animale
programmi di prevenzione e Piani già in essere per il bovino.
Data l’unicità del sistema immunitario di ciascuna specie
infatti, adattare programmi e kit diagnostici già esistenti e
validati per altri animali potrebbe non essere sufficiente e
porterebbe ad ignorare o sottovalutare le esigenze specifiche
della specie in questione (2).
4. Bibliografia
1)Altoon G.G., Jones L.M. Angus R.D. & Verger j.M. (988).
Tab. 1 Prove di purificazione delle WBIgG per immunoaffinità
PROVE DI PURIFICAZIONE EFFETTUATE
Colonna di eluizione
x
HiTrapProtA 5ml – 15 m (Fig. 1B, lane 1)
x
HiTrapProtG 5ml – 15 ml
x
Gamma bind 1 ml
Coppia tamponi binding/eluizione (HiTrapProtG/100%B)
A) Tris 0.1M pH 8 /Gly 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 2)
B) Tris 1M pH 8 / Gly 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 3)
C) PBS pH 7 / tampone citrato 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 5)
Profilo eluizione
x
100% B
x
Gradiente tampone B (HiTrapProtG/ coppia tamponi A)
Eluizione del campione dopo precipitazione selettiva in solfato
d’ammonio (40-60-80%) (Fig. 1B, lane 6)
Fig. 1 Purificazione di WB IgG per immunoaffinità
Al fine di ottenere WBIgG pure abbiamo allora deciso di
combinare, alla cromatografia per immunoaffinità, quella a
scambio ionico. Il campione è stato quindi sottoposto ad un
primo step di purificazione con ProtG e coppia tamponi A,
(condizioni che avevano dato il miglior livello di purificazione
e il maggior quantitativo di proteine purificate) (Fig. 1B, lane
2). L’eluato è stato poi purificato ulteriormente per scambio
ionico. I risultati hanno mostrato che, applicando alla colonna
MonoQ un gradiente 0-100% di tampone B, si è riusciti a
separare il campione in 3 diversi picchi. Mediante SDS-Page
si è visto che il picco eluito al 30% rappresentava le IgG. Si è
allora effettuata una corsa con 0-50% di B che ha risolto
ancora meglio i 3 picchi suddetti e ci ha dato un ottimo livello
di purificazione (Fig. 2A, picco 4; Fig. 2B, lane 4).
Fig. 2 Purificazione di WB IgG per scambio ionico
3.2. Purificazione dell’antispecie prodotto (GoatĮWBIgG)
Il siero delle due capre immunizzate è stato sottoposto a
purificazione mediante NHS-WBIgG in modo da isolare le IgG
specificatamente rivolte contro le WBIgG. Da tutti i prelievi
effettuati (3 per ciascuna capra) si è sempre ottenuto un
unico picco di eluizione ben definito (Fig. 3A).
Fig. 3 Eluizione ed immunodiffusione dell’antispecie prodotto
Techniques for the brucellosis laboratory. Institut. National. de la
Recherche. Agronomique Paris
2)Cooper H.M., Paterson Y., (2001). Production of polyclonal
antisera. Curr. Protoc. Cell. Biol.; May, Chapter 16: Unit 16.2.
3)Davis W.C., Khalid A.M., Hamilton M.J., Ahn J.S., Park Y.H. and
Cantor G.H., (2001). The use of crossreactive monoclonal
antibodies to characterize the immune system of the water buffalo
(Bubalus bubalis). J. Vet. Sci. 2: 103-109.
4)Manual of standards for diagnostics test and vaccines, page 261nd
267,2 edition, OIE
5)Nikolayenko I.V., Galkin O., Grabchenko N.I., Spivak M., (2005).
Preparation of highly purified human IgG, IgM, and IgA for
immunization and immunoanalysis. Ukr. inorg. Acta, 2:3-11
Il contenuto proteico è stato quantificato mediante
spettrofotometro e la presenza di GoatIgG specifiche per
WBIgG è stata confermata tramite immunodiffusione (Fig.
3B). Come controllo negativo di specificità della colonna si è
impiegato un siero di capra non immunizzato che non ha dato
alcun eluato. Dalla corsa FPLC e dal calcolo della
concentrazione proteica si è evinto che la femmina ha
prodotto una quantità di IgG notevolmente più basso del
180
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RICERCA DI MICRORGANISMI CAUSA DI TOSSINFEZIONE MEDIANTE PCR MULTIPLEX IN UOVA DI
ALLEVAMENTI RURALI E ALIMENTI CONTENENTI CARNI DI POLLAME
1
1
1
1
2
Fusco G., Proroga Y.T.R., Romano M., , Salzano C., Zinno V.
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta
2
ASl Napoli 2; Dipartimento di Prevenzione;Settore Veterinario
Keywords: food-borne pathogens; eggs; multiplex PCR
Abstract In the present study 90 samples of eggs from family
rural farms and 30 samples of ready to cook chicken meat
have been investigated.
PCR was used to analyse the samples by a mix of primers
against E. coli, E. coli ETEC, E.coli O157, S.enteritidis., Y.
enterocolitica, S. aureus, L. monocytogenes, B.cereus, C.
jejuni e C. coli. While meat samples were all negative to the
above mentioned pathogens, positivity was found for egg
shell as follows: 14.5% to B. cereus, 4,5% to S. aureus, 24%
to E. coli and 5,5 % to Campylobacter jejuni. Positivity for
eggs content was: to E. coli 3,3% and B. cerus and S. aureus
2,2%.
mediante l’autocontrollo, l’immissione sul mercato di prodotti
alimentari sani dal punto di vista microbiologico.
Per la ricerca dei microrganismi agenti di tossinfezione,
abbiamo ritenuto interessante utilizzare sia il metodo
colturale tradizionale e sia le metodica PCR allo scopo di
confrontarne i risultati relativamente al parametro sensibilità
dei due test. Entrambe le metodiche d’analisi sono state
impiegate su alimenti freschi; analizzare l’alimento fresco
con i metodi di biologia molecolare è fondamentale ai fini
diagnostici dal momento che nel prodotto non fresco la
presenza di inibitori della polymerase che legano il
magnesio, rende vana e inutile la ricerca.
Introduzione
Considerato l’importante ruolo svolto da alcuni patogeni
quali Salmonella enteritidis, Yersinia enterocolitica, Listeria
monocytogenes, Staphylococcus aureus, Bacillus cereus,
Campylobacter jejuni e Camylobacter coli, E coli ETEC ed E.
coli O157H:7 quali causa di malattia alimentare nell’uomo
con conseguenze, in alcuni casi, mortali, riteniamo utile
valutare la salubrità, relativamente alla presenza dei citati
germi, in alimenti non controllati quali uova raccolte presso
allevamenti rurali. Tale tipologia di allevamento è
solitamente a conduzione familiare per un consumo delle
uova prodotte esclusivamente nell’ambito dei propri
congiunti.
Le
uova
rappresentano
un
alimento
particolarmente a rischio per l’uomo, quando entrano nella
preparazione di particolari salse, ad esempio la salsa
tonnata, oppure per abitudini alimentari di abitanti di zone
rurali vengono consumate crude come “uova da bere”. E’
noto che in persone sane agenti patogeni causa di
tossinfezione sono in grado di causare malattie con sintomi
gravi, prognosi riservata ed esito a volte infausto, ma la
pericolosità di uno qualsiasi dei germi ricercati aumenta
considerevolmente quando ad ammalarsi sono categorie
deboli come bambini, anziani, donne in gravidanza e
persone immunodepresse.
Salvaguardare la salute del consumatore da parte degli
addetti ai lavori, siano essi i Produttori o Organi Competenti
del Sistema Sanitario, è un compito di difficile attuazione
vista la ubiquitarietà dei microrganismi oggetto di studio e
pertanto anche valutare la salubrità di questo tipo di
alimento, in particolare le uova di allevamenti rurali, ha la
sua importanza dal momento che questa tipologia di
alimento sfugge ai normali controlli routinari di vigilanza
condotti sul territorio dal personale AA.SS.LL.. Inoltre i
risultati del nostro studio rappresenteranno i primi dati
disponibili in letteratura che, attualmente, in merito
all’argomento, risulta carente. A nostro avviso un siffatto
studio è di notevole interesse oggi che il consumatore è
alla continua ricerca di alimenti genuini e biologici ed è
attratto da un tipo di vacanza che assicura il contatto con la
natura ed il consumo di prodotti “sani” come quella offerta
dagli agriturismi. L’alimento “genuino”, ad ogni modo, non
sempre offre garanzie dal punto di vista della sicurezza
alimentare dal momento che esce da un filiera produttiva
non controllata a differenza di quanto è immesso sul
mercato da parte di grossi produttori i quali, applicando le
disposizioni previste dalla normativa vigente, assicurano
Materiali e Metodi
I campioni analizzati in questo studio sono stati i seguenti: 90
uova provenienti da allevamenti rurali ubicati sul territorio
della provincia di Caserta e di Napoli e 30 campioni di
alimento “pronti a cuocere” contenenti carni di pollame. Le
uova sono state raccolte dai Veterinari nel corso delle attività
di bonifica sanitaria degli allevamenti della regione Campania
dalla brucellosi e leucosi. I campioni di alimento invece sono
stati campionati dal personale delle AA.SS.LL CE/1 e CE/2
nel corso dell’attività di vigilanza svolta sul territorio della sola
provincia di Caserta. La ricerca dei patogeni è stata condotta
sia con i metodi colturali tradizionali che biotecnologici. Per
quanto riguarda le uova, sono stati esaminati separatamente
sia i gusci che i contenuti (tuorlo/albume). I saggi di PCR
sono stati condotti sugli alimenti sottoposti ad una fase di
pre-arricchimento. A tal fine 10 g di ciascun campione
provenienti da 25 g di alimento sminuzzato grossolanamente
sono stati posti in 90 ml di Tryptic Soy Broth Yeast Extract
(TBSYE) e omogeneizzati per 1 min.. In seguito, dall’
omogenato incubato per 24 h a 37 °C, è stato prelevato 1 ml
di campione dalla fase superiore da sottoporre a
centrifugazione per 5 min a 13.000 g. Per l’estrazione del
DNA dal pellet ottenuto, è stato utilizzato il kit QIAmp DNA
Mini kit della Qiagen. Per la ricerca di 8 patogeni
simultaneamente il DNA estratto è stato amplificato mediante
PCR – Multiplex, utilizzando la mix di primers ed il
programma di amplificazione descritto da Wang (4). Tutti i
campioni risultati positivi alla first PCR a Escherichia coli e
Bacillus cereus sono stati sottoposti a conferma mediante
una PCR – nested. Per l’esecuzione di quest’ultima 1 μl di
ogni prodotto precedentemente amplificato è stato diluito in
rapporto 1:20 e sottoposto a 35 cicli di amplificazione
utilizzando le coppie di primers specifici per l’identificazione
delle specie batteriche sopra menzionate ed indicate altrove
(4). Per la ricerca di Campylobacter jejuni e Campylobacter
coli sono state seguite i protocolli descritti da Persson e coll.,
(3). In particolare per la ricerca dei citati microrganismi sono
stati impiegati primers che amplificano sequenze del gene hip
O (hippuricase gene) caratteristico del C. coli e del gene asp
(aspartokinase gene) caratteristico del C. jejuni. Per la ricerca
di E. coli O:157 H:7 è stato avviato anche un protocollo di
PCR multiplex (2) che amplifica sequenze target di cinque
fattori di patogenicità ossia hly 933 (166bp), fliCh7 (625bp), stx 1
(210 bp) ed stx 2 (484 bp) ed il gene eae ( 397bp).
Come controlli positivi sono stati usati i seguenti materiali di
riferimento: Escherichia coli ATCC 25922; Escherichia coli
O157H:7 ATCC 35150; Salmonella enteritidis ATCC 13076;
181
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Yersinia enterocolitica ATCC 9610; Staphylococcus aureus
ATCC 25923; Listeria monocytogenes ATCC 7644; Bacillus
cereus ATCC 11778. Infine per visualizzare l’amplificato, 10μl
di ciascun DNA sono stati caricati su gel di agarosio al 2%
contenente bromuro di etidio (1 μg ml-1) e sottoposti ad
elettroforesi.
contaminazione del guscio nell’ambiente con successiva
penetrazione attraverso la parete dello stesso. A favorire la
contaminazione del contenuto dell’uovo attraverso il guscio
può contribuire anche un difetto di spessore di quest’ultimo
dovuto a carenze di calcio per una dieta dei soggetti allevati
poco bilanciata oppure a malattie virali dato che questi
animali non sono sottoposti ad alcun trattamento
immunizzante.
In conclusione, riteniamo necessario dare ulteriore risalto ai
risultati conseguiti dal presente studio anche in
considerazione del fatto che in letteratura non sono riportati
controlli sul tipo di allevamento investigato e che la presenza
di Bacillus cereus e Staphylococcus aureus rappresenta la
prima segnalazione in turlo/albume di uova di allevamenti
rurali. Lo scarso interesse da parte dei ricercatori nazionali e
internazionali per questa realtà zootecnica che nella nostra
regione è molto diffusa, potrebbe essere giustificato dal fatto
che nell’ambito del territorio nazionale quest’ultima non è
altrettanto sviluppata anche se da parte degli Organi preposti
normalmente alla tutela della salute pubblica essa
meriterebbe la stessa attenzione che il mondo scientifico
rivolge all’allevamento intensivo.
Risultati e Discussione
L’indagine ha interessato complessivamente 120 campioni di
cui 90 uova fresche provenienti da allevamenti rurali a
conduzione familiare e 30 campioni di “pronti a cuocere”
raccolti in esercizi per la vendita al dettaglio della provincia di
Caserta.
I risultati ottenuti dall’analisi delle uova, riportati in tab 1, sono
i seguenti: Staphylococcus aureus è stato riscontrato nei
gusci di 4 campioni (4,4%) e in 2 tuorlo/albume (2,2%);
Escherichia coli, è stato riscontrato nei gusci di 22 campioni
(24.4%) e 3 tuorlo/albume (3,3%); Bacillus cereus è stato
riscontrato nei gusci di 13 campioni (14,4%) e 2
tuorlo/albume (2,2%). Infine riguardo a Campylobacter jejuni
quest’ultimo è stato riscontrato in 5 campioni di gusci (5,5%)
e nessun tuorlo/albume. I campioni di “pronti a cuocere “
sono risultati tutti negativi ai patogeni ricercati. Nelle foto 1 e
2 sono riportati rispettivamente i risultati dell’elettroforesi su
gel di agarosio dei campioni risultati positivi a E. coli e
Bacillus cereus. Nessun campione è stato riscontrato positivo
a Salmonella enteritidis, Listeria monocytogenes Escherichia
coli ETEC, Escherichia coli O157H:7 e Campylobacter coli.
L’analisi dei campioni mediante tecniche convenzionali,
hanno confermato i risultati delle prove biotecnologiche fatta
eccezione per 3 campioni di gusci risultati negativi a
Campylobacter spp.
I risultati da noi ottenuti complessivamente sono interessanti,
ma doverose considerazioni e attenzioni meritano i dati
scaturiti dall’analisi delle uova di allevamenti rurali. Se
consideriamo che le tossinfezioni alimentari rappresentano
ancora oggi un grave problema per la salute pubblica, e la
tipologia di allevamento esaminata non è soggetta a nessun
controllo, l’assenza di Salmonella enteritidis nelle uova
esaminate è un dato più che soddisfacente dal momento che
questo microorganismo è estremamente diffuso nell’ambito
dell’allevamento avicolo intensivo ed in letteratura sono
numerosi gli episodi riportati di malattia alimentare umana
attribuiti al consumo di uova oppure alimenti prodotti da uova
contaminate. Nell’allevamento rurale inoltre
solitamente
l’uovo
viene consumato crudo come “uovo da bere”
nell’ambito della famiglia e pertanto la salubrità dell’alimento
è una prerogativa essenziale per la prevenzione degli episodi
tossinfettivi. Anche l’assenza di patogeni negli alimenti “pronti
a cuocere “ è un dato interessante dal momento che questo
alimento è sottoposto ad un tipo di cottura che in alcuni casi è
insufficiente ad assicurare la completa sterilizzazione del
prodotto; difatti, l’utilizzo di bistecchiere per una cottura
rapida degli alimenti spesso causa che a cuore dell’alimento
la temperatura raggiunta sia insufficiente e non garantisca la
perfetta cottura del cibo che, ancora crudo, può veicolare
all’uomo,
se
presenti,
microorganismi
patogeni.
Relativamente alla presenza di Escherichia coli, il
ritrovamento del germe nel 24.4% dei gusci e solo in 2
tuorli/albume, ci induce a pensare che la contaminazione è
solo di origine fecale in seguito al transito dell’uovo in cloaca
oppure a contaminazione dei gusci nei nidi sporchi di feci. La
presenza di E coli nel contenuto dell’uovo, ad ogni modo,
può anche essere attribuita ad una infezione endogena della
gallina.
Una nota di riguardo va posta ai risultati relativi alla presenza
del Bacillus cereus e Staphylococcus aureus ritrovato nel
2,2% di tuorlo/albume. I germi citati sono ubiquitari e
pertanto, essendo presenti nell’ambiente, la loro presenza nel
contenuto delle uova potrebbe essere giustificata da una
Tab. 1 presenza di patogeni in uova (Guscio, Tuorlo/albume)
Patogeni
guscio
Positività
Tuorlo/albume
L.monocytogenes
S.enteritidis
S. aureus
E. coli
E. coli O157 H:7
E. coli ETEC
Campylobacter
jejunir
Campylobacter
coli
Yersinia
enterocolitica
B.cereus
0
0
4
22
0
0
5
0
0
2
3
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
13
2
0
Pronti
cuocere
a
Fig. 1 Nested-PCR. [A] Lane 5 e 6 campioni positivi a
Escherichia coli (499bp), lane 3 controllo positivo. [B] Lane 2
e 3 campioni positivi a Bacillus cereus (162 bp). Lane 4
controllo positivo
Bibliografia
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X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
RICERCA DI MICRORGANISMI PATOGENI MEDIANTE PCR MULTIPLEX NEL LATTE DI BUFALA E SUOI
DERIVATI
Fusco G., Proroga Y.T.R., Guarino A., Mosca E., Napoletano M., Capuano F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta
Keywords: food-borne pathogens; “Mozzarella di Bufala Campana”; multiplex PCR
Abstract In the present study we analysed 100 samples of
“Mozzarella di Bufala Campana” cheese and 50 of buffalo
milk from several dairy and buffalo breeding farms in
Campania region and in southern Italy.
Multiplex-PCR was used to investigate the samples by a mix
of primers against Escherichia coli, Escherichia coli ETEC,
Escherichia coli O157 H:7, Salmonella spp., Yersinia
enterocolitica,
Staphylococcus
aureus,
Listeria
monocytogenes, Bacillus cereus. While milk samples were all
negative to the above mentioned pathogens, positivity was
found for 48 samples as follows: 24% to B. cereus, 3% to L.
monocytogenes, 3% to S. aureus, 2% to Y. Enterocolitica, 0%
to Salmonella spp., to E. coli O 157 H:7 0%, to E. coli ETEC
0%, and to E. coli 16%.
Introduzione
Le tossinfezioni alimentari rappresentano ancora oggi un
grave problema per la salute pubblica, anche nei Paesi
sviluppati dove gli standard igienici sono più elevati. La tutela
della salute del consumatore mediante il controllo dei
patogeni negli alimenti è un compito gravoso per chiunque
dal momento che i principali agenti di tossinfezione sono
ubiquitari e possono raggiungere l’alimento in qualsiasi
momento della sua preparazione. Escherichia coli,
Escherichia coli ETEC, Escherichia coli O157 H:7,
Salmonella spp., Yersinia enterocolitica, Staphylococcus
aureus, Listeria monocytogenes, Bacillus cereus sono tra i
principali microrganismi causa di malattia alimentare e dato
che il caldo associato alla cattiva conservazione del cibo
favoriscono la proliferazione dei batteri, l’estate è il periodo
più a rischio per gli episodi epidemici. Ad ogni modo, le
malattie indotte non sempre sono talmente gravi da
prevedere il ricovero in Ospedale e pertanto i casi registrati in
Italia, nonostante siano elevati, non forniscono una esatta
dimensione del problema. In questo studio abbiamo valutato
la presenza dei patogeni citati in prodotti particolarmente a
rischio relativamente alle tossinfezioni alimentari dal
momento che si consumano crudi; la “Mozzarella di Bufala
Campana” è, inoltre, tra i prodotti più noti e apprezzati in Italia
e nel mondo, ottenendo il riconoscimento DOP il 12 giugno
1996 per effetto del Regolamento CEE n° 1107. Per
evidenziare i patogeni sono state utilizzate metodiche di
PCR che oltre ad essere molto sensibili nella evidenziazione
dei batteri, consentono di ottenere risultati certi e rapidi in
circa un giorno, cosa di estrema importanza dal momento che
le metodiche tradizionali richiedono tempi lunghi fino a 5-10
giorni, ad esempio per l’isolamento e identificazione di un
ceppo di Salmonella.
In conclusione, l’applicazione di un test rapido che consenta
di valutare contemporaneamente la presenza di 8 patogeni
in alimenti a rischio quali i lattiero – caseari da consumarsi
crudi, rappresenta un valido ausilio per un corretto piano di
autocontrollo tale da garantire la commercializzazione di un
prodotto sicuro sotto il profilo igienico sanitario. Ciò comporta
un vantaggio notevole per il Sistema Sanitario Nazionale in
quanto una efficace prevenzione ridurrebbe il numero di
ricoveri ospedalieri con gli evidenti ed ovvii benefici per la
spesa sanitaria pubblica.
Materiali e metodi
Sono stati analizzati complessivamente 150 campioni
costituiti rispettivamente da 100 campioni di “Mozzarella di
Bufala Campana” e 50 di latte di bufala provenienti da
altrettanti caseifici e allevamenti ubicati sul territorio. I
campioni da analizzare mediante PCR sono stati sottoposti
ad una preventiva fase di pre-arricchimento. A tal fine 10 g di
mozzarella provenienti da 25 g di campione sminuzzato
grossolanamente e 1 ml di latte sono stati posti
rispettivamente in 90 ml e 9 ml di Tryptic Soy Broth Yeast
Extract (TBSYE) e omogeneizzati per 1 min. In seguito, dalla
fase superiore dell’ omogenato, incubato per 24 h a 37 °C, è
stato prelevato 1 ml da sottoporre a centrifugazione per 5 min
a 13.000 g. Per l’estrazione del DNA dal pellet ottenuto, è
stato utilizzato il kit QIAmp DNA Mini kit della Qiagen. Il DNA
estratto è stato amplificato mediante PCR – Multiplex,
utilizzando la mix di primers riportata in tab. 1. Per la
preparazione delle mix di PCR e l’esecuzione dei cicli di
amplificazioni sono state seguite le indicazioni descritte da
Wang e coll., (5). Tutti i campioni risultati positivi alla first
PCR a Escherichia coli, Salmonella spp. Listeria
monocytogenes e Bacillus cereus sono stati sottoposti a
conferma mediante una PCR – nested. Per l’esecuzione di
quest’ultima 1 μl di ogni prodotto precedentemente
amplificato è stato diluito in rapporto 1:20 e sottoposto a 35
cicli di amplificazione, utilizzando le coppie di primers
specifiche delle specie batteriche indicate nella tab. 2. Per
l’amplificazione sono state utilizzate le stesse condizioni
impiegate per la PCR – multiplex. Come controlli positivi sono
stati usati i seguenti ceppi puri distribuiti dalla Oxoid:
Escherichia coli ATCC 25922; Escherichia coli O157H:7
ATCC 35150; Salmonella thyphimurium ATCC 14028;
Yersinia enterocolitica ATCC 9610; Stapylococcus aureus
ATCC 25923; Listeria monocytogenes ATCC 7644; Bacillus
cereus ATCC 11778. Infine, per visualizzare l’amplificato,
10μl di ciascun DNA amplificato sono stati caricati su gel di
-1
agarosio al 2% contenente bromuro di etidio (1 μg ml ) e
sottoposti ad elettroforesi.
Risultati e discussione
L’indagine ha interessato 150 campioni di cui 100 di
mozzarella e 50 di latte bufalino. I campioni sono stati
prelevati dalle Autorità competenti durante i normali controlli
effettuati nei caseifici e allevamenti presenti nella provincia di
Caserta. I risultati ottenuti dall’analisi dei 100 campioni di
mozzarella sono i seguenti: 16 (16%) sono risultati
contaminati da Escherichia coli, 3 (3%) da Listeria
monocytogenes, 24 (24%) da Bacillus cereus, 3 (3%) da
Staphylococcus aureus, 2 (2%) da Yersinia enterocolitica.
Nelle foto 1 e 2 sono riportati i risultati dell’elettroforesi su gel
di agarosio dei campioni risultati positivi alla PCR – nested.
Tutti i campioni di latte crudo sono risultati negativi ai
patogeni ricercati. Nessun campione è stato riscontrato
positivo a Salmonella spp., Escherichia coli ETEC, e
Escherichia coli O157H:7.
Considerando che a tutt’oggi le tossinfezioni alimentari
rappresentano un grave problema per la salute pubblica, è di
vitale importanza l’utilizzo di un sistema rapido e sensibile
per il controllo della salubrità degli alimenti anche al fine di
una efficace prevenzione della malattia. L’applicazione di uno
screening veloce per il controllo degli alimenti comporta
innumerevoli vantaggi come l’eliminazione rapida degli
alimenti dalla catena di produzione con riduzione dei casi di
tossinfezione e benefici della spesa pubblica che potrebbe
volgere i fondi e le risorse in altri campi. I risultati ottenuti in
questo studio risultano interessanti e richiedono doverose
183
X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008
alimenti analizzati con il metodo colturale, il risultato non
perfettamente concorde con quello ottenuto nel presente
studio, analizzando i campioni mediante PCR, è sicuramente
dovuto alla maggiore sensibilità della tecnica PCR rispetto al
metodo colturale, così come riportato precedentemente. In
conclusione, possiamo affermare che la tutela dei prodotti
lattiero – caseari, in particolare di quelli che si pregiano del
marchio DOP, si estrinseca mediante azioni volte a garantire
non solo la sanità e qualità della materia prima utilizzata ma
anche il rispetto delle norme igieniche durante le varie fasi
della filiera di produzione dell’impresa alimentare.
considerazioni. Relativamente alla presenza di Escherichia
coli, avendo ritrovato il germe in 16 campioni su 100
analizzati ci fa pensare che le condizioni igieniche in uso
durante le fasi di lavorazione sono state scarse. Ciò è
avvalorato dai risultati ottenuti dall’analisi del latte crudo
dove nessun campione è risultato positivo. Il dato ottenuto,
sebbene riferito al solo alimento mozzarella, non è comunque
preoccupante dal momento che la metodica biotecnologica
evidenzia minimo 20 cellule batteriche, limite non rilevabile
dal metodo tradizionale (ISO 16649-2.). Il ritrovamento di
Listeria monocytogenes in 3 campioni su 100 analizzati non
è un dato per noi allarmante se consideriamo che gli indici di
positività relativamente al germe ritrovati da altri autori
risultano superiori: 42% per i formaggi fabbricati a partire da
latte crudo (4). Ad ogni modo la presenza di Listeria
monocytogenes nel latte di massa potrebbe essere
giustificata dalla presenza in azienda di bufale con mastiti sub
– cliniche oppure attribuita a contaminazione ambientale.
Riteniamo che il microrganismo non rappresenti un serio
problema dal momento che se vengono rispettate tutte le
condizioni di GMP previste durante i processi di lavorazione
non dovrebbe moltiplicarsi. Un prodotto alimentare liberato al
commercio con 20 cellule batteriche (limite rilevabile dal
metodo PCR), se conservato rispettando la catena del
freddo durante sia la fase di commercializzazione e sia la
fase domestica, non rappresenta un rischio. A tale proposito
riteniamo importante ricordare che la normativa vigente
stabilisce i seguenti criteri microbiologici: alimenti pronti al
consumo assenza in 25 g, oppure tolleranza di 100 UFC/g al
momento del consumo. A nostro avviso sarebbe opportuno
utilizzare il criterio di tolleranza zero nella fase di produzione
per
assicurare
al
consumatore
nella
fase
di
commercializzazione un alimento con carica non superiore a
100UFC/g. Una nota di riguardo va posta ai risultati relativi
alla presenza del Bacillus cereus ritrovato nel 24% dei
campioni analizzati. Il germe, essendo ubiquitario, è presente
nell’ambiente in forma sporale e vegetativa e la sua presenza
in un numero così elevato di campioni è attribuita al fatto che
sopravvive anche a temperature elevate. Tanto premesso, la
presenza del germe è giustificata se pensiamo che la
“Mozzarella di Bufala Campana” mantiene le sue
caratteristiche organolettiche, la consistenza in particolare, se
conservata a temperatura superiore a +4°C. Riteniamo i
risultati ottenuti nel complesso interessanti perché
evidenziano quanto buoni siano gli standard igienici raggiunti
durante la fase di produzione primaria. L’assenza di
Salmonella spp., è un dato confortante ma non dobbiamo
escludere del tutto la possibilità di malattia tramite questo
prodotto dal momento che da indagini condotte da Guarino e
coll., (2) la mozzarella è seconda solo agli insaccati se si
considera l’isolamento del germe. Ad ogni modo il lavoro
citato è stato condotto negli anni 1997-1998, periodo in cui la
normativa vigente non era stata completamente recepita da
tutti gli operatori del settore. Infine, i risultati ottenuti dall’
applicazione della PCR – multiplex e PCR – nested, salvo
lievi differenze, concordano con quanto ottenuto mediante
l’impiego di metodiche tradizionali eseguite dall’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale Sezione di Caserta su campioni
prelevati dalla AA.SS.LL. durante la normale attività di
controllo e vigilanza. Difatti nell’anno 2007, presso il
Laboratorio di Microbiologia degli Alimenti dell’IZSM-Sez.Ce
sono pervenuti 556 campioni di Mozzarella di Bufala
Campana da sottoporre alla ricerca di vari germi ed in
particolare 135 per la ricerca di Escherichia coli, 177 per
Listeria monocytogenes, 291 per Salmonella spp., 45 per
Staphylococcus aureus. I risultati analitici hanno evidenziato
una positività di 1,4 % per Escherichia coli, 0,45% per
Staphylococcus aureus e 0,5% per Listeria monocytogenes,
nessuna positività per Salmonella spp. Relativamente alla
presenza di Escherichia coli e Staphylococcus aureus negli
tab. 1 Sequenze primers multiplex PCR
Tab 2. Sequenze primers nested PCR
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