MORANDINI in pillole

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MORANDINI in pillole
pensieri e parole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di
un critico DOC
MORANDINI in pillole
di Morando Morandini
Rohmer diceva
che nei suoi
film tutto è
fortuito tranne
il caso al quale,
però, si oppone
sempre una
scelta morale
Il mio caro Rohmer – E’ un caso raro nella storia della distribuzione cinematografica di casa nostra: tutti i 25 lungometraggi di Rohmer sono arrivati in Italia, eppure, tolti due o tre
titoli, non hanno mai avuto da noi un vero successo di pubblico.
Eppure, nonostante fosse il più vecchio (ma esordì tardi, a 39
anni), il più colto e squisito, non ebbe mai la notorietà dei suoi
compagni della Nouvelle Vague come Truffaut, Godard,
Chabrol, Malle. Dalla Mostra di Venezia 1984 mi venne da scrivere che il suo cinema potrebbe avere per insegna una frase di
Hugo von Hoffmansthal: “La profondità va nascosta. Dove? In
superficie”. E’ un classico più che romantico, ma crede nel
cuore. Osa essere semplice perché ha la capacità di esserlo.
Fa del buon cinema con i buoni sentimenti (la fedeltà coniugale, per esempio), ma col santo controllore dell’ironia. Cineasta
della trasparenza, si situa nel cinema francese all’opposto di
Bresson: alla pratica del silenzio e della profondità contrappone il ricorso alla parola (dunque, agli attori) e l’epifania del
visibile. E’ il solo che in
quasi mezzo secolo di
lavoro ha fatto dei cicli
(“Racconti
morali”,
“Commedie e proverbi”, i
“contes” delle 4 stagioni). A differenza di
Truffaut che faceva film
d’amore, i suoi sono film
sull’amore che per lui
passa sotto vari nomi: desiderio, seduzione, controllo della
ragione, narcisismo, perversione, piacere. Diceva che nei suoi
film tutto è fortuito tranne il caso al quale, però, si oppone
sempre una scelta morale, dunque la volontà. In Francia e
fuori, nessuno sa come lui mettere in immagini l’erotismo – o
la chiamano sensualità? – con arte e grazia. Una delle sue
qualità è una liberatoria immediatezza (del fare esperienza
delle cose e delle persone per quel che sono) che esenta lo
spettatore dalla smania dell’interpretazione per indurlo a
osservare senza giudicare e a gustare il piacere del testo.
Avatar – Per la prima volta ho avuto tra le mani il pressbook di
un film nel quale soltanto il cast occupa 19 (diciannove) pagine. Altre 10 su 64 sono dedicate ai rapporti tra attori e personaggi alieni. Sto parlando di Avatar, che sul vocabolario della
lingua italiana Zingarelli indica: “Reincarnazione, ritorno, trasformazione. Personaggio virtuale che in un programma di
intelligenza artificiale si adegua alle esigenze dell’interlocutore”. Per il Dizionario dei film Zanichelli 2011 ho fatto una scheda di 32 righe, lunghezza massima consentita 60 battute,
riservata a un film su cento. Ho impiegato quattro ore a scriverla, prima in brutta e poi in bella, e l’ho messa da parte.
Quando l’avrò rivisto per la seconda volta, cercherò di correggerla e magari di scorciarla, ma sarà difficile.
10
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
gennaio-febbraio 2010
E’ RISAPUTO CHE DI ERIC ROHMER
esistono poche fotografie, mentre
solo una cerchia ristretta di persone
può vantarsi di aver fatto la sua
conoscenza. Senza aver raggiunto gli
estremi di un Salinger, del quale si
ignora persino l’aspetto fisico,
Rohmer apparteneva alla non folta
schiera di autori che alla vanità di
questo mondo preferiscono
un’estrema riservatezza. Tanto più
sorprendente apparve perciò la
decisione di materializzarsi a Venezia
nel 2001per ritirarvi il Leone d’Oro
alla carriera. Come spesso accade,
anche quella occasione fu il frutto di
una fortuita coincidenza. In un anno
contrassegnato dall’abbondanza di
buoni film francesi, Cannes aveva
rifiutato (tra le polemiche) La
nobildonna e il duca. Visto il film in
proiezione privata in una saletta del
Marché, mi resi conto che si trattava
invece di un film sorprendente, una
rivisitazione storica dell’epoca della
rivoluzione francese che doveva
moltissimo della sua riuscita
all’utilizzo di inediti effetti speciali.
Una dimostrazione, se mai ce ne fosse
bisogno, dello straordinario talento
creativo di un regista tra i più originali
di tutti i tempi. Il produttore non
vedeva l’ora: il dubbio era se Rohmer
avrebbe accettato di fare un’eccezione
alla regola di non accompagnare
alcuno dei suoi film ad un festival. Per
questo, mi parve già miracoloso che
accettasse di incontrarmi a Parigi,
negli uffici della Pathé. Un
appuntamento al quale mi presentai
emozionato come un liceale all’esame
di maturità e durante il quale Rohmer
si limitò ad ascoltare le ragioni con le
quali cercavo di scalfire la sua ben
nota ritrosia. La risposta affermativa