CONGRESSO NAZIONALE BOLOGNA 2007 ABSTRACTS

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CONGRESSO NAZIONALE BOLOGNA 2007 ABSTRACTS
CONGRESSO NAZIONALE
BOLOGNA 2007
ABSTRACTS
CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007
BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
ADIUVANTI BIOLOGICI PER STIMOLARE L’OSTEOINTEGRAZIONE
DEI BIOMATERIALI. STUDIO SPERIMENTALE.
¹Del Piccolo N,¹Dallari D, ²Fini M, ²Nicoli Aldini N, ²Torricelli P, ²Giavaresi G, Sartori M2,
²Salamanna F,²Giardino R.
¹ VII Divisione di Chirurgia ortopedico-traumatologica, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna
² Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna
Obiettivo
La superficie di un biomateriale può essere resa maggiormente osteoconduttiva e
osteoinduttiva con metodi di natura fisico-chimica, morfologica e biochimica. In questa
ricerca è stata valutata a tale scopo l’ efficacia di adiuvanti biologici quali: gel piastrinico
(PRP) e cellule staminali (BMSC). Sono stati eseguiti due studi sperimentali in vivo: nel
primo le proprietà osteoinducenti di PRP e BMSC sono state testate mediante impianto
nel tessuto sottocutaneo e muscolare; nel secondo le capacità di favorire
l’osteointegrazione sono state valutate associando tali adiuvanti al rivestimento di
idrossiapatite (HA) di cilindri di titanio (Ti) impiantati nell’ osso trabecolare.
Materiali e metodi
Lo studio in vivo è stato eseguito nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione
animale impiegando conigli New Zealand maschi, adulti. Gli interventi sono stati condotti
in anestesia generale. BMSC e PRP sono state ottenuti rispettivamente da prelievi di
midollo osseo autologo e da prelievi di sangue. Nello studio di osteoinduzione è stato
inoltre impiegato osso allogenico liofilizzato (FDBA). Gli impianti sono stati eseguiti a
livello sottocutaneo ed intramuscolare in 20 animali, secondo lo schema della Tab.1.
Tab1. Materiale impiantato al livello sottocutaneo e intramuscolare a 2-8 settimane
Tempi sperimentali
Materiale
2 settimane - 8 settimane
FDBA
2 settimane - 8 settimane
FDBA+BMSC
2 settimane - 8 settimane
FDBA+PRP
2 settimane - 8 settimane
FDBA+BMSC+PRP
Per lo studio di osteointegrazione un difetto di ∅ 4 mm x10 mm di lunghezza in cui sono
stati impiantati i cilindri di Ti-HA è stato creato bilateralmente a livello del condilo femorale
in 10 conigli (Tab.2)
Tab.2 Materiale impiantato in osso trasecolare di femore distale a 2 settimane
Tempi di sperimentazione
Materiale
2 settimane
Ti-HA
2 settimane
Ti-HA + PRP+BMSC
2 settimane
Ti-HA +PRP
2 settimane
Ti-HA +BMSC
Ai tempi sperimentali stabiliti, sui campioni espiantati, sono state eseguite indagini
istologiche ed istomorfometriche.
Risultati
Negli studi di osteoinduzione si è potuto osservare che gli impianti di FDBA erano
circondati da tessuto connettivo e da vasi neoformati più evidenti nei casi in cui vi era l’
associazione FDBA+PRP. A 2 e a 8 settimane dall’impianto nel tessuto sottocutaneo e nel
tessuto muscolare l’associazione FDBA+BMSC+PRP ha evidenziato una maggiore
produzione di osso rispetto agli altri materiali impiantati. Per quanto riguarda
l’osteintegrazione a 15 gg la riparazione dell’osso trabecolare appariva più evidente negli
impianti HA+BMSC+PRP.
Conclusioni
L’associazione PRP+BMSC sembra in grado di promuovere processi di osteoinduzione e
osteoconduzione
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
ANALISI E CONSIDERAZIONI SUI DIFETTI DELLE SUPERFICI
IMPLANTARI.NUOVE PROSPETTIVE: IMPIANTO BIMPLANT.
Dott. Giuseppe Di Santi Libero Professionista Porto Ercole –
Roma
Dott Massimo De Cesare Napoli
Ricercatore Privato,Università Di Napoli
Obiettivo
Il corretto trattamento delle superfici implantare e’ prerogativa
essenziale per ottenere una valida osteointegrazione.
Materiali e metodi
Sono stati prodotti volutamente dei difetti superficiali implantari al fine
di verificare il danno di superficie attraverso analisi edx e microscopia a
scansione.
In questo contributo sono stati analizzati i principali difetti che, per una
manipolazione errata od una elaborazione scorretta, si possono
osservare a carico degli impianti dentali. Sono stati realizzati differenti
trattamenti anomali al fine di poter osservare le conseguenze a carico
della qualità della superficie, della microstruttura e delle proprietà
meccaniche dei suddetti impianti. Si è proceduto alla loro
evidenziazione tramite microscopia elettronica a scansione,
microscopia di trasmissione e microanalisi per dispersione di energia a
Raggi X.EDX: A seguito di tali analisi, vengono proposte alcune
precauzioni ed alcune tecniche al fine di evitare eventuali possibili
difetti a carico degli impianti dentali.
Infine viene relazionato un innovativo trattamento superficiale
denominato Microgrip, usato per la superficie del Bimplant. Tale
trattamento produce una rugosità di circa 20 Microm atta a favorire la
crescita degli osteoblasti ed una superficie omogenea.
Conclusione
Dall’analisi dei danni superficiali indotti artificialmente e’ stata
progettata una nuova superficie impiantare “MICROGRIP” parte
integrante del sistema impiantare BIMPLANT.
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1 Bioattivazione di Scaffolds di Poliesteri Biodegradabili con Peptidi
Segnale: Funzionalizzazione mediante Amminolisi
Battista Edmondo‡, Causa Filippo‡ e Netti Paolo Antonio§.
‡
Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale “G. Salvatore” - Laboratorio Biomateriali.
§
Centro di Ricerca Interdipartimentale sui Biomateriali (CRIB)
Università “Federico II” di Napoli.
Obiettivo
Il controllo dell’interazione cellula-materiale riveste un ruolo chiave per gli scaffold
nell’ingegneria dei tessuti. Molti eventi cellulari (riconoscimento, adesione, proliferazione,
migrazione), in risposta alla presenza di biomateriali, sono guidati da segnali originati
dalla matrice extracellulare e dalla loro disposizione spaziale nell’ambiente pericellulare. È
ben noto che la sequenza peptidica RGD rappresenta il motivo di riconoscimento
cellulare, mediato dalla famiglia delle integrine, più diffuso all’interno della matrice
extracellulare. Una delle maggiori limitazioni nell’impiego dei biomateriali sintetici è dovuta
all’assenza di specifici segnali di adesione e di guida cellulare. Obiettivo di questo lavoro
è il controllo e la messa a punto di metodologie per la funzionalizzazione di matrici di
poliesteri biodegradabili con sequenze peptidiche RGD-like. In particolare, lo studio mira
all’inserzione di ammine difunzionali sulle superfici polimeriche su cui verranno innestati i
segnali di adesione.
Materiali e Metodi
L’aggraffaggio delle sequenze RGD-like ai substrati polimerici avviene per inserzione di
un linker omobifunzionale mediante amminolisi. L’amminolisi è una reazione autolimitante
in cui un legame estere viene scisso da una diammina primaria formando un legame
ammidico col poliestere e lasciando un gruppo ammino-terminale disponibile per il legame
col peptide via dicabonil-disuccinimide. Substrati di policaprolattone (MW 65 kD) sono
sottoposti ad amminolisi in una soluzione al 10% (wt) di 1,7-diamminoeptano (MW 130) in
isopropanolo alla temperatura di 25°C a tempi diversi. La caratterizzazione della
superficie è effettuata mediante micro-RAMAN; misure di DSC sono state eseguite
utilizzando il range di temperature 25°-100° con una variazione di 10°C/min.
Risultati
Le immagini al microscopio ottico hanno mostrato zone a maggiore rugosità in
corrispondenza dell’inserzione della diammina, come confermato dall’analisi Raman.
L’aumento del tempo di trattamento ha mostrato, inoltre, un conseguente incremento
dell’ammina legata alla superficie polimerica. L’analisi DSC ha evidenziato picchi di
fusione non sostanzialmente influenzati dal tempo e dalla temperatura di trattamento.
Conclusioni
La distribuzione di peptidi immobilizzati su superfici di poliestere può essere controllata
attraverso l’ottimizzazione del processo di amminolisi. Infatti, variando le condizioni di
reazione (tempo, temperatura) si può ottenere una distribuzione controllata dei segnali
sulla superficie dello scaffold polimerico. La metodica proposta non influenza
considerevolmente le proprietà chimico-fisiche e risulta applicabile a sistemi
tridimensionali altamente porosi.
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BIOCOMPATIBILITA’ DI NANOPARTICELLE OSTEOTROPICHE A
BASE DI ACIDO poli(D,L-lattico-co-glicolico) E BIFOSFONATO
M. Salerno1, C. Fotia1, E. Cenni1, D. Granchi1, S. Avnet1,
3
3
1,2
D. Micieli , M.G. Sarpietro , N. Baldini
1
Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna;
2
VII Divisione, Istituti Ortopedici Rizzoli e Università degli Studi di Bologna, Bologna;
3
Dipartimento di Scienze Chimiche, Università degli Studi di Catania, Catania;
Obiettivo: sintesi di nanoparticelle (NP) osteotropiche e valutazione della loro emo- e
citocompatibilità.
Materiali e metodi: l’acido poli(D,L-lattico-co-glicolico) (PLGA), è stato coniugato con
alendronato, un composto appartenente al gruppo dei bifosfonati, i quali possiedono alta
affinità per l’idrossiapatite contenuta nella matrice ossea. Il coniugato è stato
caratterizzato mediante analisi MALDI TOF e 1H-NMR. Le NP sono state
successivamente ottenute attraverso nanoprecipitazione del coniugato. La dimensione
delle NP è stata calcolata mediante Dynamic Light Scattering. L’emocompatibilità è stata
esaminata in vitro tramite un saggio di emolisi e la valutazione degli effetti sull’attivazione
piastrinica, sulla fase plasmatica della coagulazione e sul consumo del complemento sia
per la via classica che per quella alternativa. La citocompatibilità è stata valutata mediante
il saggio del rosso neutro su cellule endoteliali umane isolate dalla vena ombelicale
(HUVEC), su cellule stromali mesenchimali umane isolate da midollo osseo (MSC) e su
osteoblasti umani isolati da osso trabecolare (HOB). E’ stato infine determinato l’effetto
delle NP sull’attività di fosfatasi alcalina delle MSC.
Risultati: la struttura chimica del coniugato è stata confermata dall’analisi 1H-NMR e
MALDI TOF, che ha dimostrato una resa di coniugazione pari al 30-35%. Il diametro
medio delle NP era di 198,7 nm, con un indice di polidispersione di 0,348. Le prove di
emocompatibilità in vitro hanno dimostrato l’assenza di emolisi e di attivazione piastrinica.
E’ stata dimostrata una significativa riduzione dell’attività protrombinica dopo incubazione
con 56 μg/ml di NP e un significativo incremento con le diluzioni da 5,6 μg/ml a 0,56 ng/ml
rispetto al controllo negativo (plasma incubato con PBS). I valori di attività protrombinica
erano comunque sempre compresi nell’ambito dei valori normali. Non sono state rilevate
variazioni significative dell’APTT. Anche il consumo di complemento attraverso le due vie
non è risultato significativo. Infine, non sono stati evidenziati effetti citotossici sulle cellule
umane: la vitalità delle HUVEC, delle MSC e degli HOB dopo incubazione con le NP è
risultata superiore all’80%. Non sono state riscontrate differenze significative nell’attività di
fosfatasi alcalina delle MSC incubate con le NP e quelle incubate con il solo terreno.
Conclusioni: le prove di biocompatibilità in vitro hanno dimostrato una variazione
significativa dell’attività protrombinica, che tuttavia si è sempre mantenuta nell’ambito dei
valori normali. Le NP non hanno indotto emolisi, attivazione piastrinica o consumo del
complemento, e non hanno esercitato effetti citotossici sulle cellule endoteliali o sugli
osteoblasti. In conclusione, le note proprietà di biocompatibilità del PLGA non sono state
modificate dal legame con l’alendronato e dalla realizzazione di NP derivate.
Finanziato dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.
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BIOCOMPATIBILITA’ IN VITRO DI CEMENTI ENDODONTICI
INNOVATIVI A BASE SILICATICA
F. Perut1, M.G.Gandolfi2,, S. Pagani1, G. Ciapetti1, S. Marchionni3, R. Mongiorgi3,
C. Prati3, N. Baldini 1
1 Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna.
2 Centro di Biomineralogia, Cristallografia e Biomateriali, Università di Bologna.
3 Dip. di Scienze Odontostomatologiche, Università di Bologna.
Obiettivo: scopo di questo lavoro è stato verificare la compatibilità cellulare in vitro di
cementi endodontici innovativi a base silicatica.
Materiale e metodo: quattro diverse formulazioni di cementi endodontici (TC, TC1%, TCf
1% e TCf) sono state preparate utilizzando cemento Portland e cloruro di calcio come
accelerante. Nelle composizioni TC1% e TCf 1% è stato inserito un fillosilicato come
plasticizzante. TC e TC1% sono stati preparati con H2O, mentre TCf e TCf1% sono stati
preparati con un agente fluidificante (polimero di lattice). Due cementi canalari
commerciali, Proroot MTA ed AH plus, sono stati utilizzati come riferimento. I materiali
sono stati preparati, stratificati su vetro e fatti polimerizzare per 5 ore a 37°C in camera
umida; sono stati quindi trattati con una soluzione di antibiotico/antimicotico in H2O per 2
ore e lavati in PBS. Il precondizionamento dei cementi e la preparazione degli estratti
sono stati eseguiti incubando i materiali polimerizzati in DMEM al 10% FCS per 24 h a
37°C. La compatibilità cellulare è stata valutata utilizzando la linea cellulare similosteoblastica Saos-2, analizzandone la crescita (Alamar test) e la morfologia cellulare
(SEM) dopo 72 ore di coltura sui cementi. Le cellule Saos-2 seminate su plastica per
colture cellulari (TCPS) sono state messe a diretto contatto con gli estratti ottenuti dai
cementi e, dopo 72 h, ne è stata valutata la vitalità.
Risultati: l’analisi al SEM ha evidenziato differenze morfologiche della superficie dei
cementi sperimentali. Nessuna tossicità acuta è stata evidenziata per i cementi oggetto di
studio. Le cellule Saos-2 hanno aderito e proliferato su tutti i cementi sperimentali solidi,
anche se in misura minore rispetto al cemento di riferimento MTA e al controllo su
plastica. AH plus non ha consentito la crescita cellulare.
L’analisi al SEM ha confermato questi dati, evidenziando cellule con morfologia similosteoblastica sui cementi a base silicatica e su MTA; rare cellule sono state osservate su
AH plus. La vitalità delle cellule Saos-2 a contatto con gli estratti di TC, TC 1% e MTA è
paragonabile al controllo su plastica. Gli estratti di TCf e TCf 1% riducono la vitalità delle
cellule Saos-2 in modo significativo (p<0.05) rispetto al controllo su plastica ed agli estratti
di MTA, TC e TC 1%. Tuttavia la successiva adesione e proliferazione delle cellule Saos2 sui cementi solidi TCf e TCf 1% hanno dimostrato una riduzione di questo effetto tossico
nel tempo. L’estratto di AH plus è risultato il più tossico, inducendo una mortalità cellulare
molto alta, con valori significativamente diversi rispetto a tutti gli altri materiali (p=0.002).
Conclusioni: i cementi endodontici sperimentali hanno dimostrato la capacità di
supportare la crescita di cellule simil-osteoblastiche. Tali cementi possono quindi essere
impiegati in endodonzia ortograda e retrograda.
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6 BioDynamic Characterization of Biomaterial Viscoelastic Properties
Werner Conrads ,Jing Lu, Sandy Williams
ElectroForce Systems Group, Bose Corporation, Eden Prairie, MN, USA.
demonstrate preconditioning at a rate 0.2Hz, and then it
Statement of Purpose: The objective of this work was
repeats the sample procedure at other frequencies (from
to employ the Dynamic Mechanical Analysis (DMA)
®
®
0.2Hz to 10Hz). The user-defined parameters allow the
software with the ElectroForce BioDynamic testing
study of the samples’ dynamic viscoelastic properties as
platform to evaluate the mechanical properties of
®
a function of a wide range of testing conditions.
hydrogels. The Wintest DMA software has been
Results / Discussion: The relationship between the
developed to determine the dynamic viscoelastic
complex modulus and the loading frequency as well as
properties of biomaterials or tissues as a function of
the tan delta and the loading frequency are shown in
wide range of test conditions such as frequency, strain
Figure 3, where complex modulus is the measure of
and temperature. The BioDynamic testing platform
dynamic mechanical properties of a material, taking into
allows for continuous characterization and stimulation
account energy dissipated as heat during the
in a fully integrated and instrumented configuration by
deformation and recovery, and tan delta is the tangent of
providing material characterization (viscoelastic
phase between the reference channel and feedback. The
properties, strength, creep and stress relaxation) within
plotted data shows that the complex modulus value
a physiological environment (sterile, nutrient flow,
increases as loading frequency increases, while tan delta
pressure loading, pH, dissolved oxygen, and
value decreases as loading frequency increases. Figure 4
temperature).
shows four cycles of the sinusoidal compression
Methods: The BioDynamic instrument was used along
waveform at the rate of 1Hz.
with DMA software to test the mechanical properties of
hydrogels to demonstrate its ability to measure the
dynamic mechanical properties of tissue and
biomaterials (such as stress-strain relationship, stiffness,
modulus, hysteresis, etc. with respect to loading
frequency). The dynamic mechanical properties of
polyvinyl alcohol hydrogels (Cambridge Polymer
Group, Boston, MA) were evaluated with our unique
computer-controlled moving magnet linear motor that
provides load, displacement, and strain or pressure
profiles (Figures 1-2). The hydrogel samples were 10
mm in diameter and 3-5 mm in height, and testing was
performed in compression with a 5 mm displacement
transducer and a 50lb force transducer.
Figure 1.
Biodynamic®
system setup for
hydrogel DMA
tests.
Figure 2.
Sterile
hydrogel
sample
with
porous
perfusion
platens.
The DMA software applies a user-defined 0.5N
compression load to the hydrogel sample as a contact
load, and then it applies 5% cyclic sinusoidal strain on
the specimen for automatic calculated cycles enough to
Figure 3. Hydrogel modulus and tan delta as a function
of frequency at 5% strain.
Figure 4. Dynamic material properties of a polyvinyl
alcohol hydrogel.
Conclusions: This study showed that the BioDynamic
system along with DMA software is a very powerful
tool to study the dynamic mechanical properties of
biomaterials in a sterile biological environment.
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Ca SPECIES AT THE SURFACE OF NANOSIZED HYDROXYAPATITE.
A COMPUTATIONAL AB INITIO AND A MICROCALORIMETRIC/IR
SPECTROSCOPIC STUDY.
M. Corno1, P. Ugliengo1, L. Bertinetti1, G. Martra1, C. Busco2 and V. Bolis2.
1
Dip. di Chimica IFM, Università di Torino, via P. Giuria 7, 10125 Torino. Italy.
Dip.o DiSCAFF, Università del Piemonte Orientale, via G. Bovio 6, 28100 Novara. Italy.
2
The hydroxyapatite mineral [HA, Ca10(PO4)6(OH)2, family of apatites is a very versatile
material, widely applied in the field of biomedical applications, because it constitutes the
main component of the mineral phase in mammalian bones and teeth. Recently, several
experimental and computational studies have been devoted to investigating the properties
of apatite and apatite-like materials in order to better understand the molecular details of
the processes occurring at the interface between such inorganic materials and living
matter. The present work aims at understanding physical and chemical properties of the
(001) and (010) hydroxyapatite surfaces, by means of a combined experimental and
theoretical study dealing with the adsorption of probe molecules, among which CO. This
molecule is generally employed to get useful information on the Lewis acidic properties
(i.e., the ability to accept pairs of electrons) of coordinatively unsaturated (cus) metal
cations exposed at the surface of inorganic materials, such as Ca2+ species of interest in
the present work.
Periodic ab initio B3LYP calculations using CRYSTAL06 code have been run to fully
optimise the (001) and (010) bare surfaces for both hexagonal and monoclinic HA phases.
On the geometrically relaxed surfaces the adsorption of CO has been simulated, from low
to high coverage. Energies of adsorption and the vibrational features of CO have been
computed both as a function of different surface adsorption sites and of coverage. In
parallel, the adsorption of CO on a nanosized hydroxyapatite specimen has been studied
by IR spectroscopy (at 77 K) in order to investigate the surface structure of the various
kind of Ca species potentially active towards biomolecules. The energy of the CO-Ca sites
interaction, as well as that of the CO-hydrated surface layer interaction, has been
measured (at RT) by microcalorimetry.
The main conclusions from the simulations are that CO adsorbs on the exposed cus Ca2+
cations which are characterized by rather strong local electric fields. It is worth of noting
that the (010) surface is more active towards CO than (001). Both computed and
measured CO stretching frequencies confirm that the cus Ca2+ cations behave as Lewis
acidic sites, as witnessed by the presence of bathochromic shifts.
In conclusion, the combined use of experimental and computational methods has proved
to be useful to investigate such a complex system as an hydroxyapatite surface in
interaction with molecules. Work is in progress in order to simulate and measure the
interaction of the apatite surfaces with small (bio)molecules in order to better understand
at nanometric level the chemical properties of these kind of biomaterials, in particular with
respect to their biomedical applications.
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7 CARATTERIZZAZIONE DI PRECURSORI OSTEOGENICI AD
ADERENZA TARDIVA IN COLTURE DI MIDOLLO OSSEO
E. Leonardi, D. Granchi, V. Devescovi, G. Ciapetti, N. Baldini.
Laboratorio di Fisiopatologia degli Impianti Ortopedici, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna.
Obiettivo: analizzare il potenziale osteogenico di cellule mononucleate non aderenti (NA)
che vengono solitamente scartate nella coltura di cellule stromali mesenchimali (MSC)
derivate da midollo osseo. In pazienti di diverse età, due sottopopolazioni di NA sono
state raccolte e caratterizzate per la loro capacità di differenziarsi in osteoblasti.
Materiali e metodi: il midollo è stato raccolto dal canale femorale di 6 pazienti durante
l’intervento di artroprotesi d’anca. Dopo 4 gg di coltura, le cellule mononucleate non
aderenti (NA0) sono state raccolte e riseminate; analogamente, dopo altri 4 gg, sono state
raccolte anche le cellule non aderenti della coltura NA0 (NA1). NA0 e NA1 sono state
coltivate in terreno osteogenico e caratterizzate per l’espressione di markers del
differenziamento osteoblastico. I dati sono stati confrontati con quelli ottenuti nelle cellule
aderenti precoci (AD); l’espressione di antigeni di membrana caratteristici delle MSC
(CD44, CD105, CD166, CD90) è stata determinata in citometria a flusso, mentre l’attività
della fosfatasi alcalina (ALP) è stata valutata con tecniche biochimiche e
immunocitochimiche sulle “Colony Forming Units” (CFU). La mineralizzazione è stata
verificata mediante quantificazione del calcio e colorazione di Von Kossa per le aree di
deposizione di matrice; l’espressione di geni associati al differenziamento osseo è stata
quantificata mediante RealTime PCR.
Risultati: la percentuale di cellule NA varia da 1% a 51% e non correla con l’età dei
pazienti. Dopo il trasferimento in una nuova fiasca di coltura, il 37-84% delle NA0 e il 1787% delle NA1 acquisiscono la capacità di aderire alla plastica, e la confluenza è
raggiunta mediamente in un tempo paragonabile a quello delle AD (rispettivamente14.8±3
e 15.0±3 giorni).
Al quarto passaggio, l’espressione degli antigeni di membrana delle MSC è maggiore dell’
80% in tutte le popolazioni AD, NA0 e NA1. In AD, c’è una correlazione diretta tra età del
paziente ed espressione di CD44 (R=0.90, P=0.012), CD105 (R=0.90, P=0.012) e CD166
(R=0.83, P=0.04), mentre nelle NA1, la correlazione è stata osservata solo per CD105
(R=0.99, P<0.0001). Le dimensioni e il numero delle CFU variano sensibilmente tra gli
individui, e l’espressione di ALP diminuisce progressivamente da AD a NA0 a NA1.
L’espressione di ALP nelle NA è risultata significativamente ridotta, sia a livello
trascrizionale (NA0 vs AD p=0.05; NA1 vs AD p=0.01) che a livello proteico (NA0 vs AD
p=0.05). In tutte le popolazioni, la deposizione di calcio raddoppia dopo 2 settimane in
terreno mineralizzante ed è simile in AD e NA. L’espressione dei geni associati al
differenziamento osseo è inferiore nelle NA rispetto alle AD: nessuna differenza
significativa è stata osservata per i geni precoci Runx2 e Osterix e per il collagene di tipo
1, mentre l’espressione di osteocalcina è quasi sempre inferiore al limite di sensibilità del
metodo.
Conclusioni: le cellule mononucleate del midollo osseo contengono precursori
osteogenici ad aderenza tardiva che mostrano un fenotipo più indifferenziato rispetto alle
cellule che aderiscono precocemente. Il numero dei precursori osteogenici ad aderenza
tardiva è indipendente dall’età del paziente, ed è ipotizzabile che essi abbiano un ruolo
nella rigenerazione e nel mantenimento della omeostasi del tessuto osseo.
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CARATTERIZZAZIONE INFRAROSSA E RAMAN DI OLIGOPEPTIDI
AUTOASSEMBLANTI
M. Di Foggia, C. Fagnano, P. Taddei, A. Torreggiani (1), M. Dettin (2), A. Tinti.
Dipartimento di Biochimica "G. Moruzzi", Università di Bologna, via Belmeloro 8/2, 40126
Bologna (Italy).
(1) ISOF, Consiglio Nazionale delle Ricerche, via P. Gobetti 101, 40129 Bologna (Italy).
(2) Dipartimento di Processi Chimici dell'Ingegneria, Università di Padova, via Marzolo 9,
35131 Padova (Italy).
Obiettivo: caratterizzazione della struttura secondaria di nuovi oligopeptidi
autoassemblanti, derivanti da EAK-16 [1] e caratterizzati dall’alternanza di amminoacidi
apolari (alanina) e ionici (lisina, ornitina, acido glutammico, acido aspartico, acido
amminobutirrico). Gli oligopeptidi analizzati erano costituiti da 16 amminoacidi, con
eventuale aggiunta di una sequenza RGD (arginina-glicina-acido aspartico), per favorire
la rigenerazione ossea a contatto con biomateriali di supporto.
Materiali e metodi: i peptidi sono stati sintetizzati in fase solida utilizzando un
apparecchio automatico per la sintesi dei peptidi (Applied Biosystem Model 431°) e
purificati in colonna semipreparativa Delta Pak C18. Gli spettri Raman sono stati ottenuti
con uno spettrometro FT-Raman Bruker FRA 106 (risoluzione 4 cm-1) mentre quelli IR
sono stati ottenuti utilizzando uno spettrometro Nicolet 5700 (risoluzione 4 cm-1). La
struttura secondaria degli oligopeptidi è stata determinata tramite fitting delle bande
ammide I sia IR che Raman.
Risultati: I risultati ottenuti dal fitting in IR e in Raman per ciascun peptide erano molto
simili. Per quanto riguarda i peptidi appena sintetizzati, quelli contenenti solo 16 residui
amminoacidici ionici/non polari hanno mostrato una prevalente struttura a foglietto beta
indipendentemente dalla lunghezza e dall’ingombro sterico della catena R
dell’amminoacido carico o di quello apolare. Infatti le bande tipiche di questa struttura
secondaria sono state osservate sia in Raman a 1670-1673 cm-1 che in infrarosso a 16941697 cm-1 e a 1620-1626 cm-1. I peptidi contenenti la sequenza RGD avevano invece una
struttura secondaria prevalente di tipo alfa-elica o mista, caratterizzata da una banda
Raman a 1659 cm-1 e componenti IR a 1663 e 1640 cm-1. Dopo trattamento per 6 ore in
soluzione di NaCl e tampone fosfato e liofilizzazione, i peptidi che avevano una struttura a
foglietto beta non hanno mostrato variazioni significative di struttura secondaria mentre si
è osservato uno spostamento significativo delle bande Raman e IR dei peptidi contenenti
la sequenza RGD. Infatti anche in questo caso la struttura prevalente diventa di tipo betafoglietto.
Conclusioni: anche i due peptidi contenenti la sequenza RGD e che subito dopo la
sintesi non presentavano, o presentavano solo in parte, struttura a foglietto beta, dopo il
trattamento in soluzione di NaCl e tampone fosfato assumono prevalente struttura beta.
La spettroscopia vibrazionale si è confermata una tecnica valida per valutare le variazioni
conformazionali dei peptidi.
[1] Zhang S., Holmes T., Lockshin C., Rich A. PNAS 90, 1993, 3334
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
8 Caratterizzazione meccanica e microstrutturale di componenti
biomediche in lega Ti-6Al-4V prodotte per electron beam sintering
L. Facchini§, E. Magalini†, P. Robotti†, A. Molinari§.
§
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e delle Tecnologie Industriali, Università di
Trento, via Mesiano 77, 38050 Trento, Italia.
†
Eurocoating s.p.a., via al Dos de la Roda 60, 38057 Ciré di Pergine, Italia.
Obiettivo:
L’electron beam sintering è una tecnica di rapid manufacturing che permette di produrre
componenti metallici a geometria complessa con annessa struttura superficiale porosa
direttamente da modelli 3D, senza l’utilizzo di spacers, attraverso la deposizione di strati
di polvere e la loro fusione localizzata. Tale tecnologia permette di ottenere manufatti
funzionali complessi in breve tempo.
L’applicazione di questa tecnologia alla produzione di componenti protesici ortopedici
consente l’ottenimento di pezzi unici, con poche limitazioni geometriche e con pori di
dimensioni e distribuzione progettate nell’ottica dell’osteointegrazione.
Il presente lavoro consiste nella caratterizzazione preliminare meccanica, microstrutturale
e composizionale di provini prodotti in lega Ti-6Al-4V biocompatibile a partire da polvere.
Materiali e metodi:
La polvere di lega Ti-6Al-4V utilizzata è una polvere commerciale specifica: la sua
morfologia appare sferica, mentre la dimensione dichiarata delle sue particelle è
compresa tra 45 μm e 100 μm.
Sui provini prodotti a partire da tale polvere sono state effettuate prove di trazione, fatica e
microdurezza; i manufatti sono altresì stati caratterizzati attraverso misure di densità,
microscopia ottica, ESEM e diffrazione ai raggi X.
Risultati:
La caratterizzazione meccanica dei componenti prodotti attraverso electron beam
sintering ha fornito i dati sotto esposti.
La densità relativa dei provini prodotti è risultata essere superiore al 99%.
Le prove di trazione, effettuate secondo le condizioni della normativa ASTM E8M, hanno
indicato un modulo elastico di 111±4 GPa, un carico di snervamento di 855±25 MPa, un
carico di rottura di 935±25 ed un allungamento a rottura del 13,3±2,1%.
La microdurezza misurata, pari a 355±5 HV0.05, è in linea con tali proprietà meccaniche.
Il limite di fatica ottenuto mediante staircase method, inoltre, è pari a 400±77 MPa.
L’osservazione della sezione dei provini meccanici dopo lappatura e attacco acido con
Kroll ha evidenziato una microstruttura caratteristica di titanio α+β. La presenza delle due
fasi (hcp e bcc) è stata confermata dalla diffrattometria a raggi X.
Conclusioni:
Le prove condotte su manufatti in lega Ti-6Al-4V ottenuti attraverso electron beam
sintering hanno fornito valori di proprietà meccaniche incoraggianti; questi possono
essere legati ad una microstruttura tipica per la lega utilizzata e alla piena densità dei
componenti.
Lo spettro di informazioni ottenuto verrà completato con prove di corrosione. Sono inoltre
previsti, in caso di successo nella qualificazione chimico-fisica dei manufatti così ottenuti,
test in vitro ed in vivo.
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BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
1 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DELLE STRUTTURE
COINVOLTE NELLA RIGENERAZIONE DEL LEGAMENTO
CROCIATO ANTERIORE.
Carola Cavallo*, Livia Roseti*, Giovanna Desando*, Roberto Buda#, Sandro Giannini#,
Andrea Facchini*°, Brunella Grigolo*.
* Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna, Istituti Ortopedici Rizzoli.
#
VI Divisione di Ortopedia, Istituti Ortopedici Rizzoli.
°Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna.
Il legamento crociato anteriore (LCA) è responsabile della stabilità del ginocchio evitando il
movimento di traslazione anteriore della tibia sul femore. La lesione dell’LCA si riscontra
con frequenza nel soggetto sportivo ed è dovuta a movimenti di torsione sull’asse verticale
con dislocazione anteriore. La lesione che è quasi sempre completa, può talvolta
coinvolgere la spina tibiale intercondiloidea. Il trattamento della lesione all’LCA è
solitamente un trattamento chirurgico dal momento che i risultati che si ottengono con
metodi non invasivi sono poco rilevanti sia a causa dello scarso potere autorigenerativo del
tessuto stesso che dell’ambiente intra-articolare caratterizzato dalla mancanza di supporto
ematico e da una serie di processi infiammatori successivi all’evento traumatico. Numerosi
trattamenti chirurgici sono stati quindi effettuati sia nell’animale che nell’uomo allo scopo di
ricostruire l’LCA con varie tecniche quali l’utilizzo di trapianto allogenico o autologo, i quali
presentano comunque rischi e benefici riguardo la resistenza, la fissazione, la
biocompatibilità e morbilità dovuta all’atto chirurgico. Finora uno dei metodi più utilizzati per
la ricostruzione è stato quello del trapianto con il tendine rotuleo (TR) o il semitendinoso e
gracile (ST), con una serie di vantaggi e svantaggi e scarse differenze riguardo i risultati
clinici a distanza. Molti studi hanno riportato come entrambi i tendini posti nell’ambiente
sinoviale e soggetti a forze fisiche siano progressivamente trasformati in una struttura simile
a quella dell’LCA, processo chiamato “legamentizzazione”. L’analisi istologica dei vari
tessuti utilizzati per il trapianto non ha mostrato delle grandi differenze, si tratta di tessuti di
tipo connettivo nei quali le cellule sono circondate da una matrice ricca di collagene e
povera in proteoglicani. L’ingegneria dei tessuti ha aperto nuove frontiere offrendo la
possibilità di trattare lesioni all’LCA mediante utilizzo di nuovi materiali sintetici da soli o in
combinazione con cellule. Una approfondita conoscenza biomolecolare delle strutture
utilizzate al momento attuale per il trapianto dell’LCA potrebbe rivelarsi molto utile nella
scelta della componente cellulare più idonea. Scopo dello studio è stato quello di valutare
mediante Real-Time PCR l’espressione di alcune proteine della matrice in cellule umane
ottenute dall’LCA, dal TR, dall’ST, e dall’LCA ricostruito con il TR (rLCA-TR) o l’ST (rLCAST). Un’analisi immunoistochimica ha permesso di evidenziare la presenza di alcune
componenti anche a livello proteico.
Come evidenziato sia il TR che l’ST esprimono gli stessi geni a livello molecolare con
l’unica eccezione del collagene di tipo X, che è rilevabile solo nell’ST e nell’LCA ricostruito
con quest’ultimo. In entrambi l’LCA-TR e l’LCA-ST si evidenzia una aumentata
espressione di catepsina B e metalloproteinasi, indice di un processo di rimodellamento
del tessuto. In generale comunque l’ST presenta una più elevata espressione genica di
tutte le molecole analizzate rispetto al TR, e questa condizione è evidenziabile anche
nell’LCA ricostruito con l’ST. Ulteriori studi sono ovviamente necessari per meglio
caratterizzare la componente cellulare dei due tendini al fine di poterne ipotizzare l’uso in
combinazione con strutture biocompatibili in grado di consentirne la vitalità e la
proliferazione. Fine ultimo è la possibilità di ricreare un tessuto dotato delle caratteristiche
bio-meccaniche tipiche del legamento originale.
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1 ADSORPTION-INDUCED CONFORMATIONAL CHANGES OF SERUM
ALBUMINS ONTO BIOMIMETIC HYDROXYAPATITE NANOCRYSTALS
2
Γ (m g/m )
Piera Sabatino*, Luigi Casella°, Elisabetta Foresti*, Michele Iafisco*, Enrico Monzani°,
Barbara Palazzo, Lia Rimondini^, Norberto Roveri*.
*Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Alma Mater Studiorum, via Selmi 2, I-40126
Bologna.
°Dipartimento di Chimica Generale, via Taramelli 12, Università di Pavia,I-27100 Pavia.
^Dipartimento di Scienze Mediche,via Solaroli 17,Università del Piemonte Orientale,I20068 Novara.
Aim of this study is to quantify conformational changes induced on serum albumins upon
adsorption and after desorption from biomimetic hydroxyapatite nanocrystals surface, in
order to define blood proteins role in mediation of biomaterial/bone tissue interactions.
Synthetic biomimetic hydroxyapatite nanocrystals emulate the properties of natural HA,
such as non-toxicity and lack of inflammatory and immunitary response[1,2].
FTIR spectroscopy, X-Ray diffraction, BET surface area, water contact angle, far UV and
near UV CD spectroscopy have been employed both to characterize morphology and
structure of apatitic substrates and to investigate structural changes in bovine and human
serum albumin induced by adsorption.
Experimental investigations have been carried out on two nanosized HA samples, a plateshaped (HAps) and needle-shaped (HAns) one (Fig.1) provided with different physicochemical properties. Both of them have been interacted with bovine (BSA) and human
(HSA) serum albumin, showing different affinity between the two morphologies and
towards BSA and HSA (Fig 2).
1,8
1,7
1,6
1,5
1,4
1,3
1,2
1,1
1,0
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
HSA
BSA
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
C BSA (mg/m l)
Fig 1 HAns nanocrystals
Fig 2 Adsorption isotherm on HAps
Fig 3 FTIR and Gaussian curve fitting
FTIR spectroscopy has been used to quantify conformational changes in both BSA and
HSA adsorbed onto the HA nanocrystals, showing, after spectra deconvolution, a different
protein unfolding according to the relative surface properties (Fig. 3).
CD spectroscopy has been applied to investigate structural changes in the protein
solutions eluted from the solid matrix, showing the lack of regaining native structure even
after desorption especially for low protein concentrations. Apparently, HSA exhibits a
greater aggregation ability in the eluted solutions with respect to BSA in vitro.
Our results show that between the biomaterial surface and the bone tissue a serum
albumin layer, irreversibly modified in vitro, must be taken into account when considering
osteoconducibility, osteoinductivity and osteocompatibility of bone substitute implants
because cells initially respond to the adsorbed protein layer rather than the surface itself.
[1] N. Roveri and B. Palazzo “Hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes” Nanotechnologies for the Lifesciences
Vol. 8 “Nanomaterials and Technologies for Tissue Engineering” Kumar (ed.) Wiley 2006
[2] B. Palazzo, M. Iafisco, M. Laforgia, N. Margiotta, G. Natile, C. L. Bianchi, D. Walsh, S. Mann, N. Roveri “Biomimetic
hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes with anti-tumour drugs delivery function” in press on Advanced
Functional Material
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2 COLTURA DI OSTEOBLASTI UMANI SAOS-2 SU SUPERFICIE DI
TITANIO SABBIATO E DEFORMATO PLASTICAMENTE
Lorenzo Fassina (1), Enrica Saino (2), Livia Visai (2), Maria Gabriella Cusella De Angelis
(3), Francesco Benazzo (4), Giovanni Magenes (1).
(1) Dip. Informatica e Sistemistica, (2) Dip. Biochimica, (3) Dip. Medicina Sperimentale, (4)
Dip. SMEC dell’Università di Pavia.
• Obiettivo:
Le superfici di titanio sabbiato sono state studiate al fine di migliorare l’osteointegrazione
in vivo degli impianti dentali e delle protesi ortopediche. Per ottenere una migliore
osteointegrazione, la superficie sabbiata è stata sottoposta a deformazione plastica
mediante punzonatura. Lo scopo di tale procedura è quello di creare sulla superficie del
biomateriale un microambiente atto a favorire la proliferazione cellulare e la sintesi di
matrice extracellulare ossea.
• Materiali e metodi:
Sono stati utilizzati dischi in lega di titanio Ti6Al4V con diametro 14 mm e altezza 4 mm.
La sabbiatura del titanio è stata ottenuta mediante polvere di Al2O3 (granulometria 16
mesh). La rugosità Rz del titanio sabbiato è pari a 26 μm. La successiva punzonatura ha
permesso di ottenere crateri tronco-conici equidistanziati con le seguenti dimensioni:
diametro maggiore pari a 500 μm, diametro minore pari a 300 μm e profondità pari a 170
μm.
Gli osteoblasti umani SAOS-2 di linea sono stati coltivati in terreno di McCoy 5A (con 15%
di siero fetale bovino, 2% di sodio piruvato, 1% di antibiotici, 10-8 M desametasone, 10
mM β-glicerofosfato), seminati sui dischi di titanio (4x105 cellule per ogni disco) e quindi
coltivati per 22 giorni a 37°C e 5% CO2.
Al termine della coltura sono stati valutati: la morfologia superficiale del materiale
mediante SEM, il contenuto di DNA, la quantità totale di matrice proteica sintetizzata
mediante estrazione con sample buffer specifico ed, infine, la distribuzione del collagene
di tipo I mediante immunofluorescenza.
• Risultati:
La modifica plastica della superficie del biomateriale ha provocato, rispetto alla sola
sabbiatura, un raddoppio della proliferazione (in media 1.5x106 vs. 3.1x106 cellule per
disco) ed un aumento ancora maggiore della sintesi di matrice proteica (in media 870 vs.
2464 μg/disco). Le osservazioni al SEM ed al microscopio ad immunofluorescenza hanno
dimostrato che la deformazione plastica provoca la formazione di estesi cluster di cellule e
matrice ossea, cluster che tendono a ricoprire la superficie disponibile. Al contrario, la sola
sabbiatura non è in grado di supportare una simile estensione della coltura.
• Conclusioni:
La punzonatura del titanio sabbiato crea un microambiente atto a favorire la proliferazione
cellulare e la sintesi di matrice extracellulare.
Partendo da cellule autologhe di un paziente, il titanio punzonato, coltivato in vitro e
ricoperto di cellule e matrice ossea, potrebbe essere successivamente utilizzato in vivo al
fine di ottenere una migliore osteointegrazione dell’impianto.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
DESIGN di MATRICI BIOCOMPATIBILI TRIDIMENSIONALI PER
APPLICAZIONI NEL CAMPO DELL’INGEGNERIA TISSUTALE
CARDIACA
E. Traversa, B. Mecheri, C. Mandoli, S. Soliman, A. Rinaldi, S. Licoccia, G. Forte*, F.
Pagliari*, P. Di Nardo*
Dip. di Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma
*Dip. di Medicina Interna, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma
Alcune patologie cardiache possono attualmente essere trattate solo mediante trapianto
cardiaco. Tuttavia, la disponibilità di organi donati è del tutto insufficiente rispetto alla
richiesta. Una possibile alternativa per riparare i danni provocati dall’infarto al miocardio è
costituita dalla medicina rigenerativa, mediante ricostruzione di tessuti. Per questo scopo,
la progettazione e realizzazione di materiali biocompatibili e bioriassorbibili come
sostegno per la crescita dei tessuti rivestono un ruolo di primaria importanza.
Nel’ingegneria tissutale è fondamentale anche la scelta delle cellule da far proliferare e il
loro interazione con i materiali di sostegno. L’uso delle cellule staminali è estremamente
promettente per questi scopi.
Lo scopo di questo lavoro consiste nella progettazione e fabbricazione controllata con
metodi a basso costo di scaffold polimerici tridimensionali che promuovano la
rigenerazione tissutale cardiaca mediante l’attecchimento, la crescita e la differenziazione
di cellule staminali.
Le matrici polimeriche selezionate per questo obiettivo sono essenzialmente poliesteri
biocompatibili, quali acido polilattico, acido poliglicolico, policaprolattone e loro miscele. Il
design e la costruzione di scaffold tridimensionali sono stati condotti mediante l’uso di
tecniche di fabbricazione che consentano la messa a punto di materiali con composizione
e morfologia controllate, nonché con proprietà meccaniche che ne permettano
l’integrazione e l’impianto nel corpo umano. In particolare, le metodologie di fabbricazione
utilizzate in questo lavoro comprendono tecniche di casting e di produzione di fibre
polimeriche con la tecnica di elettrospinning. Il controllo sul grado di porosità del sistema e
sulle sue proprietà meccaniche è stato ottenuto sia con la scelta di opportuni agenti
porogeni, diversificati in base alla loro composizione chimica e concentrazione, forma e
dimensioni, sia mediante l’induzione di separazioni di fase all’interno della matrice,
controllando i parametri chimico-fisici che governano il processo.
La caratterizzazione morfologica delle matrici polimeriche, condotta mediante microscopia
elettronica a scansione, ha evidenziato l’ottenimento di matrici a porosità controllata, in cui
la forma, le dimensioni e l’interconnettività dei pori sono regolabili in base ai parametri del
processo di fabbricazione. Tali parametri di processo consentono inoltre di regolare e
controllare anche le proprietà meccaniche delle matrici come è stato evidenziato dalla
caratterizzazione micromeccanica, effettuata mediante nanoindentazione.
La biocompatibilità e la bioattività delle matrici è stata valutata tramite l’impianto di cellule
staminali adulte (mesenchymal stem cell, MSC e resident cardiac stem cell, CSC).
L’adesione, la proliferazione e la differenziazione delle cellule è stata studiata mediante
test MTT, immunofluorescenza e analisi RT-PCR.
L’insieme dei risultati ottenuti ha mostrato che è possibile ottenere matrici biopolimeriche
aventi struttura e proprietà modulabili in base al processo di fabbricazione. Tali matrici
risultano essere citocompatibili e funzionano inoltre come templato per la crescita e la
proliferazione cellulare diretta alla riparazione di tessuti cardiaci.
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CONDOTTI RIASSORBIBILI IN ACIDO POLILATTICO CONTENENTI
FATTORI CHE PROMUOVONO LA RIGENERAZIONE OSSEA
Nicoli Aldini N.1, Sartori M. 1, Fini M. 1, Giavaresi G. 1, Veronesi F1., Torricelli P1., Tschon
M. 1, Tanzi M.C.2, Farè S. 2,Draghi L. 2 , Giardino R1.
1
Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna
2
Laboratorio di Biomateriali, Dipartimento di Bioingegneria, Politecnico di Milano
Obiettivo
Gli ampi difetti ossei diafisari rappresentano ancora un problema clinico in ortopedia e
traumatologia: la maggior parte delle metodiche attuali prevede il trasferimento di osso
autologo o allogenico, innesti ossei vascolarizzati e tecniche di distrazione osteogenetica.
Nessuno di questi procedimenti è tuttavia privo di inconvenienti e limitazioni. In
precedenti studi sperimentali è stato dimostrato che una camera tubulare riassorbibile di
acido poli-DL-lattico consente la neoformazione di tessuto osseo in difetti critici diafisari e
che le cellule staminali del midollo osseo (BMSC) e la matrice ossea demineralizzata
(DBM) separatamente aggiunte nel lume della camera aumentano la velocità di
deposizione dell’osso. Questo nuovo studio ha lo scopo di valutare se si verifichi un
effetto sinergico quando BMSC e DBM siano inserite insieme all’interno della camera.
Materiali e Metodi
Lo studio è stato condotto nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione animale.
La DBM è stata ottenuta da osso corticale di conigli New Zealand, mentre le BMSC
mediante centrifugazione isopicnica di midollo osseo autologo. Per lo studio sono stati
utilizzati 10 conigli New Zealand adulti dal peso di 3250±250g. Le procedure chirurgiche
sono state condotte in anestesia generale. A livello del radio è stato creato bilateralmente
un difetto osseo di 10 mm. Nel lato destro il difetto è stato riparato posizionando fra i due
monconi ossei la camera contenente DBM+BMSC; nel lato sinistro (controllo) è stata
posizionata nel difetto un’uguale quantità di DBM e BMSC senza la camera. Sono stati
eseguiti controlli radiologici immediatamente dopo l’intervento, ed a 30, 60, 90 e 120
giorni. Indagini istologiche ed istomorfometriche dopo l’ espianto hanno permesso una
valutazione quantitativa dell’osso rigenerato all’ interno del condotto, espresso come
percentuale rispetto allo spessore normale dell’osso corticale del radio.
Risultati
In assenza della camera lo studio istologico ha messo in evidenza in tutti i casi una
sinostosi fra radio e ulna e la penetrazione nel difetto di tessuto muscolare e connettivo.
A livello dei due monconi erano presenti modesti segni di ricrescita ossea, con uno
spessore medio del 46,7±10,7% della corticale normale, senza alcun ristabilimento della
continuità. In presenza della camera deposizione di osso neoformato era evidente a 2-3
mesi; a 4 mesi i due monconi erano riuniti da un sottile strato di osso corticale con uno
spessore medio pari al 58,7±3,74% della corticale normale. Confrontando questi risultati
con quelli di precedenti studi in cui DBM e BMSC erano aggiunte separatamente alla
camera, si è osservato come la differenza nello spessore della corticale fra i radii trattati
con DBM e BMSC in combinazione all’interno della camera, e i radii trattati con camera
contenente solo DBM o solo BMSC sia risultata altamente significativa (p<0,0005).
Conclusioni
In conclusione questi risultati sono a favore dell’ ipotesi che la camera agisca sia come
scaffold, sia per la sua impermeabilità, come contenitore di fattori osteogenetici. Poiché
tuttavia anche i fattori di crescita che derivano dai tessuti molli hanno un ruolo nei
processi di formazione dell’osso, lo studio di camere con caratteristiche di porosità tali
da consentire un interazione con l’ambiente esterno sarà oggetto di future ricerche..
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
FUNZIONALIZZAZIONE SUPERFICIALE DI BIOMATERIALI MEDIANTE
ANCORAGGIO DI FOSFATASI ALCALINA
Enrica Vernè*, Sara Ferraris*, Silvia Spriano*, Chiara Vitale Brovarone*, Claudia Letizia Bianchi**, Marco
Morra***, Clara Cassinelli***
* Dip. Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Torino, Italia
** Dip. Fisica, Chimica, Elettrochimica, Università di Milano, Milano, Italia
*** Nobil Bio Ricerche, Villafranca d‘Asti - Italia
Obiettivo:
Il successo di un intervento di chirurgia protesica è strettamente legato all’integrazione tra osso ed impianto
ed alla rapida guarigione di un tessuto osseo, in alcuni casi, seriamente compromesso. Una prospettiva
interessante, in questa direzione, è la realizzazione di superfici biomimetiche, che trasmettano segnali atti a
promuovere la rigenerazione tissutale. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è la funzionalizzazione di
differenti biomateriali, utilizzati in chirurgia protesica, attraverso l’ancoraggio di biomolecole coinvolte nei
processi di osteointegrazione. La fosfatasi alcalina (ALP) è stata utilizzata come proteina modello, in quanto
è legata ai processi di mineralizzazione dei tessuti duri. I dispositivi di interesse di questa ricerca sono
impianti ortopedici o dentali e piccoli sostitutivi ossei di sintesi. I materiali trattati risulteranno bioattivi sia da
un punto di vista fisico-chimico (osteoconduzione e precipitazione di apatite), che biochimico
(osteoinduzione).
Materiali e Metodi:
Sono stati studiati vetri bioattivi di diverse composizioni. Le superfici di questi materiali, opportunamente
trattate, espongono ossidrili, che possono essere sfruttati per la funzionalizzazione e l’ancoraggio di
biomolecole. Questa ricerca ha analizzato in un primo momento le metodologie per lo sviluppo di tali siti
attivi sulla superficie dei materiali. La superficie è stata prima di tutto lavata per eliminare ogni
contaminazione e promuovere l’esposizione degli ossidrili.. Quindi è stata valutata la possibilità di silanizzare
la superficie, al fine di promuovere e stabilizzare il legame tra biomolecola e substrato . L’ultima fase del
processo è stata l’ancoraggio della fosfatasi alcalina, realizzato tramite incubazione dei campioni in una
soluzione dell’enzima. Le superfici sono state quindi analizzate con XPS, per verificare l’avvenuto
ancoraggio della molecola e mediante UV-VIS, per valutarne l’attività (dopo l’aggiunta di un opportuno
substrato – 4-nitrofenilfosfato). I campioni sono stati studiati anche a seguito di differenti lavaggi, per
analizzare la stabilità del legame.
Risultati:
Gli spettri XPS evidenziano la presenza dell’enzima, attraverso un arricchimento in carbonio e azoto e una
diminuzione nei costituenti caratteristici del substrato . Lo studio in dettaglio della regione del carbonio
mostra picchi caratteristici per l’enzima. Le misure di assorbanza dopo la reazione con il 4-nitrofenilfosfato
indicano che la molecola è legata alla superficie in forma attiva. Questa attività viene ridotta, ma mantenuta
a seguito di differenti lavaggi.
Conclusioni:
La fosfatasi alcalina è stata legata alla superficie di vetri e vetroceramici bioattivi con e senza l’impiego di
un’ulteriore molecola di attivazione. Su tutti i campioni è stata osservata la presenza della molecola in forma
attiva. Sono in corso test di adesione e proliferazione cellulare.
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HISTOLOGICAL ANALYSIS ON DENTAL BIOPSIES AFTER
ENLARGEMENT OF ATROPHIC DENTAL RIDGES
A. Cacchioli,. B. Spaggiari, F. Ravanetti, P. Borghetti and C. Gabbi.
Department of Animal Health, Faculty of Veterinary Medicine, University of Parma.
AIM: The work aims at analyzing, by means of different histological techniques, dental biopsies
after atrophic dental ridges enlargement and titanium screws insertion, to evaluate the
osteointegration dynamics of different testing materials.
INTRODUCTION: Among the different alternatives to reconstruct atrophic dental ridges, the
use of grafting materials meets the clinical need to optimize the subsequent prostethic
treatment. Autologous bone, collected from the same individual, has good osteogenic and
osteoinductive properties (1), while among heterologous grafting materials, deriving from a
species different from recipient, inorganic bovine apatite presents osteoconductive properties
and provides a steady bone volume due to its low reabsorbability (2). Here the osteointegrative
response of autologous bone grafts from iliac crest, alone or associated to heterologous bone
grafts (natural bovine apatite) was analysed.
MATERIALS AND METHODS: The following specimens were harvested: 1 dental biopsy with
autologous graft from iliac crest, 12 months after grafting; 5 biopsies with autologous graft from
iliac crest mixed with granular heterologous graft (natural bovine apatite), 4 months after
grafting; 1 biopsy with threaded Ti screw inserted after an autologous bone grafting, 6 months
after screw insertion. After harvesting, undecalcified specimens were embedded in methyl
methacrylate (MMA) and cut with a diamond-edged blade in a rotating saw. Sections were
observed by polarizing light microscopy (PL), then they were stained by fast green-toluidine
blue-basic fuchsin and observed by light microscopy (LM). Specimens devoid of implants were
also decalcified, embedded in paraffin and cut to obtain 5 µm sections. The latter were stained
by hematoxylin/eosin (E/E) and processed by immunoperoxidase to detect the endothelial
marker CD31, and observed by LM. RESULTS: The different employed techniques showed
how an autologous graft alone provides an excellent osteointegrative response after a long
period (12 months). In particular, the presence of lamellar bone tissue organized in thick
trabeculae, containing osteonic and interstitial systems, was detected by PL and LM on
undecalcified sections. Biopsies containing autologous and heterologous grafts were
decalcified and embedded in paraffin or embedded in MMA. 4 months after grafting the mixture
appeared to induce a partial bone regeneration undergoing an active remodelling by
macrophagic cells, further to a marked highly vascularized fibrous proliferation, referred to as
granulation tissue. The latter aspects were detectable in E/E-stained and CD31-marked
sections. The undecalcified implant-containing specimen was analysed by PL and LM and
revealed the good osteointegration of a Ti screw after autologous grafting. 6 months after the
screw insertion, wide bone trabeculae appeared to adhere to the screw threads without fibrous
encapsulation.
CONCLUSIONS: The use of different histological techniques allowed to perform a complete
analysis of osteointegration mechanisms of several dental materials. Studying undecalcified
tissues enable to evaluate bone tissue morphology and collagen fibres orientation, without
interfering with tissue-implant interface. Also, analysing decalcified sections one can observe to
a higher detail the bone deposition and remodelling processes, eventual phlogistic phenomena
and related cell populations.
REFERENCES: (1) Urist et al. Science 220.4598 (1983):680-6. (2) Quiñones et al. Clin Oral
Implan Res 8.6 (1997):487-96.
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8 IDROGELI A BASE DI GUAR COME SCAFFOLD CELLULARI
a
G. Panariello, a,cR.Barbucci, aL.Campana, aE. Caputo, cG. Leone
b
A. Spreafico, bF. Chiellini, bR. Marcolongo.
a
b
BioSuMa s.r.l.
Dip. Medicina Clinica e Scienze Immunologiche “Sez. Rreumatologia”
Università degli studi di Siena.
c
C.R.I.S.M.A. - Università degli studi di Siena.
Obiettivo: La sintesi di idrogeli, ottenuti reticolando differenti polisaccaridi con differenti reticolanti, è
volta alla ricerca di nuovi materiali che presentino determinate proprietà meccaniche, tissotropiche e
biologiche, consentendo il loro utilizzo in settori quali l’ingegneria tissutale, per la creazione di
biomateriali tridimensionali impiantabili, l’industria farmaceutica, per la creazione di sistemi
transdermici per il rilascio controllato di farmaci.
Materiali e metodi: La gomma di Guar è un polisaccaride che si estrae dai semi della pianta
Cyamopsis Tetragonaloba. Appartiene alla famiglia dei Galattomannani ed ha un peso molecolare di
circa 2.500 KDa.
Gli agenti reticolanti utilizzati in questo studio sono il Poly ethylene glycol diglycidyl ether (PEGDGE)
ed l’ 1,2,7,8-diepoxyoctane (DEO).
La reticolazione viene effettuata in ambiente basico: i due gruppi alcolici, presenti sull’unità
monomerica del Guar, si comportano da nucleofili ed attaccano l’anello epossidico, presente in testa
ed in coda ad entrambi i reticolanti.
Sull’idrogel è possibile creare una microstruttura porosa, con una dimensione dei pori controllata.
Le analisi, per la caratterizzazione chimico-fisica, effettuate sul prodotto ottenuto sono:
-Spettro IR, nel quale si osserva l’aumento del picco relativo allo stretching del legame etere, che si
forma a seguito della reticolazione.
-Reologia, confermano la formazione del gel e la sua tissotropia.
-Prove di rigonfiamento.
-Viscosità.
-Porometro, valuta la percentuale della porosità e le dimensioni dei pori.
-SEM, per osservare la morfologia delle cellule seminate sull’idrogelo.
Risultati: Gli idrogeli sono risultati non essere citotossici, ne per contatto, ne per rilascio una volta
sottoposti ad un ciclo di pressione da 1 a 5 MPa ad andamento sinusoidale, della durata di 3 ore.
Sono state effettuate prove anche con i condrociti.
Dischi di idrogeli a base di Guar hanno superato prove dinamiche di resistenza: l’analisi reometrica
non ha riscontrato differenze nel gel prima e dopo la prova dinamica.
Conclusioni: La sintesi di idrogel, impiegando il Guar come polimero, ha permesso di ottenere dei
materiali che possono essere impiegati nel settore della rigenerazione tissutale, come scaffold per i
vari tipi di cellule.
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8 IDROGELI FOSFATATI PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO OSSEO
a
b
P. Torricelli, bS. Maramai, bG. Leone, bR. Barbucci, cA. Facchini.
Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi - Università degli studi di
Siena.
a
I.O.R. - Via di Barbiano 1/10, Bologna.
c
Lima-LTO s.p.a.
Obiettivo: ottenimento di polisaccaridi con spiccate proprietà osteoinduttive /osteoconduttive.
Materiali e Metodi: Materiali: Il sale sodico della CMC (grado di carbossimetilazione 0.95, PM =
20.000Da) fornito della Hercules Italia S.p.A (Italy). Gli altri reagenti sono stati acquistati dalla
Fulka Chemie AG (Svizzera). Metodi: fosfatazione dei polisaccaridi: Il polimero di partenza è
stato disciolto in acqua per farne una soluzione all’1% w/v e la soluzione è stata portata a pH=12
con NaOH 2M; in seguito è stato aggiunto il reattivo fosfatante sodiotrimetossi-fosfato (STMP) e
la reazione è stata lasciata sotto agitazione magnetica a temperatura ambiente per 2h. La
soluzione del polimero è stata infine dializzata in acqua distillata per 24-48h. In seguito, il
polimero fosfatato è stato anche ammidato. Tutti i polimeri in esame sono stati in seguito
sottoposti a reticolazione usando come agente reticolante l’1,3-diaminopropano.
Risultati e discussioni: Polisaccaridi: La procedura di fosfatazione ha permesso l’introduzione
di un gruppo fosfato per ogni unità ripetitiva, sia sulla CMC che sulla CMCA, come confermato
dall’analisi infrarossa, in seguito alla comparsa di tre bande nello spettro, una a 1280 cm-1 circa
(P=O stretching), una intorno a 1090 cm-1 e l’altra attorno a 980 cm-1 (relative ai gruppi P-O-R e
P-O-P).
Idrogeli: L’indagine morfologica tramite SEM ha evidenziato che i gel ottenuti dai polimeri
fosfatati presentano una superficie più compatta e frastagliata, da attribuire a cross-link
intercatena tra i gruppi fosfato. La presenza dei gruppi fosfato induce un significativo aumento
delle proprietà reologiche del materiale (i valori di │G’│(Pa) vanno da 8.500 a 11.000 nella
CMCP rispetto alla CMC (6.800-8.500) e in modo più spiccato nella CMCAP, da 8.200 a 9.800
rispetto alla CMCA (3.500-7.000). Questo fenomeno è accompagnato da una diminuzione del
water up-take. Inoltre, le prove reologiche, hanno evidenziato che i geli di CMCP e CMCAP
mostrano proprietà tissotropiche, ovvero mostrano una temporanea riduzione della viscosità se
sottoposti a sforzi di taglio. La valutazione della proliferazione cellulare (WST-1) e della
bioattività sui quattro idrogeli si è concentrata sull’analisi di ALP (fosfatasi alcalina), CICP
(Collagene di tipo 1) e OC (Osteocalcina) a 3 e 7 giorni. È stato evidenziato che la presenza di
gruppi fosfato stimola la proliferazione e la bioattività delle cellule (linea MG 63).
Conclusioni: Gli idrogeli a base di polimeri fosfatati risultano essere materiali idonei per la
rigenerazione del tessuto osseo e per la proliferazione delle cellule.
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8 WORK 2 IDROSSIAPATITE BIOMIMETICA NELTRATTAMENTO
CHIRURGICO DEI DIFETTI OSSEI CRANICI
D. Pressato1, E. Arcangeli1, A. Nataloni2, C. De Luca2, R. Stefini2, G. Staffa3, F. Servadei3.
1
Finceramica Faenza S.p.A., Faenza.
2
Spedali Riuniti di Brescia, Dipartimento di Neurochirurgia, Brescia.
3
Dipartimento di Neurotraumatologia Ospedale Bufalini, Cesena.
Obiettivo: La traumatologia e altre patologie a livello cranico come neoplasia e malattie
degenerative possono condurre ad una importante perdita di sostanza ossea. Le procedure
di ricostruzione ossea cranica prevedono l’impiego di biomateriali e tecniche chirurgiche
intramanuali. Tra i biomateriali più comunemente impiegati si segnalano la resina in PMMA,
cementi calcio-fosfatici, metalli e l’opercolo osseo autologo che se riutilizzabile
rappresenterebbe la soluzione ideale. Tuttavia, la bibliografia scientifica riporta una elevata
percentuale di insuccessi per tutti gli approcci chirurgici elencati. Obiettivo del presente
studio clinico retrospettivo è stato dimostrare l’efficacia a lungo termine di una procedura di
ricostruzione ossea denominata Custom-bone Service Cranial con impiego di innesto
osseo ceramico-biomimetico “su misura” nel ripristino di ampi e complessi difetti cranici in
seguito a craniectomia.
Materiali e Metodi: Dal 2004 al 2006 è stata effettuata una revisione sistematica su una
coorte di pazienti che da giugno ‘99 a maggio ‘04 erano stati trattati nel corso della pratica
neurochirurgica con il servizio Custom Bone Service Cranial in seguito a craniectomia per
le seguenti patologie: decompressione chirurgica in seguito a trauma o patologia vascolare
(n=24), frattura (n=12), infezione/rigetto di altri impianti protesici (n=6), neoplasia (n=5),
riassorbimento di osso autologo (n=4). L’end point primario dello studio era stabilire
l’incidenza di eventi avversi quali infezione, reazione infiammatoria inaspettata e frattura
dell’innesto. Gli end point secondari venivano conseguiti mediante valutazioni cliniche e
diagnostiche ed erano rappresentati da: risultato biologico, risultato meccanico, ed estetico,
giudizio globale sul grado di soddisfazione del paziente e del chirurgo rispetto alla
situazione pre-operatoria. Le valutazioni sono state effettuate sulla base a reports clinicodiagnostici a 3, 6 mesi, 1 e 2 anni dalla data di intervento di posizionamento dell’innesto.
Risultati: Nell’immediato postoperatorio e nel corso delle valutazioni successive, nessun
evento avverso correlabile all’utilizzo dell’innesto ceramico veniva segnalato a conferma
dell’elevata tollerabilità e biocompatibilità del dispositivo. Il 70% dei pazienti presentava una
fusione ossea (risultato biologico), più rapida rispetto agli standard, con un miglioramento
del risultato sia meccanico che estetico (range 90-100%) oltre a registrare un giudizio
positivo da parte del chirurgo con tempi intraoperatori significativamente inferiori rispetto
allo standard chirurgico.
Conclusioni:
Custom-bone Service Cranial, sostituto osseo craniale a base di
idrossiapatite porosa biomimetica, grazie a caratteristiche chimico-fisiche e biologiche
analoghe all’osso umano, è in grado di ripristinare la normale geometria anatomica e
funzionale in pazienti che presentano ampie e complesse lacune craniche con un
significativo aumento della qualità della vita. Uno studio clinico prospettico controllato è
attualmente in corso al fine stabilire delle linee guida sul trattamento di questa patologia
con Custom-bone Service Cranial.
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3 IDROSSIAPATITE NANOTECNOLOGICA: UN BIOMATERIALE CHE
FORSE RIESCE A CENTRARE TUTTI GLI OBBIETTIVI
Davide Zaffe, Giorgio Traversa*, Fabrizio Morelli*.
Dipartimento di Anatomia e Istologia, Univ. di Modena e Reggio Emilia
*Odontoiatra, Libero professionista.
L’idrossiapatite è il ceramico che, forse, meglio di tutti esprime alcune delle caratteristiche
richieste dagli operatori che agiscono nei vari campi in cui è attuata la rigenerazione
ossea di difetti scheletrici. In questa, l’idrossiapatite dimostra senza dubbio numerosi
aspetti positivi, legati al fatto che è un materiale di sintesi con elevate capacità
osteoconduttive/osteoinduttive (Zaffe, Micron 2006), evidenzia tuttavia alcuni problemi
legati alla sua massa: risulta infatti difficilmente maneggiabile, soprattutto in difetti di
piccole dimensioni o di difficile accesso. Il principale difetto dell’idrossiapatite è che, dopo
aver stimolato la crescita ossea, rimane in situ per anni essendo difficilmente rimovibile
per erosione osteoclastica e, quindi, rimpiazzabile da osso neoformato. Il composito ossoidrossiapatite non solo possiede caratteristiche meccaniche poco valide ma può creare
notevoli problemi all’operatore nella successiva fase di inserimento degli impianti.
Una nuova idrossiapatite sintetica, l’Ostim, prodotta in ambiente acquoso sotto forma di
cristalli aghiformi di lunghezza di qualche centinaio di nanometri, viene confezionata sotto
forma di pasta contenente circa il 35% di idrossiapatite. La pasta viene agevolmente
iniettata nei siti di maggiore difficoltà operativa come per esempio nel rialzo di seno
mascellare e ha solo due grandi problemi: la temperatura e la pressione. La pasta deve
essere conservata infatti tra 4 e 25°, per cui viene fornita con un marker termico, e non
deve subire compressioni, altrimenti si comporta come fosse una massa compatta e porta
a fallimento l’intervento.
L’Ostim è stato usato in questo studio preliminare in pazienti adulti nel rialzo del
pavimento del seno mascellare e nel riempimento di cavità post-estrattive. Dopo un
periodo, più lungo nel sinus lift, da 6 a 9 mesi il sito implantare veniva carotato per inserire
l’impianto e la carota opportunamente per l’analisi istomorfologica. I risultati su un totale di
15 carote evidenzia una estrema variabilità, verosimilmente legata alle condizioni di
risposta di ciascun paziente. In alcuni casi l’Ostim è quasi completamente scomparso già
dopo 7 mesi, in altri permane, ma sempre in quantità estremamente ridotta rispetto alla
iniziale. L’Ostim presente può formare masserelle circondate da connettivo, ma più
spesso risulta in contatto con osso neoformato. Frequentemente si riscontrano granuli che
vengono aggrediti da osteoclasti che provvedono alla loro rimozione,
contemporaneamente al rimodellamento osseo. L’Ostim mostra gradi di mineralizzazione
diversi in vari siti: ha un grado del tutto similare all’iniziale quando è completamente
avvolto da osso formato nelle fasi iniziali. Mostra gradi di mineralizzazione fortemente
ridotti, che occupano gran parte della masserella, quando è attaccato dagli osteoclasti.
Alcune masserelle, completamente circondate da connettivo, evidenziano gradi di
mineralizzazione piuttosto bassi, anche senza essere circondate da osteoclasti. Questi
due ultimi aspetti sembrerebbero indicare che l’Ostim venga mobilizzato non solo in
seguito ad azione diretta degli osteoclasti, ma sarebbe aggredibile anche dai composti
(HCl) liberati dagli osteoclasti stessi nei fluidi biologici. Questi aggredendo l’Ostim
porterebbero alla sua demolizione con corrispondente liberazione di Calcio e Fosforo che,
verosimilmente, esplicheranno la loro attività osteoinduttiva (Zaffe, Micron 2006).
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Immobilizzazione di sequenze oligonucleotidiche su titanio mediante
anodizzazione a basso voltaggio
Luigi De Nardo, Gabriele Candiani, Goffredo Saglimbeni, Giovanni Panico,
Alberto Cigada, Roberto Chiesa.
Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”, Politecnico di Milano.
Obiettivo. La funzionalizzazione con molecole organiche di materiali metallici utilizzati in
applicazioni biomedicali rappresenta uno dei settori di ricerca di maggiore interesse per la
possibilità di ottenere superfici con migliorate o innovative funzionalità. In particolare la
funzionalizzazione mediante sequenze oligonucleotidiche di DNA costituisce la base per
applicazioni nel rilascio di farmaci e il riconoscimento specifico di sequenze: le attuali
tecniche di immobilizzazione mostrano diversi svantaggi. L’obiettivo di questo studio è
stato volto ad indagare la possibilità di funzionalizzare superfici in titanio con specifiche
sequenze oligonucleotidiche (ON) mediante un semplice processo di ossidazione
anodica.
Materiali e Metodi. In questo studio sono stati utilizzati dischi in titanio C.P. (grado 2, ø =
15 mm, h = 0.5 mm). Alla superficie dei provini sono stati immobilizzati sequenze ON
(Anchor Strands, AS) fosforilati all’estremità 5’, mediante ossidazione anodica a basso
voltaggio in buffer acetato pH 4 (V= 10÷20V e J=2÷10 mA/cm2). La morfologia dei
trattamenti è stata valutata mediante microscopia ottica (Leica DMLM) e AFM (Park
Instruments, CP-2). L’avvenuta immobilizzazione è stata testata mediante ibridazione con
sequenze di ON Complementari (CS) e Non Complementari (NS), marcati in fluorescenza
mediante FITC (Primm s.r.l.) per diverse concentrazioni in soluzione 40-400 nM in TRIS
HCl. Il processo è stato ottimizzato nei parametri di cicli termici, concentrazione degli ON
e temperatura e analizzato mediante microscopia ottica in epifluorescenza (Olympus,
BX51WI) e quantificato mediante fluorimetria (Tecan, GENios Plus).
Risultati. L’immobilizzazione degli ON fosforilati alla superficie del Ti è un processo
basato sulla iniziale interazione fisica di adsorbimento alla superficie del metallo,
determinata dall’interazione elettrostatica controllata dal punto isoelettrico del Ti e dal pKa
dell’adsorbato ad un determinato pH. Il processo di anodizzazione determina la crescita di
un film di ossidazione il cui spessore è correlato al colore e nel quale è possibile inglobare
molecole e ioni. La microscopia ottica ha consentito di determinare la colorazione che è
correlata allo spessore del film di ossido, mentre mediante analisi AFM la morfologia dello
strato di ossido cresciuto risulta omogenea e uniforme. L’ottimizzazione del processo di
ibridazione nei parametri di tempo, concentrazione degli ON in soluzione e cicli termici, ha
consentito di ottenere una corretta procedura per la determinazione della distribuzione
alla superficie delle sequenze immobilizzate. Gli ON risultano stabilmente legati alla
superficie e la loro distribuzione appare omogenea alla microscopia in epifluorescenza.
Inoltre, una corretta procedura di ibridazione ha consentito di legare in modo selettivo le
sole sequenze complementari, come quantificato mediante analisi fluorimetrica.
Conclusioni. La possibilità di immobilizzazione specifiche sequenze di ON alla superficie
di Ti e sue leghe e il successivo processo di ibridazione selettiva con sequenze
complementari rappresenta la base per future ulteriori indagini nel campo del
riconoscimento di sequenze specifiche e del rilascio di farmaci.
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INFLUENCE OF ELECTROMAGNETIC FIELDS ON CHONDROCYTE
PROLIFERATION IN VITRO
Nicolin V.°, Narducci P.°, Martinelli B*.
°Dept. of Biomedicine, University of Trieste
*Dept. of Specialistic Surgery, University of Trieste
INTRODUCTION: The approach to surgical treatments of chondral lesions have evolved over
the last few years towards methods that promote formation of hyaline cartilage. The clinical
achievements resulting from implantation of autologous chondrocytes have led to develop
methods for simplifying and reducing the invasiveness of surgical techniques. The
introduction of three-dimensional supports allowing better cell distribution inside the implant
has been the most significant stage in the development of these methods: the transition from
a concept of cellular therapy to one of tissue bioengineering, i.e. the possibility to repair an
organic lesion with tissue produced in laboratory from autologous cells. The exposure of
chondrocytes to low-pulse electromagnetic (PEMF, Igea s.r.l Carpi, Mo ) lead to significative
increase of proliferation.
MATERIAL AND METHODS: Cartilage specimens were taken by arthroscopy from a nonweight-bearing area of the knee. Chondrocytes isolated, after 10 days of culture, were
seeded on the rough surface of a collagen membrane, called matrix-induced autologous
chondrocytes implantation (MACI) (1). This is a three-dimensional support derived from a
resorbable collagen membrane, in which differentiated cells of the chondrocyte line.(1) After
autologous implant, the residual membrane, was digested with collagenase I and isolated
cells were cultivated in DMEM supplemented with 10% Fetal Bovine Serum. Confluent cells
were exposed to pulsed electromagnetic fields (PEMF, Igea s.r.l Carpi, Mo) stimulation 4
hours/day for 10 days. Cell proliferation was assessed by FACS analysis and Br-dU
incorporation at day 3, 5, 7 and 10 of stimulation. Immunocytochemical, histochemical and
ultrastructural analysis were evaluated.
RESULTS: Immunocytochemistry of cultured cells, isolated from MACI, confirmed to
syntetize specific markers as type II collagen and glycosaminoglycans (2). The ultrastructural
analysis of undamaged cells and the evaluation of their functional integrity revealed that a
better stability was guaranteed by MACI, giving rise in the meantime to a favourable
environment for chondroblasts proliferation and differentiation (3). Moreover, proliferation
assays evidenced a positive effect on proliferation of condroblasts stimulated with PEMF
(Igea s.r.l Carpi, Mo), confirming that MACI technique presents multiple advantages: the
esclusive usage of fibrin glue without suturing in this surgical operation, allows the surgeon to
expose the chondral lesions through minimally invasive approaches, as well as to treat sites
where suturing is virtually impossible. Moreover physiotherapeutic treatment with PEMF
(Igea s.r.l Carpi, Mo) after surgery can be suggested as promising approach for faster healing
and cartilage reassembly.
REFERENCES.
1)Verigen Trasplantation Service International (Leverkusen, Germany);
2)Cherubino P. et al., J.Orthop.Surg.11 :10-5 (2003); ).
3)Narducci P., Baldini G., Grill V., Nicolin V., Bareggi R., Martinelli B., "Autologous
chondrocytes grown in vitro on a collagen scaffold for subsequent articular cartilage repair".
The Journal of Histotechnology, 2005, Vol. 28, pp. 57-61.
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8
INGEGNERIZZAZIONE
DI
GEL
MUCOADESIVI
E
TERMOSENSIBILI PER APPLICAZIONI AL RILASCIO DI FARMACI
PER VIA OCULARE
1
L. Mayol, 2A. Borzacchiello,1F. Quaglia, 1M.I. La Rotonda, 2L. Ambrosio.
1
Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Tossicologica, Università degli
studi di Napoli, Federico II.
2
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione, Università
degli studi di Napoli, Federico II.
L’efficacia di una terapia farmacologica locale è fortemente condizionata dal tempo di
residenza della forma farmaceutica al sito di somministrazione. L’applicazione per via
oculare, ad esempio, soffre di un rapido drenaggio della forma farmaceutica e del
principio attivo dovuta ai normali meccanismi di protezione dell’occhio, che determina una
limitata biodisponibilità del principio attivo e la necessità di somministrazioni ripetute nel
tempo.
L’utilizzo di un veicolo per il rilascio di farmaci a base di soluzioni polimeriche in grado di
gelificare in situ, ad una temperatura vicina a quella corporea, appare particolarmente
interessante perchè, presentandosi liquida a temperatura ambiente, può essere
facilmente somministrate come un normale collirio. Una volta in situ però è in grado di
gelificare offrendo una maggiore resistenza allo scorrimento e quindi una permanenza
prolungata del farmaco nel suo sito d’azione.
Un altro approccio utilizzato per aumentare il tempo di permanenza del farmaco nel suo
sito d’azione è quello di veicolarlo attraverso polimeri mucoadesivi in grado di formare
entanglement o legami non covalenti con le glicoproteine contenute nello strato mucoso
che ricopre il tessuto epiteliale.
In tale contesto, lo scopo di questo lavoro è stato quello di sviluppare piattaforme
polimeriche mucoadesive e termosensibili per la veicolazione di farmaci per via oculare
combinado i due approcci sopra descritti. I gel polimerici sono composti da una miscela di
polimeri termosensibili (polossamero 188 e 407) e da un polimero mucoadesivo (acido
ialuronico). Modulando opportunamente i pesi molecolari e le concentrazioni relative dei
polimeri utilizzati, tali sistemi sono stati ottimizzati in termini di temperatura di
gelificazione, proprietà viscoelastiche ed efficacia di bioadesione; tali proprietà sono state
valutate mediante analisi reologica in shear in oscillatorio ed in flusso. I sistemi polimerici
ottimizzati mostrano, nell’intervallo di frequenze analizzato (0.01Hz-10Hz), un
comportamento reologico da “gel” al di sopra di 35°C e da fluido viscoso a temperatura
ambiente. La temperatura di gelificazione è stata individuata come la temperatura alla
quale il modulo elastico ed il modulo viscoso dei gel si uguagliano. L’efficacia di
bioadesione è stata misurata valutando il sinergismo reologico che si verifica quando i gel
sono miscelati con dispersioni di mucina (15% p/p). Tale sinergismo aumenta con
l’aumentare della concentrazione di acido ialuronico a basso peso molecolare (150KDa),
con la temperature e con il pH. Le formulazioni ottimizzate sono state caricate con
acyclovir (3% p/p) e valutate per caratteristiche di rilascio del farmaco in fluido lacrimale
simulato. I gel polimerici sviluppati sono in grado di controllare e prolungare il rilascio del
farmaco per circa cinque ore.
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3 INTERAZIONE FRA CELLULE E NANOPARTICELLE DI TIO2 LEGATE A
SUPERFICI A BASE DI ACIDO IALURONICO
A. Atrei, R. Barbucci, A. Carbone, M. Forbicioni, S. Lamponi, D. Pasqui.
Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi – Università degli studi di Siena
C.R.I.S.M.A. – Università degli studi di Siena.
Obiettivo: E’ noto da letteratura che le nanoparticelle in sospensione hanno effetti citotossici
causando fenomeni di apoptosi cellulare (Q.Rahman et al. 2002). Allo scopo di studiare l’interazione
tra cellule e nanoparticelle è necessario “inglobare” queste ultime su superfici di matrici solide. Lo
scopo di questo lavoro è stato di inglobare nanoparticelle di TiO2 su superfici di vetro e superfici di
acido ialuronico (Hyal) e di studiare su queste il comportamento di diverse linee cellulari.
Materiali e metodi: Sono stati realizzati due diversi tipi di materiali:
1. Nanoparticelle di TiO2 su vetro per inglobamento termico (550 C°, 30 min.) (CERICOL,
Colorobbia).
2. Nanoparticelle di TiO2 su un film di Hyal fotoimmobilizzato su vetro. Una sospensione
acquosa di nanoparticelle è stata depositata sulle superfici di Hyal a due diverse
concentrazioni (1,8% p/p e 0.9% p/p) e lasciata per 24h. Per rimuovere le nanoparticelle non
legate le superfici sono state lavate con abbondante acqua distillata.
Allo scopo di valutare la composizione chimica di superficie dei campioni sono state eseguite analisi
SEM-EDAX e XPS. L’analisi AFM ha permesso di valutare la distribuzione e le dimensioni delle
nanoparticelle.
Per valutare l’eventuale rilascio di nanoparticelle nel terreno di coltura i campioni sono stati immersi
nel terreno di coltura ed è stata valutata la presenza delle nanoparticelle attraverso letture
spettrofotometriche effettuate a tempi diversi fino a 7 giorni..
Per analizzare il comportamento cellulare sono state seminate circa 30000 cellule (di ogni linea
cellulare utilizzata) per campione. Le superfici sono state monitorate a 24, 48 e 72h utilizzando un
microscopio ottico dotato di fotocamera digitale. Al termine delle 72h è stata valutata la morfologia
cellulare tramite analisi SEM-EDAX.
Risultati:
1. Nanoparticelle di TiO2 su vetro:
L’analisi XPS ha dimostrato che le condizioni scelte per il trattamento termico si sono dimostrate
efficaci per l’inglobamento delle nanoparticelle sulla superficie. Circa il 30% della superficie risulta
ricoperta da TiO2 anche dopo l’immersione della superficie in PBS a 37°C per 7 giorni. L’analisi
AFM sugli stessi campioni ha evidenziato la presenza di nanoparticelle distribuite in modo
omogeneo sulla superficie con un diametro medio di circa 150nm.
2. Nanoparticelle di TiO2 su Hyal:
L’ analisi XPS ha evidenziato la presenza di TiO2 sulla superficie di Hyal con una percentuale
di superficie ricoperta intorno al 10%. L’analisi EDAX ha confermato la presenza di TiO2 con la
stessa percentuale. Le immagini AFM dimostrano la presenza di nanoparticelle sia singole che in
forma di aggregati con un diametro medio di 120nm. La lettura spettrofotometrica degli eluati di
terreno non ha evidenziato la presenza di nanoparticelle rilasciate nella soluzione anche dopo 7
giorni di contatto con il PBS.
L’analisi al microscopio ottico e al SEM ha evidenziato una distribuzione non omogenea delle
cellule sul campione dovuta presumibilmente a una diversa composizione chimica del substrato.
Anche dal punto di vista morfologico le cellule non mostrano una morfologia uniforme. In seguito
verranno eseguiti esperimenti per valutare l’adesione focale delle su dette cellule sui campioni.
Conclusioni: La soluzione di nanoparticelle in sospensione è stata inglobata con successo sui due
diversi tipi di materiale (Hyal e vetro). Questo ha permesso di studiare l’interazione fra nanoparticelle e
cellule che altrimenti non sarebbe stata possibile data la tossicità delle nanoparticelle in sospensione.
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1 LA NATURA DEL SUBSTRATO DI COLTURA CONDIZIONA
L’ESPRESSIONE DI FATTORI INFIAMMATORI IN OSTEOBLASTI E
OSTEOCLASTI UMANI
Francesco Grassi*, Anna Piacentini*, Cristina Manferdini*, Katia Codeluppi*, Andrea
Facchini*°, Gina Lisignoli*.
*Istituti Ortopedici Rizzoli, Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna.
°Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia. Bologna.
Il tessuto osseo è costituito da una matrice minerale composta prevalentemente di
idrossiapatite e da una componente organica a base di collagene tipo I. Osteoblasti e
osteoclasti, i fondamentali regolatori del rimodellamento osseo, differenziano, proliferano
e svolgono la propria funzione biologica alloggiati all’interno della matrice stessa in diretto
contatto con le cellule del sistema immunitario. Tuttavia, la massima parte degli studi in
vitro su questi tipi cellulari utilizzano metodi di coltura su plastica come esemplificazione di
substrato di crescita.
Scopo dello studio è stato quello di verificare se un substrato di crescita tridimensionale
composto da idrossiapatite influenza fenotipo e proprietà biologiche di osteoblasti e
osteoclasti umani. I recettori delle chemochine CXCR4 and CXCR5 e i loro ligandi
CXCL12 and CXCL13, noti per essere coinvolti in patologie infiammatorie dell’osso, sono
stati analizzati in osteoclasti e osteoblasti umani a livello di espressione e proteico
comparando la loro espressione su substrato mineralizzato e con la plastica. Dati ottenuti
in real-time PCR hanno evidenziato che CXCR4 e CXCR5 sono espressi in condizioni
basali ma decrescono con il differenziamento degli osteoclasti. Tuttavia, le chemochine
pro-infiammatorie CXCL10 e CXCL12 vengono aumentate nel corso del differenziamento
solamente quando gli osteoclasti vengono cresciuti sulla matrice inorganica
tridimensionale. Negli osteoblasti abbiamo trovato invece che quando le cellule sono
cresciute sul substrato mineralizzato l’espressione del CXCR4 viene aumentata mentre
l’espressione del suo ligando CXCL12 viene diminuita. Inoltre l’espressione del CXCR5
sugli osteoblasti cresciuti su substrato mineralizzato diminuisce mentre quella del
rispettivo ligando CXCL13 non viene modulata. Analisi immunoenzimatiche nel surnatante
di cultura hanno confermato tali risultati. Inoltre marcature immunoistochimiche su sezioni
di tessuto osseo di pazienti hanno inoltre evidenziato che i livelli di espressione di questi
fattori da parte di osteoclasti e osteoblasti sono espresse in modo simile a quanto
osservato nel sistema di coltura su matrice in vitro. Questi dati pertanto suggeriscono che
la coltura su matrice mineralizzata ricapitola in modo più accurato rispetto alla plastica il
fenotipo e l’espressione di molecole funzionali da parte di osteoclasti e osteoblasti. Inoltre
tali dati sottolineano l’importanza di valutare queste cellule del tessuto osseo nelle
condizioni che più si avvicinano alla loro condizioni in vivo anche al fine di comprendere
meglio le reali interazioni che queste cellule possono stabilire con quelle del sistema
immunitario.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
9 LA STIMOLAZIONE BIOFISICA NELLA COLTURA DI OSTEOBLASTI
UMANI SU BIOMATERIALI: EFFETTI DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI
PULSATI E DEGLI ULTRASUONI A BASSA POTENZA
Lorenzo Fassina (1, 5), Livia Visai (2, 5), Maria Gabriella Cusella De Angelis (3, 5), Francesco
Benazzo (4, 5), Giovanni Magenes (1, 5).
(1) Dip. Informatica e Sistemistica, (2) Dip. Biochimica, (3) Dip. Medicina Sperimentale, (4) Dip.
SMEC dell’Università di Pavia, (5) Centro di Ingegneria Tissutale (C.I.T.) dell’Università di
Pavia.
L’applicazione di campi elettromagnetici pulsati e di ultrasuoni a bassa potenza si è dimostrata
efficace nella clinica ortopedica allorché sia evidente un’insufficiente risposta osteogenetica
(per esempio in specifici casi di ritardo di consolidazione e pseudoartrosi, frattura recente,
osteotomia, revisione di protesi d'anca, necrosi avascolare della testa femorale, impianto
protesico doloroso…).
Dimostrata l’efficacia in vivo della stimolazione biofisica (IGEA srl, Carpi), gli stessi campi
elettromagnetici e gli stessi ultrasuoni possono essere utilizzati in vitro nell’ambito
dell’Ingegneria dei Tessuti, in particolare del tessuto osseo.
Nel Centro di Ingegneria Tissutale (C.I.T.) dell’Università di Pavia sono stati condotti
esperimenti che hanno visto l’impiego di onde elettromagnetiche ed ultrasuoni durante la
coltura di osteoblasti umani su biomateriali di interesse ortopedico (poliuretano biocompatibile,
titanio fiber-mesh, superficie di titanio sabbiata, superficie di titanio deformata plasticamente,
superficie di titanio plasma-spray, rete di titanio sinterizzato).
L’analisi dei risultati ha dimostrato che la stimolazione biofisica è in grado di raddoppiare la
proliferazione degli osteoblasti seminati sui biomateriali e di aumentare notevolmente la sintesi
di matrice extracellulare calcificata.
L’analisi al microscopio elettronico a scansione ha mostrato che le cellule stimolate tendono a
riempire i pori dei biomateriali nonché a ricoprire la superficie disponibile. L’analisi per
immunofluorescenza delle proteine della matrice (collagene di tipo I, collagene di tipo III,
decorina, osteocalcina, osteopontina, osteonectina…) ed il loro dosaggio tramite ELISA ha
evidenziato l’accresciuta sintesi di matrice ossea. Altro effetto della stimolazione biofisica è
l’accresciuta secrezione da parte degli osteoblasti del fattore di crescita TGF-beta.
I biomateriali coltivati in vitro mediante stimolazione biofisica potrebbero essere impiantati in
vivo per la cura di patologie ossee. In un primo caso come costrutti in cui la componente
cellulare autologa venga mantenuta viva. In un secondo caso, dopo sterilizzazione con ossido
di etilene e conseguente soppressione della componente cellulare, come costrutti ricchi di
matrice extracellulare autologa osteoinduttiva ed osteoconduttiva.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
L’interazione cellula materiale influenza le cinetiche di consumo
di ossigeno in colture cellulari 3D
A.Guaccio, C. Borselli, O.Oliviero, P.A.Netti.
Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Biomateriali (CRIB) , “Federico II”, Napoli.
La completa rigenerazione di tessuti in vitro richiede il controllo delle caratteristiche
microambientali del sistema cellula-materiale. Il grado di complessità del sistema è
determinato dalla molteplicità di fattori in gioco: da un lato il materiale, le cui
caratteristiche devono garantire il trasporto di ossigeno e nutrienti alle cellule, e la
possibilità da parte delle cellule stesse di muoversi e proliferare occupando nuovi spazi in
tutto il volume a disposizione; dall’altro, le cellule, che esplicano le proprie attività
metaboliche, consumando ossigeno e nutrienti per produrre nuova matrice extracellulare.
In quest’ambito un ruolo fondamentale nel promuovere l’attività di biosintesi da parte delle
cellule ha l’ossigeno. Obbiettivo di questo lavoro è determinare quale sia l’influenza della
natura del materiale nei processi cellulari di consumo di ossigeno. A questo scopo sono
state effettuate misure di ossigeno in colture cellulari tridimensionali di condrociti bovini
(densità cellulare 400,000 cell/mL e 4,000,000 cell /mL) a livello della singola cellula
sfruttando le caratteristiche della “phosphorescence quenching microscopy”. La PQM è
una tecnica ottica non invasiva caratterizzata da un’elevata risoluzione spaziale e
temporale il che garantisce misure di ossigeno locali e la possibilità di seguire
cambiamenti anche rapidi nel tempo della concentrazione di ossigeno. Le cellule sono
state seminate in gel di collagene ed agarosio. I risultati hanno mostrato che la natura del
materiale influenza fortemente le cinetiche di consumo di ossigeno, con velocità maggiori
in agarosio rispetto al collagene per entrambe le densità cellulari. Questo comportamento
potrebbe essere attribuito ad un effetto di riconoscimento cellula materiale. Per
raccogliere ulteriori informazioni in questa direzione le misure di ossigeno sono state
ripetute su colture di agarosio a diverse concentrazioni di RGD solubili Come atteso le
misure hanno rivelato che all’aumentare della concentrazione di RGD le velocità di
consumo di ossigeno diminuiscono drasticamente. La riduzione di attività metabolica
potrebbe essere legata ad una riduzione di attività biosintetica in risposta al
riconoscimento del materiale da parte delle cellule. Ulteriori test sono necessari per
chiarire.
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1 L’INIBIZIONE DEL NUCLEAR FACTOR KAPPA B INCREMENTA LA
MORTE CELLULARE INDOTTA DAL NICHEL.
Vincenzo D’Antò1,2, Gianrico Spagnuolo1, Sandro Rengo1, Roberto Uomo1, Rosa Valletta1,
Luigi Ambrosio2 e Roberto Martina1.
1
Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillofacciali - Università degli Studi
di Napoli “Federico II”; 2 Istituto per i materiali compositi e biomedici - CNR Napoli.
OBIETTIVO. Le leghe metalliche contenenti nichel sono largamente utilizzate in
numerose applicazioni biomediche, per le eccellenti proprietà meccaniche e il costo
relativamente basso. D’altra parte la corrosione a cui sono sottoposte determina il rilascio
di ioni metallici, con rischio di compromissione della biocompatibilità.
Scopo della nostra ricerca era studiare i meccanismi molecolari implicati nella citotossicità
del nichel, e in particolare il ruolo del Nuclear Factor kappa-B (NF-κB), fattore di
trascrizione che gioca un ruolo fondamentale nella regolazione delle risposte che
determinano la morte e la sopravvivenza cellulare.
MATERIALI E METODI. I cheratinociti umani (HaCat), i fibroblasti gengivali umani primari
(HGF) e i fibroblasti gengivali di topo (MEF) wild-type e p65-/- erano coltivati in
Dulbecco’s minimal essential medium (DMEM) con l’aggiunta del 10% di fetal calf serum
(FCS), 2mM glutammina, 100U/ml di penicillina, 100 mg/ml di streptomicina in atmosfera
umidificata contenente 5% di CO2 a 37°C. Le cellule venivano esposte per 24 ore a
concentrazioni crescenti di NiCl2 in assenza o presenza dell’inibitore di NF-kB
pyrrolidinedithiocarbamate (PDTC) e la vitalità cellulare era valutata attraverso il saggio
dell’attività delle deidrogenasi mitocondriali (MTT assay), e attraverso la citometria a
flusso utilizzando lo ioduro di propidio (PI) come marcatore delle cellule morte. Per
valutare l’attivazione del pathway di NF-κB le cellule venivano stimolate con NiCl2 per 30,
60 e 120 min e i livelli di IκBα erano valutati tramite Western Blotting. L’analisi statistica
era realizzata utilizzando il Mann-Whitney U-test (p<0,05).
RISULTATI. In tutte le linee cellulari testate, il cloruro di nichel induceva una morte
cellulare dose-dipendente. In particolare, la vitalità delle cellule HaCat iniziava a ridursi
alla concentrazione di 0,1 mM, mentre le HGF risultavano più resistenti alla tossicità del
NiCl2. L’esposizione delle HaCat al PDTC incrementava in maniera statisticamente
significativa il numero delle cellule morte; le cellule MEF prelevate da topi p65-/- erano più
suscettibili alla morte cellulare indotta da nichel rispetto al controllo wild-type. I livelli della
subunità inibitoria di NF-κB, IκBα, si riducevano in seguito all’esposizione al nichel,
indicando un’attivazione del pathway.
CONCLUSIONI. I nostri risultati indicano che l’esposizione al nichel causa morte cellulare
e che il fattore di trascrizione NF-κB viene attivato in risposta al danno, giocando un ruolo
fondamentale quale meccanismo di sopravvivenza.
La comprensione dei meccanismi alla base della tossicità del nichel, quali il ruolo
protettivo di NF-κB, può portare a nuove strategie di trattamento utilizzando molecole
specifiche che prevengano il danno cellulare.
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6 Modellazione di una mandibola umana tramite la tecnica del reverse
engineering
R. De Santis1, S. Maietta2 A.Gloria1, L. Ambrosio1, L. Nicolais2.
1
2
Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici, CNR .
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione, Università di Napoli
“Federico II”.
Introduzione
La tecnica del reverse engineering risulta un approccio molto utilizzato per ottenere
modelli tridimensionali di strutture anatomiche.
Scopo del presente lavoro è stato valutare il comportamento meccanico in vitro di una
mandibola umana sottoposta ad un carico condilare attraverso il Metodo degli Elementi
Finiti (FEM), confrontando il tutto con i risultati ottenuti tramite prove sperimentali.
Materiali e Metodi
Un modello tridimensionale di mandibola umana è stato ottenuto a utilizzando un 3D
Cyberware Mini Scanner, in grado di fornire direttamente un modello CAD digitale, ed un
software opportunamente dedicato, come Hypermesh, che ha reso possibile la
discretizzazione del modello ottenuto.
Per simulare l’osso compatto e trabecolare della mandibola, sono stati utilizzati degli
elementi solidi, come solid 45 della libreria di Ansys. Per quanto riguarda il modulo
elastico ed il coefficiente di Poisson dell’osso corticale e trabecolare, si è fatto riferimento
a valori riportati in letteratura.
La simulazione ha previsto l’applicazione di un carico condilare fino a 20 N.
Infine, prove meccaniche sono state condotte con un macchina dinamometrica INSTRON
4204 sulla mandibola umana per valutare l’avvicinamento dei condili e la deformazione
nella protuberanza mentale, utilizzando in tal caso un estensometro.
Risultati
I risultati numerici ottenuti suggeriscono che lo sforzo risulta particolarmente concentrato
nella sinfisi della mandibola non appena il sistema è carico attraverso i condili.
I risultati sperimentali ottenuti risultano, inoltre, coerenti con quelli dell’analisi numerica.
Conclusioni
Il modello realizzato risulta in grado di descrivere adeguatamente il comportamento
meccanico della mandibola umana.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
8 Modifica superficiale di impianti in titanio con frazioni pectiniche
ottenute mediante trattamento enzimatico ed effetto sul
comportamento cellulare
Giovanna Cascardo, Clara Cassinelli, Marco Morra.
Nobil Bio Ricerche, Str. S. Rocco 36, 14018, Villafranca d’Asti.
Obiettivo:
L’impiego di polisaccaridi bioattivi da piante e’ un tema di crescente interesse. In
particolare, la classe di polisaccaridi della parete cellulare noti come pectine e le loro
frazioni ottenute mediante trattamento enzimatico sono oggetto di studio ed hanno
dimostrato effetti antiinfiammatori ed interazioni specifiche con diverse linee cellulari. In
questo lavoro vengono impiegate due frazioni pectiniche (MHR, Modified Hairy Regions)
ottenute da mele per trattamento enzimatico nella modifica superficiale di viti in titanio da
impianto in osso: una frazione, definita MHR B, ha dimostrato in vitro il potenziamento
della differenziazione di cellule osteoblastiche; l’altra frazione, definita MHR alfa, presenta
caratteristiche di resistenza all’adesione biologica e puo’ essere utilizzata in porzioni degli
impianti (ad es. frazione terminale del colletto transmucoso) dove e’ importante ridurre o
controllare l’adesione batterica. Lo scopo del lavoro e’ la caratterizzazione della
composizione chimica superficiale di viti da impianto in titanio modificate con MHR e lo
studio del comportamento cellulare in termini di adesione e differenziazione osteoblastica.
Materiali e metodi:
I polisaccaridi sono stati ottenuti da polpa di mele Golden Delicious mediante trattamento
con preparati enzimatici. Dopo purificazione le frazioni sono state caratterizzate mediante
High Performance Size Exclusion Cromatopgraphy (HPSEC). La modfica superficiale di
dischi e viti da impianto in titanio e’ stata condotta mediante amminazione da glow
discharge plasma seguita da reazione di condensazione da soluzione acquosa delle
frazioni di polisaccaride. La caratterizzazione superficiale e’ stata eseguita mediante
analisi SEM e X-ray Photoelectron spectroscopy (XPS). L’adesione, crescita e attivita’
specifica di Fosfatasi Alcalina di cellule osteoblast-like SaOS2 e’ stata valutata mediante
test su dischi.
Risultati:
L’analisi XPS rivela che il processo introduce un monostrato polisaccaridico sulla
superficie di titanio. Il comportamento di cellule di tipo osteoblastico e’ notevolemente
influenzato dalla natura della specifica frazione MHR. MHR B consente l’adesione e
crescita ed incrementa la produzione ALP specifica al di sopra di quanto osservato su Ti.
MHR alfa si rivela sostanzialmente non adesivo, in accordo con l’analisi strutturale che
indica la presenza di lunghe catene laterali idrofile a base di arabinosio. Il comportamento
di cellule osteoblastiche su viti da impianto irruvidite secondo i processi commercialmente
piu’ sfruttati e ulteriormente modificate con MHR indica la sovrapposizione dell’effetto
chimico del polisaccaride a quello morfologico della rugosita’. In particolare, e’ stata
studiata la modifica contemporanea della porzione a contatto con osso mediante MHR B
e della porzione transmucosa con MHR alfa. Il risultato indica che e’ possibile produrre un
impianto con proprieta’ modulate, in grado di stimolare la differenziazione cellulare con
l’effetto combinato di topografia e chimica e ridurre l’adesione non specifica in aree
selezionate.
Conclusioni:
Questi risultati confermano la possibilita’ di modulare il comportamento cellulare sulla
superficie di dispositivi da impianto mediante l’immobilizzazione di frazioni pectiniche e
indicano le potenzialita’ di questa nuova classe di biomateriali.
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BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
3 NATURE AND STRUCTURE OF THE HYDRATED LAYER AT THE
SURFACE OF NANOSIZED HYDROXYAPATITE.
M. Corno1, P. Ugliengo1,, L. Bertinetti1, G. Martra1, C. Busco1 and V. Bolis1.
1
Dip. di Chimica IFM, Università di Torino, via P. Giuria 7, 10125 Torino. Italy.
Dip. DiSCAFF, Università del Piemonte Orientale, via G. Bovio 6, 28100 Novara. Italy.
2
Bioactive glasses, when implanted in the body or simply immersed in simulated body
fluids (SBF), develop a biologically active hydroxyapatite (HA) layer which in turn does
promote the bone-tissue formation. In fact hydroxyapatite, which exhibits strong
similarities to the mineral phase of the mammalian bones and teeth, does play a key role
during the bioactive glasses integration processes, in that it facilitates adhesion and
subsequent proliferation of the osteocytes, so allowing the damaged bone tissues to be
repaired. The first step of these processes is the adsorption of biomolecules at the active
surface of HA. Therefore, studies aimed at quantitatively describing the structural and
chemical properties of the HA surface are of greatest interest, in the attempt to elucidate
at nano-level the interfacial processes involved in the biological fixation of inorganic
materials to the living tissues. In the present study, ab initio methods and experimental
techniques have been used to characterize the adsorption features of HA surfaces
towards H2O, not only because water is ubiquitous in the biological environment but also
because the nature and structure of surface hydrated layer does play a key role in the
adsorption of biomolecules.
Periodic ab initio B3LYP calculations using CRYSTAL06 code have run to characterize
the (001) and (010) bare surfaces for both hexagonal and monoclinic HA phases. On the
geometrically relaxed surfaces the adsorption of H2O has been simulated, from low to high
coverage. Energies of adsorption and vibrational features of H2O adsorbed at the (001)
surface have been calculated. In parallel, the RT-adsorption of H2O vapour on a
nanosized HA specimen, previously dehydrated in vacuo (p ≤ 10-5 Torr) following a
controlled protocol, has been investigated by means of microcalorimetry and IR
spectroscopy.
The whole set of calculated and experimentally obtained results allowed to assess and
quantitatively describe the dehydration-rehydration mechanism at the apatite surface,
which was found to possess strongly hydrophilic properties. Indeed, on one hand the
energy of the Ca-species/water interaction is quite high (≥ 100 kJ/mol, as indicated by
both calculated and calorimetrically measured data) and on the other hand the adsorbed
phase was only partially removed upon RT-evacuation. However, opposite to what initially
thought, water does not react with the apatite surface giving rise (through a dissociative
mechanism) to new hydrophilic and reactive Ca-OH sites, but is molecularly coordinated
at the Ca-sites (at least the ones exposed at the 001 surface), as clearly indicated by
computed and IR spectroscopic results. Indeed, the coordinatively unsaturated (cus) Ca2+
cations exposed at the surface are characterized by rather strong local electric fields (the
effect of which does polarize the molecules over at least two shells of coordinated H2O),
but their hydrophilicity is not sufficient to dissociate water molecules. This property has
likely an implication in the adsorption processes at the hydrated layer interface and on the
affinity of such materials towards proteins. Indeed, if reactive Ca-OH groups were present
at the surface, denaturation of proteins would occur hampering cells adhesion.
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8 NON-WOVEN ELECTROSPUN POLYESTER FIBER MATS
Maria Letizia Focarete,1 Mariastella Scandola,1 Piotr Wilczek,2 Richard A. Gross3.
1
Dip. di Chimica ‘G.Ciamician’, Università di Bologna Via Selmi 2, 40126 Bologna.
2
Biotechnology Laboratory, Heart Prosthesis Institute, Zabrze, Poland.
3
NSF I/UCRC for Biocatalysis and Bioprocessing of Macromolecules, Polytechnic
University, Brooklyn, N.Y., USA.
Objective.
Electrospinning technology1,2 enables production of continuous nanofibers
from polymer solutions or melts using high electric fields. The fibers may be randomly
deposited on a substrate in the form of non-woven mats characterized by high porosity and
large exposed surface area. In the biomaterials field there is a growing demand of scaffolds
for tissue engineering, especially of scaffolds functionalized with appropriate biomolecules
to stimulate desired cellular responses.
The aim of this work is to develop bioresorbable nanofiber mats for tissue engineering by
electrospinning solutions of a polyester obtained by biocatalysis.
Materials and methods.
The home-built electrospinning apparatus consisted of an
high voltage power supply (Spellman, SL 50 P 10/ CE/ 230), a syringe pump (KDScientific
200 series) a needle connected to the power supply and a grounded metal collector plate.
The polymer was poly-omega-pendadecalactone (PPDL) synthesized by ring opening
polymerization of pentadecalactone using Candida Anctartica lipase B (Novozyme-435)
(Mn=59k, PDI=2.8).3 Solvents for electrospinning: Chloroform (CHCl3); dichloromethane
(CH2Cl2), hexafluoroisopropanol (HFIP).
Differential Scanning Calorimetry was performed with a DSC Q100 (TA Instruments)
equipped with the LNCS cooling accessory. Scanning electron microscopic analysis was
carried out with a Philips 515 SEM.
Results.
It is known1,2 that in an electrospinning experiment a variety of parameters,
pertaining to both the polymer solution and the processing procedure, must be adjusted to
control morphology of the obtained fibers. Electrospinning of sub-micrometric PPDL fibers
required a rather complex solvent optimization. It was known3 that chloroform is a good
solvent for PPDL but no bead-less fibers could be obtained from chloroform solutions over a
broad range of concentrations. The problem was solved by the use of a mixed chloroformbased solvent system. Production of fibers with low defect density required not only
optimization of the spinnable polymer solution but also of the three main processing
variables (flow rate, voltage applied, distance between syringe needle and collector). This
aspect was investigated by carefully analysing the effect of each single parameter. In the
case of PPDL, whose electrospinning is reported here for the first time, the effect on fiber
morphology of changing flow rate, voltage and distance was that expected according to
earlier results on other polymer solutions.1,2 PPDL bead-free fibers with diameter in the
range 200-400 nm were obtained using a mixed solvent (see experimental) and 6wt% PPDL
concentration. The idea underlaying the present work is that the fabricated mats may find
applications as bioresorbable scaffolds. Hence some preliminary biocompatibility tests are
under way.
Conclusions. In this work nanofibrous non-woven mats of PPDL with optimized fiber
morphology were fabricated through electrospinning technology. Preliminary cytotoxicity
and cell seeding tests showed that PPDL is a suitable candidate for the production of
nanofibrous scaffolds for tissue engineering.
1.
Ramakrishna, S. et al., Introduction to Electrospinning and Nanofibers, World
Scientific Publishing, Co. Pte. Ltd., Singapore, 2005
2.
Huang, Z.-M., Zhang, Y.-Z., Kotaki, M., Ramakrishna S. Composites Sci. and
Technol.,63, 2223, 2003.
3.
Focarete, M.L., Scandola, M., Kumar, A., Gross, R.A. J.Polym.Sci., Part B: Polym.
Phys. 39, 1721,2001.
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8 work 2 NUOVI PROCESSI MORFOSINTETICI PER LO SVILUPPO DI
BIOMATERIALI
M. Sandri, A. Tampieri, E. Landi.
ISTEC-National Research Council, via Granarolo 64-48018 Faenza, ITALY.
Obiettivo
Nuove metodologie di sintesi che consentono un diretto controllo morfologico del prodotto
rappresentano oggi una strategia estremamente stimolante e polivalente. L’utilizzo di templanti
organici con struttura complessa ed organizzata consente di controllare la morfologia dei cristalli o
la distribuzione spaziale delle fasi inorganiche così da ottenere prodotti finali con strutture
gerarchicamente organizzate o strutture ad altissima superficie specifica. Le potenzialità di queste
nuove tecniche sintetiche possono quindi essere applicate per controllare la superficie specifica,
la porosità, l’organizzazione 3-D e quindi generare materiali che associno gradienti morfologici a
gradienti di funzionalità.
Materiali e metodi
Un primo processo morfosintetico è stato messo a punto per la realizzazione di materiali compositi
a base d’idrossiapatite (HA) ed alginato (Alg), sfruttando l’elevata affinità di questo polimero
naturale per gli ioni Ca2+, tra i principali costituenti dell’HA. La fase minerale è fatta precipitare
sotto forma di nanoparticelle grazie ad una reazione di neutralizzazione acido-base tra i reattivi
Ca(HO)2 e H3PO4 in condizioni tali da legarsi saldamente alle catene polimeriche dell’alginato.
La seconda metodologia consiste nella precipitazione di particelle porose ad elevata superficie
specifica di dimensioni micrometriche e morfologia complessa, stimolata dall’azione congiunta del
reattivo urea e del templante EDTA. In opportune e controllate condizioni di pH e temperatura, è
stimolata la formazione della fase minerale che, in funzione delle concentrazioni relative di ioni
PO43- e Ca2+, può essere costituita da calcio-fosfati di natura differente.
Risultati
I metodi di sintesi studiati, hanno permesso la realizzazione di materiali compositi con strutture
porose complesse costituiti da una fase di HA nanocristallina, interagente con molecole di natura
organica quali principali responsabili delle particolari morfologie ottenute. Le catene polimeriche
dell’alginato in un caso e le molecole di EDTA nell’altro, grazie alla loro stretta affinità con lo ione
Ca2+, rappresentante uno degli elementi base dell’HA, manifestano la loro azione templante nei
confronti del processo di crescita della componente inorganica portando alla formazione di
materiali stabili e morfologicamente complessi.
Conclusioni
I processi morfosintetici studiati, sfruttando la capacità di molecole quali l’alginato e l’EDTA di
organizzarsi in strutture macroscopicamente complesse, hanno permesso la realizzazione di
sistemi con morfologie che li rendono adatti ad applicazioni come sostituenti ossei e il
trasporto/rilascio di molecole bioattive. Per quanto riguarda la fase minerale, essendo costituiti
principalmente da nano-HA presentano il vantaggio di contenere una fase biocompatibile e
bioriassorbibile con alta affinità di legame per una varietà di molecole oltre che replicante la
componente inorganica del tessuto osseo. Riguardo le componenti organiche, queste consentono
la realizzazione di prodotti con strutture organizzate multifunzionali.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
OSTEOBLAST ADHESION ON BIOMATERIALS: FOCAL ADHESION
PATTERN RELATING TO SEM MORFOLOGY
A. Cacchioli, F. Ravanetti, E. De Angelis, P. Borghetti and C. Gabbi.
Department of Animal Health, Faculty of Veterinary Medicine, University of Parma.
Introduction:
Understanding the cellular basis of osteoblastic cell-biomaterial interaction is crucial to the
analysis of the mechanism of osseointegration, a requirement of long-term orthopedic
implant stability. Cell adhesion is one of the initial events to subsequent proliferation and
differentation of bone cells before bone tissue formation (1). The initial cell adhesion is a
major determinant of surface cytocompatibility in vitro and is suggested as a possible
determinant of biocompatibility in the in vivo situation (2).
Aim of the study and Methods:
This study is focused on the following question: how do the cell-substrate interactions
detected by Immunofluorescence adhesion assay appear morphologically?
We study the relationship between cell-substrate interactions and cell morphology by
means of immunofluorescence and Scanning Electron Microscopy analysis. Two Titanium
surface treatments (chemically treated and eletrochemically treated) were used as
substrate for cells adhesion. Human mandibular osteoblast were seeded on different
surfaces at the density at the density of 1 x 104 cells/cm2 in D-MEM supplemented with
10% foetal calf serum (FCS). The attachment, spreading and morphology of osteoblast
cells were evaluated after 6, 24, 72 hours of culturing on different materials by Scanning
Electron Microscopy (SEM). To study the relationship between of focal adhesion sites and
cytoskeletal morphology, triple immunofluorescene (IF) labelling (F-actin red, Vinculingreen, DAPI-blue) was performed after 6 and 24 hours of culture.
Results:
Obtained results from SEM and IF analysis were compared and the morphological features
were detailed. After 6 hours cells were spreading on all Titanium surfaces and showed a
roundish spread out morphology with long fine cytoplasmatic extension in multiple direction.
Cells cultured on the eletrochemically treated titanium demonstrated greater spreading with
large lamellopodes. The IF study showed that after 6 hours, the cells on the titanium
surfaces were not completely spread yet and displayed only few vinculin-positive focal
contact at the cell periphery.
After 24 hours intercellular connections can frequently be observed by SEM. At this time,
cells were spread and displayed fewer cytoplasmatic extension and presented bi-polar or
tri-polar spindle-like morphology. On the eletrochemically treated titanium large spread
lamellopodies supported the cell-material interactions, while on chemically treated titanium
short filopodia were still present.
At 24 hours IF analysis showed that the vinculin-positive focal contacts were numerous,
homogeneous in size and morphology, and distributed at the cell periphery where the cells
were more flat. The immunolabelled focal adhesion had become more organised as the cell
spreading and contact area increased.
References:
1- Anselme K. Osteoblast adhesion on biomaterials. Biomaterials, 2000,21(7):667-81.
2-Owen G., Meredith DO.,Gwynn I. and Richards RG. Focal Adhesion quantification- A
new assay of material biocompatibility?: Review. European Cells and Materials, 2005, 9:8596.
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8 PREPARAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI MONOSTRATI A BASE DI ACIDO
IALURONICO SU SUPERFICI DI VETRO
D. Pasqui, A. Atrei, R. Barbucci.
Dip. Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi – Università degli studi di Siena
C.R.I.S.M.A. – Università degli studi di Siena.
Obiettivo: In letteratura sono riportate diverse strategie per ottenere delle superfici rivestite con Hyal che
spaziano dall’adsorbimento passivo del polisaccaride a tecniche di layer-by-layer assembly e di photografting fino al legame covalente del polisaccaride su superfici precedentemente modificate[1.3]. Lo scopo di
questo studio è di ottenere dei monostrati a base di acido ialuronico (Hyal) con una chimica ben definita al
fine di capire le interazioni dell’acido ialuronico legato covalentemente ad una superficie con l’ambiente
biologico. Viene sfruttata la capacità che hanno gli organo silani di legarsi spontaneamente su superfici di
vetro e di silicio in modo da formare uno strato continuo con una chimica ben definita. Lo Hyal viene
precedentemente coniugato con una molecola di ammino-propilsilano e successivamente viene depositato su
una superficie di vetro.
Materiali e metodi: Hya-Na è stato disciolto in MES ad una concentrazione di 0.5% w/vol. A tale soluzione è
stata aggiunta N-(3-dimethylaminopropyl)-N-ethyl-carbodiimide hydrochloride (EDC) in un rapporto molare di
1:1 e successivamente un eccesso di (3 amino-propyl) trimethoxysilane. Il pH della reazione è stato
aggiustato a 4.75 e la reazione è stata condotta per 4h. Il composto (Hyal-sil) ottenuto è stato analizzato
tramite Ft-IR, la percentuale di gruppi carbossilici coniugati con l’alchilsilano è stata stimata mediante analisi
elementare. In una soluzione idro-alcolica all’ 1% di Hyal-sil sono state immerse per 24h superfici di vetro
precedentemente pulite con (H2SO4/H202 1:1 vol/vol). Le superfici sono state sciacquate con abbondante
acqua distillata ed asciugate con un flusso di azoto. La composizione chimica di superficie è stata valutata
tramite XPS e ATR/Ft-IR, mentre la topografia di superficie e la bagnabilità sono state investigate mediante
AFM e misure di angolo di contatto (WCA). Il comportamento di fibroblasti umani è stato valutato sulle
superfici modificate.
Risultati: La coniugazione dello Hyal con l’alchilsilano coinvolge la formazione di un legame ammidico tra il
gruppo carbossilico del polisaccaride e l’ammina primaria dell’alchilsilano. L’analisi IR evidenzia la presenza
di due picchi appartenenti allo stetching del C=O ammidico delle due ammidi dello Hyal (una del gruppo
acetammidico e l’altra che si forma durante la reazione). Inoltre la presenza di un picco a 1600cm-1 indica che
sono presenti dei gruppi carbossilici liberi e che la reazione di coniugazione non è avvenuta completamente.
L’analisi elementare dimostra che circa il 20% dei gruppi carbossilici dello Hyal sono legati all’alchilsilano.
L’analisi XPS delle superfici rivestite con il polisaccaride indica che la superficie è quasi interamente ricoperta
dallo Hyal con uno spessore medio del film di 2.2 ± 0.5nm corrispondente ad un monostrato di polisaccaride.
Le immagini AFM mostrano una superficie con una rugosità bassa (Ra 0.90±0.09nm) paragonabile a quella
delle superfici di vetro native (Ra 0.40±0.06nm). Le misure di WCA indicano che la superficie è altamente
idrofilia (WCA 25±3°) come previsto data l’elevata idrofilicità del polisaccaride.
Test di adesione cellulare effettuati con fibroblasti umani hanno dimostrato che le superfici rivestite con Hyal
risultano anti-adesive nei confronti delle cellule. Questi dati sono in linea con quelli riportati in letteratura per
le superfici a base di Hyal che indipendente dal metodo utilizzato per il legame con il substrato si comportano
come superfici non-fouling[3].
Conclusioni: E’ stato sviluppato un nuovo e versatile metodo per legare polisaccaridi con una chimica ben
definita. E’ stato ottenuto un monostrato di Hyal legato covalentemente a superfici di vetro. Le superfici
modificate si sono dimostrate resistenti all’adesione cellulare. Il metodo proposto può essere applicato per
legare l’acido ialuronico così come altri polisaccaridi aventi gruppi carbossilici su superfici con una diversa
chimica.
[1]. Picart C., Butterer, J.; Richert, L., Luo, Y.; Prestwich, G. D.; Schaaf, P.; Voegel, J.C.; Lavalle, P. PNAS 2002, 99, 20, 12531.
[2].Morra, M.; Cassinelli, C.; Pavesio, A.; Renier, D. J. Coll. Inter. Sci., 2003, 259, 236.
[3].Barbucci R., Lamponi S., Magnani A,. Pasqui D., Bryan S. Biomaterials, 2003, 24: 915
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
Preparazione e caratterizzazione di scaffold ottenuti tramite tecnica di
deposizione tridimensionale di fibre
A. Gloria , R. De Santis , L. Ambrosio.
Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici, CNR.
Introduzione
L’ingegneria dei tessuti ha come scopo quello di riparare o rigenerare i tessuti umani
associando una popolazione di cellule ad una matrice tridimensionale porosa che funga
da scaffold. Differentemente dalle convenzionali tecnologie di processo utilizzate per i
materiali polimerici, la prototipazione rapida consente, tramite metodiche CAD/CAM, di
realizzare scaffold per specifiche applicazioni, caratterizzati da una rete porosa
controllabile e completamente accessibile, fondamentale per la diffusione di nutrienti.
Scopo del presente lavoro è stato realizzare, tramite una tecnica di deposizione
tridimensionale di fibre, e, successivamente, caratterizzare, da un punto di vista
morfologico e meccanico, scaffold con porosità interconnessa.
Materiali e Metodi
Scaffold caratterizzati da differenti geometrie e porosità sono stati realizzati tramite
deposizione strato per strato di materiale, in presenza di aria o di un mezzo liquido,
utilizzando un Bioplotter (Envisiontec GmbH, Germany). Scaffold di policaprolattone
(PCL) sono stati, ad esempio, realizzati a partire da fuso o da una soluzione
polimero/solvente. Diverse tipologie di scaffold caratterizzati da fibre composite sono stati
ottenuti sfruttando il fenomeno dell’incapsulamento viscoso
durante l’estrusione
attraverso l’ago metallico di due polimeri fusi con diverse viscosità. Inoltre, rimuovendo
con un opportuno solvente il core costituito da un dato polimero dalla struttura shell-core
di una fibra composita, è stato possibile ottenere scaffold caratterizzati da fibre cave. È
stata anche realizzata un’ulteriore tipologia di scaffold caratterizzata da fibre porose a
partire da soluzione polimero/solvente. Test di compressione sono stati condotti alla
velocità di 1 mm/min sulle strutture ottenute, utilizzando una macchina dinamometrica
INSTRON 4204. Infine, è stata condotta una caratterizzazione morfologica dei campioni
tramite un microtomografo SkyScan 1072 (Belgium) ed un microscopio a scansione
elettronica.
Risultati
I test di compressione effettuati fino ad un livello di deformazione pari a 0.6 mm/mm su
scaffold cilindrici realizzati, hanno mostrato curve sforzo-deformazione caratterizzate da
un piccolo tratto lineare iniziale, seguito da uno non lineare e da un aumento finale dello
sforzo. Valutando la pendenza del tratto lineare della curva sforzo-deformazione è stato
possibile notare che a parità di geometria gli scaffold caratterizzati da pattern 0°/90°
risultano inizialmente più rigidi di quelli ottenuti con una sequenza di sovrapposizione
0°/45°/90°/135°. Dall’altro lato, analisi effettuate tramite microtomografo e microscopio a
scansione elettronica hanno consentito non solo di valutare la struttura porosa interna
degli scaffold realizzati, ma, soprattutto, di dimostrare la corrispondenza tra i dati ottenuti
realmente (diametro della fibra e geometria dei pori ) e quelli inizialmente impostati.
Conclusioni
I risultati ottenuti hanno mostrato la possibilità di ingenerizzare scaffold con porosità
tridimensionale interconnessa. Risulta possibile, infatti, modulare il diametro della fibra, la
distanza centro-centro tra due fibre in uno stesso piano e lo spessore dello strato, che
influenzano le dimensioni globali dei pori. Le proprietà meccaniche degli scaffold realizzati
dipendono, ovviamente, non solo dal materiale considerato, ma anche da fattori
geometrici e dall’architettura tridimensionale.
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BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
4 RAZIONALE PER L’USO DI UN BIOMATERIALE A BASE DI ACIDO
IALURONICO NEL TRATTAMENTO DI LESIONI CARTILAGINEE IN
PAZIENTI CON OSTEOARTRITE
Brunella Grigolo*, Livia. Roseti*, Carola Cavallo*,Giovanna. Desando*, Andrea Facchini*°.
*Laboratorio di Immunologia e Genetica, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna.
°Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia, Università degli Studi di Bologna.
Obiettivo. L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare, mediante prove in vitro, la
possibilità di poter utilizzare il trapianto di condrociti autologhi nei pazienti con lesioni
artrosiche ad uno stato iniziale. L’osteoartrite (OA) è la più comune patologia articolare
dell’uomo e la causa principale di disabilità cronica nell’anziano. Dalle evidenze riportate
in letteratura è emerso che l’OA è il risultato di un’alterazione del metabolismo dei
condrociti, l’unica componente cellulare del tessuto cartilagineo. Recenti studi, tendono ad
attribuire una rilevante importanza nel processo che porta alla degradazione della matrice
extracartilaginea, ad alcuni mediatori della flogosi, prodotti dai condrociti stessi e dalle
cellule della membrana sinoviale e dell'osso. L’acido ialuronico, risultato già uno scaffold
molto efficace nel trapianto autologo di condrociti per lesioni di tipo traumatico, sembra
svolgere anche una azione attiva sulle cellule che si concretizza, mediante la
ricapitolazione di eventi embrionali, nell’espressione e sintesi di molecole specifiche della
matrice extracellulare cartilaginea. Razionale dello studio è stato quello di verificare se
condrociti umani autologhi fossero in grado di modulare l’azione di alcune molecole
implicate nei processi di degradazione della matrice extracellulare down-regolando
l’azione di molecole proinfiammatorie o di enzimi catabolici, una volta posti in coltura su
un biomateriale a base di acido ialuronico esterificato.
Materiali e metodi. Condrociti umani sono stati isolati da pazienti con patologia
osteoartrosica ad uno stato iniziale, espansi in coltura e posti successivamente sul
biomateriale per vari tempi sperimentali. Sui campioni è stata stata effettuata una serie di
valutazioni sia di tipo istologico che biomolecolare. Inoltre è stata valutata la presenza di
alcune proteine cataboliche nel sovranatante delle colture cellulari.
Risultati. I dati ottenuti hanno mostrato una down-regolazione della espressione e della
sintesi di metalloproteinasi, caspasi e di ossido nitrico, una delle molecole principalmente
coinvolte nella induzione del processo apoptotico responsabile da ultimo della
degradazione cartilaginea. Tale processo, valutato mediante metodica Tunel, presente
nelle cellule appena isolate dal tessuto patologico, non è più evidenziabile nelle cellule
cresciute in coltura sul biomateriale.
Conclusioni. Dalla studio in oggetto si sono ottenute importanti informazioni sul
comportamento di cellule condrocitarie ottenute da pazienti con osteoartrosi ad uno stato
iniziale, cresciute su un biomateriale a base di acido ialuronico nel regolare alcune
molecole coinvolte nei processi di degradazione della matrice extracellulare. Tali
informazioni costituiscono una fondamentale base scientifica per l’utilizzo del trapianto
autologo anche in corso di lesioni precoci alla cartilagine articolare.
L’importanza dell’utilizzo di tale strategia terapeutica risulta evidente data l’alta incidenza
dell’osteoartrite nella popolazione anziana ed i problemi legati agli interventi di
artroprotesi.
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1 RESPONSE OF ENDOTHELIAL CELLS TO POLYETHYLENE
TEREPHTHALATE SURFACES ACTIVATED BY IRRADIATION
Pezzatini Silvia1, Satriano Cristina2, Morbidelli Lucia1, Marletta Giovanni2,
Ziche Marina1.
1
Pharmacology section, Dept Molecular Biology, University of Siena, Via A. Moro 2,
53100 Siena, Italy.
2
Laboratory for Molecular Surfaces and Nanotechnologies and CSGI, Dept. of Chemical
Sciences, University of Catania, Viale A. Doria 6, 95025 Catania, Italy.
Objective: Important factor implicated in cardiovascular graft failure is the lack of
endothelial cells lining the lumen of the vessel. In the last few years several biomimetic
approaches have been developed in order to produce biofunctional polymeric materials by
immobilization of short peptide sequences, such as RGD. Moreover, ion beam irradiation
of polymer surfaces has been shown to induce the formation of a drastically modified
altered layer, strongly affecting the cell-surface interaction. The aim of this study was to
investigate the in vitro response of endothelial cells onto PET surfaces modified by low
energy Ar-irradiation (50 keV) and/or RGD and FBS adsorption.
Materials and Methods: Polyethyleneterephtalate (PET, Aldrich) was deposited as thin
films by spin coating onto monopolished silicon wafers. The ion irradiation of samples was
performed at room temperature by using 50 keV Ar+ ions, with an ion fluence of 1015
ions/cm2. Arg-Gly-Asp (RGD) was solubilized in deionized water (2.9 mM), while FBS was
diluted in PBS solution (10% v/v). The immobilization of RGD or FBS onto PET surfaces
was obtained by spontaneous adsorption for 1 h. Endothelial cells isolated from
postcapillary venules (CVEC, coronary venular endothelial cells) were used in the study.
Subconfluent cells were plated onto the various PET surfaces. Cell morphology and the
interaction among endothelial cells, biomaterials and extracellular matrix components
were evaluated after 4 days by scanning electron microscopy (SEM) and
immunofluorescence techniques.
Results: The physico-chemical characterization of irradiated PET surfaces showed that
ion irradiation induces a modification of the chemical structure of the outermost surface
layers, while the AFM analysis showed that irradiation did not affect significantly the
morphology and roughness of PET surfaces. The efficiency of biofunctionalization of PET
by immobilization of RGD or FBS was estimated by XPS quantitative analysis. When
CVEC were cultured on unirradiated PET, they appeared retracted with altered
morphology showing poor adhesion. On the contrary, when cell were grown onto
irradiated PET, either biofunctionalized or not with RGD or FBS, the typical endothelial cell
morphology was maintained, over prolonged time, showing well-being status. Moreover,
the endothelial cells preserved their ability to produce cytoskeletal protein (α-tubulin) and
extracellular matrix proteins, such as fibronectin and laminin.
Conclusions: The results show the endothelialisation of biomaterial. In fact, the altered
layer produced by ion irradiation of PET is in itself able to promote enhanced CVEC
adhesion, spreading and proliferation, irrespectively of the surface biofunctionalization.
Supported by MIUR-FIRB project n° RBNE01458S_007.
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RIMANEGGIAMENTO OSSEO PERI-IMPLANTARE IN IMPIANTI A
DIVERSA SUPERFICIE RUGOSA
Trirè A*., Orsini E.*, Franchi M.*, Bacchelli B.*, Martini D.*, De Pasquale V.*, Quaranta
M.*, Ottani V.*, Giavaresi G.**, Fini M.**, Giardino R.**, Ruggeri A.*
* Dipartimento di Scienze Anatomiche Umane e Fisiopatologia dell’Apparato Locomotore
(Sezione di Anatomia Umana), Università di Bologna, Italy.
** Dipartimento di Chirurgia Sperimentale, Istituto di Ricerca Codivilla-Putti, Istituto
Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italy.
Obiettivo: Lo scopo di questa ricerca preliminare è stato quello di valutare
morfometricamente il grado di rimaneggiamento osseo peri-implantare in impianti a vite di
titanio con diversa superficie rugosa.
Materiali e metodi: 18 impianti a vite conica di titanio sottoposti a trattamenti di superficie
per apposizone (TPS= plasma-spray in titanio) e per sottrazione (Zr-SLA= sabbiatura con
zirconia) sono stati inseriti in diafisi tibiali di pecora e prelevati dopo 3 mesi. Gli impianti
non sono mai stati sottoposti a carico. Durante l’inserimento implantare è stato misurato il
valore della torque di inserzione. Gli impianti con i relativi tessuti peri-implantari e
segmenti ossei privi di impianto (controllo) sono stati inclusi in resina metilmetacrilato,
tagliati e lappati per ottenere sezioni di 150 μm seguendo un piano parallelo all’asse
longitudinale dell’impianto. Le sezioni sono state poi colorate con blu di toluidina e fucsina
acida per l’osservazione al microscopio ottico. Su sezioni scelte casualmente sono state
fatte 9 immagini per avere un quadro completo dell’osso compreso tra la regione
subperiostale e quella sovraendostale fino a 4800 μm dall’impianto. Sulle immagini sono
state eseguite misurazioni morfometriche per valutare l’estensione delle cavità proprie
dell’osso (canali di Havers e di Volkman) e la quantità di osso rimodellato. I dati sono stati
elaborati con un software dedicato. In particolare è stata misurata l’area dell’osso
rimodellato in ciascun riquadro e questo valore è stato rapportato all’area dell’osso totale
del riquadro stesso.
Risultati: Il tessuto osseo neoformato (considerato come originato da un processo di
rimodellamento a 3 mesi) attorno agli impianti TPS è quantitativamente maggiore rispetto
a quello osservato negli impianti Zr-SLA. In particolare, il rimaneggiamento osseo periimplantare rilevato in entrambe le superfici risulta maggiormente evidente nell’area
subperiostale prossima alla superficie implantare. Questi risultati sono stati poi valutati
anche in relazione all’elaborazione dei valori relativi all’estensione delle cavità ossee.
Conclusioni: Da questo studio comparativo emerge che superfici rugose ottenute per
apposizione influenzano maggiormente l’entità del rimodellamento osseo rispetto a quelle
ottenute per sottrazione. Il maggior rimodellamento osservato negli impianti TPS potrebbe
essere correlato sia al trauma meccanico che al distacco di granuli di titanio durante
l’inserzione implantare, come dimostrato in nostre precedenti ricerche. Anche se questi
granuli non sembrano ostacolare la fissazione biologica nelle prime settimane né
l’osteointegrazione in tempi lunghi, il più esteso rimaneggiamento osseo negli impianti
TPS dopo 3 mesi deve essere attentamente considerato in quanto potrebbe portare ad
una diversa resistenza meccanica dei tessuti peri-implantari nonché ad una diversa
distribuzione delle linee di forza e dei carichi.
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4 RUOLO STRUTTURALE DI SEGNALI SOLIDI BIOATTIVI IN
SCAFFOLD POROSI PER LA RIGENERAZIONE DEL TESSUTO
SCHELETRICO
V.Guarino, F.Causa, L.Ambrosio.
Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici – IMCB/CNR Napoli.
Università Magna Graecia – Germaneto, Catanzaro.
Obiettivo
Nell’ambito della progettazione di scaffold a porosità controllata per la rigenerazione del
tessuto scheletrico (es. osso) è indispensabile raggiungere un giusto compromesso tra
proprietà strutturali e funzionali. Ciò può essere reso possibile attraverso la definizione di
materiali compositi innovativi caratterizzati da una matrice biocompatibile con aggiunta di
segnali solidi che, oltre a supportare i meccanismi cellulari alla base della formazione del
nuovo tessuto, offrano un adeguato sostegno strutturale. In questa sede, si propone la
realizzazione di scaffolds compositi costituiti da una matrice in policaprolattone
funzionalizzata mediante una polidispersione di particelle micrometriche, rispettivamente,
di idrossiapatite o fosfato tricalcico. Un’accurata indagine delle proprietà microscopiche e
macroscopiche (porosità, modulo a compressione) rappresenta un efficace strumento di
valutazione dell’influenza della funzionalizzazione sulle proprietà strutturali dello scaffold.
Materiali e Metodi
Gli scaffolds compositi proposti sono stati preparati mediante la tecnica oramai collaudata
del phase inversion/salt leaching che consente di realizzare una porosità di dimensioni
controllate attraverso l’estrazione di un agente “porogeno” di dimensioni note. Nel caso
specifico si tratta di cristalli di cloruro di sodio di dimensioni comprese tra 212 e 300
microns introdotti all’interno di una soluzione polimerica PCL/DMAc (20/80 wt/wt) secondo
un rapporto in volume PCL/NaCl pari a 09/91 v/v. La soluzione è stata caricata
rispettivamente con idrossiapatite o α-TCP, secondo diverse frazioni volumetriche (0 a
26% in vol.). Il sistema composito, preformato in uno stampo di geometria opportuna, è
stato immerso prima in etanolo per 24 ore per consentire la separazione del solvente dalla
matrice polimerica, e successivamente in acqua per 7 giorni al fine di rimuovere i cristalli
di cloruro di sodio nonché tracce di solvente residuo.
Risultati
Un accurata indagine morfologica attraverso miscoscopia S.E.M. è stata realizzata al fine
di valutare, qualitativamente, la bimodalità dei pori, l’interconnesione e l’omogeneità di
distribuzione degli stessi. Successivamente, un’analisi quantitativa dei parametri
morfologici (es. frazione volumetrica dei pori, dimensione di micropori e macropori) è stata
effettuata mediante diverse tecniche di indagine (metodo gravimetrico, microtomografia
3D) al variare della tipologia di segnali introdotti e delle frazioni relative all’interno della
matrice polimerica. Tali risultati sono stati correlati con i risultati dei test meccanici a
compressione che hanno evidenziato un sostanziale incremento del modulo elastico al
crescere della frazione volumetrica del segnale solido impiegato.
Conclusioni
Le indagini fatte hanno dimostrato in modo evidente l’incremento della risposta meccanica
dovuto all’aggiunta di segnali solidi, indipendentemente dalla specifica tipologia impiegata,
sottolineando propriamente l’azione di rinforzo particellare da essi svolta all’interno della
matrice polimerica. Il confronto tra i parametri morfologici e la risposta a compressione
delle strutture realizzate ha consentito di individuare una stretta relazione tra le proprietà
del composito e la morfologia dei segnali introdotti lasciando ipotizzare, sulla base di studi
preliminari già effettuati, un ruolo primario della morfologia del segnale solido utilizzato sui
meccanismi di formazione del nuovo tessuto.
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SCAFFOLDS BIOMIMETICI NANOSTRUTTURATI NELLA
RIGENERAZIONE OSTEOCONDRALE
E. Arcangeli1, D. Pressato1, E. Kon2, M. Delcogliano2, R. Giardino2, M. Fini2, R. Quarto3,
A. Tampieri4, M. Sandri4, B. Parma5, M. Marcacci2.
1
Finceramica Faenza S.p.A., Faenza
2
Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna
3
Laboratorio Cellule Staminali CBA, Università di Genova
4
ISTEC-CNR Faenza
5
Opocrin S.p.A.- Corlo di Formigine, Modena.
Obiettivo: Dimostrare in uno studio sperimentale in vivo la validità di un approccio
chirurgico-terapeutico innovativo per il trattamento di patologie articolari complesse come
la degenerazione osteocondrale articolare del ginocchio attraverso l’utilizzo di uno scaffold
osteocondrale (O.C.) riassorbibile, a base di idrossiapatite/collagene, a
struttura
composita, in grado di riprodurre da un punto di vista morfologico-biochimico la
configurazione anatomica della cartilagine e dell’osso sub-condrale.
Materiali e Metodi: 20 pecore adulte venivano sottoposte a chirurgia con rimozione di una
porzione di connettivo articolare sulla superficie dei condili mediale e laterale del ginocchio
posteriore destro comprendente la cartilagine e l’osso sub-condrale (diametro 6 mm e
profondità 10 mm) fino ad ottenere sanguinamento midollare. Gli animali venivano suddivisi
in 5 gruppi di trattamento (n=8 lesioni) ognuno dei quali riceveva come copertura del difetto
rispettivamente: 1 scaffold O.C. con aggiunta di concentrato piastrinico (PRP), 2 scaffold
O.C.+condrociti autologhi coltivati in vitro (tecnica ACI), 3 scaffold O.C.+condrociti non
coltivati (tecnica ACI modificata); 4 scaffold O.C., 5 nessun trattamento (controllo). Dopo
eutanasia, a 6 mesi dal primo intervento i condili erano rimossi e la cartilagine neoformata
veniva valutata macroscopicamente (Fortier score e Indian Ink score) e microscopicamente
dopo colorazione istologica (Niederauer score). Immagini microradiografiche venivano
ottenute per valutare la qualità dell’osso subcondrale neoformato.
Risultati: Nessuna articolazione presentava instabilità. Presenza di liquido sinoviale veniva
osservata nel gruppo di controllo. Le osservazioni macroscopiche evidenziavano una
buona qualità della cartilagine neoformata, simil ialina, per il gruppo di trattamento scaffold
O.C., con assenza di fissurazioni superficiali. Lo score macroscopico di Fortier (2.63±0.71)
risultava significativamente migliore rispetto agli altri gruppi di trattamento (rispettivamente
6.13±0.1.36 O.C.+PRP, 4.00±0.53 O.C.+condrociti espansi, 3.89±0.81 condrociti non
espansi, 13.75±0.94 controllo) dove il tessuto neoformato era prevalentemente
fibrocartialgineo. L’analisi dello score istologico di Niederauer risultava altrettanto migliore
per il gruppo di trattamento con il solo scaffold O.C. (22.88±0.90) rispetto agli altri gruppi di
trattamento (rispettivamente 16.50±0.87 O.C.+PRP, 20.1±1.22 ACI, 18.00±1.45 ACI
modificata, 6.5±2.04 controllo). L’analisi microradiografica e istologica mostrava una buona
qualità dell’osso subcondrale per il gruppo di animali trattato con il solo scaffold rispetto agli
altri gruppi di trattamento dove lo spazio subcondrale era occupato prevalentemente e da
tessuto fibro-cartilagineo.
Conclusioni: I risultati di questo studio sperimentale dimostrano come scaffold biomimetici
compositi siano in grado di promuovere i processi rigenerativi in seguito a danni cartilaginei
profondi, aprendo nuove prospettive per il trattamento delle lesioni articolari di difficile
trattamento come le lesioni di grado III e IV o le lesioni osteoartrosiche.
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SCAFFOLDS
COMPOSITI
FIBRORINFORZATI
PER
LA
RIGENERAZIONE DEL TESSUTO OSSEO MEDIANTE TECNICHE DI
AVVOLGIMENTO FILAMENTARE
V.Guarino, F.Causa, L.Ambrosio.
Istituto per I Materiali Compositi e Biomedici – IMCB/CNR Napoli.
Università Magna Graecia – Germaneto, Catanzaro.
Obiettivo
L’obiettivo di questo studio consiste nella realizzazione di sistemi compositi fibrorinforzati
in grado di sostituire temporaneamente il tessuto osseo naturale. In particolare, si
propone lo studio di un composito costituito da una matrice in policaprolattone, rinforzata
con fibre di acido polilattico avvalendosi della tecnologia di avvolgimento filamentare,
tradizionalmente impiegata nella realizzazione industriale di materiali compositi. Le
proprietà di degradazione del policaprolattone nonché l’azione di rinforzo strutturale
offerta dalle fibre di acido polilattico definiscono requisiti ottimali per la realizzazione di
“impalcature” temporanee atte ad veicolare quei meccanismi di adesione, proliferazione e
differenziamento cellulare indispensabili alla formazione del nuovo tessuto. In particolare,
ciò è possibile attraverso un’ingegnerizzazione delle caratteristiche strutturali ed in
particolare dei parametri di porosità. La presenza di una porosità bimodale garantisce
un’efficace colonizzazione cellulare dell’intera struttura tridimensionale grazie a macropori
di dimensioni opportune (>250 µm), mentre un adeguato turn over di sostanze
nutritive/metaboliti è assicurato da micropori (1-10 µm) che consentono le
interconnessioni tra macropori adiacenti.
Materiali e Metodi
Gli scaffolds compositi proposti sono stati preparati mediante la tecnica oramai collaudata
del phase inversion/salt leaching che consente di realizzare una porosità di dimensioni
controllate attraverso l’estrazione di un agente “porogeno” di dimensioni note. Nel caso
specifico sono stati impiegati cristalli di cloruro di sodio di dimensioni comprese tra 300 e
500 microns all’interno di una soluzione polimerica PCL/DMAc (20/80 wt/wt) secondo un
rapporto in volume PCL/NaCl pari a 18/82 v/v. Fibre di PLLA (75/24 dtex) sono state
integrate alla matrice polimerica mediante tecniche di avvolgimento filamentare. La
struttura composita ottenuta, è stata quindi sottoposta ad un processo di “phase inversion”
in etanolo per consentire la separazione del solvente dalla matrice polimerica. Infine,
l’immersione in acqua bididstillata del composito per 7 giorni garantisce la completa
rimozione dei cristalli di cloruro di sodio nonché ogni traccia di solvente residuo.
Risultati e Conclusioni
L’analisi al S.E.M. ha consentito di evidenziare una buona omogeneità di distribuzione dei
pori e delle fibre all’interno dello scaffold nonché di distinguere nettamente una doppia
scala dimensionale dii pori. Misure mediante porosimetria ad intrusione di mercurio hanno
permesso di quantificare le frazioni volumetriche relative di micropori e macropori,
rispettivamente del 46% e del 54% del volume complessivo occupato dai pori pari al 75%
del volume dello scaffold. I micropori aventi una dimensione media di circa 3 µm, risultano
idonei a soddisfare il trasporto di molecole di piccole dimensioni, mentre i macropori di
dimensioni medie di circa 350 µm, risultano atti a favorire la colonizzazione di osteoblasti
e cellule progenitrici. La caratterizzazione meccanica a compressione, infine, ha
evidenziato un significativo incremento della risposta meccanica dello scaffold certamente
dovuto alla presenza del rinforzo fibroso il quale, evidentemente, non ostacola la
formazione dei pori durante il processo di realizzazione dello scaffold, limitandone solo in
parte l’omogeneità di distribuzione spaziale.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
8 Self assembly monolayers PEG-terminati su ossido di titanio
S. Bozzini*,**, P. Petrini*, S. Zuercher**, L. Visai***, S. Tosatti**, M.C. Tanzi *.
*Laboratorio di Biomateriali, Dipartimento di Bioingegneria, Politecnico di Milano.
**BioInterfaceGroup, Laboratory for Surface Science and Technology, Department of Materials,
Swiss.
Federal Institute of Technology (ETH) Zurich, CH-8092 Zurich, Switzerland.
***Dipartimento di Biochimica, Sezione di Medicina, Università di Pavia.
La riduzione dell’adsorbimento non-specifico di biomolecole sulla superficie dei materiali artificiali è
una delle principali strategie di modifica adottate nella progettazione di dispositivi biomedici. Il
polietilenglicole (PEG) è impiegato su larga scala per la produzione di tali superfici, dette nonadesive o superfici inerti.
Il presente lavoro ha lo scopo di studiare un sistema di rivestimento superficiale monomolecolare
contenente PEG su ossido di titanio e valutarne le proprietà di resistenza all’adsorbimento proteico.
Tale modifica di superficie è stata possibile grazie alla formazione spontanea di self assembly
monolayers (SAMs) di alcan fosfati su ossido di titanio e alla possibilità offerta da questa tecnica di
poter variare le proprietà di superficie in modo relativamente semplice. La deposizione di SAMs di
alcan fosfati PEG terminati (metossi-PEG-maleimide-tio-undecil fosfato, mPEGmal-S-UDPO4) su
ossido di titanio è stata valutata tramite caratterizzazione spettroscopica a raggi X (XPS) e misure di
ellissometria. Dopo 16h di incubazione a temperatura ambiente nella soluzione contenente la
molecola, è possibile deporre sulle superfici di ossido di titanio un coating di spessore di 30 Å.
Con lo scopo di modificare le proprietà di resistenza all’adsorbimento di proteine al variare della
densità superficiale di PEG, sono stati preparati SAMs misti a partire da soluzioni equimolari
contenenti PEGmal-S-UDPO4 insieme ad una molecola simile, OH terminata e non contenente PEG
(idrossi-dodecilfosfato, OHDDPO4). Le superfici a differente densità di PEG sono state incubate in
albumina da siero umano ed in siero umano per 20 minuti a temperatura ambiente. L’adsorbimento
proteico è stato investigato attraverso misure di ellissometria e valutando la massa depositata
tramite un biosensore (Optical Waveguide Lightmode Spectroscopy). Il grado di adsorbimento
proteico si è rivelato strettamente dipendente dalla concentrazione superficiale di PEG:
all’aumentare della densità di PEG aumenta anche la resistenza all’adsorbimento proteico.
Le superfici prodotte sono state testate in vitro mediante valutazione dell’interazione con cellule
batteriche cariogeniche (S.mutans) e con osteoblasti umani. L’adesione batterica è ridotta fino a
due ordini di grandezza sulle superfici rivestite rispetto a titanio non modificato. Inoltre le cellule
osteoblastiche mostrano una riduzione dell’adesione e della proliferazione con l’aumentare della
densità superficiale di PEG, insieme però ad un incremento della loro attività biologica.
In conclusione, il sistema basato su SAMs di alcan fosfati contenenti PEG offre risultati promettenti
per una potenziale applicazione come metodologia di modifica superficiale biomimetica nel settore
dentale/ortopedico.
(°) Ricerca attualmente in atto con finanziamenti Eurocoating Spa Via al Dos de la Roda, 60 - 38057
Pergine Valsugana (Tn), Italy.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
Structure and in-vitro behaviour of
alendronate modified hydroxyapatite nanocrystals
E. Boanini1, P. Torricelli2, K. Rubini1, C. Capuccini1, M. Gazzano3, R. Giardino2, A. Bigi1
Department of Chemistry “G. Ciamician”, University of Bologna, 2 Experimental Surgery
Department, Research Institute Codivilla Putti, IOR, Bologna, 3 ISOF-CNR, Bologna
1
Aim. The great affinity of Bisphosphonates (BPs) for Calcium ions hinders the direct
synthesis of hydroxyapatite (HA) crystals modified with BPs, whereas in vivo it allows the
strong binding of BPs to bone mineral phase, which is the basis for the selective uptake of
these compounds by bone.
We have recently developed a modified method of hydroxyapatite synthesis for the
preparation of composite nanocrystals containing alendronate. Herein we report the
chemical-physical properties of this new material and its effects on cells behaviour.
Materials and Methods. The synthesis of hydroxyapatite was carried out in N2
atmosphere by dropwise addition of a (NH4)2HPO4 solution to a Ca(NO3)2·4 H2O solution,
pH 10, 90°C. We verified that the direct approach to synthesize a HA-alendronate
composite material yielded to a mixture of amorphous material and crystalline HA. So, a
modification was made to the above procedure by adding alendronate dropwise
(concentration range 7–28 mM), after completing the phosphate solution addition. Powder
X-ray diffraction, TEM, BET, spectrophotometric, thermal and chemical analyses were
used to characterize the structure, morphology and composition of the products.
Alendronate release tests were performed in Phosphate Buffer Solutions pH 7.4 at 37°C.
Powders with different alendronate content were soaked for periods of time up to 1 week.
Disk shaped samples of HA-alendronate composite materials were prepared by pressing
the powders into cylindrical moulds. Gamma rays sterilized disks, and HA as reference,
were cultured with human osteoblasts and osteoclasts up to 21 days. To assess the effect
of alendronate on osteoblast proliferation and activity WST-1, Alkaline Phosphatase
activity (ALP), Osteocalcin (OC), Type I Collagen (CICP), MMP1 and MMP13 were tested,
whereas TRAP staining and pit assay were performed on osteoclasts.
Results and Discussion. With the new method of synthesis we obtained hydroxyapatite
as unique crystalline phase in the whole range of alendronate concentration. Alendronate
is incorporated into HA crystals up to about 7%wt, without significantly affecting the values
of the lattice constants of HA and the Ca/P molar ratio. The results of the structural
refinements indicate no significant variation of the atomic positions, occupancy factors,
and thermal parameters of hydroxyapatite. Moreover, the presence of an appreciable
amorphous fraction in the samples has to be excluded. On the other hand, alendronate
affects the morphology of the composite crystals, which exhibit significantly smaller
dimensions (about 20x100 nm) than HA crystals (usually 40x200 nm) and increased
surface area. Thermogravimetric analysis provides evidence that the products are indeed
composite nanocrystals, and not just mixtures of hydroxyapatite and alendronate. On the
basis of the results of the structural analysis, which indicate that alendronate interaction
doesn’t significantly affect the crystal structure of HA, a possible coordination of
alendronate molecules with calcium atoms of hydroxyapatite is presented. Kinetics of
alendronate release do not appear to be affected by initial bisphosphonate load and
release is maximum in 24 hours of soaking in PBS. Osteoblast-like MG-63 cells cultured
on composites display good proliferation and enhanced activity indicating that alendronate
promotes extra-cellular matrix mineralization processes, in agreement with the increased
values of Collagen Type I and Osteocalcin production. By contrast, the data indicate that
osteoclasts activity decreases as a function of alendronate content of the composites.
Superfici microscanalate in polimero biodegradabile (PLA-TMC) per la
rigenerazione del tessuto muscolare scheletrico
L. Altomare1, N. Gadegaard2, L. Visai3, M.C. Tanzi1, S. Farè1
1 BioMatLab, Bioengineering Department, Politecnico di Milano, 20133 Milan, Italy
2 Centre for Cell Engineering, University of Glasgow, Glasgow G12 8LT, United Kingdom
3 Bichemistry Department, University of Pavia, 27100 Pavia, Italy
Obiettivo: lo scopo di questo lavoro è la valutazione dell’influenza di superfici
microscanalate ottenute tramite fotolitografia sul comportamento dei mioblasti, la loro
successiva fusione e la conseguente formazione dei miotubi.
Materiali e Metodi: diversi film polimerici microscanalati sono stati ottenuti per solvent
casting su wafer di silicio, realizzati per fotolitografia, con scanalature di diversa larghezza
(5, 10, 25, 50, 100 μm) e profondità (0,5, 1, 2,5, 5 μm). E’ stata utilizzata una soluzione di
un co-polimero L-lattide/trimetilene carbonato in cloroformio al 5%w/v. Le superfici dei
wafer e dei film sono state analizzate mediante profilometria e microscopia elettronica a
scansione. Sono state effettuate prove cellulari in vitro utilizzando cellule muscolari
murine di linea (C2C12) seminando 5*10^5 cellule/ml. A 7 giorni dalla confluenza è stata
valutata la morfologia cellulare tramite microscopio ottico e immunofluorescenza.
L’espressione della miosina è stata valutata mediante un anticorpo primario anti-miosina
(MF20) e un anticorpo secondario marcato con il fluorocromo Alexa 633. L’actina è stata
rilevata usando la FITC-Phalloidin e i nuclei tramite l’Hoechst.
Risultati: le immagini al SEM hanno evidenziato una buona riproducibilità della superficie
dei wafer su tutti i film polimerici; questo dato è confermato dalle analisi profilometriche,
dalle quali non è stata evidenziata nessuna differenza significativa tra i valori dei wafer e
quelli dei film, indipendentemente dalle dimensioni delle scanalature.
Gli studi in vitro hanno evidenziato un comportamento cellulare diverso a seconda delle
dimensioni delle scanalature. A 24 ore dalla semina è stato osservato un miglior
allineamento su scanalature di larghezza pari a 5, 10 e 25 μm, mentre su scanalature di
larghezza 50 e 100 μm non è stato osservato un orientamento preferenziale. Ciò
probabilmente è dovuto alla larghezza delle scanalature, molto più grandi delle dimensioni
di una singola cellula. A 7 giorni dalla confluenza, su tutti i film microscanalati si è
osservata la formazione di miotubi. Su film con una maggiore profondità delle scanalature
(2,5 e 5 μm) i miotubi sono ben allineati; in quelle di larghezza pari a 5 e 10 μm sembrano
però particolarmente confinati e con pochi nuclei. Nelle scanalature di larghezza pari a 25
e 50 μm è stato osservato un buon allineamento, mentre in quelle di larghezza pari a 100
μm l’allineamento sembra meno pronunciato. Su film con scanalature meno profonde (0,5
e 1 μm) è stata osservata una generale diminuzione dell’allineamento; in particolare, nelle
scanalature profonde 0,5 μm è stato osservato un leggero allineamento dei miotubi, ma
solo per larghezza delle scanalature pari a 5 μm.
Conclusioni: l’utilizzo di superfici microscanalate sembra un metodo promettente per
favorire lo sviluppo e l’allineamento dei miotubi. I migliori risultati sono stati osservati su
film che presentano una profondità delle scanalature di 2,5 e 1 μm, specialmente per
larghezza delle scanalature pari a 50 e 25 μm. Per questi film sono in corso studi
riguardanti la possibilità di effettuare prove in vitro in condizioni dinamiche.
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SVILUPPO DI COMPOSITI PER SCAFFOLD OSSEI A BASE DI
IDROSSIAPATITE RINFORZATA CON SILICATI DI CALCIO BIOATTIVI
MEDIANTE FAST HOT PRESSING
Simone Sprio, Anna Tampieri, Elena Landi, Giancarlo Celotti
Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici, ISTEC-CNR
Obiettivo
La sostituzione di segmenti ossei sottoposti a carico è uno dei problemi più rilevanti nel
campo della chirurgia ortopedica e ha un enorme impatto economico e sociale.
La soluzione ottimale in questo caso è lo sviluppo di uno scaffold bioattivo poroso, in
grado di promuovere la formazione di nuovo tessuto osseo, e caratterizzato da proprietà
di resistenza meccanica in grado di sopportare le sollecitazioni biomeccaniche in vivo
durante il processo di rigenerazione ossea. L’ idrossiapatite (HA) è largamente
considerata il materiale di elezione per le sostituzioni ossee, per la sua stretta affinità con
la parte minerale dell’ osso; tuttavia, le sue applicazioni per porzioni di osso sottoposte a
carico sono limitate dalle sue scarse proprietà meccaniche, cosicché è opportuno
sviluppare materiali compositi che conservino le proprietà di bioattività e bioriassorbibilità
esibiti dall’ HA, migliorando nel contempo la resistenza meccanica. Pertanto sono stati
messi a punto materiali costituiti da HA rinforzata da β-Ca2SiO4, una fase bioattiva
caratterizzata da elevate proprietà meccaniche. Tali compositi sono stati ottenuti mediante
tecniche di sintering ad alta velocità sotto pressione (FHP), in cui l’ elevata velocità di
riscaldamento e i bassi tempi di permanenza ad alte temperature consentono di operare a
temperature più elevate di quelle comunemente adottate per l’ HA (1300 °C), favorendo la
densificazione della fase rinforzo e minimizzare le reazioni all’ interfaccia, ovvero la
formazione di fasi secondarie.
Materiali e metodi
Le polveri di HA sono state preparate con una convenzionale tecnica di neutralizzazione e
calcinata a 1000 °C per 5 ore. Le polveri di β-Ca2SiO4 sono state sintetizzate per via
termica a partire da una miscela di calcio nitrato e biossido di silicio trattata a 1500 °C. Le
polveri di β-Ca2SiO4 sono state miscelate in rapporto 1:4 con le polveri calcinate di HA. I
cicli di FHP sono stati effettuati su polveri di HA e sui compositi ad una temperatura di
1300-1500 °C. I materiali finali sono stati caratterizzati analizzati mediante XRD e da un
punto di vista strutturale mediante SEM; in particolare sono stati effettuati test di
resistenza a flessione su monoliti di HA e HA/β-Ca2SiO4 ottenuti mediante identiche
condizioni.
Risultati
I campioni ottenuti mediante FHP sono omogenei ed esibiscono una densità relativa pari
a 85-95%, in base alla temperatura utilizzata. Il processo ha permesso di evitare la
degradazione dell’ HA, persino a 1500 °C e anche di ridurre la crescita dei grani. Le
proprietà meccaniche dei materiali compositi ottenuti sono superiori a quelle dell’ HA
ottenuta nelle medesime condizioni.
Conclusioni
La tecnica di FHP ha consentito di ottenere materiali compositi caratterizzati da resistenza
a flessione fino al doppio di quella esibita dalla sola HA, evitando la formazione di fasi
secondarie indesiderate. L’ ottenimento di materiali bioattivi a base di HA caratterizzati da
superiori proprietà meccaniche può rappresentare il primo passo per lo sviluppo di
scaffold porosi per sostituzione di segmenti di ossa sottoposte a carico.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
VETRI BIOATTIVI: DEVETRIFICAZIONE E COMPORTAMENTO INVITRO
L. Coren, L. Moimas e C. Schmid
Dipartimento dei Materiali e delle Risorse Naturali - SEZIONE Ingegneria dei Materiali e
Chimica Applicata -Università degli Studi di Trieste
I vetri bioattivi sono un importante materiale per applicazioni biomediche.
Le reazioni superficiali di scambio ionico con il fluido biologico portano
alla formazione di un intimo legame tra i materiali inorganico ed organico
(bioattivita’).
In questo lavoro si esamina la devetrificazione e l'influenza di
quest'ultima sul comportamento bioattivo in vitro di quattro composizioni
appartenenti alla classe large working range nel sistema
Na2O-K2O-MgO-CaO-B2O3-P2O5-SiO2.
La comparazione degli spettri Raman e XRD hanno permesso di
valutare la devetrificazione e di identificare le fasi cristalline. Per
valutare il rilascio di Ca, Na e K dei campioni amorfi e devetrificati e’
stato condotto il test di corrosione standard per vetri. I risultati
mostrano in generale un leggero aumento di rilascio totale nel caso dei
devetrificati, imputabile pero’ all’aumento di rilascio di K. Infine, nei
devetrificati risulta uno shift verso lunghezze d’onda maggiori del picco
relativo al asymmetric stretching mode.
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Studio dell’evoluzione delle caratteristiche superficiali del cemento
osseo a base di polimetilmetacrilato: Influenza dell’ ambiente
chirurgico
G.Cama1, R. Botter1, F.Barberis1, E.Finocchio2, G.Ramis2.
1
DICAT, Facoltà di Ingegneria, Università di Genova, P.le Kennedy 1, 16129 Genova
(Italy).
2
DICheP, Facoltà di Ingegneria, Università di Genova, P.le Kennedy 1, 16129 Genova
(Italy).
Obiettivo:
Obiettivo del presente lavoro e’ stato quello di simulare in laboratorio le condizioni nelle
quali avviene la polimerizzazione del cemento osseo a base di polimetilmetacrilato
nonche’ verificare l’influenza di additivi quali filler ceramici ed antibiotici sulla morfologia e
sulla natura chimica della superficie di contatto PMMA-tessuto osseo.
Materiali e Metodi:
Campioni di cemento osseo sono stati pertanto preparati mediante un nuovo metodo di
formatura che prevede la formatura del cemento in uno stampo le cui superfici sono
ricoperte da un film di gelo di agarosio al 4% w/w. Le caratteristiche delle superfici sono
state confrontate con campioni di riferimento formati in stampi con pareti in vetro.
Sono stati prodotti campioni di cemento osseo standard privo di solfato di bario additivati
con idrossiapatite, B-tricalcio-fosfato e Vancomicina.
I campioni sono stati caratterizzati mediante microscopia ottica, microscopia elettronica,
spettroscopia FT-IR, DR-UV–Vis-NIR, ed angolo di contatto dinamico. I campioni caricati
con antibiotico sono stati sottoposti a valutazione mediante curve temporali di rilascio.
Risultati :
Dal confronto fra i campioni formati nell’ambiente di riferimento e quelli creati in ambiente
umido e’ stato osservato un aumento della rugosita’ superficiale un incremento della
quantita’ di materiale inorganico in superficie, un aumento della quantita’ di antibiotico
rilasciata nel tempo, cosi’ come un aumento della velocita’ di rilascio.
Dal confronto tra i campioni contenenti B-TCP e i campioni contenenti Idrossiapatite si e’
osservato che a parita’ di frazione volumetrica di filler presente nel cemento il B-TCP si
accumula in superficie in quantita’ maggiori rispetto alla idrossiapatite.
L’analisi agli spettri infrarosso mostra anche una modifica della struttura superficiale del
B-TCP. Le bande relative ai modi vibrazionali dell’unità fosfato appaiono infatti di intensità
relativa e forma diverse in rapporto alle bande di B-TCP bulk.
I risultati ottenuti sono stati attribuiti al fatto che i filler utilizzati hanno tutti caratteristiche
idrofile. Nelle condizioni di formatura a causa di forze di taglio i filler entrano in diretto
contatto con la superficie dello stampo. In questo frangente assorbono acqua e pertanto
diventano meno affini al polimero che risulta invece prevalente idrofobo.
I filler idrofili, per queste ragioni, tendono a migrare e ad accumularsi in superficie.
Conclusioni
Il processo sviluppato ha permesso di porre in evidenza alcuni meccanismi mediante i
quali la superficie del cemento viene alterata da una polimerizzazione in ambiente umido.
In particolare e’ stata individuata una precisa tendenza dei filler ceramici, per natura
idrofili, a migrare attraverso la componente polimerica del cemento osseo per posizionarsi
all’interfaccia osso-cemento.
I risultati sopra esposti forniscono un nuovo punto di vista al fine di ottimizzare le
prestazioni superficiali e massive dei cementi ossei polimerici compositi.
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SULL´IMPORTANZA DELLA STIMA DELLA VELOCITA´ DI CONSUMO DI
OSSIGENO NELLA BIOINGEGNERIZZAZIONE DI PROTESI D´OSSO
Ilaria De Napoli, Gerardo Catalano.
Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali, Università della Calabria, Rende (CS).
Obiettivo: Lo sviluppo di protesi bioingegnerizzate per la riparazione di grandi difetti
d’osso è limitato dalla difficoltà di somministrare adeguate quantità di ossigeno e nutrienti
agli osteoblasti posizionati nelle zone più interne di costrutti porosi tridimensionali (3D) di
grandi dimensioni. La velocità a cui gli osteoblasti presenti nel costrutto consumano
ossigeno (OCR) svolge un ruolo fondamentale nel determinare il profilo spaziale di
concentrazione di ossigeno (pO2) che si realizza nei costrutti e nei bioreattori in cui le
cellule sono coltivate in vitro. In questo lavoro sono esaminate le stime di OCR disponibili
per vari modelli cellulari in vitro di osteoblasti umani, ne viene discusso l’effetto sui profili
teorici attesi di pO2 in costrutti 3D, viene proposta una tecnica per la stima corretta di
OCR da dati di letteratura, ed è stata verificata sperimentalmente su osteblasti di vitello
coltivati in adesione in piastre di Petri la bontà dei profili di pO2 previsti.
Materiali e metodi: Stime corrette di OCR di osteoblasti primari da calvaria di ratto fetale
sono state ottenute da OCR di letteratura mediante un modello per il trasporto di O2 verso
cellule in adesione su piastre di Petri. Con queste stime e con il modello sviluppato sono
state individuate condizioni di coltura normossiche, ipossiche ed anossiche variando la
altezza di mezzo e la pO2 in fase gas, ovvero usando piastre col fondo permeabile all’O2.
Osteoblasti isolati enzimaticamente da ossa lunghe di vitelli da macello di ca. 1 anno di
età sono stati coltivati per 2-3 settimane a 37°C, 4.5%CO2 al fondo di piastre di Petri
idrofilizzate alle condizioni individuate. La proliferazione cellulare è stata valutata col
saggio MTT. Con la produzione di alcalino fosfatasi (ALP) e la deposizione di minerali di
calcio stimata col metodo Von Kossa è stata valutata la differenziazione cellulare.
Risultati: OCR differenti sono riportate per cellule da fonti diverse e portano a profili di
pO2 in costrutti 3D significativamente diversi. Le stime di OCR ottenute portando in conto
il trasporto di O2 in piastre di Petri differiscono da quelle riportate fino al 20%. Le cellule
coltivate alla pO2 più bassa e sotto altezze di mezzo crescenti non esibiscono velocità di
proliferazione e differenziazione diverse come invece atteso se si fossero instaurati nel
mezzo i profili di pO2 spaziali previsti dal modello. Anche sotto la massima altezza di
mezzo e bassa pO2 in fase gas, gli osteoblasti proliferano in modo solo leggermente
inferiore a quelli coltivati a pO2 più elevata o sotto una altezza di terreno di coltura minore
nonostante per pO2=5% e sotto 5.3 mm di terreno di coltura il modello preveda condizioni
anossiche. La produzione di ALP non cambia significativamente con l’altezza di terreno di
coltura ma è significativamente più elevata a pO2=21% che a pO2=5%, cui corrisponde
una maggiore deposizione di minerali di calcio. Nelle piastre di Petri con fondo permeabile
all’O2 si osserva un ulteriore incremento nell’espressione dei marker di differenziazione
rispetto a cellule coltivate in piastre impermeabili.
Conclusioni: Lo scarso effetto delle diverse altezze di mezzo di coltura sul metabolismo
delle cellule usate suggerisce che il grado di ossigenazione sia rimasto ottimale a quasi
tutte le condizioni. Ciò suggerisce che la stima di OCR ottenuta per cellule da calvaria
fetale di ratto sia maggiore dell’OCR delle cellule usate, o che queste siano poco sensibili
all´O2. La migliore differenziazione cellulare ottenuta migliorando la somministrazione di
ossigeno nelle piastre permeabili all´O2 suggerisce che gli effetti visti siano dovuti ad una
errata stima di OCR e sottolinea l’importanza di sviluppare tecniche affidabili per la sua
valutazione.
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6 Un nuovo modo per studiare l’anatomia endodontica tramite la microtomografia
3D
PECCI R, BEDINI R, °PLOTINO G, °GRANDE NM, °SOMMA F.
Dip. Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità – Roma, °Istituto di Clinica Odontoiatrica, Univ.
Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
L’obiettivo di questo studio è stato la ricostruzione 3D di elementi dentari dalle particolari
caratteristiche anatomiche per verificare l’applicabilità della microtomografia 3D come
tecnica di riproduzione virtuale della realtà in endodozia.
Sono stati selezionati 3 primi molari superiori in cui era stata riscontrata dopo una prima
scansione per mezzo dello SkyScan 1072 (SkySkan, Kartuizersweg 3B, 2550 Kontich,
Belgium) la presenza del secondo canale (MP) nella radice mesio-vestibolare, 3 primi
molari inferiori in cui era stata riscontrata dopo una prima scansione microtomografica una
curvatura di circa 90° della radice mesiale e 3 apici di elementi dentari monoradicolati in
cui era stato riscontrato dopo una prima analisi microtomografica computerizzata più di un
forame apicale. I dati ottenuti attraverso l’analisi alla µCT sono stati analizzati tramite il
software di riproduzione delle immagini 3D del sistema SkyScan che ha elaborato, in
seguito alla scansione, le ricostruzioni 3D degli elementi dentari.
Le ricostruzioni mostrano in dettaglio la morfologia interna dei denti osservati. Nelle figure
vengono evidenziati alcuni esempi dei risultati ottenuti. In figura 1 viene mostrato un
esempio di primo molare superiore in cui si riscontra la particolare anatomia della radice
mesio-vestibolare: si nota che il 4° canale nasce non sul pavimento della camera pulpare
ma 3-4 mm al di sotto dell’imbocco del canale MV principale e il “loop” a livello del terzo
apicale di questo canale. Nella figura 2 si evidenzia un esempio molto frequente di
anatomia “a gancio” della radice mesiale di un primo molare inferiore, che presenta un
angolo di curvatura canalare di circa 90°. Inoltre si possono evidenziare le particolari
diramazioni apicali della radice distale. In figura 3 è riportato un esempio di come un
dente monocanalare possa presentare in apice un gran numero di porte di uscita: nel
caso particolare si sono riscontrati tre forami apicali ben distinti e di dimensioni simili.
Negli anni passati sono state sviluppate numerose tecniche per evidenziare le differenti
morfologie endodontiche. Analisi in 3D dell’anatomia dentale sono già state utilizzate in
passato per questo scopo attraverso l’elaborazione computerizzata di sezioni anatomiche.
Il principale svantaggio di quasi tutte queste metodiche era la necessità di distruggere il
campione da analizzare per poterne trarre delle informazioni. Attraverso l’utilizzo della
micro-tomografia 3D effettuata tramite la strumentazione Skyscan 1072 è oggi possibile
ricostruire fedelmente in 3 dimensioni le caratteristiche anatomiche degli elementi dentari
con una altissima definizione e soprattutto attraverso una analisi non distruttiva dei
campioni. Tale metodica rappresenta un mezzo efficace per lo studio della morfologia
dentale e si pone come un perfetto ausilio didattico nell’insegnamento dell’anatomia
dentale ed endodontica in particolare*. Inoltre, il fatto che sia possibile osservare e
studiare questi denti da differenti proiezioni e angolature ed in modo non distruttivo
rappresenta uno dei principali vantaggi di questa metodica per fornire un contributo al
miglioramento delle tecniche, dei dispositivi e della strumentazione utilizzate nelle cure
endodontiche.
*Mikrogeorgis G, Lyroudia K, Nikopoulos N, Pitas I, Molyvdas I, Lambrianidis TH. 3D computer-aided
reconstruction of six teeth with morphological abnormalities. Int Endod J 1999; 32:88-93.
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Usura tissutale di elementi dentali antagonisti a manufatti protesici in
composito
Bedini R, Pecci R, °Di Carlo F, °Persico S, Notarangelo GL, Zuppante F.
Dip. Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità – Roma, °Dip. Scienze Odontostomatologiche –
Univ.La Sapienza – Roma.
Ricercare il più adeguato materiale composito per la realizzazione di manufatti protesici
che provochino una usura dei tessuti dei denti antagonisti più simile a quella fisiologica.
I campioni utilizzati, suddivisi in 4 gruppi sono stati ventiquattro: quindici denti naturali,
estratti da pazienti in età compresa tra i 30 ed i 50 anni, tre realizzati in Diamond Crown,
tre in Gradia e tre in Ceramage, quest’ultimi materiali compositi policeramici utilizzati in
odontoiatria protesica. Prima di essere sottoposti alla prova di fatica, i denti, sia naturali
che sintetici, sono stati inglobati in una resina acrilica autoindurente (Jet-Kit Lang), quindi
sono stati acquisiti tramite strumentazione skyscan 1024 (SkySkan, Kartuizersweg 3B,
2550 Kontich, Belgium). Per le prove a fatica la strumentazione servoidraulica utilizzata è
stata l’858 MiniBionix (MTS Corporation, USA). La prova a fatica è stata eseguita tramite
l’applicazione di una forza assiale rappresentata da un segnale di tipo sinusoidale con
variazione di ampiezza compresa tra 34 e 340 N alla frequenza di 6 Hz e di uno
spostamento torsionale di tipo angolare variabile tra – 0,25° e + 0,25°, sempre alla
frequenza di 6 Hz per un numero di cicli pari ad un milione. Terminata la prova a fatica i
campioni sono stati nuovamente analizzati tramite lo skyscan. L’usura dentale è stata
valutata microscopicamente grazie alle immagini tridimensionali dei campioni ottenute con
lo Skyscan. Sovrapponendo l’immagine di un campione acquisito prima e dopo la prova, è
stato ottenuto come risultato che la zona della superficie dentale che è stata usurata
appare colorata diversamente*. Nella coppia formata da due denti naturali sottoposti alle
prove di fatica sono state ottenute delle aree di usura pari a 1,35 mm2 e 11,40 mm2 che
rappresentano per la nostra sperimentazione in-vitro i valori di riferimento per l’usura
fisiologica simulata. Il valore ottenuto per il campione in Gradia è stato di 4,95 mm2,
mentre l’usura dei tessuti della superficie occlusale del naturale antagonista è stata di 12
mm2.
Il campione realizzato in Diamond Crown e quello naturale antagonista hanno mostrato
due aree di usura quasi simili, 11,21 mm2 per il composito e 14,60 mm2 per il naturale.
Il campione in Ceramage e quello naturale antagonista hanno evidenziato delle aree
differenti, 12,52 mm2 per il composito e 4,02 mm2 per il naturale.
Dall’indagine sperimentale condotta, si evince che il comportamento del materiale
composito CERAMAGE, provoca un’usura minore del dente naturale antagonista rispetto
agli altri due compositi. Questo comportamento è dovuto al contenuto di ceramica
microfine, coadiuvato da un riempitivo a matrice polimerica organica che rafforza la
struttura omogenea, conferendo a questo materiale caratteristiche simili alla ceramica ma
con potere distruttivo più limitato nei confronti dei tessuti dentali. Tale materiale composito
è in grado di offrire un valido supporto nella riabilitazione protesica, in quanto, contrasta la
propria usura in maniera non eccessiva così da non provocare un’abrasione esagerata
dell’antagonista ed avvicinandosi ad un comportamento fisiologico rispetto agli altri
compositi.
*
Rossella Bedini, Salvatore Caiazza, Perla Filippini, Raffaella Pecci, Fabio Di Carlo,
Emanuela Prucher, Massimiliano Aiello, Manlio Quaranta. Usura dei tessuti dentali indotta
da ciclo masticatorio simulato in vitro: risultati preliminari. Rapporti ISTISAN 02/06, 24 p.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
VALUTAZIONE DELLA RIPARAZIONE DI DIFETTI CRITICI OSSEI CON
L’ IMPIEGO DI BIOMATERIALI A BASE DI SOIA
Giavaresi G1, Santin M2, Fini M.1, Nicoli Aldini N.1, Tschon M.1, Veronesi F.1, Salamanna
F1, Giardino R1.
1
Laboratorio di Chirurgia Sperimentale, Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna
2
Facoltà di Farmacia e Scienze Biomolecolari, Università di Brighton, UK
Obiettivo
I trapianti di osso autologo ed eterologo sono, ad oggi, il procedimento di scelta per la
ricostruzione ossea; tuttavia alcuni limiti ad essi legati giustificano l’ interesse per lo
sviluppo di biomateriali in grado di svolgere le stesse funzioni. Recentemente studi in vitro
ed in vivo hanno dimostrato che biomateriali a base di soia influiscono positivamente nel
differenziamento di osteoblasti e promuovono la guarigione di difetti ossei di dimensioni
non critiche.
Per questa ragione è’ stato eseguito uno studio in vivo per confrontare la rigenerazione
ossea in presenza di un biomateriale a base di soia (SB) e di un copolimero di 50:50 poli
D,L lattide-glicolide (Fisiograft®, Ghimas s.p.a. Casalecchio di Reno, Bologna)in un difetto
critico dell’ osso trabecolare.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto nel rispetto del D.L. 116/92 sulla sperimentazione animale.
In anestesia generale difetti critici (6 mm di diametro) sono stati creati bilateralmente a
livello del condilo femorale di conigli New Zealand adulti. I difetti sono stati trattati
rispettivamente con SB e Fisiograft®. Studi istologici ed istomorfometrici a 4, 8 e 24
settimane sono stati eseguiti allo scopo di valutare il grado di crescita ossea nel difetto ed
il rapporto fra osso neoformato e materiale. La crescita di osso trabecolare è stata
valutata mediante uno score semiquantitativo basato su una scala da 1 a 5 confrontando i
difetti di entrambi i femori.
Risultati
A 4 settimane Fisiograft® ha mostrato una maggiore presenza di osso trabecolare nel
difetto rispetto a SB in 4 casi su 6. In 2 casi trattati con Fisiograft® il difetto era
completamente occupato da osso. A 8 settimane nei casi trattati con SB si è osservata
una maggiore crescita ossea rispetto a Fisiograft® in 4 casi su 6. La presenza di granuli di
SB eccessivamente stipati nel difetto si accompagnava, nei controlli a 4 e 8 settimane, ad
una peggiore ricrescita ossea.
Al tempo sperimentale di 24 settimane entrambi i materiali hanno dimostrato un
soddisfacente pattern di ricrescita ossea nella maggior parte dei casi (tab. 1).
Tab.1 Score istomorfometrico del grado di crescita ossea
Materiale
SB
Fisiograft
4 settimane
2,1,0,3,1,0
5,4,1,1,0,5
8 settimane
0.1,4,4,4,4
1,3,0,0,2,1
24 settimane
5,2,3,0,1
2,2,0,5,4
Conclusioni
Il materiale a base di soia favorisce il processo di rigenerazione ossea senza interferire
con il processo di rimodellamento a lungo termine, con un comportamento simile a quello
del Fisiograft®. Tuttavia un eccessivo accumulo di SB nel difetto al momento dell’
impianto può ritardare sia la degradazione del materiale che il processo di rigenerazione
dell’ osso.
CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007
BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
Valutazione microtomografica della profondità di connessione conometrica di
un impianto dentale prima e dopo invecchiamento in-vivo
Bedini R., Pecci R., °Di Carlo F., ° Quaranta A.,°Quaranta M..
Dip.Tecnologie e Salute, Ist.Sup.Sanità, Roma, °Dip. Scienze Odontostomatologiche,
Università La Sapienza – Roma.
Scopo di questo lavoro è stata la valutazione mediante osservazione microtomografica
dell’interfaccia abutment-fixture (moncone-impianto) di impianti dentali a connessione
conometrica prima e dopo carico funzionale in-vivo.
Per la valutazione dell’interfaccia abutment-fixture e della relativa misura della superficie
di contatto con gap inferiore ai 10 micron sono stati analizzati 2 campioni di impianti a
connessione conometrica (Bicon, 501 Arborway, Boston, MA 02130,U.S.A.) delle stesse
dimensioni, con abutment di diametro 3 mm e fixture di diametro 4,5 e lunghezza 8 mm,
uno non impiantato ed uno espiantato.
L’attivazione dell’impianto ed il serraggio delle due componenti avviene mediante piccoli
urti perpendicolari all’asse di inserimento, come una specie di saldatura fredda delle
superfici a contatto garantendo al sistema la ermeticità della connessione con
conseguente sigillo batterico. Il campione 1 è stato attivato mediante applicazione di una
forza di urto perpendicolare all’asse di inserimento esercitata con un martelletto secondo
le indicazioni della casa produttrice. Il campione 2 è stato utilizzato come supporto di
protesi fissa ed estratto per mobilità successiva a trauma dopo 5 anni di lavoro nel cavo
orale.
Per valutare la precisione del sigillo ermetico della connessione conometrica sono state
calcolate le superfici laterali, che rappresentano effettivamente la conformazione
geometrica della zona di contatto tra abutment e fixture, tramite l’utilizzo di
strumentazione Skyscan modello 1072 (SkySkan, Kartuizersweg 3B, 2550 Kontich,
Belgium) I risultati mostrati in tabella rappresentano le aree delle superfici laterali di
contatto calcolate con il relativo valore dell’altezza (h) del sigillo ermetico per i campioni
esaminati.
Campione n.
h sigillo (mm)
Superficie Laterale (mm2)
1
2,28
14,61
2
2,60
16,95
Il campione 2, invecchiato in-vivo, presenta una superficie di connessione molto più
elevata. Alla luce dei risultati ottenuti in questa ricerca possiamo affermare che in questo
tipo di connessione conometrica si instaura tra le componenti un sigillo ermetico alla
penetrazione batterica sia in entrata che in uscita. Questi risultati confermano la ricerca
effettuata da alcuni Autori nel 2005, sulla colonizzazione batterica interna ed esterna nelle
componenti di connessione, la quale conclude che tale tipo di connessione ha dimostrato
di essere ermetica alla invasione batterica in vitro (1). Inoltre, vista la straordinaria
occasione del reperimento di un campione invecchiato in-vivo, possiamo ipotizzare che,
tale tipo di connessione con il tempo possa aumentare la superficie di contatto grazie alla
continua applicazione di carichi compressivi, mentre un tale tipo di sollecitazione ripetuta
nel tempo può convertirsi in vibrazioni, che possono provocare nei sistemi implantari con
connessione a vite, un iniziale ma spiacevole svitamento.
(1) Dibart S, Warbington M, Fan Su M, Skobe Z.In vitro evaluation of the Implantabutment Bacterial Seal: The Locking Taper System. Int. J Oral Maxillofac. Impl.
2005; 20: 5: 732-737
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BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
8 VETRI E VETROCERAMICI BIOATTIVI E ANTIBATTERICI
S.Ferraris*, M. Miola*, P. Robotti#, G. Bianchi#, S. Di Nunzio*, E. Vernè*.
*Dip. Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica, Politecnico di Torino, Torino, Italia
# Eurocoating SpA, Trento, Italia.
Obiettivo
Uno dei maggiori problemi legato alla chirurgia protesica è lo sviluppo di infezioni dovute
alla colonizzazione batterica dei materiali impiantati. La realizzazione di superfici che
siano contemporaneamente biocompatibili (e magari anche bioattive) e con proprietà
antibatteriche rappresenta un’interessante soluzione. L’antibattericità può essere conferita
al materiale attraverso l’introduzione di ioni argento, essi infatti sono noti fin dall’antichità
per la loro efficacia antimicrobica. L’argento inoltre presenta un ampio spettro d’azione e
uno scarso sviluppo di resistenze. In questo lavoro di ricerca l’argento è stato introdotto
sulla superficie di vetri e vetroceramici con differenti gradi di bioattività, attraverso il
processo di scambio ionico, che consente una modifica superficiale che lascia inalterate
le caratteristiche di bulk del materiale.
Materiali e metodi
Vetri e vetroceramici con differenti composizioni sono stati studiati sia in forma massiva,
per analizzare e ottimizzare il processo, che come rivestimenti realizzati via plasma spray
(Eurocoating) su substrati metallici, per mimare le possibili applicazioni. Le condizioni del
processo sono state variate in modo da ottenere un profilo di diffusione e una
concentrazione d’argento controllati. Tutti i campioni sono stati analizzati attraverso XRD,
SEM ed EDS prima e dopo il trattamento per determinare struttura morfologia e
composizione e per valutare le eventuali alterazioni indotte dal processo di scambio. I
rivestimenti sono stati testati anche per determinare rugosità, porosità e adesione. La
bioattività e il rilascio ionico sono stati valutati mantenendo i campioni in soluzione
fisiologica simulata (SBF) per differenti periodi. Nel primo caso i campioni sono stati
analizzati con le tecniche prima elencate, mentre nel secondo gli eluati sono stati
analizzati mediante spettrofotometria (GFAAS) per quantificare l’argento in soluzione. La
biocompatibilità è stata indagata mediante test di adesione e proliferazione cellulare.
Infine il comportamento antibatterico è stato testato attraverso due test secondo gli
standard NCCLS: valutazione dell’alone di inibizione e conta delle unità formanti colonie.
Risultati
Le osservazioni XRD, SEM e EDS mostrano che la struttura vetrosa o parzialmente
cristallina e la morfologia sono mantenute a seguito del processo di scambio ionico. Le
analisi GFAAS evidenziano un rilascio graduale di argento correlabile con i parametri di
trattamento. L’adesione dei rivestimenti risulta superiore ai limiti ISO per l’idrossiapatite. I
test cellulari indicano che la biocompatibilità è in genere mantenuta a seguito dello
scambio ma è strettamente collegata al quantitativo di argento rilasciato in soluzione.
Dalle prove di antibattericità si osserva che l’adesione e la proliferazione batterica sono
inibite dalla presenza di campioni sottoposti a scambio ionico.
Conclusioni
Lo scambio ionico è applicabile a vetri e vetroceramici di diverse composizioni in modo
riproducibile. È possibile introdurre con questa tecnica un quantitativo controllato di ioni
argento, che può essere gradualmente rilasciato in soluzione, sulla superficie del
materiale senza modificarne le proprietà morfologiche e strutturali. Confrontando i risultati
dei test microbiologici e cellulari è possibile valutare il quantitativo di argento necessario
per ottenere un comportamento antibatterico ma non citotossico e ottimizzare i parametri
di processo per caricarlo sulla superficie del materiale.
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BOLOGNA,
28-29 MAGGIO 2007
Studio al Microscopio a Forza Atomica del processo di formazione di
fibrille di collagene I ed implicazioni per la modifica superficiale di
dispositivi da impianto in osso
Marco Morra, Giovanna Cascardo, Clara Cassinelli
Nobil Bio Ricerche, Str. S. Rocco 36, 14018, Villafranca d’Asti
Obiettivo:
La modifica superficiale mediante molecole biologiche e’ una probabile via di evoluzione
dei dispositivi da impianto in osso. La letteratura indica che in questo settore sono
presenti due correnti di pensiero molto distinte: un approccio prevede l’uso di sequenze di
peptidi di adesione bioattivi, con l’assunzione che queste sequenze replichino il
comportamento della macromolecola proteica di cui sono parte. All’estremo opposto, e’
possibile immobilizzare in superficie intere molecole proteiche della matrice extracellulare,
tentando di replicarne anche la struttura supramolecolare. Abbiamo precedentemente
valutato l’effetto della modifica superficiale di dispositivi da impianto con collagene nativo
di tipo I. In questo lavoro vogliamo indagare la modifica superficiale mediante collagene I
dopo processo di self-assembling in fibrille. In particolare, eseguendo il processo di selfassembling in presenza di superfici che gia’ contengono collagene legato, ed operando in
condizioni di diluizione, si tenta di influenzare il processo di assemblaggio e cerscita delle
fibrille direttamente dalla superficie.
Materiali e metodi:
Collagene porcino di tipo I viene fibrillato in PBS a 37 C. Per lo studio AFM, il processo e’
condotto su superfici di mica tal quali e superfici di mica su cui e’ gia’ stato legato
collagene, mediante amminazione e successivo cross-linking. La concentrazione di
collagene e’ stata variata da 0.1 a 1x10-5%, la durata del processo di fibrillogenesi e’ di 24
h. La struttura delle fibre formate e’ stata osservata con un AFM SMENA MT-NDT,
operato in modo vibrazionale.
Risultati:
L’osservazione AFM su superfici di mica indica la formazione di fibrille con periodo di circa
67 nm, come atteso dalla letteratura (figura). La concentrazione di collagene in soluzione
gioca un ovvio ruolo sulla distribuzione e dimensione delle fibrille e non si osserva
formazione di fibrille dopo 24 h per concentrazioni inferiori a 1x10-4%.
Il confronto tra fibrille ottenute su superfici di mica gia’
collagenate e superfici “nude” indica un’influenza della composizione superficiale sulla
distribuzione e a concentrazioni di 1x10-2 appare evidente l’effetto dell’interazione tra
collagene di superficie e fibrille neo-formate.
Conclusioni:
La composizione superficiale del substrato e la concentrazione sono variabili che
consentono di modulare la formazione di strutture supramolecolari di collagene fibrillare
su dispositivi da impianto. L’influenza dello stato di aggregazione e della densita’
superficiale su parametri come la resistenza alla degradazione e l’interazione con cellule
suggeriscono l’importanza di questi aspetti nella progettazione di dispositivi da impianto
con superfici ingegnerizzate.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
STUDIO DI MATERIALI BIODEGRADABILI PER IL RILASCIO
COMBINATO DI FARMACI DA STENT VASCOLARI
D. Silvestri, C. Cristallini#, M. Gagliardi, N. Barbani and P. Giusti
Dip. Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali - Università di Pisa
#
Istituto Materiali Compositi e Biomedici IMCB, - CNR (Sez. Pisa)
Obiettivo
Lo scopo del presente lavoro è stato la caratterizzazione di un sistema biodegradabile
composito per il rilascio controllato e combinato di due principi attivi, al fine di limitare la
restenosi post-stenting nel settore cardiovascolare. In particolare, obiettivo primario è
stato lo studio ed il controllo della cinetica di rilascio simultaneo dei due farmaci, regolata
da processi diffusivi e dalla biodegradazione dei biomateriali polimerici selezionati.
Materiali e metodi
Per il raggiungimento delle finalità oggetto della ricerca, materiali biodegradabili quali
l’acido poli(lattico-co-glicolico) (PLGA), il poliidrossi(butirrato-co-valerato) (PHBV) e un
copolimero poli(caprolattone-poliossietilene-policaprolattone) (PCL-POE-PCL) di sintesi
sono stati indagati in termini di proprietà chimico-fisiche (SEM, DSC, TGA, FT-IR) e
funzionali (rilascio in vitro, interazione con materiali dello stent, caricamento e rilascio di
farmaci anti-restenosi). Come principi attivi sono stati selezionati il tacrolimus
(immunosoppressore) e il paclitaxel (antiproliferativo).
Risultati
Lo studio di sistemi compositi caricati con due farmaci (in forma di film multistrato o
contenenti microparticelle come carriers per il rilascio mirato) ha evidenziato un’elevata
potenzialità di tali sistemi; in particolare, la possibilità di ottenere un rilascio simultaneo e
sinergico di tacrolimus e paclitaxel (senza relativo ostacolo dei farmaci) dalla matrice
biodegradabile è stata confermata. Una cinetica di rilascio di tipo sigmoidale, con un
controllo del rilascio di tipo diffusivo nei primi giorni, ed un passaggio ad un rilascio a
controllo per erosione della matrice polimerica dopo circa 20 giorni, è risultata essere il
risultato più interessante dei test di rilascio in vitro. Questa seconda fase di rilascio
sembra garantire il raggiungimento di una delle finalità iniziali del lavoro, la messa a punto
cioè di una matrice in grado di rilasciare a medio e lungo termine una quantità di farmaco
superiore a quella rilasciata dai sistemi oggi in commercio (caratterizzati da rivestimenti
polimerici biostabili).
In aggiunta, il PLGA è risultato essere il materiale migliore in termini di adesività a
substrati di interesse come le superfici metalliche e carbo-rivestite. Infine, mediante
caratterizzazione chimico-fisica, sono state individuate le interazioni tra i diversi costituenti
e l’omogeneità dei coating polimerici caricati con farmaci anti-restenosi.
Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare che il lavoro svolto ha indicato le elevate potenzialità
insite nella realizzazione di una matrice composita biodegradabile per il rilascio
simultaneo di due farmaci anti-restenosi, agenti in maniera differenziata sui meccanismi
alla base della iperplasia neointimale. Ulteriori indagini sono comunque necessarie per
meglio valutare le possibili interazioni tra i due farmaci e l’effetto del loro rilascio
combinato anche a livello fisiologico.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
STRUTTURE NATURALI VEGETALI CON MORFOLOGIA COMPLESSA
PER LO SVILUPPO DI SOSTITUTI OSSEI
A. Ruffini, S. Sprio, A. Tampieri
ISTEC-CNR Faenza (RA)
Le malattie legate all'osso umano, sia di natura accidentale, degenerative o connesse
all'età, si presentano oggigiorno come un evento ad elevato impatto sociale. Lo sviluppo
di materiali sostitutivi in grado di rigenerare il tessuto osseo naturale è un intervento
mirato alla risoluzione di questo problema, in termini di miglioramento delle prestazioni
biofunzionali, delle proprietà meccaniche e dei tempi di recupero dei degenti. Questo è
possibile avendo a disposizione materiali con un elevato livello di biomimetismo, sia in
termini chimici che strutturali. Nonostante lo svilupparsi negli ultimi anni di una gran
varietà di scaffolds bioceramici in grado di garantire un buon compromesso in termini di
mimetismo, micro e macro porosità e resistenza meccanica, essi presentano ancora una
struttura "disorganizzata" spesso insufficiente ad adattarsi agli stress in vivo e ai carichi
fisiologici. In alternativa, l'uso di strutture altamente organizzate ottenute da trasformazioni
di strutture naturali vegetali attraverso processi di ceramizzazione, possono essere in
grado di adattarsi costantemente ad ogni cambiamento di tipo meccanico e fisiologico. Lo
scopo di questo lavoro è quello di illustrare la possibilità di ottenere materiali biomimetici
con struttura gerarchicamente organizzata, partendo da templanti vegetali per mezzo di
trasformazioni chimico-fisiche, senza alterarne la morfologia di partenza. In questa
direzione sono stati sviluppati metodi che comprendono il processo di pirolisi della pianta,
l'infiltrazione in fase liquida e vapore di templanti carboniosi e successiva sintesi chimica
col fine di ottenere un materiale biocompatibile.
Una serie di campioni estratti da abete o larice sono stati pirolizzati in argon a 1000°C.
Successivamente il templante carbonioso è stato fatto reagire con calcio metallico in fase
liquida e in fase vapore (a seconda delle condizioni di cottura, approssimativamente tra
1500 e 1800°C) al fine di ottenere una struttura in CaC2 morfologicamente uguale. Le
condizioni per trasformare il CaC2 in CaCO3 (precursore di molte sintesi nella
preparazione di materiali bioceramici) sono state preventivamente studiate su materiale
commerciale. Tutte le fasi del processo sono state costantemente monitorate per mezzo
di caratterizzazioni XRD e SEM-EDS, al fine di valutare la corrispondenza chimico-fisica e
microstrutturale. Nel processo di pirolisi viene mantenuta la struttura di partenza ma si
osserva un'elevata riduzione di volume, fattore da considerare nella fase di scelta dei
materiali naturali di partenza. Solo la reazione tra fase vapore di calcio e pirolizzato a
1650°C ha dato origine allo sviluppo completo del carburo di calcio, a dimostrazione che il
processo dipende fortemente sia dal ciclo termico, sia dalla disposizione dei materiali
all'interno della camera di cottura. La trasformazione del carburo a carbonato di calcio è
stata messa a punto in autoclave in condizioni di temperatura, pressione o flusso di gas
controllati. Attualmente si è in grado di raggiungere un elevato grado di conversione
mediante l'ausilio di un ambiente ricco di acqua e anidride carbonica in stato gassoso. La
fosfatazione del carbonato, già ampiamente documentata in bibliografia sarà l'ultimo step
nello sviluppo del materiale biocompatibile ricercato.
Un processo di ceramizzazione a più stadi, partendo da sorgenti naturali vegetali, è
attualmente in via di sviluppo col fine di ottenere scaffolds biomimetici con struttura
altamente organizzata. Questo potrà aprire le porte allo sviluppo di materiali con proprietà
e prestazioni straordinariamente simili ai tessuti umani.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
SCHIUME POLIURETANICHE E COMPOSITI CON CALCIO FOSFATI
PER L’INGEGNERIZZAZIONE DEL TESSUTO OSSEO
S. BERTOLDI1, S.FARE’1, G.CIAPETTI2, M.C. TANZI1
1
BIOMATLAB, DIPARTIMENTO DI BIOINGENGERIA - POLITECNICO DI MILANO, MILANO;
LABORATORIO DI FISIOPATOLOGIA DEGLI IMPIANTI ORTOPEDICI - ISTITUTI ORTOPEDICI RIZZOLI,
BOLOGNA
2
Obiettivo: Tra i materiali polimerici proposti per impieghi nell’ingegnerizzazione del
tessuto osseo, sono state studiate schiume poliuretaniche reticolate (PUF) a lenta velocità
di degradazione e loro compositi con calcio fosfati (CaP).
Materiali e metodi: Utilizzando due diverse miscele di polioli (denominati EC ed EF), MDI
polimerico ed acqua come agente espandente, sono state sintetizzate due tipologie di
schiume a diverso grado di idrofilicità (con gli espansi EC meno idrofilici degli espansi
EF). I compositi sono stati ottenuti caricando in fase di sintesi e/o rivestendo le matrici con
idrossiapatite (HA, A6021, Plasma Technik) o con tri-calcio fosfato in fase α (α-TCP,
CNR-CSFM “G. Ciamician”, BO), al fine di migliorarne le proprietà meccaniche e favorire
l’osteointegrazione. I compositi rivestiti con CaP sono stati immersi in Simulated Body
Fluid (SBF) fino a 21 giorni, per imitare le condizioni che si ritrovano in vivo nell’ambiente
extracellulare. Prima e dopo il trattamento in SBF, è stata misurata la variazione di peso
degli espansi ed i campioni sono stati osservati al SEM; sulle matrici rivestite con CaP
sono state inoltre condotte analisi XRD ed EDS. Per valutare in vitro la crescita e
l’espressione genica di cellule mesenchimali stromali (MSC) e di osteoblasti primari umani
(HOB), sono state seminate e coltivate MSC e HOB fino a 5 settimane sulle matrici e sui
compositi caricati. La morfologia cellulare è stata analizzata mediante osservazione al
SEM; dopo 5 settimane di coltura è stata inoltre determinata la sintesi di ALP ed
osteocalcina mRNA da parte delle cellule.
Risultati: Le schiume di tipo EF hanno mostrato una migliore capacità di essere rivestite
con HA e α-TCP rispetto alle schiume EC; ciò è presumibilmente imputabile al maggior
grado di idrofilicità degli espansi EF. Dopo il trattamento in SBF, per le schiume rivestite
con α-TCP si è riscontrato un incremento ponderale, dovuto al cambiamento di fase verso
HA. Tali risultati sono stati confermati anche dall’analisi XRD. I risultati della
sperimentazione in vitro hanno evidenziato che la vitalità di HOB e MSC, a partire dalla
quarta settimana di coltura, risulta maggiore nei compositi rispetto alle matrici. Per tutti i
campioni, la sintesi di ALP è risultata maggiore per le MSC che per HOB, mentre la sintesi
di osteocalcina mRNA si è rivelata più elevata per gli espansi di tipo EC e per il composito
EF caricato con α-TCP. Inoltre, le cellule seminate sugli espansi EF caricati, in particolare
con α-TCP, hanno sintetizzato più ALP ed osteocalcina mRNA rispetto alle cellule
seminate sulle sole matrici EF.
Conclusioni: Il metodo di rivestimento utilizzato ha permesso di ottenere un coating
omogeneo sugli espansi. Inoltre, i processi di caricamento e rivestimento delle matrici con
CaP hanno migliorato l’ostoconduttività degli scaffold; infatti, le MSC crescono
rapidamente e differenziano in osteoblasti, che potranno poi dare origine a nuovo tessuto
osseo. Al fine di valutare l’osteoconduttività in vivo, è in corso una sperimentazione che
ha previsto l’impianto per 8 settimane di espansi di tipo EF caricati con CaP in difetti creati
in radio di coniglio.
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
Scaffolds biomimetici per la rigenerazione del tessuto osseo e
cardiaco
Elisabetta Rosellini1, Caterina Cristallini2, Niccoletta Barbani1, Paolo Giusti1,2
1
Dip. Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali, Università di Pisa
2
Istituto per i Materiali Compositi e Biomedici (IMCB-CNR), Pisa
Obiettivo: Nel corso di un processo morfogenetico, fondamentali risultano essere le
interazioni dinamiche che hanno luogo tra una popolazione di cellule e il microambiente
che le circonda, costituito essenzialmente dalla matrice extracellulare (MEC) e dalle
molecole bioattive (fattori di crescita e citochine) in essa contenute. La composizione della
MEC svolge un ruolo chiave nella regolazione dei processi di proliferazione, migrazione e
differenziamento cellulare. Per tale ragione, la realizzazione di scaffolds per l’ingegneria
tissutale è oramai focalizzata sulla preparazione di omologhi della matrice extracellulare,
al fine di creare un ambiente ideale per la crescita dei tessuti. Obiettivo del presente
lavoro è stato la preparazione di scaffolds con una composizione simile a quella della
MEC naturale, per la rigenerazione del tessuto osseo e cardiaco.
Materiali e metodi: Spugne a base di alginato (ALG) e collagene (CLG), in composizione
20:80, sono state preparate come supporto per la rigenerazione del tessuto cardiaco. Tali
materiali, reticolati con ioni calcio e per via chimica, mediante esposizione ai vapori di
glutaraldeide, sono stati sottoposti ad un bagno di coagulazione in acido acetico, al fine di
promuovere le interazioni tra i due biopolimeri; successivamente è stato effettuato il
processo finale di liofilizzazione. Spugne a base di collagene e idrossiapatite (HA), con
rapporto in peso 20:80, sono state studiate per l’ingegnerizzazione del tessuto osseo. In
questo caso è stata compiuta una reticolazione per via enzimatica, utilizzando l’enzima
transglutaminasi. Entrambi i sistemi sono stati quindi caratterizzati dal punto di vista
morfologico, chimico-fisico, funzionale e biologico.
Risultati: L’analisi morfologica ha dimostrato un elevato grado di porosità, con pori
interconnessi, per il sistema ALG/CLG; per le spugne CLG/HA si è osservata una struttura
disomogenea e porosa, dove i microgranuli di HA sono rivestiti e tenuti insieme dalla
matrice di CLG. La caratterizzazione chimico fisica ha rivelato, per entrambi i sistemi,
l’instaurarsi di interazioni tra i due componenti. L’indagine compiuta mediante Chemical
Imaging ha riscontrato una buona omogeneità dei composti per tutto lo spessore dei
campioni. Prove di swelling e di degradazione idrolitica hanno mostrato una idonea
stabilità dei materiali in ambiente acquoso. I risultati ottenuti nella prova di degradazione
enzimatica hanno evidenziato la suscettibilità dei campioni all’attacco enzimatico,
dimostrando che entrambi i tipi di reticolazione non modificano in maniera sostanziale le
caratteristiche di biodegradabilità della matrice di collagene. Per quanto riguarda la
caratterizzazione biologica, prove in vitro di coltura cellulare sono state condotte sugli
scaffolds ALG/CLG con mioblasti scheletrici di linea (C2C12). Le strutture di supporto si
sono rivelate capaci di sostenere la proliferazione cellulare e promuovere il
differenziamento. Per gli scaffolds CLG/HA le prove sono state condotte con cellule
staminali mesenchimali ed anche in questo caso le cellule hanno aderito e proliferato.
Conclusioni: Il presente lavoro ha mostrato come strutture di supporto con una
composizione simile a quella della MEC naturale costituiscono un ambiente ideale per la
proliferazione ed il differenziamento cellulare. Tali scaffolds potranno quindi costituire la
base per la realizzazione di sistemi imitanti l’ambiente in cui in vivo avviene lo sviluppo dei
tessuti. Questo potrà essere ottenuto, ad esempio, mediante caricamento con sistemi a
rilascio controllato di fattori di crescita.
CONGRESSO NAZIONALE BIOMATERIALI 2007
BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
MATRICI POROSE DI POLICAPROLATTONE (PCL) OTTENUTE
MEDIANTE L'INVERSIONE DI FASE
V. Corradini1, K. Filipczak2, L.A. Pajewski1, J.M. Rosiak2
1
Dipartimento di Chimica, Ingegneria Chimica e Materiali, Università di L'Aquila,
Italia
2
Instytut Chemii Radiacyjnej, Technical University of Lodz, Poland
Il poli(ε-caprolattone) PCL è un polimero biodegradabile di sintesi, noto per la sua
biocompatibilità.
La sua capacità di biodegrado viene largamente sfruttata nella costruzione di dispositivi
medici come ad esempio le suture chirurgiche bioerodibili o sistemi di somministrazione
controllata di farmaci (Drug Delivery Systems).
Il lento processo di biodegrado del PCL suggerisce l'idea di utilizzarlo come supporto per
la rigenerazione dei tessuti nelle applicazioni di ingegneria tissutale. In particolare l'idea
base del presente studio è l'utilizzo di matrici porose in PCL come impalcatura (scaffold)
per le applicazioni in campo ortopedico con l'obiettivo di promuovere la riparazione
tissutale del disco intravertebrale a partire da un impianto temporaneo in PCL poroso.
Un simile materiale, destinato al supporto e al sostegno per le cellule che dovrebbero
colonizzarlo, richiede una particolare porosità interna data da pori interconnessi, la cui
dimensione media deve essere ottimizzata in funzione del tessuto.
Per realizzare una matrice porosa in PCL con queste caratteristiche è stata utilizzata una
soluzione del polimero di peso molecolare medio 80 kDa (Aldrich pos. 440744) in
acetone (Fluka, pos. 00568). Poiché l'acetone è solubile in acqua ma non lo è il
policaprolattone, è sufficiente procedere all'estrazione dell'acetone dalla soluzione del
polimero mediante l'acqua per ottenere un solido poroso. La porosità risultante da tale
processo è piuttosto caotica e di difficile controllo.
Si è proceduto quindi all'aggiunta alla soluzione del polimero in acetone di polveri di
cloruro di sodio di granulometria controllata. La presenza di questa sospensione di
particelle solide nella massa fluida permette di controllare i processi di ritiro durante
l’inversione di fase. In questo caso si ottiene una matrice porosa più uniforme rispetto al
processo di estrazione dell'acetone dalla soluzione di PCL senza le particelle solide
sospese.
Un successivo leaching in acqua permette di estrarre anche il cloruro di sodio che passa
in soluzione acquosa.
Si è indagato sulla distribuzione dei pori nella matrice solida di PCL dopo l'inversione di
fase in funzione del rapporto fra la massa delle polveri aggiunte e la massa della
soluzione del polimero e in funzione della granulometria delle stesse.
La sperimentazione è stata condotta secondo un disegno fattoriale 3x3 con fattori
"percentuale di massa di polveri aggiunte" e "granulometria delle polveri", entrambi con tre
livelli.
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BOLOGNA,, 28-29 MAGGIO 2007
INDICE DI OSTEOGENESI PERIIMPLANTARE IN IMPIANTI ENDOSSEI
DI TITANIO A DIVERSA SUPERFICIE
Bacchelli B.*, Trirè A.*, Franchi M.*, Martini D.*, De Pasquale V.*, Orsini E.*, Quaranta
M.*, Ottani V.*, Giavaresi G.**, Fini M.**, Giardino R.**, Ruggeri A.*.
* Dipartimento di Scienze Anatomiche Umane e Fisiopatologia dell’Apparato Locomotore
(Sezione di Anatomia Umana), Università di Bologna, Italy.
**Dipartimento di Chirurgia Sperimentale, Istituto di Ricerca Codivilla- Putti, Istituto
Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italy.
•Obiettivo: La valutazione istologica del grado di osteogenesi periimplantare precoce,
attraverso l’interpretazione di diversi parametri morfometrici, risulta spesso difficilmente
comparabile nelle diverse superfici implantari ed anche nei diversi studi sperimentali. Lo
scopo di questo studio è stato quello di rilevare un indice unico e riassuntivo dei
parametri considerati sino ad oggi in letteratura per la valutazione dell’integrazione
implantare.
•Materiali e metodi: In questo studio 72 viti endossee di titanio a diversa superficie
implantare (T = liscia; TPS= titanio plasma spray; SL-Zr= sabbiata con zirconia; SL-Al=
sabbiata con allumina) sono state inserite in diafisi tibiali di pecore ed analizzate al
Microscopio Ottico, al SEM e al TEM dopo 2 e 4 settimane. Le sezioni istologiche sono
state poi analizzate per una valutazione morfometrica considerando il BIC tot (osso
neoformato a diretto contatto con l’impianto), il BIC old (osso ospite a diretto contatto con
l’impianto), il BIC new (osso neoformato a diretto contatto con l’impianto), il BI (osso
neoformato), il BS/BV (rapporto tra perimetro ed area dell’osso neoformato). Alcune
sezioni sono state sottoposte a test di microdurimetria valutando l’HV 200 (microdurezza
dell’osso neoformato distante 200μm dall’impianto).
•Risultati: A due settimane dall’impianto, trabecole di osso neoformato a fibre intrecciate,
con ampi spazi midollari e a contatto delle superfici implantari erano presenti nelle aree
ove tra osso ospite ed impianto preesisteva uno spazio. Nessun quadro di osteogenesi si
osservava ove l’osso ospite era a diretto contatto con l’impianto. Mentre negli impianti T si
osservava prevalentemente osteogenesi cosiddetta a distanza, negli impianti a superficie
rugosa si osservava sia osteogenesi a distanza che a contatto; quest’ultima appariva
particolarmente evidente negli impianti SL-Zr e SL-Al. A quattro settimane dall’inserzione
implantare lo spazio impianto-osso ospite comprendeva osso neoformato con spazi
midollari ridotti e definiti ed organizzato in una rete tridimensionale di trabecole osse. Lo
spessore delle trabecole osse appariva maggiore negli impianti a superficie rugosa (TPS,
Sl-Zr e SL-Al) ove in alcune aree le trabecole di osso a fibre intrecciate venivano
parzialmente sostituite da trabecole di osso lamellare. L’analisi morfometrica per i
parametri considerati (BIC tot, BIC old, BIC new, BI e BS/BV) e la valutazione
microdurimetrica mostrava valori differenti nei diversi impianti sia a 2 che a 4 settimane.
•Conclusioni:I parametri di valutazione, espressi in percentuale, del grado di osteogenesi
periimplantare nelle diverse superfici implantari risultavano di difficile comparazione, in
quanto nessuna superficie mostrava in assoluto valori più elevati per ogni parametro
considerato. Nessun parametro preso singolarmente poteva poi essere considerato di
maggior importanza rispetto agli altri o comunque espressione di una migliore
osteogenesi periimplantare. Per questo motivo e per definire quale superficie potesse
favorire nel complesso una migliore osteogenesi periimplantare si proponeva un indice
unico che comprendeva geometricamente la somma dei valori dei singoli parametri.
Secondo questa logica le superfici implantari che a quattro settimane dall’impianto
favoriscono una precoce fissazione biologica, premessa della osteointegrazione
impiantare, risultano le superfici sabbiate.
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BOLOGNA, MAGGIO 2007
DNA DELIVERY THROUGH
SPECIFICALLY DESIGNED CATIONIC NANOSPHERES
1
1
1
1
2
2
F. Giannone , M. Ballestri , L. Tondelli , K. Sparnacci , M. Laus
Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF), Area della Ricerca CNR, Via Piero
2
Gobetti 101, 40129 Bologna. Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Vita, Università
del Piemonte Orientale, Via Bellini 25G, 15100 Alessandria.
AIM
DNA synthetic vectors based on polymeric systems are very promising since they are safe
and able to protect DNA from enzymatic degradation, thus improving its in vivo
bioavailability. In addition, they are easy to prepare on large scale and to store. Within this
frame, we here present a novel class of polymeric cationic core-shell nanospheres,
specifically designed to reversibly bind DNA on their functional and hydrophilic surface.
MATERIALS AND METHODS
Functional core-shell nanospheres were obtained by emulsion polymerization of
methylmethacrylate in the presence of both steric and electrostatic stabilizers
(WO2005/048997). The polymerization reaction was performed at 80±1.0°C for 2 hours
under constant stirring. At the end of the reaction, the product was purified by repeated
dialysis against water to remove the residual monomer and comonomers. After this
procedure, the polymeric nanoparticles were dried under vacuum at room temperature. The
DNA binding/release ability was investigated on selected samples of nanospheres in cellfree experiments in the presence of physiologically relevant buffers.
RESULTS
Several samples of cationic nanospheres were prepared by emulsion polymerization. Their
core is mainly constituted by poly(methylmethacrylate) whereas the highly hydrophilic shell
is constituted by hydrosoluble copolymers bearing positively charged functional groups, able
to reversibly bind DNA, and by poly(N-isopropylacrylamide) (NIPAM) chain brushes, able to
improve the biocompatibility. In contrast to many liposomes and polycation formulations,
these nanospheres can be obtained in large scale reactors with highly homogeneous size.
The nanosphere aqueous suspensions are stable at room temperature and can be
lyophilized and stored for several months. The presence of poly(NIPAM) chains in the outer
shell is potentially able to induce thermosensitive behavior. The most homogeneous
samples were selected for cell-free DNA binding/release experiments in physiologically
relevant buffers and shown to be able to adsorb very high amounts of DNA (up to 15% w/w).
CONCLUSION
Functional PMMA core-shell nanospheres, obtained by emulsion polymerization, are able to
bind high amount of plasmid DNA and to release it. They represent a promising delivery
systems for DNA molecules for both therapeutic and vaccine approaches. In the latter case,
a reduction of the amount of DNA and number of required immunization could be of
paramount importance for vaccination costs and manufacturing, especially in developing
countries.
ACKNOWLEDGEMENTS
This work was supported by grants from the Italian AIDS Research Program (Istituto
Superiore di Sanità) and from the Italian Concerted Action for HIV-AIDS Vaccine
Development (ICAV).
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BOLOGNA, MAGGIO 2007
Design Considerations for a Multi-DOF Kinematic Spine Simulator with
Load Following
W.Conrads1, J.Lusk1, T.Nickel1
1
Bose Corp. – ElectroForce Systems Group, Eden Prairie, MN, USA
INTRODUCTION: The kinematic analysis of the spine remains the subject of dialogue among researchers
because of its complex biomechanics. As the industry for spinal devices and therapies continues to grow
there is an increased interest in characterizing the motion of the spine. In response to this need, a 6 degreeof-freedom, 9 controlled-axes spine simulator has been designed to evaluate the functional kinematics of
the spine under various simulated conditions. The simulator is able to provide loading and motion to a
single functional spine unit (FSU), a spine segment, or the full spine. Typical applications for the
Kinematic Spine Simulator include, but are not limited to, research of spinal fixation methods, interbody
fusion, intervertebral disc research, and general spine biomechanics research.
METHODS: The Spine Simulator utilizes a servo-pneumatic axial/torsion testing system as its base
platform and utilizes a combination of translational and rotational actuators for additional motion. Each
axis is independently controlled and incorporates independent measurement capabilities (including loads,
moments, torques, and rotations). Table 1 describes the simulator forces and motions.
RESULTS: Figure 1 shows representative test data and includes the forces, torques, displacements, and
rotations associated with axial loading and rotation, A-P and left-right translation, flexion-extension, and
lateral bending. One unique feature of the simulator is its ability to provide pure bending in both
flexion/extension as well as lateral bending. Another unique feature is the ability to maintain a compressive
preload throughout bending via closed-loop controlled load following.
DISCUSSION & CONCLUSIONS: The 6 DOF Full Spine Simulator was developed to allow the
researcher to perform a variety of tests related to spine kinematics. The goal was to provide a system
configuration that was suitable for quasi-dynamic simulation of typical spine kinematics and representative
load bearing activities.
Various characteristics of the spinal components (single or multiple FSU) can be measured. These
measurements can be useful for population of stiffness matrices indicating the spinal response to multiple
loading conditions. This information can be useful in comparison between normal physiologic response
and response after spine alteration, e.g. fusion and implants.
Fig. 1: Motion and Force plot from the
Kinematic Spine Simulator.
35
40
30
30
25
20
20
10
15
0
10
-10
5
-20
0
-30
-5
-40
0
1
2
3
4
Time (seconds)
5
6
7
8
Motions
6 DOF Spine Simulator Motions
Forces
Table 1. 6 DOF, 9-Axes Kinematic Spine
Simulator Forces and Motions
Load
Motion
Axial
±5.6 kN
±50 mm
Rotation
±74 Nm
±50o
Flex./Ext.
±15 Nm
+120o/-60o
Lat. Bend
± 15 Nm
±60o
Ant./Post.
±1000 N
±50 mm
Left/Right
±1000 N
±50 mm
Load
1200 N
40 mm
Follower
(compression)
(linear
travel)
FE Ang Su (deg)
FE Mnt Su (Nm)
FE Mnt Inf (Nm)
Lat B Mnt Su (Nm)
Lat B Mnt In (Nm)
Axl Disp (mm)
Axial Rot (deg)
FE Ang Inf (deg)
Lat B Ang Su (deg)
Lat B Ang In (deg)
AP Disp Sup (mm)
LR Disp Sup (mm)
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BOLOGNA, MAGGIO 2007
DEGRADAZIONE IDROLITICA DI NANOFIBRE DI POLIESTERE
ELETTROFILATE
Chiara Gualandi,1Mariastella Scandola,1M.Letizia Focarete,1Piotr Dobrzynski,2 Michal Kawalec2
1
Dip. di Chimica G. Ciamician, Università di Bologna, Via Selmi 2, 40126 Bologna
2
Institute of Polymers and Carbon Materials, Zabrze, Poland
Obiettivo.
L’elettrofilatura è una tecnica che permette di produrre nanofibre polimeriche in
forma di tessuto-non-tessuto (mat). Questa tecnologia ha recentemente trovato applicazione nel
campo innovativo dell’ingegneria tessutale (1). Tale disciplina nasce con lo scopo di rigenerare
tessuti danneggiati utilizzando un supporto artificiale (scaffold) temporaneo su cui fare crescere
le cellule per formare un nuovo tessuto in vitro. Supporti nanofibrosi elettrofilati risultano molto
promettenti poichè sono topologicamente simili alla matrice extracellulare dei tessuti biologici.
Con l’elettrofilatura è possibile produrre scaffold costituiti da nanofibre con diametro ed
orientazione desiderati attraverso un accurato controllo dei parametri di processo. Tale aspetto
è molto importante poichè è noto che la micro/nano-architettura dello scaffold è determinante
nell’indirizzare il comportamento cellulare. In questo lavoro sono stati fabbricati scaffold
polimerici nanofibrosi da elettrofilatura costituiti da poli(lattide-co-glicolide), un copoliestere
notoriamente biocompatibile e bioriassorbibile. Lo scaffold così prodotto è stato sottoposto ad
un studio di degradazione idrolitica in vitro in condizioni fisiologiche per verificare l’effetto della
nanostrutturazione sul processo di degradazione.
Materiali e Metodi.
E’ stato ultilizzato un copolimero statistico poli(lattide-co-glicolide)
(PLGA50:50) sintetizzato mediante un iniziatore a bassa tossicità a base di zirconio (IV)
acetilacetonato (2). L’ apparecchiatura di elettrofilatura è stata costruita presso il gruppo di
ricerca. Per la caratterizzazione delle nanofibre si è fatto uso di DSC, TGA, SEM e GPC.
Risultati.
Lo studio del processo di elettrofilatura del PLGA50:50 ha mostrato che la
composizione della soluzione di partenza gioca un ruolo cruciale nel determinare la dimensione
delle fibre e la presenza o meno di difetti. La variazione dei parametri strumentali (distanza agocollettore, differenza di potenziale e velocità di flusso della soluzione) permette poi di controllare
in maniera più fine la morfologia delle fibre. L’ottimizzazione dei parametri sperimentali ha
portato alla produzione di un mat costituito da fibre con diametro medio di 800 nm. Questo
scaffold è stato sottoposto a prove di degradazione idrolitica per un tempo totale di 50 giorni. Le
nanofibre di PLGA50:50 hanno mostrato un calo di massa molecolare fin dai primi giorni, una
perdita di peso significativa a partire dal 20° giorno circa e contemporaneamente un evidente
cambiamento di morfologia (aumento della porosità delle fibre). Inoltre la distribuzione dei pesi
molecolari delle nanofibre si mantiene monomodale nel corso della degradazione, diversamente
da quanto riportato in letteratura per oggetti macroscopici costituiti da copolimeri acido latticoacido glicolico. Per questi ultimi è noto che la degradazione è un processo autocatalitico che
avviene a partire dall’interno e la distribuzione dei pesi molecolari in questo caso diventa
multimodale nel corso dell’idrolisi (3). La monomodalità della distribuzione dei pesi molecolari
delle nanofibre suggerisce quindi che oggetti di dimensioni sub-micrometriche subiscono una
degradazione omogenea su tutta la matrice polimerica.
Conclusioni. Lo studio dei parametri sperimentali del processo di elettrofilatura ha permesso
di comprenderne l’influenza sulla morfologia delle fibre. È stata poi determinata la cinetica di
degradazione idrolitica del mat di PLGA50:50 elettrofilato.
Riferimenti
1. A.G. Mikos et al., Tissue engineering, 12, 1197-1211 (2006)
2. P. Dobrzynski et al., Macromolecules, 34, 5090-5098 (2001)
3. M. Vert et al., Die Angew. Makrom. Chem., 247, 239-253 (1997)
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BOLOGNA, 28-29 MAGGIO 2007
Crescita e differenziamento osteogenico su scaffold di cellule hASC
(human Adipose-derived Stem Cells)
de Girolamo L.1;2, Sartori M.F.1., Bastoni S3., Rimondini L4., Weinstein R2., Brini A.T1.
1
Dipartimento di Farmacologia Chemioterapia e Tossicologia medica, Facoltà di Medicina,
Università degli Studi di Milano
2
IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano
3
Istituto di Scienze Ortopediche Traumatologiche Reumatologiche e Riabilitative,
Università degli Studi di Milano
4
Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo
Avogadro
La scelta di un’opportuna tipologia di cellule è il primo passo per ottenere un buono
sviluppo di un tessuto bioingegnerizzato. Un’adeguata fonte cellulare per la Tissue
Engineering dovrebbe essere innanzitutto disponibile in elevata quantità, espandibile in
vitro per numerose generazioni, essere in grado di acquisire un pattern di espressione
proteica simile a quello del tessuto da rigenerare, e infine, mostrare un’adeguata capacita
di integrazione con i tessuti circostanti. Le cellule mesenchimali staminali possiedono tali
caratteristiche, ma il loro isolamento dal midollo osseo risulta spesso poco efficiente, data
la scarsità di tessuto prelevabile, e dipendente dall’età del donatore.
Le cellule mesenchimali isolabili dal tessuto adiposo (hASC, human Adipose-derived
Stem Cells) possiedono caratteristiche di staminalità sovrapponibili a quelle delle cellule
staminali mesenchimali isolate dal midollo osseo (BMSC) e presentano inoltre il vantaggio
di poter essere più facilmente prelevabili e in maggiori quantità data l’accessibilità e
l’abbondanza del tessuto adiposo. Inoltre la resa cellulare delle hASC è molto elevata e,
contrariamente a quella delle BMSC, sembra essere indipendente dall’età del donatore.
In lavori precedenti abbiamo dimostrato la capacità delle hASC di generare in vitro cellule
della linea osteogenica con alta efficienza .
In questo studio presentiamo i risultati del differenziamento in vitro delle hASC, a diversi
tempi, verso la linea osteogenica, in presenza di alcuni scaffold quali titanio (Permedica
S.p.A), osso bovino deproteinizzato (Bio-Oss®, Geistlich), osso umano (Banca del
Tessuto Muscolo-Scheletrico, Regione Lombardia), e idrossiapatite.
Le cellule hASC, predifferenziate in vitro per un mese o differenziate direttamente sullo
scaffold, mostrano una buona capacità di adesione ai vari supporti testati, come mostrato
dalle osservazioni al Microscopio Elettronico a Scansione, e in nessun caso sono stati
osservati fenomeni di citotossicità. Sia le hASC predifferenziate in monostrato, sia quelle
differenziate sugli scaffold mostrano una significativa deposizione di matrice calcificata
come dimostrato con colorazione Alizarin Red S, con alcune differenze tra i vari scaffold
testati. Possiamo quindi concludere che le hASC differenziano con efficienza verso la
linea osteogenica mostrando un ottimo adattamento in vitro a diversi biomateriali e
mantenendo inalterato, o in alcuni casi aumentando, il loro potenziale differenziativo,
portando, in ultima analisi, ad indicare le hASC come una promettente tipologia cellulare
per l’impiego nella rigenerazione del tessuto osseo.
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CELLULE MESENCHIMALI UMANE DIFFERENZIATE IN SENSO
CONDROGENICO SU BIOMATERIALE A BASE DI ACIDO
IALURONICO ESPRIMONO FATTORI COINVOLTI NELL’OMEOSTASI
DEL TESSUTO CARTILAGINEO
Gina Lisignoli*, Anna Piacentini*, Cristina Manferdini*, Katia Codeluppi*, Francesco
Grassi*, Andrea Facchini*°.
*Istituti Ortopedici Rizzoli, Laboratorio di Immunologia e Genetica, Bologna.
°Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia. Bologna
La cartilagine articolare è un tessuto costituito prevalentemente da matrice extra-cellulare
prodotta dai condrociti che è incapace di auto-ripararsi inseguito a traumi. La matrice in
questo tessuto ha il ruolo di regolare le funzioni condrocitarie che a loro volta regolano il
turnover fisiologico del tessuto. Il mantenimento dell’omeostasi della cartilagine articolare
dipende anche da fattori solubili, quali le chemochine che modulano a loro volta il rilascio
di enzimi degradativi quali le metalloproteinasi.
Abbiamo valutato in vitro il differenziamento in senso condrogenico di cellule
mesenchimali umane cresciute su un biomateriale a base di acido ialuronico a vari tempi
sperimentali (giorno 1, 7, 14, 21). In particolare, abbiamo utilizzato tecniche di biologia
molecolare, istochimica e immunoistochimica per valutare la proliferazione cellulare,
fattori della matrice cartilaginea, chemochine e rispettivi recettori. Inoltre abbiamo
valutato tali fattori anche su cartilagine articolare sana. Abbiamo trovato che durante il
processo di differenziamento aumentava significativamente l’espressione di collagene II,
IX, aggrecano e diminuiva quella del collagene tipo I. L’analisi delle chemochine e dei
recettori ha evidenziato che durante la condrogenesi in vitro i recettori CXCR1, CXCR2,
CXR3 e la chemochina CXCL10 non venivano espresse. La chemochina CXCL8 veniva
rilasciata ai vari tempi sperimentali ma non più espressa a livello molecolare.
L’espressione del recettore del CXCR4 e del suo ligando CXCL12 venivano inibiti durante
il processo di condrogenesi così come quello della chemochina CXCL13. Al contrario, il
recettore di tale chemochina il CXCR5 aumentava significativamente durante il processo
di condrogenesi. L’espressione di tali fattori è stata confermata anche su cartilagine
articolare sana.
Questi dati dimostrano che il differenziamento in senso condrogenico di cellule
mesenchimali umane su biomateriale a base di acido ialuronico (componente
fondamentale della matrice extra-cellulare della cartilagine) determina la modulazione in
senso positivo o negativo sia di fattori della matrice cartilaginea sia di fattori direttamente
coinvolti nei processi di mantenimento dell’omeostasi cartilaginea in linea con quanto
espresso dalla cartilagine sana. Inoltre tali dati indicano che tale modello in vitro è
sicuramente utile per capire i processi che possono portare ad uno sbilanciamento
dell’espressione di fattori diretti responsabili delle alterazioni della struttura di questo
tessuto.
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CARATTERIZZAZIONE E SVILUPPO DI UN INNOVATIVO LIPIDE
CATIONICO AUTOASSEMBLANTE PER LA TERAPIA GENICA
Candiani G.,1,2 Pellegrini C.,1 Pezzoli D.,1,2 Cabras M.,1 Chiesa R.,3 Cigada A.,3 Zanda M.1
1
C.N.R. - Istituto di Chimica del Riconoscimento Molecolare, Milano, Italia. 2 BioCell Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica G. Natta, Politecnico di Milano,
Milano, Italia. 3 Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica G. Natta,
Politecnico di Milano, Milano, Italia.
Il presente lavoro è finalizzato alla caratterizzazione chimico fisica e biologica di un
innovativo lipide cationico autoassemblante e del relativo complesso lipide/DNA
(lipoplesso), al fine di ottimizzare l’efficacia del processo di trasfezione.
E’ stato sintetizzato un nuovo lipide cationico a base triazinica (C14) del quale è stata
valutata la Concentrazione Micellare Critica (CMC). C14 è stato complessato con il
plasmide della pEGFP e i relativi lipoplessi sono stati caratterizzati mediante esperimenti
di Gel Retardation Assay (GRA), Dynamic Light Scattering (DLS), Doppler Electrophoretic
Light Scattering (DELS), Scanning Electron Microscopy (SEM), Differential Scanning
Calorimetry (DSC). Gli esperimenti di trasfezione con C14 sono stati condotti su diverse
linee cellulari in assenza ed in presenza di siero, in confronto con Lipofectamine™ 2000 e
FuGene®, due dei più performanti trasfettanti in commercio.
La CMC di C14 è risultata essere di circa 25 mM. Nelle condizioni di utilizzo, mediante
GRA, la completa complessazione del plasmide avviene a rapporti di carica (CR) ≥ 10.
Le dimensioni medie e la carica superficiale dei lipoplessi C14/pEGFP hanno mostrato un
minimo comune in corrispondenza di CR 10 (20 ± 5 mV; 295 ± 9 nm) e le immagini al
SEM ne hanno evidenziato la forma irregolare. L’analisi DSC ha mostrato che la
formazione dei lipoplessi è spontanea (ΔG < 0), endotermica (ΔH > 0), rapida
(tcomplessazione < 5 min) e conduce a complessi stabili nel tempo. Questi risultati hanno
permesso di individuare le migliori condizioni di trasfezione: CR 10 con tempo di
complessazione superiore a 5 min.
Le trasfezioni condotte in assenza di siero (OptiMEM®, ttrasfezione = 4 ore) hanno evidenziato
una bassa citotossicità e un’elevata efficienza di trasfezione. L’ottimizzazione del
protocollo di trasfezione in condizioni simil-vivo (10% FBS) è stata condotta aumentando il
ttrasfezione a 48 ore, con risultati decisamente migliori sia in termini di citotossicità che di
efficienza di trasfezione.
L’accurata caratterizzazione chimico-fisica ha permesso di individuare le condizioni
ottimali per la formazione di lipoplessi a bassa citotossicità, alta efficienza di trasfezione
ed elevata stabilità nel tempo. C14, utilizzato in presenza di siero, è risultato più
performante sia in citotossicità che in efficienza di trasfezione rispetto a Lipofectamine™
2000 e FuGene®. Questi risultati aprono la strada alla sua applicazione in vivo.
La semplicità ed economicità di sintesi del composto C14, combinate con le elevate
prestazioni negli esperimenti di trasfezione, lo rendono un candidato ideale per la
commercializzazione nel settore biomedicale.
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Surface characterization and effects on SaOS-2 cell behavior of enzimaticallytailored, surface-linked pectic polysaccharides
G. Ceccone, I. Liakos, D. Gilliland (EC-JRC-IHCP, I), C. Della Volpe, S. Siboni (UniTN,
I), R. Verhoef , W. Schols (WU, NL), B. Jorgensen, P. Ulvskov (DIAS Dk), C. Bussy, MD
Nagel (UTC, F), G. Cascardo C. Cassinelli, M. Morra (NBR, I)
Introduction
The exploitation of the bio-active properties of polysaccharides covalently linked to materials
surfaces is a rapidly growing area of biomaterials surface science. Recent findings on bioactivity of
plant carbohydrate polymers1 are spurring an activity of “biomolecular scouting” and suggest that
pectic polysaccharides are promising flexible molecules for novel bioactive surfaces. Importantly,
pectic polysaccharides can be engineered by targeted enzymatic treatments. This study, which is
part of a CE-founded multidisciplinary project (www.pecticoat.org), is aimed at the evaluation of
properties of surface linked apple pectic rhamnogalacturonans (RG-I) and its fractions obtained by
enzymatic treatment. This polysaccharide is predominantly substituted by arabinan side chains and
contains a rather large proportion of xylogalacturonan.
Materials and Methods: Pectin ramified region was prepared as described by Schols et al.2 by
treatment of Golden Delicious apples pulp with enzyme (Rapidase C600). After purification, the
obtained fraction (MHRα) was further treated as follows: (i)MHRSα in which all ester linked
substituents are removed, (ii)MHRSα-ara where arabinan side-chains (hairs) length is much
reduced, (iii)MHRSα-gal that are treated to decrease galactan content, (iv)MHRSα-ara/gal-: in
which there is a decrease of both the galactose and arabinose content and enrichment in
rhamnogalacturonan and xylogalacturonan. Different fractions were characterized by chemical
analysis and High Performance Size Exclusion Cromatopgraphy (HPSEC). Fractions were
covalently linked to polystyrene (PS) surfaces aminated by glow discharge plasma3 and analysed
by X-ray Photoelectron spectroscopy (XPS), Time of Flight Secondary Ion Mass Spectroscopy
(ToF-SIMS), Atomic Force Microscopy (AFM), contact angle measurement. Moreover, adhesion,
growth and specific alkaline phosphatase (ALP) activity of osteoblast-like SaOS2 cells were
evaluated on the different samples.
Results: All tested fractions yield very hydrophilic surfaces as expected from the chemistry of the
polysaccharide. XPS results indicate that all pectins fractions are successfully bounded to the
aminated PS plates. No major differences in chemical compositions amongst the samples are
noticed, the enzymatic treatments performed yield structural, rather than stoichiometrical,
modifications.. ToF-SIMS analyses confirm the XPS results. Results of cell adhesion and specific
activity tests show that all MHR modified surfaces decrease SaOS2 cell adhesion with respect to
TCPS, cells generally adopt a rounded morphology and spread partially only on MHRSα-ara/gal.
Differences between cell adhesion data are significant for all couples except MHRSα-ara vs.
MHRSα-gal. The ratio between the latter value and cell density yields the specific ALP activity.
Interestingly, specific ALP activity is up-regulated for all surfaces over that of TCPS, suggesting
that MHRs coated surfaces present interfacial properties more suitable for osteoblast
differentiation. Specific differences among the different fractions, and their relationship with
MHRs structures, are currently under investigation.
Acknowledgements and References
$
This work is carried out within the EU STREP Project # 517036 (PECTICOAT).
1. Bioactive Carbohydrate Polymers, Paulsen B. S. Ed., Kluwer The Netherlands, 2000
2. Schols et al., 1990, Carbohydrate Res, 206, 117-129
3. M. Morra et al. Biomacromolecules, 5, 2094, 104