CONGRESSO NAZIONALE BOLOGNA 2007 ABSTRACTS
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CONGRESSO NAZIONALE BOLOGNA 2007 ABSTRACTS CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 ADIUVANTI BIOLOGICI PER STIMOLARE L’OSTEOINTEGRAZIONE DEI BIOMATERIALI. STUDIO SPERIMENTALE. ¹Del Piccolo N,¹Dallari D, ²Fini M, ²Nicoli Aldini N, ²Torricelli P, ²Giavaresi G, Sartori M2, ²Salamanna F,²Giardino R. ¹ VII Divisione di Chirurgia ortopedico-traumatologica, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna ² Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna Obiettivo La superficie di un biomateriale può essere resa maggiormente osteoconduttiva e osteoinduttiva con metodi di natura fisico-chimica, morfologica e biochimica. In questa ricerca è stata valutata a tale scopo l’ efficacia di adiuvanti biologici quali: gel piastrinico (PRP) e cellule staminali (BMSC). Sono stati eseguiti due studi sperimentali in vivo: nel primo le proprietà osteoinducenti di PRP e BMSC sono state testate mediante impianto nel tessuto sottocutaneo e muscolare; nel secondo le capacità di favorire l’osteointegrazione sono state valutate associando tali adiuvanti al rivestimento di idrossiapatite (HA) di cilindri di titanio (Ti) impiantati nell’ osso trabecolare. Materiali e metodi Lo studio in vivo è stato eseguito nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione animale impiegando conigli New Zealand maschi, adulti. Gli interventi sono stati condotti in anestesia generale. BMSC e PRP sono state ottenuti rispettivamente da prelievi di midollo osseo autologo e da prelievi di sangue. Nello studio di osteoinduzione è stato inoltre impiegato osso allogenico liofilizzato (FDBA). Gli impianti sono stati eseguiti a livello sottocutaneo ed intramuscolare in 20 animali, secondo lo schema della Tab.1. Tab1. Materiale impiantato al livello sottocutaneo e intramuscolare a 2-8 settimane Tempi sperimentali Materiale 2 settimane - 8 settimane FDBA 2 settimane - 8 settimane FDBA+BMSC 2 settimane - 8 settimane FDBA+PRP 2 settimane - 8 settimane FDBA+BMSC+PRP Per lo studio di osteointegrazione un difetto di ∅ 4 mm x10 mm di lunghezza in cui sono stati impiantati i cilindri di Ti-HA è stato creato bilateralmente a livello del condilo femorale in 10 conigli (Tab.2) Tab.2 Materiale impiantato in osso trasecolare di femore distale a 2 settimane Tempi di sperimentazione Materiale 2 settimane Ti-HA 2 settimane Ti-HA + PRP+BMSC 2 settimane Ti-HA +PRP 2 settimane Ti-HA +BMSC Ai tempi sperimentali stabiliti, sui campioni espiantati, sono state eseguite indagini istologiche ed istomorfometriche. Risultati Negli studi di osteoinduzione si è potuto osservare che gli impianti di FDBA erano circondati da tessuto connettivo e da vasi neoformati più evidenti nei casi in cui vi era l’ associazione FDBA+PRP. A 2 e a 8 settimane dall’impianto nel tessuto sottocutaneo e nel tessuto muscolare l’associazione FDBA+BMSC+PRP ha evidenziato una maggiore produzione di osso rispetto agli altri materiali impiantati. Per quanto riguarda l’osteintegrazione a 15 gg la riparazione dell’osso trabecolare appariva più evidente negli impianti HA+BMSC+PRP. Conclusioni L’associazione PRP+BMSC sembra in grado di promuovere processi di osteoinduzione e osteoconduzione CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 ANALISI E CONSIDERAZIONI SUI DIFETTI DELLE SUPERFICI IMPLANTARI.NUOVE PROSPETTIVE: IMPIANTO BIMPLANT. Dott. Giuseppe Di Santi Libero Professionista Porto Ercole – Roma Dott Massimo De Cesare Napoli Ricercatore Privato,Università Di Napoli Obiettivo Il corretto trattamento delle superfici implantare e’ prerogativa essenziale per ottenere una valida osteointegrazione. Materiali e metodi Sono stati prodotti volutamente dei difetti superficiali implantari al fine di verificare il danno di superficie attraverso analisi edx e microscopia a scansione. In questo contributo sono stati analizzati i principali difetti che, per una manipolazione errata od una elaborazione scorretta, si possono osservare a carico degli impianti dentali. Sono stati realizzati differenti trattamenti anomali al fine di poter osservare le conseguenze a carico della qualità della superficie, della microstruttura e delle proprietà meccaniche dei suddetti impianti. Si è proceduto alla loro evidenziazione tramite microscopia elettronica a scansione, microscopia di trasmissione e microanalisi per dispersione di energia a Raggi X.EDX: A seguito di tali analisi, vengono proposte alcune precauzioni ed alcune tecniche al fine di evitare eventuali possibili difetti a carico degli impianti dentali. Infine viene relazionato un innovativo trattamento superficiale denominato Microgrip, usato per la superficie del Bimplant. Tale trattamento produce una rugosità di circa 20 Microm atta a favorire la crescita degli osteoblasti ed una superficie omogenea. Conclusione Dall’analisi dei danni superficiali indotti artificialmente e’ stata progettata una nuova superficie impiantare “MICROGRIP” parte integrante del sistema impiantare BIMPLANT. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 1 Bioattivazione di Scaffolds di Poliesteri Biodegradabili con Peptidi Segnale: Funzionalizzazione mediante Amminolisi Battista Edmondo‡, Causa Filippo‡ e Netti Paolo Antonio§. ‡ Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “G. Salvatore” - Laboratorio Biomateriali. § Centro di Ricerca Interdipartimentale sui Biomateriali (CRIB) Università “Federico II” di Napoli. Obiettivo Il controllo dell’interazione cellula-materiale riveste un ruolo chiave per gli scaffold nell’ingegneria dei tessuti. Molti eventi cellulari (riconoscimento, adesione, proliferazione, migrazione), in risposta alla presenza di biomateriali, sono guidati da segnali originati dalla matrice extracellulare e dalla loro disposizione spaziale nell’ambiente pericellulare. È ben noto che la sequenza peptidica RGD rappresenta il motivo di riconoscimento cellulare, mediato dalla famiglia delle integrine, più diffuso all’interno della matrice extracellulare. Una delle maggiori limitazioni nell’impiego dei biomateriali sintetici è dovuta all’assenza di specifici segnali di adesione e di guida cellulare. Obiettivo di questo lavoro è il controllo e la messa a punto di metodologie per la funzionalizzazione di matrici di poliesteri biodegradabili con sequenze peptidiche RGD-like. In particolare, lo studio mira all’inserzione di ammine difunzionali sulle superfici polimeriche su cui verranno innestati i segnali di adesione. Materiali e Metodi L’aggraffaggio delle sequenze RGD-like ai substrati polimerici avviene per inserzione di un linker omobifunzionale mediante amminolisi. L’amminolisi è una reazione autolimitante in cui un legame estere viene scisso da una diammina primaria formando un legame ammidico col poliestere e lasciando un gruppo ammino-terminale disponibile per il legame col peptide via dicabonil-disuccinimide. Substrati di policaprolattone (MW 65 kD) sono sottoposti ad amminolisi in una soluzione al 10% (wt) di 1,7-diamminoeptano (MW 130) in isopropanolo alla temperatura di 25°C a tempi diversi. La caratterizzazione della superficie è effettuata mediante micro-RAMAN; misure di DSC sono state eseguite utilizzando il range di temperature 25°-100° con una variazione di 10°C/min. Risultati Le immagini al microscopio ottico hanno mostrato zone a maggiore rugosità in corrispondenza dell’inserzione della diammina, come confermato dall’analisi Raman. L’aumento del tempo di trattamento ha mostrato, inoltre, un conseguente incremento dell’ammina legata alla superficie polimerica. L’analisi DSC ha evidenziato picchi di fusione non sostanzialmente influenzati dal tempo e dalla temperatura di trattamento. Conclusioni La distribuzione di peptidi immobilizzati su superfici di poliestere può essere controllata attraverso l’ottimizzazione del processo di amminolisi. Infatti, variando le condizioni di reazione (tempo, temperatura) si può ottenere una distribuzione controllata dei segnali sulla superficie dello scaffold polimerico. La metodica proposta non influenza considerevolmente le proprietà chimico-fisiche e risulta applicabile a sistemi tridimensionali altamente porosi. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 BIOCOMPATIBILITA’ DI NANOPARTICELLE OSTEOTROPICHE A BASE DI ACIDO poli(D,L-lattico-co-glicolico) E BIFOSFONATO M. Salerno1, C. Fotia1, E. Cenni1, D. Granchi1, S. Avnet1, 3 3 1,2 D. Micieli , M.G. Sarpietro , N. Baldini 1 Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna; 2 VII Divisione, Istituti Ortopedici Rizzoli e Università degli Studi di Bologna, Bologna; 3 Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Catania, Catania; Obiettivo: sintesi di nanoparticelle (NP) osteotropiche e valutazione della loro emo- e citocompatibilità. Materiali e metodi: l’acido poli(D,L-lattico-co-glicolico) (PLGA), è stato coniugato con alendronato, un composto appartenente al gruppo dei bifosfonati, i quali possiedono alta affinità per l’idrossiapatite contenuta nella matrice ossea. Il coniugato è stato caratterizzato mediante analisi MALDI TOF e 1H-NMR. Le NP sono state successivamente ottenute attraverso nanoprecipitazione del coniugato. La dimensione delle NP è stata calcolata mediante Dynamic Light Scattering. L’emocompatibilità è stata esaminata in vitro tramite un saggio di emolisi e la valutazione degli effetti sull’attivazione piastrinica, sulla fase plasmatica della coagulazione e sul consumo del complemento sia per la via classica che per quella alternativa. La citocompatibilità è stata valutata mediante il saggio del rosso neutro su cellule endoteliali umane isolate dalla vena ombelicale (HUVEC), su cellule stromali mesenchimali umane isolate da midollo osseo (MSC) e su osteoblasti umani isolati da osso trabecolare (HOB). E’ stato infine determinato l’effetto delle NP sull’attività di fosfatasi alcalina delle MSC. Risultati: la struttura chimica del coniugato è stata confermata dall’analisi 1H-NMR e MALDI TOF, che ha dimostrato una resa di coniugazione pari al 30-35%. Il diametro medio delle NP era di 198,7 nm, con un indice di polidispersione di 0,348. Le prove di emocompatibilità in vitro hanno dimostrato l’assenza di emolisi e di attivazione piastrinica. E’ stata dimostrata una significativa riduzione dell’attività protrombinica dopo incubazione con 56 μg/ml di NP e un significativo incremento con le diluzioni da 5,6 μg/ml a 0,56 ng/ml rispetto al controllo negativo (plasma incubato con PBS). I valori di attività protrombinica erano comunque sempre compresi nell’ambito dei valori normali. Non sono state rilevate variazioni significative dell’APTT. Anche il consumo di complemento attraverso le due vie non è risultato significativo. Infine, non sono stati evidenziati effetti citotossici sulle cellule umane: la vitalità delle HUVEC, delle MSC e degli HOB dopo incubazione con le NP è risultata superiore all’80%. Non sono state riscontrate differenze significative nell’attività di fosfatasi alcalina delle MSC incubate con le NP e quelle incubate con il solo terreno. Conclusioni: le prove di biocompatibilità in vitro hanno dimostrato una variazione significativa dell’attività protrombinica, che tuttavia si è sempre mantenuta nell’ambito dei valori normali. Le NP non hanno indotto emolisi, attivazione piastrinica o consumo del complemento, e non hanno esercitato effetti citotossici sulle cellule endoteliali o sugli osteoblasti. In conclusione, le note proprietà di biocompatibilità del PLGA non sono state modificate dal legame con l’alendronato e dalla realizzazione di NP derivate. Finanziato dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 BIOCOMPATIBILITA’ IN VITRO DI CEMENTI ENDODONTICI INNOVATIVI A BASE SILICATICA F. Perut1, M.G.Gandolfi2,, S. Pagani1, G. Ciapetti1, S. Marchionni3, R. Mongiorgi3, C. Prati3, N. Baldini 1 1 Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna. 2 Centro di Biomineralogia, Cristallografia e Biomateriali, Università di Bologna. 3 Dip. di Scienze Odontostomatologiche, Università di Bologna. Obiettivo: scopo di questo lavoro è stato verificare la compatibilità cellulare in vitro di cementi endodontici innovativi a base silicatica. Materiale e metodo: quattro diverse formulazioni di cementi endodontici (TC, TC1%, TCf 1% e TCf) sono state preparate utilizzando cemento Portland e cloruro di calcio come accelerante. Nelle composizioni TC1% e TCf 1% è stato inserito un fillosilicato come plasticizzante. TC e TC1% sono stati preparati con H2O, mentre TCf e TCf1% sono stati preparati con un agente fluidificante (polimero di lattice). Due cementi canalari commerciali, Proroot MTA ed AH plus, sono stati utilizzati come riferimento. I materiali sono stati preparati, stratificati su vetro e fatti polimerizzare per 5 ore a 37°C in camera umida; sono stati quindi trattati con una soluzione di antibiotico/antimicotico in H2O per 2 ore e lavati in PBS. Il precondizionamento dei cementi e la preparazione degli estratti sono stati eseguiti incubando i materiali polimerizzati in DMEM al 10% FCS per 24 h a 37°C. La compatibilità cellulare è stata valutata utilizzando la linea cellulare similosteoblastica Saos-2, analizzandone la crescita (Alamar test) e la morfologia cellulare (SEM) dopo 72 ore di coltura sui cementi. Le cellule Saos-2 seminate su plastica per colture cellulari (TCPS) sono state messe a diretto contatto con gli estratti ottenuti dai cementi e, dopo 72 h, ne è stata valutata la vitalità. Risultati: l’analisi al SEM ha evidenziato differenze morfologiche della superficie dei cementi sperimentali. Nessuna tossicità acuta è stata evidenziata per i cementi oggetto di studio. Le cellule Saos-2 hanno aderito e proliferato su tutti i cementi sperimentali solidi, anche se in misura minore rispetto al cemento di riferimento MTA e al controllo su plastica. AH plus non ha consentito la crescita cellulare. L’analisi al SEM ha confermato questi dati, evidenziando cellule con morfologia similosteoblastica sui cementi a base silicatica e su MTA; rare cellule sono state osservate su AH plus. La vitalità delle cellule Saos-2 a contatto con gli estratti di TC, TC 1% e MTA è paragonabile al controllo su plastica. Gli estratti di TCf e TCf 1% riducono la vitalità delle cellule Saos-2 in modo significativo (p<0.05) rispetto al controllo su plastica ed agli estratti di MTA, TC e TC 1%. Tuttavia la successiva adesione e proliferazione delle cellule Saos2 sui cementi solidi TCf e TCf 1% hanno dimostrato una riduzione di questo effetto tossico nel tempo. L’estratto di AH plus è risultato il più tossico, inducendo una mortalità cellulare molto alta, con valori significativamente diversi rispetto a tutti gli altri materiali (p=0.002). Conclusioni: i cementi endodontici sperimentali hanno dimostrato la capacità di supportare la crescita di cellule simil-osteoblastiche. Tali cementi possono quindi essere impiegati in endodonzia ortograda e retrograda. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 6 BioDynamic Characterization of Biomaterial Viscoelastic Properties Werner Conrads ,Jing Lu, Sandy Williams ElectroForce Systems Group, Bose Corporation, Eden Prairie, MN, USA. demonstrate preconditioning at a rate 0.2Hz, and then it Statement of Purpose: The objective of this work was repeats the sample procedure at other frequencies (from to employ the Dynamic Mechanical Analysis (DMA) ® ® 0.2Hz to 10Hz). The user-defined parameters allow the software with the ElectroForce BioDynamic testing study of the samples’ dynamic viscoelastic properties as platform to evaluate the mechanical properties of ® a function of a wide range of testing conditions. hydrogels. The Wintest DMA software has been Results / Discussion: The relationship between the developed to determine the dynamic viscoelastic complex modulus and the loading frequency as well as properties of biomaterials or tissues as a function of the tan delta and the loading frequency are shown in wide range of test conditions such as frequency, strain Figure 3, where complex modulus is the measure of and temperature. The BioDynamic testing platform dynamic mechanical properties of a material, taking into allows for continuous characterization and stimulation account energy dissipated as heat during the in a fully integrated and instrumented configuration by deformation and recovery, and tan delta is the tangent of providing material characterization (viscoelastic phase between the reference channel and feedback. The properties, strength, creep and stress relaxation) within plotted data shows that the complex modulus value a physiological environment (sterile, nutrient flow, increases as loading frequency increases, while tan delta pressure loading, pH, dissolved oxygen, and value decreases as loading frequency increases. Figure 4 temperature). shows four cycles of the sinusoidal compression Methods: The BioDynamic instrument was used along waveform at the rate of 1Hz. with DMA software to test the mechanical properties of hydrogels to demonstrate its ability to measure the dynamic mechanical properties of tissue and biomaterials (such as stress-strain relationship, stiffness, modulus, hysteresis, etc. with respect to loading frequency). The dynamic mechanical properties of polyvinyl alcohol hydrogels (Cambridge Polymer Group, Boston, MA) were evaluated with our unique computer-controlled moving magnet linear motor that provides load, displacement, and strain or pressure profiles (Figures 1-2). The hydrogel samples were 10 mm in diameter and 3-5 mm in height, and testing was performed in compression with a 5 mm displacement transducer and a 50lb force transducer. Figure 1. Biodynamic® system setup for hydrogel DMA tests. Figure 2. Sterile hydrogel sample with porous perfusion platens. The DMA software applies a user-defined 0.5N compression load to the hydrogel sample as a contact load, and then it applies 5% cyclic sinusoidal strain on the specimen for automatic calculated cycles enough to Figure 3. Hydrogel modulus and tan delta as a function of frequency at 5% strain. Figure 4. Dynamic material properties of a polyvinyl alcohol hydrogel. Conclusions: This study showed that the BioDynamic system along with DMA software is a very powerful tool to study the dynamic mechanical properties of biomaterials in a sterile biological environment. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 Ca SPECIES AT THE SURFACE OF NANOSIZED HYDROXYAPATITE. A COMPUTATIONAL AB INITIO AND A MICROCALORIMETRIC/IR SPECTROSCOPIC STUDY. M. Corno1, P. Ugliengo1, L. Bertinetti1, G. Martra1, C. Busco2 and V. Bolis2. 1 Dip. di Chimica IFM, Università di Torino, via P. Giuria 7, 10125 Torino. Italy. Dip.o DiSCAFF, Università del Piemonte Orientale, via G. Bovio 6, 28100 Novara. Italy. 2 The hydroxyapatite mineral [HA, Ca10(PO4)6(OH)2, family of apatites is a very versatile material, widely applied in the field of biomedical applications, because it constitutes the main component of the mineral phase in mammalian bones and teeth. Recently, several experimental and computational studies have been devoted to investigating the properties of apatite and apatite-like materials in order to better understand the molecular details of the processes occurring at the interface between such inorganic materials and living matter. The present work aims at understanding physical and chemical properties of the (001) and (010) hydroxyapatite surfaces, by means of a combined experimental and theoretical study dealing with the adsorption of probe molecules, among which CO. This molecule is generally employed to get useful information on the Lewis acidic properties (i.e., the ability to accept pairs of electrons) of coordinatively unsaturated (cus) metal cations exposed at the surface of inorganic materials, such as Ca2+ species of interest in the present work. Periodic ab initio B3LYP calculations using CRYSTAL06 code have been run to fully optimise the (001) and (010) bare surfaces for both hexagonal and monoclinic HA phases. On the geometrically relaxed surfaces the adsorption of CO has been simulated, from low to high coverage. Energies of adsorption and the vibrational features of CO have been computed both as a function of different surface adsorption sites and of coverage. In parallel, the adsorption of CO on a nanosized hydroxyapatite specimen has been studied by IR spectroscopy (at 77 K) in order to investigate the surface structure of the various kind of Ca species potentially active towards biomolecules. The energy of the CO-Ca sites interaction, as well as that of the CO-hydrated surface layer interaction, has been measured (at RT) by microcalorimetry. The main conclusions from the simulations are that CO adsorbs on the exposed cus Ca2+ cations which are characterized by rather strong local electric fields. It is worth of noting that the (010) surface is more active towards CO than (001). Both computed and measured CO stretching frequencies confirm that the cus Ca2+ cations behave as Lewis acidic sites, as witnessed by the presence of bathochromic shifts. In conclusion, the combined use of experimental and computational methods has proved to be useful to investigate such a complex system as an hydroxyapatite surface in interaction with molecules. Work is in progress in order to simulate and measure the interaction of the apatite surfaces with small (bio)molecules in order to better understand at nanometric level the chemical properties of these kind of biomaterials, in particular with respect to their biomedical applications. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 7 CARATTERIZZAZIONE DI PRECURSORI OSTEOGENICI AD ADERENZA TARDIVA IN COLTURE DI MIDOLLO OSSEO E. Leonardi, D. Granchi, V. Devescovi, G. Ciapetti, N. Baldini. Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna. Obiettivo: analizzare il potenziale osteogenico di cellule mononucleate non aderenti (NA) che vengono solitamente scartate nella coltura di cellule stromali mesenchimali (MSC) derivate da midollo osseo. In pazienti di diverse età, due sottopopolazioni di NA sono state raccolte e caratterizzate per la loro capacità di differenziarsi in osteoblasti. Materiali e metodi: il midollo è stato raccolto dal canale femorale di 6 pazienti durante l’intervento di artroprotesi d’anca. Dopo 4 gg di coltura, le cellule mononucleate non aderenti (NA0) sono state raccolte e riseminate; analogamente, dopo altri 4 gg, sono state raccolte anche le cellule non aderenti della coltura NA0 (NA1). NA0 e NA1 sono state coltivate in terreno osteogenico e caratterizzate per l’espressione di markers del differenziamento osteoblastico. I dati sono stati confrontati con quelli ottenuti nelle cellule aderenti precoci (AD); l’espressione di antigeni di membrana caratteristici delle MSC (CD44, CD105, CD166, CD90) è stata determinata in citometria a flusso, mentre l’attività della fosfatasi alcalina (ALP) è stata valutata con tecniche biochimiche e immunocitochimiche sulle “Colony Forming Units” (CFU). La mineralizzazione è stata verificata mediante quantificazione del calcio e colorazione di Von Kossa per le aree di deposizione di matrice; l’espressione di geni associati al differenziamento osseo è stata quantificata mediante RealTime PCR. Risultati: la percentuale di cellule NA varia da 1% a 51% e non correla con l’età dei pazienti. Dopo il trasferimento in una nuova fiasca di coltura, il 37-84% delle NA0 e il 1787% delle NA1 acquisiscono la capacità di aderire alla plastica, e la confluenza è raggiunta mediamente in un tempo paragonabile a quello delle AD (rispettivamente14.8±3 e 15.0±3 giorni). Al quarto passaggio, l’espressione degli antigeni di membrana delle MSC è maggiore dell’ 80% in tutte le popolazioni AD, NA0 e NA1. In AD, c’è una correlazione diretta tra età del paziente ed espressione di CD44 (R=0.90, P=0.012), CD105 (R=0.90, P=0.012) e CD166 (R=0.83, P=0.04), mentre nelle NA1, la correlazione è stata osservata solo per CD105 (R=0.99, P<0.0001). Le dimensioni e il numero delle CFU variano sensibilmente tra gli individui, e l’espressione di ALP diminuisce progressivamente da AD a NA0 a NA1. L’espressione di ALP nelle NA è risultata significativamente ridotta, sia a livello trascrizionale (NA0 vs AD p=0.05; NA1 vs AD p=0.01) che a livello proteico (NA0 vs AD p=0.05). In tutte le popolazioni, la deposizione di calcio raddoppia dopo 2 settimane in terreno mineralizzante ed è simile in AD e NA. L’espressione dei geni associati al differenziamento osseo è inferiore nelle NA rispetto alle AD: nessuna differenza significativa è stata osservata per i geni precoci Runx2 e Osterix e per il collagene di tipo 1, mentre l’espressione di osteocalcina è quasi sempre inferiore al limite di sensibilità del metodo. Conclusioni: le cellule mononucleate del midollo osseo contengono precursori osteogenici ad aderenza tardiva che mostrano un fenotipo più indifferenziato rispetto alle cellule che aderiscono precocemente. Il numero dei precursori osteogenici ad aderenza tardiva è indipendente dall’età del paziente, ed è ipotizzabile che essi abbiano un ruolo nella rigenerazione e nel mantenimento della omeostasi del tessuto osseo. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 CARATTERIZZAZIONE INFRAROSSA E RAMAN DI OLIGOPEPTIDI AUTOASSEMBLANTI M. Di Foggia, C. Fagnano, P. Taddei, A. Torreggiani (1), M. Dettin (2), A. Tinti. Dipartimento di Biochimica "G. Moruzzi", Università di Bologna, via Belmeloro 8/2, 40126 Bologna (Italy). (1) ISOF, Consiglio Nazionale delle Ricerche, via P. Gobetti 101, 40129 Bologna (Italy). (2) Dipartimento di Processi Chimici dell'Ingegneria, Università di Padova, via Marzolo 9, 35131 Padova (Italy). Obiettivo: caratterizzazione della struttura secondaria di nuovi oligopeptidi autoassemblanti, derivanti da EAK-16 [1] e caratterizzati dall’alternanza di amminoacidi apolari (alanina) e ionici (lisina, ornitina, acido glutammico, acido aspartico, acido amminobutirrico). Gli oligopeptidi analizzati erano costituiti da 16 amminoacidi, con eventuale aggiunta di una sequenza RGD (arginina-glicina-acido aspartico), per favorire la rigenerazione ossea a contatto con biomateriali di supporto. Materiali e metodi: i peptidi sono stati sintetizzati in fase solida utilizzando un apparecchio automatico per la sintesi dei peptidi (Applied Biosystem Model 431°) e purificati in colonna semipreparativa Delta Pak C18. Gli spettri Raman sono stati ottenuti con uno spettrometro FT-Raman Bruker FRA 106 (risoluzione 4 cm-1) mentre quelli IR sono stati ottenuti utilizzando uno spettrometro Nicolet 5700 (risoluzione 4 cm-1). La struttura secondaria degli oligopeptidi è stata determinata tramite fitting delle bande ammide I sia IR che Raman. Risultati: I risultati ottenuti dal fitting in IR e in Raman per ciascun peptide erano molto simili. Per quanto riguarda i peptidi appena sintetizzati, quelli contenenti solo 16 residui amminoacidici ionici/non polari hanno mostrato una prevalente struttura a foglietto beta indipendentemente dalla lunghezza e dall’ingombro sterico della catena R dell’amminoacido carico o di quello apolare. Infatti le bande tipiche di questa struttura secondaria sono state osservate sia in Raman a 1670-1673 cm-1 che in infrarosso a 16941697 cm-1 e a 1620-1626 cm-1. I peptidi contenenti la sequenza RGD avevano invece una struttura secondaria prevalente di tipo alfa-elica o mista, caratterizzata da una banda Raman a 1659 cm-1 e componenti IR a 1663 e 1640 cm-1. Dopo trattamento per 6 ore in soluzione di NaCl e tampone fosfato e liofilizzazione, i peptidi che avevano una struttura a foglietto beta non hanno mostrato variazioni significative di struttura secondaria mentre si è osservato uno spostamento significativo delle bande Raman e IR dei peptidi contenenti la sequenza RGD. Infatti anche in questo caso la struttura prevalente diventa di tipo betafoglietto. Conclusioni: anche i due peptidi contenenti la sequenza RGD e che subito dopo la sintesi non presentavano, o presentavano solo in parte, struttura a foglietto beta, dopo il trattamento in soluzione di NaCl e tampone fosfato assumono prevalente struttura beta. La spettroscopia vibrazionale si è confermata una tecnica valida per valutare le variazioni conformazionali dei peptidi. [1] Zhang S., Holmes T., Lockshin C., Rich A. PNAS 90, 1993, 3334 CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 Caratterizzazione meccanica e microstrutturale di componenti biomediche in lega Ti-6Al-4V prodotte per electron beam sintering L. Facchini§, E. Magalini†, P. Robotti†, A. Molinari§. § Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e delle Tecnologie Industriali, Università di Trento, via Mesiano 77, 38050 Trento, Italia. † Eurocoating s.p.a., via al Dos de la Roda 60, 38057 Ciré di Pergine, Italia. Obiettivo: L’electron beam sintering è una tecnica di rapid manufacturing che permette di produrre componenti metallici a geometria complessa con annessa struttura superficiale porosa direttamente da modelli 3D, senza l’utilizzo di spacers, attraverso la deposizione di strati di polvere e la loro fusione localizzata. Tale tecnologia permette di ottenere manufatti funzionali complessi in breve tempo. L’applicazione di questa tecnologia alla produzione di componenti protesici ortopedici consente l’ottenimento di pezzi unici, con poche limitazioni geometriche e con pori di dimensioni e distribuzione progettate nell’ottica dell’osteointegrazione. Il presente lavoro consiste nella caratterizzazione preliminare meccanica, microstrutturale e composizionale di provini prodotti in lega Ti-6Al-4V biocompatibile a partire da polvere. Materiali e metodi: La polvere di lega Ti-6Al-4V utilizzata è una polvere commerciale specifica: la sua morfologia appare sferica, mentre la dimensione dichiarata delle sue particelle è compresa tra 45 μm e 100 μm. Sui provini prodotti a partire da tale polvere sono state effettuate prove di trazione, fatica e microdurezza; i manufatti sono altresì stati caratterizzati attraverso misure di densità, microscopia ottica, ESEM e diffrazione ai raggi X. Risultati: La caratterizzazione meccanica dei componenti prodotti attraverso electron beam sintering ha fornito i dati sotto esposti. La densità relativa dei provini prodotti è risultata essere superiore al 99%. Le prove di trazione, effettuate secondo le condizioni della normativa ASTM E8M, hanno indicato un modulo elastico di 111±4 GPa, un carico di snervamento di 855±25 MPa, un carico di rottura di 935±25 ed un allungamento a rottura del 13,3±2,1%. La microdurezza misurata, pari a 355±5 HV0.05, è in linea con tali proprietà meccaniche. Il limite di fatica ottenuto mediante staircase method, inoltre, è pari a 400±77 MPa. L’osservazione della sezione dei provini meccanici dopo lappatura e attacco acido con Kroll ha evidenziato una microstruttura caratteristica di titanio α+β. La presenza delle due fasi (hcp e bcc) è stata confermata dalla diffrattometria a raggi X. Conclusioni: Le prove condotte su manufatti in lega Ti-6Al-4V ottenuti attraverso electron beam sintering hanno fornito valori di proprietà meccaniche incoraggianti; questi possono essere legati ad una microstruttura tipica per la lega utilizzata e alla piena densità dei componenti. Lo spettro di informazioni ottenuto verrà completato con prove di corrosione. Sono inoltre previsti, in caso di successo nella qualificazione chimico-fisica dei manufatti così ottenuti, test in vitro ed in vivo. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 1 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DELLE STRUTTURE COINVOLTE NELLA RIGENERAZIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE. Carola Cavallo*, Livia Roseti*, Giovanna Desando*, Roberto Buda#, Sandro Giannini#, Andrea Facchini*°, Brunella Grigolo*. * Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna, Istituti Ortopedici Rizzoli. # VI Divisione di Ortopedia, Istituti Ortopedici Rizzoli. °Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna. Il legamento crociato anteriore (LCA) è responsabile della stabilità del ginocchio evitando il movimento di traslazione anteriore della tibia sul femore. La lesione dell’LCA si riscontra con frequenza nel soggetto sportivo ed è dovuta a movimenti di torsione sull’asse verticale con dislocazione anteriore. La lesione che è quasi sempre completa, può talvolta coinvolgere la spina tibiale intercondiloidea. Il trattamento della lesione all’LCA è solitamente un trattamento chirurgico dal momento che i risultati che si ottengono con metodi non invasivi sono poco rilevanti sia a causa dello scarso potere autorigenerativo del tessuto stesso che dell’ambiente intra-articolare caratterizzato dalla mancanza di supporto ematico e da una serie di processi infiammatori successivi all’evento traumatico. Numerosi trattamenti chirurgici sono stati quindi effettuati sia nell’animale che nell’uomo allo scopo di ricostruire l’LCA con varie tecniche quali l’utilizzo di trapianto allogenico o autologo, i quali presentano comunque rischi e benefici riguardo la resistenza, la fissazione, la biocompatibilità e morbilità dovuta all’atto chirurgico. Finora uno dei metodi più utilizzati per la ricostruzione è stato quello del trapianto con il tendine rotuleo (TR) o il semitendinoso e gracile (ST), con una serie di vantaggi e svantaggi e scarse differenze riguardo i risultati clinici a distanza. Molti studi hanno riportato come entrambi i tendini posti nell’ambiente sinoviale e soggetti a forze fisiche siano progressivamente trasformati in una struttura simile a quella dell’LCA, processo chiamato “legamentizzazione”. L’analisi istologica dei vari tessuti utilizzati per il trapianto non ha mostrato delle grandi differenze, si tratta di tessuti di tipo connettivo nei quali le cellule sono circondate da una matrice ricca di collagene e povera in proteoglicani. L’ingegneria dei tessuti ha aperto nuove frontiere offrendo la possibilità di trattare lesioni all’LCA mediante utilizzo di nuovi materiali sintetici da soli o in combinazione con cellule. Una approfondita conoscenza biomolecolare delle strutture utilizzate al momento attuale per il trapianto dell’LCA potrebbe rivelarsi molto utile nella scelta della componente cellulare più idonea. Scopo dello studio è stato quello di valutare mediante Real-Time PCR l’espressione di alcune proteine della matrice in cellule umane ottenute dall’LCA, dal TR, dall’ST, e dall’LCA ricostruito con il TR (rLCA-TR) o l’ST (rLCAST). Un’analisi immunoistochimica ha permesso di evidenziare la presenza di alcune componenti anche a livello proteico. Come evidenziato sia il TR che l’ST esprimono gli stessi geni a livello molecolare con l’unica eccezione del collagene di tipo X, che è rilevabile solo nell’ST e nell’LCA ricostruito con quest’ultimo. In entrambi l’LCA-TR e l’LCA-ST si evidenzia una aumentata espressione di catepsina B e metalloproteinasi, indice di un processo di rimodellamento del tessuto. In generale comunque l’ST presenta una più elevata espressione genica di tutte le molecole analizzate rispetto al TR, e questa condizione è evidenziabile anche nell’LCA ricostruito con l’ST. Ulteriori studi sono ovviamente necessari per meglio caratterizzare la componente cellulare dei due tendini al fine di poterne ipotizzare l’uso in combinazione con strutture biocompatibili in grado di consentirne la vitalità e la proliferazione. Fine ultimo è la possibilità di ricreare un tessuto dotato delle caratteristiche bio-meccaniche tipiche del legamento originale. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 1 ADSORPTION-INDUCED CONFORMATIONAL CHANGES OF SERUM ALBUMINS ONTO BIOMIMETIC HYDROXYAPATITE NANOCRYSTALS 2 Γ (m g/m ) Piera Sabatino*, Luigi Casella°, Elisabetta Foresti*, Michele Iafisco*, Enrico Monzani°, Barbara Palazzo, Lia Rimondini^, Norberto Roveri*. *Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Alma Mater Studiorum, via Selmi 2, I-40126 Bologna. °Dipartimento di Chimica Generale, via Taramelli 12, Università di Pavia,I-27100 Pavia. ^Dipartimento di Scienze Mediche,via Solaroli 17,Università del Piemonte Orientale,I20068 Novara. Aim of this study is to quantify conformational changes induced on serum albumins upon adsorption and after desorption from biomimetic hydroxyapatite nanocrystals surface, in order to define blood proteins role in mediation of biomaterial/bone tissue interactions. Synthetic biomimetic hydroxyapatite nanocrystals emulate the properties of natural HA, such as non-toxicity and lack of inflammatory and immunitary response[1,2]. FTIR spectroscopy, X-Ray diffraction, BET surface area, water contact angle, far UV and near UV CD spectroscopy have been employed both to characterize morphology and structure of apatitic substrates and to investigate structural changes in bovine and human serum albumin induced by adsorption. Experimental investigations have been carried out on two nanosized HA samples, a plateshaped (HAps) and needle-shaped (HAns) one (Fig.1) provided with different physicochemical properties. Both of them have been interacted with bovine (BSA) and human (HSA) serum albumin, showing different affinity between the two morphologies and towards BSA and HSA (Fig 2). 1,8 1,7 1,6 1,5 1,4 1,3 1,2 1,1 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 HSA BSA 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 C BSA (mg/m l) Fig 1 HAns nanocrystals Fig 2 Adsorption isotherm on HAps Fig 3 FTIR and Gaussian curve fitting FTIR spectroscopy has been used to quantify conformational changes in both BSA and HSA adsorbed onto the HA nanocrystals, showing, after spectra deconvolution, a different protein unfolding according to the relative surface properties (Fig. 3). CD spectroscopy has been applied to investigate structural changes in the protein solutions eluted from the solid matrix, showing the lack of regaining native structure even after desorption especially for low protein concentrations. Apparently, HSA exhibits a greater aggregation ability in the eluted solutions with respect to BSA in vitro. Our results show that between the biomaterial surface and the bone tissue a serum albumin layer, irreversibly modified in vitro, must be taken into account when considering osteoconducibility, osteoinductivity and osteocompatibility of bone substitute implants because cells initially respond to the adsorbed protein layer rather than the surface itself. [1] N. Roveri and B. Palazzo “Hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes” Nanotechnologies for the Lifesciences Vol. 8 “Nanomaterials and Technologies for Tissue Engineering” Kumar (ed.) Wiley 2006 [2] B. Palazzo, M. Iafisco, M. Laforgia, N. Margiotta, G. Natile, C. L. Bianchi, D. Walsh, S. Mann, N. Roveri “Biomimetic hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes with anti-tumour drugs delivery function” in press on Advanced Functional Material CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 2 COLTURA DI OSTEOBLASTI UMANI SAOS-2 SU SUPERFICIE DI TITANIO SABBIATO E DEFORMATO PLASTICAMENTE Lorenzo Fassina (1), Enrica Saino (2), Livia Visai (2), Maria Gabriella Cusella De Angelis (3), Francesco Benazzo (4), Giovanni Magenes (1). (1) Dip. Informatica e Sistemistica, (2) Dip. Biochimica, (3) Dip. Medicina Sperimentale, (4) Dip. SMEC dell’Università di Pavia. • Obiettivo: Le superfici di titanio sabbiato sono state studiate al fine di migliorare l’osteointegrazione in vivo degli impianti dentali e delle protesi ortopediche. Per ottenere una migliore osteointegrazione, la superficie sabbiata è stata sottoposta a deformazione plastica mediante punzonatura. Lo scopo di tale procedura è quello di creare sulla superficie del biomateriale un microambiente atto a favorire la proliferazione cellulare e la sintesi di matrice extracellulare ossea. • Materiali e metodi: Sono stati utilizzati dischi in lega di titanio Ti6Al4V con diametro 14 mm e altezza 4 mm. La sabbiatura del titanio è stata ottenuta mediante polvere di Al2O3 (granulometria 16 mesh). La rugosità Rz del titanio sabbiato è pari a 26 μm. La successiva punzonatura ha permesso di ottenere crateri tronco-conici equidistanziati con le seguenti dimensioni: diametro maggiore pari a 500 μm, diametro minore pari a 300 μm e profondità pari a 170 μm. Gli osteoblasti umani SAOS-2 di linea sono stati coltivati in terreno di McCoy 5A (con 15% di siero fetale bovino, 2% di sodio piruvato, 1% di antibiotici, 10-8 M desametasone, 10 mM β-glicerofosfato), seminati sui dischi di titanio (4x105 cellule per ogni disco) e quindi coltivati per 22 giorni a 37°C e 5% CO2. Al termine della coltura sono stati valutati: la morfologia superficiale del materiale mediante SEM, il contenuto di DNA, la quantità totale di matrice proteica sintetizzata mediante estrazione con sample buffer specifico ed, infine, la distribuzione del collagene di tipo I mediante immunofluorescenza. • Risultati: La modifica plastica della superficie del biomateriale ha provocato, rispetto alla sola sabbiatura, un raddoppio della proliferazione (in media 1.5x106 vs. 3.1x106 cellule per disco) ed un aumento ancora maggiore della sintesi di matrice proteica (in media 870 vs. 2464 μg/disco). Le osservazioni al SEM ed al microscopio ad immunofluorescenza hanno dimostrato che la deformazione plastica provoca la formazione di estesi cluster di cellule e matrice ossea, cluster che tendono a ricoprire la superficie disponibile. Al contrario, la sola sabbiatura non è in grado di supportare una simile estensione della coltura. • Conclusioni: La punzonatura del titanio sabbiato crea un microambiente atto a favorire la proliferazione cellulare e la sintesi di matrice extracellulare. Partendo da cellule autologhe di un paziente, il titanio punzonato, coltivato in vitro e ricoperto di cellule e matrice ossea, potrebbe essere successivamente utilizzato in vivo al fine di ottenere una migliore osteointegrazione dell’impianto. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 DESIGN di MATRICI BIOCOMPATIBILI TRIDIMENSIONALI PER APPLICAZIONI NEL CAMPO DELL’INGEGNERIA TISSUTALE CARDIACA E. Traversa, B. Mecheri, C. Mandoli, S. Soliman, A. Rinaldi, S. Licoccia, G. Forte*, F. Pagliari*, P. Di Nardo* Dip. di Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma *Dip. di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma Alcune patologie cardiache possono attualmente essere trattate solo mediante trapianto cardiaco. Tuttavia, la disponibilità di organi donati è del tutto insufficiente rispetto alla richiesta. Una possibile alternativa per riparare i danni provocati dall’infarto al miocardio è costituita dalla medicina rigenerativa, mediante ricostruzione di tessuti. Per questo scopo, la progettazione e realizzazione di materiali biocompatibili e bioriassorbibili come sostegno per la crescita dei tessuti rivestono un ruolo di primaria importanza. Nel’ingegneria tissutale è fondamentale anche la scelta delle cellule da far proliferare e il loro interazione con i materiali di sostegno. L’uso delle cellule staminali è estremamente promettente per questi scopi. Lo scopo di questo lavoro consiste nella progettazione e fabbricazione controllata con metodi a basso costo di scaffold polimerici tridimensionali che promuovano la rigenerazione tissutale cardiaca mediante l’attecchimento, la crescita e la differenziazione di cellule staminali. Le matrici polimeriche selezionate per questo obiettivo sono essenzialmente poliesteri biocompatibili, quali acido polilattico, acido poliglicolico, policaprolattone e loro miscele. Il design e la costruzione di scaffold tridimensionali sono stati condotti mediante l’uso di tecniche di fabbricazione che consentano la messa a punto di materiali con composizione e morfologia controllate, nonché con proprietà meccaniche che ne permettano l’integrazione e l’impianto nel corpo umano. In particolare, le metodologie di fabbricazione utilizzate in questo lavoro comprendono tecniche di casting e di produzione di fibre polimeriche con la tecnica di elettrospinning. Il controllo sul grado di porosità del sistema e sulle sue proprietà meccaniche è stato ottenuto sia con la scelta di opportuni agenti porogeni, diversificati in base alla loro composizione chimica e concentrazione, forma e dimensioni, sia mediante l’induzione di separazioni di fase all’interno della matrice, controllando i parametri chimico-fisici che governano il processo. La caratterizzazione morfologica delle matrici polimeriche, condotta mediante microscopia elettronica a scansione, ha evidenziato l’ottenimento di matrici a porosità controllata, in cui la forma, le dimensioni e l’interconnettività dei pori sono regolabili in base ai parametri del processo di fabbricazione. Tali parametri di processo consentono inoltre di regolare e controllare anche le proprietà meccaniche delle matrici come è stato evidenziato dalla caratterizzazione micromeccanica, effettuata mediante nanoindentazione. La biocompatibilità e la bioattività delle matrici è stata valutata tramite l’impianto di cellule staminali adulte (mesenchymal stem cell, MSC e resident cardiac stem cell, CSC). L’adesione, la proliferazione e la differenziazione delle cellule è stata studiata mediante test MTT, immunofluorescenza e analisi RT-PCR. L’insieme dei risultati ottenuti ha mostrato che è possibile ottenere matrici biopolimeriche aventi struttura e proprietà modulabili in base al processo di fabbricazione. Tali matrici risultano essere citocompatibili e funzionano inoltre come templato per la crescita e la proliferazione cellulare diretta alla riparazione di tessuti cardiaci. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 CONDOTTI RIASSORBIBILI IN ACIDO POLILATTICO CONTENENTI FATTORI CHE PROMUOVONO LA RIGENERAZIONE OSSEA Nicoli Aldini N.1, Sartori M. 1, Fini M. 1, Giavaresi G. 1, Veronesi F1., Torricelli P1., Tschon M. 1, Tanzi M.C.2, Farè S. 2,Draghi L. 2 , Giardino R1. 1 Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna 2 Laboratorio di Biomateriali, Dipartimento di Bioingegneria, Politecnico di Milano Obiettivo Gli ampi difetti ossei diafisari rappresentano ancora un problema clinico in ortopedia e traumatologia: la maggior parte delle metodiche attuali prevede il trasferimento di osso autologo o allogenico, innesti ossei vascolarizzati e tecniche di distrazione osteogenetica. Nessuno di questi procedimenti è tuttavia privo di inconvenienti e limitazioni. In precedenti studi sperimentali è stato dimostrato che una camera tubulare riassorbibile di acido poli-DL-lattico consente la neoformazione di tessuto osseo in difetti critici diafisari e che le cellule staminali del midollo osseo (BMSC) e la matrice ossea demineralizzata (DBM) separatamente aggiunte nel lume della camera aumentano la velocità di deposizione dell’osso. Questo nuovo studio ha lo scopo di valutare se si verifichi un effetto sinergico quando BMSC e DBM siano inserite insieme all’interno della camera. Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione animale. La DBM è stata ottenuta da osso corticale di conigli New Zealand, mentre le BMSC mediante centrifugazione isopicnica di midollo osseo autologo. Per lo studio sono stati utilizzati 10 conigli New Zealand adulti dal peso di 3250±250g. Le procedure chirurgiche sono state condotte in anestesia generale. A livello del radio è stato creato bilateralmente un difetto osseo di 10 mm. Nel lato destro il difetto è stato riparato posizionando fra i due monconi ossei la camera contenente DBM+BMSC; nel lato sinistro (controllo) è stata posizionata nel difetto un’uguale quantità di DBM e BMSC senza la camera. Sono stati eseguiti controlli radiologici immediatamente dopo l’intervento, ed a 30, 60, 90 e 120 giorni. Indagini istologiche ed istomorfometriche dopo l’ espianto hanno permesso una valutazione quantitativa dell’osso rigenerato all’ interno del condotto, espresso come percentuale rispetto allo spessore normale dell’osso corticale del radio. Risultati In assenza della camera lo studio istologico ha messo in evidenza in tutti i casi una sinostosi fra radio e ulna e la penetrazione nel difetto di tessuto muscolare e connettivo. A livello dei due monconi erano presenti modesti segni di ricrescita ossea, con uno spessore medio del 46,7±10,7% della corticale normale, senza alcun ristabilimento della continuità. In presenza della camera deposizione di osso neoformato era evidente a 2-3 mesi; a 4 mesi i due monconi erano riuniti da un sottile strato di osso corticale con uno spessore medio pari al 58,7±3,74% della corticale normale. Confrontando questi risultati con quelli di precedenti studi in cui DBM e BMSC erano aggiunte separatamente alla camera, si è osservato come la differenza nello spessore della corticale fra i radii trattati con DBM e BMSC in combinazione all’interno della camera, e i radii trattati con camera contenente solo DBM o solo BMSC sia risultata altamente significativa (p<0,0005). Conclusioni In conclusione questi risultati sono a favore dell’ ipotesi che la camera agisca sia come scaffold, sia per la sua impermeabilità, come contenitore di fattori osteogenetici. Poiché tuttavia anche i fattori di crescita che derivano dai tessuti molli hanno un ruolo nei processi di formazione dell’osso, lo studio di camere con caratteristiche di porosità tali da consentire un interazione con l’ambiente esterno sarà oggetto di future ricerche.. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 FUNZIONALIZZAZIONE SUPERFICIALE DI BIOMATERIALI MEDIANTE ANCORAGGIO DI FOSFATASI ALCALINA Enrica Vernè*, Sara Ferraris*, Silvia Spriano*, Chiara Vitale Brovarone*, Claudia Letizia Bianchi**, Marco Morra***, Clara Cassinelli*** * Dip. Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Torino, Italia ** Dip. Fisica, Chimica, Elettrochimica, Università di Milano, Milano, Italia *** Nobil Bio Ricerche, Villafranca d‘Asti - Italia Obiettivo: Il successo di un intervento di chirurgia protesica è strettamente legato all’integrazione tra osso ed impianto ed alla rapida guarigione di un tessuto osseo, in alcuni casi, seriamente compromesso. Una prospettiva interessante, in questa direzione, è la realizzazione di superfici biomimetiche, che trasmettano segnali atti a promuovere la rigenerazione tissutale. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è la funzionalizzazione di differenti biomateriali, utilizzati in chirurgia protesica, attraverso l’ancoraggio di biomolecole coinvolte nei processi di osteointegrazione. La fosfatasi alcalina (ALP) è stata utilizzata come proteina modello, in quanto è legata ai processi di mineralizzazione dei tessuti duri. I dispositivi di interesse di questa ricerca sono impianti ortopedici o dentali e piccoli sostitutivi ossei di sintesi. I materiali trattati risulteranno bioattivi sia da un punto di vista fisico-chimico (osteoconduzione e precipitazione di apatite), che biochimico (osteoinduzione). Materiali e Metodi: Sono stati studiati vetri bioattivi di diverse composizioni. Le superfici di questi materiali, opportunamente trattate, espongono ossidrili, che possono essere sfruttati per la funzionalizzazione e l’ancoraggio di biomolecole. Questa ricerca ha analizzato in un primo momento le metodologie per lo sviluppo di tali siti attivi sulla superficie dei materiali. La superficie è stata prima di tutto lavata per eliminare ogni contaminazione e promuovere l’esposizione degli ossidrili.. Quindi è stata valutata la possibilità di silanizzare la superficie, al fine di promuovere e stabilizzare il legame tra biomolecola e substrato . L’ultima fase del processo è stata l’ancoraggio della fosfatasi alcalina, realizzato tramite incubazione dei campioni in una soluzione dell’enzima. Le superfici sono state quindi analizzate con XPS, per verificare l’avvenuto ancoraggio della molecola e mediante UV-VIS, per valutarne l’attività (dopo l’aggiunta di un opportuno substrato – 4-nitrofenilfosfato). I campioni sono stati studiati anche a seguito di differenti lavaggi, per analizzare la stabilità del legame. Risultati: Gli spettri XPS evidenziano la presenza dell’enzima, attraverso un arricchimento in carbonio e azoto e una diminuzione nei costituenti caratteristici del substrato . Lo studio in dettaglio della regione del carbonio mostra picchi caratteristici per l’enzima. Le misure di assorbanza dopo la reazione con il 4-nitrofenilfosfato indicano che la molecola è legata alla superficie in forma attiva. Questa attività viene ridotta, ma mantenuta a seguito di differenti lavaggi. Conclusioni: La fosfatasi alcalina è stata legata alla superficie di vetri e vetroceramici bioattivi con e senza l’impiego di un’ulteriore molecola di attivazione. Su tutti i campioni è stata osservata la presenza della molecola in forma attiva. Sono in corso test di adesione e proliferazione cellulare. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 HISTOLOGICAL ANALYSIS ON DENTAL BIOPSIES AFTER ENLARGEMENT OF ATROPHIC DENTAL RIDGES A. Cacchioli,. B. Spaggiari, F. Ravanetti, P. Borghetti and C. Gabbi. Department of Animal Health, Faculty of Veterinary Medicine, University of Parma. AIM: The work aims at analyzing, by means of different histological techniques, dental biopsies after atrophic dental ridges enlargement and titanium screws insertion, to evaluate the osteointegration dynamics of different testing materials. INTRODUCTION: Among the different alternatives to reconstruct atrophic dental ridges, the use of grafting materials meets the clinical need to optimize the subsequent prostethic treatment. Autologous bone, collected from the same individual, has good osteogenic and osteoinductive properties (1), while among heterologous grafting materials, deriving from a species different from recipient, inorganic bovine apatite presents osteoconductive properties and provides a steady bone volume due to its low reabsorbability (2). Here the osteointegrative response of autologous bone grafts from iliac crest, alone or associated to heterologous bone grafts (natural bovine apatite) was analysed. MATERIALS AND METHODS: The following specimens were harvested: 1 dental biopsy with autologous graft from iliac crest, 12 months after grafting; 5 biopsies with autologous graft from iliac crest mixed with granular heterologous graft (natural bovine apatite), 4 months after grafting; 1 biopsy with threaded Ti screw inserted after an autologous bone grafting, 6 months after screw insertion. After harvesting, undecalcified specimens were embedded in methyl methacrylate (MMA) and cut with a diamond-edged blade in a rotating saw. Sections were observed by polarizing light microscopy (PL), then they were stained by fast green-toluidine blue-basic fuchsin and observed by light microscopy (LM). Specimens devoid of implants were also decalcified, embedded in paraffin and cut to obtain 5 µm sections. The latter were stained by hematoxylin/eosin (E/E) and processed by immunoperoxidase to detect the endothelial marker CD31, and observed by LM. RESULTS: The different employed techniques showed how an autologous graft alone provides an excellent osteointegrative response after a long period (12 months). In particular, the presence of lamellar bone tissue organized in thick trabeculae, containing osteonic and interstitial systems, was detected by PL and LM on undecalcified sections. Biopsies containing autologous and heterologous grafts were decalcified and embedded in paraffin or embedded in MMA. 4 months after grafting the mixture appeared to induce a partial bone regeneration undergoing an active remodelling by macrophagic cells, further to a marked highly vascularized fibrous proliferation, referred to as granulation tissue. The latter aspects were detectable in E/E-stained and CD31-marked sections. The undecalcified implant-containing specimen was analysed by PL and LM and revealed the good osteointegration of a Ti screw after autologous grafting. 6 months after the screw insertion, wide bone trabeculae appeared to adhere to the screw threads without fibrous encapsulation. CONCLUSIONS: The use of different histological techniques allowed to perform a complete analysis of osteointegration mechanisms of several dental materials. Studying undecalcified tissues enable to evaluate bone tissue morphology and collagen fibres orientation, without interfering with tissue-implant interface. Also, analysing decalcified sections one can observe to a higher detail the bone deposition and remodelling processes, eventual phlogistic phenomena and related cell populations. REFERENCES: (1) Urist et al. Science 220.4598 (1983):680-6. (2) Quiñones et al. Clin Oral Implan Res 8.6 (1997):487-96. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA 28-29 MAGGIO 2007 8 IDROGELI A BASE DI GUAR COME SCAFFOLD CELLULARI a G. Panariello, a,cR.Barbucci, aL.Campana, aE. Caputo, cG. Leone b A. Spreafico, bF. Chiellini, bR. Marcolongo. a b BioSuMa s.r.l. Dip. Medicina Clinica e Scienze Immunologiche “Sez. Rreumatologia” Università degli studi di Siena. c C.R.I.S.M.A. - Università degli studi di Siena. Obiettivo: La sintesi di idrogeli, ottenuti reticolando differenti polisaccaridi con differenti reticolanti, è volta alla ricerca di nuovi materiali che presentino determinate proprietà meccaniche, tissotropiche e biologiche, consentendo il loro utilizzo in settori quali l’ingegneria tissutale, per la creazione di biomateriali tridimensionali impiantabili, l’industria farmaceutica, per la creazione di sistemi transdermici per il rilascio controllato di farmaci. Materiali e metodi: La gomma di Guar è un polisaccaride che si estrae dai semi della pianta Cyamopsis Tetragonaloba. Appartiene alla famiglia dei Galattomannani ed ha un peso molecolare di circa 2.500 KDa. Gli agenti reticolanti utilizzati in questo studio sono il Poly ethylene glycol diglycidyl ether (PEGDGE) ed l’ 1,2,7,8-diepoxyoctane (DEO). La reticolazione viene effettuata in ambiente basico: i due gruppi alcolici, presenti sull’unità monomerica del Guar, si comportano da nucleofili ed attaccano l’anello epossidico, presente in testa ed in coda ad entrambi i reticolanti. Sull’idrogel è possibile creare una microstruttura porosa, con una dimensione dei pori controllata. Le analisi, per la caratterizzazione chimico-fisica, effettuate sul prodotto ottenuto sono: -Spettro IR, nel quale si osserva l’aumento del picco relativo allo stretching del legame etere, che si forma a seguito della reticolazione. -Reologia, confermano la formazione del gel e la sua tissotropia. -Prove di rigonfiamento. -Viscosità. -Porometro, valuta la percentuale della porosità e le dimensioni dei pori. -SEM, per osservare la morfologia delle cellule seminate sull’idrogelo. Risultati: Gli idrogeli sono risultati non essere citotossici, ne per contatto, ne per rilascio una volta sottoposti ad un ciclo di pressione da 1 a 5 MPa ad andamento sinusoidale, della durata di 3 ore. Sono state effettuate prove anche con i condrociti. Dischi di idrogeli a base di Guar hanno superato prove dinamiche di resistenza: l’analisi reometrica non ha riscontrato differenze nel gel prima e dopo la prova dinamica. Conclusioni: La sintesi di idrogel, impiegando il Guar come polimero, ha permesso di ottenere dei materiali che possono essere impiegati nel settore della rigenerazione tissutale, come scaffold per i vari tipi di cellule. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 IDROGELI FOSFATATI PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO OSSEO a b P. Torricelli, bS. Maramai, bG. Leone, bR. Barbucci, cA. Facchini. Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi - Università degli studi di Siena. a I.O.R. - Via di Barbiano 1/10, Bologna. c Lima-LTO s.p.a. Obiettivo: ottenimento di polisaccaridi con spiccate proprietà osteoinduttive /osteoconduttive. Materiali e Metodi: Materiali: Il sale sodico della CMC (grado di carbossimetilazione 0.95, PM = 20.000Da) fornito della Hercules Italia S.p.A (Italy). Gli altri reagenti sono stati acquistati dalla Fulka Chemie AG (Svizzera). Metodi: fosfatazione dei polisaccaridi: Il polimero di partenza è stato disciolto in acqua per farne una soluzione all’1% w/v e la soluzione è stata portata a pH=12 con NaOH 2M; in seguito è stato aggiunto il reattivo fosfatante sodiotrimetossi-fosfato (STMP) e la reazione è stata lasciata sotto agitazione magnetica a temperatura ambiente per 2h. La soluzione del polimero è stata infine dializzata in acqua distillata per 24-48h. In seguito, il polimero fosfatato è stato anche ammidato. Tutti i polimeri in esame sono stati in seguito sottoposti a reticolazione usando come agente reticolante l’1,3-diaminopropano. Risultati e discussioni: Polisaccaridi: La procedura di fosfatazione ha permesso l’introduzione di un gruppo fosfato per ogni unità ripetitiva, sia sulla CMC che sulla CMCA, come confermato dall’analisi infrarossa, in seguito alla comparsa di tre bande nello spettro, una a 1280 cm-1 circa (P=O stretching), una intorno a 1090 cm-1 e l’altra attorno a 980 cm-1 (relative ai gruppi P-O-R e P-O-P). Idrogeli: L’indagine morfologica tramite SEM ha evidenziato che i gel ottenuti dai polimeri fosfatati presentano una superficie più compatta e frastagliata, da attribuire a cross-link intercatena tra i gruppi fosfato. La presenza dei gruppi fosfato induce un significativo aumento delle proprietà reologiche del materiale (i valori di │G’│(Pa) vanno da 8.500 a 11.000 nella CMCP rispetto alla CMC (6.800-8.500) e in modo più spiccato nella CMCAP, da 8.200 a 9.800 rispetto alla CMCA (3.500-7.000). Questo fenomeno è accompagnato da una diminuzione del water up-take. Inoltre, le prove reologiche, hanno evidenziato che i geli di CMCP e CMCAP mostrano proprietà tissotropiche, ovvero mostrano una temporanea riduzione della viscosità se sottoposti a sforzi di taglio. La valutazione della proliferazione cellulare (WST-1) e della bioattività sui quattro idrogeli si è concentrata sull’analisi di ALP (fosfatasi alcalina), CICP (Collagene di tipo 1) e OC (Osteocalcina) a 3 e 7 giorni. È stato evidenziato che la presenza di gruppi fosfato stimola la proliferazione e la bioattività delle cellule (linea MG 63). Conclusioni: Gli idrogeli a base di polimeri fosfatati risultano essere materiali idonei per la rigenerazione del tessuto osseo e per la proliferazione delle cellule. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 8 WORK 2 IDROSSIAPATITE BIOMIMETICA NELTRATTAMENTO CHIRURGICO DEI DIFETTI OSSEI CRANICI D. Pressato1, E. Arcangeli1, A. Nataloni2, C. De Luca2, R. Stefini2, G. Staffa3, F. Servadei3. 1 Finceramica Faenza S.p.A., Faenza. 2 Spedali Riuniti di Brescia, Dipartimento di Neurochirurgia, Brescia. 3 Dipartimento di Neurotraumatologia Ospedale Bufalini, Cesena. Obiettivo: La traumatologia e altre patologie a livello cranico come neoplasia e malattie degenerative possono condurre ad una importante perdita di sostanza ossea. Le procedure di ricostruzione ossea cranica prevedono l’impiego di biomateriali e tecniche chirurgiche intramanuali. Tra i biomateriali più comunemente impiegati si segnalano la resina in PMMA, cementi calcio-fosfatici, metalli e l’opercolo osseo autologo che se riutilizzabile rappresenterebbe la soluzione ideale. Tuttavia, la bibliografia scientifica riporta una elevata percentuale di insuccessi per tutti gli approcci chirurgici elencati. Obiettivo del presente studio clinico retrospettivo è stato dimostrare l’efficacia a lungo termine di una procedura di ricostruzione ossea denominata Custom-bone Service Cranial con impiego di innesto osseo ceramico-biomimetico “su misura” nel ripristino di ampi e complessi difetti cranici in seguito a craniectomia. Materiali e Metodi: Dal 2004 al 2006 è stata effettuata una revisione sistematica su una coorte di pazienti che da giugno ‘99 a maggio ‘04 erano stati trattati nel corso della pratica neurochirurgica con il servizio Custom Bone Service Cranial in seguito a craniectomia per le seguenti patologie: decompressione chirurgica in seguito a trauma o patologia vascolare (n=24), frattura (n=12), infezione/rigetto di altri impianti protesici (n=6), neoplasia (n=5), riassorbimento di osso autologo (n=4). L’end point primario dello studio era stabilire l’incidenza di eventi avversi quali infezione, reazione infiammatoria inaspettata e frattura dell’innesto. Gli end point secondari venivano conseguiti mediante valutazioni cliniche e diagnostiche ed erano rappresentati da: risultato biologico, risultato meccanico, ed estetico, giudizio globale sul grado di soddisfazione del paziente e del chirurgo rispetto alla situazione pre-operatoria. Le valutazioni sono state effettuate sulla base a reports clinicodiagnostici a 3, 6 mesi, 1 e 2 anni dalla data di intervento di posizionamento dell’innesto. Risultati: Nell’immediato postoperatorio e nel corso delle valutazioni successive, nessun evento avverso correlabile all’utilizzo dell’innesto ceramico veniva segnalato a conferma dell’elevata tollerabilità e biocompatibilità del dispositivo. Il 70% dei pazienti presentava una fusione ossea (risultato biologico), più rapida rispetto agli standard, con un miglioramento del risultato sia meccanico che estetico (range 90-100%) oltre a registrare un giudizio positivo da parte del chirurgo con tempi intraoperatori significativamente inferiori rispetto allo standard chirurgico. Conclusioni: Custom-bone Service Cranial, sostituto osseo craniale a base di idrossiapatite porosa biomimetica, grazie a caratteristiche chimico-fisiche e biologiche analoghe all’osso umano, è in grado di ripristinare la normale geometria anatomica e funzionale in pazienti che presentano ampie e complesse lacune craniche con un significativo aumento della qualità della vita. Uno studio clinico prospettico controllato è attualmente in corso al fine stabilire delle linee guida sul trattamento di questa patologia con Custom-bone Service Cranial. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 3 IDROSSIAPATITE NANOTECNOLOGICA: UN BIOMATERIALE CHE FORSE RIESCE A CENTRARE TUTTI GLI OBBIETTIVI Davide Zaffe, Giorgio Traversa*, Fabrizio Morelli*. Dipartimento di Anatomia e Istologia, Univ. di Modena e Reggio Emilia *Odontoiatra, Libero professionista. L’idrossiapatite è il ceramico che, forse, meglio di tutti esprime alcune delle caratteristiche richieste dagli operatori che agiscono nei vari campi in cui è attuata la rigenerazione ossea di difetti scheletrici. In questa, l’idrossiapatite dimostra senza dubbio numerosi aspetti positivi, legati al fatto che è un materiale di sintesi con elevate capacità osteoconduttive/osteoinduttive (Zaffe, Micron 2006), evidenzia tuttavia alcuni problemi legati alla sua massa: risulta infatti difficilmente maneggiabile, soprattutto in difetti di piccole dimensioni o di difficile accesso. Il principale difetto dell’idrossiapatite è che, dopo aver stimolato la crescita ossea, rimane in situ per anni essendo difficilmente rimovibile per erosione osteoclastica e, quindi, rimpiazzabile da osso neoformato. Il composito ossoidrossiapatite non solo possiede caratteristiche meccaniche poco valide ma può creare notevoli problemi all’operatore nella successiva fase di inserimento degli impianti. Una nuova idrossiapatite sintetica, l’Ostim, prodotta in ambiente acquoso sotto forma di cristalli aghiformi di lunghezza di qualche centinaio di nanometri, viene confezionata sotto forma di pasta contenente circa il 35% di idrossiapatite. La pasta viene agevolmente iniettata nei siti di maggiore difficoltà operativa come per esempio nel rialzo di seno mascellare e ha solo due grandi problemi: la temperatura e la pressione. La pasta deve essere conservata infatti tra 4 e 25°, per cui viene fornita con un marker termico, e non deve subire compressioni, altrimenti si comporta come fosse una massa compatta e porta a fallimento l’intervento. L’Ostim è stato usato in questo studio preliminare in pazienti adulti nel rialzo del pavimento del seno mascellare e nel riempimento di cavità post-estrattive. Dopo un periodo, più lungo nel sinus lift, da 6 a 9 mesi il sito implantare veniva carotato per inserire l’impianto e la carota opportunamente per l’analisi istomorfologica. I risultati su un totale di 15 carote evidenzia una estrema variabilità, verosimilmente legata alle condizioni di risposta di ciascun paziente. In alcuni casi l’Ostim è quasi completamente scomparso già dopo 7 mesi, in altri permane, ma sempre in quantità estremamente ridotta rispetto alla iniziale. L’Ostim presente può formare masserelle circondate da connettivo, ma più spesso risulta in contatto con osso neoformato. Frequentemente si riscontrano granuli che vengono aggrediti da osteoclasti che provvedono alla loro rimozione, contemporaneamente al rimodellamento osseo. L’Ostim mostra gradi di mineralizzazione diversi in vari siti: ha un grado del tutto similare all’iniziale quando è completamente avvolto da osso formato nelle fasi iniziali. Mostra gradi di mineralizzazione fortemente ridotti, che occupano gran parte della masserella, quando è attaccato dagli osteoclasti. Alcune masserelle, completamente circondate da connettivo, evidenziano gradi di mineralizzazione piuttosto bassi, anche senza essere circondate da osteoclasti. Questi due ultimi aspetti sembrerebbero indicare che l’Ostim venga mobilizzato non solo in seguito ad azione diretta degli osteoclasti, ma sarebbe aggredibile anche dai composti (HCl) liberati dagli osteoclasti stessi nei fluidi biologici. Questi aggredendo l’Ostim porterebbero alla sua demolizione con corrispondente liberazione di Calcio e Fosforo che, verosimilmente, esplicheranno la loro attività osteoinduttiva (Zaffe, Micron 2006). CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Immobilizzazione di sequenze oligonucleotidiche su titanio mediante anodizzazione a basso voltaggio Luigi De Nardo, Gabriele Candiani, Goffredo Saglimbeni, Giovanni Panico, Alberto Cigada, Roberto Chiesa. Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”, Politecnico di Milano. Obiettivo. La funzionalizzazione con molecole organiche di materiali metallici utilizzati in applicazioni biomedicali rappresenta uno dei settori di ricerca di maggiore interesse per la possibilità di ottenere superfici con migliorate o innovative funzionalità. In particolare la funzionalizzazione mediante sequenze oligonucleotidiche di DNA costituisce la base per applicazioni nel rilascio di farmaci e il riconoscimento specifico di sequenze: le attuali tecniche di immobilizzazione mostrano diversi svantaggi. L’obiettivo di questo studio è stato volto ad indagare la possibilità di funzionalizzare superfici in titanio con specifiche sequenze oligonucleotidiche (ON) mediante un semplice processo di ossidazione anodica. Materiali e Metodi. In questo studio sono stati utilizzati dischi in titanio C.P. (grado 2, ø = 15 mm, h = 0.5 mm). Alla superficie dei provini sono stati immobilizzati sequenze ON (Anchor Strands, AS) fosforilati all’estremità 5’, mediante ossidazione anodica a basso voltaggio in buffer acetato pH 4 (V= 10÷20V e J=2÷10 mA/cm2). La morfologia dei trattamenti è stata valutata mediante microscopia ottica (Leica DMLM) e AFM (Park Instruments, CP-2). L’avvenuta immobilizzazione è stata testata mediante ibridazione con sequenze di ON Complementari (CS) e Non Complementari (NS), marcati in fluorescenza mediante FITC (Primm s.r.l.) per diverse concentrazioni in soluzione 40-400 nM in TRIS HCl. Il processo è stato ottimizzato nei parametri di cicli termici, concentrazione degli ON e temperatura e analizzato mediante microscopia ottica in epifluorescenza (Olympus, BX51WI) e quantificato mediante fluorimetria (Tecan, GENios Plus). Risultati. L’immobilizzazione degli ON fosforilati alla superficie del Ti è un processo basato sulla iniziale interazione fisica di adsorbimento alla superficie del metallo, determinata dall’interazione elettrostatica controllata dal punto isoelettrico del Ti e dal pKa dell’adsorbato ad un determinato pH. Il processo di anodizzazione determina la crescita di un film di ossidazione il cui spessore è correlato al colore e nel quale è possibile inglobare molecole e ioni. La microscopia ottica ha consentito di determinare la colorazione che è correlata allo spessore del film di ossido, mentre mediante analisi AFM la morfologia dello strato di ossido cresciuto risulta omogenea e uniforme. L’ottimizzazione del processo di ibridazione nei parametri di tempo, concentrazione degli ON in soluzione e cicli termici, ha consentito di ottenere una corretta procedura per la determinazione della distribuzione alla superficie delle sequenze immobilizzate. Gli ON risultano stabilmente legati alla superficie e la loro distribuzione appare omogenea alla microscopia in epifluorescenza. Inoltre, una corretta procedura di ibridazione ha consentito di legare in modo selettivo le sole sequenze complementari, come quantificato mediante analisi fluorimetrica. Conclusioni. La possibilità di immobilizzazione specifiche sequenze di ON alla superficie di Ti e sue leghe e il successivo processo di ibridazione selettiva con sequenze complementari rappresenta la base per future ulteriori indagini nel campo del riconoscimento di sequenze specifiche e del rilascio di farmaci. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 INFLUENCE OF ELECTROMAGNETIC FIELDS ON CHONDROCYTE PROLIFERATION IN VITRO Nicolin V.°, Narducci P.°, Martinelli B*. °Dept. of Biomedicine, University of Trieste *Dept. of Specialistic Surgery, University of Trieste INTRODUCTION: The approach to surgical treatments of chondral lesions have evolved over the last few years towards methods that promote formation of hyaline cartilage. The clinical achievements resulting from implantation of autologous chondrocytes have led to develop methods for simplifying and reducing the invasiveness of surgical techniques. The introduction of three-dimensional supports allowing better cell distribution inside the implant has been the most significant stage in the development of these methods: the transition from a concept of cellular therapy to one of tissue bioengineering, i.e. the possibility to repair an organic lesion with tissue produced in laboratory from autologous cells. The exposure of chondrocytes to low-pulse electromagnetic (PEMF, Igea s.r.l Carpi, Mo ) lead to significative increase of proliferation. MATERIAL AND METHODS: Cartilage specimens were taken by arthroscopy from a nonweight-bearing area of the knee. Chondrocytes isolated, after 10 days of culture, were seeded on the rough surface of a collagen membrane, called matrix-induced autologous chondrocytes implantation (MACI) (1). This is a three-dimensional support derived from a resorbable collagen membrane, in which differentiated cells of the chondrocyte line.(1) After autologous implant, the residual membrane, was digested with collagenase I and isolated cells were cultivated in DMEM supplemented with 10% Fetal Bovine Serum. Confluent cells were exposed to pulsed electromagnetic fields (PEMF, Igea s.r.l Carpi, Mo) stimulation 4 hours/day for 10 days. Cell proliferation was assessed by FACS analysis and Br-dU incorporation at day 3, 5, 7 and 10 of stimulation. Immunocytochemical, histochemical and ultrastructural analysis were evaluated. RESULTS: Immunocytochemistry of cultured cells, isolated from MACI, confirmed to syntetize specific markers as type II collagen and glycosaminoglycans (2). The ultrastructural analysis of undamaged cells and the evaluation of their functional integrity revealed that a better stability was guaranteed by MACI, giving rise in the meantime to a favourable environment for chondroblasts proliferation and differentiation (3). Moreover, proliferation assays evidenced a positive effect on proliferation of condroblasts stimulated with PEMF (Igea s.r.l Carpi, Mo), confirming that MACI technique presents multiple advantages: the esclusive usage of fibrin glue without suturing in this surgical operation, allows the surgeon to expose the chondral lesions through minimally invasive approaches, as well as to treat sites where suturing is virtually impossible. Moreover physiotherapeutic treatment with PEMF (Igea s.r.l Carpi, Mo) after surgery can be suggested as promising approach for faster healing and cartilage reassembly. REFERENCES. 1)Verigen Trasplantation Service International (Leverkusen, Germany); 2)Cherubino P. et al., J.Orthop.Surg.11 :10-5 (2003); ). 3)Narducci P., Baldini G., Grill V., Nicolin V., Bareggi R., Martinelli B., "Autologous chondrocytes grown in vitro on a collagen scaffold for subsequent articular cartilage repair". The Journal of Histotechnology, 2005, Vol. 28, pp. 57-61. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 8 INGEGNERIZZAZIONE DI GEL MUCOADESIVI E TERMOSENSIBILI PER APPLICAZIONI AL RILASCIO DI FARMACI PER VIA OCULARE 1 L. Mayol, 2A. Borzacchiello,1F. Quaglia, 1M.I. La Rotonda, 2L. Ambrosio. 1 Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Tossicologica, Università degli studi di Napoli, Federico II. 2 Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione, Università degli studi di Napoli, Federico II. L’efficacia di una terapia farmacologica locale è fortemente condizionata dal tempo di residenza della forma farmaceutica al sito di somministrazione. L’applicazione per via oculare, ad esempio, soffre di un rapido drenaggio della forma farmaceutica e del principio attivo dovuta ai normali meccanismi di protezione dell’occhio, che determina una limitata biodisponibilità del principio attivo e la necessità di somministrazioni ripetute nel tempo. L’utilizzo di un veicolo per il rilascio di farmaci a base di soluzioni polimeriche in grado di gelificare in situ, ad una temperatura vicina a quella corporea, appare particolarmente interessante perchè, presentandosi liquida a temperatura ambiente, può essere facilmente somministrate come un normale collirio. Una volta in situ però è in grado di gelificare offrendo una maggiore resistenza allo scorrimento e quindi una permanenza prolungata del farmaco nel suo sito d’azione. Un altro approccio utilizzato per aumentare il tempo di permanenza del farmaco nel suo sito d’azione è quello di veicolarlo attraverso polimeri mucoadesivi in grado di formare entanglement o legami non covalenti con le glicoproteine contenute nello strato mucoso che ricopre il tessuto epiteliale. In tale contesto, lo scopo di questo lavoro è stato quello di sviluppare piattaforme polimeriche mucoadesive e termosensibili per la veicolazione di farmaci per via oculare combinado i due approcci sopra descritti. I gel polimerici sono composti da una miscela di polimeri termosensibili (polossamero 188 e 407) e da un polimero mucoadesivo (acido ialuronico). Modulando opportunamente i pesi molecolari e le concentrazioni relative dei polimeri utilizzati, tali sistemi sono stati ottimizzati in termini di temperatura di gelificazione, proprietà viscoelastiche ed efficacia di bioadesione; tali proprietà sono state valutate mediante analisi reologica in shear in oscillatorio ed in flusso. I sistemi polimerici ottimizzati mostrano, nell’intervallo di frequenze analizzato (0.01Hz-10Hz), un comportamento reologico da “gel” al di sopra di 35°C e da fluido viscoso a temperatura ambiente. La temperatura di gelificazione è stata individuata come la temperatura alla quale il modulo elastico ed il modulo viscoso dei gel si uguagliano. L’efficacia di bioadesione è stata misurata valutando il sinergismo reologico che si verifica quando i gel sono miscelati con dispersioni di mucina (15% p/p). Tale sinergismo aumenta con l’aumentare della concentrazione di acido ialuronico a basso peso molecolare (150KDa), con la temperature e con il pH. Le formulazioni ottimizzate sono state caricate con acyclovir (3% p/p) e valutate per caratteristiche di rilascio del farmaco in fluido lacrimale simulato. I gel polimerici sviluppati sono in grado di controllare e prolungare il rilascio del farmaco per circa cinque ore. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 3 INTERAZIONE FRA CELLULE E NANOPARTICELLE DI TIO2 LEGATE A SUPERFICI A BASE DI ACIDO IALURONICO A. Atrei, R. Barbucci, A. Carbone, M. Forbicioni, S. Lamponi, D. Pasqui. Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi – Università degli studi di Siena C.R.I.S.M.A. – Università degli studi di Siena. Obiettivo: E’ noto da letteratura che le nanoparticelle in sospensione hanno effetti citotossici causando fenomeni di apoptosi cellulare (Q.Rahman et al. 2002). Allo scopo di studiare l’interazione tra cellule e nanoparticelle è necessario “inglobare” queste ultime su superfici di matrici solide. Lo scopo di questo lavoro è stato di inglobare nanoparticelle di TiO2 su superfici di vetro e superfici di acido ialuronico (Hyal) e di studiare su queste il comportamento di diverse linee cellulari. Materiali e metodi: Sono stati realizzati due diversi tipi di materiali: 1. Nanoparticelle di TiO2 su vetro per inglobamento termico (550 C°, 30 min.) (CERICOL, Colorobbia). 2. Nanoparticelle di TiO2 su un film di Hyal fotoimmobilizzato su vetro. Una sospensione acquosa di nanoparticelle è stata depositata sulle superfici di Hyal a due diverse concentrazioni (1,8% p/p e 0.9% p/p) e lasciata per 24h. Per rimuovere le nanoparticelle non legate le superfici sono state lavate con abbondante acqua distillata. Allo scopo di valutare la composizione chimica di superficie dei campioni sono state eseguite analisi SEM-EDAX e XPS. L’analisi AFM ha permesso di valutare la distribuzione e le dimensioni delle nanoparticelle. Per valutare l’eventuale rilascio di nanoparticelle nel terreno di coltura i campioni sono stati immersi nel terreno di coltura ed è stata valutata la presenza delle nanoparticelle attraverso letture spettrofotometriche effettuate a tempi diversi fino a 7 giorni.. Per analizzare il comportamento cellulare sono state seminate circa 30000 cellule (di ogni linea cellulare utilizzata) per campione. Le superfici sono state monitorate a 24, 48 e 72h utilizzando un microscopio ottico dotato di fotocamera digitale. Al termine delle 72h è stata valutata la morfologia cellulare tramite analisi SEM-EDAX. Risultati: 1. Nanoparticelle di TiO2 su vetro: L’analisi XPS ha dimostrato che le condizioni scelte per il trattamento termico si sono dimostrate efficaci per l’inglobamento delle nanoparticelle sulla superficie. Circa il 30% della superficie risulta ricoperta da TiO2 anche dopo l’immersione della superficie in PBS a 37°C per 7 giorni. L’analisi AFM sugli stessi campioni ha evidenziato la presenza di nanoparticelle distribuite in modo omogeneo sulla superficie con un diametro medio di circa 150nm. 2. Nanoparticelle di TiO2 su Hyal: L’ analisi XPS ha evidenziato la presenza di TiO2 sulla superficie di Hyal con una percentuale di superficie ricoperta intorno al 10%. L’analisi EDAX ha confermato la presenza di TiO2 con la stessa percentuale. Le immagini AFM dimostrano la presenza di nanoparticelle sia singole che in forma di aggregati con un diametro medio di 120nm. La lettura spettrofotometrica degli eluati di terreno non ha evidenziato la presenza di nanoparticelle rilasciate nella soluzione anche dopo 7 giorni di contatto con il PBS. L’analisi al microscopio ottico e al SEM ha evidenziato una distribuzione non omogenea delle cellule sul campione dovuta presumibilmente a una diversa composizione chimica del substrato. Anche dal punto di vista morfologico le cellule non mostrano una morfologia uniforme. In seguito verranno eseguiti esperimenti per valutare l’adesione focale delle su dette cellule sui campioni. Conclusioni: La soluzione di nanoparticelle in sospensione è stata inglobata con successo sui due diversi tipi di materiale (Hyal e vetro). Questo ha permesso di studiare l’interazione fra nanoparticelle e cellule che altrimenti non sarebbe stata possibile data la tossicità delle nanoparticelle in sospensione. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 1 LA NATURA DEL SUBSTRATO DI COLTURA CONDIZIONA L’ESPRESSIONE DI FATTORI INFIAMMATORI IN OSTEOBLASTI E OSTEOCLASTI UMANI Francesco Grassi*, Anna Piacentini*, Cristina Manferdini*, Katia Codeluppi*, Andrea Facchini*°, Gina Lisignoli*. *Istituti Ortopedici Rizzoli, Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna. °Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia. Bologna. Il tessuto osseo è costituito da una matrice minerale composta prevalentemente di idrossiapatite e da una componente organica a base di collagene tipo I. Osteoblasti e osteoclasti, i fondamentali regolatori del rimodellamento osseo, differenziano, proliferano e svolgono la propria funzione biologica alloggiati all’interno della matrice stessa in diretto contatto con le cellule del sistema immunitario. Tuttavia, la massima parte degli studi in vitro su questi tipi cellulari utilizzano metodi di coltura su plastica come esemplificazione di substrato di crescita. Scopo dello studio è stato quello di verificare se un substrato di crescita tridimensionale composto da idrossiapatite influenza fenotipo e proprietà biologiche di osteoblasti e osteoclasti umani. I recettori delle chemochine CXCR4 and CXCR5 e i loro ligandi CXCL12 and CXCL13, noti per essere coinvolti in patologie infiammatorie dell’osso, sono stati analizzati in osteoclasti e osteoblasti umani a livello di espressione e proteico comparando la loro espressione su substrato mineralizzato e con la plastica. Dati ottenuti in real-time PCR hanno evidenziato che CXCR4 e CXCR5 sono espressi in condizioni basali ma decrescono con il differenziamento degli osteoclasti. Tuttavia, le chemochine pro-infiammatorie CXCL10 e CXCL12 vengono aumentate nel corso del differenziamento solamente quando gli osteoclasti vengono cresciuti sulla matrice inorganica tridimensionale. Negli osteoblasti abbiamo trovato invece che quando le cellule sono cresciute sul substrato mineralizzato l’espressione del CXCR4 viene aumentata mentre l’espressione del suo ligando CXCL12 viene diminuita. Inoltre l’espressione del CXCR5 sugli osteoblasti cresciuti su substrato mineralizzato diminuisce mentre quella del rispettivo ligando CXCL13 non viene modulata. Analisi immunoenzimatiche nel surnatante di cultura hanno confermato tali risultati. Inoltre marcature immunoistochimiche su sezioni di tessuto osseo di pazienti hanno inoltre evidenziato che i livelli di espressione di questi fattori da parte di osteoclasti e osteoblasti sono espresse in modo simile a quanto osservato nel sistema di coltura su matrice in vitro. Questi dati pertanto suggeriscono che la coltura su matrice mineralizzata ricapitola in modo più accurato rispetto alla plastica il fenotipo e l’espressione di molecole funzionali da parte di osteoclasti e osteoblasti. Inoltre tali dati sottolineano l’importanza di valutare queste cellule del tessuto osseo nelle condizioni che più si avvicinano alla loro condizioni in vivo anche al fine di comprendere meglio le reali interazioni che queste cellule possono stabilire con quelle del sistema immunitario. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 9 LA STIMOLAZIONE BIOFISICA NELLA COLTURA DI OSTEOBLASTI UMANI SU BIOMATERIALI: EFFETTI DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI PULSATI E DEGLI ULTRASUONI A BASSA POTENZA Lorenzo Fassina (1, 5), Livia Visai (2, 5), Maria Gabriella Cusella De Angelis (3, 5), Francesco Benazzo (4, 5), Giovanni Magenes (1, 5). (1) Dip. Informatica e Sistemistica, (2) Dip. Biochimica, (3) Dip. Medicina Sperimentale, (4) Dip. SMEC dell’Università di Pavia, (5) Centro di Ingegneria Tissutale (C.I.T.) dell’Università di Pavia. L’applicazione di campi elettromagnetici pulsati e di ultrasuoni a bassa potenza si è dimostrata efficace nella clinica ortopedica allorché sia evidente un’insufficiente risposta osteogenetica (per esempio in specifici casi di ritardo di consolidazione e pseudoartrosi, frattura recente, osteotomia, revisione di protesi d'anca, necrosi avascolare della testa femorale, impianto protesico doloroso…). Dimostrata l’efficacia in vivo della stimolazione biofisica (IGEA srl, Carpi), gli stessi campi elettromagnetici e gli stessi ultrasuoni possono essere utilizzati in vitro nell’ambito dell’Ingegneria dei Tessuti, in particolare del tessuto osseo. Nel Centro di Ingegneria Tissutale (C.I.T.) dell’Università di Pavia sono stati condotti esperimenti che hanno visto l’impiego di onde elettromagnetiche ed ultrasuoni durante la coltura di osteoblasti umani su biomateriali di interesse ortopedico (poliuretano biocompatibile, titanio fiber-mesh, superficie di titanio sabbiata, superficie di titanio deformata plasticamente, superficie di titanio plasma-spray, rete di titanio sinterizzato). L’analisi dei risultati ha dimostrato che la stimolazione biofisica è in grado di raddoppiare la proliferazione degli osteoblasti seminati sui biomateriali e di aumentare notevolmente la sintesi di matrice extracellulare calcificata. L’analisi al microscopio elettronico a scansione ha mostrato che le cellule stimolate tendono a riempire i pori dei biomateriali nonché a ricoprire la superficie disponibile. L’analisi per immunofluorescenza delle proteine della matrice (collagene di tipo I, collagene di tipo III, decorina, osteocalcina, osteopontina, osteonectina…) ed il loro dosaggio tramite ELISA ha evidenziato l’accresciuta sintesi di matrice ossea. Altro effetto della stimolazione biofisica è l’accresciuta secrezione da parte degli osteoblasti del fattore di crescita TGF-beta. I biomateriali coltivati in vitro mediante stimolazione biofisica potrebbero essere impiantati in vivo per la cura di patologie ossee. In un primo caso come costrutti in cui la componente cellulare autologa venga mantenuta viva. In un secondo caso, dopo sterilizzazione con ossido di etilene e conseguente soppressione della componente cellulare, come costrutti ricchi di matrice extracellulare autologa osteoinduttiva ed osteoconduttiva. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 L’interazione cellula materiale influenza le cinetiche di consumo di ossigeno in colture cellulari 3D A.Guaccio, C. Borselli, O.Oliviero, P.A.Netti. Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Biomateriali (CRIB) , “Federico II”, Napoli. La completa rigenerazione di tessuti in vitro richiede il controllo delle caratteristiche microambientali del sistema cellula-materiale. Il grado di complessità del sistema è determinato dalla molteplicità di fattori in gioco: da un lato il materiale, le cui caratteristiche devono garantire il trasporto di ossigeno e nutrienti alle cellule, e la possibilità da parte delle cellule stesse di muoversi e proliferare occupando nuovi spazi in tutto il volume a disposizione; dall’altro, le cellule, che esplicano le proprie attività metaboliche, consumando ossigeno e nutrienti per produrre nuova matrice extracellulare. In quest’ambito un ruolo fondamentale nel promuovere l’attività di biosintesi da parte delle cellule ha l’ossigeno. Obbiettivo di questo lavoro è determinare quale sia l’influenza della natura del materiale nei processi cellulari di consumo di ossigeno. A questo scopo sono state effettuate misure di ossigeno in colture cellulari tridimensionali di condrociti bovini (densità cellulare 400,000 cell/mL e 4,000,000 cell /mL) a livello della singola cellula sfruttando le caratteristiche della “phosphorescence quenching microscopy”. La PQM è una tecnica ottica non invasiva caratterizzata da un’elevata risoluzione spaziale e temporale il che garantisce misure di ossigeno locali e la possibilità di seguire cambiamenti anche rapidi nel tempo della concentrazione di ossigeno. Le cellule sono state seminate in gel di collagene ed agarosio. I risultati hanno mostrato che la natura del materiale influenza fortemente le cinetiche di consumo di ossigeno, con velocità maggiori in agarosio rispetto al collagene per entrambe le densità cellulari. Questo comportamento potrebbe essere attribuito ad un effetto di riconoscimento cellula materiale. Per raccogliere ulteriori informazioni in questa direzione le misure di ossigeno sono state ripetute su colture di agarosio a diverse concentrazioni di RGD solubili Come atteso le misure hanno rivelato che all’aumentare della concentrazione di RGD le velocità di consumo di ossigeno diminuiscono drasticamente. La riduzione di attività metabolica potrebbe essere legata ad una riduzione di attività biosintetica in risposta al riconoscimento del materiale da parte delle cellule. Ulteriori test sono necessari per chiarire. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 1 L’INIBIZIONE DEL NUCLEAR FACTOR KAPPA B INCREMENTA LA MORTE CELLULARE INDOTTA DAL NICHEL. Vincenzo D’Antò1,2, Gianrico Spagnuolo1, Sandro Rengo1, Roberto Uomo1, Rosa Valletta1, Luigi Ambrosio2 e Roberto Martina1. 1 Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillofacciali - Università degli Studi di Napoli “Federico II”; 2 Istituto per i materiali compositi e biomedici - CNR Napoli. OBIETTIVO. Le leghe metalliche contenenti nichel sono largamente utilizzate in numerose applicazioni biomediche, per le eccellenti proprietà meccaniche e il costo relativamente basso. D’altra parte la corrosione a cui sono sottoposte determina il rilascio di ioni metallici, con rischio di compromissione della biocompatibilità. Scopo della nostra ricerca era studiare i meccanismi molecolari implicati nella citotossicità del nichel, e in particolare il ruolo del Nuclear Factor kappa-B (NF-κB), fattore di trascrizione che gioca un ruolo fondamentale nella regolazione delle risposte che determinano la morte e la sopravvivenza cellulare. MATERIALI E METODI. I cheratinociti umani (HaCat), i fibroblasti gengivali umani primari (HGF) e i fibroblasti gengivali di topo (MEF) wild-type e p65-/- erano coltivati in Dulbecco’s minimal essential medium (DMEM) con l’aggiunta del 10% di fetal calf serum (FCS), 2mM glutammina, 100U/ml di penicillina, 100 mg/ml di streptomicina in atmosfera umidificata contenente 5% di CO2 a 37°C. Le cellule venivano esposte per 24 ore a concentrazioni crescenti di NiCl2 in assenza o presenza dell’inibitore di NF-kB pyrrolidinedithiocarbamate (PDTC) e la vitalità cellulare era valutata attraverso il saggio dell’attività delle deidrogenasi mitocondriali (MTT assay), e attraverso la citometria a flusso utilizzando lo ioduro di propidio (PI) come marcatore delle cellule morte. Per valutare l’attivazione del pathway di NF-κB le cellule venivano stimolate con NiCl2 per 30, 60 e 120 min e i livelli di IκBα erano valutati tramite Western Blotting. L’analisi statistica era realizzata utilizzando il Mann-Whitney U-test (p<0,05). RISULTATI. In tutte le linee cellulari testate, il cloruro di nichel induceva una morte cellulare dose-dipendente. In particolare, la vitalità delle cellule HaCat iniziava a ridursi alla concentrazione di 0,1 mM, mentre le HGF risultavano più resistenti alla tossicità del NiCl2. L’esposizione delle HaCat al PDTC incrementava in maniera statisticamente significativa il numero delle cellule morte; le cellule MEF prelevate da topi p65-/- erano più suscettibili alla morte cellulare indotta da nichel rispetto al controllo wild-type. I livelli della subunità inibitoria di NF-κB, IκBα, si riducevano in seguito all’esposizione al nichel, indicando un’attivazione del pathway. CONCLUSIONI. I nostri risultati indicano che l’esposizione al nichel causa morte cellulare e che il fattore di trascrizione NF-κB viene attivato in risposta al danno, giocando un ruolo fondamentale quale meccanismo di sopravvivenza. La comprensione dei meccanismi alla base della tossicità del nichel, quali il ruolo protettivo di NF-κB, può portare a nuove strategie di trattamento utilizzando molecole specifiche che prevengano il danno cellulare. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 6 Modellazione di una mandibola umana tramite la tecnica del reverse engineering R. De Santis1, S. Maietta2 A.Gloria1, L. Ambrosio1, L. Nicolais2. 1 2 Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici, CNR . Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione, Università di Napoli “Federico II”. Introduzione La tecnica del reverse engineering risulta un approccio molto utilizzato per ottenere modelli tridimensionali di strutture anatomiche. Scopo del presente lavoro è stato valutare il comportamento meccanico in vitro di una mandibola umana sottoposta ad un carico condilare attraverso il Metodo degli Elementi Finiti (FEM), confrontando il tutto con i risultati ottenuti tramite prove sperimentali. Materiali e Metodi Un modello tridimensionale di mandibola umana è stato ottenuto a utilizzando un 3D Cyberware Mini Scanner, in grado di fornire direttamente un modello CAD digitale, ed un software opportunamente dedicato, come Hypermesh, che ha reso possibile la discretizzazione del modello ottenuto. Per simulare l’osso compatto e trabecolare della mandibola, sono stati utilizzati degli elementi solidi, come solid 45 della libreria di Ansys. Per quanto riguarda il modulo elastico ed il coefficiente di Poisson dell’osso corticale e trabecolare, si è fatto riferimento a valori riportati in letteratura. La simulazione ha previsto l’applicazione di un carico condilare fino a 20 N. Infine, prove meccaniche sono state condotte con un macchina dinamometrica INSTRON 4204 sulla mandibola umana per valutare l’avvicinamento dei condili e la deformazione nella protuberanza mentale, utilizzando in tal caso un estensometro. Risultati I risultati numerici ottenuti suggeriscono che lo sforzo risulta particolarmente concentrato nella sinfisi della mandibola non appena il sistema è carico attraverso i condili. I risultati sperimentali ottenuti risultano, inoltre, coerenti con quelli dell’analisi numerica. Conclusioni Il modello realizzato risulta in grado di descrivere adeguatamente il comportamento meccanico della mandibola umana. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 Modifica superficiale di impianti in titanio con frazioni pectiniche ottenute mediante trattamento enzimatico ed effetto sul comportamento cellulare Giovanna Cascardo, Clara Cassinelli, Marco Morra. Nobil Bio Ricerche, Str. S. Rocco 36, 14018, Villafranca d’Asti. Obiettivo: L’impiego di polisaccaridi bioattivi da piante e’ un tema di crescente interesse. In particolare, la classe di polisaccaridi della parete cellulare noti come pectine e le loro frazioni ottenute mediante trattamento enzimatico sono oggetto di studio ed hanno dimostrato effetti antiinfiammatori ed interazioni specifiche con diverse linee cellulari. In questo lavoro vengono impiegate due frazioni pectiniche (MHR, Modified Hairy Regions) ottenute da mele per trattamento enzimatico nella modifica superficiale di viti in titanio da impianto in osso: una frazione, definita MHR B, ha dimostrato in vitro il potenziamento della differenziazione di cellule osteoblastiche; l’altra frazione, definita MHR alfa, presenta caratteristiche di resistenza all’adesione biologica e puo’ essere utilizzata in porzioni degli impianti (ad es. frazione terminale del colletto transmucoso) dove e’ importante ridurre o controllare l’adesione batterica. Lo scopo del lavoro e’ la caratterizzazione della composizione chimica superficiale di viti da impianto in titanio modificate con MHR e lo studio del comportamento cellulare in termini di adesione e differenziazione osteoblastica. Materiali e metodi: I polisaccaridi sono stati ottenuti da polpa di mele Golden Delicious mediante trattamento con preparati enzimatici. Dopo purificazione le frazioni sono state caratterizzate mediante High Performance Size Exclusion Cromatopgraphy (HPSEC). La modfica superficiale di dischi e viti da impianto in titanio e’ stata condotta mediante amminazione da glow discharge plasma seguita da reazione di condensazione da soluzione acquosa delle frazioni di polisaccaride. La caratterizzazione superficiale e’ stata eseguita mediante analisi SEM e X-ray Photoelectron spectroscopy (XPS). L’adesione, crescita e attivita’ specifica di Fosfatasi Alcalina di cellule osteoblast-like SaOS2 e’ stata valutata mediante test su dischi. Risultati: L’analisi XPS rivela che il processo introduce un monostrato polisaccaridico sulla superficie di titanio. Il comportamento di cellule di tipo osteoblastico e’ notevolemente influenzato dalla natura della specifica frazione MHR. MHR B consente l’adesione e crescita ed incrementa la produzione ALP specifica al di sopra di quanto osservato su Ti. MHR alfa si rivela sostanzialmente non adesivo, in accordo con l’analisi strutturale che indica la presenza di lunghe catene laterali idrofile a base di arabinosio. Il comportamento di cellule osteoblastiche su viti da impianto irruvidite secondo i processi commercialmente piu’ sfruttati e ulteriormente modificate con MHR indica la sovrapposizione dell’effetto chimico del polisaccaride a quello morfologico della rugosita’. In particolare, e’ stata studiata la modifica contemporanea della porzione a contatto con osso mediante MHR B e della porzione transmucosa con MHR alfa. Il risultato indica che e’ possibile produrre un impianto con proprieta’ modulate, in grado di stimolare la differenziazione cellulare con l’effetto combinato di topografia e chimica e ridurre l’adesione non specifica in aree selezionate. Conclusioni: Questi risultati confermano la possibilita’ di modulare il comportamento cellulare sulla superficie di dispositivi da impianto mediante l’immobilizzazione di frazioni pectiniche e indicano le potenzialita’ di questa nuova classe di biomateriali. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 3 NATURE AND STRUCTURE OF THE HYDRATED LAYER AT THE SURFACE OF NANOSIZED HYDROXYAPATITE. M. Corno1, P. Ugliengo1,, L. Bertinetti1, G. Martra1, C. Busco1 and V. Bolis1. 1 Dip. di Chimica IFM, Università di Torino, via P. Giuria 7, 10125 Torino. Italy. Dip. DiSCAFF, Università del Piemonte Orientale, via G. Bovio 6, 28100 Novara. Italy. 2 Bioactive glasses, when implanted in the body or simply immersed in simulated body fluids (SBF), develop a biologically active hydroxyapatite (HA) layer which in turn does promote the bone-tissue formation. In fact hydroxyapatite, which exhibits strong similarities to the mineral phase of the mammalian bones and teeth, does play a key role during the bioactive glasses integration processes, in that it facilitates adhesion and subsequent proliferation of the osteocytes, so allowing the damaged bone tissues to be repaired. The first step of these processes is the adsorption of biomolecules at the active surface of HA. Therefore, studies aimed at quantitatively describing the structural and chemical properties of the HA surface are of greatest interest, in the attempt to elucidate at nano-level the interfacial processes involved in the biological fixation of inorganic materials to the living tissues. In the present study, ab initio methods and experimental techniques have been used to characterize the adsorption features of HA surfaces towards H2O, not only because water is ubiquitous in the biological environment but also because the nature and structure of surface hydrated layer does play a key role in the adsorption of biomolecules. Periodic ab initio B3LYP calculations using CRYSTAL06 code have run to characterize the (001) and (010) bare surfaces for both hexagonal and monoclinic HA phases. On the geometrically relaxed surfaces the adsorption of H2O has been simulated, from low to high coverage. Energies of adsorption and vibrational features of H2O adsorbed at the (001) surface have been calculated. In parallel, the RT-adsorption of H2O vapour on a nanosized HA specimen, previously dehydrated in vacuo (p ≤ 10-5 Torr) following a controlled protocol, has been investigated by means of microcalorimetry and IR spectroscopy. The whole set of calculated and experimentally obtained results allowed to assess and quantitatively describe the dehydration-rehydration mechanism at the apatite surface, which was found to possess strongly hydrophilic properties. Indeed, on one hand the energy of the Ca-species/water interaction is quite high (≥ 100 kJ/mol, as indicated by both calculated and calorimetrically measured data) and on the other hand the adsorbed phase was only partially removed upon RT-evacuation. However, opposite to what initially thought, water does not react with the apatite surface giving rise (through a dissociative mechanism) to new hydrophilic and reactive Ca-OH sites, but is molecularly coordinated at the Ca-sites (at least the ones exposed at the 001 surface), as clearly indicated by computed and IR spectroscopic results. Indeed, the coordinatively unsaturated (cus) Ca2+ cations exposed at the surface are characterized by rather strong local electric fields (the effect of which does polarize the molecules over at least two shells of coordinated H2O), but their hydrophilicity is not sufficient to dissociate water molecules. This property has likely an implication in the adsorption processes at the hydrated layer interface and on the affinity of such materials towards proteins. Indeed, if reactive Ca-OH groups were present at the surface, denaturation of proteins would occur hampering cells adhesion. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 NON-WOVEN ELECTROSPUN POLYESTER FIBER MATS Maria Letizia Focarete,1 Mariastella Scandola,1 Piotr Wilczek,2 Richard A. Gross3. 1 Dip. di Chimica ‘G.Ciamician’, Università di Bologna Via Selmi 2, 40126 Bologna. 2 Biotechnology Laboratory, Heart Prosthesis Institute, Zabrze, Poland. 3 NSF I/UCRC for Biocatalysis and Bioprocessing of Macromolecules, Polytechnic University, Brooklyn, N.Y., USA. Objective. Electrospinning technology1,2 enables production of continuous nanofibers from polymer solutions or melts using high electric fields. The fibers may be randomly deposited on a substrate in the form of non-woven mats characterized by high porosity and large exposed surface area. In the biomaterials field there is a growing demand of scaffolds for tissue engineering, especially of scaffolds functionalized with appropriate biomolecules to stimulate desired cellular responses. The aim of this work is to develop bioresorbable nanofiber mats for tissue engineering by electrospinning solutions of a polyester obtained by biocatalysis. Materials and methods. The home-built electrospinning apparatus consisted of an high voltage power supply (Spellman, SL 50 P 10/ CE/ 230), a syringe pump (KDScientific 200 series) a needle connected to the power supply and a grounded metal collector plate. The polymer was poly-omega-pendadecalactone (PPDL) synthesized by ring opening polymerization of pentadecalactone using Candida Anctartica lipase B (Novozyme-435) (Mn=59k, PDI=2.8).3 Solvents for electrospinning: Chloroform (CHCl3); dichloromethane (CH2Cl2), hexafluoroisopropanol (HFIP). Differential Scanning Calorimetry was performed with a DSC Q100 (TA Instruments) equipped with the LNCS cooling accessory. Scanning electron microscopic analysis was carried out with a Philips 515 SEM. Results. It is known1,2 that in an electrospinning experiment a variety of parameters, pertaining to both the polymer solution and the processing procedure, must be adjusted to control morphology of the obtained fibers. Electrospinning of sub-micrometric PPDL fibers required a rather complex solvent optimization. It was known3 that chloroform is a good solvent for PPDL but no bead-less fibers could be obtained from chloroform solutions over a broad range of concentrations. The problem was solved by the use of a mixed chloroformbased solvent system. Production of fibers with low defect density required not only optimization of the spinnable polymer solution but also of the three main processing variables (flow rate, voltage applied, distance between syringe needle and collector). This aspect was investigated by carefully analysing the effect of each single parameter. In the case of PPDL, whose electrospinning is reported here for the first time, the effect on fiber morphology of changing flow rate, voltage and distance was that expected according to earlier results on other polymer solutions.1,2 PPDL bead-free fibers with diameter in the range 200-400 nm were obtained using a mixed solvent (see experimental) and 6wt% PPDL concentration. The idea underlaying the present work is that the fabricated mats may find applications as bioresorbable scaffolds. Hence some preliminary biocompatibility tests are under way. Conclusions. In this work nanofibrous non-woven mats of PPDL with optimized fiber morphology were fabricated through electrospinning technology. Preliminary cytotoxicity and cell seeding tests showed that PPDL is a suitable candidate for the production of nanofibrous scaffolds for tissue engineering. 1. Ramakrishna, S. et al., Introduction to Electrospinning and Nanofibers, World Scientific Publishing, Co. Pte. Ltd., Singapore, 2005 2. Huang, Z.-M., Zhang, Y.-Z., Kotaki, M., Ramakrishna S. Composites Sci. and Technol.,63, 2223, 2003. 3. Focarete, M.L., Scandola, M., Kumar, A., Gross, R.A. J.Polym.Sci., Part B: Polym. Phys. 39, 1721,2001. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 work 2 NUOVI PROCESSI MORFOSINTETICI PER LO SVILUPPO DI BIOMATERIALI M. Sandri, A. Tampieri, E. Landi. ISTEC-National Research Council, via Granarolo 64-48018 Faenza, ITALY. Obiettivo Nuove metodologie di sintesi che consentono un diretto controllo morfologico del prodotto rappresentano oggi una strategia estremamente stimolante e polivalente. L’utilizzo di templanti organici con struttura complessa ed organizzata consente di controllare la morfologia dei cristalli o la distribuzione spaziale delle fasi inorganiche così da ottenere prodotti finali con strutture gerarchicamente organizzate o strutture ad altissima superficie specifica. Le potenzialità di queste nuove tecniche sintetiche possono quindi essere applicate per controllare la superficie specifica, la porosità, l’organizzazione 3-D e quindi generare materiali che associno gradienti morfologici a gradienti di funzionalità. Materiali e metodi Un primo processo morfosintetico è stato messo a punto per la realizzazione di materiali compositi a base d’idrossiapatite (HA) ed alginato (Alg), sfruttando l’elevata affinità di questo polimero naturale per gli ioni Ca2+, tra i principali costituenti dell’HA. La fase minerale è fatta precipitare sotto forma di nanoparticelle grazie ad una reazione di neutralizzazione acido-base tra i reattivi Ca(HO)2 e H3PO4 in condizioni tali da legarsi saldamente alle catene polimeriche dell’alginato. La seconda metodologia consiste nella precipitazione di particelle porose ad elevata superficie specifica di dimensioni micrometriche e morfologia complessa, stimolata dall’azione congiunta del reattivo urea e del templante EDTA. In opportune e controllate condizioni di pH e temperatura, è stimolata la formazione della fase minerale che, in funzione delle concentrazioni relative di ioni PO43- e Ca2+, può essere costituita da calcio-fosfati di natura differente. Risultati I metodi di sintesi studiati, hanno permesso la realizzazione di materiali compositi con strutture porose complesse costituiti da una fase di HA nanocristallina, interagente con molecole di natura organica quali principali responsabili delle particolari morfologie ottenute. Le catene polimeriche dell’alginato in un caso e le molecole di EDTA nell’altro, grazie alla loro stretta affinità con lo ione Ca2+, rappresentante uno degli elementi base dell’HA, manifestano la loro azione templante nei confronti del processo di crescita della componente inorganica portando alla formazione di materiali stabili e morfologicamente complessi. Conclusioni I processi morfosintetici studiati, sfruttando la capacità di molecole quali l’alginato e l’EDTA di organizzarsi in strutture macroscopicamente complesse, hanno permesso la realizzazione di sistemi con morfologie che li rendono adatti ad applicazioni come sostituenti ossei e il trasporto/rilascio di molecole bioattive. Per quanto riguarda la fase minerale, essendo costituiti principalmente da nano-HA presentano il vantaggio di contenere una fase biocompatibile e bioriassorbibile con alta affinità di legame per una varietà di molecole oltre che replicante la componente inorganica del tessuto osseo. Riguardo le componenti organiche, queste consentono la realizzazione di prodotti con strutture organizzate multifunzionali. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 OSTEOBLAST ADHESION ON BIOMATERIALS: FOCAL ADHESION PATTERN RELATING TO SEM MORFOLOGY A. Cacchioli, F. Ravanetti, E. De Angelis, P. Borghetti and C. Gabbi. Department of Animal Health, Faculty of Veterinary Medicine, University of Parma. Introduction: Understanding the cellular basis of osteoblastic cell-biomaterial interaction is crucial to the analysis of the mechanism of osseointegration, a requirement of long-term orthopedic implant stability. Cell adhesion is one of the initial events to subsequent proliferation and differentation of bone cells before bone tissue formation (1). The initial cell adhesion is a major determinant of surface cytocompatibility in vitro and is suggested as a possible determinant of biocompatibility in the in vivo situation (2). Aim of the study and Methods: This study is focused on the following question: how do the cell-substrate interactions detected by Immunofluorescence adhesion assay appear morphologically? We study the relationship between cell-substrate interactions and cell morphology by means of immunofluorescence and Scanning Electron Microscopy analysis. Two Titanium surface treatments (chemically treated and eletrochemically treated) were used as substrate for cells adhesion. Human mandibular osteoblast were seeded on different surfaces at the density at the density of 1 x 104 cells/cm2 in D-MEM supplemented with 10% foetal calf serum (FCS). The attachment, spreading and morphology of osteoblast cells were evaluated after 6, 24, 72 hours of culturing on different materials by Scanning Electron Microscopy (SEM). To study the relationship between of focal adhesion sites and cytoskeletal morphology, triple immunofluorescene (IF) labelling (F-actin red, Vinculingreen, DAPI-blue) was performed after 6 and 24 hours of culture. Results: Obtained results from SEM and IF analysis were compared and the morphological features were detailed. After 6 hours cells were spreading on all Titanium surfaces and showed a roundish spread out morphology with long fine cytoplasmatic extension in multiple direction. Cells cultured on the eletrochemically treated titanium demonstrated greater spreading with large lamellopodes. The IF study showed that after 6 hours, the cells on the titanium surfaces were not completely spread yet and displayed only few vinculin-positive focal contact at the cell periphery. After 24 hours intercellular connections can frequently be observed by SEM. At this time, cells were spread and displayed fewer cytoplasmatic extension and presented bi-polar or tri-polar spindle-like morphology. On the eletrochemically treated titanium large spread lamellopodies supported the cell-material interactions, while on chemically treated titanium short filopodia were still present. At 24 hours IF analysis showed that the vinculin-positive focal contacts were numerous, homogeneous in size and morphology, and distributed at the cell periphery where the cells were more flat. The immunolabelled focal adhesion had become more organised as the cell spreading and contact area increased. References: 1- Anselme K. Osteoblast adhesion on biomaterials. Biomaterials, 2000,21(7):667-81. 2-Owen G., Meredith DO.,Gwynn I. and Richards RG. Focal Adhesion quantification- A new assay of material biocompatibility?: Review. European Cells and Materials, 2005, 9:8596. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 8 PREPARAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI MONOSTRATI A BASE DI ACIDO IALURONICO SU SUPERFICI DI VETRO D. Pasqui, A. Atrei, R. Barbucci. Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi – Università degli studi di Siena C.R.I.S.M.A. – Università degli studi di Siena. Obiettivo: In letteratura sono riportate diverse strategie per ottenere delle superfici rivestite con Hyal che spaziano dall’adsorbimento passivo del polisaccaride a tecniche di layer-by-layer assembly e di photografting fino al legame covalente del polisaccaride su superfici precedentemente modificate[1.3]. Lo scopo di questo studio è di ottenere dei monostrati a base di acido ialuronico (Hyal) con una chimica ben definita al fine di capire le interazioni dell’acido ialuronico legato covalentemente ad una superficie con l’ambiente biologico. Viene sfruttata la capacità che hanno gli organo silani di legarsi spontaneamente su superfici di vetro e di silicio in modo da formare uno strato continuo con una chimica ben definita. Lo Hyal viene precedentemente coniugato con una molecola di ammino-propilsilano e successivamente viene depositato su una superficie di vetro. Materiali e metodi: Hya-Na è stato disciolto in MES ad una concentrazione di 0.5% w/vol. A tale soluzione è stata aggiunta N-(3-dimethylaminopropyl)-N-ethyl-carbodiimide hydrochloride (EDC) in un rapporto molare di 1:1 e successivamente un eccesso di (3 amino-propyl) trimethoxysilane. Il pH della reazione è stato aggiustato a 4.75 e la reazione è stata condotta per 4h. Il composto (Hyal-sil) ottenuto è stato analizzato tramite Ft-IR, la percentuale di gruppi carbossilici coniugati con l’alchilsilano è stata stimata mediante analisi elementare. In una soluzione idro-alcolica all’ 1% di Hyal-sil sono state immerse per 24h superfici di vetro precedentemente pulite con (H2SO4/H202 1:1 vol/vol). Le superfici sono state sciacquate con abbondante acqua distillata ed asciugate con un flusso di azoto. La composizione chimica di superficie è stata valutata tramite XPS e ATR/Ft-IR, mentre la topografia di superficie e la bagnabilità sono state investigate mediante AFM e misure di angolo di contatto (WCA). Il comportamento di fibroblasti umani è stato valutato sulle superfici modificate. Risultati: La coniugazione dello Hyal con l’alchilsilano coinvolge la formazione di un legame ammidico tra il gruppo carbossilico del polisaccaride e l’ammina primaria dell’alchilsilano. L’analisi IR evidenzia la presenza di due picchi appartenenti allo stetching del C=O ammidico delle due ammidi dello Hyal (una del gruppo acetammidico e l’altra che si forma durante la reazione). Inoltre la presenza di un picco a 1600cm-1 indica che sono presenti dei gruppi carbossilici liberi e che la reazione di coniugazione non è avvenuta completamente. L’analisi elementare dimostra che circa il 20% dei gruppi carbossilici dello Hyal sono legati all’alchilsilano. L’analisi XPS delle superfici rivestite con il polisaccaride indica che la superficie è quasi interamente ricoperta dallo Hyal con uno spessore medio del film di 2.2 ± 0.5nm corrispondente ad un monostrato di polisaccaride. Le immagini AFM mostrano una superficie con una rugosità bassa (Ra 0.90±0.09nm) paragonabile a quella delle superfici di vetro native (Ra 0.40±0.06nm). Le misure di WCA indicano che la superficie è altamente idrofilia (WCA 25±3°) come previsto data l’elevata idrofilicità del polisaccaride. Test di adesione cellulare effettuati con fibroblasti umani hanno dimostrato che le superfici rivestite con Hyal risultano anti-adesive nei confronti delle cellule. Questi dati sono in linea con quelli riportati in letteratura per le superfici a base di Hyal che indipendente dal metodo utilizzato per il legame con il substrato si comportano come superfici non-fouling[3]. Conclusioni: E’ stato sviluppato un nuovo e versatile metodo per legare polisaccaridi con una chimica ben definita. E’ stato ottenuto un monostrato di Hyal legato covalentemente a superfici di vetro. Le superfici modificate si sono dimostrate resistenti all’adesione cellulare. Il metodo proposto può essere applicato per legare l’acido ialuronico così come altri polisaccaridi aventi gruppi carbossilici su superfici con una diversa chimica. [1]. Picart C., Butterer, J.; Richert, L., Luo, Y.; Prestwich, G. D.; Schaaf, P.; Voegel, J.C.; Lavalle, P. PNAS 2002, 99, 20, 12531. [2].Morra, M.; Cassinelli, C.; Pavesio, A.; Renier, D. J. Coll. Inter. Sci., 2003, 259, 236. [3].Barbucci R., Lamponi S., Magnani A,. Pasqui D., Bryan S. Biomaterials, 2003, 24: 915 CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Preparazione e caratterizzazione di scaffold ottenuti tramite tecnica di deposizione tridimensionale di fibre A. Gloria , R. De Santis , L. Ambrosio. Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici, CNR. Introduzione L’ingegneria dei tessuti ha come scopo quello di riparare o rigenerare i tessuti umani associando una popolazione di cellule ad una matrice tridimensionale porosa che funga da scaffold. Differentemente dalle convenzionali tecnologie di processo utilizzate per i materiali polimerici, la prototipazione rapida consente, tramite metodiche CAD/CAM, di realizzare scaffold per specifiche applicazioni, caratterizzati da una rete porosa controllabile e completamente accessibile, fondamentale per la diffusione di nutrienti. Scopo del presente lavoro è stato realizzare, tramite una tecnica di deposizione tridimensionale di fibre, e, successivamente, caratterizzare, da un punto di vista morfologico e meccanico, scaffold con porosità interconnessa. Materiali e Metodi Scaffold caratterizzati da differenti geometrie e porosità sono stati realizzati tramite deposizione strato per strato di materiale, in presenza di aria o di un mezzo liquido, utilizzando un Bioplotter (Envisiontec GmbH, Germany). Scaffold di policaprolattone (PCL) sono stati, ad esempio, realizzati a partire da fuso o da una soluzione polimero/solvente. Diverse tipologie di scaffold caratterizzati da fibre composite sono stati ottenuti sfruttando il fenomeno dell’incapsulamento viscoso durante l’estrusione attraverso l’ago metallico di due polimeri fusi con diverse viscosità. Inoltre, rimuovendo con un opportuno solvente il core costituito da un dato polimero dalla struttura shell-core di una fibra composita, è stato possibile ottenere scaffold caratterizzati da fibre cave. È stata anche realizzata un’ulteriore tipologia di scaffold caratterizzata da fibre porose a partire da soluzione polimero/solvente. Test di compressione sono stati condotti alla velocità di 1 mm/min sulle strutture ottenute, utilizzando una macchina dinamometrica INSTRON 4204. Infine, è stata condotta una caratterizzazione morfologica dei campioni tramite un microtomografo SkyScan 1072 (Belgium) ed un microscopio a scansione elettronica. Risultati I test di compressione effettuati fino ad un livello di deformazione pari a 0.6 mm/mm su scaffold cilindrici realizzati, hanno mostrato curve sforzo-deformazione caratterizzate da un piccolo tratto lineare iniziale, seguito da uno non lineare e da un aumento finale dello sforzo. Valutando la pendenza del tratto lineare della curva sforzo-deformazione è stato possibile notare che a parità di geometria gli scaffold caratterizzati da pattern 0°/90° risultano inizialmente più rigidi di quelli ottenuti con una sequenza di sovrapposizione 0°/45°/90°/135°. Dall’altro lato, analisi effettuate tramite microtomografo e microscopio a scansione elettronica hanno consentito non solo di valutare la struttura porosa interna degli scaffold realizzati, ma, soprattutto, di dimostrare la corrispondenza tra i dati ottenuti realmente (diametro della fibra e geometria dei pori ) e quelli inizialmente impostati. Conclusioni I risultati ottenuti hanno mostrato la possibilità di ingenerizzare scaffold con porosità tridimensionale interconnessa. Risulta possibile, infatti, modulare il diametro della fibra, la distanza centro-centro tra due fibre in uno stesso piano e lo spessore dello strato, che influenzano le dimensioni globali dei pori. Le proprietà meccaniche degli scaffold realizzati dipendono, ovviamente, non solo dal materiale considerato, ma anche da fattori geometrici e dall’architettura tridimensionale. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 4 RAZIONALE PER L’USO DI UN BIOMATERIALE A BASE DI ACIDO IALURONICO NEL TRATTAMENTO DI LESIONI CARTILAGINEE IN PAZIENTI CON OSTEOARTRITE Brunella Grigolo*, Livia. Roseti*, Carola Cavallo*,Giovanna. Desando*, Andrea Facchini*°. *Laboratorio di Immunologia e Genetica, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna. °Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna. Obiettivo. L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare, mediante prove in vitro, la possibilità di poter utilizzare il trapianto di condrociti autologhi nei pazienti con lesioni artrosiche ad uno stato iniziale. L’osteoartrite (OA) è la più comune patologia articolare dell’uomo e la causa principale di disabilità cronica nell’anziano. Dalle evidenze riportate in letteratura è emerso che l’OA è il risultato di un’alterazione del metabolismo dei condrociti, l’unica componente cellulare del tessuto cartilagineo. Recenti studi, tendono ad attribuire una rilevante importanza nel processo che porta alla degradazione della matrice extracartilaginea, ad alcuni mediatori della flogosi, prodotti dai condrociti stessi e dalle cellule della membrana sinoviale e dell'osso. L’acido ialuronico, risultato già uno scaffold molto efficace nel trapianto autologo di condrociti per lesioni di tipo traumatico, sembra svolgere anche una azione attiva sulle cellule che si concretizza, mediante la ricapitolazione di eventi embrionali, nell’espressione e sintesi di molecole specifiche della matrice extracellulare cartilaginea. Razionale dello studio è stato quello di verificare se condrociti umani autologhi fossero in grado di modulare l’azione di alcune molecole implicate nei processi di degradazione della matrice extracellulare down-regolando l’azione di molecole proinfiammatorie o di enzimi catabolici, una volta posti in coltura su un biomateriale a base di acido ialuronico esterificato. Materiali e metodi. Condrociti umani sono stati isolati da pazienti con patologia osteoartrosica ad uno stato iniziale, espansi in coltura e posti successivamente sul biomateriale per vari tempi sperimentali. Sui campioni è stata stata effettuata una serie di valutazioni sia di tipo istologico che biomolecolare. Inoltre è stata valutata la presenza di alcune proteine cataboliche nel sovranatante delle colture cellulari. Risultati. I dati ottenuti hanno mostrato una down-regolazione della espressione e della sintesi di metalloproteinasi, caspasi e di ossido nitrico, una delle molecole principalmente coinvolte nella induzione del processo apoptotico responsabile da ultimo della degradazione cartilaginea. Tale processo, valutato mediante metodica Tunel, presente nelle cellule appena isolate dal tessuto patologico, non è più evidenziabile nelle cellule cresciute in coltura sul biomateriale. Conclusioni. Dalla studio in oggetto si sono ottenute importanti informazioni sul comportamento di cellule condrocitarie ottenute da pazienti con osteoartrosi ad uno stato iniziale, cresciute su un biomateriale a base di acido ialuronico nel regolare alcune molecole coinvolte nei processi di degradazione della matrice extracellulare. Tali informazioni costituiscono una fondamentale base scientifica per l’utilizzo del trapianto autologo anche in corso di lesioni precoci alla cartilagine articolare. L’importanza dell’utilizzo di tale strategia terapeutica risulta evidente data l’alta incidenza dell’osteoartrite nella popolazione anziana ed i problemi legati agli interventi di artroprotesi. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 1 RESPONSE OF ENDOTHELIAL CELLS TO POLYETHYLENE TEREPHTHALATE SURFACES ACTIVATED BY IRRADIATION Pezzatini Silvia1, Satriano Cristina2, Morbidelli Lucia1, Marletta Giovanni2, Ziche Marina1. 1 Pharmacology section, Dept Molecular Biology, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, Italy. 2 Laboratory for Molecular Surfaces and Nanotechnologies and CSGI, Dept. of Chemical Sciences, University of Catania, Viale A. Doria 6, 95025 Catania, Italy. Objective: Important factor implicated in cardiovascular graft failure is the lack of endothelial cells lining the lumen of the vessel. In the last few years several biomimetic approaches have been developed in order to produce biofunctional polymeric materials by immobilization of short peptide sequences, such as RGD. Moreover, ion beam irradiation of polymer surfaces has been shown to induce the formation of a drastically modified altered layer, strongly affecting the cell-surface interaction. The aim of this study was to investigate the in vitro response of endothelial cells onto PET surfaces modified by low energy Ar-irradiation (50 keV) and/or RGD and FBS adsorption. Materials and Methods: Polyethyleneterephtalate (PET, Aldrich) was deposited as thin films by spin coating onto monopolished silicon wafers. The ion irradiation of samples was performed at room temperature by using 50 keV Ar+ ions, with an ion fluence of 1015 ions/cm2. Arg-Gly-Asp (RGD) was solubilized in deionized water (2.9 mM), while FBS was diluted in PBS solution (10% v/v). The immobilization of RGD or FBS onto PET surfaces was obtained by spontaneous adsorption for 1 h. Endothelial cells isolated from postcapillary venules (CVEC, coronary venular endothelial cells) were used in the study. Subconfluent cells were plated onto the various PET surfaces. Cell morphology and the interaction among endothelial cells, biomaterials and extracellular matrix components were evaluated after 4 days by scanning electron microscopy (SEM) and immunofluorescence techniques. Results: The physico-chemical characterization of irradiated PET surfaces showed that ion irradiation induces a modification of the chemical structure of the outermost surface layers, while the AFM analysis showed that irradiation did not affect significantly the morphology and roughness of PET surfaces. The efficiency of biofunctionalization of PET by immobilization of RGD or FBS was estimated by XPS quantitative analysis. When CVEC were cultured on unirradiated PET, they appeared retracted with altered morphology showing poor adhesion. On the contrary, when cell were grown onto irradiated PET, either biofunctionalized or not with RGD or FBS, the typical endothelial cell morphology was maintained, over prolonged time, showing well-being status. Moreover, the endothelial cells preserved their ability to produce cytoskeletal protein (α-tubulin) and extracellular matrix proteins, such as fibronectin and laminin. Conclusions: The results show the endothelialisation of biomaterial. In fact, the altered layer produced by ion irradiation of PET is in itself able to promote enhanced CVEC adhesion, spreading and proliferation, irrespectively of the surface biofunctionalization. Supported by MIUR-FIRB project n° RBNE01458S_007. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 RIMANEGGIAMENTO OSSEO PERI-IMPLANTARE IN IMPIANTI A DIVERSA SUPERFICIE RUGOSA Trirè A*., Orsini E.*, Franchi M.*, Bacchelli B.*, Martini D.*, De Pasquale V.*, Quaranta M.*, Ottani V.*, Giavaresi G.**, Fini M.**, Giardino R.**, Ruggeri A.* * Dipartimento di Scienze Anatomiche Umane e Fisiopatologia dell’Apparato Locomotore (Sezione di Anatomia Umana), Università di Bologna, Italy. ** Dipartimento di Chirurgia Sperimentale, Istituto di Ricerca Codivilla-Putti, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italy. Obiettivo: Lo scopo di questa ricerca preliminare è stato quello di valutare morfometricamente il grado di rimaneggiamento osseo peri-implantare in impianti a vite di titanio con diversa superficie rugosa. Materiali e metodi: 18 impianti a vite conica di titanio sottoposti a trattamenti di superficie per apposizone (TPS= plasma-spray in titanio) e per sottrazione (Zr-SLA= sabbiatura con zirconia) sono stati inseriti in diafisi tibiali di pecora e prelevati dopo 3 mesi. Gli impianti non sono mai stati sottoposti a carico. Durante l’inserimento implantare è stato misurato il valore della torque di inserzione. Gli impianti con i relativi tessuti peri-implantari e segmenti ossei privi di impianto (controllo) sono stati inclusi in resina metilmetacrilato, tagliati e lappati per ottenere sezioni di 150 μm seguendo un piano parallelo all’asse longitudinale dell’impianto. Le sezioni sono state poi colorate con blu di toluidina e fucsina acida per l’osservazione al microscopio ottico. Su sezioni scelte casualmente sono state fatte 9 immagini per avere un quadro completo dell’osso compreso tra la regione subperiostale e quella sovraendostale fino a 4800 μm dall’impianto. Sulle immagini sono state eseguite misurazioni morfometriche per valutare l’estensione delle cavità proprie dell’osso (canali di Havers e di Volkman) e la quantità di osso rimodellato. I dati sono stati elaborati con un software dedicato. In particolare è stata misurata l’area dell’osso rimodellato in ciascun riquadro e questo valore è stato rapportato all’area dell’osso totale del riquadro stesso. Risultati: Il tessuto osseo neoformato (considerato come originato da un processo di rimodellamento a 3 mesi) attorno agli impianti TPS è quantitativamente maggiore rispetto a quello osservato negli impianti Zr-SLA. In particolare, il rimaneggiamento osseo periimplantare rilevato in entrambe le superfici risulta maggiormente evidente nell’area subperiostale prossima alla superficie implantare. Questi risultati sono stati poi valutati anche in relazione all’elaborazione dei valori relativi all’estensione delle cavità ossee. Conclusioni: Da questo studio comparativo emerge che superfici rugose ottenute per apposizione influenzano maggiormente l’entità del rimodellamento osseo rispetto a quelle ottenute per sottrazione. Il maggior rimodellamento osservato negli impianti TPS potrebbe essere correlato sia al trauma meccanico che al distacco di granuli di titanio durante l’inserzione implantare, come dimostrato in nostre precedenti ricerche. Anche se questi granuli non sembrano ostacolare la fissazione biologica nelle prime settimane né l’osteointegrazione in tempi lunghi, il più esteso rimaneggiamento osseo negli impianti TPS dopo 3 mesi deve essere attentamente considerato in quanto potrebbe portare ad una diversa resistenza meccanica dei tessuti peri-implantari nonché ad una diversa distribuzione delle linee di forza e dei carichi. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 4 RUOLO STRUTTURALE DI SEGNALI SOLIDI BIOATTIVI IN SCAFFOLD POROSI PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO SCHELETRICO V.Guarino, F.Causa, L.Ambrosio. Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici – IMCB/CNR Napoli. Università Magna Graecia – Germaneto, Catanzaro. Obiettivo Nell’ambito della progettazione di scaffold a porosità controllata per la rigenerazione del tessuto scheletrico (es. osso) è indispensabile raggiungere un giusto compromesso tra proprietà strutturali e funzionali. Ciò può essere reso possibile attraverso la definizione di materiali compositi innovativi caratterizzati da una matrice biocompatibile con aggiunta di segnali solidi che, oltre a supportare i meccanismi cellulari alla base della formazione del nuovo tessuto, offrano un adeguato sostegno strutturale. In questa sede, si propone la realizzazione di scaffolds compositi costituiti da una matrice in policaprolattone funzionalizzata mediante una polidispersione di particelle micrometriche, rispettivamente, di idrossiapatite o fosfato tricalcico. Un’accurata indagine delle proprietà microscopiche e macroscopiche (porosità, modulo a compressione) rappresenta un efficace strumento di valutazione dell’influenza della funzionalizzazione sulle proprietà strutturali dello scaffold. Materiali e Metodi Gli scaffolds compositi proposti sono stati preparati mediante la tecnica oramai collaudata del phase inversion/salt leaching che consente di realizzare una porosità di dimensioni controllate attraverso l’estrazione di un agente “porogeno” di dimensioni note. Nel caso specifico si tratta di cristalli di cloruro di sodio di dimensioni comprese tra 212 e 300 microns introdotti all’interno di una soluzione polimerica PCL/DMAc (20/80 wt/wt) secondo un rapporto in volume PCL/NaCl pari a 09/91 v/v. La soluzione è stata caricata rispettivamente con idrossiapatite o α-TCP, secondo diverse frazioni volumetriche (0 a 26% in vol.). Il sistema composito, preformato in uno stampo di geometria opportuna, è stato immerso prima in etanolo per 24 ore per consentire la separazione del solvente dalla matrice polimerica, e successivamente in acqua per 7 giorni al fine di rimuovere i cristalli di cloruro di sodio nonché tracce di solvente residuo. Risultati Un accurata indagine morfologica attraverso miscoscopia S.E.M. è stata realizzata al fine di valutare, qualitativamente, la bimodalità dei pori, l’interconnesione e l’omogeneità di distribuzione degli stessi. Successivamente, un’analisi quantitativa dei parametri morfologici (es. frazione volumetrica dei pori, dimensione di micropori e macropori) è stata effettuata mediante diverse tecniche di indagine (metodo gravimetrico, microtomografia 3D) al variare della tipologia di segnali introdotti e delle frazioni relative all’interno della matrice polimerica. Tali risultati sono stati correlati con i risultati dei test meccanici a compressione che hanno evidenziato un sostanziale incremento del modulo elastico al crescere della frazione volumetrica del segnale solido impiegato. Conclusioni Le indagini fatte hanno dimostrato in modo evidente l’incremento della risposta meccanica dovuto all’aggiunta di segnali solidi, indipendentemente dalla specifica tipologia impiegata, sottolineando propriamente l’azione di rinforzo particellare da essi svolta all’interno della matrice polimerica. Il confronto tra i parametri morfologici e la risposta a compressione delle strutture realizzate ha consentito di individuare una stretta relazione tra le proprietà del composito e la morfologia dei segnali introdotti lasciando ipotizzare, sulla base di studi preliminari già effettuati, un ruolo primario della morfologia del segnale solido utilizzato sui meccanismi di formazione del nuovo tessuto. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 SCAFFOLDS BIOMIMETICI NANOSTRUTTURATI NELLA RIGENERAZIONE OSTEOCONDRALE E. Arcangeli1, D. Pressato1, E. Kon2, M. Delcogliano2, R. Giardino2, M. Fini2, R. Quarto3, A. Tampieri4, M. Sandri4, B. Parma5, M. Marcacci2. 1 Finceramica Faenza S.p.A., Faenza 2 Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna 3 Laboratorio Cellule Staminali CBA, Università di Genova 4 ISTEC-CNR Faenza 5 Opocrin S.p.A.- Corlo di Formigine, Modena. Obiettivo: Dimostrare in uno studio sperimentale in vivo la validità di un approccio chirurgico-terapeutico innovativo per il trattamento di patologie articolari complesse come la degenerazione osteocondrale articolare del ginocchio attraverso l’utilizzo di uno scaffold osteocondrale (O.C.) riassorbibile, a base di idrossiapatite/collagene, a struttura composita, in grado di riprodurre da un punto di vista morfologico-biochimico la configurazione anatomica della cartilagine e dell’osso sub-condrale. Materiali e Metodi: 20 pecore adulte venivano sottoposte a chirurgia con rimozione di una porzione di connettivo articolare sulla superficie dei condili mediale e laterale del ginocchio posteriore destro comprendente la cartilagine e l’osso sub-condrale (diametro 6 mm e profondità 10 mm) fino ad ottenere sanguinamento midollare. Gli animali venivano suddivisi in 5 gruppi di trattamento (n=8 lesioni) ognuno dei quali riceveva come copertura del difetto rispettivamente: 1 scaffold O.C. con aggiunta di concentrato piastrinico (PRP), 2 scaffold O.C.+condrociti autologhi coltivati in vitro (tecnica ACI), 3 scaffold O.C.+condrociti non coltivati (tecnica ACI modificata); 4 scaffold O.C., 5 nessun trattamento (controllo). Dopo eutanasia, a 6 mesi dal primo intervento i condili erano rimossi e la cartilagine neoformata veniva valutata macroscopicamente (Fortier score e Indian Ink score) e microscopicamente dopo colorazione istologica (Niederauer score). Immagini microradiografiche venivano ottenute per valutare la qualità dell’osso subcondrale neoformato. Risultati: Nessuna articolazione presentava instabilità. Presenza di liquido sinoviale veniva osservata nel gruppo di controllo. Le osservazioni macroscopiche evidenziavano una buona qualità della cartilagine neoformata, simil ialina, per il gruppo di trattamento scaffold O.C., con assenza di fissurazioni superficiali. Lo score macroscopico di Fortier (2.63±0.71) risultava significativamente migliore rispetto agli altri gruppi di trattamento (rispettivamente 6.13±0.1.36 O.C.+PRP, 4.00±0.53 O.C.+condrociti espansi, 3.89±0.81 condrociti non espansi, 13.75±0.94 controllo) dove il tessuto neoformato era prevalentemente fibrocartialgineo. L’analisi dello score istologico di Niederauer risultava altrettanto migliore per il gruppo di trattamento con il solo scaffold O.C. (22.88±0.90) rispetto agli altri gruppi di trattamento (rispettivamente 16.50±0.87 O.C.+PRP, 20.1±1.22 ACI, 18.00±1.45 ACI modificata, 6.5±2.04 controllo). L’analisi microradiografica e istologica mostrava una buona qualità dell’osso subcondrale per il gruppo di animali trattato con il solo scaffold rispetto agli altri gruppi di trattamento dove lo spazio subcondrale era occupato prevalentemente e da tessuto fibro-cartilagineo. Conclusioni: I risultati di questo studio sperimentale dimostrano come scaffold biomimetici compositi siano in grado di promuovere i processi rigenerativi in seguito a danni cartilaginei profondi, aprendo nuove prospettive per il trattamento delle lesioni articolari di difficile trattamento come le lesioni di grado III e IV o le lesioni osteoartrosiche. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 SCAFFOLDS COMPOSITI FIBRORINFORZATI PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO OSSEO MEDIANTE TECNICHE DI AVVOLGIMENTO FILAMENTARE V.Guarino, F.Causa, L.Ambrosio. Istituto per I Materiali Compositi e Biomedici – IMCB/CNR Napoli. Università Magna Graecia – Germaneto, Catanzaro. Obiettivo L’obiettivo di questo studio consiste nella realizzazione di sistemi compositi fibrorinforzati in grado di sostituire temporaneamente il tessuto osseo naturale. In particolare, si propone lo studio di un composito costituito da una matrice in policaprolattone, rinforzata con fibre di acido polilattico avvalendosi della tecnologia di avvolgimento filamentare, tradizionalmente impiegata nella realizzazione industriale di materiali compositi. Le proprietà di degradazione del policaprolattone nonché l’azione di rinforzo strutturale offerta dalle fibre di acido polilattico definiscono requisiti ottimali per la realizzazione di “impalcature” temporanee atte ad veicolare quei meccanismi di adesione, proliferazione e differenziamento cellulare indispensabili alla formazione del nuovo tessuto. In particolare, ciò è possibile attraverso un’ingegnerizzazione delle caratteristiche strutturali ed in particolare dei parametri di porosità. La presenza di una porosità bimodale garantisce un’efficace colonizzazione cellulare dell’intera struttura tridimensionale grazie a macropori di dimensioni opportune (>250 µm), mentre un adeguato turn over di sostanze nutritive/metaboliti è assicurato da micropori (1-10 µm) che consentono le interconnessioni tra macropori adiacenti. Materiali e Metodi Gli scaffolds compositi proposti sono stati preparati mediante la tecnica oramai collaudata del phase inversion/salt leaching che consente di realizzare una porosità di dimensioni controllate attraverso l’estrazione di un agente “porogeno” di dimensioni note. Nel caso specifico sono stati impiegati cristalli di cloruro di sodio di dimensioni comprese tra 300 e 500 microns all’interno di una soluzione polimerica PCL/DMAc (20/80 wt/wt) secondo un rapporto in volume PCL/NaCl pari a 18/82 v/v. Fibre di PLLA (75/24 dtex) sono state integrate alla matrice polimerica mediante tecniche di avvolgimento filamentare. La struttura composita ottenuta, è stata quindi sottoposta ad un processo di “phase inversion” in etanolo per consentire la separazione del solvente dalla matrice polimerica. Infine, l’immersione in acqua bididstillata del composito per 7 giorni garantisce la completa rimozione dei cristalli di cloruro di sodio nonché ogni traccia di solvente residuo. Risultati e Conclusioni L’analisi al S.E.M. ha consentito di evidenziare una buona omogeneità di distribuzione dei pori e delle fibre all’interno dello scaffold nonché di distinguere nettamente una doppia scala dimensionale dii pori. Misure mediante porosimetria ad intrusione di mercurio hanno permesso di quantificare le frazioni volumetriche relative di micropori e macropori, rispettivamente del 46% e del 54% del volume complessivo occupato dai pori pari al 75% del volume dello scaffold. I micropori aventi una dimensione media di circa 3 µm, risultano idonei a soddisfare il trasporto di molecole di piccole dimensioni, mentre i macropori di dimensioni medie di circa 350 µm, risultano atti a favorire la colonizzazione di osteoblasti e cellule progenitrici. La caratterizzazione meccanica a compressione, infine, ha evidenziato un significativo incremento della risposta meccanica dello scaffold certamente dovuto alla presenza del rinforzo fibroso il quale, evidentemente, non ostacola la formazione dei pori durante il processo di realizzazione dello scaffold, limitandone solo in parte l’omogeneità di distribuzione spaziale. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 8 Self assembly monolayers PEG-terminati su ossido di titanio S. Bozzini*,**, P. Petrini*, S. Zuercher**, L. Visai***, S. Tosatti**, M.C. Tanzi *. *Laboratorio di Biomateriali, Dipartimento di Bioingegneria, Politecnico di Milano. **BioInterfaceGroup, Laboratory for Surface Science and Technology, Department of Materials, Swiss. Federal Institute of Technology (ETH) Zurich, CH-8092 Zurich, Switzerland. ***Dipartimento di Biochimica, Sezione di Medicina, Università di Pavia. La riduzione dell’adsorbimento non-specifico di biomolecole sulla superficie dei materiali artificiali è una delle principali strategie di modifica adottate nella progettazione di dispositivi biomedici. Il polietilenglicole (PEG) è impiegato su larga scala per la produzione di tali superfici, dette nonadesive o superfici inerti. Il presente lavoro ha lo scopo di studiare un sistema di rivestimento superficiale monomolecolare contenente PEG su ossido di titanio e valutarne le proprietà di resistenza all’adsorbimento proteico. Tale modifica di superficie è stata possibile grazie alla formazione spontanea di self assembly monolayers (SAMs) di alcan fosfati su ossido di titanio e alla possibilità offerta da questa tecnica di poter variare le proprietà di superficie in modo relativamente semplice. La deposizione di SAMs di alcan fosfati PEG terminati (metossi-PEG-maleimide-tio-undecil fosfato, mPEGmal-S-UDPO4) su ossido di titanio è stata valutata tramite caratterizzazione spettroscopica a raggi X (XPS) e misure di ellissometria. Dopo 16h di incubazione a temperatura ambiente nella soluzione contenente la molecola, è possibile deporre sulle superfici di ossido di titanio un coating di spessore di 30 Å. Con lo scopo di modificare le proprietà di resistenza all’adsorbimento di proteine al variare della densità superficiale di PEG, sono stati preparati SAMs misti a partire da soluzioni equimolari contenenti PEGmal-S-UDPO4 insieme ad una molecola simile, OH terminata e non contenente PEG (idrossi-dodecilfosfato, OHDDPO4). Le superfici a differente densità di PEG sono state incubate in albumina da siero umano ed in siero umano per 20 minuti a temperatura ambiente. L’adsorbimento proteico è stato investigato attraverso misure di ellissometria e valutando la massa depositata tramite un biosensore (Optical Waveguide Lightmode Spectroscopy). Il grado di adsorbimento proteico si è rivelato strettamente dipendente dalla concentrazione superficiale di PEG: all’aumentare della densità di PEG aumenta anche la resistenza all’adsorbimento proteico. Le superfici prodotte sono state testate in vitro mediante valutazione dell’interazione con cellule batteriche cariogeniche (S.mutans) e con osteoblasti umani. L’adesione batterica è ridotta fino a due ordini di grandezza sulle superfici rivestite rispetto a titanio non modificato. Inoltre le cellule osteoblastiche mostrano una riduzione dell’adesione e della proliferazione con l’aumentare della densità superficiale di PEG, insieme però ad un incremento della loro attività biologica. In conclusione, il sistema basato su SAMs di alcan fosfati contenenti PEG offre risultati promettenti per una potenziale applicazione come metodologia di modifica superficiale biomimetica nel settore dentale/ortopedico. (°) Ricerca attualmente in atto con finanziamenti Eurocoating Spa Via al Dos de la Roda, 60 - 38057 Pergine Valsugana (Tn), Italy. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Structure and in-vitro behaviour of alendronate modified hydroxyapatite nanocrystals E. Boanini1, P. Torricelli2, K. Rubini1, C. Capuccini1, M. Gazzano3, R. Giardino2, A. Bigi1 Department of Chemistry “G. Ciamician”, University of Bologna, 2 Experimental Surgery Department, Research Institute Codivilla Putti, IOR, Bologna, 3 ISOF-CNR, Bologna 1 Aim. The great affinity of Bisphosphonates (BPs) for Calcium ions hinders the direct synthesis of hydroxyapatite (HA) crystals modified with BPs, whereas in vivo it allows the strong binding of BPs to bone mineral phase, which is the basis for the selective uptake of these compounds by bone. We have recently developed a modified method of hydroxyapatite synthesis for the preparation of composite nanocrystals containing alendronate. Herein we report the chemical-physical properties of this new material and its effects on cells behaviour. Materials and Methods. The synthesis of hydroxyapatite was carried out in N2 atmosphere by dropwise addition of a (NH4)2HPO4 solution to a Ca(NO3)2·4 H2O solution, pH 10, 90°C. We verified that the direct approach to synthesize a HA-alendronate composite material yielded to a mixture of amorphous material and crystalline HA. So, a modification was made to the above procedure by adding alendronate dropwise (concentration range 7–28 mM), after completing the phosphate solution addition. Powder X-ray diffraction, TEM, BET, spectrophotometric, thermal and chemical analyses were used to characterize the structure, morphology and composition of the products. Alendronate release tests were performed in Phosphate Buffer Solutions pH 7.4 at 37°C. Powders with different alendronate content were soaked for periods of time up to 1 week. Disk shaped samples of HA-alendronate composite materials were prepared by pressing the powders into cylindrical moulds. Gamma rays sterilized disks, and HA as reference, were cultured with human osteoblasts and osteoclasts up to 21 days. To assess the effect of alendronate on osteoblast proliferation and activity WST-1, Alkaline Phosphatase activity (ALP), Osteocalcin (OC), Type I Collagen (CICP), MMP1 and MMP13 were tested, whereas TRAP staining and pit assay were performed on osteoclasts. Results and Discussion. With the new method of synthesis we obtained hydroxyapatite as unique crystalline phase in the whole range of alendronate concentration. Alendronate is incorporated into HA crystals up to about 7%wt, without significantly affecting the values of the lattice constants of HA and the Ca/P molar ratio. The results of the structural refinements indicate no significant variation of the atomic positions, occupancy factors, and thermal parameters of hydroxyapatite. Moreover, the presence of an appreciable amorphous fraction in the samples has to be excluded. On the other hand, alendronate affects the morphology of the composite crystals, which exhibit significantly smaller dimensions (about 20x100 nm) than HA crystals (usually 40x200 nm) and increased surface area. Thermogravimetric analysis provides evidence that the products are indeed composite nanocrystals, and not just mixtures of hydroxyapatite and alendronate. On the basis of the results of the structural analysis, which indicate that alendronate interaction doesn’t significantly affect the crystal structure of HA, a possible coordination of alendronate molecules with calcium atoms of hydroxyapatite is presented. Kinetics of alendronate release do not appear to be affected by initial bisphosphonate load and release is maximum in 24 hours of soaking in PBS. Osteoblast-like MG-63 cells cultured on composites display good proliferation and enhanced activity indicating that alendronate promotes extra-cellular matrix mineralization processes, in agreement with the increased values of Collagen Type I and Osteocalcin production. By contrast, the data indicate that osteoclasts activity decreases as a function of alendronate content of the composites. Superfici microscanalate in polimero biodegradabile (PLA-TMC) per la rigenerazione del tessuto muscolare scheletrico L. Altomare1, N. Gadegaard2, L. Visai3, M.C. Tanzi1, S. Farè1 1 BioMatLab, Bioengineering Department, Politecnico di Milano, 20133 Milan, Italy 2 Centre for Cell Engineering, University of Glasgow, Glasgow G12 8LT, United Kingdom 3 Bichemistry Department, University of Pavia, 27100 Pavia, Italy Obiettivo: lo scopo di questo lavoro è la valutazione dell’influenza di superfici microscanalate ottenute tramite fotolitografia sul comportamento dei mioblasti, la loro successiva fusione e la conseguente formazione dei miotubi. Materiali e Metodi: diversi film polimerici microscanalati sono stati ottenuti per solvent casting su wafer di silicio, realizzati per fotolitografia, con scanalature di diversa larghezza (5, 10, 25, 50, 100 μm) e profondità (0,5, 1, 2,5, 5 μm). E’ stata utilizzata una soluzione di un co-polimero L-lattide/trimetilene carbonato in cloroformio al 5%w/v. Le superfici dei wafer e dei film sono state analizzate mediante profilometria e microscopia elettronica a scansione. Sono state effettuate prove cellulari in vitro utilizzando cellule muscolari murine di linea (C2C12) seminando 5*10^5 cellule/ml. A 7 giorni dalla confluenza è stata valutata la morfologia cellulare tramite microscopio ottico e immunofluorescenza. L’espressione della miosina è stata valutata mediante un anticorpo primario anti-miosina (MF20) e un anticorpo secondario marcato con il fluorocromo Alexa 633. L’actina è stata rilevata usando la FITC-Phalloidin e i nuclei tramite l’Hoechst. Risultati: le immagini al SEM hanno evidenziato una buona riproducibilità della superficie dei wafer su tutti i film polimerici; questo dato è confermato dalle analisi profilometriche, dalle quali non è stata evidenziata nessuna differenza significativa tra i valori dei wafer e quelli dei film, indipendentemente dalle dimensioni delle scanalature. Gli studi in vitro hanno evidenziato un comportamento cellulare diverso a seconda delle dimensioni delle scanalature. A 24 ore dalla semina è stato osservato un miglior allineamento su scanalature di larghezza pari a 5, 10 e 25 μm, mentre su scanalature di larghezza 50 e 100 μm non è stato osservato un orientamento preferenziale. Ciò probabilmente è dovuto alla larghezza delle scanalature, molto più grandi delle dimensioni di una singola cellula. A 7 giorni dalla confluenza, su tutti i film microscanalati si è osservata la formazione di miotubi. Su film con una maggiore profondità delle scanalature (2,5 e 5 μm) i miotubi sono ben allineati; in quelle di larghezza pari a 5 e 10 μm sembrano però particolarmente confinati e con pochi nuclei. Nelle scanalature di larghezza pari a 25 e 50 μm è stato osservato un buon allineamento, mentre in quelle di larghezza pari a 100 μm l’allineamento sembra meno pronunciato. Su film con scanalature meno profonde (0,5 e 1 μm) è stata osservata una generale diminuzione dell’allineamento; in particolare, nelle scanalature profonde 0,5 μm è stato osservato un leggero allineamento dei miotubi, ma solo per larghezza delle scanalature pari a 5 μm. Conclusioni: l’utilizzo di superfici microscanalate sembra un metodo promettente per favorire lo sviluppo e l’allineamento dei miotubi. I migliori risultati sono stati osservati su film che presentano una profondità delle scanalature di 2,5 e 1 μm, specialmente per larghezza delle scanalature pari a 50 e 25 μm. Per questi film sono in corso studi riguardanti la possibilità di effettuare prove in vitro in condizioni dinamiche. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 SVILUPPO DI COMPOSITI PER SCAFFOLD OSSEI A BASE DI IDROSSIAPATITE RINFORZATA CON SILICATI DI CALCIO BIOATTIVI MEDIANTE FAST HOT PRESSING Simone Sprio, Anna Tampieri, Elena Landi, Giancarlo Celotti Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici, ISTEC-CNR Obiettivo La sostituzione di segmenti ossei sottoposti a carico è uno dei problemi più rilevanti nel campo della chirurgia ortopedica e ha un enorme impatto economico e sociale. La soluzione ottimale in questo caso è lo sviluppo di uno scaffold bioattivo poroso, in grado di promuovere la formazione di nuovo tessuto osseo, e caratterizzato da proprietà di resistenza meccanica in grado di sopportare le sollecitazioni biomeccaniche in vivo durante il processo di rigenerazione ossea. L’ idrossiapatite (HA) è largamente considerata il materiale di elezione per le sostituzioni ossee, per la sua stretta affinità con la parte minerale dell’ osso; tuttavia, le sue applicazioni per porzioni di osso sottoposte a carico sono limitate dalle sue scarse proprietà meccaniche, cosicché è opportuno sviluppare materiali compositi che conservino le proprietà di bioattività e bioriassorbibilità esibiti dall’ HA, migliorando nel contempo la resistenza meccanica. Pertanto sono stati messi a punto materiali costituiti da HA rinforzata da β-Ca2SiO4, una fase bioattiva caratterizzata da elevate proprietà meccaniche. Tali compositi sono stati ottenuti mediante tecniche di sintering ad alta velocità sotto pressione (FHP), in cui l’ elevata velocità di riscaldamento e i bassi tempi di permanenza ad alte temperature consentono di operare a temperature più elevate di quelle comunemente adottate per l’ HA (1300 °C), favorendo la densificazione della fase rinforzo e minimizzare le reazioni all’ interfaccia, ovvero la formazione di fasi secondarie. Materiali e metodi Le polveri di HA sono state preparate con una convenzionale tecnica di neutralizzazione e calcinata a 1000 °C per 5 ore. Le polveri di β-Ca2SiO4 sono state sintetizzate per via termica a partire da una miscela di calcio nitrato e biossido di silicio trattata a 1500 °C. Le polveri di β-Ca2SiO4 sono state miscelate in rapporto 1:4 con le polveri calcinate di HA. I cicli di FHP sono stati effettuati su polveri di HA e sui compositi ad una temperatura di 1300-1500 °C. I materiali finali sono stati caratterizzati analizzati mediante XRD e da un punto di vista strutturale mediante SEM; in particolare sono stati effettuati test di resistenza a flessione su monoliti di HA e HA/β-Ca2SiO4 ottenuti mediante identiche condizioni. Risultati I campioni ottenuti mediante FHP sono omogenei ed esibiscono una densità relativa pari a 85-95%, in base alla temperatura utilizzata. Il processo ha permesso di evitare la degradazione dell’ HA, persino a 1500 °C e anche di ridurre la crescita dei grani. Le proprietà meccaniche dei materiali compositi ottenuti sono superiori a quelle dell’ HA ottenuta nelle medesime condizioni. Conclusioni La tecnica di FHP ha consentito di ottenere materiali compositi caratterizzati da resistenza a flessione fino al doppio di quella esibita dalla sola HA, evitando la formazione di fasi secondarie indesiderate. L’ ottenimento di materiali bioattivi a base di HA caratterizzati da superiori proprietà meccaniche può rappresentare il primo passo per lo sviluppo di scaffold porosi per sostituzione di segmenti di ossa sottoposte a carico. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 VETRI BIOATTIVI: DEVETRIFICAZIONE E COMPORTAMENTO INVITRO L. Coren, L. Moimas e C. Schmid Dipartimento dei Materiali e delle Risorse Naturali - SEZIONE Ingegneria dei Materiali e Chimica Applicata -Università degli Studi di Trieste I vetri bioattivi sono un importante materiale per applicazioni biomediche. Le reazioni superficiali di scambio ionico con il fluido biologico portano alla formazione di un intimo legame tra i materiali inorganico ed organico (bioattivita’). In questo lavoro si esamina la devetrificazione e l'influenza di quest'ultima sul comportamento bioattivo in vitro di quattro composizioni appartenenti alla classe large working range nel sistema Na2O-K2O-MgO-CaO-B2O3-P2O5-SiO2. La comparazione degli spettri Raman e XRD hanno permesso di valutare la devetrificazione e di identificare le fasi cristalline. Per valutare il rilascio di Ca, Na e K dei campioni amorfi e devetrificati e’ stato condotto il test di corrosione standard per vetri. I risultati mostrano in generale un leggero aumento di rilascio totale nel caso dei devetrificati, imputabile pero’ all’aumento di rilascio di K. Infine, nei devetrificati risulta uno shift verso lunghezze d’onda maggiori del picco relativo al asymmetric stretching mode. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Studio dell’evoluzione delle caratteristiche superficiali del cemento osseo a base di polimetilmetacrilato: Influenza dell’ ambiente chirurgico G.Cama1, R. Botter1, F.Barberis1, E.Finocchio2, G.Ramis2. 1 DICAT, Facoltà di Ingegneria, Università di Genova, P.le Kennedy 1, 16129 Genova (Italy). 2 DICheP, Facoltà di Ingegneria, Università di Genova, P.le Kennedy 1, 16129 Genova (Italy). Obiettivo: Obiettivo del presente lavoro e’ stato quello di simulare in laboratorio le condizioni nelle quali avviene la polimerizzazione del cemento osseo a base di polimetilmetacrilato nonche’ verificare l’influenza di additivi quali filler ceramici ed antibiotici sulla morfologia e sulla natura chimica della superficie di contatto PMMA-tessuto osseo. Materiali e Metodi: Campioni di cemento osseo sono stati pertanto preparati mediante un nuovo metodo di formatura che prevede la formatura del cemento in uno stampo le cui superfici sono ricoperte da un film di gelo di agarosio al 4% w/w. Le caratteristiche delle superfici sono state confrontate con campioni di riferimento formati in stampi con pareti in vetro. Sono stati prodotti campioni di cemento osseo standard privo di solfato di bario additivati con idrossiapatite, B-tricalcio-fosfato e Vancomicina. I campioni sono stati caratterizzati mediante microscopia ottica, microscopia elettronica, spettroscopia FT-IR, DR-UV–Vis-NIR, ed angolo di contatto dinamico. I campioni caricati con antibiotico sono stati sottoposti a valutazione mediante curve temporali di rilascio. Risultati : Dal confronto fra i campioni formati nell’ambiente di riferimento e quelli creati in ambiente umido e’ stato osservato un aumento della rugosita’ superficiale un incremento della quantita’ di materiale inorganico in superficie, un aumento della quantita’ di antibiotico rilasciata nel tempo, cosi’ come un aumento della velocita’ di rilascio. Dal confronto tra i campioni contenenti B-TCP e i campioni contenenti Idrossiapatite si e’ osservato che a parita’ di frazione volumetrica di filler presente nel cemento il B-TCP si accumula in superficie in quantita’ maggiori rispetto alla idrossiapatite. L’analisi agli spettri infrarosso mostra anche una modifica della struttura superficiale del B-TCP. Le bande relative ai modi vibrazionali dell’unità fosfato appaiono infatti di intensità relativa e forma diverse in rapporto alle bande di B-TCP bulk. I risultati ottenuti sono stati attribuiti al fatto che i filler utilizzati hanno tutti caratteristiche idrofile. Nelle condizioni di formatura a causa di forze di taglio i filler entrano in diretto contatto con la superficie dello stampo. In questo frangente assorbono acqua e pertanto diventano meno affini al polimero che risulta invece prevalente idrofobo. I filler idrofili, per queste ragioni, tendono a migrare e ad accumularsi in superficie. Conclusioni Il processo sviluppato ha permesso di porre in evidenza alcuni meccanismi mediante i quali la superficie del cemento viene alterata da una polimerizzazione in ambiente umido. In particolare e’ stata individuata una precisa tendenza dei filler ceramici, per natura idrofili, a migrare attraverso la componente polimerica del cemento osseo per posizionarsi all’interfaccia osso-cemento. I risultati sopra esposti forniscono un nuovo punto di vista al fine di ottimizzare le prestazioni superficiali e massive dei cementi ossei polimerici compositi. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 SULL´IMPORTANZA DELLA STIMA DELLA VELOCITA´ DI CONSUMO DI OSSIGENO NELLA BIOINGEGNERIZZAZIONE DI PROTESI D´OSSO Ilaria De Napoli, Gerardo Catalano. Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali, Università della Calabria, Rende (CS). Obiettivo: Lo sviluppo di protesi bioingegnerizzate per la riparazione di grandi difetti d’osso è limitato dalla difficoltà di somministrare adeguate quantità di ossigeno e nutrienti agli osteoblasti posizionati nelle zone più interne di costrutti porosi tridimensionali (3D) di grandi dimensioni. La velocità a cui gli osteoblasti presenti nel costrutto consumano ossigeno (OCR) svolge un ruolo fondamentale nel determinare il profilo spaziale di concentrazione di ossigeno (pO2) che si realizza nei costrutti e nei bioreattori in cui le cellule sono coltivate in vitro. In questo lavoro sono esaminate le stime di OCR disponibili per vari modelli cellulari in vitro di osteoblasti umani, ne viene discusso l’effetto sui profili teorici attesi di pO2 in costrutti 3D, viene proposta una tecnica per la stima corretta di OCR da dati di letteratura, ed è stata verificata sperimentalmente su osteblasti di vitello coltivati in adesione in piastre di Petri la bontà dei profili di pO2 previsti. Materiali e metodi: Stime corrette di OCR di osteoblasti primari da calvaria di ratto fetale sono state ottenute da OCR di letteratura mediante un modello per il trasporto di O2 verso cellule in adesione su piastre di Petri. Con queste stime e con il modello sviluppato sono state individuate condizioni di coltura normossiche, ipossiche ed anossiche variando la altezza di mezzo e la pO2 in fase gas, ovvero usando piastre col fondo permeabile all’O2. Osteoblasti isolati enzimaticamente da ossa lunghe di vitelli da macello di ca. 1 anno di età sono stati coltivati per 2-3 settimane a 37°C, 4.5%CO2 al fondo di piastre di Petri idrofilizzate alle condizioni individuate. La proliferazione cellulare è stata valutata col saggio MTT. Con la produzione di alcalino fosfatasi (ALP) e la deposizione di minerali di calcio stimata col metodo Von Kossa è stata valutata la differenziazione cellulare. Risultati: OCR differenti sono riportate per cellule da fonti diverse e portano a profili di pO2 in costrutti 3D significativamente diversi. Le stime di OCR ottenute portando in conto il trasporto di O2 in piastre di Petri differiscono da quelle riportate fino al 20%. Le cellule coltivate alla pO2 più bassa e sotto altezze di mezzo crescenti non esibiscono velocità di proliferazione e differenziazione diverse come invece atteso se si fossero instaurati nel mezzo i profili di pO2 spaziali previsti dal modello. Anche sotto la massima altezza di mezzo e bassa pO2 in fase gas, gli osteoblasti proliferano in modo solo leggermente inferiore a quelli coltivati a pO2 più elevata o sotto una altezza di terreno di coltura minore nonostante per pO2=5% e sotto 5.3 mm di terreno di coltura il modello preveda condizioni anossiche. La produzione di ALP non cambia significativamente con l’altezza di terreno di coltura ma è significativamente più elevata a pO2=21% che a pO2=5%, cui corrisponde una maggiore deposizione di minerali di calcio. Nelle piastre di Petri con fondo permeabile all’O2 si osserva un ulteriore incremento nell’espressione dei marker di differenziazione rispetto a cellule coltivate in piastre impermeabili. Conclusioni: Lo scarso effetto delle diverse altezze di mezzo di coltura sul metabolismo delle cellule usate suggerisce che il grado di ossigenazione sia rimasto ottimale a quasi tutte le condizioni. Ciò suggerisce che la stima di OCR ottenuta per cellule da calvaria fetale di ratto sia maggiore dell’OCR delle cellule usate, o che queste siano poco sensibili all´O2. La migliore differenziazione cellulare ottenuta migliorando la somministrazione di ossigeno nelle piastre permeabili all´O2 suggerisce che gli effetti visti siano dovuti ad una errata stima di OCR e sottolinea l’importanza di sviluppare tecniche affidabili per la sua valutazione. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 6 Un nuovo modo per studiare l’anatomia endodontica tramite la microtomografia 3D PECCI R, BEDINI R, °PLOTINO G, °GRANDE NM, °SOMMA F. Dip. Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità – Roma, °Istituto di Clinica Odontoiatrica, Univ. Cattolica del Sacro Cuore di Roma. L’obiettivo di questo studio è stato la ricostruzione 3D di elementi dentari dalle particolari caratteristiche anatomiche per verificare l’applicabilità della microtomografia 3D come tecnica di riproduzione virtuale della realtà in endodozia. Sono stati selezionati 3 primi molari superiori in cui era stata riscontrata dopo una prima scansione per mezzo dello SkyScan 1072 (SkySkan, Kartuizersweg 3B, 2550 Kontich, Belgium) la presenza del secondo canale (MP) nella radice mesio-vestibolare, 3 primi molari inferiori in cui era stata riscontrata dopo una prima scansione microtomografica una curvatura di circa 90° della radice mesiale e 3 apici di elementi dentari monoradicolati in cui era stato riscontrato dopo una prima analisi microtomografica computerizzata più di un forame apicale. I dati ottenuti attraverso l’analisi alla µCT sono stati analizzati tramite il software di riproduzione delle immagini 3D del sistema SkyScan che ha elaborato, in seguito alla scansione, le ricostruzioni 3D degli elementi dentari. Le ricostruzioni mostrano in dettaglio la morfologia interna dei denti osservati. Nelle figure vengono evidenziati alcuni esempi dei risultati ottenuti. In figura 1 viene mostrato un esempio di primo molare superiore in cui si riscontra la particolare anatomia della radice mesio-vestibolare: si nota che il 4° canale nasce non sul pavimento della camera pulpare ma 3-4 mm al di sotto dell’imbocco del canale MV principale e il “loop” a livello del terzo apicale di questo canale. Nella figura 2 si evidenzia un esempio molto frequente di anatomia “a gancio” della radice mesiale di un primo molare inferiore, che presenta un angolo di curvatura canalare di circa 90°. Inoltre si possono evidenziare le particolari diramazioni apicali della radice distale. In figura 3 è riportato un esempio di come un dente monocanalare possa presentare in apice un gran numero di porte di uscita: nel caso particolare si sono riscontrati tre forami apicali ben distinti e di dimensioni simili. Negli anni passati sono state sviluppate numerose tecniche per evidenziare le differenti morfologie endodontiche. Analisi in 3D dell’anatomia dentale sono già state utilizzate in passato per questo scopo attraverso l’elaborazione computerizzata di sezioni anatomiche. Il principale svantaggio di quasi tutte queste metodiche era la necessità di distruggere il campione da analizzare per poterne trarre delle informazioni. Attraverso l’utilizzo della micro-tomografia 3D effettuata tramite la strumentazione Skyscan 1072 è oggi possibile ricostruire fedelmente in 3 dimensioni le caratteristiche anatomiche degli elementi dentari con una altissima definizione e soprattutto attraverso una analisi non distruttiva dei campioni. Tale metodica rappresenta un mezzo efficace per lo studio della morfologia dentale e si pone come un perfetto ausilio didattico nell’insegnamento dell’anatomia dentale ed endodontica in particolare*. Inoltre, il fatto che sia possibile osservare e studiare questi denti da differenti proiezioni e angolature ed in modo non distruttivo rappresenta uno dei principali vantaggi di questa metodica per fornire un contributo al miglioramento delle tecniche, dei dispositivi e della strumentazione utilizzate nelle cure endodontiche. *Mikrogeorgis G, Lyroudia K, Nikopoulos N, Pitas I, Molyvdas I, Lambrianidis TH. 3D computer-aided reconstruction of six teeth with morphological abnormalities. Int Endod J 1999; 32:88-93. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 Usura tissutale di elementi dentali antagonisti a manufatti protesici in composito Bedini R, Pecci R, °Di Carlo F, °Persico S, Notarangelo GL, Zuppante F. Dip. Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità – Roma, °Dip. Scienze Odontostomatologiche – Univ.La Sapienza – Roma. Ricercare il più adeguato materiale composito per la realizzazione di manufatti protesici che provochino una usura dei tessuti dei denti antagonisti più simile a quella fisiologica. I campioni utilizzati, suddivisi in 4 gruppi sono stati ventiquattro: quindici denti naturali, estratti da pazienti in età compresa tra i 30 ed i 50 anni, tre realizzati in Diamond Crown, tre in Gradia e tre in Ceramage, quest’ultimi materiali compositi policeramici utilizzati in odontoiatria protesica. Prima di essere sottoposti alla prova di fatica, i denti, sia naturali che sintetici, sono stati inglobati in una resina acrilica autoindurente (Jet-Kit Lang), quindi sono stati acquisiti tramite strumentazione skyscan 1024 (SkySkan, Kartuizersweg 3B, 2550 Kontich, Belgium). Per le prove a fatica la strumentazione servoidraulica utilizzata è stata l’858 MiniBionix (MTS Corporation, USA). La prova a fatica è stata eseguita tramite l’applicazione di una forza assiale rappresentata da un segnale di tipo sinusoidale con variazione di ampiezza compresa tra 34 e 340 N alla frequenza di 6 Hz e di uno spostamento torsionale di tipo angolare variabile tra – 0,25° e + 0,25°, sempre alla frequenza di 6 Hz per un numero di cicli pari ad un milione. Terminata la prova a fatica i campioni sono stati nuovamente analizzati tramite lo skyscan. L’usura dentale è stata valutata microscopicamente grazie alle immagini tridimensionali dei campioni ottenute con lo Skyscan. Sovrapponendo l’immagine di un campione acquisito prima e dopo la prova, è stato ottenuto come risultato che la zona della superficie dentale che è stata usurata appare colorata diversamente*. Nella coppia formata da due denti naturali sottoposti alle prove di fatica sono state ottenute delle aree di usura pari a 1,35 mm2 e 11,40 mm2 che rappresentano per la nostra sperimentazione in-vitro i valori di riferimento per l’usura fisiologica simulata. Il valore ottenuto per il campione in Gradia è stato di 4,95 mm2, mentre l’usura dei tessuti della superficie occlusale del naturale antagonista è stata di 12 mm2. Il campione realizzato in Diamond Crown e quello naturale antagonista hanno mostrato due aree di usura quasi simili, 11,21 mm2 per il composito e 14,60 mm2 per il naturale. Il campione in Ceramage e quello naturale antagonista hanno evidenziato delle aree differenti, 12,52 mm2 per il composito e 4,02 mm2 per il naturale. Dall’indagine sperimentale condotta, si evince che il comportamento del materiale composito CERAMAGE, provoca un’usura minore del dente naturale antagonista rispetto agli altri due compositi. Questo comportamento è dovuto al contenuto di ceramica microfine, coadiuvato da un riempitivo a matrice polimerica organica che rafforza la struttura omogenea, conferendo a questo materiale caratteristiche simili alla ceramica ma con potere distruttivo più limitato nei confronti dei tessuti dentali. Tale materiale composito è in grado di offrire un valido supporto nella riabilitazione protesica, in quanto, contrasta la propria usura in maniera non eccessiva così da non provocare un’abrasione esagerata dell’antagonista ed avvicinandosi ad un comportamento fisiologico rispetto agli altri compositi. * Rossella Bedini, Salvatore Caiazza, Perla Filippini, Raffaella Pecci, Fabio Di Carlo, Emanuela Prucher, Massimiliano Aiello, Manlio Quaranta. Usura dei tessuti dentali indotta da ciclo masticatorio simulato in vitro: risultati preliminari. Rapporti ISTISAN 02/06, 24 p. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 VALUTAZIONE DELLA RIPARAZIONE DI DIFETTI CRITICI OSSEI CON L’ IMPIEGO DI BIOMATERIALI A BASE DI SOIA Giavaresi G1, Santin M2, Fini M.1, Nicoli Aldini N.1, Tschon M.1, Veronesi F.1, Salamanna F1, Giardino R1. 1 Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna 2 Facoltà di Farmacia e Scienze Biomolecolari, Università di Brighton, UK Obiettivo I trapianti di osso autologo ed eterologo sono, ad oggi, il procedimento di scelta per la ricostruzione ossea; tuttavia alcuni limiti ad essi legati giustificano l’ interesse per lo sviluppo di biomateriali in grado di svolgere le stesse funzioni. Recentemente studi in vitro ed in vivo hanno dimostrato che biomateriali a base di soia influiscono positivamente nel differenziamento di osteoblasti e promuovono la guarigione di difetti ossei di dimensioni non critiche. Per questa ragione è’ stato eseguito uno studio in vivo per confrontare la rigenerazione ossea in presenza di un biomateriale a base di soia (SB) e di un copolimero di 50:50 poli D,L lattide-glicolide (Fisiograft®, Ghimas s.p.a. Casalecchio di Reno, Bologna)in un difetto critico dell’ osso trabecolare. Materiali e metodi Lo studio è stato condotto nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione animale. In anestesia generale difetti critici (6 mm di diametro) sono stati creati bilateralmente a livello del condilo femorale di conigli New Zealand adulti. I difetti sono stati trattati rispettivamente con SB e Fisiograft®. Studi istologici ed istomorfometrici a 4, 8 e 24 settimane sono stati eseguiti allo scopo di valutare il grado di crescita ossea nel difetto ed il rapporto fra osso neoformato e materiale. La crescita di osso trabecolare è stata valutata mediante uno score semiquantitativo basato su una scala da 1 a 5 confrontando i difetti di entrambi i femori. Risultati A 4 settimane Fisiograft® ha mostrato una maggiore presenza di osso trabecolare nel difetto rispetto a SB in 4 casi su 6. In 2 casi trattati con Fisiograft® il difetto era completamente occupato da osso. A 8 settimane nei casi trattati con SB si è osservata una maggiore crescita ossea rispetto a Fisiograft® in 4 casi su 6. La presenza di granuli di SB eccessivamente stipati nel difetto si accompagnava, nei controlli a 4 e 8 settimane, ad una peggiore ricrescita ossea. Al tempo sperimentale di 24 settimane entrambi i materiali hanno dimostrato un soddisfacente pattern di ricrescita ossea nella maggior parte dei casi (tab. 1). Tab.1 Score istomorfometrico del grado di crescita ossea Materiale SB Fisiograft 4 settimane 2,1,0,3,1,0 5,4,1,1,0,5 8 settimane 0.1,4,4,4,4 1,3,0,0,2,1 24 settimane 5,2,3,0,1 2,2,0,5,4 Conclusioni Il materiale a base di soia favorisce il processo di rigenerazione ossea senza interferire con il processo di rimodellamento a lungo termine, con un comportamento simile a quello del Fisiograft®. Tuttavia un eccessivo accumulo di SB nel difetto al momento dell’ impianto può ritardare sia la degradazione del materiale che il processo di rigenerazione dell’ osso. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 Valutazione microtomografica della profondità di connessione conometrica di un impianto dentale prima e dopo invecchiamento in-vivo Bedini R., Pecci R., °Di Carlo F., ° Quaranta A.,°Quaranta M.. Dip.Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità, Roma, °Dip. Scienze Odontostomatologiche, Università La Sapienza – Roma. Scopo di questo lavoro è stata la valutazione mediante osservazione microtomografica dell’interfaccia abutment-fixture (moncone-impianto) di impianti dentali a connessione conometrica prima e dopo carico funzionale in-vivo. Per la valutazione dell’interfaccia abutment-fixture e della relativa misura della superficie di contatto con gap inferiore ai 10 micron sono stati analizzati 2 campioni di impianti a connessione conometrica (Bicon, 501 Arborway, Boston, MA 02130,U.S.A.) delle stesse dimensioni, con abutment di diametro 3 mm e fixture di diametro 4,5 e lunghezza 8 mm, uno non impiantato ed uno espiantato. L’attivazione dell’impianto ed il serraggio delle due componenti avviene mediante piccoli urti perpendicolari all’asse di inserimento, come una specie di saldatura fredda delle superfici a contatto garantendo al sistema la ermeticità della connessione con conseguente sigillo batterico. Il campione 1 è stato attivato mediante applicazione di una forza di urto perpendicolare all’asse di inserimento esercitata con un martelletto secondo le indicazioni della casa produttrice. Il campione 2 è stato utilizzato come supporto di protesi fissa ed estratto per mobilità successiva a trauma dopo 5 anni di lavoro nel cavo orale. Per valutare la precisione del sigillo ermetico della connessione conometrica sono state calcolate le superfici laterali, che rappresentano effettivamente la conformazione geometrica della zona di contatto tra abutment e fixture, tramite l’utilizzo di strumentazione Skyscan modello 1072 (SkySkan, Kartuizersweg 3B, 2550 Kontich, Belgium) I risultati mostrati in tabella rappresentano le aree delle superfici laterali di contatto calcolate con il relativo valore dell’altezza (h) del sigillo ermetico per i campioni esaminati. Campione n. h sigillo (mm) Superficie Laterale (mm2) 1 2,28 14,61 2 2,60 16,95 Il campione 2, invecchiato in-vivo, presenta una superficie di connessione molto più elevata. Alla luce dei risultati ottenuti in questa ricerca possiamo affermare che in questo tipo di connessione conometrica si instaura tra le componenti un sigillo ermetico alla penetrazione batterica sia in entrata che in uscita. Questi risultati confermano la ricerca effettuata da alcuni Autori nel 2005, sulla colonizzazione batterica interna ed esterna nelle componenti di connessione, la quale conclude che tale tipo di connessione ha dimostrato di essere ermetica alla invasione batterica in vitro (1). Inoltre, vista la straordinaria occasione del reperimento di un campione invecchiato in-vivo, possiamo ipotizzare che, tale tipo di connessione con il tempo possa aumentare la superficie di contatto grazie alla continua applicazione di carichi compressivi, mentre un tale tipo di sollecitazione ripetuta nel tempo può convertirsi in vibrazioni, che possono provocare nei sistemi implantari con connessione a vite, un iniziale ma spiacevole svitamento. (1) Dibart S, Warbington M, Fan Su M, Skobe Z.In vitro evaluation of the Implantabutment Bacterial Seal: The Locking Taper System. Int. J Oral Maxillofac. Impl. 2005; 20: 5: 732-737 CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 8 VETRI E VETROCERAMICI BIOATTIVI E ANTIBATTERICI S.Ferraris*, M. Miola*, P. Robotti#, G. Bianchi#, S. Di Nunzio*, E. Vernè*. *Dip. Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Torino, Italia # Eurocoating SpA, Trento, Italia. Obiettivo Uno dei maggiori problemi legato alla chirurgia protesica è lo sviluppo di infezioni dovute alla colonizzazione batterica dei materiali impiantati. La realizzazione di superfici che siano contemporaneamente biocompatibili (e magari anche bioattive) e con proprietà antibatteriche rappresenta un’interessante soluzione. L’antibattericità può essere conferita al materiale attraverso l’introduzione di ioni argento, essi infatti sono noti fin dall’antichità per la loro efficacia antimicrobica. L’argento inoltre presenta un ampio spettro d’azione e uno scarso sviluppo di resistenze. In questo lavoro di ricerca l’argento è stato introdotto sulla superficie di vetri e vetroceramici con differenti gradi di bioattività, attraverso il processo di scambio ionico, che consente una modifica superficiale che lascia inalterate le caratteristiche di bulk del materiale. Materiali e metodi Vetri e vetroceramici con differenti composizioni sono stati studiati sia in forma massiva, per analizzare e ottimizzare il processo, che come rivestimenti realizzati via plasma spray (Eurocoating) su substrati metallici, per mimare le possibili applicazioni. Le condizioni del processo sono state variate in modo da ottenere un profilo di diffusione e una concentrazione d’argento controllati. Tutti i campioni sono stati analizzati attraverso XRD, SEM ed EDS prima e dopo il trattamento per determinare struttura morfologia e composizione e per valutare le eventuali alterazioni indotte dal processo di scambio. I rivestimenti sono stati testati anche per determinare rugosità, porosità e adesione. La bioattività e il rilascio ionico sono stati valutati mantenendo i campioni in soluzione fisiologica simulata (SBF) per differenti periodi. Nel primo caso i campioni sono stati analizzati con le tecniche prima elencate, mentre nel secondo gli eluati sono stati analizzati mediante spettrofotometria (GFAAS) per quantificare l’argento in soluzione. La biocompatibilità è stata indagata mediante test di adesione e proliferazione cellulare. Infine il comportamento antibatterico è stato testato attraverso due test secondo gli standard NCCLS: valutazione dell’alone di inibizione e conta delle unità formanti colonie. Risultati Le osservazioni XRD, SEM e EDS mostrano che la struttura vetrosa o parzialmente cristallina e la morfologia sono mantenute a seguito del processo di scambio ionico. Le analisi GFAAS evidenziano un rilascio graduale di argento correlabile con i parametri di trattamento. L’adesione dei rivestimenti risulta superiore ai limiti ISO per l’idrossiapatite. I test cellulari indicano che la biocompatibilità è in genere mantenuta a seguito dello scambio ma è strettamente collegata al quantitativo di argento rilasciato in soluzione. Dalle prove di antibattericità si osserva che l’adesione e la proliferazione batterica sono inibite dalla presenza di campioni sottoposti a scambio ionico. Conclusioni Lo scambio ionico è applicabile a vetri e vetroceramici di diverse composizioni in modo riproducibile. È possibile introdurre con questa tecnica un quantitativo controllato di ioni argento, che può essere gradualmente rilasciato in soluzione, sulla superficie del materiale senza modificarne le proprietà morfologiche e strutturali. Confrontando i risultati dei test microbiologici e cellulari è possibile valutare il quantitativo di argento necessario per ottenere un comportamento antibatterico ma non citotossico e ottimizzare i parametri di processo per caricarlo sulla superficie del materiale. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Studio al Microscopio a Forza Atomica del processo di formazione di fibrille di collagene I ed implicazioni per la modifica superficiale di dispositivi da impianto in osso Marco Morra, Giovanna Cascardo, Clara Cassinelli Nobil Bio Ricerche, Str. S. Rocco 36, 14018, Villafranca d’Asti Obiettivo: La modifica superficiale mediante molecole biologiche e’ una probabile via di evoluzione dei dispositivi da impianto in osso. La letteratura indica che in questo settore sono presenti due correnti di pensiero molto distinte: un approccio prevede l’uso di sequenze di peptidi di adesione bioattivi, con l’assunzione che queste sequenze replichino il comportamento della macromolecola proteica di cui sono parte. All’estremo opposto, e’ possibile immobilizzare in superficie intere molecole proteiche della matrice extracellulare, tentando di replicarne anche la struttura supramolecolare. Abbiamo precedentemente valutato l’effetto della modifica superficiale di dispositivi da impianto con collagene nativo di tipo I. In questo lavoro vogliamo indagare la modifica superficiale mediante collagene I dopo processo di self-assembling in fibrille. In particolare, eseguendo il processo di selfassembling in presenza di superfici che gia’ contengono collagene legato, ed operando in condizioni di diluizione, si tenta di influenzare il processo di assemblaggio e cerscita delle fibrille direttamente dalla superficie. Materiali e metodi: Collagene porcino di tipo I viene fibrillato in PBS a 37 C. Per lo studio AFM, il processo e’ condotto su superfici di mica tal quali e superfici di mica su cui e’ gia’ stato legato collagene, mediante amminazione e successivo cross-linking. La concentrazione di collagene e’ stata variata da 0.1 a 1x10-5%, la durata del processo di fibrillogenesi e’ di 24 h. La struttura delle fibre formate e’ stata osservata con un AFM SMENA MT-NDT, operato in modo vibrazionale. Risultati: L’osservazione AFM su superfici di mica indica la formazione di fibrille con periodo di circa 67 nm, come atteso dalla letteratura (figura). La concentrazione di collagene in soluzione gioca un ovvio ruolo sulla distribuzione e dimensione delle fibrille e non si osserva formazione di fibrille dopo 24 h per concentrazioni inferiori a 1x10-4%. Il confronto tra fibrille ottenute su superfici di mica gia’ collagenate e superfici “nude” indica un’influenza della composizione superficiale sulla distribuzione e a concentrazioni di 1x10-2 appare evidente l’effetto dell’interazione tra collagene di superficie e fibrille neo-formate. Conclusioni: La composizione superficiale del substrato e la concentrazione sono variabili che consentono di modulare la formazione di strutture supramolecolari di collagene fibrillare su dispositivi da impianto. L’influenza dello stato di aggregazione e della densita’ superficiale su parametri come la resistenza alla degradazione e l’interazione con cellule suggeriscono l’importanza di questi aspetti nella progettazione di dispositivi da impianto con superfici ingegnerizzate. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 STUDIO DI MATERIALI BIODEGRADABILI PER IL RILASCIO COMBINATO DI FARMACI DA STENT VASCOLARI D. Silvestri, C. Cristallini#, M. Gagliardi, N. Barbani and P. Giusti Dip. Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali - Università di Pisa # Istituto Materiali Compositi e Biomedici IMCB, - CNR (Sez. Pisa) Obiettivo Lo scopo del presente lavoro è stato la caratterizzazione di un sistema biodegradabile composito per il rilascio controllato e combinato di due principi attivi, al fine di limitare la restenosi post-stenting nel settore cardiovascolare. In particolare, obiettivo primario è stato lo studio ed il controllo della cinetica di rilascio simultaneo dei due farmaci, regolata da processi diffusivi e dalla biodegradazione dei biomateriali polimerici selezionati. Materiali e metodi Per il raggiungimento delle finalità oggetto della ricerca, materiali biodegradabili quali l’acido poli(lattico-co-glicolico) (PLGA), il poliidrossi(butirrato-co-valerato) (PHBV) e un copolimero poli(caprolattone-poliossietilene-policaprolattone) (PCL-POE-PCL) di sintesi sono stati indagati in termini di proprietà chimico-fisiche (SEM, DSC, TGA, FT-IR) e funzionali (rilascio in vitro, interazione con materiali dello stent, caricamento e rilascio di farmaci anti-restenosi). Come principi attivi sono stati selezionati il tacrolimus (immunosoppressore) e il paclitaxel (antiproliferativo). Risultati Lo studio di sistemi compositi caricati con due farmaci (in forma di film multistrato o contenenti microparticelle come carriers per il rilascio mirato) ha evidenziato un’elevata potenzialità di tali sistemi; in particolare, la possibilità di ottenere un rilascio simultaneo e sinergico di tacrolimus e paclitaxel (senza relativo ostacolo dei farmaci) dalla matrice biodegradabile è stata confermata. Una cinetica di rilascio di tipo sigmoidale, con un controllo del rilascio di tipo diffusivo nei primi giorni, ed un passaggio ad un rilascio a controllo per erosione della matrice polimerica dopo circa 20 giorni, è risultata essere il risultato più interessante dei test di rilascio in vitro. Questa seconda fase di rilascio sembra garantire il raggiungimento di una delle finalità iniziali del lavoro, la messa a punto cioè di una matrice in grado di rilasciare a medio e lungo termine una quantità di farmaco superiore a quella rilasciata dai sistemi oggi in commercio (caratterizzati da rivestimenti polimerici biostabili). In aggiunta, il PLGA è risultato essere il materiale migliore in termini di adesività a substrati di interesse come le superfici metalliche e carbo-rivestite. Infine, mediante caratterizzazione chimico-fisica, sono state individuate le interazioni tra i diversi costituenti e l’omogeneità dei coating polimerici caricati con farmaci anti-restenosi. Conclusioni In conclusione, è possibile affermare che il lavoro svolto ha indicato le elevate potenzialità insite nella realizzazione di una matrice composita biodegradabile per il rilascio simultaneo di due farmaci anti-restenosi, agenti in maniera differenziata sui meccanismi alla base della iperplasia neointimale. Ulteriori indagini sono comunque necessarie per meglio valutare le possibili interazioni tra i due farmaci e l’effetto del loro rilascio combinato anche a livello fisiologico. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 STRUTTURE NATURALI VEGETALI CON MORFOLOGIA COMPLESSA PER LO SVILUPPO DI SOSTITUTI OSSEI A. Ruffini, S. Sprio, A. Tampieri ISTEC-CNR Faenza (RA) Le malattie legate all'osso umano, sia di natura accidentale, degenerative o connesse all'età, si presentano oggigiorno come un evento ad elevato impatto sociale. Lo sviluppo di materiali sostitutivi in grado di rigenerare il tessuto osseo naturale è un intervento mirato alla risoluzione di questo problema, in termini di miglioramento delle prestazioni biofunzionali, delle proprietà meccaniche e dei tempi di recupero dei degenti. Questo è possibile avendo a disposizione materiali con un elevato livello di biomimetismo, sia in termini chimici che strutturali. Nonostante lo svilupparsi negli ultimi anni di una gran varietà di scaffolds bioceramici in grado di garantire un buon compromesso in termini di mimetismo, micro e macro porosità e resistenza meccanica, essi presentano ancora una struttura "disorganizzata" spesso insufficiente ad adattarsi agli stress in vivo e ai carichi fisiologici. In alternativa, l'uso di strutture altamente organizzate ottenute da trasformazioni di strutture naturali vegetali attraverso processi di ceramizzazione, possono essere in grado di adattarsi costantemente ad ogni cambiamento di tipo meccanico e fisiologico. Lo scopo di questo lavoro è quello di illustrare la possibilità di ottenere materiali biomimetici con struttura gerarchicamente organizzata, partendo da templanti vegetali per mezzo di trasformazioni chimico-fisiche, senza alterarne la morfologia di partenza. In questa direzione sono stati sviluppati metodi che comprendono il processo di pirolisi della pianta, l'infiltrazione in fase liquida e vapore di templanti carboniosi e successiva sintesi chimica col fine di ottenere un materiale biocompatibile. Una serie di campioni estratti da abete o larice sono stati pirolizzati in argon a 1000°C. Successivamente il templante carbonioso è stato fatto reagire con calcio metallico in fase liquida e in fase vapore (a seconda delle condizioni di cottura, approssimativamente tra 1500 e 1800°C) al fine di ottenere una struttura in CaC2 morfologicamente uguale. Le condizioni per trasformare il CaC2 in CaCO3 (precursore di molte sintesi nella preparazione di materiali bioceramici) sono state preventivamente studiate su materiale commerciale. Tutte le fasi del processo sono state costantemente monitorate per mezzo di caratterizzazioni XRD e SEM-EDS, al fine di valutare la corrispondenza chimico-fisica e microstrutturale. Nel processo di pirolisi viene mantenuta la struttura di partenza ma si osserva un'elevata riduzione di volume, fattore da considerare nella fase di scelta dei materiali naturali di partenza. Solo la reazione tra fase vapore di calcio e pirolizzato a 1650°C ha dato origine allo sviluppo completo del carburo di calcio, a dimostrazione che il processo dipende fortemente sia dal ciclo termico, sia dalla disposizione dei materiali all'interno della camera di cottura. La trasformazione del carburo a carbonato di calcio è stata messa a punto in autoclave in condizioni di temperatura, pressione o flusso di gas controllati. Attualmente si è in grado di raggiungere un elevato grado di conversione mediante l'ausilio di un ambiente ricco di acqua e anidride carbonica in stato gassoso. La fosfatazione del carbonato, già ampiamente documentata in bibliografia sarà l'ultimo step nello sviluppo del materiale biocompatibile ricercato. Un processo di ceramizzazione a più stadi, partendo da sorgenti naturali vegetali, è attualmente in via di sviluppo col fine di ottenere scaffolds biomimetici con struttura altamente organizzata. Questo potrà aprire le porte allo sviluppo di materiali con proprietà e prestazioni straordinariamente simili ai tessuti umani. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 SCHIUME POLIURETANICHE E COMPOSITI CON CALCIO FOSFATI PER L’INGEGNERIZZAZIONE DEL TESSUTO OSSEO S. BERTOLDI1, S.FARE’1, G.CIAPETTI2, M.C. TANZI1 1 BIOMATLAB, DIPARTIMENTO DI BIOINGENGERIA - POLITECNICO DI MILANO, MILANO; LABORATORIO DI FISIOPATOLOGIA DEGLI IMPIANTI ORTOPEDICI - ISTITUTI ORTOPEDICI RIZZOLI, BOLOGNA 2 Obiettivo: Tra i materiali polimerici proposti per impieghi nell’ingegnerizzazione del tessuto osseo, sono state studiate schiume poliuretaniche reticolate (PUF) a lenta velocità di degradazione e loro compositi con calcio fosfati (CaP). Materiali e metodi: Utilizzando due diverse miscele di polioli (denominati EC ed EF), MDI polimerico ed acqua come agente espandente, sono state sintetizzate due tipologie di schiume a diverso grado di idrofilicità (con gli espansi EC meno idrofilici degli espansi EF). I compositi sono stati ottenuti caricando in fase di sintesi e/o rivestendo le matrici con idrossiapatite (HA, A6021, Plasma Technik) o con tri-calcio fosfato in fase α (α-TCP, CNR-CSFM “G. Ciamician”, BO), al fine di migliorarne le proprietà meccaniche e favorire l’osteointegrazione. I compositi rivestiti con CaP sono stati immersi in Simulated Body Fluid (SBF) fino a 21 giorni, per imitare le condizioni che si ritrovano in vivo nell’ambiente extracellulare. Prima e dopo il trattamento in SBF, è stata misurata la variazione di peso degli espansi ed i campioni sono stati osservati al SEM; sulle matrici rivestite con CaP sono state inoltre condotte analisi XRD ed EDS. Per valutare in vitro la crescita e l’espressione genica di cellule mesenchimali stromali (MSC) e di osteoblasti primari umani (HOB), sono state seminate e coltivate MSC e HOB fino a 5 settimane sulle matrici e sui compositi caricati. La morfologia cellulare è stata analizzata mediante osservazione al SEM; dopo 5 settimane di coltura è stata inoltre determinata la sintesi di ALP ed osteocalcina mRNA da parte delle cellule. Risultati: Le schiume di tipo EF hanno mostrato una migliore capacità di essere rivestite con HA e α-TCP rispetto alle schiume EC; ciò è presumibilmente imputabile al maggior grado di idrofilicità degli espansi EF. Dopo il trattamento in SBF, per le schiume rivestite con α-TCP si è riscontrato un incremento ponderale, dovuto al cambiamento di fase verso HA. Tali risultati sono stati confermati anche dall’analisi XRD. I risultati della sperimentazione in vitro hanno evidenziato che la vitalità di HOB e MSC, a partire dalla quarta settimana di coltura, risulta maggiore nei compositi rispetto alle matrici. Per tutti i campioni, la sintesi di ALP è risultata maggiore per le MSC che per HOB, mentre la sintesi di osteocalcina mRNA si è rivelata più elevata per gli espansi di tipo EC e per il composito EF caricato con α-TCP. Inoltre, le cellule seminate sugli espansi EF caricati, in particolare con α-TCP, hanno sintetizzato più ALP ed osteocalcina mRNA rispetto alle cellule seminate sulle sole matrici EF. Conclusioni: Il metodo di rivestimento utilizzato ha permesso di ottenere un coating omogeneo sugli espansi. Inoltre, i processi di caricamento e rivestimento delle matrici con CaP hanno migliorato l’ostoconduttività degli scaffold; infatti, le MSC crescono rapidamente e differenziano in osteoblasti, che potranno poi dare origine a nuovo tessuto osseo. Al fine di valutare l’osteoconduttività in vivo, è in corso una sperimentazione che ha previsto l’impianto per 8 settimane di espansi di tipo EF caricati con CaP in difetti creati in radio di coniglio. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Scaffolds biomimetici per la rigenerazione del tessuto osseo e cardiaco Elisabetta Rosellini1, Caterina Cristallini2, Niccoletta Barbani1, Paolo Giusti1,2 1 Dip. Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali, Università di Pisa 2 Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici (IMCB-CNR), Pisa Obiettivo: Nel corso di un processo morfogenetico, fondamentali risultano essere le interazioni dinamiche che hanno luogo tra una popolazione di cellule e il microambiente che le circonda, costituito essenzialmente dalla matrice extracellulare (MEC) e dalle molecole bioattive (fattori di crescita e citochine) in essa contenute. La composizione della MEC svolge un ruolo chiave nella regolazione dei processi di proliferazione, migrazione e differenziamento cellulare. Per tale ragione, la realizzazione di scaffolds per l’ingegneria tissutale è oramai focalizzata sulla preparazione di omologhi della matrice extracellulare, al fine di creare un ambiente ideale per la crescita dei tessuti. Obiettivo del presente lavoro è stato la preparazione di scaffolds con una composizione simile a quella della MEC naturale, per la rigenerazione del tessuto osseo e cardiaco. Materiali e metodi: Spugne a base di alginato (ALG) e collagene (CLG), in composizione 20:80, sono state preparate come supporto per la rigenerazione del tessuto cardiaco. Tali materiali, reticolati con ioni calcio e per via chimica, mediante esposizione ai vapori di glutaraldeide, sono stati sottoposti ad un bagno di coagulazione in acido acetico, al fine di promuovere le interazioni tra i due biopolimeri; successivamente è stato effettuato il processo finale di liofilizzazione. Spugne a base di collagene e idrossiapatite (HA), con rapporto in peso 20:80, sono state studiate per l’ingegnerizzazione del tessuto osseo. In questo caso è stata compiuta una reticolazione per via enzimatica, utilizzando l’enzima transglutaminasi. Entrambi i sistemi sono stati quindi caratterizzati dal punto di vista morfologico, chimico-fisico, funzionale e biologico. Risultati: L’analisi morfologica ha dimostrato un elevato grado di porosità, con pori interconnessi, per il sistema ALG/CLG; per le spugne CLG/HA si è osservata una struttura disomogenea e porosa, dove i microgranuli di HA sono rivestiti e tenuti insieme dalla matrice di CLG. La caratterizzazione chimico fisica ha rivelato, per entrambi i sistemi, l’instaurarsi di interazioni tra i due componenti. L’indagine compiuta mediante Chemical Imaging ha riscontrato una buona omogeneità dei composti per tutto lo spessore dei campioni. Prove di swelling e di degradazione idrolitica hanno mostrato una idonea stabilità dei materiali in ambiente acquoso. I risultati ottenuti nella prova di degradazione enzimatica hanno evidenziato la suscettibilità dei campioni all’attacco enzimatico, dimostrando che entrambi i tipi di reticolazione non modificano in maniera sostanziale le caratteristiche di biodegradabilità della matrice di collagene. Per quanto riguarda la caratterizzazione biologica, prove in vitro di coltura cellulare sono state condotte sugli scaffolds ALG/CLG con mioblasti scheletrici di linea (C2C12). Le strutture di supporto si sono rivelate capaci di sostenere la proliferazione cellulare e promuovere il differenziamento. Per gli scaffolds CLG/HA le prove sono state condotte con cellule staminali mesenchimali ed anche in questo caso le cellule hanno aderito e proliferato. Conclusioni: Il presente lavoro ha mostrato come strutture di supporto con una composizione simile a quella della MEC naturale costituiscono un ambiente ideale per la proliferazione ed il differenziamento cellulare. Tali scaffolds potranno quindi costituire la base per la realizzazione di sistemi imitanti l’ambiente in cui in vivo avviene lo sviluppo dei tessuti. Questo potrà essere ottenuto, ad esempio, mediante caricamento con sistemi a rilascio controllato di fattori di crescita. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 MATRICI POROSE DI POLICAPROLATTONE (PCL) OTTENUTE MEDIANTE L'INVERSIONE DI FASE V. Corradini1, K. Filipczak2, L.A. Pajewski1, J.M. Rosiak2 1 Dipartimento di Chimica, Ingegneria Chimica e Materiali, Università di L'Aquila, Italia 2 Instytut Chemii Radiacyjnej, Technical University of Lodz, Poland Il poli(ε-caprolattone) PCL è un polimero biodegradabile di sintesi, noto per la sua biocompatibilità. La sua capacità di biodegrado viene largamente sfruttata nella costruzione di dispositivi medici come ad esempio le suture chirurgiche bioerodibili o sistemi di somministrazione controllata di farmaci (Drug Delivery Systems). Il lento processo di biodegrado del PCL suggerisce l'idea di utilizzarlo come supporto per la rigenerazione dei tessuti nelle applicazioni di ingegneria tissutale. In particolare l'idea base del presente studio è l'utilizzo di matrici porose in PCL come impalcatura (scaffold) per le applicazioni in campo ortopedico con l'obiettivo di promuovere la riparazione tissutale del disco intravertebrale a partire da un impianto temporaneo in PCL poroso. Un simile materiale, destinato al supporto e al sostegno per le cellule che dovrebbero colonizzarlo, richiede una particolare porosità interna data da pori interconnessi, la cui dimensione media deve essere ottimizzata in funzione del tessuto. Per realizzare una matrice porosa in PCL con queste caratteristiche è stata utilizzata una soluzione del polimero di peso molecolare medio 80 kDa (Aldrich pos. 440744) in acetone (Fluka, pos. 00568). Poiché l'acetone è solubile in acqua ma non lo è il policaprolattone, è sufficiente procedere all'estrazione dell'acetone dalla soluzione del polimero mediante l'acqua per ottenere un solido poroso. La porosità risultante da tale processo è piuttosto caotica e di difficile controllo. Si è proceduto quindi all'aggiunta alla soluzione del polimero in acetone di polveri di cloruro di sodio di granulometria controllata. La presenza di questa sospensione di particelle solide nella massa fluida permette di controllare i processi di ritiro durante l’inversione di fase. In questo caso si ottiene una matrice porosa più uniforme rispetto al processo di estrazione dell'acetone dalla soluzione di PCL senza le particelle solide sospese. Un successivo leaching in acqua permette di estrarre anche il cloruro di sodio che passa in soluzione acquosa. Si è indagato sulla distribuzione dei pori nella matrice solida di PCL dopo l'inversione di fase in funzione del rapporto fra la massa delle polveri aggiunte e la massa della soluzione del polimero e in funzione della granulometria delle stesse. La sperimentazione è stata condotta secondo un disegno fattoriale 3x3 con fattori "percentuale di massa di polveri aggiunte" e "granulometria delle polveri", entrambi con tre livelli. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 INDICE DI OSTEOGENESI PERIIMPLANTARE IN IMPIANTI ENDOSSEI DI TITANIO A DIVERSA SUPERFICIE Bacchelli B.*, Trirè A.*, Franchi M.*, Martini D.*, De Pasquale V.*, Orsini E.*, Quaranta M.*, Ottani V.*, Giavaresi G.**, Fini M.**, Giardino R.**, Ruggeri A.*. * Dipartimento di Scienze Anatomiche Umane e Fisiopatologia dell’Apparato Locomotore (Sezione di Anatomia Umana), Università di Bologna, Italy. **Dipartimento di Chirurgia Sperimentale, Istituto di Ricerca Codivilla- Putti, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italy. •Obiettivo: La valutazione istologica del grado di osteogenesi periimplantare precoce, attraverso l’interpretazione di diversi parametri morfometrici, risulta spesso difficilmente comparabile nelle diverse superfici implantari ed anche nei diversi studi sperimentali. Lo scopo di questo studio è stato quello di rilevare un indice unico e riassuntivo dei parametri considerati sino ad oggi in letteratura per la valutazione dell’integrazione implantare. •Materiali e metodi: In questo studio 72 viti endossee di titanio a diversa superficie implantare (T = liscia; TPS= titanio plasma spray; SL-Zr= sabbiata con zirconia; SL-Al= sabbiata con allumina) sono state inserite in diafisi tibiali di pecore ed analizzate al Microscopio Ottico, al SEM e al TEM dopo 2 e 4 settimane. Le sezioni istologiche sono state poi analizzate per una valutazione morfometrica considerando il BIC tot (osso neoformato a diretto contatto con l’impianto), il BIC old (osso ospite a diretto contatto con l’impianto), il BIC new (osso neoformato a diretto contatto con l’impianto), il BI (osso neoformato), il BS/BV (rapporto tra perimetro ed area dell’osso neoformato). Alcune sezioni sono state sottoposte a test di microdurimetria valutando l’HV 200 (microdurezza dell’osso neoformato distante 200μm dall’impianto). •Risultati: A due settimane dall’impianto, trabecole di osso neoformato a fibre intrecciate, con ampi spazi midollari e a contatto delle superfici implantari erano presenti nelle aree ove tra osso ospite ed impianto preesisteva uno spazio. Nessun quadro di osteogenesi si osservava ove l’osso ospite era a diretto contatto con l’impianto. Mentre negli impianti T si osservava prevalentemente osteogenesi cosiddetta a distanza, negli impianti a superficie rugosa si osservava sia osteogenesi a distanza che a contatto; quest’ultima appariva particolarmente evidente negli impianti SL-Zr e SL-Al. A quattro settimane dall’inserzione implantare lo spazio impianto-osso ospite comprendeva osso neoformato con spazi midollari ridotti e definiti ed organizzato in una rete tridimensionale di trabecole osse. Lo spessore delle trabecole osse appariva maggiore negli impianti a superficie rugosa (TPS, Sl-Zr e SL-Al) ove in alcune aree le trabecole di osso a fibre intrecciate venivano parzialmente sostituite da trabecole di osso lamellare. L’analisi morfometrica per i parametri considerati (BIC tot, BIC old, BIC new, BI e BS/BV) e la valutazione microdurimetrica mostrava valori differenti nei diversi impianti sia a 2 che a 4 settimane. •Conclusioni:I parametri di valutazione, espressi in percentuale, del grado di osteogenesi periimplantare nelle diverse superfici implantari risultavano di difficile comparazione, in quanto nessuna superficie mostrava in assoluto valori più elevati per ogni parametro considerato. Nessun parametro preso singolarmente poteva poi essere considerato di maggior importanza rispetto agli altri o comunque espressione di una migliore osteogenesi periimplantare. Per questo motivo e per definire quale superficie potesse favorire nel complesso una migliore osteogenesi periimplantare si proponeva un indice unico che comprendeva geometricamente la somma dei valori dei singoli parametri. Secondo questa logica le superfici implantari che a quattro settimane dall’impianto favoriscono una precoce fissazione biologica, premessa della osteointegrazione impiantare, risultano le superfici sabbiate. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, MAGGIO 2007 DNA DELIVERY THROUGH SPECIFICALLY DESIGNED CATIONIC NANOSPHERES 1 1 1 1 2 2 F. Giannone , M. Ballestri , L. Tondelli , K. Sparnacci , M. Laus Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF), Area della Ricerca CNR, Via Piero 2 Gobetti 101, 40129 Bologna. Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Vita, Università del Piemonte Orientale, Via Bellini 25G, 15100 Alessandria. AIM DNA synthetic vectors based on polymeric systems are very promising since they are safe and able to protect DNA from enzymatic degradation, thus improving its in vivo bioavailability. In addition, they are easy to prepare on large scale and to store. Within this frame, we here present a novel class of polymeric cationic core-shell nanospheres, specifically designed to reversibly bind DNA on their functional and hydrophilic surface. MATERIALS AND METHODS Functional core-shell nanospheres were obtained by emulsion polymerization of methylmethacrylate in the presence of both steric and electrostatic stabilizers (WO2005/048997). The polymerization reaction was performed at 80±1.0°C for 2 hours under constant stirring. At the end of the reaction, the product was purified by repeated dialysis against water to remove the residual monomer and comonomers. After this procedure, the polymeric nanoparticles were dried under vacuum at room temperature. The DNA binding/release ability was investigated on selected samples of nanospheres in cellfree experiments in the presence of physiologically relevant buffers. RESULTS Several samples of cationic nanospheres were prepared by emulsion polymerization. Their core is mainly constituted by poly(methylmethacrylate) whereas the highly hydrophilic shell is constituted by hydrosoluble copolymers bearing positively charged functional groups, able to reversibly bind DNA, and by poly(N-isopropylacrylamide) (NIPAM) chain brushes, able to improve the biocompatibility. In contrast to many liposomes and polycation formulations, these nanospheres can be obtained in large scale reactors with highly homogeneous size. The nanosphere aqueous suspensions are stable at room temperature and can be lyophilized and stored for several months. The presence of poly(NIPAM) chains in the outer shell is potentially able to induce thermosensitive behavior. The most homogeneous samples were selected for cell-free DNA binding/release experiments in physiologically relevant buffers and shown to be able to adsorb very high amounts of DNA (up to 15% w/w). CONCLUSION Functional PMMA core-shell nanospheres, obtained by emulsion polymerization, are able to bind high amount of plasmid DNA and to release it. They represent a promising delivery systems for DNA molecules for both therapeutic and vaccine approaches. In the latter case, a reduction of the amount of DNA and number of required immunization could be of paramount importance for vaccination costs and manufacturing, especially in developing countries. ACKNOWLEDGEMENTS This work was supported by grants from the Italian AIDS Research Program (Istituto Superiore di Sanità) and from the Italian Concerted Action for HIV-AIDS Vaccine Development (ICAV). CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, MAGGIO 2007 Design Considerations for a Multi-DOF Kinematic Spine Simulator with Load Following W.Conrads1, J.Lusk1, T.Nickel1 1 Bose Corp. – ElectroForce Systems Group, Eden Prairie, MN, USA INTRODUCTION: The kinematic analysis of the spine remains the subject of dialogue among researchers because of its complex biomechanics. As the industry for spinal devices and therapies continues to grow there is an increased interest in characterizing the motion of the spine. In response to this need, a 6 degreeof-freedom, 9 controlled-axes spine simulator has been designed to evaluate the functional kinematics of the spine under various simulated conditions. The simulator is able to provide loading and motion to a single functional spine unit (FSU), a spine segment, or the full spine. Typical applications for the Kinematic Spine Simulator include, but are not limited to, research of spinal fixation methods, interbody fusion, intervertebral disc research, and general spine biomechanics research. METHODS: The Spine Simulator utilizes a servo-pneumatic axial/torsion testing system as its base platform and utilizes a combination of translational and rotational actuators for additional motion. Each axis is independently controlled and incorporates independent measurement capabilities (including loads, moments, torques, and rotations). Table 1 describes the simulator forces and motions. RESULTS: Figure 1 shows representative test data and includes the forces, torques, displacements, and rotations associated with axial loading and rotation, A-P and left-right translation, flexion-extension, and lateral bending. One unique feature of the simulator is its ability to provide pure bending in both flexion/extension as well as lateral bending. Another unique feature is the ability to maintain a compressive preload throughout bending via closed-loop controlled load following. DISCUSSION & CONCLUSIONS: The 6 DOF Full Spine Simulator was developed to allow the researcher to perform a variety of tests related to spine kinematics. The goal was to provide a system configuration that was suitable for quasi-dynamic simulation of typical spine kinematics and representative load bearing activities. Various characteristics of the spinal components (single or multiple FSU) can be measured. These measurements can be useful for population of stiffness matrices indicating the spinal response to multiple loading conditions. This information can be useful in comparison between normal physiologic response and response after spine alteration, e.g. fusion and implants. Fig. 1: Motion and Force plot from the Kinematic Spine Simulator. 35 40 30 30 25 20 20 10 15 0 10 -10 5 -20 0 -30 -5 -40 0 1 2 3 4 Time (seconds) 5 6 7 8 Motions 6 DOF Spine Simulator Motions Forces Table 1. 6 DOF, 9-Axes Kinematic Spine Simulator Forces and Motions Load Motion Axial ±5.6 kN ±50 mm Rotation ±74 Nm ±50o Flex./Ext. ±15 Nm +120o/-60o Lat. Bend ± 15 Nm ±60o Ant./Post. ±1000 N ±50 mm Left/Right ±1000 N ±50 mm Load 1200 N 40 mm Follower (compression) (linear travel) FE Ang Su (deg) FE Mnt Su (Nm) FE Mnt Inf (Nm) Lat B Mnt Su (Nm) Lat B Mnt In (Nm) Axl Disp (mm) Axial Rot (deg) FE Ang Inf (deg) Lat B Ang Su (deg) Lat B Ang In (deg) AP Disp Sup (mm) LR Disp Sup (mm) CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, MAGGIO 2007 DEGRADAZIONE IDROLITICA DI NANOFIBRE DI POLIESTERE ELETTROFILATE Chiara Gualandi,1Mariastella Scandola,1M.Letizia Focarete,1Piotr Dobrzynski,2 Michal Kawalec2 1 Dip. di Chimica G. Ciamician, Università di Bologna, Via Selmi 2, 40126 Bologna 2 Institute of Polymers and Carbon Materials, Zabrze, Poland Obiettivo. L’elettrofilatura è una tecnica che permette di produrre nanofibre polimeriche in forma di tessuto-non-tessuto (mat). Questa tecnologia ha recentemente trovato applicazione nel campo innovativo dell’ingegneria tessutale (1). Tale disciplina nasce con lo scopo di rigenerare tessuti danneggiati utilizzando un supporto artificiale (scaffold) temporaneo su cui fare crescere le cellule per formare un nuovo tessuto in vitro. Supporti nanofibrosi elettrofilati risultano molto promettenti poichè sono topologicamente simili alla matrice extracellulare dei tessuti biologici. Con l’elettrofilatura è possibile produrre scaffold costituiti da nanofibre con diametro ed orientazione desiderati attraverso un accurato controllo dei parametri di processo. Tale aspetto è molto importante poichè è noto che la micro/nano-architettura dello scaffold è determinante nell’indirizzare il comportamento cellulare. In questo lavoro sono stati fabbricati scaffold polimerici nanofibrosi da elettrofilatura costituiti da poli(lattide-co-glicolide), un copoliestere notoriamente biocompatibile e bioriassorbibile. Lo scaffold così prodotto è stato sottoposto ad un studio di degradazione idrolitica in vitro in condizioni fisiologiche per verificare l’effetto della nanostrutturazione sul processo di degradazione. Materiali e Metodi. E’ stato ultilizzato un copolimero statistico poli(lattide-co-glicolide) (PLGA50:50) sintetizzato mediante un iniziatore a bassa tossicità a base di zirconio (IV) acetilacetonato (2). L’ apparecchiatura di elettrofilatura è stata costruita presso il gruppo di ricerca. Per la caratterizzazione delle nanofibre si è fatto uso di DSC, TGA, SEM e GPC. Risultati. Lo studio del processo di elettrofilatura del PLGA50:50 ha mostrato che la composizione della soluzione di partenza gioca un ruolo cruciale nel determinare la dimensione delle fibre e la presenza o meno di difetti. La variazione dei parametri strumentali (distanza agocollettore, differenza di potenziale e velocità di flusso della soluzione) permette poi di controllare in maniera più fine la morfologia delle fibre. L’ottimizzazione dei parametri sperimentali ha portato alla produzione di un mat costituito da fibre con diametro medio di 800 nm. Questo scaffold è stato sottoposto a prove di degradazione idrolitica per un tempo totale di 50 giorni. Le nanofibre di PLGA50:50 hanno mostrato un calo di massa molecolare fin dai primi giorni, una perdita di peso significativa a partire dal 20° giorno circa e contemporaneamente un evidente cambiamento di morfologia (aumento della porosità delle fibre). Inoltre la distribuzione dei pesi molecolari delle nanofibre si mantiene monomodale nel corso della degradazione, diversamente da quanto riportato in letteratura per oggetti macroscopici costituiti da copolimeri acido latticoacido glicolico. Per questi ultimi è noto che la degradazione è un processo autocatalitico che avviene a partire dall’interno e la distribuzione dei pesi molecolari in questo caso diventa multimodale nel corso dell’idrolisi (3). La monomodalità della distribuzione dei pesi molecolari delle nanofibre suggerisce quindi che oggetti di dimensioni sub-micrometriche subiscono una degradazione omogenea su tutta la matrice polimerica. Conclusioni. Lo studio dei parametri sperimentali del processo di elettrofilatura ha permesso di comprenderne l’influenza sulla morfologia delle fibre. È stata poi determinata la cinetica di degradazione idrolitica del mat di PLGA50:50 elettrofilato. Riferimenti 1. A.G. Mikos et al., Tissue engineering, 12, 1197-1211 (2006) 2. P. Dobrzynski et al., Macromolecules, 34, 5090-5098 (2001) 3. M. Vert et al., Die Angew. Makrom. Chem., 247, 239-253 (1997) CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Crescita e differenziamento osteogenico su scaffold di cellule hASC (human Adipose-derived Stem Cells) de Girolamo L.1;2, Sartori M.F.1., Bastoni S3., Rimondini L4., Weinstein R2., Brini A.T1. 1 Dipartimento di Farmacologia Chemioterapia e Tossicologia medica, Facoltà di Medicina, Università degli Studi di Milano 2 IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano 3 Istituto di Scienze Ortopediche Traumatologiche Reumatologiche e Riabilitative, Università degli Studi di Milano 4 Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro La scelta di un’opportuna tipologia di cellule è il primo passo per ottenere un buono sviluppo di un tessuto bioingegnerizzato. Un’adeguata fonte cellulare per la Tissue Engineering dovrebbe essere innanzitutto disponibile in elevata quantità, espandibile in vitro per numerose generazioni, essere in grado di acquisire un pattern di espressione proteica simile a quello del tessuto da rigenerare, e infine, mostrare un’adeguata capacita di integrazione con i tessuti circostanti. Le cellule mesenchimali staminali possiedono tali caratteristiche, ma il loro isolamento dal midollo osseo risulta spesso poco efficiente, data la scarsità di tessuto prelevabile, e dipendente dall’età del donatore. Le cellule mesenchimali isolabili dal tessuto adiposo (hASC, human Adipose-derived Stem Cells) possiedono caratteristiche di staminalità sovrapponibili a quelle delle cellule staminali mesenchimali isolate dal midollo osseo (BMSC) e presentano inoltre il vantaggio di poter essere più facilmente prelevabili e in maggiori quantità data l’accessibilità e l’abbondanza del tessuto adiposo. Inoltre la resa cellulare delle hASC è molto elevata e, contrariamente a quella delle BMSC, sembra essere indipendente dall’età del donatore. In lavori precedenti abbiamo dimostrato la capacità delle hASC di generare in vitro cellule della linea osteogenica con alta efficienza . In questo studio presentiamo i risultati del differenziamento in vitro delle hASC, a diversi tempi, verso la linea osteogenica, in presenza di alcuni scaffold quali titanio (Permedica S.p.A), osso bovino deproteinizzato (Bio-Oss®, Geistlich), osso umano (Banca del Tessuto Muscolo-Scheletrico, Regione Lombardia), e idrossiapatite. Le cellule hASC, predifferenziate in vitro per un mese o differenziate direttamente sullo scaffold, mostrano una buona capacità di adesione ai vari supporti testati, come mostrato dalle osservazioni al Microscopio Elettronico a Scansione, e in nessun caso sono stati osservati fenomeni di citotossicità. Sia le hASC predifferenziate in monostrato, sia quelle differenziate sugli scaffold mostrano una significativa deposizione di matrice calcificata come dimostrato con colorazione Alizarin Red S, con alcune differenze tra i vari scaffold testati. Possiamo quindi concludere che le hASC differenziano con efficienza verso la linea osteogenica mostrando un ottimo adattamento in vitro a diversi biomateriali e mantenendo inalterato, o in alcuni casi aumentando, il loro potenziale differenziativo, portando, in ultima analisi, ad indicare le hASC come una promettente tipologia cellulare per l’impiego nella rigenerazione del tessuto osseo. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 CELLULE MESENCHIMALI UMANE DIFFERENZIATE IN SENSO CONDROGENICO SU BIOMATERIALE A BASE DI ACIDO IALURONICO ESPRIMONO FATTORI COINVOLTI NELL’OMEOSTASI DEL TESSUTO CARTILAGINEO Gina Lisignoli*, Anna Piacentini*, Cristina Manferdini*, Katia Codeluppi*, Francesco Grassi*, Andrea Facchini*°. *Istituti Ortopedici Rizzoli, Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna. °Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia. Bologna La cartilagine articolare è un tessuto costituito prevalentemente da matrice extra-cellulare prodotta dai condrociti che è incapace di auto-ripararsi inseguito a traumi. La matrice in questo tessuto ha il ruolo di regolare le funzioni condrocitarie che a loro volta regolano il turnover fisiologico del tessuto. Il mantenimento dell’omeostasi della cartilagine articolare dipende anche da fattori solubili, quali le chemochine che modulano a loro volta il rilascio di enzimi degradativi quali le metalloproteinasi. Abbiamo valutato in vitro il differenziamento in senso condrogenico di cellule mesenchimali umane cresciute su un biomateriale a base di acido ialuronico a vari tempi sperimentali (giorno 1, 7, 14, 21). In particolare, abbiamo utilizzato tecniche di biologia molecolare, istochimica e immunoistochimica per valutare la proliferazione cellulare, fattori della matrice cartilaginea, chemochine e rispettivi recettori. Inoltre abbiamo valutato tali fattori anche su cartilagine articolare sana. Abbiamo trovato che durante il processo di differenziamento aumentava significativamente l’espressione di collagene II, IX, aggrecano e diminuiva quella del collagene tipo I. L’analisi delle chemochine e dei recettori ha evidenziato che durante la condrogenesi in vitro i recettori CXCR1, CXCR2, CXR3 e la chemochina CXCL10 non venivano espresse. La chemochina CXCL8 veniva rilasciata ai vari tempi sperimentali ma non più espressa a livello molecolare. L’espressione del recettore del CXCR4 e del suo ligando CXCL12 venivano inibiti durante il processo di condrogenesi così come quello della chemochina CXCL13. Al contrario, il recettore di tale chemochina il CXCR5 aumentava significativamente durante il processo di condrogenesi. L’espressione di tali fattori è stata confermata anche su cartilagine articolare sana. Questi dati dimostrano che il differenziamento in senso condrogenico di cellule mesenchimali umane su biomateriale a base di acido ialuronico (componente fondamentale della matrice extra-cellulare della cartilagine) determina la modulazione in senso positivo o negativo sia di fattori della matrice cartilaginea sia di fattori direttamente coinvolti nei processi di mantenimento dell’omeostasi cartilaginea in linea con quanto espresso dalla cartilagine sana. Inoltre tali dati indicano che tale modello in vitro è sicuramente utile per capire i processi che possono portare ad uno sbilanciamento dell’espressione di fattori diretti responsabili delle alterazioni della struttura di questo tessuto. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007 CARATTERIZZAZIONE E SVILUPPO DI UN INNOVATIVO LIPIDE CATIONICO AUTOASSEMBLANTE PER LA TERAPIA GENICA Candiani G.,1,2 Pellegrini C.,1 Pezzoli D.,1,2 Cabras M.,1 Chiesa R.,3 Cigada A.,3 Zanda M.1 1 C.N.R. - Istituto di Chimica del Riconoscimento Molecolare, Milano, Italia. 2 BioCell Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica G. Natta, Politecnico di Milano, Milano, Italia. 3 Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica G. Natta, Politecnico di Milano, Milano, Italia. Il presente lavoro è finalizzato alla caratterizzazione chimico fisica e biologica di un innovativo lipide cationico autoassemblante e del relativo complesso lipide/DNA (lipoplesso), al fine di ottimizzare l’efficacia del processo di trasfezione. E’ stato sintetizzato un nuovo lipide cationico a base triazinica (C14) del quale è stata valutata la Concentrazione Micellare Critica (CMC). C14 è stato complessato con il plasmide della pEGFP e i relativi lipoplessi sono stati caratterizzati mediante esperimenti di Gel Retardation Assay (GRA), Dynamic Light Scattering (DLS), Doppler Electrophoretic Light Scattering (DELS), Scanning Electron Microscopy (SEM), Differential Scanning Calorimetry (DSC). Gli esperimenti di trasfezione con C14 sono stati condotti su diverse linee cellulari in assenza ed in presenza di siero, in confronto con Lipofectamine™ 2000 e FuGene®, due dei più performanti trasfettanti in commercio. La CMC di C14 è risultata essere di circa 25 mM. Nelle condizioni di utilizzo, mediante GRA, la completa complessazione del plasmide avviene a rapporti di carica (CR) ≥ 10. Le dimensioni medie e la carica superficiale dei lipoplessi C14/pEGFP hanno mostrato un minimo comune in corrispondenza di CR 10 (20 ± 5 mV; 295 ± 9 nm) e le immagini al SEM ne hanno evidenziato la forma irregolare. L’analisi DSC ha mostrato che la formazione dei lipoplessi è spontanea (ΔG < 0), endotermica (ΔH > 0), rapida (tcomplessazione < 5 min) e conduce a complessi stabili nel tempo. Questi risultati hanno permesso di individuare le migliori condizioni di trasfezione: CR 10 con tempo di complessazione superiore a 5 min. Le trasfezioni condotte in assenza di siero (OptiMEM®, ttrasfezione = 4 ore) hanno evidenziato una bassa citotossicità e un’elevata efficienza di trasfezione. L’ottimizzazione del protocollo di trasfezione in condizioni simil-vivo (10% FBS) è stata condotta aumentando il ttrasfezione a 48 ore, con risultati decisamente migliori sia in termini di citotossicità che di efficienza di trasfezione. L’accurata caratterizzazione chimico-fisica ha permesso di individuare le condizioni ottimali per la formazione di lipoplessi a bassa citotossicità, alta efficienza di trasfezione ed elevata stabilità nel tempo. C14, utilizzato in presenza di siero, è risultato più performante sia in citotossicità che in efficienza di trasfezione rispetto a Lipofectamine™ 2000 e FuGene®. Questi risultati aprono la strada alla sua applicazione in vivo. La semplicità ed economicità di sintesi del composto C14, combinate con le elevate prestazioni negli esperimenti di trasfezione, lo rendono un candidato ideale per la commercializzazione nel settore biomedicale. CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007 BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007 Surface characterization and effects on SaOS-2 cell behavior of enzimaticallytailored, surface-linked pectic polysaccharides G. Ceccone, I. Liakos, D. Gilliland (EC-JRC-IHCP, I), C. Della Volpe, S. Siboni (UniTN, I), R. Verhoef , W. Schols (WU, NL), B. Jorgensen, P. Ulvskov (DIAS Dk), C. Bussy, MD Nagel (UTC, F), G. Cascardo C. Cassinelli, M. Morra (NBR, I) Introduction The exploitation of the bio-active properties of polysaccharides covalently linked to materials surfaces is a rapidly growing area of biomaterials surface science. Recent findings on bioactivity of plant carbohydrate polymers1 are spurring an activity of “biomolecular scouting” and suggest that pectic polysaccharides are promising flexible molecules for novel bioactive surfaces. Importantly, pectic polysaccharides can be engineered by targeted enzymatic treatments. This study, which is part of a CE-founded multidisciplinary project (www.pecticoat.org), is aimed at the evaluation of properties of surface linked apple pectic rhamnogalacturonans (RG-I) and its fractions obtained by enzymatic treatment. This polysaccharide is predominantly substituted by arabinan side chains and contains a rather large proportion of xylogalacturonan. Materials and Methods: Pectin ramified region was prepared as described by Schols et al.2 by treatment of Golden Delicious apples pulp with enzyme (Rapidase C600). After purification, the obtained fraction (MHRα) was further treated as follows: (i)MHRSα in which all ester linked substituents are removed, (ii)MHRSα-ara where arabinan side-chains (hairs) length is much reduced, (iii)MHRSα-gal that are treated to decrease galactan content, (iv)MHRSα-ara/gal-: in which there is a decrease of both the galactose and arabinose content and enrichment in rhamnogalacturonan and xylogalacturonan. Different fractions were characterized by chemical analysis and High Performance Size Exclusion Cromatopgraphy (HPSEC). Fractions were covalently linked to polystyrene (PS) surfaces aminated by glow discharge plasma3 and analysed by X-ray Photoelectron spectroscopy (XPS), Time of Flight Secondary Ion Mass Spectroscopy (ToF-SIMS), Atomic Force Microscopy (AFM), contact angle measurement. Moreover, adhesion, growth and specific alkaline phosphatase (ALP) activity of osteoblast-like SaOS2 cells were evaluated on the different samples. Results: All tested fractions yield very hydrophilic surfaces as expected from the chemistry of the polysaccharide. XPS results indicate that all pectins fractions are successfully bounded to the aminated PS plates. No major differences in chemical compositions amongst the samples are noticed, the enzymatic treatments performed yield structural, rather than stoichiometrical, modifications.. ToF-SIMS analyses confirm the XPS results. Results of cell adhesion and specific activity tests show that all MHR modified surfaces decrease SaOS2 cell adhesion with respect to TCPS, cells generally adopt a rounded morphology and spread partially only on MHRSα-ara/gal. Differences between cell adhesion data are significant for all couples except MHRSα-ara vs. MHRSα-gal. The ratio between the latter value and cell density yields the specific ALP activity. Interestingly, specific ALP activity is up-regulated for all surfaces over that of TCPS, suggesting that MHRs coated surfaces present interfacial properties more suitable for osteoblast differentiation. Specific differences among the different fractions, and their relationship with MHRs structures, are currently under investigation. Acknowledgements and References $ This work is carried out within the EU STREP Project # 517036 (PECTICOAT). 1. Bioactive Carbohydrate Polymers, Paulsen B. S. Ed., Kluwer The Netherlands, 2000 2. Schols et al., 1990, Carbohydrate Res, 206, 117-129 3. M. Morra et al. Biomacromolecules, 5, 2094, 104