Istituti, strumenti, spunti metodologici e operativi

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Istituti, strumenti, spunti metodologici e operativi
A. Amato – A. Antonicelli – A. Antonucci – E.F. Carità – D. Gramegna
G. Ialacqua – V.B. Muscatiello – R. Nitti – M. Piscitelli – R. Primerano
R. Rossi – G. Selicato – V. Triggiani – A. Uricchio – V.F. Uricchio
Traffico
transfrontaliero
di rifiuti
istituti, strumenti,
spunti metodologici ed operativi
Mario Adda Editore
ISBN 9788880827467
© Copyright 2008
Mario Adda Editore - via Tanzi, 59 - Bari
Tel. e Fax +39 080 5539502
Web: www.addaeditore.it
e-mail: [email protected]
Tutti i diritti riservati.
Impaginazione: Sabina Coratelli
5
INDICE
Presentazione dell’Assessore all’Ecologia della Regione Puglia
Presentazione del Comandante Regionale “Puglia”
della Guardia di Finanza
Presentazione del Direttore Generale dell’Agenzia Regionale
per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente
Il manuale ed il progetto S.CO.R.I.A.: brevi note introduttive 15
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21
Sezione i
profili giuridici e normativi
Alessandro Amato
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti nel regolamento CE 1013/2006
e successive modifiche e integrazioni
1.
2.
3.
Premessa 1.1.Ambito d’applicazione. Le procedure per la spedizione
all’interno della Comunità con o senza transito
attraverso paesi terzi
1.2. La necessità di un contratto finalizzato al recupero o allo
smaltimento dei rifiuti oggetto di notifica.
La garanzia finanziaria
1.3. I rifiuti che devono essere accompagnati da determinate
informazioni. Il disaccordo in merito alla nomenclatura
dei rifiuti
1.4. La ripresa dei rifiuti quando la spedizione non può essere
portata a termine come previsto e in caso di spedizione
illegale
1.5.I divieti
Il regolamento CE n. 801/2007
Il regolamento CE n. 1418/2007
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6
4. Il regolamento CE n. 1379/2007
5.Le importazioni
6.In conclusione: le principali caratteristiche del sistema relativo alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti
7. La continuità normativa tra il regolamento Cee 259/1993
e il regolamento CE 1013/2006. L’art. 259 del D.lgs. 152/2006
e il traffico illecito e la spedizione illegale di rifiuti
8. Un caso particolare: la spedizione di rifiuti misti
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Renato Nitti
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti
1.
2.
3.
4.
5.
Premessa Quando una sostanza o un materiale è un rifiuto 2.1. Il primo confine della nozione di rifiuto: il sottoprodotto 2.2. Il secondo confine della nozione di rifiuto: materie, sostanze,
prodotti secondari. Ovvero quando finisce il recupero
del rifiuto
2.3.Esclusioni
Come classificare un rifiuto
Come codificare un rifiuto
Individuazione delle Operazioni di gestione dei rifiuti: disciplina
5.1. Produzione di rifiuti 5.2. Gestione di rifiuti 5.2.1.Raccolta 5.2.2.Trasporto 5.2.3.Smaltimento 5.2.4.Recupero 5.3. Spedizione transfrontaliera 5.3.1.Nozione 5.3.2.Disciplina 5.3.3.La disciplina del regolamento comunitario 5.3.4.La disciplina nazionale applicabile 5.3.4.1.Disciplina documentale 5.3.4.2. Disciplina dei titoli abilitativi 5.3.5. Conclusioni 51
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6.Cenni sulla disciplina dei titoli abilitativi
7.Cenni sulla disciplina documentale 8. Gli illeciti penali 8.1.La violazione della disciplina dei titoli abilitativi 8.1.1.I reati in tema di rilascio dei titoli abilitativi 8.1.2.I reati in tema di assenza di titoli abilitativi 8.1.2.1.La contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 256:
attività di gestione di rifiuti non autorizzata 8.1.2.2.La contravvenzione di cui all’art. 256 comma secondo 8.1.2.3.La contravvenzione di cui all’art. 256, terzo comma:
discarica abusiva 8.1.3.I reati in tema di violazione dei titoli abilitativi 8.1.3.1. La contravvenzione di cui all’art. 256 quarto comma 8.2.La violazione della disciplina documentale 8.3. Il traffico illecito di rifiuti 8.3.1.La contravvenzione di traffico illecito di rifiuti di cui
all’art. 259 8.3.2.Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito
di rifiuti: art. 260
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Vincenzo Bruno Muscatiello
Il diritto ambientale in Albania
1.La situazione ambientale
1.2.Località a rischio ambientale
1.3.Altre fonti d’inquinamento
2.Il dato normativo
2.1. La Costituzione e le leggi speciali
2.2. La gestione dei rifiuti
2.3. Il diritto penale ambientale
2.3.1. La parte speciale
3.Il diritto penale in the books e in the facts
3.1. Gli sviluppi del problema
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Vittorio Triggiani
I rifiuti in Puglia
Inquadramento normativo
1.L’emergenza socio-economico-ambientale
107
1.1.Stato di emergenza e attribuzioni della gestione commissariale 107
1.2.L’attuazione dell’emergenza
109
1.3.La transizione verso il rientro all’ordinario
112
2.L’ordinamento regionale di settore
113
2.1.Le funzioni delegate
113
2.2. La disciplina dello smaltimento dei rifiuti speciali provenienti
da fuori regione
117
3. Il Catasto Regionale dei Rifiuti
120
Roberto Rossi
Il controllo di polizia giudiziaria del traffico transfrontaliero dei rifiuti
1. Premessa
2. Il concetto di rifiuto
3. I criteri discretivi per individuare il rifiuto
4. Il controllo del traffico dei rifiuti: controllo documentale
e controllo sostanziale
5. La spedizione dei rifiuti transfrontaliera
6.Il controllo prima dell’arrivo in dogana
7.Il controllo in dogana
7.1.Il ruolo del personale della dogana
7.2. La qualifica di polizia giudiziaria
7.3.La bolletta doganale come atto pubblico
7.4. Obblighi di controllo del personale di dogana
8. Il ruolo di controllo operativo della PG nella materia dei rifiuti
8.1.Il controllo documentale
8.2.Il controllo sostanziale
8.3. Gli adempimenti: il verbale di accertamento
8.4. Gli adempimenti: il sequestro
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9
Antonio Uricchio
La cooperazione internazionale in materia doganale
tra scambio di informazioni, poteri di inseguimento
e sorveglianza transfrontaliera
1.Struttura e competenza dell’Agenzia delle dogane
2.La cooperazione in materia doganale e la tutela degli interessi
finanziari dell’Unione Europea e degli Stati membri
3.Lo scambio di informazioni quale strumento privilegiato
di cooperazione internazionale
4.Le altre forme di cooperazione amministrativa: l’inseguimento
e la sorveglianza tranfrontaliera, le consegne controllate,
le operazioni di infiltrazione, l’istituzione di squadre
investigative speciali
5.Rapporti tra l’estensione della giurisdizione tributaria
ai tributi doganali e il codice doganale comunitario
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Gianluca Selicato
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali e le attività di controllo
dell’Amministrazione finanziaria: strumenti e informazioni a disposizione
delle autorità
1. Il contributo offerto dal fisco alla lotta ai traffici illeciti di rifiuti
2.Il diritto tributario gioca d’anticipo nella repressione
del crimine transnazionale
3.La cooperazione amministrativa e gli strumenti informatici
utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per il controllo
dei traffici tra Italia ed Albania
3.1.Cooperazione amministrativa e altre fonti di informazione
nel sistema delle imposte indirette. Considerazioni
attorno alla pluralità di soggetti coinvolti nel prelievo dell’Iva,
delle accise e dei tributi doganali ed al conseguente
ampliamento delle attività investigative
3.2.Scambio di informazioni e banche dati dell’Amministrazione
finanziaria al servizio dell’accertamento ai fini reddituali:
i principali istituiti di diritto interno e comunitario
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10
4.
3.3.Segue: le altre fonti informative previste dal diritto
internazionale tributario
188
Pluralità di soggetti coinvolti nel prelievo dell’Iva, delle accise
e dei tributi doganali e conseguente ampliamento
delle attività investigative
190
4.1. Recenti orientamenti legislativi in materia di imposta
sul valore aggiunto ed elemento soggettivo del tributo.
La struttura dell’Iva e le sue connessioni con gli altri
“tributi armonizzati”
191
4.2. La soggettività passiva nelle accise. Le figure tipiche
del depositario autorizzato, dell’operatore professionale
e del rappresentante fiscale e le indagini nei loro confronti
193
4.3.Soggettività passiva e presupposto dei tributi doganali.
I controlli in materia doganale: rinvio
199
4.4. La rilevanza dell’Iva e dei suoi meccanismi di controllo
nel sistema dei traffici tra Italia e Albania
204
4.4.1.Le frodi nel sistema dell’Iva e la loro possibile connessione
con i traffici di rifiuti: fattispecie tipiche e strumenti di contrasto,
tra soluzioni legislative ed attività di controllo
206
4.4.2.Il debole deterrente del reverse charge e la sua limitata
applicazione ai traffici di rifiuti tra Italia ed Albania
211
4.4.3.La cooperazione amministrativa in materia di Iva con
particolare riferimento allo scambio automatico
di informazioni
217
11
Sezione ii
profili tecnici, tecnologici ed operativi
Amedeo Antonucci, Giuseppe Ialacqua, Egidio Francesco Carità
L’intervento della guardia di finanza nei controlli sul traffico transfrontaliero di
rifiuti – progetto “S.CO.R.I.A.”
1.
2.
3.
4.
Il programma Interreg IIIA – 2000/2006 – Italia-Albania
Il termine “rifiuto” e le interpretazioni comunitarie
L’intervento della guardia di finanza nel traffico transfrontaliero
dei rifiuti e lo scopo del progetto “S.CO.R.I.A.”
Quadro normativo di riferimento
4.1.Il sistema delle fonti del diritto doganale
4.2.La normativa di base
4.3.Integrazione della normativa comunitaria e nazionale
4.4. Principi guida della politica doganale comunitaria
per la lotta alle frodi ed ai traffici illeciti
5.Il rapporto doganale ed il dispositivo di vigilanza nazionale.
Poteri attribuiti ai militari della guardia di finanza
5.1. Procedura per l’introduzione delle merci nel territorio
doganale della comunità
5.2.La normativa di base
5.3. Presentazione della dichiarazione doganale
5.4.Controllo della dichiarazione, liquidazione dei diritti
e svincolo delle merci
5.5.Revisione della dichiarazione e controlli a posteriori
presso gli operatori con i paesi terzi
5.6.L’attività di intelligence
5.7. Servizi fissi all’interno degli spazi doganali
5.7.1.Vigilanza ed assistenza
5.7.2.Riscontro
5.8.Servizi di vigilanza dinamica fuori dagli spazi doganali
5.8.1.Controlli su strada
5.8.2.Zona di vigilanza doganale terrestre e marittima
5.9.Controlli a posteriori presso le imprese che effettuano
interscambio di beni con l’estero
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12
6.
Progetto “S.CO.R.I.A.” – attività della Guardia di Finanza in Puglia
6.1. Premessa
6.2.Analisi del fenomeno
6.3. Movimentazioni transfrontaliere tra l’Albania e la Puglia
(Bari, Brindisi e Lecce)
6.4. Prospettive del progetto S.CO.R.I.A.
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Domenico Gramegna
Tipologia dei rifiuti
1. Premessa
2. Rifiuti urbani
3. Rifiuti da demolizione
4.Fanghi di depurazione
5. Pneumatici
6. Scarti di legno
7. RAEE
8.Fluff di frantumazione
9. Veicoli fuori uso
10. Rifiuti prodotti da processi termici
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Roberto Primerano
Spedizioni transfrontaliere dei rifiuti
Procedure e regimi di controllo
1. Inquadramento normativo
1.1. Verifica documentale
1.2. Controllo dei rifiuti
1.2.1. Classificazione
1.2.2. Il Codice Europeo dei Rifiuti
1.2.3. Procedure di attribuzione del C.E.R.
1.3. Caratterizzazione dei rifiuti
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13
Vito Felice Uricchio
Le nuove frontiere della tecnologia per la gestione della conoscenza
1. Rapporti tra tecnologia ed intelligence
2. L’intelligence nel settore ambientale
3. Gli scenari dell’innovazione nell’intelligence ed i sistemi
informativi nazionali e regionali
4.Le principali banche dati gestite dalle istituzioni centrali dello Stato
5.Le principali banche a valenza ambientale della Regione Puglia
6.L’esperienza pugliese
7. Il Data Warehousing
8.Il Data mining ed i suoi algoritmi a supporto dell’attività
investigativa.
9.Il Text Mining o Text Data Mining
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349
Antonello Antonicelli, Massimiliano Piscitelli
La gestione dei rifiuti in Puglia: stato dell’arte e prospettive future
1.
La pianificazione dei rifiuti urbani e speciali
1.1. La pianificazione in regime ordinario 1.2. La pianificazione in regime commissariale 1.3.Stato di attuazione degli interventi previsti
dalla pianificazione
1.4. Stato di attuazione degli Ato in Puglia 1.5 La produzione dei rifiuti solidi urbani e
la raccolta differenziata
1.6.Azioni di sostegno per l’incremento della raccolta
differenziata
1.7. La pianificazione in materia di rifiuti speciali
2.Le spedizioni transfrontaliere
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La Puglia, collocata in un quadrante geografico storicamente caratterizzato da una vivacità di scambi commerciali con i popoli d’Oriente e d’Occidente che le hanno regalato capacità di crescita culturale, ricchezze, prosperità
ma anche conflitti ed aggressioni, richiede oggi più che mai una particolare attenzione nella valorizzazione delle interazioni positive e nel contrasto di quelle
potenzialmente dannose.
In tale direzione, le Forze dell’Ordine hanno registrato significativi successi nel contrasto di sodalizi criminosi dediti ai traffici illeciti di clandestini, di
droghe e di armi, maturando esperienze che oggi sono proficuamente indirizzate contro traffici illeciti di rifiuti.
In aggiunta, la consapevolezza da parte della Regione Puglia e di tutti
gli attori istituzionali coinvolti, della necessità di un approccio basato sulla più
spinta collaborazione multidisciplinare in grado di intensificare la cooperazione ed il coordinamento tra gli organismi nazionali e regionali preposti all’informazione ed alla repressione del crimine attraverso un mutuo scambio di esperienze e di pareri, può determinare un significativo incremento dell’efficacia dei
controlli agendo sulla dissuasione e sulla prevenzione dei traffici illeciti.
Su questa nuova visione di sinergie e di interlocuzioni nasce l’esigenza
di comunicare in modo efficace ed espressivo attraverso un Volume i cui contenuti si fondano su elementi conoscitivi derivati da tali esperienze che potranno
orientare le attività informative ed operative, offrendo una prospettiva più ampia, foriera di modalità di integrazione allo scopo di perseguire con maggiore
efficacia gli obiettivi comuni del contrasto agli illeciti ambientali anche di dimensione internazionale e di tutela e conservazione dell’ambiente.
Michele Losappio
Assessore all’Ecologia
della Regione Puglia
17
Tra le grandi problematiche contemporanee, quella del traffico transfrontaliero dei rifiuti si impone alla realtà e rappresenta una delle grandi sfide di
questo tempo.
Le Istituzioni europee, quelle nazionali, regionali, consapevoli della portata del fenomeno, sono intervenute, intervengono con iniziative, piani, predisposizioni, consapevoli di come il “problema rifiuti” e quindi la tutela dell’ambiente, trovi sempre più albergo nella coscienza della società civile.
Le iniziative, i progetti, si muovono, si sviluppano e vedono le Istituzioni
unite nell’affrontare questa nuova importante sfida.
E anche la Guardia di Finanza in questo contesto non ha inteso far mancare il proprio qualificato contributo, quale Polizia Economica Finanziaria al
servizio della collettività, nella consapevolezza dell’esigenza di predisporre
azioni comuni finalizzate alla promozione della legalità; di qui:
-
la condivisione con la Regione Puglia dell’esigenza di elaborare moduli
operativi, specie in quei settori a più alta sensibilità, essendo emerso il comune desiderio di rafforzare la collaborazione, condividere ulteriori percorsi
istituzionali, esaltare le potenzialità esistenti, esplorare nuovi ambiti di intervento, verificare la possibilità di scambi di professionalità, approfondire
i principali temi dell’attualità di comune interesse, sviluppare programmi.
L’intesa istituzionale sottoscritta in data 07 maggio 2007 emerge dall’applicazione delle prerogative sancite nell’Asse II del Programma Operativo
Interreg III Italia Albania, che si pone come obiettivo l’analisi, lo studio e
la repressione dei crimini ambientali, anche attraverso l’applicazione di
innovative e più incisive metodologie di analisi ed investigazione;
-
l’esigenza di presidiare l’importante crocevia che si snoda lungo la direttrice Bari, Brindisi, Lecce ed Albania;
-
la predisposizione di un’azione di vigilanza nel settore dello smaltimento
dei rifiuti condotta:
•
nell’ambito dei servizi di controllo economico del territorio, nel corso
dei quali, le pattuglie operanti si dedicano a specifici controlli in tema di
trasporto di carichi di rifiuti tossico-nocivi;
•
nel contesto dei servizi di polizia doganale, condotti presso gli scali marittimi ed aerei;
•
dalle unità aeree e navali, che assicurano attività ricognitive dedicate,
nell’ambito del più ampio concetto operativo di sorveglianza integrata
del territorio, cui fanno seguito gli interventi di Polizia economica finanziaria, assicurati dai Reparti Operativi Territoriali;
18
•
indirizzando “capacità operative” verso gli illeciti caratterizzati da più
rilevanti profili economico-finanziari, riconducibili alla gestione del ciclo
dei rifiuti specie da parte di organizzazioni criminali qualificate;
•
applicando anche innovative e più incisive metodologie di analisi ed investigazione.
Una Guardia di Finanza, quindi, che si offre come Istituzione moderna e
pienamente integrata nel tessuto sociale, continuamente presente sul territorio
pugliese, tra la gente, a tutela dei cittadini, quale concreta risorsa della collettività, essenziale per l’ordine democratico e l’equità fiscale, che condivide, con
la Regione Puglia, l’esigenza di predisporre azioni comuni per promuovere la
legalità.
Gen .B. Luciano Inguaggiato
Comandante Regionale “Puglia” della Guardia di Finanza
19
La tutela dell’ambiente non può essere privilegio né onere esclusivo di
una singola istituzione, anche se, come nel caso delle Agenzie Regionali per
la Protezione Ambientale, la tutela dell’ambiente rappresenta il core business
essenziale, il fondamento della propria mission istituzionale. La capacità di far
fronte con prestazioni ambientali ottimali alle numerose pressioni ambientali
di un territorio deriva non solo dalla efficienza interna dell’Agenzia ma anche
dalla capacità di instaurare sinergie con tutte le altre Istituzioni e strutture
pubbliche che in modo diretto o indiretto hanno competenze ambientali (Autorità
Giudiziaria, Forze dell’Ordine, Università, Centri di Ricerca, Enti territoriali,
etc.). La protezione ambientale assume poi una specificità particolare in aree
in cui la presenza capillare di organizzazioni criminali impone una specifica
interazione con la Magistratura e le Forze dell’Ordine. In questo contesto la
tutela ambientale si salda strettamente con il valore civile della tutela dei principi
di legalità che sono alla base della moderna civiltà. Ne deriva il significato
strategico che per l’Agenzia assume la partecipazione a progetti come S.CO.
R.I.A., del quale il manuale “Traffico transfrontaliero di rifiuti - istituti, strumenti,
spunti metodologici ed operativi” costituisce uno dei contenuti qualificanti.
Giorgio Assennato
Direttore Generale dell’Agenzia Regionale
per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente
21
Il manuale ed il progetto s.co.r.i.a.
Brevi note introduttive
La scienza definisce l’ambiente come sistema adattativo complesso, formato da numerosi elementi che interagiscono fra loro in modo non lineare e
che costituiscono una entità unica, organizzata e dinamica, capace di evolvere e
adattarsi al contesto. Il diritto, mutuando tale concetto, considera e tutela l’ambiente come risultante della combinazione di diverse matrici e componenti (uomo, fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, beni materiali e patrimonio culturale)
nonché delle interazioni tra gli stessi1.
Più in generale, tutte le enunciazioni del concetto di ambiente, a prescindere dal contesto disciplinare (scientifico, economico, giuridico, sociologico,
tecnico, tecnologico) in cui vengono formulate, pongono in rilievo i concetti di
complessità ed interconnessione.
Sul versante esterno, poi, la materia ambientale presenta intersezioni con
la quasi totalità delle materie, delle discipline, degli ambiti di azione delle istituzioni pubbliche, degli operatori economici, dei cittadini singoli e associati.
Anche questa realtà innegabile è stata metabolizzata dagli ordinamenti
giuridici, sia interni che sovranazionali, che delineano oggi la protezione dell’ambiente in termini di valore costituzionale trasversale2, prevedendone la necessaria integrazione nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e le
azioni delle istituzioni comunitarie e nazionali3.
Appare dunque indiscutibile che le questioni ambientali (ovvero, le implicazioni ambientali delle politiche, delle azioni e delle attività umane) possano essere adeguatamente analizzate ed affrontate solo attraverso un approccio
complesso, fondato sulla interazione tra discipline, istituzioni, nazioni, comunità, portatori di interessi pubblici e privati.
Art. 4, comma 4, d.lgs. 152/2006. Tale definizione di ambiente ha radici, come noto, nella definizione di
ambiente racchiusa nella dir. 85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale.
2
Corte Cost., n. 307/2003; in termini: idem, 407/2002, 222/2003.
3
Art. 6 Trattato UE
1
22
Tale consapevolezza è alla base di questo manuale e del progetto da cui
esso è scaturito4, che significativamente vede attribuito il ruolo di leader partner
ad ARPA Puglia, Istituzione tecnico-scientifica che ha inscritti nel proprio codice genetico i connotati della multireferenzialità e della strumentalità rispetto
all’azione ed alle politiche delle Autorità pubbliche.
L’argomento analizzato nel testo – il traffico internazionale di rifiuti – costituisce il terreno ideale per una riflessione in chiave multidisciplinare che,
mettendo in luce le prospettive di interazione tra istituzioni ed operatori a vario titolo dotati di competenze in materia, possa consentire l’individuazione di
strumenti e soluzioni adeguati alla scala (globale), alla complessità ed alla pregnanza del fenomeno. Sullo sfondo, si staglia la non meno prioritaria necessità
di dare impulso al processo di tendenziale allineamento (istituzionale, ordinamentale, culturale, socioeconomico) tra aree geografiche caratterizzate da ritmi
di crescita decisamente asimmetrici.
La stessa composizione del gruppo di lavoro che ha elaborato i vari saggi di cui il manuale si compone riflette, evidentemente, tale impostazione. Gli
Autori hanno profili culturali e ruoli professionali estremamente diversificati e
sono portatori di esperienze maturate nei più vari contesti istituzionali, accademici e di ricerca. I loro contributi, elaborati a valle di una fase preparatoria di
reciproco confronto, si propongono di affrontare il fenomeno nei suoi diversi
risvolti (giuridici, tecnici, scientifici, tecnologici), componendo un quadro articolato che si auspica quanto più possibile esauriente.
Si è scelto di imprimere al testo un taglio pratico-operativo, coerentemente con la sua funzione di riferimento di base per la formazione dei corpi
di polizia italiani ed albanesi. Gli strumenti e le metodologie in esso delineati,
di impronta talvolta innovativa, sono destinati ad una verifica sul campo e ad
una continua attività di revisione e implementazione nel contesto delle attività
residue del progetto S.CO.R.I.A. Gli esiti di tali riscontri verranno in seguito illustrati in un documento finale di sintesi, che traccerà un consuntivo circa
l’efficacia degli strumenti e delle metodologie attuali e cercherà di suggerire
innovazioni normative, amministrative, tecniche, tecnologiche, investigative ed
P.I.C. Interreg III A  Italia – Albania, Asse II - Misura 2.1 – Azione 4, progetto S.CO.R.I.A. “attivazione
di uno spazio comune italo-albanese per la definizione di strumenti conoscitivi, operativi e metodologici
sul fenomeno dei rifiuti, anche in relazione ai traffici illeciti transfrontalieri”.
4
23
operative per il miglioramento dell’azione di regolazione, controllo e contrasto
svolta dall’Autorità pubblica (sia italiana che albanese).
In definitiva, sia il progetto S.CO.R.I.A. che il presente manuale offrono alle Istituzioni coinvolte la possibilità di testare le potenzialità, le criticità,
le prospettive evolutive dell’attuale quadro della governance ambientale. Essi
costituiscono, per ciò stesso, una esperienza importante e certamente singolare.
Alle Autorità che sostengono e finanziano tale iniziativa, alle Istituzioni
che, credendovi, vi prendono parte, ed agli Autori che hanno contribuito a questo sforzo corale, dedicandovi energie e tempo ritagliati tra impegni onerossissimi e di grande responsabilità, è doveroso esprimere la più viva riconoscenza.
Vittorio Triggiani
Responsabile del progetto
Sezione I
Profili giuridici e normativi
Alessandro Amato
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti nel
regolamento CE 1013/2006 e successive modifiche
e integrazioni1
Sommario: 1. Premessa - 1.1. Ambito d’applicazione. Le procedure per la spedizione all’interno della
Comunità con o senza transito attraverso paesi terzi - 1.2. La necessità di un contratto finalizzato al
recupero o allo smaltimento dei rifiuti oggetto di notifica. La garanzia finanziaria - 1.3. I rifiuti che devono
essere accompagnati da determinate informazioni. Il disaccordo in merito alla nomenclatura dei rifiuti 1.4. La ripresa dei rifiuti quando la spedizione non può essere portata a termine come previsto e in caso di
spedizione illegale - 1.5. I divieti - 2. Il regolamento CE n.801/2007 - 3. Il regolamento CE n. 1418/2007
- 4. Il regolamento CE n. 1379/2007 - 5. Le importazioni - 6. In conclusione: le principali caratteristiche
del sistema relativo alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti - 7. La continuità normativa tra il regolamento
Cee 259/1993 e il regolamento CE 1013/2006. L’art. 259 del D.lgs. 152/2006 e il traffico illecito e la
spedizione illegale di rifiuti - 8. Un caso particolare: la spedizione di rifiuti misti.
1.
Premessa
A partire dal 12 luglio 2007, le spedizioni di rifiuti fra gli Stati dell’Unione
europea e l’import/export con i Paesi terzi sono disciplinate dal regolamento CE
n. 1013/2006 che ha abrogato la precedente disciplina prevista dal regolamento
Cee n. 259/93.
Obiettivo preponderante del regolamento del 2006 è quello di garantire la
massima protezione ambientale (così come indicato nel primo articolo del preambolo: obiettivo e componente principale e preponderante del presente regolamento
è la protezione dell’ambiente, essendo i suoi effetti sul commercio internazionale
solo incidentali) istituendo le procedure e i regimi di controllo per la spedizione
dei rifiuti sia all’interno della Comunità che da e verso i Paesi terzi, in funzione
dell’origine, della destinazione e dell’itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti
spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione.
Tra le novità introdotte dal regolamento CE n. 1013/2006 si segnalano
la semplificazione delle procedure di controllo sullo spostamento dei rifiuL’Autore desidera ringraziare la dott.ssa Ornella Toscano per la preziosa opera di collaborazione svolta
in relazione ai contenuti del presente lavoro.
1
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Amato
ti, in particolare prevedendo che l’autorità competente di destinazione possa
rilasciare l’autorizzazione preventiva ad impianti di recupero sul suo territorio
o che l’autorità di transito possa rilasciare autorizzazione tacita, e l’aumento
dei controlli sui punti critici del traffico, in particolare introducendo un sistema
che, pur rimanendo imperniato sullo strumento della “notifica” per le spedizioni
di rifiuti, non prevede più che tali notifiche all’interno della Comunità vengano
effettuate direttamente dalla parte interessata all’autorità competente di destinazione ma per il tramite dell’autorità competente di spedizione che, ricevuta
la notifica scritta preventiva e dopo aver effettuato le verifiche necessarie, ne
inoltrerà copia all’autorità competente di destinazione.
Tale regolamento integra la normativa comunitaria con le modifiche delle
liste di rifiuti allegati alla Convenzione di Basilea che regola i movimenti transfrontalieri, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, nonché la revisione adottata dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE) nel 2001. Il regolamento riduce anche il numero delle liste di rifiuti la
cui spedizione è consentita dalle originarie tre a due alle quali corrispondono le
due procedure di controllo rappresentate dalla “notifica e autorizzazione scritta
preventiva” e dall’“informazione”: i rifiuti soggetti a “notifica e autorizzazione
scritta preventiva” sono indicati nell’elenco “ambra”, mentre i rifiuti soggetti
alla sola “informazione” figurano nell’elenco “verde”. I rifiuti per i quali è vietata la spedizione sono indicati nell’elenco di cui all’allegato V.
1.1.Ambito d’applicazione. Le procedure per la spedizione all’interno
della Comunità con o senza transito attraverso paesi terzi
Un’attenta analisi della nuova normativa non può prescindere dalla definizione del suo ambito di applicazione (art. 1 del regolamento CE 1013/2006);
essa è rivolta:
•
alle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità fra Stati membri;
•
a quelli importati nella Comunità da Paesi terzi o esportati dalla Comunità
verso questi ultimi;
•
ai rifiuti in transito nel territorio della Comunità con itinerario da e verso
Paesi terzi.
Il regolamento non si applica (art.1):
•
allo scarico a terra dei rifiuti prodotti dalla normale attività delle navi e
delle piattaforme offshore, comprese le acque reflue e i residui prodotti
dalla normale attività;
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti •
•
•
•
•
•
29
ai rifiuti prodotti a bordo di veicoli, treni, automobili, navi fino allo scarico a terra per essere recuperati o smaltiti;
ai rifiuti radioattivi;
ai rifiuti di scarti animali (Regolamento CE n.1774/2002, recante norme
sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano);
ai rifiuti di prospezione, estrazione, trattamento e ammasso di risorse minerali derivanti dallo sfruttamento delle cave, alle acque di scarico esclusi
i rifiuti allo stato liquido, al materiale esplosivo in disuso (art. 2, punto 1)
lettera b), punti ii), iv) e v) della direttiva 2006/12/CE);
ai rifiuti spediti dall’Antartico nella Comunità e, infine,
all’importazione di rifiuti prodotti dalle forze armate o da organizzazioni
umanitarie in situazioni di crisi.
Esaminando la procedura di spedizione per lo smaltimento e il recupero
dei rifiuti all’interno della Comunità si sottolinea che per effettuare le spedizioni
di tali rifiuti, il notificatore debba trasmettere, tramite specifico modulo (allegato IA) una notifica scritta preventiva all’autorità competente di spedizione che
provvede ad inoltrarla, entro 3 gg lavorativi, all’autorità competente di destinazione, inviandone copia all’autorità di transito e al notificatore. L’autorità competente di destinazione, a sua volta, ricevuta la notifica debitamente compilata,
deve inviare, entro 3 gg lavorativi, l’originale al notificatore e copia alle autorità
competenti interessate (art. 8). L’autorità di spedizione, qualora la notifica non
sia debitamente compilata, entro 3 gg lavorativi dal ricevimento della stessa,
può chiedere informazioni al notificatore (art. 7) il quale dovrà fornire integrazioni affinché, nei 3 gg successivi, l’autorità competente di spedizione possa
inoltrare la notifica ai soggetti interessati.
Le autorità competenti di destinazione, transito e spedizione dispongono
di un termine di 30 gg dalla data di conferma del ricevimento della notifica
da parte dell’autorità competente di destinazione per rilasciare l’autorizzazione
scritta, con o senza condizioni, o per sollevare motivate obiezioni, decorsi i quali la spedizione si riterrà tacitamente autorizzata. Il termine viene ridotto a 7 gg,
anzichè 30 gg, nel caso di autorizzazione preventiva, che le autorità competenti
di destinazione possono decidere di rilasciare a determinati impianti di recupero; tali decisioni hanno validità limitata e possono essere revocate in qualunque
momento (art. 14).
Una volta ricevuta l’autorizzazione scritta, il notificatore deve compi-
30
Amato
lare un apposito documento di movimento (allegato 1 B), di cui invierà una
copia all’autorità di destinazione e, nei 3 gg successivi, potrà effettuare la
spedizione (art.16); ogni trasporto, infatti, è accompagnato dal documento di
movimento in originale, da consegnare all’impianto di destinazione, e dalla
copia del documento di notifica contenente le autorizzazioni scritte e le condizioni aggiuntive. Entro 3 gg dal ricevimento dei rifiuti, il destinatario invia
il documento di movimento compilato e firmato al notificatore alle autorità
competenti interessate, dando così conferma scritta del ricevimento dei rifiuti,
ed entro un anno a decorrere da quella data, deve certificare l’avvenuto smaltimento o recupero dei rifiuti inviandone copia al notificatore e alle autorità
competenti.
L’art. 3 del regolamento Ce n. 1013/2006 stabilisce che sono soggetti alla
procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte le spedizioni dei
seguenti rifiuti:
a) se destinati ad operazioni di smaltimento:
tutti i rifiuti.
b) se destinati ad operazioni di recupero:
1) i rifiuti elencati nell’allegato IV (Elenco Ambra): es. Rifiuti contenenti
metalli (AA010 – 261900 Loppe, scorie e rifiuti di disincrostamento, derivanti tutti dalla lavorazione del ferro e dell’acciaio), Rifiuti contenenti
prevalentemente composti organici che possono a loro volta contenere
metalli e composti inorganici (AC170 ex 440310 Rifiuti di legno o di sughero trattati, AC270 Fanghi di depurazione);
2) i rifiuti elencati nell’allegato IV A: rifiuti elencati nell’allegato III che tuttavia non sono sottoponibili alle semplici procedure di informazione presentando una delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della
direttiva 91/869/CEE;
3) i rifiuti non classificati negli Allegati III, III B, IV, IV A;
4) le miscele di rifiuti non classificati sotto una voce specifica degli allegati
III, III B, IV o IV A tranne se elencati nell’allegato III A.
Se la quantità dei rifiuti spediti supera 20 kg, sono soggette agli obblighi
generali d’informazione di cui all’articolo 18 le spedizioni dei seguenti rifiuti
destinati al recupero:
•
a) i rifiuti elencati nell'allegato III o III B: es. Rifiuti contenenti metalli
provenienti dalla fusione e raffinazione di metalli (GB040 – 7112 Scorie
derivanti dal trattamento dei metalli preziosi, destinate a ulteriori raffi-
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti •
31
nazioni), GC020 Rottami elettronici (lastre circuiti stampati, componenti
elettronici, fili, ecc.).
b) le miscele di rifiuti, non classificati sotto una voce specifica dell'allegato III, composte da due o più rifiuti elencati nell’allegato III, sempreché la composizione delle miscele non ne impedisca il recupero secondo
metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate nell’allegato III A.
Pertanto non sono soggetti a notifica le spedizioni di rifiuti contenuti
nell’Elenco Verde (Allegato III, Allegato III A e Allegato III B) destinati al recupero e i rifiuti destinati ad analisi di laboratorio; sono soggetti a notifica, invece,
tutti i rifiuti destinati ad operazioni di smaltimento.
Le spedizioni dei rifiuti urbani non differenziati (voce 200301), anche se
destinati al recupero, sono soggette alle procedure previste per la spedizione dei
rifiuti destinati allo smaltimento. Infine, sia per i rifiuti soggetti a notifica sia per
quelli non soggetti, è previsto il divieto di mescolare i rifiuti dall’inizio della
spedizione fino all’arrivo all’impianto di destinazione (art.19).
Le autorità competenti di destinazione, spedizione e transito dispongono
di un termine di 30 giorni dalla data di trasmissione della conferma di ricevimento da parte dell’autorità competente di destinazione di cui all’articolo 8 per
prendere una delle seguenti decisioni scritte debitamente motivate in relazione
alla spedizione notificata:
a)
b)
c)
autorizzazione senza condizioni;
autorizzazione corredata delle condizioni di cui all’articolo 10;
obiezioni ai sensi degli articoli 11 (per le spedizioni di rifiuti destinati allo
smaltimento) e 12 (per le spedizioni di rifiuti destinati al recupero).
Se nel suddetto termine di 30 giorni non è sollevata alcuna obiezione si
presume che vi sia l’autorizzazione tacita dell’autorità competente di transito.
Tra le obiezioni che possono essere sollevate sia per le spedizioni di rifiuti
destinati allo smaltimento che per quelle destinate al recupero merita segnalare
quelle (art. 11, c. 1 lett. c) e 12, c. 1 lett. d)) relative all’ipotesi in cui il notificatore o il destinatario ha subito in precedenza condanne per spedizione illegale
o taluni altri atti illeciti in relazione alla protezione dell’ambiente. In tal caso le
autorità competenti di spedizione e destinazione possono rifiutare tutte le spe-
32
Amato
dizioni di cui detta persona sia parte in causa conformemente alla legislazione
nazionale.
L’autorità di spedizione (così come quella di destinazione) potrà pertanto rifiutare la spedizione di un rifiuto di per sé regolare sul piano formale allorquando la stessa abbia come parte interessata chi abbia subito
condanne (da valutare, nel silenzio normativo, anche se non definitive) sia
per reati specifici legati al traffico di rifiuti sia per illeciti collegati alla tutela
ambientale. La genericità di tale ultima espressione porta a rendere impossibile per un soggetto che abbia subito una condanna per reati ambientali (non
circoscritti soltanto a quelli in tema di “gestione di rifiuti”) di poter effettuare
operazioni relative alla spedizione transfrontaliera di rifiuti.
Il notificatore può presentare una notifica generale (art.13) relativa a più
spedizioni se, per ciascuna spedizione:
•
a) i rifiuti hanno caratteristiche fisiche e chimiche sostanzialmente simili;
e
•
b) i rifiuti sono spediti allo stesso destinatario e allo stesso impianto; e
•
c) le spedizioni seguono lo stesso itinerario indicato nel documento di
notifica.
Le autorità competenti di destinazione aventi giurisdizione su determinati
impianti di recupero possono decidere di rilasciare autorizzazioni preventive a
tali impianti.
Tali decisioni hanno una validità limitata e possono essere revocate in
qualsiasi momento (art. 14).
1.2. La necessità di un contratto finalizzato al recupero o allo smaltimento dei rifiuti oggetto di notifica. La garanzia finanziaria
è previsto, inoltre, che fra notificatore e destinatario venga stipulato un
contratto finalizzato al recupero e allo smaltimento dei rifiuti oggetto di notifica, copia del quale deve essere fornita, a richiesta, all’autorità competente. Il
contratto, che rimane in vigore fino al rilascio del certificato di avvenuto smaltimento e recupero, deve prevedere l’obbligo per il notificatore di riprendersi
i rifiuti qualora la spedizione, il recupero o lo smaltimento non siano stati effettuati come previsto o siano stati effettuati in violazione del regolamento in
esame e deve prevedere l’obbligo per il gestore dell’impianto di rilasciare un
certificato di avvenuto smaltimento o recupero non intermedio, secondo quanto
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 33
previsto in notifica, non oltre 30 gg dal completamento delle operazioni (art. 5).
Anche per i rifiuti non pericolosi che non sono soggetti a notifica (appartenenti all’elenco verde e che sono accompagnati da un modulo contenente specifiche informazioni) è prevista la stipula di un contratto che preveda l’obbligo
per il soggetto che organizza la spedizione o per il destinatario, di riprendere i
rifiuti, assicurarne il deposito e il recupero nel caso in cui la spedizione non sia
stata effettuata come previsto o sia stata effettuata una spedizione illegale.
Per tutte le spedizioni di rifiuti deve essere stipulata una garanzia
finanziaria o assicurativa al fine di coprire le spese nel caso in cui la spedizione, il recupero o lo smaltimento non possano essere portati a termine o
in caso di spedizioni illegali.
Tutti i soggetti che effettuano una spedizione di rifiuti debbono prestare,
inoltre, una garanzia finanziaria o assicurativa finalizzata a coprire le spese
nel caso in cui la spedizione, il recupero o lo smaltimento non possano essere
portati a termine o in caso di spedizioni illegali (art. 6). La garanzia finanziaria deve essere approvata dall’autorità competente di spedizione e deve coprire
tutte le spese di spedizione, recupero o smaltimento comprese le eventuali operazioni intermedie relative alla spedizione dei rifiuti. La garanzia è svincolata
quando l’autorità competente di spedizione riceve il certificato di avvenuta effettuazione delle operazioni intermedie o di smaltimento o di recupero relative
ai rifiuti notificati.
Qualora la spedizione preveda operazioni intermedie di smaltimento e recupero e tale ulteriore operazione avviene nel Paese di destinazione, la garanzia
finanziaria o l’assicurazione equivalente può essere svincolata quando i rifiuti
lasciano l’impianto intermedio e lo stesso invii all’autorità competente il certificato attestante l’avvenuto completamento delle operazioni intermedie.
34
Amato
1.3. I rifiuti che devono essere accompagnati da determinate informazioni. Il disaccordo in merito alla nomenclatura dei rifiuti
Fra gli allegati, per quanto riguarda i rifiuti dell’“Elenco verde”, che ha
sostituito la cosiddetta “lista verde”, a differenza di quanto avveniva in passato, trova sostanzialmente applicazione la procedura d’informazione disciplinata
all’art. 18 e dall’allegato VII del regolamento 1013/2006. L’art. 18 prevede che i
rifiuti elencati nell’allegato III o III B e le miscele di rifiuti, non classificati sotto
una voce specifica dell’allegato III, composte da due o più rifiuti elencati nell’allegato III, sempreché la composizione delle miscele non ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e le spedizioni di rifiuti destinati
alle analisi di laboratorio allo scopo di accertare le loro caratteristiche fisiche o
chimiche o di determinare la loro idoneità ad operazioni di recupero o smaltimento (non superiore a 25 Kg) sono soggetti ai seguenti obblighi procedurali:
a) per facilitare il monitoraggio delle spedizioni di tali rifiuti, il soggetto
posto sotto la giurisdizione del paese di spedizione che organizza la spedizione assicura che i rifiuti siano accompagnati dal documento contenuto
nell’allegato VII;
b) il documento contenuto nell’allegato VII è firmato dal soggetto che organizza la spedizione prima che questa abbia luogo e dall’impianto di
recupero o dal laboratorio e dal destinatario al momento del ricevimento
dei rifiuti in questione.
Il contratto tra il soggetto che organizza la spedizione e il destinatario incaricato del recupero dei rifiuti acquista efficacia quando la spedizione ha inizio
e comprende l’obbligo, qualora la spedizione dei rifiuti, o il loro recupero, non
possa essere completata come previsto o qualora sia stata effettuata come spedizione illegale, per il soggetto che organizza la spedizione o, qualora quest’ultimo non sia in grado di completare la spedizione dei rifiuti o il loro recupero (ad
esempio, perché insolvente), per il destinatario, di:
a) riprendere i rifiuti o assicurarne il recupero in modo alternativo, e
b) provvedere, se necessario, al deposito dei rifiuti nel frattempo.
L’allegato VII contiene le informazioni che devono accompagnare le spedizioni di rifiuti dell’elenco verde destinati al recupero e dei rifiuti destinati ad
analisi di laboratorio, quali:
•
la data effettiva della spedizione dei rifiuti,
•
il loro quantitativo,
•
la loro denominazione commerciale abituale,
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti •
•
•
•
•
•
35
le operazioni di recupero o di smaltimento a cui sono destinati,
il nominativo di colui che organizza la spedizione,
i vettori che intervengono,
i paesi interessati,
gli impianti di recupero o laboratorio cui è diretta la spedizione e
i codici identificativi del rifiuto.
Come già visto la persona che organizza la spedizione deve, inoltre, dichiarare l’esistenza di un contratto scritto fra sé e il destinatario in cui deve
essere obbligatoriamente inserita la clausola di ripresa del carico nel caso in cui
non sia possibile portare a buon fine la spedizione o il recupero, o nel caso in cui
sia stata organizzata una spedizione illegale.
Assume, infine, particolare rilievo l’art. 28 del nuovo regolamento
1013/2006 che prevede una fattispecie del tutto nuova denominata “disaccordo
in merito alla nomenclatura dei rifiuti”: tale articolo risolve ogni situazione di
problematicità in modo estremamente restrittivo, andando ad inserire fra i rifiuti, i materiali oggetto di disaccordo e nello smaltimento, le operazioni che non
trovano una giusta combinazione tra recupero e smaltimento.
Tale tendenza restrittiva viene temperata dalla seconda parte del primo
comma dell’art. 28, laddove si stabilisce che si fa salvo il diritto del Paese di
destinazione di trattare i materiali spediti conformemente alla legislazione nazionale, purché ciò avvenga in presenza di due condizioni ben precise: i materiali spediti devono essere giunti a destinazione e la legislazione del Paese
di destinazione deve essere conforme alla normativa comunitaria o al diritto
internazionale.
1.4. La ripresa dei rifiuti quando la spedizione non può essere portata a
termine come previsto e in caso di spedizione illegale
Nel caso in cui la spedizione dei rifiuti non possa essere portata a termine
come da notifica, l’autorità competente di spedizione interviene affinché nei 90
gg successivi, i rifiuti vengano ripresi dal notificatore, il quale ha poi il compito
di organizzarne lo smaltimento o il recupero, inoltrando una nuova notifica o, in
alternativa, una richiesta debitamente motivata alle autorità competenti. Nessuna autorità competente può opporsi alla reintroduzione dei rifiuti oggetto di una
spedizione che non può essere portata a termine (art.22).
Se la nuova notifica viene presentata dall’autorità competente di spedi-
36
Amato
zione, non è necessaria la presentazione di una nuova garanzia finanziaria o
assicurazione equivalente.
Non si applica l’obbligo di riprendere i rifiuti solo nel caso in cui i rifiuti
siano stati mescolati in modo irreversibile con altri rifiuti o qualora le autorità
competenti accertino la possibilità di recuperare o smaltire i rifiuti nel Paese di
destinazione.
Le spese per il trasporto, il deposito, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti, quando non è stato possibile portare a termine la spedizione, sono a carico:
•
del notificatore, o qualora non sia possibile;
•
da altre persone fisiche o giuridiche;
•
dall’autorità competente di spedizione;
•
secondo altri modi decisi dalle autorità competenti.
Qualora invece si verifichi una spedizione illegale, bisogna distinguere a
seconda che il responsabile sia il notificatore o il destinatario: nel primo caso,
l’autorità competente di spedizione imporrà di riprendere i rifiuti; nel secondo
caso, provvederà affinché il destinatario li smaltisca o li recuperi.
Tale ripresa, recupero o smaltimento devono avvenire entro trenta giorni o
entro il termine eventualmente concordato tra le autorità competenti interessate
dal momento in cui l’autorità competente di spedizione viene a conoscenza o
è avvisata per iscritto dalle autorità competenti di destinazione o transito della
spedizione illegale e informata dei motivi che l’hanno prodotta. Questo avviso
può risultare dalle informazioni trasmesse alle autorità competenti di destinazione o transito, nonché da altre autorità competenti. In particolare, quando la
responsabilità della spedizione illegale non può essere imputata né al notificatore né al destinatario, le autorità competenti interessate cooperano per assicurare
che i rifiuti in questione siano recuperati o smaltiti (art. 25 paragrafo 5).
Tutta la documentazione relativa a spedizioni di rifiuti soggetti a notifiche
e le informazioni per spedizioni di rifiuti non soggetti a notifiche deve essere
conservata, secondo l’art. 20, per almeno 3 anni.
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 37
1.5.I divieti
Il nuovo regolamento pone poi, una serie di divieti all’importazione/
esportazione dei rifiuti tra la Comunità europea ed i Paesi terzi. In particolare sono vietate le esportazioni dalla Comunità europea di rifiuti destinati allo
smaltimento; tale divieto non si applica alle esportazioni di rifiuti destinati allo
smaltimento nei paesi EFTA che aderiscono alla Convenzione di Basilea1 (ossia
Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein), nel qual caso si applicano le stesse
procedure utilizzate per le spedizioni all’interno dei Paesi della Comunità europea, comprese la prestazione delle garanzie finanziarie e la stipula del contratto,
con ulteriori integrazioni e condizioni aggiuntive:
•
l’autorità competente di transito al di fuori della Comunità ha 60 gg dalla
data di trasmissione della sua conferma di ricevimento di notifica, per chiedere informazioni aggiuntive e per dare l’autorizzazione scritta o tacita;
•
l’autorità competente di spedizione può autorizzare la spedizione solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione scritta dall’autorità competente di destinazione e non prima di 61 gg dalla data di ricevimento della notifica da
parte delle autorità compenti di transito;
•
le autorità competenti di spedizione e di transito inviano agli uffici doganali di esportazione e di uscita della Comunità copia timbrata della decisione di autorizzare la spedizione;
•
il vettore consegna poi copia del documento di movimento agli uffici doganali di esportazione e di uscita dalla Comunità;
•
l’autorità competente di spedizione che non riceve, entro 42 gg dall’uscita dei rifiuti dalla Comunità, l’avviso di ricevimento dei rifiuti da parte
dell’impianto informa immediatamente l’autorità competente di destinazione;
•
il contratto deve prevedere che il destinatario si faccia carico di tutte le
spese di spedizione, recupero e smaltimento nel caso in cui l’impianto
certifichi uno smaltimento inesatto con conseguente svincolo di garanzia;
•
sempre nel contratto deve essere previsto che l’impianto invii entro 3 gg
dal ricevimento al notificatore e alle autorità competenti interessate copie
del documento di movimento firmate, attestanti il ricevimento dei rifiuti,
ed entro 30 gg dal completamento dello smaltimento e non oltre un anno
dal ricevimento dei rifiuti, copie del documento di movimento firmate,
che certifichino l’avvenuto corretto smaltimento;
•
eguale disciplina è prevista per le esportazioni di rifiuti destinati al recupero verso Paesi ai quali si applica la decisione OCSE.
38
Amato
Sono poi vietate le esportazioni dalla Comunità verso i Paesi nei quali non
si applica la decisione OCSE dei rifiuti destinati al recupero elencati al comma
1 dell’art. 36 del precitato regolamento, come anche le esportazioni verso l’Antartico nonché verso i Paesi d’oltremare.
In particolare, proprio per il ruolo strategico che rivestono a livello economico comunitario, è importante soffermarsi sulle esportazioni di rifiuti destinati
a recupero verso Paesi non aderenti alla decisione OCSE (Paesi non-OCSE)
che sono disciplinate dagli artt. 36 e 37 e dall’Allegato V del regolamento CE
n. 1013/06. L’allegato V si compone di tre parti, le parti 2 e 3 si applicano solo
quando non si applica la parte 1. La parte 1 è divisa in due sezioni: l’elenco A,
relativo ai rifiuti classificati come pericolosi dalla convenzione di Basilea e,
come tali soggetti al divieto di esportazione e l’elenco B relativo ai rifiuti non
soggetti al divieto di esportazione perché non contemplati dall’art.1 paragrafo
1 lett- a) della convenzione di Basilea. Pertanto se un rifiuto è presente nella
parte 1 occorre verificare se è inserito nell’elenco A o in quello B. Qualora non
sia presente nell’elenco A e nell’elenco B occorre accertare se figura tra i rifiuti
pericolosi della parte 2 (contrassegnati da asterisco) o della parte 3 nel qual caso
è soggetto al divieto di esportazione. I rifiuti previsti nell’elenco B della parte
1 o che figurano tra i rifiuti non pericolosi della parte 2 sono soggetti al divieto
di esportazione se contaminati da altri materiali in misura tale da aumentare i
rischi associati a tali rifiuti in misura sufficiente a rendere questi ultimi assoggettabili alla procedura di notifica e autorizzazione preventive e impedirne il
recupero in modo ecologicamente corretto.
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
L’art. 36 prevede il divieto di spedizione per i seguenti casi:
rifiuti che figurano nell’allegato V come pericolosi ;
rifiuti che figurano nell’allegato V, parte 3;
rifiuti pericolosi non classificati sotto una voce specifica nell’allegato V;
miscele di rifiuti pericolosi e miscele di rifiuti pericolosi con rifiuti non
pericolosi non classificati sotto una voce specifica nell’allegato V;
rifiuti che il Paese di destinazione ha notificato come rifiuti pericolosi ai
sensi dell’articolo 3 della convenzione di Basilea;
rifiuti la cui importazione è stata vietata dal Paese di destinazione;
rifiuti per i quali l’autorità competente di spedizione ha motivo di ritenere
che non saranno gestiti secondo i metodi ecologicamente corretti di cui
all’articolo 49 nel Paese di destinazione interessato.
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 39
Di fatto, la lettura congiunta dell’art. 36 e del contenuto dell’Allegato V
del regolamento consente l’esportazione verso i Paesi non-OCSE dei soli:
a) rifiuti dell’Elenco Verde (allegato III) e miscele di rifiuti (allegato III A)
del Regolamento CE n. 1013/06 e (in subordine),
b) rifiuti non pericolosi di cui alla decisione 2000/532/CE.
Sono vietate le esportazioni di rifiuti dalla Comunità verso l’Antartico
(art. 39). Parimenti sono vietate le esportazioni di rifiuti destinati allo smaltimento dalla Comunità verso paesi o territori d’oltremare (art.40).
2.
Il regolamento CE n.801/07
In relazione ai rifiuti elencati nell’allegato III o III A e conformemente ai
tempi stabiliti ex art. 37, la Commissione europea ha avviato una consultazione
con i Paesi ai quali non si applica la decisione OCSE, a seguito della quale è
stato emanato il regolamento CE n. 801/07 con il quale sono state definite le
tipologie di rifiuto dell’elenco verde e dell’ allegato III A che possono essere
esportate o meno verso detti Paesi.
In realtà, la stessa Commissione ha ben presto sollevato una serie di problemi di interpretazione delle risposte ricevute dai vari Stati, cosicché si è ben
presto posta la necessità di un primo aggiornamento del regolamento CE n.
801/07.
è stato, quindi, a tal fine pubblicato un documento preliminare (aggiornato al 26/10/2007) in cui, fra gli aspetti più salienti, si deve senz’altro segnalare
che, rispetto alle opzioni previste dal regolamento CE n. 801/07, le autorità
nazionali degli Stati membri e gli operatori del settore devono porre particolare
attenzione, oltre a quanto previsto dal suindicato regolamento comunitario, anche ai controlli specifici richiesti dai singoli Paesi di destinazione.
Nello specifico, in aggiunta alle tre colonne già inserite nel regolamento
CE n. 801/07, il documento preliminare riporta infatti una quarta colonna in cui,
per il determinato codice di Basilea od OCSE preso in considerazione, viene
prescritto l’assoggettamento ad ulteriori procedure di controllo che fanno riferimento alla normativa vigente dello specifico Paese di destinazione finale. Tali
ulteriori procedure sono possibili sia nel caso di esportazioni soggette a notifica
ed autorizzazione scritte preventive sia nel caso di obblighi generali d’informazione ai sensi dell’art. 18 del Regolamento CE n. 1013/06.
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Amato
A solo titolo d’esempio, si riportano di seguito due casi relativi alla Cina
e alla Federazione Russa.
Ai sensi del Regolamento CE n. 801/07, le esportazioni dalla Comunità
verso la Cina della voce “GC020” - Rottami elettronici (per esempio lastre di
circuiti stampati, componenti elettronici, fili, ecc.) e componenti elettronici recuperati che possono essere utilizzati per il recupero di metalli comuni e preziosi sono soggette alla procedura di notifica ed autorizzazione scritte preventive.
A seguito di quanto indicato nel documento preliminare reso noto dalla Commissione europea, l’esportazione dei rifiuti classificati alla stessa voce
“GC020” sarà invece consentita limitatamente ai soli cavi elettrici e ai rottami
di motore. Per essi, la spedizione sarà soggetta alla procedura di obblighi generali d’informazione (secondo le modalità stabilite dall’art. 18 del Regolamento
CE n. 1013/06) e dovrà realizzarsi in ottemperanza alle ulteriori procedure di
controllo richieste dalla legislazione nazionale cinese.
Un ulteriore esempio: ai sensi del regolamento CE n. 801/07, le esportazioni dalla Comunità verso la Federazione Russa della voce “B1020” - Rottami
di metallo puliti, non contaminati, comprese le leghe, alla rinfusa e in forma
finita (lamierino, lamiera, travi, barrette, ecc.): rottami di antimonio, rottami di
berillio, rottami di cadmio, rottami di piombo (batterie piombo/acido escluse),
rottami di selenio, rottami di tellurio non sono soggette a nessun controllo del
Paese di destinazione e prevedono quindi l’applicazione della procedura di spedizione ex art. 18 del regolamento CE n. 1013/06.
A seguito di quanto indicato nel documento preliminare reso noto dalla Commissione europea, l’esportazione dei rifiuti classificati alla stessa voce
“B1020” dovrà invece essere assoggettata alla procedura di notifica ed autorizzazione scritte preventive oltre alle procedure di controllo previste dalla legislazione specifica del Paese di destinazione.
I Paesi contemplati nel documento preliminare sono: Algeria, Andorra,
Argentina, Bangladesh, Belarus, Botswana, Brasile, Cile, Cina, Cina Taipei,
Costa Rica, Croazia, Cuba, Egitto, Georgia, Guyana, Hong Kong-Cina, India,
Israele, Costa d’Avorio, Kenya, Libano, Liecthenstein, Macau-Cina, Malawi,
Malaysia, Mali, Moldova, Marocco, Oman, Pakistan, Paraguay, Perù, Filippine,
Federazione Russa, Seychelles, Sudafrica, Sri Lanka, Tailandia, Tunisia, Vietnam.
Così come evidenziato dalla Commissione europea stessa, il documento
preliminare in oggetto, non ha valore vincolante; ciononostante, il suo contenuto è apparso di massima importanza per tutti gli operatori del settore che hanno
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 41
avuto rapporti commerciali con i Paesi che non aderiscono alla decisione OCSE
poiché esso ha anticipato gli indirizzi che si sono poi riflessi sulle modifiche
del regolamento CE n. 801/07, realizzate con i recentissimi regolamenti CE
1418/2007 e n. 1379/2007.
3. Il regolamento CE n. 1418/2007
Il regolamento CE n. 1418/2007, relativo all’esportazione di alcuni rifiuti
destinati al recupero, elencati nell’allegato III o III A del regolamento (Ce) n.
1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, verso alcuni paesi ai quali
non si applica la decisione dell’Ocse sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti, infatti, ha abrogato il precedente regolamento CE n. 801/2007; tuttavia, i rifiuti che nel precedente regolamento sono classificati come non soggetti
a controllo nel Paese di destinazione, ma per i quali nell’attuale regolamento
sono richieste una notifica e un’autorizzazione preventiva, devono continuare
ad essere classificati come non soggetti a controllo nel Paese di destinazione per
un periodo transitorio di 60 giorni dopo l’entrata in vigore.
Conformemente all’art. 37, paragrafo 1, del regolamento 1013/2006 la
commissione ha inviato una richiesta scritta a ognuno dei paesi ai quali non si
applica la decisione C (2001) 107 def. del consiglio dell’OCSE sul controllo
dei movimenti transfrontalieri di rifiuti destinati ad operazioni di recupero chiedendo conferma scritta che i rifiuti di cui all’allegato III o III A del suddetto
regolamento, la cui esportazione non sia vietata a norma dell’art. 36, possono
essere esportati dalla Comunità a fini di recupero in tale paese e un’indicazione
dell’eventuale procedura di controllo alla quale i rifiuti verrebbero assoggettati
nel paese di destinazione.
Ai sensi dell’art. 37 i suddetti paesi hanno potuto scegliere una delle opzioni seguenti:
a) il divieto;
b) una procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte;
c) nessun controllo nel paese di destinazione.
Alcuni paesi non hanno inviato una conferma scritta relativa alla possibilità di esportare verso di essi rifiuti destinati al recupero originati nella
Comunità e di conseguenza, ai sensi dell’art. 37, paragrafo 2 del regolamento
1013/2006, si deve ritenere che tali paesi abbiano optato per una procedura
42
Amato
di notifica e di autorizzazione scritte preventive. Nei paesi che nella risposta
hanno indicato che determinate spedizioni di rifiuti non sono soggette ad alcun
controllo, si applica, mutatis mutandis, per le relativ spedizioni l’articolo 18
(ex art. 37, paragrafo 3).
Nell’art. 1 si stabilisce che l’esportazione dei rifiuti destinati al recupero
di cui all’Allegato III o III A del regolamento CE n. 1013/2006, la cui esportazione a norma dell’art. 36 dello stesso non è vietata, verso determinati Paesi ai
quali non si applica la decisione OCSE, è soggetta a delle procedure stabilite
nell’allegato del regolamento stesso. L’allegato riporta per ogni paese indicato
l’elencazione dei rifiuti per i quali v’è la previsione del “divieto” (colonna a)),
della “notifica e autorizzazione scritta preventiva” (colonna b)), di “nessun controllo” (colonna c)) e eventuali “altre procedure di controllo” secondo la normativa nazionale applicabile (colonna d)).
4. Il regolamento CE n. 1379/2007
Il regolamento CE n. 1379/2007, recante invece modifica agli allegati I A,
I B, VII e VIII del regolamento CE n. 1013/2006, prevede:
• la sostituzione di “Kg” e “litro” con “tonnellate (Mg)” e “m 3” alla casella
5 del documento di notifica dell’allegato I A, alle caselle 5 e 18 del documento di movimento dell’allegato I B e alle caselle 3 e 14 delle informazioni sulla spedizione dell’allegato VII;
• l’inserimento della nuova casella 17 nel documento di movimento;
• una modifica da apportare alla nota 1 delle informazioni sulla spedizione;
• i riferimenti alle linee guida per una gestione ecologicamente corretta ai
punti da 1.4 a 1.9 dell’allegato VIII.
5. Le importazioni
Tornando all’analisi del regolamento CE 1013/2006, parimenti vietate sono le importazioni nella Comunità europea di rifiuti destinati allo smaltimento,
ad eccezione di quelli provenienti da Paesi aderenti alla Convenzione di Basilea
o da Paesi con i quali è in vigore un accordo o da altri territori in situazione di
crisi o in caso di guerra; così come è vietata l’importazione di rifiuti destinati al
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 43
recupero, ad eccezione di quelli provenienti da Paesi in cui si applica la decisione OCSE, da paesi aderenti alla Convenzione di Basilea o da Paesi con i quali è
in vigore un accordo o da altri territori in situazione di crisi o in caso di guerra.
Per le importazioni dai suddetti Paesi di rifiuti destinati allo smaltimento
si applicano le procedure e le condizioni previste per le spedizioni all’interno
della Comunità con integrazioni e condizioni aggiuntive quali:
•
l’autorizzazione delle autorità competenti di spedizione e di destinazione
deve essere scritta;
•
l’autorità competente di transito al di fuori della Comunità ha 60 gg dalla data di trasmissione della sua conferma di ricevimento di notifica per
chiedere informazioni aggiuntive e per dare l’autorizzazione scritta o tacita eventualmente corredata di condizioni;
•
nel caso di Paesi in situazione di crisi o di guerra non è richiesta l’autorizzazione dell’autorità competente di spedizione;
•
l’autorità competente di transito rilascia al notificatore la conferma del
ricevimento della notifica con copia alle autorità competenti interessate;
•
l’autorità competente di destinazione invia agli uffici doganali di entrata
e di uscita nella Comunità copia timbrata della decisione di autorizzare la
spedizione;
•
il notificatore, prima di effettuare una spedizione, deve aver ricevuto l’autorizzazione scritta dall’autorità competente di spedizione, di destinazione e se del caso di transito.
Per le importazioni da un Paese al quale si applica la decisione OCSE o
da altri territori in situazioni di crisi o di guerra, di rifiuti destinati al recupero,
invece, si applicano sempre le procedure e le condizioni previste per le spedizioni all’interno della Comunità, ma con le seguenti integrazioni e condizioni
aggiuntive:
•
l’autorizzazione dell’autorità competente di spedizione può essere tacita e
non è richiesta in situazioni di crisi o di guerra;
•
la notifica scritta, da inoltrare all’autorità competente di destinazione, può
essere presentata dal notificatore;
•
l’autorità competente di destinazione invia agli uffici doganali di entrata
nella Comunità copia timbrata della decisione di autorizzare la spedizione;
•
il vettore consegna una copia del documento di movimento all’ufficio doganale di entrata nella Comunità;
44
•
•
Amato
quest’ultimo invia all’autorità compente di destinazione e transito copia
timbrata del documento di movimento attestante che i rifiuti sono entrati
nella Comunità;
il notificatore, prima di effettuare una spedizione, deve aver ricevuto
un’autorizzazione scritta dall’autorità compente di destinazione e tacita o
scritta dall’autorità compente di spedizione.
Il regolamento CE 1013/2006 disciplina anche il mero transito dei rifiuti
sul territorio dei Paesi della UE (da/per Paesi terzi). In tal caso devono essere
applicate le regole relative alle importazioni nella Comunità europea da Paesi
terzi; con l’aggiunta, tuttavia, di ulteriori adempimenti di controllo del tracciato
di entrata ed uscita dei rifiuti a carico dell’Autorità di controllo.
Infine, secondo quanto statuito dall’art. 33 del regolamento CE 1013/2006,
relativamente alle spedizioni di rifiuti all’interno dei singoli Paesi dell’Unione europea, occorre fare riferimento alle normativa nazionale di ciascuno Stato; in Italia la norma di riferimento in tal senso è il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
6. In conclusione: le principali caratteristiche del sistema relativo alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti
•
•
•
La disciplina in esame prevede come autorità competenti le seguenti tre:
l’Autorità di spedizione: il soggetto competente in materia di rifiuti per
l’ambito territoriale da cui ha origine la spedizione (Regione o Provincia
a seconda della sussistenza di una specifica disciplina regionale che attribuisca competenze specifiche a quest’ultima: l’art. 196 lett. f) del D.lgs.
152/2006 riconosce, infatti, alle regioni la competenza relativa alle attività
in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti previste in capo alle
autorità competenti di spedizione e di destinazione.
l’Autorità di destinazione: il soggetto competente in materia di rifiuti per
l’ambito territoriale di arrivo della spedizione;
l’Autorità di transito: l’autorità competente per qualsiasi paese, diverso
da quello di spedizione o destinazione, attraverso il cui territorio è prevista o ha luogo la spedizione di rifiuti.
In Italia le funzioni di Autorità di transito sono attribuite in capo al Ministero dell’Ambiente.
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 45
Due sono le procedure previste per le spedizioni:
1) la prima che prevede i c.d. obblighi generali di informazione e per le
quali non è necessaria alcuna preventiva autorizzazione. Ogni trasporto
deve essere accompagnato dal modulo informativo (allegato VII) al regolamento CE 1379/2007 firmato dal soggetto che organizza la spedizione e
da chi la riceve.
Indipendentemente dal fatto che figurino o no nell’elenco verde i rifiuti
non possono essere assoggettati agli obblighi generali di informazione qualora
siano contaminati da altri materiali in misura tale da:
a) aumentare i rischi associati a tali rifiuti in misura sufficiente rendere questi
ultimi assoggettabili alla procedura di notifica e autorizzazione preventive
scritte;
b) impedirne il recupero in modo ecologicamente corretto.
-
-
-
Sono soggetti agli obblighi di informazione i seguenti rifiuti:
rifiuti non pericolosi a recupero > 20 Kg (lista verde allegati III e IIIB);
rifiuti di laboratorio < 25 Kg;
miscele di rifiuti allegato III A.
la seconda che prevede la notifica scritta e la preventiva autorizzazione
alla spedizione.
Fasi principali del procedimento:
il notificatore restituisce all’autorità competente di spedizione il documento di notifica compilato in tutte le sue parti e il documento di movimento
compilato nelle parti fisse, allegando la documentazione descritta nel regolamento CE 1013/2006 - allegato II-parte prima. Le autorità possono richiedere
informazioni aggiuntive secondo l’elenco in allegato II- parte terza.
Una volta ricevuta la notifica l’autorità di spedizione dispone di 3 giorni lavorativi per controllare che la documentazione presentata sia formalmente
completa e trasmetterla all’autorità competente di destinazione e alla/e autorità
di transito individuata/e nella notifica potendo richiedere eventuali integrazioni
al notificatore con sospensione dei relativi termini.
L’Autorità competente di destinazione entro 3 giorni lavorativi dal ricevimento della notifica invia una nota di conferma al notificatore con copia alle
altre autorità competenti. Da tale conferma decorrono i tempi entro i quale le
autorità interessate possono esprimersi.
Ricevute le autorizzazioni delle autorità di destinazione e transito, il no2) 46
Amato
tificatore presenta la garanzia finanziaria all’autorità competente di spedizione.
L’Autorità di spedizione preso atto della congruità della garanzia finanziaria provvede alla consegna dei moduli di accompagnamento al notificatore
corrispondenti al numero di trasporti autorizzati.
I rifiuti potranno essere movimentati, nel rispetto di quanto contenuto nella notifica e di eventuali prescrizioni dettate dalle autorità interessate
7.
La continuità normativa tra il regolamento Cee 259/1993 e il regolamento
CE 1013/2006. L’art.259 del D.lgs. 152/2006 e il traffico illecito e la spedizione illegale di rifiuti
Con l’introduzione nel 2006 di questa nuova disciplina comunitaria sono
sorte, tuttavia, una serie di difficoltà interpretative correlate alla sussistenza o
meno, di continuità normativa fra l’abrogato regolamento Cee 259/1993 e il
nuovo regolamento CE 1013/2006.
In particolare, assume rilievo il reato di traffico illecito di rifiuti contemplato nell’art. 259, comma 1, Dlgs 152/2006 (cd. Testo unico ambientale) che
fa espresso richiamo al regolamento Cee 259/1993 (detto articolo punisce, con
la pena dell’ammenda da 1.550 euro a 26.000 euro e con l’arresto fino a 2 anni,
chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi
dell’art. 26 del regolamento Cee 1° febbraio 1993, n. 259 o chiunque effettua
una spedizione di rifiuti elencati nell’allegato II del citato regolamento in violazione dell’art. 1, comma 3, lettere a), b), c) e d) del regolamento stesso).
Si deve, dunque, verificare se la disciplina comunitaria richiamata dalla norma penale del Dlgs 152/2006 sia mutata nel passaggio dal regolamento
259/1993 al nuovo regolamento 1013/2006 oppure sia rimasta invariata.
Va, innanzitutto, osservato che tanto l’art. 61 paragrafo 2 del regolamento
1013/2006 nella parte in cui recita che i riferimenti al regolamento abrogato
(Cee) n. 259/93 si intendono fatti al presente regolamento che l’art. 194 del
D.lgs. 152/2006 in virtù del quale le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti sono
disciplinate dai regolamenti comunitari che regolano la materia militano verso
una conclusione diretta a poter affermare che l’illecito su indicato (art. 259)
possa trovare ingresso anche nelle spedizioni di rifiuti di cui al regolamento
1013/2006.
Come innanzi evidenziato la norma in esame punisce chiunque effettua
una spedizione di rifiuti:
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 1.
47
costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE)
1° febbraio 1993, n. 259,
2. elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo
1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso.
Per la prima ipotesi occorre riferirsi alla definizione di “traffico illecito”
contenuta nell’art. 26 del regolamento 259/1993 (e invece assente nel nuovo
regolamento) secondo cui, rientra in tale ipotesi qualsiasi spedizione di rifiuti:
a) effettuata senza che la notifica sia stata inviata a tutte le autorità competenti interessate conformemente al presente regolamento, o
b) effettuata senza il consenso delle autorità competenti interessate, ai sensi
del presente regolamento, o
c) effettuata con il consenso delle autorità competenti interessate ottenuto
mediante falsificazioni, false dichiarazioni o frode, o
d) non concretamente specificata nel documento di accompagnamento, o
e) che comporti uno smaltimento o un recupero in violazione delle norme
comunitarie o internazionali, o
f) contraria alle disposizioni degli articoli 14, 16, 19 e 21 (in tema di esportazioni e importazioni).
Come già osservato nel regolamento 1013/2006 ove è assente una definizione di “traffico illecito” è invece prevista nell’art. 2 paragrafo n.35 la definizione di “spedizione illegale” definita come qualsiasi spedizione di rifiuti
effettuata:
a) senza notifica a tutte le autorità competenti interessate a norma del presente regolamento;
b) senza l’autorizzazione delle autorità competenti interessate a norma del
presente regolamento;
c) con l’autorizzazione delle autorità competenti interessate ottenuto mediante falsificazioni, false dichiarazioni o frodi;
d) in un modo che non è materialmente specificato nella notifica o nei documenti di movimento;
e) in un modo che il recupero o lo smaltimento risulti in contrasto con la
normativa comunitaria o internazionale;
f) in contrasto con gli articoli 34, 36, 39, 40, 41 e 43;
g) per la quale, in relazione alle spedizioni di rifiuti di cui all’articolo 3, paragrafi 2 e 4, sia stato accertato che:
i) i rifiuti non sono elencati negli allegati III, III A o III B;
ii) l’articolo 3, paragrafo 4, non è stato rispettato;
48
Amato
iii) la spedizione è effettuata in un modo che non è materialmente specificato nel documento di cui all’allegato VII.
Innanzitutto, si osservano alcune differenze tra le due disposizioni in riferimento all’individuazione dei territori dell’Antartico, dei territori d’oltremare,
di quelli in situazioni di crisi o di guerra; tali territori rappresentano, in realtà,
una specificazione di dettaglio rispetto ai casi considerati “eccezionali” dalla
precedente disciplina che necessitavano sempre di un preventivo accordo bilaterale fra Stati, non più necessario invece, alla luce del nuovo regolamento.
Da una comparizione delle due norme (art. 26 regolamento 259/1993 e
art. 2 paragrafo n.35 regolamento 1013/2006) si rileva che in entrambe le ipotesi
normative le lettere
a) (assenza di notifica),
b) (assenza di consenso (reg. 259/1993) o autorizzazione (reg. 1013/2006)
da parte delle competenti autorità),
c) (consenso o autorizzazione ottenuto mediante falsificazioni, false dichiarazioni o frodi),
d) (spedizione di rifiuti non specificata nel documento di accompagnamento (reg. 259/1993) o nella notifica o nel documento di movimento (reg.
1013/2006),
e) (recupero o smaltimento in violazione (reg. 259/1993) o in contrasto (reg.
1013/2006) della normativa comunitaria o internazionale),
f) (in contrasto alle specifiche disposizioni in tema di importazioni e/o esportazioni)
riguardano le medesime condotte criminose (con differenze meramente terminologiche) con la conseguenza di poter ritenere applicabile la disposizione di
cui all’art. 259 D.lgs. 152/2006 anche alle spedizioni illegali la cui definizione
si è sovrapposta a quella di traffico illecito.
Appare dunque ragionevole concludere che non vi si siano sostanziali
differenze fra gli elementi integrativi della “spedizione illegale” di cui al
nuovo regolamento, rispetto al “traffico illecito” dell’abrogato regolamento
Cee. I due regolamenti infatti, nonostante le diversità procedimentali relative
all’autorità destinataria della notifica e alle modalità pratico-documentali della
notifica stessa, sono identici nella ratio dell’incriminazione: garantire la massima protezione al bene ambiente.
Anche per quanto riguarda il confronto fra gli allegati dei due regolamenti, si deve propendere per una continuità normativa del nuovo regolamento ri-
Le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti 49
spetto al precedente, almeno per quanto attiene all’ipotesi di spedizione di rifiuti
diversi da quelli esclusi dall’obbligo di notifica e autorizzazione e all’ipotesi del
mancato rispetto delle norme d’informazione.
Si deve invece escludere la possibilità di poter ritenere applicabile l’art. 259
D.lgs. 152/2006 all’ipotesi contemplata dall’art. 3, paragrafo 4 del nuovo regolamento (che si riferisce alle spedizioni di rifiuti esplicitamente destinati alle analisi di laboratorio), del tutto innovativa rispetto alla precedente disciplina, e per la
cui violazione non di conseguenza deve ritenersi non prevista alcuna sanzione.
8.
Un caso particolare: la spedizione di rifiuti misti
Infine, appare utile riportare un orientamento della Corte di Giustizia che
ha avuto modo di affrontare un problema ricorrente nel trasporto transfrontaliero di rifiuti: trattasi della questione relativa alla disciplina da applicare in caso di
spedizione di rifiuti “misti” risultanti dalla combinazione di due sostanze singolarmente indicate nella lista verde (ma con la mancata inclusione di tale rifiuto
misto nella suddetta lista).
Nella fattispecie concreta, una società francese è stata condannata per la
violazione del regolamento n. 259/93 poiché ha esportato dalla Spagna alla Cina, con transito attraverso i Paesi Bassi, alcuni container contenenti rifiuti di
cavi elettrici (costituiti da un nucleo in rame ricoperto da una guaina in PVC),
senza aver previamente notificato tale spedizione all’autorità olandese.
Trattandosi dunque, nel caso in esame, di una combinazione di sostanze
della lista verde, tuttavia non figurante come tale nella suddetta lista, la questione posta al vaglio della Corte è stata se, nonostante la mancata inclusione di tale
rifiuto misto nella lista, tale combinazione di sostanze potesse essere considerata come una sostanza della lista verde e se, correlativamente, il trasporto per il
recupero di siffatta combinazione potesse essere effettuato senza l’applicazione
della procedura di notifica.
Secondo la Corte di Giustizia “il fatto che un rifiuto sia composto da due
elementi che, quando sono considerati separatamente, possono costituire rifiuti
compresi nella lista verde, non può comportare automaticamente che tale rifiuto
composito rientri nell’ambito di detta lista”; per cui, secondo l’orientamento
della Corte, il regime meno rigoroso applicabile ai rifiuti della lista verde, non
può estendersi anche ai rifiuti non figuranti nella suddetta lista, se pur composti
da più elementi indicati nella lista stessa.
50
Amato
A fortiori, ad un rifiuto unico composto non già dalla mescolanza accidentale ma dalla combinazione permanente di più sostanze elencate nella lista verde, non può applicarsi la disciplina prevista per il trasporto delle sostanze della
suddetta lista, a meno che non sia espressamente menzionato in quest’ultima.
Infatti, il sistema adottato per la sorveglianza e il controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno degli Stati membri risponde alla necessità di salvaguardare, proteggere e migliore la qualità dell’ambiente rendendo in tal modo tassativo
l’elenco dei rifiuti (lista oggi elenco “verde”) che gode di un regime di favore.
Note
La Convenzione di Basilea del 1989 (ratificata dall’Italia il 7 febbraio 1994) è la più importante fonte
legislativa internazionale per quanto riguarda i rifiuti tossici poiché regola i movimenti transfrontalieri di
rifiuti pericolosi e il loro smaltimento. Gli obiettivi della Convenzione di Basilea sono:
a. ridurre i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e di altra natura, fino a raggiungere un livello
compatibile con una solida gestione dell’impatto ambientale;
b. trattare e smaltire i rifiuti pericolosi in un luogo più vicino possibile a quello di origine, in maniera
compatibile con l’ambiente;
c. minimizzare la produzione di rifiuti pericolosi e di altra natura.
La Convenzione riconosce il diritto degli Stati di bandire l’ingresso o lo smaltimento nel proprio territorio di rifiuti pericolosi o di altra natura che provengono da altri Paesi. La Convenzione stabilisce
che gli Stati parte non devono consentire l’esportazione di tali materiali in Paesi che ne hanno vietato per legge tutte le importazioni. Anche se gli Stati parte non devono permettere le importazioni da
Stati non-parte, la Convenzione stabilisce una deroga per quanto riguarda importazioni ed esportazioni da e verso paesi che hanno comunque aderito ad altri accordi bilaterali, regionali o multilaterali, a
condizione che tali accordi siano altrettanto attenti alla sostenibilità ambientale quanto la Convenzione.
Gli Stati parte della Convenzione di Basilea hanno il dovere di impedire l’importazione di rifiuti tossici e
di altra natura se hanno ragione di credere che tali rifiuti non saranno gestiti in maniera compatibile con
l’ambiente. Qualsiasi trasporto doganale di rifiuti pericolosi o di altra natura richiede preliminarmente
una notifica scritta ai paesi di importazione e di transito ed il loro consenso scritto. Gli Stati parte devono
garantire che le persone coinvolte nella gestione dei rifiuti pericolosi o di altra natura prendano le misure
necessarie per prevenire l’inquinamento o per minimizzarne le conseguenze per la salute umana e l’ambiente. Secondo la Convenzione di Basilea , il traffico illecito consiste nel trasporto transfrontaliero di
rifiuti pericolosi o di altra natura privo di preliminare consenso informato, oppure che abbia come conseguenza lo smaltimento deliberato di tali rifiuti, vale a dire il loro scarico abusivo.
1
Renato Nitti
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti
Sommario: 1. Premessa – 2. Quando una sostanza o un materiale è un rifiuto – 2.1. Il primo confine della
nozione di rifiuto: il sottoprodotto – 2.2. Il secondo confine della nozione di rifiuto: materie, sostanze,
prodotti secondari. Ovvero quando finisce il recupero del rifiuto – 2.3. Esclusioni – 3. Come classificare il
rifiuto – 4. Come codificare un rifiuto – 5. Individuazione delle operazioni di gestione dei rifiuti: disciplina
– 5.1. Produzione di rifiuti – 5.2. Gestione di rifiuti – 5.2.1. Raccolta – 5.2.2. Trasporto – 5.2.3. Smaltimento – 5.2.4. Recupero – 5.3. Spedizione transfrontaliera – 5.3.1. Nozione – 5.3.2. Disciplina – 5.3.3. La
disciplina del regolamento comunitario – 5.3.4. La disciplina nazionale applicabile – 5.3.4.1. Disciplina
documentale – 5.3.4.2. Disciplina dei titoli abilitativi – 5.3.5. Conclusioni – 6. Cenni sulla disciplina dei
titoli abilitativi – 7. Cenni sulla disciplina documentale – 8. Gli illeciti penali – 8.1. La violazione della
disciplina dei titoli abilitativi – 8.1.1. I reati in tema di rilascio dei titoli abilitativi – 8.1.2. I reati in tema
di assenza di titoli abilitativi – 8.1.2.1. La contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 256: Attività
di gestione di rifiuti non autorizzata – 8.1.2.2. La contravvenzione di cui all’art. 256 comma secondo –
8.1.2.3. La contravvenzione di cui all’art. 256, terzo comma: discarica abusiva – 8.1.3. I reati in tema di
violazione dei titoli abilitativi – 8.1.3.1. La contravvenzione di cui all’art. 256 quarto comma – 8.2. La
violazione della disciplina documentale – 8.3. Il traffico illecito di rifiuti – 8.3.1. La contravvenzione di
traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 259 – 8.3.2. Il delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di
rifiuti: art. 260
1. Premessa
Perché possa valutarsi la sussistenza di un illecito penale in materia di
rifiuti, l’operatore deve seguire un iter logico costituito da sei passaggi che non
ammettono alterazione dell’ordine.
1. In primo luogo, si deve accertare che la sostanza sia un rifiuto, ovvero,
come si dirà, che di essa il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. Comunque, dovrà verificare che non si versi in un caso
di esclusione espressa dalla disciplina della parte quarta del t.u.
2. In secondo luogo, una volta individuata la natura di rifiuto, si dovrà precisarne la classificazione ovvero stabilire, in via generale, se si tratti di
rifiuto urbano o speciale, pericoloso o non pericoloso. In altri termini,
si dovrà classificarlo. In ambito di spedizione transfrontaliera di rifiuti,
l’operatore dovrà, inoltre, classificare il rifiuto verificando in quale elenco
esso rientri: se nel c.d. elenco ambra ovvero nell’elenco verde.
3. La classificazione è, tuttavia, operazione diversa da quella ulteriore della
52
Nitti
codificazione, ovvero dalla attribuzione di un codice a tre coppie di cifre
(del tipo numerico ma corrispondente allo schema letterale AB CD EF),
pure richiesta all’operatore ed indispensabile per accertare se p.es. un determinato titolo abilitativo comprenda o meno quella specifica categoria
di rifiuti.
4. Rispetto alla sostanza così qualificata come rifiuto e quindi classificata
e codificata, l’interprete deve accertare a quale operazione è soggetto in
quel momento il rifiuto, ed in particolare:
a. se si tratti di operazione di produzione, ovvero di deposito temporaneo, oppure, in generale
b. di gestione di rifiuti specificando quale tra le operazioni di gestione
previste,
c. ovvero ancora spedizione transfrontaliera.
5. Una volta accertata quale sia l’operazione cui è soggetto quel rifiuto, così
codificato e così classificato, potrà finalmente individuarsi la disciplina
che si applica a quella specifica operazione che riguarda quello specifico
rifiuto, cioè quel rifiuto con quella classificazione e quel codice. E, in
estrema sintesi, questo significherà verificare, in primo luogo, quali titoli
abilitativi (autorizzazione o altri) siano necessari per lo svolgimento di
quella operazione (sempre che non si tratti di una operazione radicalmente
vietata)
6.Della stessa operazione, deve quindi essere individuata la disciplina documentale (e quindi quale documentazione deve “assistere” quella operazione).
Soltanto la ricostruzione del quadro così compiuta, consente, infine, di
accertare se vi sia stata violazione della disciplina nello svolgimento della specifica operazione avente ad oggetto lo specifico rifiuto qualificato, classificato e
codificato nei termini sopra specificati.
In questa prospettiva e tenendo conto della prospettiva nella quale si muove questo manuale, si è impostata la successiva ricostruzione:
• in primo luogo, saranno individuati i criteri che consentono di qualificare
una sostanza come rifiuto (2) e saranno indicati i casi di esclusione dalla
disciplina dei rifiuti;
• quindi, si forniranno i criteri per la classificazione (3) e la codificazione
(4);
• poi si tratterà della identificazione delle diverse condotte che possono ave-
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 53
re ad oggetto i rifiuti (5) indicandone sinteticamente la disciplina applicabile sia con riguardo ai titoli abilitativi (6) e alla documentazione (7).
Ovviamente nel caso di accertamenti relativi ad un caso di spedizione
transfrontaliera illecita (e cioè di traffico illecito ai sensi dell’art. 259 d.lgs.
152/06) si dovrà distinguere il caso dell’accertamento che avvenga in sede di
controllo dalla successiva (o autonoma) ricostruzione dell’intera vicenda, in
genere non completamente definibile al momento del primo controllo. L’iter
logico complessivo, tuttavia, resta quello sopra indicato, che si operi come
Polizia Giudiziaria, come Pubblico Ministero o come Giudice sia della cautela
che del merito.
2. Quando una sostanza o un materiale è un rifiuto
Dopo il D.p.r. 915/2 ed il c.d. decreto Ronchi (decreto legislativo 5.2.1997
n.22), oggi la parte quarta del d.lgs. 152/061 disciplina la gestione dei rifiuti in
attuazione di direttive comunitarie.
In molti casi, come si dirà, la normativa secondaria resta transitoriamente
quella attuativa del decreto Ronchi.
Anche nella normativa nazionale il nodo centrale nella disciplina dei rifiuti è la nozione di rifiuto.
Seguendo l’ordine degli accertamenti che si richiedono in materia di rifiuti, il primo passo è quello relativo all’accertamento della natura di rifiuto in una
sostanza o un materiale.
Se può essere semplice affermare che ciò che è abbandonato è un rifiuto,
particolarmente complesso è stabilire cosa sia rifiuto quando si considerino i
casi dei residui di produzione riutilizzabili. Altrettanto complesso può essere
stabilire quando un rifiuto che, trattato, può essere riutilizzato, cessa di diventare rifiuto. Si intende cioè dire che la nozione di rifiuto è per sua stessa natura
completata dalle nozioni di sottoprodotto e di materia secondaria.
Se si espande o si riduce la nozione di sottoprodotto o quella di materia se1
Il d.lgs. 152/06 è stato a sua volta modificato, in particolare, dal D. Lgs. n. 284/2006, dalla legge n.
228/2006 (di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 maggio 2006, n. 173), dalla L.
n. 286/2006 di conversione in legge del D.L. n. 262/2006; dalla legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007); dalla
legge 17/07 di conversione con modificazioni del d.l. 300/06, ed infine, e soprattutto, dal D.lgs. 4/2008 che
ha significativamente modificato alcune centrali disposizioni del testo unico.
54
Nitti
condaria automaticamente si riduce o si espande la nozione di rifiuto: in estrema
sintesi, si può dire che la nozione di rifiuto confina, da una lato, con la nozione
di sottoprodotto e, dall’altro, con la nozione di materia (prima) secondaria.Sicchè esse devono essere analizzate congiuntamente.
La nozione di rifiuto espressamente dettata dalla direttiva di cui la normativa italiana è attuazione2 viene riportata dall’art. 183 (Definizioni) del decreto
lgs.152/06: “1. Ai fini del presente decreto si intende per: (a) rifiuto: qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui
il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Apparentemente, per riconoscersi qualità di rifiuto ad una sostanza o ad
un oggetto è necessario che concorra sia l’ inclusione in una delle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta, sia l’azione oppure intenzione oppure
obbligo di “disfarsi” di essi da parte del detentore.
Sennonché il primo requisito (inclusione in una delle categorie riportate
nell’allegato A) è ininfluente poiché sia l’allegato I alla direttiva che il corrispondente allegato A alla parte quarta deld.lgs.152/06 non è un elenco esaustivo
poiché comprende sia “qualunque sostanza , materia o prodotto che non rientri
nelle categorie sopra elencate” che “Q1Residui di produzione o di consumo in
appresso non specificati”.
Sicché ai fini dell’individuazione della natura di rifiuto si deve fare riferimento al secondo requisito, il disfarsi: “… si intende per: rifiuto: qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui
il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Cosa significa disfarsi?
La normativa comunitaria non lo specifica ed anzi, per dirla con le parole della Corte di Giustizia, “non suggerisce alcun criterio determinante per
individuare la volontà del detentore di disfarsi di una determinata sostanza o
di un determinato materiale. In mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati
membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti
nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto
comunitario” (v., in particolare, punto 34 della sentenza 15 giugno 2000, cause
riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475,
punto 41).
Non si tratta del quadro normativo comunitario vigente, dovendosi comunque considerare ulteriori
direttive (in particolare, la direttiva 2006/12, la cui nozione di rifiuto peraltro è richiamata espressamente
dal regolamento 1013/06 in materia proprio di spedizione transfrontaliera) e regolamenti successivi.
2
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 55
La giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia offre, tuttavia, una serie
di criteri, sia assoluti che relativi.
Prescindendo in questa sede dalla tesi secondo cui il termine disfarsi racchiude in sé tutte le possibili operazioni di smaltimento o di recupero (tesi che
è in sé non risolutiva), in concreto deve prendersi atto che “l’effettiva esistenza
di un rifiuto ai sensi della direttiva va accertata alla luce del complesso delle
circostanze, tenuto conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l’efficacia” (Corte di Giustizia 25.6.1997, cause riunite C-304/94,
C-342/94 e C224/95).
In primo luogo, l’abbandono della sostanza, o del materiale, depone insuperabilmente per la sua qualificazione come rifiuto. Tuttavia il disfarsi non
coincide con l’abbandono: se così non fosse, dovremmo concludere che non ci
si disfa mai di ciò che non si abbandona e ci si disfa sempre e soltanto di ciò che
si abbandona. Vi sono, è noto, residui di produzione che possono essere riutilizzati: si può ritenere che il detentore non intenda disfarsi di quei residui se, per
ottenere che altri li utilizzino, deve corrispondere loro una somma di danaro? E,
parimenti, si può ritenere che il detentore non intenda disfarsi di esse quando,
per riutilizzarli nel suo stesso processo produttivo, deve sottoporli a trattamenti,
magari particolarmente dispendiosi, che ne modifichino la natura?
In via generale, si può affermare allora che è compatibile con il fatto che
una sostanza sia un rifiuto la circostanza che esso possa avere una utilizzazione economica. Parimenti una sostanza/un materiale può essere rifiuto anche se
sia oggetto di negozi giuridici e di quotazione in listini commerciali pubblici o
privati.
Se la circostanza che una sostanza o un materiale sia un residuo di produzione depone, presuntivamente, nel senso della natura di rifiuto, ulteriori criteri
possono spostare l’ago della bilancia verso la qualificazione come sottoprodotto:
il riutilizzo dei residui senza alcun trattamento preliminare depone nel senso della
natura di sottoprodotto. Nello stesso senso depone il conseguimento di vantaggi
dal riutilizzo dei residui. Tuttavia la sostanza va qualificata come rifiuto se deve
essere utilizzata nel rispetto di particolari precauzioni per l’ambiente ovvero
richieda un deposito temporaneo presso il produttore particolarmente oneroso.
Nel quadro così delineato deve collocarsi la disciplina nazionale, nella
piena consapevolezza di non poter prevedere regolamentazioni del settore meno
restrittive di quelle comunitarie. Non sono mancate in passato, sia nella vigenza
della prima legge generale in materia di rifiuti (il d.P.R. 915/2), sia nella vigen-
56
Nitti
za della seconda legge generale in materia di rifiuti (il d.lgs. 22/97), sia infine
nella vigenza del testo unico in materia ambientale, tentativi del legislatore di
ridurre l’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti, riducendo la nozione
di rifiuti, oppure ampliando i casi di esclusione da essa o i casi di sottoprodotti.
2.1. Il primo confine della nozione di rifiuto: il sottoprodotto
Occorre qui riferire soltanto del quadro complessivo attuale, nel quale
centrale è, come si diceva, accanto alla nozione di rifiuto, in primo luogo quella
– significativamente modificata con il d.lgs.4/08 di modifica del d.lgs. 152/06di sottoprodotto.
Ai sensi della lett. p) dell’art. 183 – e sempre che non siano rifiuti- il
sottoprodotto non è un prodotto perché deriva da un processo non direttamente
destinato alla sua produzione (è, diremmo richiamando la giurisprudenza comunitaria, un residuo di produzione), ma nello stesso tempo non è un rifiuto perché:
a) ne è certo sin dalla fase della produzione l’impiego essendovi anche previa individuazione del processo in cui ciò avverrà. Deve trattarsi di impiego integrale;
b) deve possedere sin dalla sua produzione requisiti merceologici e di qualità
ambientale idonei a garantire che il suo impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da
quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati e
quindi non deve essere necessario effettuare e non devono essere effettuati
trattamenti per conseguire quei requisiti;
c) abbiano un valore economico di mercato.
Se il terzo requisito può essere desunto da quotazioni, listini e mercuriali
in via oggettiva e generale, il primo richiede che sia documentata sin dalla fase
della produzione l’utilizzo nel medesimo ciclo produttivo ovvero, nel caso in
cui debbano essere ceduti a terzi per la utilizzazione in altro ciclo produttivo,
che detta cessione risulti appunto certa dalla fase della produzione.
Più complesso il secondo menzionato requisito: il dibattuto problema
della individuazione di quali trattamenti sono necessari per ritenere che la sostanza sia ancora un rifiuto – essendo diversamente ancora sottoprodotto – viene risolto ponendo attenzione alle conseguenze ambientali: la norma va intesa3 nel senso che ove la utilizzazione delle sostanze o dei materiali determini
3
Si riporta in estrema sintesi la conclusione di una questione resa peraltro complessa:
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 57
impatti ambientali non oggetto di alcuna autorizzazione ovvero modifichi gli
impatti oggetto di autorizzazione essi devono essere considerate rifiuti e non
sottoprodotti.
2.2. Il secondo confine della nozione di rifiuto: materie, sostanze, prodotti secondari. Ovvero quando finisce il recupero del rifiuto
Quand’anche una sostanza sia stata qualificata come rifiuto, ciò non impedisce che essa possa, a seguito dell’assoggettamento a quella forma di gestione
dei rifiuti che è il recupero, dismettere questa qualità per diventare materia prima secondaria o, secondo la terminologia da ultimo richiamata dal legislatore
del d.lgs. 4/08 con l’introduzione dell’art. 181 bis del d.lgs. 152/06, sostanza,
materia o prodotto secondari. Da questo momento in poi potrà dirsi terminata
la “gestione del rifiuto”, poiché, come ricorda il comma 3 dell’art. 181, “La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle
operazioni di recupero”.
L’art. 181 bis rimette ad un decreto ministeriale4 la individuazione di materie, prodotti e sostanze secondari, ma – a differenza della precedente formulazione del d.lgs. 152/06 (e segnatamente dell’art. 181 nel precedente testo) – poneva
limiti (in termini di criteri, condizioni e requisiti) che prima non erano fissati.
è necessario infatti che siano analiticamente previsti:
a) Caratteristiche del rifiuto originario (più precisamente, la provenienza, la
tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre);
b)Caratteristiche del trattamento intermedio (una operazione di riutilizzo, di
riciclo o di recupero di rifiuti della quale devono essere precisate modalità
e condizioni di esercizio);
c)Caratteristiche della materia prima secondaria ovvero del prodotto, materia, sostanza secondari (più esattamente “criteri di qualità ambientale, i
requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in
commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo
a) dal ricorso da parte del legislatore a due locuzioni (emissioni ed impatti ambientali) della quali la
prima è contenuta nella seconda;
b)
dalla circostanza che entrambe non siano necessariamente oggetto di autorizzazione;
c)
dalla necessità di privilegiare l’interpretazione di questa delimitazione che consenta alla norma di
evitare il contrasto con la normativa comunitaria.
4
Più precisamente un “decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi
dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con
il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008”
58
Nitti
conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti
dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto
secondario); deve trattarsi in ogni caso di sostanza con “effettivo valore
economico di scambio sul mercato”.
Fino alla adozione del decreto sopra richiamato che specifichi le caratteristiche sub a ), b) e c) riassunte, continuano ad applicarsi i dd.mm. decreti
ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n.
269. Si tratta dei decreti che individuano e disciplinano i casi in cui è possibile
svolgere con la mera comunicazione di inizio delle attività (e cioè ammettere
alle c.d. procedure semplificate) operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi
(il d.m.5.2.1998), pericolosi (il d.m. 161/2002), pericolosi provenienti dalle navi (d.m. 269/05).
Sebbene la norma non preveda esplicitamente una automatica eguaglianza
tra tutte le sostanze indicate nei dd.mm. menzionati come esito delle procedure
di recupero in regime semplificato, da una parte, e le sostanze, materie e prodotti
secondari, è evidente che questa era l’intenzione del legislatore, anche alla luce
del richiamo (contenuto nel comma 4) alla persistente (per quanto temporanea)
vigenza della circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n°
3402/V/MIN. Secondo la menzionata circolare : “b) i materiali, le sostanze e gli
oggetti originati da cicli produttivi o di preconsumo, dei quali il detentore non si
disfi, non abbia l’obbligo o l’intenzione di disfarsi e che quindi non conferisca
a sistemi di raccolta o trasporto dei rifiuti, di gestione di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, purché abbiano le caratteristiche delle materie prime
secondarie indicate dal D.M. 5 febbraio 1998 e siano direttamente destinate in
modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo, sono sottoposti
al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti”.
Sicchè può dirsi che (accantonando in questa sede le perplessità che questa assimilazione poteva suscitare e suscita ancor più oggi) un rifiuto espressamente richiamato in uno dei tre citati decreti, sia da considerarsi – ove sia sottoposto alle procedure di recupero per esso specificamente previste negli stessi
decreti e abbia assunto le caratteristiche menzionate negli stessi – materia prima
secondaria o “materia, sostanza, prodotto” secondario, secondo la previsione
del nuovo art. 181 bis.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 59
2.3. Esclusioni
Nell’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti non vanno poi ricompresi i casi previsti espressamente come esclusioni dall’art. 185, nonché
altri casi di cui viene separatamente dettata una diversa disciplina, quali il CDR
e le terre e rocce da scavo
Quanto alle esclusioni di cui al primo comma dell’art. 185 esse riguardano:
a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell’ atmosfera, i quali effluenti sono oggetto della disciplina dell’inquinamento atmosferico,
sempre che appunto oggetto di emissioni in atmosfera, poiché se diversamente detenute (p..es. in contenitori) di esse potrà porsi il problema della
eventuale natura di rifiuto;
b) (in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) le acque di scarico, eccettuati i rifiuti allo stato liquido, le quali acque sono oggetto della disciplina dell’inquinamento idrico. Anzi il criterio per individuare quando vi sia acqua di scarico e quando
vi sia rifiuto liquido è dettato dall’art. 74 lett. ff) dello stesso testo unico
(modificato dal d.lgs. 4/08, per vero con una interpolazione quanto meno
macchinosa nel risultato), secondo cui è scarico «qualsiasi immissione
effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che
collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con
il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte
a preventivo trattamento di depurazione. ». In estrema sintesi, l’esistenza
di una soluzione di continuità nel sistema di collettamento tra ciclo di
produzione e corpo ricettore, determina il venir meno della categoria dello
scarico e l’individuabilità nella sostanza del rifiuto liquido.
c) (in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) i rifiuti radioattivi;
d) (in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) i materiali esplosivi in disuso;
e) (in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento
delle cave;
f) (in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose  utilizzate nell’attività agri-
60
g)
Nitti
cola; secondo la interpretazione datane dalla Suprema Corte (Cass. III sez.
pen., 4.6.2007, n. 21676) le carogne se ed in quanto costituiscano rifiuti di
origine animale, rientrano nella disciplina dei rifiuti qualora esulino dalla
normativa sanitaria e veterinaria (prima, d.lgs.508/92, ora Regol.comun.
1774/02, che ne disciplinano l’eliminazione o, in casi limitati di basso
rischio, la riutilizzazione per scopi specifici);
(in quanto disciplinati da altra disposizioni normativa con finalità di tutela
ambientale e sanitaria) i materiali vegetali, le terre e il pietrame, non contaminati in misura superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti, provenienti dalle attività di manutenzione di alvei di scolo ed irrigui.
Nelle precedenti formulazioni si richiamavano tra esse anche sostanze per
le quali poteva forse invocarsi la natura di sottoprodotto. Ora, con una tecnica
normativa più attenta alla coerenza logica del sistema (anche se foriera di alcuni
problemi interpretativi), la nuova formulazione dell’art. 185 al comma secondo
prevede espressamente che
“possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p),
comma 1 dell’art. 183:
-
materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre
energia o calore, o biogas,
-
materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli e riutilizzati nelle
normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi,
-
eccedenze derivanti dalle preparazioni di cibi solidi, cotti o crudi, destinate, con specifici accordi, alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281”.
Nella nozione di rifiuto (o, comunque, nell’ambito di applicazione della
disciplina dei rifiuti) non vanno poi ricompresi (oltre ai casi previsti espressamente come esclusioni dall’art. 185), altri casi di cui viene separatamente dettata una diversa disciplina, quali il CDR e le terre e rocce da scavo.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 61
3. Come classificare un rifiuto
Una volta accertata la natura della sostanza come rifiuto, deve procedersi
alla sua classificazione.
I due principali criteri di classificazione indicati dal testo unico (come dal
decreto Ronchi) sono:
a) secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e,
b) secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non
pericolosi.
La prima classificazione in urbani e speciali attiene (prevalentemente
ma non esclusivamente) alla provenienza dei rifiuti.
L’art. 184 del t.u. elenca al secondo comma le categorie di rifiuti che sono
da considerarsi urbani:
“2. Sono rifiuti urbani:
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi
adibiti ad uso di civile abitazione;
b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi
diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per
qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g);
c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed
aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette
ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei
corsi d’acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e
aree cimiteriali;
f)
i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri
rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle
lettere b), c) ed e).”
e, al comma terzo. quelli che sono da considerarsi rifiuti speciali:
“
a)
i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione,costruzione, nonche’
i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto
disposto dall’articolo 186;
c) i rifiuti da lavorazioni industriali
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
62
Nitti
e)
f) g) h) i) l) m)
i rifiuti da attività commerciali;
i rifiuti da attività di servizio;
i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti,
i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle
acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di
fumi;
i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;
il combustibile derivato da rifiuti;”
Ulteriore rilevante classificazione è quella relativa alla pericolosità del
rifiuto.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 184, “Sono pericolosi i rifiuti non
domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco, nell’elenco
di cui all’Allegato D alla parte quarta del presente decreto, sulla base degli
Allegati G, H e I alla medesima parte quarta”.
Sicchè perché un rifiuto sia pericoloso occorre:
a) che non si tratti di rifiuti domestici e
b) che sia indicato con l’asterisco nell’elenco di cui all’allegato D (il quale
riporta talora la medesima sostanza sia con l’asterisco che senza: trattasi
delle cosiddette voci a specchio o speculari) e
c) che risponda alle ulteriori caratteristiche riportate nei tre allegati menzionati. In particolare:
a. In primo luogo, deve trattarsi di uno dei rifiuti di cui all’allegato G1.
In alternativa, deve trattarsi di uno dei rifiuti di cui all’allegato G2,
contenente uno dei costituenti di cui all’allegato H.
b. In secondo luogo il rifiuto di cui all’allegato G1 (o il costituente di
cui all’Allegato H contenuto nel rifiuto di cui alleg. G2) deve avere
una delle 14 caratteristiche di cui all’allegato I (da H01 sino ad H14:
esplosivo, comburente,infiammabile, irritante, nocivo, tossico -o che
possono sprigionare gas tossici-, cancerogeno, corrosivo, infettivo,
teratogeno, mutageno -o che possono dar luogo dopo eliminazione
ad una sostanza con una delle precedenti caratteristiche-, ecotossico).
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 63
4. Come codificare un rifiuto
L’iter logico che porta alla attribuzione di un codice a tre numeri a due cifre è analiticamente descritto nella introduzione all’allegato D alla parte quarta
del testo unico.
Non occorre pertanto in questa sede ripercorrerlo, ciò che imporrebbe di
evidenziare ancora una volta la singolare illogicità (per le numerazioni scelte)
del percorso seguito nei paragrafi 3.1. 3.2. e 3.3..
5. Individuazione delle operazioni di gestione dei rifiuti: disciplina
Limitando l’analisi della disciplina a quei profili che assumono maggiore rilevanza in sede di verifica delle ipotesi di illecito penale, i due cardini da
esaminare sono l’assoggettamento dello svolgimento di attività di gestione, da
un canto, all’esistenza di un titolo abilitativo, e, dall’altro, a taluni obblighi di
tenuta documentale. Generale è il divieto di abbandono dei rifiuti.
Di seguito saranno richiamate le principali operazioni di cui i rifiuti possono essere oggetto, sintetizzandone, a margine, la disciplina applicabile sia con
riguardo ai titoli abilitativi (se in particolare siano soggette ad autorizzazione, comunicazione di inizio ovvero iscrizione) sia con riguardo ai profili documentali.
Le due principali fasi della vita del rifiuto sono la produzione e la gestione;
quest’ultima segue la produzione e comprende – secondo la definizione dettata
dalla lett.d dell’art.183) – “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento
dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle
discariche dopo la chiusura;”.
5.1. Produzione di rifiuti
La disciplina dettata dalla parte IV del testo unico si occupa principalmente della gestione dei rifiuti, ma detta alcune disposizioni e prevede alcuni adempimenti anche in tema di produzione nella prospettiva sia di ridurla o
condizionarla, sia comunque di monitorarla al fine di poter rendere efficace il
controllo della gestione.
Il testo unico affronta (con l’art. 183 lett. b) il problema della definizione
giuridica di produttore di rifiuto (più ampia di quella naturalistica): in questa
sede, si ritiene necessario al momento evidenziare soltanto che la produzione
64
Nitti
di rifiuti – propria di qualsiasi attività umana - non è soggetta ad alcun titolo
abilitativo, ma è in alcuni casi5 soggetta -al fine di consentire quel monitoraggio
che è necessario per la ricostruzione dell’intero ciclo di vita del rifiuto-ad alcuni
adempimenti documentali, quali la comunicazione annuale delle quantità e delle caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di produzione e la tenuta di un
registro di carico e scarico, su cui annotare le informazioni sulle caratteristiche
qualitative e quantitative dei rifiuti.
Ovviamente diverso è il caso in cui il produttore non si limiti a produrre
il rifiuto ma lo sottoponga ad una delle operazioni di gestione di seguito esaminate.
Il deposito temporaneo presso il produttore è consentito e non è soggetto
ad autorizzazione ove siano rispettate le condizioni qualitative, quantitative, di
tempo e di deposito indicate dall’art. 183 lett. m) (da ultimo modificato con il
d.lgs. 4/08). Differisce in tal senso dalle analoghe operazioni -che avvengono
una volta avviata la fase di gestione dei rifiuti- di messa in riserva (se il rifiuto è
destinato a recupero) e di deposito preliminare (se il rifiuto è destinato a smaltimento) e che costituiscono a loro volta rispettivamente operazioni (non definitive) di recupero e di smaltimento, alla cui disciplina sono assoggettate Soltanto
il deposito preliminare e la messa in riserva e non il deposito temporaneo presso
il produttore possono essere definite stoccaggio.
5.2. Gestione di rifiuti
5.2.1. Raccolta
La raccolta di rifiuti è, secondo l‘art. 183 lett.e come “l’operazione di
prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto”
Premesso che alcune forme ed alcuni contesti di raccolta sono specificamente disciplinati dal legislatore (quali, ad esempio, la raccolta dei rifiuti urbani
e assimilati/assimilabili, la raccolta in ambito portuale, la raccolta dei rifiuti
sanitari e, in generale, dei rifiuti per i quali è prevista la istituzione di appositi
5
Il riferimento è a “le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti
produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g),…ad
esclusione degli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 c.c. con un volume di affari annuo non
superiore a euro ottomila, le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di
cui all’articolo 212, comma 8” (cioè a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed
accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti),”nonché, per i soli rifiuti non
pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più di dieci dipendenti”.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 65
consorzi), le imprese che raccolgono rifiuti, indipendentemente dalle quantità e
qualità di questi ultimi:
• sono soggette alla iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali (vi è sottoposto infatti “Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta
e trasporto di rifiuti”) e
• sono altresì obbligate
o
alla comunicazione annuale al catasto,
o
alla tenuta del registro di carico e scarico su cui devono annotare le
informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti,
o
durante il trasporto che sia effettuato anche nell’ambito della raccolta, all’obbligo di accompagnare i rifiuti con un formulario di identificazione. Quest’obbligo non si applica, tuttavia, al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che garantisce il servizio pubblico
Come si dirà più avanti, l’assenza di titoli abilitativi è penalmente sanzionata, mentre le omissioni relative ad obblighi documentali assumono normalmente rilevanza di illecito amministrativo.
5.2.2. Trasporto
Il trasporto di rifiuti, benché non definito dalla normativa italiana né da
quella comunitaria6, è il trasferimento del rifiuto da un luogo ad un altro con
esclusione del trasferimento del rifiuto da effettuarsi ed effettuato all’interno
della stessa sede di produzione o del luogo di smaltimento o di recupero. In
generale, è oggi previsto dall’art. 193 che “9. La movimentazione dei rifiuti
esclusivamente all’interno di aree private non e’ considerata trasporto ai fini
della parte quarta del presente decreto.”
Trasporto di rifiuti è, secondo la stessa direttiva nella interpretazione datane dalla Corte di Giustizia7, anche il trasferimento curato dallo stesso produttore
del rifiuto in via ordinaria e regolare.
L’impresa che effettua trasporto di rifiuti di terzi – siano essi pericolosi
siano non pericolosi – deve comunque essere iscritta all’Albo dei Gestori Ambientali.
6
In materia di spedizione transfrontaliera, il Reg. Com. 1013/06 all’art. 2 definisce: “33) «trasporto»: il
trasporto di rifiuti su strada, per ferrovia, per via area, marittima o navigazione interna;”
7
Corte di Giustizia, III sezione, sent. 9.6.2005 nella causa C-270/03 Commissione della Comunità Europee contro Repubblica Italiana, ove pure è richiamata l’ordinanza della Corte 29.5.2001, causa C-311/99,
Caterino.
66
Nitti
L’impresa che effettua trasporto di rifiuti propri è soggetta a forme distinte
di iscrizione all’Albo a seconda di classificazione e, in alcuni casi, quantità di
rifiuti trasportati.
Chiunque effettua a titolo professionale attività di trasporto di rifiuti è obbligato alla comunicazione annuale al Catasto, alla tenuta del registro di carico
e scarico e, come tutti gli enti e le imprese che effettuano trasporto di rifiuti,
all’utilizzo e conservazione del formulario di identificazione dei rifiuti per ogni
trasporto di rifiuti.
Il d.lgs. 152/06 ha espressamente disciplinato il caso della sosta durante il
trasporto, disponendo che rientrino nel trasporto e non configurino stoccaggio e
quindi, a seconda che i rifiuti siano destinati a recupero o a smaltimento (rispettivamente messa in riserva o deposito preliminare):
• la sosta durante il trasporto dei rifiuti caricati per la spedizione
o
all’interno dei porti e
o
degli scali ferroviari,
o
delle stazioni di partenza, di smistamento e di arrivo,
• gli stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto, nonche’
• le soste tecniche per le operazioni di trasbordo
Si richiede tuttavia che:
a) le stesse siano dettate da esigenze di trasporto e
b) non superino le quarantotto ore, escludendo dal computo i giorni
interdetti alla circolazione.
5.2.1.Smaltimento
Il d.lgs. 152/06 (nella formulazione vigente dopo la modifica ad opera del
d.lgs. 4/088) si limita (all’art. 183 lett. g) a elencare, mediante il rinvio all’allegato B, una serie di operazioni che rientrano nello smaltimento.
Pur in assenza di una definizione normativa, può ritenersi che smaltimento sia un’operazione di gestione dei rifiuti9 inidonea a trasformare il rifiuto
in prodotto e che sia finalizzata alla (o consegua la) “eliminazione” (diretta,
nelle operazioni definitive, o mediata, nelle operazioni preliminari) del rifiuto.
L’allegato B – pur non contenendo una definizione, riporta un’elencazione
8
Prima della modifica la lett. g) definiva smaltimento “ogni operazione finalizzata a sottrarre
definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta e, in
particolare, le operazioni previste nell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto”.
9
Diversa da mero trasporto e raccolta.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 67
di 15 operazioni di smaltimento, alcune delle quali definitive ed altre preliminari
ad operazioni definitive. Operazioni preliminari a quelle definitive di smaltimento
(ma pur sempre da considerarsi a loro volta di smaltimento) sono il trattamento
biologico (D8) e chimico fisico (D9), il raggruppamento preliminare (D12) ed
il ricondizionamento preliminare (D13), oltre che il deposito preliminare (D14)
Con particolare sfavore è guardata l’operazione di smaltimento più nota,
quella del deposito su suolo in area adibita a discarica, soggetta –in attuazione
alla direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti- ai d.lgs. 13 gennaio 2003 n. 36 e d.m. 13 marzo 2003.
La realizzazione di impianti di smaltimento e l’esercizio di operazioni di
smaltimento devono essere espressamente autorizzati, normalmente con la nuova autorizzazione unica e nei casi più complessi con la autorizzazione integrata
ambientale
Quanto agli adempimenti documentali, l’art. 187 impone alle “imprese
e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti” di
effettuare la comunicazione annuale al Catasto. L’art. 188 pone poi a carico dei
medesimi soggetti l’obbligo di tenere il registro di carico e scarico.
5.2.2.Recupero
Anche il recupero è operazione di gestione non compiutamente definita
dall’art. 183 (dopo la modifica ad opera del d.lgs. 4/08) se non, alla lett. h), mediante rinvio alle operazioni previste nell’allegato C.
La Corte di Giustizia individua quale denominatore comune delle operazioni di recupero l’ “obiettivo principale… che i rifiuti possano svolgere una
funzione utile sostituendosi all’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, il che consente di preservare le risorse
naturali” (sentenza 27 febbraio 2002 causa C-6/00).
Le operazioni di recupero di rifiuti possono essere svolte:
-
(nei casi espressamente previsti, e quindi oggi nei casi previsti dal D.M.
5.2.1998 e dal d.m. 161/02) in regime c.d. semplificato, decorsi cioè novanta giorni dalla comunicazione alla provincia;
-
(ove non si tratti di casi così individuati) previo conseguimento della autorizzazione e quindi in regime ordinario.
Le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti sono
obbligate sia alla comunicazione al Catasto che alla tenuta del registro di carico
e scarico.
68
Nitti
5.3 Spedizione transfrontaliera
5.3.1Nozione
Una disciplina distinta è quella della spedizione transfrontaliera.
In ogni caso in cui i rifiuti debbano oltrepassare, in ingresso o in uscita, in
via definitiva o per transito, il confine nazionale il trasporto diventa spedizione
transfrontaliera.
Più esattamente, costituisce spedizione transfrontaliera di rifiuti qualsiasi
trasporto di rifiuto che interessi più di uno Stato, ovvero,
a) secondo la definizione dettata dal Regolamento CEE n.259/93
“le spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità Europea, nonché in
entrata ed in uscita dal suo territorio”
b) secondo la definizione dettata dal Regolamento CEE n. 1013/06, articolo 2
Definizioni
34) «spedizione»: il trasporto di rifiuti destinati al recupero o allo smaltimento previsto o effettuato:
a) tra un paese ed un altro paese; o
b) tra un paese e paesi e territori d’oltremare o altre zone, sotto la
protezione di tale paese; o
c) tra un paese e un territorio che non faccia parte di alcun paese in
virtù del diritto internazionale; o
d) tra un paese e l’Antartico; o
e) da un paese attraverso una delle zone sopra citate; o
f)
all’interno di un paese attraverso una delle zone sopra citate e che
ha origine e fine nello stesso paese; o
g) da una zona geografica non soggetta alla giurisdizione di alcun
paese, verso un paese;
è sufficiente (fatte salve le esclusioni che la direttiva prevede e su cui in
questa sede non occorre soffermarsi) che il trasporto del rifiuto abbia destinazione fuori dello Stato o vi provenga per aversi spedizione transfrontaliera e ciò
indipendentemente dal numero di Stati interessati, ovvero dalla intracomunitarietà o meno del trasporto.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 69
5.3.2Disciplina
In via generale, l’art. 194 rinvia per le Spedizioni transfrontaliere a tre
fonti:
a) i regolamenti comunitari che regolano la materia,
b) gli accordi bilaterali di cui all’articolo 19 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, e
c) il decreto di cui al comma 3.
Mentre il comma secondo disciplina il tema della gestione dei rifiuti nei
rapporti con lo Stato della Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino e
la Repubblica italiana (profili che nell’ambito di questa trattazione non assumono rilevanza), il terzo comma individua l’oggetto del richiamato decreto interministeriale10 nelle garanzie finanziarie, le spese amministrative; le modalità
di verifica dell’applicazione del principio di prossimità per i rifiuti destinati a
smaltimento.
Restano ferma “sino all’emanazione del predetto decreto” “le disposizioni di cui al decreto interministeriale 3 settembre 1998, n. 370”.
Il quinto comma prevede che: “Ai sensi e per gli effetti del regolamento
(CEE) n. 259 del 1° febbraio 1993:
a) le autorità competenti di spedizione e di destinazione sono le regioni e le
province autonome;
b) l’autorità di transito è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio;
c) corrispondente è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.”.
Il quadro va poi letto unitamente alle previsioni legislative regionali, per
le quali si rinvia alla specifica parte di questo manuale.
5.3.3La disciplina del regolamento comunitario
Anche in relazione alla disciplina dettata con Regolamento 11013/06 deve
farsi rinvio all’approfondimento sviluppato sul tema in altra parte del presente
manuale.
Del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive,
della salute, dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti
10
70
Nitti
5.3.4La disciplina nazionale applicabile
Richiamata la disciplina oggetto del regolamento comunitario, i problemi
da esaminare in questa sede sono:
a) se i segmenti della spedizione che costituiscono trasporto nel territorio
dello Stato Italiano siano soggetti agli specifici titoli abilitativi previsti (ed
in particolare debbano essere svolti da soggetto iscritto);
b) se i segmenti della spedizione che costituiscono trasporto nel territorio
dello Stato Italiano siano soggetti alla specifica disciplina documentale
(ed in particolare alla disciplina del f.i.r.).
5.3.4.1Disciplina documentale
Il quesito sub b) trova risposta nell’art. 193, che prevede al comma 7 che
“Il formulario di cui al presente articolo è validamente sostituito, per i
rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria di cui all’art. 194, anche con riguardo alla tratta percorsa
su territorio nazionale”.
Se il contenuto del f.i.r. appare in sostanza surrogabile dal contenuto della
documentazione prevista dalla normativa comunitaria, resta tuttavia la necessità
che il notificatore sia consapevole e si accerti della corretta ricezione del rifiuto
da parte del destinatario.
Necessità soddisfatta in materia di trasporto mediante il meccanismo della
quadruplice copia del f.i.r..
Ebbene, nonostante il chiaro riferimento dell’art. 193, ancora oggi l’art.
188 richiede anche in caso di spedizioni transfrontaliere che il notificatore si
adoperi per acquisire tale conoscenza.
L’art. 188 espressamente prevede al comma terzo:
“La responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento
dei rifiuti è esclusa:
a) …
b) in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di
recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto
il formulario di cui all’articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal
destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a
dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formula-
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 71
rio. Per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti tale termine è elevato a sei
mesi e la comunicazione è effettuata alla regione.”
5.3.4.2Disciplina dei titoli abilitativi
Occorre domandarsi se vi sia analoga esclusione in relazione a quanto nel
paragrafo 5.3.3 sub a ) specificato.
Il dato normativo resta quello di cui all’art. 212, ove è previsto in via generale al comma quinto che:
“L’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi, di raccolta e trasporto di rifiuti
pericolosi…”.
In altri termini, la previsione è di carattere generale e non tollera esclusioni quali sarebbero diversamente le condotte di trasporto incluse in una spedizione transfrontaliera: per svolgere attività di trasporto di rifiuti in Italia occorre
essere iscritti nell’albo dei gestori ambientali.
Il dato normativo è peraltro inequivoco anche nel terzo comma dell’art.
3 del d.m. 370/98 “Regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziaria per il trasporto transfrontaliero di rifiuti.”
(richiamato, come si è detto dall’art. 194, comma 4), il quale espressamente
prevede che:
“3. Fatti salvi eventuali specifici accordi internazionali e le norme che
disciplinano il trasporto di merci, il trasportatore deve essere autorizzato
all’effettuazione del trasporto di rifiuti ai sensi dell’ordinamento italiano
o di uno Stato membro dell’Unione europea.”
Anche il primo comma dell’art. 10 del d.m. 406/98 considera espressamente soggetti giuridici appartenenti ad altri Stati,
Né depone in senso contrario la circostanza che il secondo comma richieda:
“Per l’iscrizione all’Albo occorre che i soggetti di cui al comma 1:
a) siano cittadini italiani o cittadini di Stati membri della UE o cittadini di
un altro Stato residenti in Italia, a condizione che quest’ultimo riconosca
analogo diritto ai cittadini italiani;
b) siano domiciliati, residenti ovvero abbiano sede o una stabile organizzazione in Italia…”
Per essere iscritti nell’albo occorre, infatti, che si posseggano requisiti che
forniscano adeguate garanzie: in questo senso deve essere letta anche la delimitazione sopra riportata che non impedisce la prosecuzione in Italia in assolu-
72
Nitti
to della spedizione se iniziata all’estero con trasportatore straniero non iscritto
all’Albo dei Gestori ambientali, ma impone, in tutta evidenza, che la prosecuzione avvenga con altro soggetto che possegga i requisiti previsti dalla legge e
della regolamentazione ministeriale. Diversamente opinando dovrebbe ritenersi
che anche la disciplina delle garanzie finanziarie finisca per essere elusa e che
– in sostanza – convenga per le spedizioni transfrontaliere piuttosto avvalersi
di vettori stranieri, che se non iscritti nell’albo gestori potranno aver sopportato
minori costi, con possibile risparmio anche per il notificatore e maggiore pericolo per l’ambiente.
Del resto, sarebbe paradossale ammettere che – una volta condivise le preoccupazioni che hanno portato ad una più rigorosa disciplina della spedizione
transfrontaliera in ragione del maggior livello di tutela ambientale cui in tali casi
deve mirarsi – si ammetta che di contro possa essere aggirato il livello di tutela
richiesto per il trasporto di rifiuti all’interno dello Stato. E che le preoccupazioni
sopra indicate siano espresse dalla disciplina regolamentare comunitaria è testimoniato dalle stesse premesse anche al Regolamento 1013/06 ove, tra l’altro,
si legge:
(7) È importante organizzare e disciplinare la sorveglianza e il controllo
delle spedizioni di rifiuti secondo modalità che tengano conto della necessità di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente e
della salute umana e che favoriscano una più uniforme applicazione del
regolamento in tutto il territorio della Comunità.
(8) È altresì importante tener presenti le prescrizioni di cui all’articolo 4,
paragrafo 2, lettera d), della convenzione di Basilea, in base alle quali
le spedizioni di rifiuti pericolosi devono essere ridotte al livello minimo
compatibile con una gestione efficiente ed ecologicamente corretta di tali
rifiuti.
…
(33) Si dovrebbero intraprendere i passi necessari per garantire che, ai
sensi della direttiva 2006/12/CE e delle altre normative comunitarie sui
rifiuti, i rifiuti spediti all’interno della Comunità e quelli importati nella
Comunità siano gestiti, per tutta la durata della spedizione, compreso il
recupero e lo smaltimento nel paese di destinazione, senza pericolo per
la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero
recare pregiudizio all’ambiente
Non deponente in senso contrario, ma confermativa dell’esistenza di un
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 73
generale obbligo di iscrizione è la abrogata previsione11 di cui al comma 12
dell’art. 212 (oggetto di abrogazione da parte del d.lgs. 4/08, art. 2, comma 30,
ultima parte ) in materia di rottami ferrosi12.
5.3.5.Conclusioni
Ne discende che in materia d’accertamento della regolarità delle spedizioni transfrontaliere dei rifiuti (comprensibilmente con tempi diversi rispetto al
primo controllo in loco), dovrà verificarsi:
a) la conformità alla disciplina comunitaria sopra richiamata;
b) la sussistenza del titolo abilitativo per il trasportatore e il rispetto della
previsione del terzo comma dell’art. 188 o con l’applicazione della disciplina del f.i.r. o, ove la parte abbia legittimamente applicato soltanto la
disciplina della documentazione per la spedizione transfrontaliera, ottemperando agli oneri di verifica ed eventuale comunicazione.
6. Cenni sulla disciplina dei titoli abilitativi
Dal quadro brevemente riportato in merito al regime cui sono sottoposte
le singole operazioni sinora esaminate è già possibile desumere che esistono
tre distinti regimi abilitativi che consentono di svolgere attività di gestione dei
rifiuti.
11
La abrogazione, rispondente ad una impostazione di maggior rigore del d.lgs. 4/08, rispetto alla originaria
formulazione del d.lgs. 152/06, appare confermata anche dalla esclusione dalla iscrizione semplificata
delle imprese che trasportano i rifiuti indicati nella lista verde, discendente dalla abrogazione (ad opera
dell’ultima parte del comma 31 dell’art. 2 del d.lgs. 4/08) delle seguenti parole dell’articolo 212 comma
18 «e le imprese che trasportano i rifiuti indicati nella lista verde di cui al Regolamento (CEE) 259/93 del
1° febbraio 1993» sono soppresse”.
12
Prevedeva: “E’ istituita, presso l’Albo, una Sezione speciale, alla quale sono iscritte le imprese di paesi
europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate
nell’articolo 183, comma 1, lettera u), per la produzione di materie prime secondarie per l’industria
siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche nazionali, comunitarie
e internazionali individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Sino
all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le condizioni e le norme tecniche riportate
nell’Allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998. L’iscrizione e’ effettuata a seguito
di comunicazione all’albo da parte dell’azienda estera interessata, accompagnata dall’attestazione di
conformita’ a tali condizioni e norme tecniche rilasciata dall’autorita’ pubblica competente nel Paese di
appartenenza. Le modalita’ di funzionamento della sezione speciale sono stabilite dal Comitat o nazionale
dell’Albo; nelle more di tale definizione l’iscrizione e’ sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata dall’attestazione di conformita’ dell’autorita’ competente.”
74
Nitti
In primo luogo, il c.d. regime ordinario si caratterizza per l’esistenza di
una autorizzazione esplicita della Pubblica Amministrazione, si tratti della nuova autorizzazione unica (che prende il posto delle due autorizzazione precedentemente previste, quella per la realizzazione dell’impianto e quella per l’esercizio) ovvero della autorizzazione integrata ambientale. Essa è sempre necessaria
per lo svolgimento di operazioni di smaltimento di rifiuti e – nei casi in cui non
sia possibile far ricorso alle procedure semplificate- per lo svolgimento di operazioni di recupero.
In secondo luogo, la comunicazione di inizio di attività -con possibilità
di avviare le operazioni dopo il decorso del termine di novanta giorni dall’invio alla provincia di una comunicazione con allegata relazione- costituisce la
c.d. procedura semplificata e può applicarsi nei casi espressamente previsti di
recupero di rifiuti (sia pericolosi che non pericolosi) e di smaltimento da parte
dello stesso produttore del rifiuto (cd autosmaltimento). Anche in questo caso,
come soprattutto in caso di iscrizione e, in misura minore, di autorizzazione, il
legislatore ha previsto anche forme procedimentali diversificate in relazione a
casi particolari.
In terzo luogo, le restanti operazioni di gestione di rifiuti, e soprattutto il
trasporto e la raccolta di rifiuti, possono essere effettuate a seguito di iscrizione
nell’albo dei gestori ambientali. Si tratta in realtà di tre distinte procedure di
iscrizione che nella prassi sono sinteticamente definite iscrizione ordinaria (212
co.5 ss), iscrizione light e iscrizione superlight.
7.Cenni sulla disciplina documentale
Esigenza primaria nel contesto della disciplina della gestione dei rifiuti e
della prevenzione dei reati ad essa connessi è quella di prevedere idonei meccanismi che impediscano la frammentazione del ciclo sotto il profilo delle responsabilità. In detta prospettiva, la parte IV del testo unico ambientale fissa all’art.
178 comma 3 il principio della “responsabilizzazione e della cooperazione di
tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel
consumo di beni da cui originano i rifiuti….”.
Partendo, in sostanza, dalla piena consapevolezza della possibilità, in materia ambientale, di ciascun anello della catena del ciclo dei rifiuti di scaricare
la propria responsabilità sul detentore finale e di quest’ultimo di dolersi della
propria ignoranza circa la effettiva natura delle sostanze detenute, si è così vin-
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 75
colato ciascun anello della catena al successivo ed precedente. La prospettiva
verso la quale il sistema muove è quella della tracciabilità del rifiuto anche elettronica, testimoniata anche dal comma 3 bis dell’art. 189, introdotto dall’art.2
del d.lgs. 4/08, finalizzato alla “istituzione di un sistema informatico di controllo
della tracciabilità dei rifiuti, ai fini della trasmissione e raccolta di informazioni
su produzione, detenzione, trasporto e smaltimento di rifiuti e la realizzazione
in formato elettronico del formulario di identificazione dei rifiuti, dei registri di
carico e scarico e del M.U.D., da stabilirsi con apposito decreto del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”.
All’esistenza di un obbligo di reciproco controllo (correlato al principio
di responsabilizzazione) consegue la necessaria continuità documentale tra gli
anelli del ciclo di gestione, continuità che si fonda su tre adempimenti di carattere documentale:
1) la comunicazione annuale al Catasto dei rifiuti, obbligatoria per specifiche
categorie di gestori di rifiuti13;
2) la tenuta, obbligatoria per i medesimi soggetti, del registro di carico e
scarico;
3) la compilazione e la conservazione del formulario di identificazione, che
accompagna il rifiuto in ogni caso di trasporto da parte di imprese o enti.
Esso non soltanto impone e consente al detentore di accertarsi della prevista destinazione del rifiuto, così come al destinatario di conoscere la
natura delle sostanze che vengono conferite (ancorché sulla base della dichiarazione del produttore/detentore), ma rende possibile soprattutto corAi sensi dell’art. 187, si tratta di:
a.
chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti,
b.
i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione,
c.
le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti,
d.
i Consorzi istituiti per il recupero ed il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti, nonché
e.
le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e
f.
le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3,
lettere c), d) e g),
ad esclusione
•
degli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 c.c. con un volume di affari annuo non superiore
a euro ottomila,
•
le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 212, comma 8 (a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti), nonché,
•
per i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più di dieci
dipendenti .
13
76
Nitti
relare immediatamente, anche in caso di controllo nel corso del trasporto,
il rifiuto ad un “mittente”(produttore o detentore) e ad un “destinatario” e
di accertare la rispondenza con il percorso previsto.
Non si applica la disciplina del f.i.r.:
a) (193 quarto comma) al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico;
b) (193 quarto comma) ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati
dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che
non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri.
Se si considera che la regolamentazione attuativa della disciplina della
procedura semplificata (allo stato il riferimento è ancora al D.M. 5.2.1998 ed
al DM 161/02) correla direttamente i singoli rifiuti (il cui recupero può essere
effettuato in regime di procedura semplificata) alle specifiche attività di recupero e quindi a determinate e tassative destinazioni (del cui titolo abilitativo il
produttore deve fornire specifica indicazione), ne consegue che il produttore del
rifiuto che intenda trasferire ad altro impianto il rifiuto per il recupero non dovrà
soltanto qualificare il rifiuto sulla base delle categorie normative e qualificare
l’operazione di gestione cui si intende sottoporre lo stesso (verificando se detto
rifiuto sia astrattamente destinabile alla operazione individuata) ma anche accertare se il destinatario possa svolgere la operazione individuata, e se in particolare detta operazione rientri tra quelle per le quali il destinatario risulta essere
autorizzato (espressamente o mediante procedura semplificata).
8. Gli illeciti penali
Prescindendo in questa sede dalla analisi di aluni illeciti connessi alla
violazione del divieto di abbandono ed alla violazione della disciplina della
bonifica, che – nella prospettiva transfrontaliera in cui si muove questa lavoro –
appaiono di improbabile riscontro operativo, saranno nel prosieguo analizzati:
• gli illeciti relativi alla violazione della disciplina dei titoli abilitativi;
• quelli, prevalentemente ma non esclusivamente illeciti amministrativi, relativi alla disciplina degli adempimenti documentali;
• la violazione della disciplina della spedizione transfrontaliera;
• il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 77
8.1.La violazione della disciplina dei titoli abilitativi
Il capitolo più significativo degli illeciti penali in materia di rifiuti, rispecchiando una impostazione ricorrente in materia ambientale, è quello connesso alla
violazione della disciplina dei titoli abilitativi per l’esercizio di attività di gestione.
è possibile, in via generale, distinguere tre tipologie di illeciti, a seconda
che siano connessi ai presupposti per il conseguimento del titolo, ovvero allo
svolgimento di gestione in assenza dei titoli, ovvero ancora allo svolgimento di
gestione di rifiuti in violazione delle prescrizioni contenute nei titoli.
8.1.1.I reati in tema di rilascio dei titoli abilitativi
In relazione ai tre regimi di gestione dei rifiuti (regime ordinario con autorizzazione esplicita, regime di mera iscrizione -iscrizione ordinaria, c.d. i. light
e c.d. i. super-light- e regime semplificato con comunicazione di inizio attività
– con ulteriori articolazioni), vi sono tre distinte fattispecie che considerano
l’eventuale sussistenza di profili di falso nelle “dichiarazioni” di parte che in
tutto in parte possono fondare i tre diversi titoli abilitativi.
In materia di autorizzazione ordinaria, il riferimento è all’art. 209 (Rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale) ed
in particolare al comma terzo che prevede che “3. L’autocertificazione e i relativi
documenti, di cui ai commi 1 e 2, sostituiscono a tutti gli effetti l’autorizzazione alla
prosecuzione, ovvero all’esercizio delle attività previste dalle norme di cui al comma 1 e ad essi si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992, n. 300. Si applicano, altresì, le
disposizioni sanzionatone di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241.”
Parimenti in tema di iscrizione all’Albo l’art. 212 (Albo nazionale gestori
ambientali) prevede al comma 21: “Alla comunicazione di cui al comma 18 si
applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n.
241. Alle imprese che svolgono le attività di cui al comma 18 a seguito di comunicazione corredata da documentazione incompleta o inidonea, si applica il
disposto di cui all’articolo 256, comma 1”.
In tema infine di procedure c.d. semplificate l’Art. 214 (Determinazione
delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure
semplificate) prevede al comma 9: “Alle denunce, alle comunicazioni e alle
domande disciplinate dal presente Capo si applicano, in quanto compatibili, le
78
Nitti
disposizioni relative alle attività private sottoposte alla disciplina degli articoli
19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Si applicano, altresì, le disposizioni
di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241.”
Ai sensi dell’art. 21 (Disposizioni sanzionatorie) della legge 241/90, come modificata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal 3, comma 6-novies, D.L.
14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione..:
1. Con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge
richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è
ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la
sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto
costituisca più grave reato.
2. Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in
carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso
si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività
ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.
2-bis Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni
previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi
degli articoli 19 e 20 .
In sostanza, in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni nella
autocertificazione di cui all’art. 209, nella comunicazione di cui all’art. 212 ovvero nelle comunicazioni (denunce e domande) previste dagli artt. 214, l’autore
è punito con la reclusione fino a due anni, così come colui che attesti falsamente
al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, secondo la previsione dell’art. 483 c.p..
L’ambito di applicazione della previsione incriminatrice derivante dal
combinato disposto degli artt. 483 c.p. e 21 l.241/90 comprende, a titolo esemplificativo, la autocertificazione prevista per il “rinnovo delle autorizzazioni alle
imprese in possesso di certificazione ambientale”(art. 209), la comunicazione
finalizzata alla iscrizione cd semplificata (art. 212); la comunicazione di inizio
attività (art. 214) che rientra nel genus della denunzia ai sensi dell’art. 19 della
legge 241/90.
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 79
Soggetto attivo del reato è colui che abbia sottoscritto le comunicazioni
sopra indicate, con la conseguenza che normalmente si tratterà di persona investita, totalmente o parzialmente, della rappresentanza del soggetto giuridico che
effettua la comunicazione.
Ciò non esclude che, oltre al soggetto che ha formalmente sottoscritto la
comunicazione, possano essere individuati ulteriori concorrenti.
La condotte considerate dalla fattispecie sono il rendere dichiarazioni mendaci o false attestazioni nelle autocertificazioni e nelle comunicazioni suindicate, ovvero negli allegati alla autocertificazione, nella documentazione prodotta
per l’iscrizione, nella relazione che accompagna la comunicazione di inizio.
8.1.2.I reati in tema di assenza di titoli abilitativi
La gestione di rifiuti in assenza di titolo abilitativo è principalmente oggetto della fattispecie incriminatrice di cui al primo comma dell’art. 256.
8.1.2.1.La contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 256: attività
di gestione di rifiuti non autorizzata
Ai sensi del primo comma dell’art. 256:
1. Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208,
209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non
pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
In materia di gestione di rifiuti mediante trasporto, integra l’elemento oggettivo del reato in esame lo svolgimento di attività di trasporto e raccolta senza
la prevista iscrizione (ad esclusione dei casi in cui l’iscrizione non è prevista).
In materia di gestione di rifiuti mediante smaltimento, integra l’elemento
oggettivo del reato lo svolgimento di attività di smaltimento – diversa dalla discarica – in assenza di autorizzazione unica (ovvero – per i casi di gestione con
doppia autorizzazione, una per la realizzazione dell’impianto ed una per l’eser-
80
Nitti
cizio – in impianto non autorizzato ovvero senza autorizzazione all’esercizio),
non invece la mera realizzazione dell’impianto senza la autorizzazione (essendo
in questo caso ravvisabili altre ipotesi di reato). Nel caso in cui l’impianto sia
soggetto ad Autorizzazione Integrata Ambientale si applica la norma speciale
costituita dal primo comma dell’art. 16 del d.lgs. 59/05.
In materia di recupero di rifiuti, integra l’elemento oggettivo del reato,
lo svolgimento di attività di recupero di rifiuti senza comunicazione di inizio
attività – ove sia possibile – e, comunque, senza autorizzazione. Alla assenza
di comunicazione è assimilato lo svolgimento di attività di recupero prima del
decorso del termine di novanta giorni dalla comunicazione.
Ai sensi dell’art. 21, comma 2, l. 241/90, si applica l’art. 256, comma 1,
anche ai casi di difetto originario dei requisiti richiesti per lo svolgimento delle
attività, salvo quanto previsto dall’art. 256, comma quarto.
Rientra nella previsione del primo comma dell’art. 256 anche lo svolgimento di attività di autosmaltimento senza comunicazione di inizio attività o,
comunque, senza autorizzazione, così come lo svolgimento di attività di commercio ed intermediazione senza iscrizione.
In caso di gestione illecita di rifiuti sia pericolosi che non pericolosi l’ipotesi di cui alla lett. a), concorre con quella di cui alla lett. b) dello stesso comma 1, riferendosi la prima alle gestioni di rifiuti non pericolosi e la seconda al
compimento delle medesime attività aventi, però, ad oggetto i rifiuti pericolosi.
8.1.2.2.La contravvenzione di cui all’art. 256 comma secondo
Ai sensi del secondo comma dell’art. 256: “Le pene di cui al comma 1 si
applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2”
Soggetto attivo del reato sono i titolari di imprese e i responsabili di enti,
ciò che fa propendere, contrariamente alla prevalente giurisprudenza14 per la
qualificazione come reato proprio.
Soggetto attivo del reato può essere anche l’impresa che non svolga professionalmente della attività di gestione dei rifiuti, e per la quale la detenzione
di rifiuti si correli in modo secondario e consequenziale all’oggetto principale.
La fattispecie è integrata anche con un singolo atto di abbandono.
14
Così Cass. III sezione 14.7.1999, n.11951, est. Mannino, imp. Bonomelli
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 81
Controverso è invece il significato da attribuire al deposito incontrollato,
se cioè si tratti di :
a) tutte le condotte di deposito (preliminare o non preliminare) non autorizzato da parte del gestore o tutte le condotte di deposito temporaneo da
parte del produttore non conforme ai limiti dettati dall’art. 183;
a) i soli casi di deposito da parte del produttore dei rifiuti (quindi di deposito
temporaneo) fuori dei limiti previsti ma comunque entro il termine di un
anno. Secondo quest’ultimo orientamento è incontrollato il deposito effettuato dal produttore, ove non risponda ai limiti di cui all’art. 183 del cd
deposito temporaneo; ed invece è sanzionato dal primo comma dell’art.
256 il deposito del gestore dei rifiuti, sia quale deposito preliminare (operazione di smaltimento) non autorizzato sia quale messa in riserva (operazione di recupero) non autorizzata.
8.1.2.1.La contravvenzione di cui all’art. 256, terzo comma: discarica
abusiva.
Il terzo comma dell’art. 256 prevede che : “3. Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi
a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.”
La discarica è, secondo l’allegato B) alla parte IV del d.l.gs. 152/06 una
delle forme di smaltimento mediante deposito di rifiuti su/nel suolo, che nel
d.lgs. 36/03, è espressamente definita come “g) … area adibita a smaltimento
dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo”, aggiungendo
ed escludendo poi da tale definizione specifici casi.
La norma non distingue tra la condotta di previa e mera predisposizione e
la realizzazione di fatto mediante plurime condotte di deposito/abbandono.
La giurisprudenza non può dirsi aver elaborato una definizione omogenea
di discarica, essendo in modo diverso messi in evidenza i seguenti requisiti:
a) degrado del territorio. Deve obiettarsi però che esso non è indicato
espressamente come elemento costitutivo dalla fattispecie legale. Potrà
tuttavia essere indicativo della “adibizione”dell’area di fatto adibita a
discarica;
b) reiterazione di atti di abbandono o di deposito. Deve osservarsi che la
legge non quantifica un numero minimo di operazioni occorrenti, e – sebbene la reiterazione degli atti può lasciar desumere che l’area sia di fatto
adibita a discarica- nulla esclude che la mera predisposizione sia già di per
82
Nitti
sé sufficiente a denunciare in modo inequivoco la destinazione dell’area a
discarica, come sopra detto;
c) la clandestinità della realizzazione o della gestione (dato per vero in nessun modo richiamato dalla norma).
Neppure dal T.U. (così come, prima, dal decreto Ronchi) sono definite le
condotte (alternative secondo la previsione normativa) di realizzazione e gestione.
Occorre allora, ancora una volta, richiamare la descrizione di tali condotte
elaborata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte15 :
a) la realizzazione di discarica senza autorizzazione consiste nella destinazione ed allestimento a discarica di una determinata area, con la effettuazione, di norma, di opere a tal fine occorrenti;
b) la gestione di discarica senza autorizzazione presuppone che un sito sia
stato già apprestato per raccogliervi rifiuti e consiste nell’attivazione di
una organizzazione anche rudimentale, di persone, cose e/o macchine diretta al funzionamento della discarica stessa.
La nozione di gestione di discarica include non soltanto la gestione operativa, ma anche la cd gestione post-operativa.
La gestione c.d. post-operativa della discarica è obbligo che grava su chi
gestisce la discarica ed è oggetto di specifici adempimenti per dieci anni ai sensi
del d.lgs.36/03.
La gestione della discarica comprende, pertanto, anche la fase della gestione post-operativa.
Questa ricostruzione incide anche sul tempus commissi delicti, poiché,
se la realizzazione di discarica permane fino alla ultimazione dell’opera (o al
conseguimento di autorizzazione), la gestione di discarica include non soltanto
la gestione operativa ma anche la gestione post-operativa, la cui durata non va
predeterminata ma correlata a tutto il tempo durante il quale la discarica può
comportare rischi per l ‘ambiente.
La abusività può consistere sia nella radicale ed assoluta mancanza di
autorizzazione sia nella esistenza di autorizzazione, relativa tuttavia diversa localizzazione o tipologia di rifiuti.
La sanzione indicata dal terzo comma si applica non soltanto alle condotte
espressamente previste dallo stesso terzo comma ma anche dalle condotte per le
Cassazione, sezioni unite, sentenza n.13 del 5.10.1994, Zaccarelli, pronunziatasi a proposito delle
analoghe previsioni degli artt. 16, comma secondo, e 25 comma secondo, d.P.R.915/82. Cfr anche Cass.
III n.48402 - 11.11/ 12.12.2004- pres. Dell’Anno P., rel. Fiale A., in www.lexambiente.it .
15
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 83
quali l’art. 16 del d.lgs.36/03 espressamente prevede che siano punite con la sanzione prevista dall’articolo 51, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997.
Per le specifiche finalità che ha questa trattazione, non occorre procedere
al successivo approfondimento del rinvio.
8.1.3.I reati in tema di violazione dei titoli abilitativi
8.1.3.1.La contravvenzione di cui all’art. 256 quarto comma
Ai sensi del citato comma quarto:
“Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi
di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni,
nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le
iscrizioni o comunicazioni.”
La norma prevede pertanto due condotte:
• inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni e
• carenza di requisiti e condizioni richiesti per le iscrizioni e comunicazioni.
Richiama trattamenti sanzionatori (da ridursi della metà) riconducibili alla previsione di tre commi, ciascuno dei quali prevede tuttavia più di un trattamento sanzionatorio, in quanto tutti prevedono due trattamenti sanzionatori a
seconda che siano illecitamente gestiti rifiuti non pericolosi o pericolosi.
La correlazione tra le due condotte e le previsioni dei tre commi precedenti può essere fatta nei seguenti termini
a) la sanzione del primo comma (ridotta della metà) si applica nelle ipotesi
di inosservanza relativa a casi di gestione di rifiuti che non consistano in
una forma di deposito dei rifiuti, né nella discarica;
b) la sanzione del secondo comma (ridotta della metà) si applica nelle ipotesi
di inosservanze riscontrate in tutti i casi di deposito soggetto a regime di
abilitazione (messa in riserva, deposito preliminare). Le inosservanze delle norme relative al c.d. deposito temporaneo (che, se contenuto nei limiti
previsti, non richiede alcuna autorizzazione e non costituisce tecnicamente ancora una forma di gestione di rifiuti) modificano la natura giuridica
facendo automaticamente scattare la configurazione di gestione di rifiuti
priva di titolo abilitativo, secondo le diverse impostazioni, quale discarica abusiva, messa in riserva o deposito preliminare non assentiti. Non è
configurabile invece la violazione di prescrizioni, condizioni, requisiti in
relazione all’abbandono, sempre in sé illecito e mai assentibile.
84
Nitti
c)
la sanzione di cui al terzo comma (ridotta della metà) si applica in tutti di
inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nella autorizzazione alla realizzazione o gestione di discarica, sempre che non si tratti delle
inosservanze richiamate dall’art. 16 del d.lgs. 36/03
8.2. La violazione della disciplina documentale
La disciplina documentale, come detto nella parte generale, si articola in
obblighi generali (comunicazione al Catasto, tenuta e conservazione del Registro Carico e Scarico, compilazione, utilizzo e conservazione del F.I.R.) ed in
obblighi specifici (certificazioni analitiche ed altri atti se ed in quanto previsti).
La individuazione delle sanzioni per il caso di violazione della disciplina
documentale è tutta contenuta nell’articolo 258 recante appunto rubrica “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei
formulari”.
In via generale, introducendo numerose modifiche al diverso regime
normativo precedente al decreto Ronchi, tutti i casi di violazione della disciplina della documentazione integrano soltanto illeciti amministrativi, ad eccezione dei quattro casi previsti dalla seconda e terza parte del quarto comma.
L’attenuazione del regime precedente è stata anche sottoposta, invano, al
vaglio della Corte Costituzionale16
Così, ai sensi del primo comma dell’art. 258, la violazione dell’obbligo
di comunicazione al Catasto da parte dei soggetti che vi sono tenuti (ovvero
l’effettuazione “in modo incompleto o inesatto” ovvero il ritardo oltre i 60 giorni dalla scadenza) “sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da
duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro”, a differenza del ritardo
contenuto nei 60 giorni cui “si applica la sanzione amministrativa pecuniaria
da ventisei euro a centosessanta euro”.
La stessa sanzione più grave è prevista, dal secondo comma, per i casi di
omissione o incompleta tenuta del registro di carico e scarico, ipotesi punite tuttavia in modo più grave (con l’aggiunta inoltre della “sospensione da un mese a
un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dalla
carica di amministratore” ove il registro sia relativo a rifiuti pericolosi. Pene
attenuate sono previste nei casi di imprese “che occupino un numero di unità
lavorative inferiore a 15 dipendenti”.
C.Cost. 16-30.12.1998 n.456, in Foro italiano 1999, I, 744; Rivista giuridica dell’edilizia 1999, I, 212;
Diritto penale e processo 1999, 186 nota (AMENDOLA); Giustizia penale 1999, I, 177; Raiusan 1999, f. 2, 142
16
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 85
Più articolata la disciplina della compilazione, tenuta e conservazione dei f.i.r.
Resta, in via generale, la previsione di illiceità amministrativa della omessa compilazione ed utilizzazione per il trasporto di rifiuti non pericolosi del f.i.r.,
ovvero la incompleta o inesatta compilazione.
Ove il trasporto riguardi rifiuti pericolosi, tuttavia, il quarto comma dispone che ”Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di
trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla
natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a
chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto.”
L’art. 483, comma primo, c.p., richiamato quoad poenam, prevede che:
“il responsabile di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico sia
punito con la reclusione fino a due anni.”
Le fattispecie incriminatici previste dalla seconda e terza parte del quarto
comma dell’art. 258 sono in realtà quattro:
a) effettuazione del trasporto di rifiuti pericolosi senza il prescritto formulario
b) indicazione nel formulario stesso dati incompleti o inesatti in relazione a
rifiuti pericolosi, in caso di trasporto.
c) predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, false indicazioni sulla
natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti
d) uso di un certificato falso durante il trasporto di rifiuti.
8.3. Il traffico illecito di rifiuti
Sotto la denominazione di traffico illecito di rifiuti sono in tutto o in parte
richiamate due distinte ipotesi di reato ben diverse tra loro.
Vi rientra, in primo luogo, e più direttamente (stando alla rubrica dell’art.
259) la contravvenzione della spedizione transfrontaliera di rifiuti effettuata in
violazione della disciplina dettata con regolamento comunitario.
Vi rientra, in secondo luogo, la fattispecie delittuosa denominata Attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
8.3.1. La contravvenzione di traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 259
Nè nel primo né nel secondo caso, come si verificherà, la locuzione traffico di rifiuti corrisponde strettamente al significato comunemente attribuitole.
86
Nitti
In primo luogo, non vi è corrispondenza nel caso di cui all’art. 259, che,
se ha ad oggetto un trasferimento di rifiuti da un luogo ad un altro, può tuttavia
esaurirsi in un unico, singolo atto di trasferimento anche di contenute quantità di
rifiuti, purchè si tratti di una spedizione transfrontaliera, ovvero di una spedizione fra Stati membri, all’interno della Comunità o con transito attraverso paesi
terzi; oppure importati nella Comunità da paesi terzi; oppure, esportati dalla
Comunità verso paesi terzi; oppure, in transito nel territorio della Comunità, con
un itinerario da e verso paesi terzi.
Due condotte sono considerate dall’art. 259:
a) la spedizione tale da integrare il traffico illecito come definito dall’art. 26
del Regolamento CEE 259/93 (già prevista dal d.lgs.22/97, art. 53) e
b) la spedizione di rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in
violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento
stesso.
Come già detto in altra parte del presente manuale, in data 15.7.2006 è
entrato in vigore il Reg. (CE) (Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio) 14 giugno 2006, n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti il quale
prevede all’art.61 (Abrogazioni) che “1. Il regolamento (CEE) n. 259/93 e la
decisione 94/774/CE sono abrogati con effetto al 12 luglio 2007.”, aggiungendo
quindi che “2. I riferimenti al regolamento abrogato (CEE) n. 259/93 s’intendono fatti al presente regolamento.”
Sul problema della vigenza della fattispecie e sul contenuto della stessa,
si è già soffermato AMATO nello specifico approfondimento, sicchè occorre a
quella parte formulare rinvio.
8.3.2.Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: art.
260
Ai sensi dell’art. 260 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti):
“1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede,
riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti
quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni”.
Trattasi della previsione già dell’art. 53 bis del d.lgs.22/9717 ovvero del
Introdotto dall’art. 22.( (Organizzazione di traffico illecito di rifiuti) della legge 93/2001 (“Disposizioni
in campo ambientale”). La evidente continuità tra le due previsioni è confermata anche dalla Corte
Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53-bis del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,
17
La disciplina nazionale della gestione dei rifiuti 87
primo delitto stricto sensu ambientale introdotto nel nostro ordinamento, fattispecie monosoggettiva e non di concorso necessario, reato comune di condotta,
che può alternativamente essere integrato dalle diverse azioni indicate dal primo
comma (cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione) o dalla condotta più generale, e con funzione residuale, di gestione di rifiuti18.
La norma richiede:
a) l’abusività della gestione di rifiuti, ovvero che essa sia sia svolta:
• in totale assenza dei titoli di legittimazione (autorizzazione, iscrizioni, comunicazioni) ovvero
• in violazione delle prescrizioni vigenti e dei limiti dei titoli esistenti;
b) che il quantitativo di rifiuti così gestiti sia ingente, lasciando all’interprete19 la individuazione in concreto dei criteri in base ai quali ritenere sussistente la natura ingente dei rifiuti a seconda che sia ritenuta una nozione
assoluta ovvero “di relazione”,come ritenuto dalla Suprema Corte20;
introdotto dall’art. 22 della legge n. 93 del 2001: “l’intervenuta abrogazione della disposizione censurata
ad opera dell’art. 264, comma 1, lett. i), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non costituisce impedimento
all’esame della questione in quanto la disposizione censurata è stata integralmente trasfusa nell’art. 260
del medesimo D.Lgs. n. 152 del 2006”. (Corte cost. Ord., 06/07/2006, n.271).
18
Secondo Cass. pen., Sez. III, 04/05/2006, n.28685, “Il delitto di traffico illecito di rifiuti, di cui all’art.
53 bis del D.Lgs. n. 22 del 1997, introdotto dalla legge n. 93 del 2001 (ed attualmente sostituito dall’art.
260 del D.Lgs. n. 152 del 2006), riguarda qualsiasi forma di gestione dei rifiuti, anche attraverso attività
di intermediazione e commercio, che sia svolta in violazione delle disposizioni in materia, e non può ritenersi agganciato alla nozione di “gestione” di cui all’art. 6, comma primo, lett. d) del citato D.Lgs. n. 22
(sostituito dall’art. 183, lett. d), del D.Lgs. n. 152 del 2006), né limitato ai casi in cui l’attività venga svolta
al di fuori delle prescritte autorizzazioni.”
19
Investita della valutazione circa la sussistenza di profili di incostituzionalità, la Corte Costituzionale (Ord.,
06/07/2006, n.271) ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 53-bis del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, introdotto dall’art. 22 della legge n. 93 del 2001, trasfuso
nell’art. 260 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, censurato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 111 Cost.,
nella parte in cui punisce con la reclusione da uno a sei anni “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto
profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede,
riceve, trasporta, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”. Il giudice rimettente,
infatti, dopo aver affermato di aver fatto applicazione della norma censurata nel giudizio “a quo”, non
chiarisce quali provvedimenti sia ancora chiamato ad adottare sulla base della medesima disposizione,
né precisa in quale fase si trovi il processo principale; omissioni, queste, che impediscono alla Corte
Costituzionale di valutare la rilevanza della questione”. Il giudice remittente, Giudice per le Indagini
Preliminari Tribunale di Bari, aveva ravvisato “la tipizzazione della condotta attraverso il riferimento ad
un concetto indeterminato, come quello di «ingenti quantitativi», sarebbe incompatibile con i parametri
costituzionali evocati, potendosi al più ammettere che detto concetto valga a tipizzare circostanze
aggravanti del reato, nel qual caso la discrezionalità del giudice interviene in un contesto in cui i fatti
penalmente rilevanti sono già individuati e sanzionati dal legislatore (in materia di sostanze stupefacenti
è richiamata la pronuncia della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 21 giugno 2001, n. 17).
20
Cass. III, 47918/03, c.c. 12.11.2003, rel. Zumbo, imp. Rosafio R. + altri, in Juris Data Major, Giuffrè,
Milano, 2005, secondo cui il concetto di ingenti quantità “è necessariamente condizionato di volta in volta
dalla tipologia del “rifiuto”, dalla sua qualità, dalla situazione specifica del caso concreto”
88
Nitti
c)
una condotta reiterata mediante più operazioni e connotata dall’impiego e
dalla predisposizione ad hoc di mezzi e dalla esistenza di organizzazione;
la continuatività della attività.
d)
Nella prassi giudiziaria, la introduzione della fattispecie ha colmato una
grave e sentita lacuna del nostro ordinamento che stretto tra i limiti degli strumenti investigativi fruibili in materia di contravvenzioni e i brevi tempi di prescrizioni di queste ultime, risentiva della straordinaria difficoltà di avviare indagini finalizzate ad accertare vasti ed articolati fenomeni di gestione illecita di
rifiuti.
Le numerose pronunzie della Suprema Corte, peraltro sovente quale estremo Giudice dell’iter cautelare personale, sono indicative della larga applicazione che questa fattispecie ha immediatamente avuto in relazione al ricorrente
ripetersi di condotte sussumibili nel suo parametro normativo.
Vincenzo Bruno Muscatiello
Il diritto ambientale in Albania
Sommario: 1. La situazione ambientale. 1.2. Località a rischio ambientale. 1.3. Altre fonti d’inquinamento.
2. Il dato normativo. 2.1. La Costituzione e le leggi speciali. 2.2. La gestione dei rifiuti. 2.3. Il diritto
penale ambientale. 2.3.1. La parte speciale. 3. Il diritto penale in the books e in the facts. 3.1. Gli sviluppi
del problema.
1.La situazione ambientale
L’industria costituisce l’attività più inquinante in Albania. Le fabbriche
dell’industria pesante come quelle dell’estrazione e lavorazione del petrolio,
raffinerie, fabbriche chimiche, fabbrica dell’acciaio e dei fertilizzanti chimici
hanno scaricato per anni sostanze nocive nell’aria, nel terreno e nei fiumi. Inoltre, l’uso dei pesticidi per un lungo periodo di tempo non è stato controllato,
anche se il fenomeno negli ultimi anni è diminuito data la disponibilità in calo
degli agricoltori e i cambiamenti strutturali dell’agricoltura. L’urbanizzazione
a ritmi accelerati ha dato luogo alla costruzione di edifici residenziali, in zone
prive di canalizzazioni e sistemi di fornitura con acqua potabile, come nella
periferia di Tirana.
I rifiuti urbani, destinati a crescere nei prossimi anni, non ricevono un
controllo sui depositi e sulle linee di trattamento in tutto il paese: le discariche
pubbliche non possiedono né rete di drenaggio né sistemi di incenerimento; le
tecnologie per lo smaltimento finale dei RSU non si attengono alla differenziazione dei rifiuti né conoscono sistemi di recupero come fonti di energie o altri
tipi di utilizzo; mancano quasi totalmente aziende ed imprese specializzate nel
settore e la conseguente non presenza di discariche controllate e/o impianti di
smaltimento dei rifiuti solidi urbani, fa sorgere serie preoccupazioni sul piano
ambientale e sanitario. Gli sviluppi incontrollati di produzione dei rifiuti dell’ultimo decennio, la mancanza di strutture per la loro raccolta e per il “trattamento”
e lo “smaltimento”, la mancanza di risorse finanziarie e tecniche, hanno causato un forte peggioramento della situazione ambientale, anche perché le amministrazioni locali sono chiamate ad affrontare le problematiche non solo nelle
città, ma anche delle periferie, ove si trovano le discariche dei rifiuti urbani e
90
Muscatiello
dove il rischio ambientale e sanitario è altissimo. Al degrado di oggi, si aggiunge quello legato all’accumulo in passato dei rifiuti industriali e quelli chimici/
tossici accumulati con poche cautele ed attenzioni1.
In termini schematici i problemi ambientali per l’intero settore si legano
alla presenza di a) Rifiuti solidi urbani (RSU), raccolti nella maggior parte delle
città da ditte di pulizia urbana, mentre nelle zone rurali non esiste ancora questo
tipo di servizio pubblico; b) Rifiuti industriali (RI), in declino quanto al settore
estrattivo di cromo, rame, carbone e petrolio, ed invece preoccupanti per l’accumulo dal passato in specie dall’industria chimica con 1 milione circa di tonnellate di elementi tossici, come Mercurio, Cromo 6 valente, Metalli pesanti, Zolfo
e Pesticidi; c) Rifiuti pericolosi e tossici per la salute: secondo lo studio condotto
dall’ISPT (l’Istituto per la Ricerca ed il Design delle Tecnologie Chimiche) e
finanziato dal MEPP (il Ministero degli Affari Pubblici), la quantità di prodotti
chimici tossici depositati nei magazzini delle imprese monitorate dal Ministero
è di 3,105 tonnellate, di cui 2,123.6 tonnellate sono rimanenze inutilizzabili e
980,0 tonnellate ancora utilizzabili nella produzione; l’industria chimica produce 1,531 tonnellate, quella petrolifera 706.23 tonnellate e l’industria leggera 501
tonnellate; d) Rifiuti inerti e rifiuti causati dal settore dei trasporti in generale,
a causa del fenomeno delle demolizione di auto e delle discariche scelte senza
criterio e nessun piano regolatore con considerevole disagio ambientale.
1.2.Località a rischio ambientale
La valutazione dello stato dei rifiuti in Albania nel periodo 1999 – 2000
è stata completata dagli studi del settore effettuati dalla missione speciale
dell’UNEP (United Nations Environment Network), realizzati all’indomani del
conflitto in Kosovo. La missione ha evidenziato alcune “zone a rischio ambientale” che necessitano soluzioni urgentissime. Precisamente:
-
L’impresa Chimica Sodë-PVC, Valona. Il complesso, distante 4 km – direzione Nord della città, è stato chiuso nel 1992, ed è stato danneggiato
durante i disordini del 1997 provocato dal crollo delle piramidi finanziarie. Durante la sua “vita” produceva Sodio e PVC per i quali si richiedono
grandi quantità di Hg. Il volume della terra contaminata dal Mercurio fino
ad una profondità di 1,5 m, si valuta essere 50,000 – 60,000 m³. Le analisi
fatte su un campione di terra hanno dato un risultato di >10,000 mg/kg
1
I dati sono tratti dal dossier Albania – La Priorità Ambiente, Istituto nazionale per il Commercio Estero
- ufficio di Tirana, marzo 2007
Il diritto ambientale in Albania 91
di Hg, cifra questa che supera di 1,000 volte il limite massimo permesso
dall’UE. L’inquinamento dal Hg ha toccato anche le acque sotterranee, le
quali non solo sono usate dagli abitanti dei dintorni di Valona come acque
potabili, ma raggiungono anche il mare Adriatico, mettendo a rischio la
fauna ittica.
-L’impresa Chimica, Durazzo. L’impresa Chimica a Durazzo è stata in funzione fino al 1990 producendo Bicromo di Natrio e pesticidi tipo Lindanio e Tiramio. Risultano circa (≈) 20,000 tonnellate di rifiuti tossici (RT)
in un deposito nei pressi della fabbrica, principalmente Lindanio e rifiuti
ricchi di Cromo, mentre ≈ 370 tonnellate sono rifiuti con un contenuto di
Lindanio, Metanolo, Sulphur Carbonate, Bicromo di Natrio, Monometilamina e Dimetilamina depositati in condizioni non controllate e poco
idonee a ≈ 1,5 km lontani dalla fabbrica. I problemi ambientali sono stati
causati dall’inquinamento della terra con Lindanio e Sali del Cromo, e
delle acque sotterranee e superficiali mettendo a rischio la vita di migliaia
di abitanti.
-
Il campo Petrolifero di Marinze. Con una superficie di 200 km², ed i 2,000
giacimenti di petrolio dai quali vengono estratti 400 tonnellate di petrolio
al giorno, questo campo è una fonte di forte contaminazione del terreno,
delle acque ed anche dell’aria a causa delle esalazioni. Le perdite di petrolio delle tubazioni in questo campo raggiungono l’1 ed il 2% del totale
estratto, ovvero le 4-8 tonnellate al giorno. Finora non è stato eseguito
nessun progetto riguardo al problema, a causa della mancanza di fondi.
-
La Armo Petrolifera – Ballsh. Produce 300,000 t / anno di petrolio raffinato, scaricando grandi quantità nell’area circostante, specialmente a Gjanice, a causa delle perdite delle tubazioni, calcolate in ≈ 22,500 t/giorno.
Queste perdite, come già menzionato, hanno una serie di effetti negativi sull’ambiente: con inquinamento del terreno, delle falde acquifere e
dell’aria. La raffineria è allo stesso tempo una fonte per le discariche di
SO2, H2S, idrocarburi, ed altre sostanze pericolose.
92
Muscatiello
1.3.Altre fonti d’inquinamento
Lo smaltimento dei rifiuti urbani in Albania è allo stato primitivo. Tale
situazione contraddistingue anche il settore edile con inquinamento provocato
dal trasporto inadeguato dei materiali edili, dalla polvere prodotta dagli abbattimenti dei vecchi edifici e dal metodo di lavoro per la costruzione dei nuovi
edifici; nondimeno il settore delle industrie, dal momento che poche industrie in
Albania hanno parametri ambientali che rispettano gli standard europei. Nelle
industrie siderurgiche mancano i filtri e nonostante le multe inflitte dal ministero
dell’Ambiente, la situazione rimane allarmante.
2.Il dato normativo
2.1. La Costituzione e le leggi speciali
Nella Costituzione del 19982 “il legislatore albanese ha manifestato una
visione dinamica e partecipativa del diritto ambientale, nella quale lo Stato non
si limita ad assumere la tutela dell’ambiente tra le proprie finalità, ma eleva lo
sviluppo sostenibile a principio costituzionale, supporta l’iniziativa dei privati
in campo ambientale e sancisce il diritto dei cittadini ad essere informati sulla
situazione e la protezione dell’ambiente”3. Non solo: la normativa speciale – un
po’ come per noi – detta la normativa di riferimento per il settore ambientale. Il
sistema di leggi fondamentali in materia di ambiente, conosce la legge n. 8934
del 2002, Sulla protezione dell’ambiente, che costituisce la legge-quadro in materia, la legge n. 8897 del 2002, Sulla protezione dell’aria dall’inquinamento,
oltre che numerose altre leggi in materia di prevenzione dell’inquinamento delle
acque e di smaltimento dei rifiuti, nei termini di un apparato normativo allineato
ai principi dell’ordinamento comunitario e internazionale, e, in particolar modo,
ai principi della applicazione delle best available technologies, nonché del principio del “chi inquina paga”, tutela della biodiversità, nondimeno allineato ai
più moderni orientamenti del diritto ambientale comunitario, in particolare per
In particolare l’art. 56 prevede che “Chiunque ha diritto di essere informato riguardo all’ambiente per la
sua protezione”. Il Titolo V, fra gli Obiettivi sociali, prevede all’art.59 che “Lo Stato, entro le competenze
costituzionali e con i mezzi di cui dispone, nonché nel rispetto dell’iniziativa e della responsabilità private,
persegue: e) un ambiente salubre ed ecologicamente adatto per l’attuale generazione e per le successive;
f) lo sfruttamento razionale dei boschi, delle acque, dei pascoli, e di altre sorgenti naturali, fondandolo sul
principio dello sviluppo compatibile (…)”.
3
N.Di Giovanni, Il diritto ambientale in Albania, consultato in Internet.
2
Il diritto ambientale in Albania 93
ciò che riguarda la cd. tutela ambientale negoziata, ovvero, il sistema di rapporti
in cui le quote di inquinamento e i livelli di efficienza ambientale ai quali le imprese devono attenersi è oggetto di specifici accordi tra queste ultime e lo Stato.
Nella prospettiva da ultima segnalata si colloca la figura del cd. verificatore
ambientale, con la Decisione del Consiglio dei Ministri n. 268 del 2003, e sono
state previste facilitazioni nella procedura di valutazione di impatto ambientale
e di rinnovo dei permessi ambientali per le imprese che si sottopongono volontariamente all’eco-audit.
Infine, negli ultimi mesi, il Governo ha dedicato particolare attenzione
all’attuazione del Protocollo di Kyoto, a cui l’Albania ha aderito nel 2005. In
questo quadro, sono state adottate varie iniziative di cooperazione con altri Stati, tra le quali è opportuno ricordare l’importante Memorandum of Understanding del 31 maggio 2005 tra il Ministero dell’Ambiente e del Territorio della
Repubblica Italiana e il Ministero dell’Ambiente, Foreste e Risorse Idriche della
Repubblica d’Albania. In base a questo Memorandum, il Governo italiano si è
dichiarato disponibile ad acquistare le cd. certified emission reductions (CERs),
di cui all’art. 12 del Protocollo di Kyoto, derivanti da project activities svolte in
Albania, purché tali attività siano condotte in conformità alle norme e alle linee
guida vigenti in ambito internazionale e nell’ordinamento italiano4.
2.2. La gestione dei rifiuti
Il quadro legale per la materia ambientale e il trattamento dei rifiuti in
Albania è il seguente:
Legislazione e Raccomandazioni
-
La Protezione dell’Ambiente (n. 7664 del 21/01/1993);
-
Gli Obblighi dei Ministeri, delle Istituzioni e delle persone giuridiche
e fisiche per il monitoraggio ed il controllo dell’ambiente (n. 541 del
25/09/1995);
-
Decisione sui rifiuti pericoli ed in generale (n. 26, del 31/01/1994);
-
Legge sulla rimozione pubblica dei rifiuti (n. 8094 del 21/03/1996);
-
Legge sull’urbanistica (n. 8405/1998);
-
Legge sulla difesa dell’ambiente (n. 8364/1998);
-
La politica fiscale del settore rifiuti (n. 8101 del 28/03/1996);
-
Decisione sul monitoraggio ambientale (n. 103 del 31/03/2002);
4
Sempre Di Giovanni, op. ult. cit.
94
Muscatiello
-
Protezione dell’aria dall’inquinamento (n. 8897 del 16/5/2002);
-Legge sulla difesa dell’ambiente marino dall’inquinamento (n. 8905 del
6/06/2002);
-
Legge sulle zone protette (n. 8906/2002);
-
Legge per la protezione dell’ambiente (n. 8934 del 5/09/2002);
-Legge sulla valutazione dell’impatto ambientale (n. 8990 del
23/01/2003);
-Decisione sull’approvazione della documentazione per permesso ambientale e degli
-
elementi del permesso ambientale (n. 249/2003);
-
Decisione sulla raccolta dei veicoli fuori uso (n. 776/2003);
-Decisione sull’approvazione dei regolamenti e procedure per l’importazione dei frifiuti per scopi di uso, trattamento e riciclaggio (n. 803 del
4/12/2003);
-
Legge sull’amministrazione dei rifiuti solidi urbani (n. 9010/2003);
-
Protezione laghi interconfinanti (n. 9103 del 10/7/2003);
-
Sostanze e preparati chimici (n. 9108 del 17/7/2003);
-
Trattamento ambientale delle acque inquinate (n. 9115 del 24/7/2003);
-
Legge sulla gestione dei rifiuti pericolosi (n. 9537 del 18/05/2006).
Convenzioni Ambientali aventi come membro l’Albania:
-
Per la protezione del mare dall’inquinamento, data ratifica 16.11.2000;
-
Per il Controllo dei Movimenti Interconfinanti dei Rifiuti Pericolosi e la
loro Eliminazione - Convenzione di Baselo, data ratifica 13.05.1997;
-
Per la Protezione e l’Utilizzo delle Acque Interconfinanti e dei Laghi Internazionali, data ratifica 05.01.1994;
-
Per i Cambiamenti Climatici;
-Convenzione di Vienna e Protocollo di Montreal “Per la Protezione
dell’Ozono”, data ratifica 10.03.1999;
-
Per gli effetti Interconfinanti degli Incidenti Industriali, data ratifica 5 gennaio 1994;
-
Per la diversità Biologica, data ratifica 5 Gennaio 1994;
-
Per la Preservazione della Flora e Fauna Selvatica e l’Ambiente Naturale
in Europa - Convenzione di Berna, data ratifica 2 Marzo 1994;
-Convenzione delle importanti Acquitrini Internazionali, specialmente
l’Habitat dei Volatili d’acqua, data ratifica Gennaio 1994;
-
Per la Preservazione dei Viaggiatori della Fauna Selvatica - Convenzione
di Bon, data ratifica 16/11/2000;
Il diritto ambientale in Albania 95
-
-
Per la Lotta contro la Desertificazione, data ratifica 2000;
Per il Diritto Pubblico d’Informazione e Partecipazione per Prendere Decisioni e il Diritto di Rivolgersi al Tribunale, riguardante Tematiche Correlate all’Ambiente - Convenzione di Aarhuss, data ratifica 26/10/2000;
-
Legge 9334 del 16/12/2004, ratifica del Protocollo di Kyoto;
-
Memorandum of Understanding fra Ministero dell’ambiente e tutela del
territorio italiano e Ministero dell’ambiente, foreste e gestione idrica
dell’Albania.
Istituzioni nazionali
-
Ministero per la protezione ambientale, delle foreste e della gestione delle
acque, al cui interno è presente la Direzione per la prevenzione dell’inquinamento e la Direzione per le politiche, l’integrazione e la legislazione,
nonché l’Istituto della protezione ambientale.
-
Ministero della gestione del territorio e del turismo, competente per i rifiuti solidi urbani;
-
Ministero della salute, competente per i rifiuti ospedalieri
-
Ministero dell’industria ed energia, competente per i rifiuti industriali e i
rifiuti ingombranti industriali;
-
Ministero dell’agricoltura, per i rifiuti agricoli ed il letame
-
Ministero del trasporto e delle telecomunicazioni, per i veicoli obsoleti e i
ricambi usati.
Tra il 1999 ed il 2000, l’AKM (l’Agenzia Nazionale dell’Ambiente) ha
cambiato il quadro legale per i rifiuti. Malgrado i difetti organizzativi interni,
l’AKM ha lavorato con progetti sugli incidenti industriali, sul trattamento dei
RSU ed il trattamento dei prodotti chimici tossici. In campo amministrativo,
gli organi centrali e locali che hanno obblighi legali predefiniti, sono: a) Il Ministero dell’Economia, responsabile per la gestione amministrativa dei rifiuti
industriali; b) il MEPP, responsabile per l’applicazione della legge Nr.8094.
L’AKM, nell’organizzare il monitoraggio dell’inquinamento nelle sue varie forme, in collaborazione con altre istituzioni centrali e governi locali, propone misure concrete per la protezione ambientale. I Comuni sono responsabili
per la gestione dei finanziamenti governativi del settore Rifiuti sui territori di
loro competenza.
La Decisione n. 26 del 31 gennaio 1994, emanata dal Ministero della Sanità e della Difesa dell’Ambiente e relativa ai rifiuti - in particolare pericolosi –
rappresenta il primo atto normativo albanese di cui si è avuto notizia sulla rego-
96
Muscatiello
lamentazione dei rifiuti. Nonostante la presenza in essa di alcune indicazioni su
come devono essere gestiti i rifiuti pericolosi, gran parte del testo è focalizzato
sulla regolamentazione dell’importazione ed esportazione degli stessi, elencando in un apposito allegato le tipologie di rifiuti che possono essere importate e
non.
La Legge n. 8094/1996 costituisce invece l’unico atto di indirizzo circa la
regolamentazione necessaria per la rimozione pubblica dei rifiuti all’interno dei
territori comunali, mirando ad un buon livello di difesa dell’ambiente urbano
dall’inquinamento da essi causato.
La consegna, raccolta, spazzamento e accumulo dei rifiuti delle città rientrano fra le attività che devono essere garantite dai servizi pubblici entro il
perimetro dei propri territori. La Legge n. 9010 del 13 febbraio 2003 è mirata
alla tutela dell’ambiente e della salute dall’inquinamento e dai danni creati dai
rifiuti solidi urbani, attraverso la loro amministrazione ambientale in tutte le
fasi, compresi la produzione, la selezione, lo stoccaggio, il trasporto, il riciclaggio, il trattamento e l’eliminazione. Tale normativa riproduce in parte lo schema
adottato da alcune disposizioni comunitarie e italiane, stabilendo i principi fondamentali della gestione integrata.
La normativa albanese che regolamenta le modalità di autorizzazione per
la realizzazione di nuove discariche è rappresentata invece dalla Legge n. 8990
del 23 gennaio 2003, sulla valutazione dell’impatto ambientale, che ha come
obiettivi la valutazione generale, integrata e tempestiva degli impatti ambientali, dei progetti o delle attività che dovranno realizzarsi, prevenendo la diminuzione degli impatti negativi sull’ambiente; nondimeno un processo di valutazione aperto e amministrato con equità, attraverso la partecipazione degli organi
centrali e locali, del pubblico, delle organizzazioni non profit sull’ambiente, del
proponente del progetto e delle persone fisiche e giuridiche, specializzate in
materia.
Il diritto ambientale in Albania 97
2.3.Il diritto penale ambientale
Affidandomi alla traduzione del CODICE PENALE DELLA REPUBBLICA D’ALBANIA curata da Marilda Bertoli5, il Codice penale albanese si articola in una parte generale ed una parte speciale. La parte generale è composta
da 8 capi: Capo I, Della legge penale e della sua applicazione (artt. 1-11), Capo
II, Della responsabilità penale (artt. 12-21), Capo III, Del tentativo (artt. 2224), Capo IV, Del concorso di persone nella commissione di illeciti penali (artt.
25-28), Capo V, Delle pene (artt. 29-46), Capo VI, Della determinazione della
pena (artt. 47-57), Capo VII, Delle alternative alla pena detentiva (artt. 58-65),
Capo VIII, Dell’estinzione dell’azione penale, delle pene e della loro mancata
esecuzione (artt. 66-72). La parte speciale è composta da 11 capi e, subito dopo i crimini contro l’umanità (Capo I: artt. 73-75), gli illeciti penali contro la
persona (Capo II, Sezioni I-X, artt. 76-133), nonché gli illeciti penali contro il
patrimonio e la sfera economica (Capo III, sez. I-XI, artt. 134-200), giunge la
parte dedicata agli illeciti penali contro l’ambiente (Capo IV: artt. 201-207). Il
riferimento all’ambiente è già nella parte generale: l’art.1/b, inserito dall’art. 1
l. 24 gennaio 2001 n. 8733, rubricato “Doveri della legislazione penale” fra i
compiti della legislazione penale della Repubblica d’Albania inserisce proprio
il dovere di salvaguardare l’ambiente “dalla commissione di illeciti penali, nonché di prevenire gli stessi”.
Della parte generale oltre al già citato art.1/b segnalo temi più generali
quali la distinzione fra crimini (ergastolo, pena detentiva da cinque giorni a
venticinque anni, e pena pecuniaria da lek centomila a dieci milioni oltre che
la facoltativa pena della multa da lek centomila a cinque milioni) e contravvenzioni penali (pena detentiva cinque giorni a due anni e pena pecuniaria da lek
cinquantamila a tre milioni), la presenza di principi costituzionali, fra cui il corIl codice penale albanese, approvato con legge del 27 gennaio 1995, n. 7895, ed entrato in vigore il 1°
giugno 1995, ha successivamente ricevuto diverse modifiche, ad opera delle leggi 10 aprile 1997 n. 8204;
15 gennaio 1998 n. 8279; 24 gennaio 2001 n.8733; 19 giugno 2003 n. 9086; 6 marzo 2003 n. 9017; 13
marzo 2003 n. 9030; 12 febbraio 2004 n. 9188; 16 settembre 2004 n. 9275: così P.Pittaro, Il Codice penale
albanese: un’introduzione, in Dir. Pen. XXI Sec., 2006, 197 e ss. Il testo cui ci riferiamo è quello aggiornato
al 30 giugno 2006: Il codice penale della Repubblica d’Albania (trad. di M.Bertoli), in Dir. Pen. XXI Sec.,
2006. Per un primo commento alla legislazione albanese, e su singoli aspetti sostanziali, rinviamo agli
approfondimenti ospitati nella rivista Dir. Pen. XXI Sec.: in particolare A.Manna, L’imputabilità nel codice
penale albanese del 1995, ivi, 221 e ss.; G.Fornasari, Appunti sul sistema sanzionatorio albanese (e alcune
altre considerazioni sparse), ivi, 2006, 237 e ss.; D.Fondaroli, Appunti sulla confisca nel codice penale
della Repubblica d’Albania, ivi, 2007, 145; E.R.Belfiore, La disciplina dell’ignorantia legis nel codice
penale albanese. Alcune considerazioni, ivi, 203 e ss.; M.Pelissero, I reati politici nella codificazione
penale albanese, ivi, 209 e ss.; A.Rossi, Note sugli illeciti penale dell’economia nella sistematica del
codice penale della repubblica d’Albania, ivi, 227 e ss.
5
98
Muscatiello
rispondenti della nostra tassatività, colpevolezza, ignorantia juris, nondimeno il
regime dell’applicazione della legge penale albanese, esteso anche “al cittadino
albanese che ha commesso un crimine nel territorio di un altro Stato, quando
esso è punibile in entrambi e fino a quando non è stata emanata una sentenza
definitiva da un tribunale straniero” (art. 6, Applicazione della legge penale
agli illeciti penali commessi dal cittadino albanese). Per gli stranieri vige la
regola della territorialità dell’illecito commesso, derogata per taluni reati fra cui
atti terroristici e crimini contro l’umanità: nell’elenco dei casi in cui la “legge
penale della Repubblica d’Albania si applica anche nei confronti del cittadino
straniero che, fuori dal territorio della Repubblica d’Albania, commette a danno degli interessi dello Stato o di un cittadino albanese” uno dei crimini elencati
nella disposizione, non rientrano fattispecie stricto jure ambientali6. Infine l’efficacia delle sentenze straniere nei confronti di cittadini albanesi, che accertano
la commissione di un illecito penale, le quali “producono effetti in Albania,
nel rispetto della legge albanese, anche per i seguenti profili: a) ai fini della
qualifica di recidivo di chi ha commesso l’illecito penale; b) ai fini dell’esecuzione delle sentenze che importano una pena accessoria; c) ai fini dell’esecuzione delle misure di sicurezza; d) ai fini del risarcimento del danno o degli
altri effetti civili” (art.10) e le regole della estradizione (art.11) “ammessa solo
quando è prevista espressamente da accordi internazionali di cui la Repubblica
d’Albania è parte” e solo “quando l’illecito penale, che costituisce l’oggetto
della richiesta di estradizione, è previsto come tale sia dalla legge albanese che
dalla legge straniera”, sempreché la persona che deve essere estradata non sia
cittadino albanese, e sia stata giudicata da un tribunale albanese competente per
l’illecito penale per il quale è richiesta l’estradizione.
Abrogato dall’art. 4 l. 24 gennaio 2001 n. 8733 e poi aggiunto dall’art. 7
l. 16 settembre 2004 n. 9275, l’art.45 del Codice penale albanese prevede l’“Applicazione della legge penale nei confronti delle persone giuridiche” considerate “penalmente responsabili degli illeciti penali compiuti, in nome o per loro
conto, da parte dei loro organi e rappresentanti” il che non “non esclude quella
delle persone fisiche, che hanno compiuto o sono concorse nel compimento del
L’art.7 cita semmai “d) organizzazione della prostituzione, tratta illegittima di persone, di minori e
donne, produzione e traffico illegittimo di armi, di sostanze stupefacenti, di altre sostanze narcotiche e
psicotrope, di sostanze atomiche, di materiali pornografici, nonché commercio illegittimo di opere d’arte
e di altri oggetti con valore storico, culturale e archeologico;” nonché “g) crimini contro la vita e la salute
del cittadino albanese per i quali la legge prevede la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque
anni o qualunque altra specie di pena più grave”.
6
Il diritto ambientale in Albania 99
medesimo illecito penale”. L’ultimo comma aggiunge che “Gli illeciti penali
e le misure sanzionatorie specifiche, che si applicano alle persone giuridiche,
nonché la procedura per la loro applicazione ed esecuzione, sono regolate da
legge speciale”.
2.3.1.La parte speciale
Come anticipato la parte speciale del Codice penale albanese dedica agli
aspetti ambientali gli articoli da 201 a 207, contenuti nel Capo IV, rubricato “degli illeciti penali contro l’ambiente”. La prima disposizione si occupa dell’inquinamento dell’aria7. Segue il crimine del Trasporto di residui tossici8, il crimine dell’Inquinamento delle acque9 e le fattispecie minori di Pesca vietata10,
di Abbattimento illegale di boschi11, di Abbattimento di alberi decorativi e da
frutta12 infine di Violazione della quarantena di piante e animali13.
Art. 201. Inquinamento dell’aria – L’inquinamento dell’aria mediante l’emissione di fumi, gas e di altre
sostanze tossiche radioattive, effettuato oltre i limiti dei valori ammessi, quando il fatto non costituisce una
contravvenzione amministrativa, costituisce una contravvenzione penale punita con la pena pecuniaria
oppure con la pena detentiva fino a due anni. Il medesimo fatto, quando ha causato gravi conseguenze nei
confronti della vita e della salute delle persone, è punito con la pena detentiva fino a dieci anni.
8
Art.202. Trasporto di residui tossici. – Il trasporto, il transito o il deposito in territorio albanese di
residui tossici e radioattivi, sono puniti con la pena detentiva da uno fino a cinque anni. Il medesimo fatto,
quando ha causato gravi conseguenze nei confronti della vita e della salute delle persone, è punito con la
pena detentiva fino a quindici anni.
9
Art.203. Inquinamento delle acque. – L’inquinamento delle acque dei mari, dei fiumi, dei laghi o delle
sorgenti della rete di raccolta e di distribuzione delle acque, con sostanze tossiche, radioattive o altre
sostanze che distruggono l’equilibrio ecologico, è punito con la pena detentiva da uno a cinque anni. Il
medesimo fatto, quando ha causato gravi conseguenze nei confronti della vita e della salute delle persone,
è punito con la pena detentiva da cinque a dieci anni.
10
Art.204. Pesca vietata. – La pesca effettuata in tempi, in luoghi, con mezzi e con modalità vietate,
costituisce una contravvenzione penale punita con la pena pecuniaria oppure con la pena detentiva fino
a tre mesi. La pesca compiuta con mezzi di comune pericolo come l’esplosivo, sostanze velenose ecc.,
costituisce una contravvenzione penale punita con la pena pecuniaria oppure con la pena detentiva fino
a due anni.
11
Art.205. Abbattimento illegale di boschi. – Costituiscono una contravvenzione penale punita con la pena
pecuniaria oppure con la pena detentiva fino ad un anno l’abbattimento o il danneggiamento dei boschi
senza autorizzazione o in tempi e luoghi vietati, qualora il fatto non costituisca una contravvenzione amministrativa.
12
Art.206. Abbattimento di alberi decorativi e da frutta. – Abbattere alberi decorativi e danneggiare
giardini e parchi nelle città, costituiscono una contravvenzione punita con la pena pecuniaria. Abbattere
alberi in frutteti, oliveti e vigne, dopo che è stata respinta l’autorizzazione all’abbattimento da parte degli
organi competenti, costituisce una contravvenzione penale punita con la pena detentiva fino a tre mesi.
13
Art.207. Violazione della quarantena di piante e animali. – La violazione delle regole sulla quarantena
di piante o animali, quando ha causato conseguenze materiali gravi o che mettono in pericolo la vita e la
salute delle persone, costituisce una contravvenzione penale punita con la pena pecuniaria.
7
100
Muscatiello
Due, dunque, le forme di tutela, quella più incisiva è affidata a due solo
ipotesi, i crimini di trasporto di residui tossici e di inquinamento delle acque.
La prima fattispecie è, in particolare, quella che meglio si adatta al settore
dei rifiuti. L’articolo parla di residui e restringe il campo di applicazione ai soli
residui tossici o radioattivi. Le condotte incriminate sono quelle di trasporto,
transito o deposito, il che esclude numerose altre ipotesi sulle quali invece, ad
esempio, si dilunga il dato normativo italiano14.
A non voler considerare le fattispecie di cui all’art. 256, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (“1.
Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione
di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208,
209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con
l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b) con la pena
dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta
di rifiuti pericolosi. 2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti
che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali
o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2. 3. Chiunque realizza o gestisce
una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda
da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo
smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo
444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica
abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di
ripristino dello stato dei luoghi. 4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di
inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza
dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. 5. Chiunque, in violazione del
divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena
di cui al comma 1, lettera b). 6. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione
di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b),
è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da duemilaseicento
euro a ventiseimila euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a
quindicimilacinquecento euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti. 7.
Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 231, commi 7, 8 e 9, 233, commi 12 e 13, e 234, comma 14, è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta euro a millecinquecentocinquanta
euro. 8. I soggetti di cui agli articoli 233, 234, 235 e 236 che non adempiono agli obblighi di partecipazione
ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da ottomila euro a quarantacinquemila
euro, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi. Sino all’adozione del decreto
di cui all’articolo 234, comma 2, le sanzioni di cui al presente comma non sono applicabili ai soggetti
di cui al medesimo articolo 234. 9 Le sanzioni di cui al comma 8 sono ridotte della metà nel caso di
adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per adempiere agli obblighi
di partecipazione previsti dagli articoli 233, 234, 235 e 236.”), o quella di cui all’art.257, Bonifica dei
siti, “1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque
sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da
sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla
bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui
agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242,
il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a
ventiseimila euro. 2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da
14
Il diritto ambientale in Albania 101
3. Il diritto penale in the books e in the facts
Tutto sommato può convenirsi come, per gli aspetti che abbiamo appena
richiamato, l’ordinamento albanese abbia raggiunto un grado di modernità e
di prossimità rispetto all’ordinamento comunitario ed internazionale adeguato
allo sviluppo del Paese anche se, del tutto naturalmente, la dimensione teorica
deve fare il paio con quella pratica, e qui non è raro registrare gli auspici per un
miglioramento della coerenza applicativa degli istituti15. Discorso a parte per il
pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato
da sostanze pericolose. 3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella
sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione
condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e
ripristino ambientale. 4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce
condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la
stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1.”), è sufficiente leggere la fattispecie di Traffico illecito
di rifiuti, contenuta nell’art.259 del D.lgs 152/2006 per avvertire la diversa ampiezza della incriminazione
indigena attenta a sanzionare “1. Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito
ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di
rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a),
b), c) e d), del regolamento stesso è punito con la pena dell’ammenda da millecinquecentocinquanta
euro a ventiseimila euro e con l’arresto fino a due anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di
rifiuti pericolosi. 2. Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice
di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui
agli articoli 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto” in
aggiunta a quella dell’art.260, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ove “1. Chiunque, al
fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività
continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente
ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni. 2. Se si tratta di rifiuti ad
alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. 3. Alla condanna conseguono
le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale, con la limitazione di cui
all’articolo 33 del medesimo codice. 4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai
sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e
può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o
del pericolo per l’ambiente.”. Si avverte la ristrettezza della formulazione albanese quanto alle condotte
di spedizione, cessione, ricezione, gestione, importazione ed esportazione, nonché al riferimento alla
categoria dei rifiuti tossici piuttosto che a quella dei rifiuti speciali e/o pericolosi. Del tutto assente,
anche se comprensibilmente, il riferimento alla natura illecita della spedizione ai sensi della legislazione
comunitaria.
15
Nella dec. 2006/54/CE del 30 gennaio 2006, pubblicata nella G.U.U.E. 7 febbraio 2006, n. L 35, Decisione del Consiglio relativa ai principi, alle priorità e alle condizioni contenuti nel partenariato europeo con
l’Albania e che abroga la decisione 2004/519/CE, fra le priorità di intervento poste alla base del secondo
partenariato europeo si cita testualmente la necessità di “(c)oncludere e dare attuazione ad accordi con i
paesi limitrofi e garantirne l’effettiva applicazione, segnatamente in materia di commercio, cooperazione
transfrontaliera, lotta alla criminalità organizzata, ai traffici illeciti e al contrabbando, cooperazione
giudiziaria, gestione delle frontiere e riammissione, ambiente, trasporti ed energia”, nonché con specifico
riferimento al settore ambientale, la necessità di “- Potenziare la capacità amministrativa e il coordinamento a livello nazionale e locale. - Attuare la legislazione sulla valutazione di impatto ambientale.
102
Muscatiello
diritto penale ambientale dove lo stato dell’arte è ben più complesso e, in larga
misura, preoccupante.
Arriviamo dunque al cuore del problema. Dimensione pratica e dimensione teorica sembrano raccontare di un Paese diverso, abbastanza evoluto quanto a
disciplina giuridica, eppure straordinariamente arretrato quanto alla applicazione pratica degli istituti, fra cui anche l’apparato delle sanzioni a garanzia della
effettività del sistema ambientale, tanto da lasciare spazio alla sensazione che il
sistema giuridico sia stato in qualche misura trapiantato in un terreno culturale e
politico in gran parte impreparato ad ospitare una disciplina giuridica moderna,
sia in altre parole frutto di un trasposizione di esperienze giuridiche maturate in
contesti culturali diversi da quelli di destinazione e dunque in difetto di una metabolizzazione giuridica del prodotto normativo. Non solo le strutture giuridiche
palesano l’inadeguatezza organica rispetto ad un quadro normativo meditato e
perfezionato in altre esperienze giuridiche, ma la stessa cultura giuridica è larga- Adottare una strategia per conseguire un ulteriore allineamento della legislazione ambientale all’acquis
comunitario e per una corretta attuazione della legislazione in vigore, segnatamente per quanto concerne
l’effettiva applicazione delle norme. - Prendere iniziative per risolvere il problema delle zone sensibili
dal punto di vista ambientale (la discarica per rifiuti solidi di Sharra e l’area di estrazione petrolifera
Patos-Marinez). - Provvedere all’ulteriore elaborazione e attuazione della strategia nazionale per
l’approvvigionamento idrico e la depurazione delle acque e della strategia rurale per l’approvvigionamento
idrico e la rete fognaria; elaborare una strategia di graduale allineamento all’acquis comunitario nel
settore dell’approvvigionamento idrico e della depurazione delle acque e avviarne l’attuazione. - Attuare
le convenzioni internazionali in materia di protezione della natura alle quali l’Albania ha aderito.”. In
aggiunta alle citate priorità a breve termine, la decisione aggiunge priorità a medio termine, fra cui “Proseguire gli sforzi destinati a risolvere il problema della concentrazione di rifiuti tossici. - Ridurre
l’inquinamento causato dalla raffineria di Balsh, incluso lo scarico di effluenti nel fiume Gjanica, e
adottare misure volte al controllo dell’inquinamento delle acque in generale. - Intensificare il monitoraggio
ambientale e garantire sanzioni sufficientemente dissuasive nei confronti di chi inquina. - Proseguire
l’attuazione degli impegni regionali e internazionali nel settore ambientale.”.
Le questioni aperte sono del resto evidenziate anche dai conoscitori della normativa ambientale: sempre nel citato articolo di N.Di Giovanni leggiamo gli auspici a che le autorità competenti diano impulso
all’auditing ambientale: “Ciò significa, in primo luogo, applicare effettivamente le norme della legge n.
8934 secondo cui le imprese devono condurre, a proprie spese, l’auditing delle attività produttive inquinanti, secondo la metodologia approvata dal Ministero dell’Ambiente, almeno una volta ogni tre anni. In
secondo luogo, occorre applicare effettivamente le norme della stessa legge n. 8934 secondo cui il Ministero dell’Ambiente può concedere, con proprio provvedimento, apposite facilitazioni nella procedura
di valutazione di impatto ambientale e di rinnovo dei permessi ambientali in favore delle imprese che si
sottopongono volontariamente all’eco-audit. Infine, l’efficacia dell’auditing ambientale è condizionata al
numero e alla professionalità dei verificatori: l’uno e l’altra dovrebbero crescere, anche attraverso specifici
programmi di formazione professionale approvati dalle autorità competenti. Sotto un altro profilo, è importante completare il processo di adeguamento dell’ordinamento albanese a quello comunitario rispetto alle
norme europee che sinora non hanno avuto attuazione. Ci riferiamo, in particolare, alle norme e ai principi
contenuti nella Direttiva 2002/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, Sui
rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), e al sistema di raccolta differenziata di tali
rifiuti che questa Direttiva intende promuovere.”.
Il diritto ambientale in Albania 103
mente impreparata a recepire sistemi di controllo rispetto a problemi ambientali
dei quali manca addirittura la percezione sociale e culturale. La più o meno ampia
attenzione descrittiva lascia da subito spazio ad una ampia disattenzione applicativa, testimoniata da un disincanto rigorista che disconosce una seria politica sanzionatoria a conferma della solo apparente protezione penale ai beni ambientali.
Più ancora della sinteticità previsionale del codice penale, della visione
amministrativa delle fattispecie ambientali nella parte speciale, il sistema giuridico albanese in materia ambientale lascia intravedere un insieme di indagini, uffici, personale, tecniche investigative, persino le intenzioni accertatrici e
sanzionatrici prive di una reale consapevolezza del problema e così di una seria
presa di coscienza sulla dimensione politica del problema ambientale16.
L’ambiente è per l’Albania – si ha la sensazione - un problema secondario:
prima, molto prima, c’è la crisi energetica, la carenza di energia, la precarietà
economica, e sul piano giuridico la commissione di crimini predatori legati alla
cultura primitiva di una società aperta ancora alla applicazione di riti e procedure non ufficiali. Il problema ambientale fa in qualche modo sorridere il che rende il sistema giuridico insincero e fuorviante: poche, pochissime, le attenzioni
legislative alla materia penale ambientale; i testi giuridici in materia quasi del
tutto assenti, se non rare eccezioni dove al problema ambientale è dedicato un
limitatissimo spazio di inquadramento didascalico; la speculazione teorica assai
poco affascinata dal sottoinsieme penalistico; infine l’attività inquirente poco
propensa a monitoraggi processuali, peraltro subordinati alla verifica di legami
eziologici con eventi di danno connessi a fatti ambientali.
16
Vale per l’ambiente ma vale evidentemente per l’intero sistema giuridico penale, caratterizzato da
sistemi di reclutamento di tipo non concorsuale, da meccanismi cioè di chiamata affidati al Presidente della
Repubblica, su proposta del Procuratore Generale, per i procuratori inquirenti, e al Consiglio Superiore
della Magistratura per i giudici. Aspetto, questo della selezione dell’Autorità giudiziaria, particolarmente
delicato, tanto da aver meritato le attenzioni della già citata dec. 2006/54/CE del 30 gennaio 2006,
relativa ai principi, alle priorità e alle condizioni contenuti nel partenariato europeo con l’Albania, che
aggiunge fra le priorità a breve termine di intervento poste alla base del secondo partenariato europeo
il miglioramento del sistema giudiziario, in particolare la necessità di “- Accrescere la trasparenza del
sistema di giustizia civile e penale. - Garantire che la nomina di giudici e pubblici ministeri avvenga
tramite concorsi. - Promuovere lo status professionale dei giudici, la loro indipendenza e il rispetto delle
garanzie previste dalla Costituzione per la magistratura. - Definire norme obiettive per l’assegnazione
delle cause ai giudici. - Istituire un sistema di valutazione dei pubblici ministeri che sia trasparente e
meritocratico. - Migliorare il coordinamento tra magistratura inquirente e forze di polizia. - Garantire
che la realizzazione e il funzionamento delle strutture penitenziarie di nuova costruzione avvengano nel
rispetto delle pertinenti convenzioni internazionali. - Garantire la disponibilità di risorse adeguate per
programmi credibili di protezione dei testimoni. - Ottenere un progressivo aumento della percentuale
di esecuzione delle sentenze.”. In argomento si sofferma anche D.Fondaroli, Appunti sulla confisca nel
codice penale della Repubblica d’Albania, cit., 151.
104
Muscatiello
3.1. Gli sviluppi del problema
Nel nostro Paese ogni anno scompaiono 28 milioni di tonnellate di rifiuti
speciali che, probabilmente, seguono destinazioni che vanno dagli interramenti
clandestini alle esportazioni verso altri Paesi, in genere Paesi arretrati. Arretrati
evidentemente anche solo dal punto di vista giuridico, Paesi cioè che mostrano una maggiore permeabilità illegale, vuoi per motivi culturali ed economici, vuoi per deficit strutturali anche di tipo giuridico. In altre parole l’aderenza
dell’apparato normativo alla attualità e complessità del fenomeno, e soprattutto
l’efficacia di strumenti investigativi e sanzionatori, aiutano a scongiurare, o al
contrario, favorire, le attività criminose fra le sponde dell’Adriatico e così i
traffici transfrontalieri.
Il dato è singolare: il dato normativo più è dettagliato, più le norme sono
serie e rigorose, più ne conseguono comportamenti illegali sotto forma di illegalità indigene (nel 2007 in Italia le discariche illegali ammonterebbero a oltre
4800) ed illegalità esogene, in relazione alla diversa governance dei rifiuti che
è a sua volta anticamera di quello shopping normativo attuato da organizzazioni
malavitose che allocano le proprie attività nei luoghi dove meno strette sono
le maglie repressive. E tuttavia vi si aggiunge un dato lapalissiano: l’illegalità
volge lo sguardo al Paese dove la normativa o l’attuazione della normativa mostrano margine di maggiore tolleranza, spesse volte Paesi caratterizzati da crisi
politiche o situazioni di difficoltà economica (c.d. failed States), dove dunque i
costi di smaltimento possono essere notevolmente inferiori (c.d. dumping ambientale) e le complicità politiche possono favorire la compiacenza delle autorità locali e la rassegnazione delle popolazioni coinvolte. Vi si aggiunge la scarsa
attenzione delle amministrazioni doganali, incentivate a favorire il commercio e
per esso il transito delle merci, piuttosto che a monitorare il flusso commerciale
e contrastare i traffici di frontiera: come dire, il miglioramento delle condizioni
economiche vale pure il sacrificio di una minore soglia di tutela ambientale.
Se si aggiunge che in Italia vengono progettate le attività criminali sui rifiuti; e dall’Italia transitano i trasporti illegali di rifiuti pericolosi, è facile dedurre come i reati sui rifiuti abbiano per gran parte carattere transnazionale e solo
il 30% dei crimini abbia carattere esclusivamente nazionale17. Dunque il rigore
delle norme favorisce comportamenti illegali i quali, combattuti su territorio
Il dato è citato dal Ministro Frattini, nella giornata di lavoro sui rifiuti speciali organizzato dalla
Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Palazzo
della Minerva 9 luglio 2007: i lavori della giornata di studio sono stati pubblicati nella collana Convegni e
seminari, n.9/2008, e il passo cui alludiamo nel testo è a pagina 19 del volumetto.
17
Il diritto ambientale in Albania 105
nazionale, vengono esportati in contesti giuridici di minore rigore normativo,
inizialmente estranei a fenomeni delinquenziali di tipo ambientale. Il che vale a
dire che la partita non può più essere giocata su una sola scacchiera, dal momento che i pezzi muovono le mosse al di fuori dell’originario quadrato di giuoco.
Occorre seguire le mosse anche fuori del perimetro nazionale.
L’Unione europea ha tracciata la gerarchia delle regole con cui fronteggiare il fenomeno della produzione dei rifiuti, ammontante su base annua a circa
1,3-1,4 miliardi di tonnellate di rifiuti: la gerarchia prevede in primo luogo prevenzione, poi riutilizzo, riciclo, e recupero dei rifiuti, infine il limitato ricorso
alla discarica. Quale che sia il giudizio di sintesi sulla normativa albanese, è
interessante notare come entrambi i tre criteri siano, se non assenti, certamente
poco avvertiti nella dinamica produttiva albanese. Il quadro normativo è permeabile alla disciplina armonizzata ma la realtà pratica offre motivi di preoccupazione; la sensibilità ambientale è pressoché inesistente; l’apparato repressivo
affida la sua serietà applicativa a variabili mutevoli e poco ragionevoli sul piano
della coerenza sistematica; il sistema delle norme non trova riscontro in politiche doganali e commerciali adeguate a logiche di tutela ambientale.
Logico prevedere un percorso criminale che scelga proprio la destinazione albanese, quale territorio sul quale allocare insediamenti illegali resi possibili
da una diversa sensibilità ambientale. Non solo, e direi non tanto: il problema
diviene viepiù complesso in relazione alle attività lecite, alla tendenza cioè della
economia albanese ad approvvigionarsi di impianti di smaltimento dei rifiuti
con cui avviare la nuova esperienza di smaltimento legale dei rifiuti. Il circuito,
apparentemente legale, svela tuttavia una discrepanza ponderale nel rapporto
produzione-smaltimento di rifiuti, il che in ultima analisi induce a prevedere
l’utilizzo degli impianti di smaltimento come luogo di arrivo di rifiuti provenienti da altri Paesi, fra cui l’Italia.
Il rischio che l’economia legale ospiti una economia illegale, e che la
prima rappresenti il luogo di riciclaggio e pulitura della seconda, è più che verosimile.
Molto poco diventa prevedibile: nel giugno 2007 funzionari dell’Ufficio
dogane di Trieste hanno sequestrato 28 tonnellate di rifiuti tossici provenienti
dall’Albania, segno di un meccanismo a vasi comunicanti dove diviene possibile una scambio bilaterale di uscita ma anche di entrata di rifiuti di qualsiasi
specie.
Vittorio Triggiani
I rifiuti in Puglia
Inquadramento normativo
Sommario: 1. – L’emergenza socio-economico-ambientale. 1.1.- Stato di emergenza e attribuzioni della
gestione commissariale. 1.2.- L’attuazione dell’emergenza. 1.3.- La transizione verso il rientro all’ordinario. 2.- L’ordinamento regionale di settore. 2.1.- Le funzioni delegate. 2.2.- La disciplina dello smaltimento
dei rifiuti speciali provenienti da fuori regione. 3.- Il catasto regionale dei rifiuti.
1.
L’emergenza socio-economico-ambientale
1.1.Stato di emergenza e attribuzioni della gestione commissariale
Dopo quasi quattordici anni di regime commissariale la Puglia si accinge oggi a superare la situazione di emergenza socio-economico-ambientale a
suo tempo dichiarata con il decreto 8 novembre 1994 e da allora ininterrottamente confermata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La dichiarazione
di emergenza ineriva specificamente al settore dei rifiuti urbani, della bonifica
e del risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati
sull’intero territorio regionale ed era destinata a cessare al 31 dicembre 1995.
Con ordinanza in pari data il Prefetto di Bari veniva delegato ad attivare e realizzare gli immediati interventi necessari per fronteggiare detta situazione.
Con d.P.C.M. 1° aprile 1996 lo stato di emergenza veniva prorogato al
31 dicembre 1996 su richiesta del Prefetto e su conforme parere della Giunta
Regionale. Quindi, con ordinanza n. 2450/1996 il Presidente della Regione Puglia veniva nominato Commissario Delegato per l’attuazione degli interventi
necessari ad affrontare lo stato di emergenza nello specifico settore dei rifiuti,
con il compito di predisporre un Piano di interventi urgenti d’intesa con le altre
Autorità centrali e locali coinvolte. Al Commissario, investito di poteri derogatori a disposizioni di legge statale e regionale, fu attribuita la competenza
autorizzatoria all’esercizio degli impianti.
Con d.P.C.M. 30 dicembre 1996 lo stato di emergenza venne nuovamente
prorogato fino al 31 dicembre 1997.
Con o.P.C.M. n. 2557/1997 (modificata ed integrata con le successive or-
108
Triggiani
dinanze n. 2776/1998 e n. 2985/1999), furono assegnati alla gestione commissariale i seguenti obiettivi: a) stipula, mediante procedure di evidenza pubblica
comunitarie, di contratti di conferimento dei rifiuti solidi, a valle della raccolta
differenziata, con imprese che assumessero l’onere di realizzare impianti per
la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (CDR); b) approvazione dei
progetti e all’autorizzazione all’esercizio degli impianti; c) raggiungimento di
specifici obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti.
Dal 1997 in poi lo stato di emergenza è stato prorogato di anno in anno
con successivi decreti.
Con o.P.C.M. n. 3045/2000 i poteri commissariali venivano attribuiti al
Prefetto di Bari, che subentrò in tutte le attività poste in essere dalla precedente
gestione commissariale; nel corso dello stesso anno, tuttavia, il Presidente della
Giunta Regionale venne nuovamente designato Commissario delegato (ordinanza n. 3077/ 2000) per la risoluzione della crisi in materia di gestione dei
rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi, in materia di bonifica e risanamento
ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di
tutela delle acque superficiali e dei cicli di depurazione. Il Prefetto di Bari, di
contro, veniva confermato Commissario delegato per il completamento degli
interventi in fieri.
Con la successiva o.P.C.M. n. 3077/2000 al Commissario delegato-Presidente della Regione Puglia veniva affidato il compito di definire il Piano di
gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate di cui all’art. 22 del
d.lgs. 22/1997, nonché il Piano di tutela delle acque di cui all’art. 44 del d.lgs.,
152/1999.
Con ordinanza n. 3184/2002 veniva ribadita la necessità del completamento del Piano di gestione dei rifiuti, anche in relazione alla definizione degli
Ambiti Territoriali Ottimali, del completamento del sistema impiantistico integrato per il recupero e riutilizzo degli stessi, nonché della realizzazione di impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti e/o di termovalizzazione.
Con d.P.C.M. 29 dicembre 2005 lo stato di emergenza nel settore dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi ed in quello delle bonifiche veniva
prorogato fino al 31 maggio 2006, con la limitazione degli ambiti derogatori alla
sola normativa in materia ambientale .
Infine, con d.P.C.M. del 1°.6. 2006, lo stato di emergenza è stato prorogato
fino al 31 gennaio 2007, data alla quale è effettivamente cessato.
Nondimeno, con ordinanza n. 3568/2007, al Commissario - Presidente
della Regione Puglia è stato attribuito il compito di provvedere al completamen-
I rifiuti in Puglia 109
to, entro il 31 dicembre 2007, di tutte le iniziative già programmate e in corso
di attuazione per il definitivo superamento del contesto critico; inoltre, “Al fine
di assicurare il completamento degli interventi in atto il Commissario delegato
è autorizzato ad emanare in termini di urgenza, i provvedimenti necessari ed
indifferibili per l’esecuzione delle ordinanze emanate fino alla data del 31 gennaio 2007”.
Da ultimo, con o.P.C.M. n. 3642/2008 il Presidente della Regione Puglia
è stato “confermato, fino al 31 dicembre 2008, nell’incarico di Commissario
delegato ai sensi dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.
3568 del 5 marzo 2007 per provvedere, in regime ordinario, all’attuazione ed
al completamento delle iniziative necessarie per il definitivo superamento delle
criticità nel settore della gestione dei rifiuti urbani”.
Per una più esauriente ricostruzione del quadro normativo dell’emergenza si rinvia alla relazione della Corte dei Conti, Sezione Centrale di Controllo
sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato (Programma delle attività di
controllo sulla gestione per l’anno 2005 - deliberazione n. 1/2005/G) dal titolo
“La gestione dell’emergenza rifiuti effettuata dai Commissari straordinari del
Governo”, a firma dei Magistrati istruttori Antonio Mezzera e Renzo Liberati.
1.2.L’attuazione dell’emergenza
Con decreto commissariale n. 41 del 6 marzo 2001 veniva approvato il
nuovo Piano di gestione dei rifiuti e delle bonifiche delle aree inquinate, in esecuzione della citata o.P.C.M. n. 3077/2000. Con il successivo decreto commissariale n. 296 del 30 settembre 2002 si procedeva al completamento, integrazione e modificazione del citato Piano; si prevedeva, tra l’altro, la riduzione del
numero degli Ambiti Territoriali Ottimali e si operava la localizzazione puntuale
degli impianti di gestione di rifiuti urbani posti al servizio di ciascun Ambito.
Come ricordato, le o.P.C.M. n. 3077/2000 e n. 3184/2002 avevano demandato al Commissario delegato la realizzazione di impianti di produzione
di CDR. In seguito, su richiesta dello stesso Commissario delegato, l’ordinanza n. 3271/2003 aveva autorizzato la gestione commissariale a provvedere alla
chiusura del ciclo gestionale dei rifiuti mediante la realizzazione di impianti di
termovalorizzazione.
Pertanto, a fine 2003 venivano avviate varie procedure per la chiusura del
ciclo di gestione dei rifiuti con il recupero energetico, attraverso la realizzazione di impianti di produzione di CDR e/o termovalorizzatori. Ai concorrenti, in
110
Triggiani
sostanza, veniva attribuita la facoltà di proporre - alternativamente o cumulativamente - la costruzione e gestione sia di impianti di produzione di CDR sia di
termovalorizzatori.
Senonché, più di recente, con decreto commissariale n. 187 del 9 dicembre 2005 si è proceduto all’aggiornamento, completamento e modifica del Piano
regionale per la gestione dei rifiuti.
In particolare, si è deciso di:
-
riformulare, in termini più ambiziosi, gli obiettivi della raccolta differenziata dei rifiuti;
-
escludere la realizzazione di termovalorizzatori alimentati con frazione
secca o con rifiuto tal quale, a vantaggio dell’utilizzo del CDR;
-
dare priorità al recupero energetico attraverso la produzione di CDR, da
utilizzare in via privilegiata in impianti di produzione di energia esistenti
e, solo in via subordinata, in impianti dedicati appositamente realizzati.
Infine, con decreto commissariale n. 246, del 28 dicembre 2006, si sono
introdotte ulteriori integrazioni nel Piano regionale di gestione dei rifiuti, con
specifico riferimento alla Sezione Rifiuti speciali e pericolosi.
Come riconosciuto dalla Corte dei Conti nella relazione sopra citata, la
nuova disciplina pianificatoria appare “particolarmente coerente con la lettera
e lo spirito della normativa comunitaria ed italiana, affrontando anche, in maniera più convinta che in precedenza, la problematica della riduzione alla fonte
dei rifiuti”.
In effetti, la riformulazione del Piano operata con decreto 187/2005 ha
inciso in termini sostanziali sulla configurazione del sistema impiantistico, in
quanto ha comportato l’eliminazione degli impianti di termovalorizzazione in
fieri non conformi alla nuova pianificazione (cioè quelli alimentati a tal quale
e frazione secca) e la conseguente revoca delle aggiudicazioni medio tempore
effettuate nei confronti degli operatori economici risultati aggiudicatari delle
gare indette dalla gestione commissariale a fine 2003.
Tali scelte ed i conseguenti interventi in via di autotutela sono passati peraltro indenni al vaglio del Giudice amministrativo, che in più occasioni ne ha
confermato la legittimità.
In particolare, TAR Lazio – Roma, Sezione I, 9 febbraio 2007, n. 30451,
ha dato atto che la centralità del ruolo che il Piano rifiuti originario (approvato
con decreto 41/2001 e modificato con decreto 296/2002) attribuiva al recupero
1
In termini: TAR Lazio – Roma, Sezione I, 9 febbraio 2007, n. 2209; idem, 9 febbraio 2007, n. 1135.
I rifiuti in Puglia 111
energetico dei rifiuti urbani attraverso la produzione di CDR “non corrisponde
ai principi prioritari della politica ambientale che il Trattato individua nella
precauzione, prevenzione e correzione alla fonte dei danni ambientali, e che
nella disciplina di settore si traducono nel riconoscimento di un ruolo centrale
e prioritario alla prevenzione e alla riduzione della produzione e pericolosità
dei rifiuti”.
Nel contempo, il Giudice ha dato atto di come il decreto commissariale
187/2005 si sia fatto carico di individuare tutte le misure necessarie per conseguire, tra gli altri, gli obiettivi di:
-
recupero e smaltimento, nel senso di:
•
garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente;
•
promuovere la gestione integrata dei rifiuti (ottimizzare la raccolta
differenziata, conseguire il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e limitare lo smaltimento);
-
recupero, nel senso di:
•
promuovere il recupero mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo e
ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie;
•
promuovere l’uso dei rifiuti come fonte di energia.
In conclusione, si è riconosciuta la legittimità della scelta di considerare
il recupero energetico come una fase della gestione integrata dei rifiuti da relegare ad un ruolo sussidiario e di cerniera tra le altre forme di recupero e di
smaltimento2. Analogamente, si è ritenuta legittima la decisione di anteporre
alla previsione di nuovi impianti dedicati per il recupero energetico del CDR
una valutazione complessiva degli impianti già presenti sul territorio regionale
che risultano già in esercizio (par. 2.2.1. del decreto 187/2005). A tale stregua, la
possibilità di recupero energetico tramite impianti di termovalorizzazione non
viene radicalmente esclusa, ma è subordinata all’accertamento dell’effettiva necessità di tali impianti in ambito regionale, tenuto anche contro che l’utilizzo
degli stessi, richiedendo una costante alimentazione in termini di flussi di rifiuti
“In altri termini, il Collegio ritiene che rientra nella potestà di valutazione e scelta del commissario
delegato individuare le misure necessarie per promuovere sia il recupero mediante riciclo, reimpiego,
riutilizzo e ogni altra azione intesa ad ottenere materie prime secondarie sia l’uso dei rifiuti come fonte
d’energia e, consequenzialmente, è legittimo che, nell’esercizio della propria discrezionalità, abbia
attribuito priorità al riutilizzo, al riciclaggio ed al recupero di materia dai rifiuti rispetto al recupero
energetico. Anzi, le modifiche apportate al “piano” muovono proprio dalla necessità di attuare in maniera
compiuta i principi fissati in materia ambientale dalla normativa comunitaria e nazionale”.
2
112
Triggiani
in ingresso, disincentiverebbero l’incremento della raccolta differenziata e del
recupero di materia dai rifiuti e non garantirebbero il contenimento del regime
tariffario a carico dei Comuni.
Le richiamate statuizioni giurisdizionali hanno trovato definitiva conferma da parte del Consiglio di Stato, Sez. IV, con pronuncia 17 aprile 2008, n. 345.
Infine, la gestione commissariale, con i decreti 30 settembre 2002 nn. da
297 a 310, ha proceduto alla istituzione delle Autorità per la gestione dei rifiuti
urbani in ciascuno dei quindici bacini d’utenza compresi nel territorio della Regione Puglia.
Alle Autorità in questione compete la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti
urbani nelle sue diverse fasi della raccolta, trasporto, trattamento, smaltimento
e destinazione al recupero e riutilizzo, nel rispetto delle previsioni del Piano
regionale di gestione dei rifiuti e del Piano provinciale di organizzazione dei
servizi, nonché la definizione della tariffa unica di gestione del ciclo dei rifiuti.
1.3.La transizione verso il rientro all’ordinario
La situazione pugliese e le prospettive di superamento delle criticità a suo
tempo rilevate e poste a base della dichiarazione dello stato di emergenza hanno
formato oggetto di approfondimento da parte della Commissione parlamentare
d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (istituita
con legge 20 ottobre 2006, n. 271), che ha di recente rassegnato la propria relazione finale (sen. Roberto Barbieri), approvata nella seduta del 27 febbraio 2008.
Ne emerge un quadro di transizione, nel quale risaltano – in positivo –
tanto l’abbandono deliberato del regime commissariale quanto la definizione di
un Piano organico di interventi incentrato sulla implementazione della raccolta
differenziata e sulla esclusione di termovalorizzatori a gestione pubblica e, in
genere, di centrali alimentate con frazione secca o rifiuto tal quale, a vantaggio
del recupero energetico dei rifiuti attraverso la produzione di CDR, da utilizzare
in via privilegiata in impianti già esistenti e, solo in via subordinata, in impianti
dedicati appositamente realizzati. Allo stato attuale, dunque, il sistema pubblico
di gestione del ciclo dei rifiuti urbani viene configurato in modo da condurre, a
valle della raccolta differenziata (che dovrebbe toccare il 55% entro il 2010), alla produzione di CDR da utilizzare in impianti dedicati, centrali termoelettriche,
cementifici, sansifici, inceneritori.
Come evidenziato dalla Commissione parlamentare, l’efficacia delle iniziative assunte dalla gestione commissariale potrà essere valutata a consuntivo
I rifiuti in Puglia 113
solo a fine 2008, allorché sarà possibile valutare l’effettivo conseguimento degli
obiettivi programmati, con particolare riferimento alla prevista riduzione dei
quantitativi di rifiuto mediante la differenziazione, ed al completamento dei previsti sistemi impiantistici complessi (impianti di selezione e biostabilizzazione
e di produzione di CDR, discariche di servizio/soccorso) e di compostaggio.
Quanto ai rifiuti speciali, oggetto della Sezione Rifiuti speciali e pericolosi introdotta nel Piano regionale di gestione dei rifiuti con decreto commissariale n. 246, del 28 dicembre 2006, vanno rilevate l’assenza di un adeguato sistema
impiantistico e la attuale incertezza del quadro legislativo regionale, sul quale si
tornerà in seguito, sub 2.2.
2.L’ordinamento regionale di settore
L’ordinamento regionale pugliese racchiude molteplici fonti legislative e
regolamentari in materia di rifiuti, tra le quali si ritiene necessario segnalare le
seguenti:
-
l.r. 3 ottobre 1986, n. 30
-
l.r. 13 agosto 1993, n. 17
-
l.r. 18 luglio 1996, n. 13
-
l.r. 30 novembre 2000 n. 17, (art. 23)
-
l.r. 28 dicembre 2006, n. 39, (art. 22, comma 1)
-
l.r. 31 ottobre 2007, n. 29
-
regolamento regionale 6 luglio 2007, n. 18.
Si tratta, per lo più, di disposizioni risalenti, in parte addirittura anteriori
al d.lgs. 22/1997, delle quali va valutata la compatibilità con l’attuale quadro
legislativo statale, contenuto nel d.lgs. 152/2006, e che comunque necessitano
di coordinamento all’interno di un unico testo normativo.
2.1.Le funzioni delegate
In tale contesto si ritiene opportuno accennare, in primo luogo, al particolare regime di deleghe di funzioni operante nel territorio regionale a partire
dall’entrata in vigore della l.r. 30/1986.
Tale normativa, all’art. 5 (nel testo originario), aveva conferito alle Province, per i territori di rispettiva competenza, la delega delle funzioni di cui
all’art. 6, lettera c) e d), del DPR 10 settembre 1982, n. 915, e più precisamente:
114
Triggiani
-
l’approvazione dei progetti e degli elaborati tecnici riguardanti gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani e di innocuizzazione e di eliminazione
dei rifiuti speciali;
-
l’autorizzazione ad enti o imprese ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti
urbani e speciali prodotti da terzi; le autorizzazioni ad effettuare le operazioni di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi; le autorizzazioni alla
installazione e alla gestione delle discariche e degli impianti di innocuizzazione e di eliminazione dei rifiuti speciali.
La disposizione regionale impegnava gli Enti delegati ad uniformarsi alla
normativa di settore vigente, nonché agli atti di programmazione della Regione
e subordinava l’operatività delle deleghe all’emanazione, da parte del Consiglio
Regionale, di direttive vincolanti riferite, in particolare, al personale necessario
ed alle risorse occorrenti.
Tale conferimento di funzioni alle Province, peraltro, non è venuto meno
a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 22/1997, che attribuiva alle Regioni
i compiti in questione (art. 19, comma 1, lett. d ed e3), anche in virtù della ri3
Art. 19 (Competenze delle regioni)
1.
Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dal
presente decreto:
a)
la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province ed i comuni, dei piani
regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 22;
b)
la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, con l’obiettivo prioritario della separazione dei
rifiuti di provenienza alimentare, degli scarti di prodotti vegetali e animali, o comunque ad
alto tasso di umidità, dai restanti rifiuti;
c)
l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate;
d
l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e
l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;
e)
l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi;
f)
le attività in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti che il regolamento CEE n.
259/93 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;
g)
la delimitazione, in deroga all’ambito provinciale, degli ambiti ottimali per la gestione dei
rifiuti urbani e assimilati;
h)
le linee guida ed i criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e
di messa in sicurezza, nonché l’individuazione delle tipologie di progetti non soggetti ad
autorizzazione;
i)
la promozione della gestione integrata dei rifiuti, intesa come il complesso delle attività
volte ad ottimizzare il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti;
l)
l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi;
m)
la definizione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli articoli 31, 32 e 33;
I rifiuti in Puglia 115
conferma delle deleghe alle Province operata dall’art. 23 della successiva l.r.
17/2000.
Nel richiamare, al riguardo, Cons. St., Sez. VI, 19.10.2007, n. 54534, si
evidenzia l’ampliamento dell’ambito oggettivo delle deleghe conferite alle Province, conseguente alle modifiche introdotte dal citato art. 23 della l.r. 17/2000
nell’art. 5 della l.r. 30/1986.
Il nuovo testo di tale ultima disposizione, infatti, delegava alle Province
le funzioni in materia di:
-
approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;
-
autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero
dei rifiuti, anche pericolosi;
-
attività in materia di spedizioni transfrontaliere che il regolamento CEE
n. 259/93 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;
-
elaborazione, approvazione e aggiornamento dei piani per la bonifica di
aree inquinate ricadenti entro i confini di un medesimo territorio provinciale.
Senonché, se l’esercizio, da parte delle Province, delle funzioni delegate ha potuto effettivamente dispiegarsi per quanto attiene all’approvazione dei
progetti degli impianti ed al rilascio delle autorizzazioni all’esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti, ciò non è accaduto in relazione alle
attività in materia di spedizioni transfrontaliere, poiché non sono state emanate
le previste direttive vincolanti del Consiglio regionale.
Pertanto, tali funzioni, ad onta della delega inattuata, sono state svolte
ininterrottamente dalla Regione (almeno fino al 31 luglio 2007, come si vedrà)
ai sensi del citato art. 19, comma 1, lett. f), del d.lgs. 22/1997.
Anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006, che, sulla falsariga del decreto Ronchi, ha attribuito alle Regioni le competenze qui in esame
n)
la definizione dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti;
n-bis) la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento
e la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 18, comma 2,
lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare.
4
“vi è, invero, da osservare che la Regione Puglia, con la citata L.R. n. 17 del 2000, ha ribadito, all’art.
23, la delega di poteri nella materia in questione a favore delle Province, con la conseguenza che non
può, comunque, dubitarsi della competenza della Provincia di Foggia ad adottare la deliberazione di cui
è causa”.
116
Triggiani
(art. 196, comma 1, lett. d, e, f5) il legislatore regionale ha inteso tenere ferme
le deleghe in questione.
5
Articolo 196
Competenze delle Regioni
1.
Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla
parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli di cui all’articolo 195:
a)
la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le Province, i Comuni e le autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199;
b)
la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, secondo un criterio generale di separazione dei
rifiuti di provenienza alimentare e degli scarti di prodotti vegetali e animali o comunque
ad alto tasso di umidità dai restanti rifiuti;
c)
l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate di propria competenza;
d)
l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e
l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di
cui all’articolo 195, comma 1, lettera f);
e)
l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi;
f)
le attività in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti che il regolamento (Cee) n.
259/93 (64) del 1° febbraio 1993 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di
destinazione;
g)
la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali di cui all’articolo 195, comma 1,
lettera m), degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati;
h)
la redazione di linee guida ed i criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di
bonifica e di messa in sicurezza, nonché l’individuazione delle tipologie di progetti non soggetti ad autorizzazione, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 195, comma 1, lettera r);
i)
la promozione della gestione integrata dei rifiuti;
l)
l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi;
m)
la specificazione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli
articoli 214, 215, e 216, nel rispetto di linee guida elaborate ai sensi dell’articolo 195,
comma 2, lettera b);
n)
la definizione di criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee
alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei
criteri generali indicati nell’articolo 195, comma 1, lettera p);
o)
la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento
e la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 195, comma 2,
lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;
p)
l’adozione, sulla base di metodologia di calcolo e di criteri stabiliti da apposito decreto
del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle
attività produttive e della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente
decreto, delle disposizioni occorrenti affinché gli enti pubblici e le società a prevalente
capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, coprano il proprio fabbisogno annuale
di manufatti e beni, indicati nel medesimo decreto, con una quota di prodotti ottenuti da
materiale riciclato non inferiore al 30 per cento del fabbisogno medesimo. A tal fine i predetti soggetti inseriscono nei bandi di gara o di selezione per l’aggiudicazione apposite
clausole di preferenza, a parità degli altri requisiti e condizioni. Sino all’emanazione del
predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro
I rifiuti in Puglia 117
Ed infatti, l’art. 6, comma 3, della l.r. 17/2007, ha disposto la conferma
della delega alla Provincia competente per territorio delle funzioni concernenti
il rilascio, nel rispetto dei tempi e delle modalità definite dalla normativa comunitaria e nazionale di settore vigente, delle autorizzazioni per la realizzazione e
per la gestione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, ivi compresi gli impianti di incenerimento rifiuti, già delegate alle stesse
province ai sensi della legge regionale 3 ottobre 1986, n. 30 e dell’articolo 23
della l.r. n. 17/2000.
Quanto alle spedizioni transfrontaliere, con il citato art. 6, comma 4, il
legislatore regionale ha finalmente sancito l’operatività della delega conferita in
favore della Provincia ex art. 23 l.r. 17/2000, disponendo che “A partire dal 1°
luglio 2007 vengono esercitate dalle province le funzioni riguardanti il regime
autorizzativo per l’importazione ed esportazione dei rifiuti, in attuazione del
regolamento (CE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, relativo alla
sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità
europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio, e successive modifiche
e integrazioni e delle norme nazionali di recepimento. L’Assessorato regionale
all’ecologia porta a compimento tutte le procedure di cui sopra, attivate presso
i propri uffici entro il 30 giugno 2007. Per il secondo semestre dell’anno 2007
è istituito un tavolo tecnico Regione/Province, che si riunisce almeno una volta
ogni due mesi, per affiancare il processo di delega delle funzioni di che trattasi”.
Può dunque ritenersi inapplicabile il termine di scadenza delle deleghe in
questione introdotto, prima dell’entrata in vigore della l.r. 17/2007, dall’art. 226
della l.r. 39/2006, a mente del quale le disposizioni contenute nella l.r. 30/1986
e nell’articolo 23 della l.r. 17/2000 avrebbero dovuto produrre effetti fino al 31
dicembre 2007.
2.2. La disciplina dello smaltimento dei rifiuti speciali provenienti da
fuori regione
Ha prodotto un rilevante impatto nel settore dei rifiuti speciali la promulgazione della l.r. 29/2007, recante la disciplina per lo smaltimento dei rifiuti
dell’ambiente e della tutela del territorio 8 maggio 2003, n. 203, e successive circolari di
attuazione. Restano ferme, nel frattempo, le disposizioni regionali esistenti.
6
“Le disposizioni contenute nella legge regionale 3 ottobre 1986, n. 30 (Decreto del Presidente della
Repubblica 10 settembre 1982, n. 915. Smaltimento rifiuti. Norme integrative e di prima attuazione), e
nell’articolo 23 della legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale), sono prorogate al 31 dicembre 2007.
118
Triggiani
speciali pericolosi e non pericolosi prodotti al di fuori della regione che transitano nel territorio regionale e sono destinati ad impianti di smaltimento siti nella
Puglia, scaturita da un progetto di legge di iniziativa popolare.
Tale normativa preclude lo smaltimento, presso gli impianti pugliesi, di
rifiuti speciali provenienti da altre regioni, salvo che l’impianto pugliese risulti,
tra gli impianti appropriati, quello in assoluto più prossimo, in termini chilometrici, al luogo di produzione.
Al fine di comprovare la sussistenza di tale presupposto, il “produttore e/o
trasportatore (...) deve previamente munirsi di uno o più certificati delle autorità extraregionali competenti, di data non anteriore a sei mesi, attestanti l’inesistenza o l’inoperatività, nei rispettivi territori, di impianti appropriati per lo
smaltimento dei medesimi rifiuti speciali, individuati secondo il catalogo europeo dei rifiuti (CER)” (art. 3, comma 2). In luogo di tali certificati è ammessa la
presentazione di dichiarazioni sostitutive di identico contenuto (art. 3, comma 5).
Ai sensi dell’art. 6, comma 1, il rispetto degli illustrati vincoli per l’ingresso di rifiuti speciali in regione dovrà formare oggetto di specifica prescrizione nel contesto delle autorizzazioni relative ai nuovi impianti di gestione dei
rifiuti speciali. Senonché, ai sensi del successivo comma 2, “a far data dalla
data di entrata in vigore della presente legge, lo smaltimento di rifiuti speciali
presso impianti ubicati nel territorio regionale in violazione delle disposizioni della presente legge equivale all’inosservanza delle prescrizioni di gestione
contenute nei provvedimenti autorizzatori”. Tanto comporta la soggezione del
responsabile della violazione al regime sanzionatorio previsto dall’art. 256 del
d.lgs. 152/2006. Si rinvia, per un approfondimento dei profili più strettamente
penalistici, ad altra sezione del presente testo (“La disciplina nazionale della
gestione dei rifiuti” di Renato Nitti).
La normativa regionale in esame è stata oggetto di rilievi critici da parte
della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività
illecite ad esso connesse (istituita con legge 20 ottobre 2006, n. 271), nella citata
relazione finale del 27 febbraio 2008, liddove si è evidenziato che “Ulteriori profili di criticità si sono aperti a seguito della promulgazione della legge
regionale n. 29/2007 (...), sulla cui base viene impedito il trattamento e/o lo
smaltimento di rifiuti speciali se provenienti da altre regioni ed, in particolare,
da siti che non possano essere considerati prossimi alla regione Puglia. Ciò ha
causato la reazione delle associazioni degli industriali del settore che è sfociata
in specifici contenziosi innanzi al giudice amministrativo”.
In effetti, da più parti si è osservato che il vincolo della prossimità, nei
I rifiuti in Puglia 119
termini rigorosi in cui viene disciplinato dalla l.r. 29/2007, non pare del tutto
coerente con le previsioni contenute nell’art. 182, comma 3, lett. b) del D.Lgs.
cit. secondo cui “Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso ad una rete
integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, attraverso le migliori tecniche disponibili e tenuto conto del rapporto tra i costi e i benefici complessivi,
al fine di:
b) permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più
vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei
rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di
impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti”.
La disposizione nazionale, peraltro di carattere programmatico, si limita
infatti a sancire l’esigenza di assicurare il rispetto di prossimità ed appropriatezza degli impianti rispetto al luogo di produzione, presupponendo però:
-
l’esistenza di una rete integrata ed adeguata di impianti;
-
il temperamento del principio alla luce del necessario rispetto del “rapporto tra i costi e i benefici complessivi”;
-
la possibilità di scegliere l’impianto di conferimento all’interno di una
rosa di possibili impianti alternativi (“in uno degli impianti appropriati
più vicini ai luoghi di produzione o raccolta”).
Dunque, la fonte statale: a) non pone alcun limite o divieto immediatamente prescrittivo; b) impone di operare la scelta dell’impianto alla luce di una
valutazione complessiva di costi e benefici; c) lungi dal prefigurare in modo vincolante il criterio della prossimità, consente di optare per uno tra i vari impianti
più prossimi al luogo di produzione o raccolta dei rifiuti.
Si è altresì evidenziata la difficoltà di ottemperare agli adempimenti documentali posti dalla normativa regionale in esame, non essendo peraltro scontate
né la collaborazione delle “Autorità competenti” nell’esecuzione di formalità
non previste nei rispettivi territori (ed ordinamenti), né la possibilità di ricostruire, con ragionevole precisione, il quadro della situazione impiantistica riferito
a contesti territoriali estremamente ampi (ed in ultima analisi indefiniti) come
quelli che i produttori e/o trasportatori dovrebbero considerare al fine di dimostrare la maggiore prossimità degli impianti pugliesi.
Tanto considerato, il rigore della griglia di regole e criteri ubicazionali
fissati dalla legge regionale 29/2007, che addirittura impongono di valutare le
distanze chilometriche tra luogo di produzione e raccolta ed impianti di smaltimento, appare forse eccessivo.
Certo è che i contenziosi cui ha fatto riferimento la Commissione parla-
120
Triggiani
mentare d’inchiesta paiono volgere, allo stato, in favore delle imprese operanti
nel settore.
In particolare, il contrasto della legge con varie disposizioni costituzionali
è stato finora rilevato:
-
dal TAR Puglia – Sede di Bari, che con ordinanza n. 158/2008 ha accolto
l’istanza cautelare proposta da una impresa operante nel settore “fino alla
decisione che sarà assunta dalla Corte Costituzionale sulla emananda
ordinanza di rimessione”;
-
dal TAR Puglia – Sede di Lecce, che con ordinanza n. 564 del 21.2.2008
ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3, 1° comma, della l.r. 29/2007, per violazione degli artt. 117, 3° comma, 120 e 41 della Costituzione, rimettendo
la questione alla Corte Costituzionale;
-
dal TAR Puglia – Sede di Lecce, che con ordinanze n. 1137/2007 e
132/2008, ha concluso che la legge regionale applicata nella specie presenta “profili di irrazionalità e di eccesso di potere legislativo regionale”,
e “non inconsistenti profili di contrasto con i principi di cui agli artt. 117,
120, 41, 32 e 3 Cost. anche con riferimento a pronunce della Corte Costituzionale in ordine a censurate norme di leggi regionali che ponevano
limiti allo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale, anche in
relazione agli obblighi derivanti da principi comunitari”.
In conclusione, il settore versa oggi in una condizione di singolare disomogeneità, in quanto alcuni operatori continuano tuttora ad accettare presso
i propri impianti rifiuti speciali provenienti da fuori regione, a ciò legittimati
dalle pronunce cautelari emanate dai TAR territoriali, mentre tutti gli altri soggiacciono alle tuttora vigenti preclusioni legislative.
3. Il Catasto Regionale dei Rifiuti
Il Catasto dei Rifiuti, istituito dall’articolo 3 del d.l. 9 settembre 1988, n.
397, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 novembre 1988, n. 475, ed oggi
disciplinato dall’art. 189 del d.lgs. 152/2006, è articolato in una Sezione nazionale, che ha sede in Roma presso l’Agenzia per la protezione dell’ambiente
e per i servizi tecnici (APAT) e in Sezioni regionali presso le corrispondenti
Agenzie per la protezione dell’ambiente. Le norme di organizzazione del Catasto sono emanate ed aggiornate con decreto del MATT, di concerto con il MAP,
I rifiuti in Puglia 121
fino all’emanazione del quale continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al
decreto del Ministro dell’Ambiente 4 agosto 1998, n. 372.
Il Catasto assicura un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato, anche ai fini della pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti,
dei dati raccolti ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, utilizzando la nomenclatura prevista nel Catalogo europeo dei rifiuti di cui alla decisione 20
dicembre 1993, 94/3/CE.
Chiunque effettui a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto
di rifiuti, ovvero svolga le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti,
nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi ed i consorzi istituiti
con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto, devono comunicare
annualmente alle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura
territorialmente competenti, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti
oggetto delle predette attività.
I soggetti istituzionali responsabili del servizio di gestione integrata dei
rifiuti urbani e assimilati devono comunicare annualmente, le seguenti informazioni relative all’anno precedente:
a) la quantità dei rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio;
b) la quantità dei rifiuti speciali raccolti nel proprio territorio a seguito di
apposita convenzione con soggetti pubblici o privati;
c) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti, specificando le
operazioni svolte, le tipologie e la quantità dei rifiuti gestiti da ciascuno;
d) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario degli investimenti per le attività di gestione dei rifiuti, nonché i proventi della tariffa
di cui all’articolo 238 ed i proventi provenienti dai consorzi finalizzati al
recupero dei rifiuti;
e) i dati relativi alla raccolta differenziata;
f) le quantità raccolte, suddivise per materiali, in attuazione degli accordi
con i consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti.
Le Sezioni regionali e provinciali e delle province autonome del Catasto,
sulla base dei dati trasmessi dalle Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, provvedono all’elaborazione dei dati ed alla successiva trasmissione alla Sezione nazionale.
L’APAT elabora i dati, evidenziando le tipologie e le quantità dei rifiuti
prodotti, raccolti, trasportati, recuperati e smaltiti, nonché gli impianti di smaltimento e di recupero in esercizio e ne assicura la pubblicità.
122
Triggiani
ARPA Puglia, a seguito di apposita procedura di evidenza pubblica, ha
proceduto all’Affidamento del servizio di progettazione, realizzazione e gestione del Catasto regionale dei rifiuti ad impresa specializzata (Deliberazione D.G.
n. 185 del 20 marzo 2007).
La base informativa è costituita principalmente dai dati provenienti dalle dichiarazioni MUD. A completamento del quadro sull’intero ciclo dei rifiuti
vengono affiancate altre banche dati contenenti le informazioni relative agli impianti (e relative autorizzazioni) per il recupero, il trattamento e lo smaltimento
dei rifiuti nonché il database dei detentori di PCB ed apparecchi contaminati da
PCB presenti sul territorio regionale.
Il Catasto rifiuti in Puglia è destinato ad interfacciarsi con il Catasto Telematico APAT, in fase di progettazione, il SIPA (Sistema Informativo Pugliese
dell’Ambiente), il SINAnet (Sistema Informativo Nazionale per l’Ambiente), il
SIARPA (Sistema Informativo Ambientale di ARPA Puglia), il SIMAGE (Sistema per il Monitoraggio Ambientale e Gestione delle Emergenza attivato presso
ARPA Puglia).
Roberto Rossi
Il controllo di polizia giudiziaria
del traffico transfrontaliero dei rifiuti
Sommario: 1. Premessa - 2. Il concetto di rifiuto - 3. I criteri discretivi per individuare il rifiuto - 4. Il
controllo del traffico dei rifiuti: controllo documentale e controllo sostanziale - 5. La spedizione dei rifiuti
transfrontaliera - 6. Il controllo prima dell’arrivo in dogana - 7. Il controllo in dogana - 7.1. Il ruolo del
personale della dogana - 7.2. La qualifica di polizia giudiziaria - 7.3. La bolletta doganale come atto pubblico - 7.4. Obblighi di controllo del personale di dogana - 8. Il ruolo di controllo operativo della PG nella
materia dei rifiuti - 8.1. Il controllo documentale - 8.2. Il controllo sostanziale - 8.3. Gli adempimenti: il
verbale di accertamento - 8.4. Gli adempimenti: il sequestro
1.
Premessa
L’enorme quantità di rifiuti prodotti in Italia e l’elevato costo delle operazioni di gestione degli stessi ha indotto le organizzazioni criminali a procedere
al loro smaltimento esportandoli illecitamente all’estero (sopratutto in quei paesi dove il controllo è minore) o, attraverso complessi giri di documentazione,
pulendoli mediante l’apparente esportazione e reimportazione.
Alla dimensione quantitativa e qualitativa del traffico di rifiuti commerciati illegalmente con l’estero, corrisponde una risposta repressiva debolissima.
Basti osservare che la giurisprudenza penale sul traffico illecito transfrontaliero
dei rifiuti è sostanzialmente inesistente.
Si vuole qui tracciare allora solo alcune linee guida che permettano alle
autorità di controllo di poter operare, con maggiore incisività, su questo pericoloso fenomeno.
2.
Il concetto di rifiuto
Il primo passo di qualsiasi controllo relativo al fenomeno analizzato è
l’individuazione del bene rifiuto.
La maggiore difficoltà dell’operatore è quella di poter immediatamente
124
Rossi
cogliere, dalla documentazione in atti e dal controllo visivo, se la merce controllata sia un rifiuto.
Se il bene è rifiuto l’operatore avrà l’obbligo di richiedere la documentazione accompagnatoria e le autorizzazioni (compresa quella relativa all’importazione e esportazione dello stesso) che la disciplina dei rifiuti impone.
Se il bene non è riconducibile alla categoria rifiuto l’operatore dovrà
effettuare altri tipi di controllo relativi a discipline diverse ma non potrà pretendere il documento di accompagnamento o di trasporto.
Il problema principale è che la definizione di rifiuto non è legata ad una
verificabilità fisica ma sopratutto ad una definizione giuridica.
Rinviando all’approfondimento in altra sezione del presente volume (contributo NITTI), si deve evidenziare che l’articolo 6, lettera a), del decreto Ronchi definiva rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell’allegato A) al decreto stesso, di cui il detentore si disfi, abbia deciso o
abbia l’obbligo di disfarsene. La definizione è stata sostanzialmente riprodotta
nell’articolo 183, lettera a), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e consiste,
in definitiva, nella traduzione di quella contenuta nella direttiva comunitaria già
utilizzata nel D.P.R. n 915 del 1982. Da tale definizione emerge chiaramente che
il legislatore ha optato per la nozione cosiddetta “oggettiva” del rifiuto, legata,
da un lato, all’obiettiva possibilità di ricondurre determinate sostanze entro le
categorie predeterminate a livello comunitario e, dall’ altro, all’obiettiva condotta del detentore o ad un obbligo cui lo stesso è tenuto. Disfarsi di un rifiuto
significa avviarlo alla sua normale destinazione costituita dal recupero o dallo
smaltimento. Pertanto, se la destinazione data dal detentore ad una determinata sostanza è costituita dal recupero o dallo smaltimento, non v’è dubbio
sulla natura di rifiuto della sostanza stessa. In altri termini la natura di rifiuto
di una determinata sostanza sussiste, non solo quando il detentore abbia deciso
di disfarsene, ma anche quando abbia l’obbligo di disfarsene avviando la sostanza stessa al recupero o allo smaltimento1.
Cass. Sez. III n. 7466 del 19 febbraio 2008 (ud. 15 gen. 2008) Pres. Lupo Est. Petti Ric. Pagliaroli ,
Lexambiente.com
1
Il controllo di polizia giudiziaria
3. 125
I criteri discretivi per individuare il rifiuto
Partendo da tale concetto e sintetizzando quanto approfondito in altra parte del volume (contributo di NITTI) appare importante delineare qualche criterio concreto per individuare una merce come rifiuto.
•
In primo luogo, l’abbandono della sostanza, del materiale, depone insuperabilmente per la sua qualificazione come rifiuto.
Es. un auto-veicolo che viene formalmente rottamato (anche se perfettamente funzionante) venduto come merce è un rifiuto perché abbandonato da
qualcuno.
Un bene già codificato come rifiuto, rimane un rifiuto anche se poi venduto.
•
Per l’art. 181 del Testo Unico “La disciplina in materia di gestione dei
rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero”.
Quindi, se non vi è stata operazione di recupero è ancora un rifiuto.
Es. Se abbiamo della carta da macero non ancora trattata e trasformata è
un rifiuto. Così plastica proveniente da raccolta differenziata. Oppure merce da
rigattiere recuperata per strada.
•
Ai sensi della lett. p) dell’art. 183 – e sempre che non siano rifiuti – il
sottoprodotto non è un prodotto perché deriva da un processo non direttamente destinato alla sua produzione (è, diremmo richiamando la giurisprudenza comunitaria, un residuo di produzione) ma nello stesso tempo
non è un rifiuto perché:
a) ne è certo sin dalla fase della produzione l’impiego anche nella previa individuazione del processo in cui ciò avverrà. Deve trattarsi di
impiego integrale;
b) deve possedere sin dalla sua produzione requisiti merceologici
e di qualità ambientale idonei a garantire che il suo impiego non
dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e
quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove
è destinato ad essere utilizzato e quindi non deve essere necessario
effettuare e non devono essere effettuati trattamenti per conseguire
quei requisiti;
c) deve avere un valore economico di mercato.
Ora, in attesa del nuovo decreto, si continuano ad applicarsi i decreti mi-
126
Rossi
nisteriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.
Sicchè, può dirsi che un rifiuto espressamente richiamato in uno dei
tre citati decreti - ove sia già stato sottoposto alle procedure di recupero
per esso specificamente previste negli stessi decreti e abbia assunto le caratteristiche ivi menzionate - sia da considerarsi materia prima secondaria o
“materia, sostanza, prodotto” secondario, secondo la previsione del nuovo
art. 181 bis.
•
Sono esclusi dalla materia dei rifiuti le emissioni costituite da effluenti
gassosi emessi nell’atmosfera, i quali effluenti sono oggetto della disciplina dell’inquinamento atmosferico, sempreché, appunto, oggetto di emissioni in atmosfera, poiché se diversamente detenute (p. es. in contenitori)
di esse potrà porsi senza limiti il problema della eventuale natura di rifiuto; inoltre non sono rifiuto (in quanto disciplinati da altra disposizioni
normativa con finalità di tutela ambientale e sanitaria) le acque di scarico,
eccettuati i rifiuti allo stato liquido; i rifiuti radioattivi; i materiali esplosivi in disuso; i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal
trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle
cave; i materiali vegetali; le terre e il pietrame non contaminati in misura
superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti, provenienti dalle attività
di manutenzione di alvei di scolo ed irrigui (in quanto disciplinati da altra
disposizioni normativa con finalità di tutela ambientale e sanitaria); le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali
e non pericolose utilizzate nell’attività agricola; secondo la interpretazione datane dalla Suprema Corte (Cass., III Sez. Pen., 4 giugno 2007, n.
21676), le carogne se ed in quanto costituiscano rifiuti di origine animale,
rientrano nella disciplina dei rifiuti qualora esulino dalla normativa sanitaria e veterinaria (prima: d.lgs. 508/1992, ora Regol. comun. 1774/2002,
che ne disciplinano l’eliminazione o, in casi limitati di basso rischio, la
riutilizzazione per scopi specifici).
Va ricordato inoltre che i due principali criteri di classificazione indicati
dal testo unico (come dal decreto Ronchi) sono:
a) secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e,
b) secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non
pericolosi.
Il controllo di polizia giudiziaria
127
Inoltre chiunque effettua a titolo professionale attività di trasporto di
rifiuti è obbligato alla comunicazione annuale al Catasto, alla tenuta del registro
di carico e scarico e, come tutti gli enti e le imprese che effettuano trasporto di
rifiuti, all’utilizzo e conservazione del formulario di identificazione dei rifiuti
per ogni trasporto di rifiuti.
Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i
seguenti dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell’istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
4.
Il controllo del traffico dei rifiuti: controllo documentale e controllo sostanziale
I reati relativi al traffico illegale di rifiuti non configurano reato di pericolo concreto, bensì reato formale, di mera condotta, indipendente dal danno
ambientale. In sostanza vi è reato solamente perché si è realizzata una condotta
senza autorizzazione (reato di mera disobbedienza). Per questo per la loro commissione non è necessario un danno ambientale né la minaccia grave di danno
ambientale2 .
Ne deriva che il controllo del rifiuto trasportato e spedito deve essere
prima di tutto formale.
L’operatore deve quindi verificare se la spedizione e il trasporto sono
accompagnati dai documenti giusti e inoltre se sono autorizzati. Quindi deve
chiedere e ottenere la documentazione necessaria.
Cass. pen., Sez. III, 10/02/2004, n.18055, Ambiente e sicur., 2005, 4, 74; Cass. pen., Sez. III, 16/12/2005,
n.4503, Samarati, CED Cassazione, 2006
2
128
5.
Rossi
La spedizione dei rifiuti transfrontaliera
Richiamando qui sinteticamente (ma rinviando per il doveroso approfondimento alla parte di AMATO) l’analisi della documentazione necessaria per le
spedizioni di rifiuti transfrontalieri, va detto che la spedizione di rifiuti all’interno della Comunità Europea tra Stati Membri necessita della procedura
di notifica e autorizzazione per tutti i rifiuti se destinati a operazioni di smaltimento.
La stessa procedura è prevista ai rifiuti, se destinati a operazioni di recupero, dell’elenco Ambra e gli altri rifiuti pericolosi.
Pertanto, non sono soggetti a notifica la spedizione all’interno della
Comunità Europea tra Stati Membri di rifiuti destinati al recupero contenuti nell’elenco Verde.
In ogni caso i rifiuti devono essere accompagnati da un contratto finalizzato al recupero o smaltimento e idonea garanzia finanziaria. Inoltre
il rifiuto deve essere accompagnato da un documento di accompagnamento
che identifica provenienza, quantità e tipologia del rifiuto. Documento che
sostituisce il formulario di identificazione rifiuti (FIR)
Sono vietate le esportazioni dall’Italia ai Paesi terzi non aderenti alla OCSE di rifiuti destinati allo smaltimento.
Sono vietate le esportazioni di rifiuti sostanzialmente classificati come
pericolosi destinati al recupero.
Verso i Paesi terzi non aderenti alla OCSE sono autorizzate le esportazioni
di rifiuti di cui alla lista Verde e di rifiuti non pericolosi secondo le procedure in
altra parte del manuale analizzate.
Per le esportazioni relative ai paesi OCSE si applicano le procedure
interne alla Comunità.
Sono vietate le importazioni in Italia dai Paesi terzi di rifiuti destinati
allo smaltimento, ad eccezione di quelli provenienti da paesi OCSE per i quali
si applicano le procedure interne alla Comunità.
Sono vietate le importazioni di rifiuti destinati al recupero ad eccezione
di quelli provenienti da paesi OCSE per i quali si applicano le procedure interne
alla Comunità.
Il controllo di polizia giudiziaria
129
6.Il controllo prima dell’arrivo in dogana
L’Articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 prevede al
comma 1° la sanzionabilità penale di chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in
mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione.
Inoltre il successivo Articolo 258 prevede che chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193, ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti, è punito con sanzione amministrativa. In
ipotesi di trasporto di rifiuti pericolosi si applica la pena di cui all’articolo 483
del codice penale. Tale ultima pena si applica anche a chi fa uso di un certificato
falso durante il trasporto.
L’Articolo 193 prevede che durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale
devono risultare almeno i dati essenziali per identificare produttore e detentore
del rifiuto; l’origine, tipologia e quantità del rifiuto; l’impianto di destinazione;
il percorso e il destinatario.
Il comma 7 precisa, però, che il formulario è validamente sostituito, per
i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla
normativa comunitaria, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio
nazionale.
L’operatore che effettua il controllo deve:
•
Verificare se si tratti di un rifiuto e di che rifiuto si tratta. L’operatore non potrà fermarsi alla mera dichiarazione documentale ma dovrà
approfondire gli aspetti sopra indicati. Ad esempio, se il bene deriva da
un processo produttivo e non è stato trattato è ancora un rifiuto. Oppure,
se il bene viene dichiarato come sottoprodotto, bisognerà valutare se ne
ricorrono i presupposti per valutarlo tale. Se sorge un sospetto circa la
natura del bene sarà necessario un controllo visivo, anche per accertare la
corrispondenza tra bene trasportato e documentazione allegata;
•
Se viene trasportato un rifiuto l’operatore deve verificare se il produttore dei rifiuti è autorizzato al trattamento rifiuti e se il vettore è autorizzato al trasporto;
•
Se il trasporto è transfrontaliero l’operatore dovrà verificare l’esistenza dei documenti indicati nel paragrafo precedente.
In presenza di irregolarità spetterà all’operatore l’esecuzione delle procedure che vedremo tra poco.
130
Rossi
7.Il controllo in dogana
L’arrivo nello spazio doganale impone una primaria responsabilità
del personale abilitato al controllo doganale.
Come osserva la Corte dei Conti3, una comparazione tra paesi europei
dimostra che la funzione doganale ha in Italia dato a lungo l’impressione di
restare ancorata, al di là dei compiti impositivi, ad una logica prevalentemente impostata in termini di controllo ispettivo formale, e di essere poco incline
alla concezione di servizio reso a supporto del sistema produttivo nazionale e
delle relazioni commerciali con l’estero. Solo di recente la filosofia di azione
dell’Agenzia che opera nel settore appare finalizzata a porre l’utente, come in
altri paesi europei, al centro del sistema.
Questo nuovo ruolo impone un controllo che non sia solo relativo
all’aspetto del diritti doganali ma ad ogni profilo di controllo compreso
quello di tipo ambientale.
7.1.Il ruolo del personale della dogana
Il dato normativo
L’articolo 4 del Codice doganale comunitario (Reg. n. 2913/92) definisce:
13) vigilanza dell’autorità doganale: ogni provvedimento adottato da questa
autorità per garantire l’osservanza della normativa doganale e, ove occorra, delle altre disposizioni applicabili alle merci sotto vigilanza doganale;
14) controllo dell’autorità doganale: l’espletamento di atti specifici, come la
visita delle merci, il controllo dell’esistenza e dell’autenticità di documenti, l’esame della contabilità delle imprese e di altre scritture, il controllo
dei mezzi di trasporto, il controllo del bagaglio, e di altra merce che le
persone hanno con sé o su di sé, l’esecuzione di inchieste amministrative
e di altri atti similari, al fine di garantire l’osservanza della normativa
doganale e, ove occorra, delle altre disposizioni applicabili alle merci
sotto vigilanza doganale;
Quindi la norma prevede che:
•
il controllo non è solo documentale ma anche operativo sui mezzi;
•
il controllo non riguarda solo l’osservanza della normativa doganale ma
3
C. Conti, Sez. contr., 26/11/2002, n.27, Giornale Dir. Amm., 2003, 9, 976
Il controllo di polizia giudiziaria
131
anche altre disposizioni (nelle quali rientrano anche quelle relative alla
disciplina dei rifiuti)
Inoltre il DPR 23 gennaio 1973, n. 43 prevede che i funzionari doganali,
per assicurare l'osservanza delle disposizioni stabilite dalle leggi in materia doganale e dalle altre leggi la cui applicazione è demandata alle dogane, possono procedere, direttamente od a mezzo dei militari della guardia di finanza, alla
visita dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere che attraversano la linea
doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli spazi
stessi. Quando sussistono fondati sospetti di irregolarità i mezzi di trasporto
predetti possono essere sottoposti anche ad ispezioni o controlli tecnici particolarmente accurati diretti ad accertare eventuali occultamenti di merci.
Il detentore del veicolo è tenuto a prestare la propria collaborazione per
l’esecuzione delle verifiche predette, osservando le disposizioni a tal fine impartite dagli organi doganali.
7.2. La qualifica di polizia giudiziaria
Da tale normativa emerge chiaramente la qualifica di pubblico ufficiale
e di polizia giudiziaria del personale della dogana con conseguente obbligo
di verifica dei reati anche di tipo ambientale.
L’art. 57 comma 3° c.p.p. dispone che ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni,
sono le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’articolo 55.
Ora l’art. 324, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, di approvazione del testo
unico delle disposizioni legislative in materia doganale, attribuisce ai funzionari
doganali, nei limiti del servizio cui sono destinati, la facoltà di accertare le violazioni del presente testo unico e quelle di ogni altra legge la cui applicazione è
demandata alle Dogane.
Nell’esercizio di tali attribuzioni i funzionari predetti rivestono la
qualità di ufficiali di polizia tributaria.
Quindi, ai sensi dell’art. 55 c.p.p. la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare
le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della
legge penale. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità
giudiziaria.
132
Rossi
Ne consegue che il verbale di verifica in contraddittorio della merce,
ai fini dell’esazione dei tributi doganali, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, ha efficacia di piena prova fino a querela di falso, limitatamente
alla provenienza dell’atto da parte del pubblico ufficiale che lo ha formato, alle
dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti4.
La qualifica di polizia giudiziaria è confermata anche dalla giurisprudenza amministrativa5, per la quale, l’impugnazione del fermo delle merci per le
quali vi sia il fondato sospetto che rechino una falsa o fallace indicazione di
provenienza si intende come misura cautelarmente conservativa accedente alla
notizia di reato, che gli ufficiali doganali sono tenuti a trasmettere all’autorità
giudiziaria, sì che ogni suo eventuale vizio non può che costituire oggetto delle
valutazioni, demandate prima al P.M. e poi al G.I.P., in ordine alla sussistenza o
meno del fumus del reato ipotizzato e dunque anche in ordine alle deduzioni e
motivazioni poste da detti ufficiali a base della contestata misura.
7.3.La bolletta doganale come atto pubblico
Punto di partenza del controllo doganale è la bolletta doganale.
La dichiarazione doganale di cui all’art. 57, t. u. 23 gennaio 1973, n. 43,
compilata per iscritto e sottoscritta dal dichiarante, deve contenere, fra l’altro,
la descrizione delle merci con l’indicazione, secondo le modalità della tariffa,
della qualità, composizione e quantità delle medesime, e, per alcune voci tariffarie, anche l’indicazione della denominazione commerciale; il successivo art.
59, detto t. u., stabilisce poi che la dogana procede in contraddittorio all’accertamento della qualità, della quantità, del valore e dell’origine delle merci, ma
ha anche facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalla visita e di considerare
conforme al dichiarato le merci stesse o la parte di esse non visitata, con annotazione sulla bolletta sostituente a tutti gli effetti l’attestazione di conformità a
seguito della visita6.
La bolletta doganale di importazione ha natura di atto pubblico7 e costiCons. Stato, Sez. IV, 07/06/1999, n.977, Min. fin. C. Palermo
Cons. Stato, Sez. IV, 11/04/2007, n.1624, D. S.p.A. C. Agenzia delle Dogane e altri, Foro Amm., 1999,
1214
6
Cass. pen., 13/12/1985, Amabile, Giust. Pen., 1986, II, 583
7
Cass. pen., Sez. V, 30/11/2006, n.4950, P.P., CED Cassazione, 2007
4
5
Il controllo di polizia giudiziaria
133
tuisce fattispecie documentale a formazione progressiva in quanto trae origine
dalla dichiarazione dell’importatore e si perfeziona, dopo i dovuti controlli, con
l’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, della conformità delle dichiarazioni documentali alla situazione riscontrata.
Ne consegue che ricorre il delitto di cui agli articoli 48 e 479 cod. pen.
ogniqualvolta la falsità delle attestazioni compiute dal funzionario dell’amministrazione doganale sia dovuta all’induzione in errore operata dal privato8.
La bolletta doganale inoltre è atto pubblico di fede privilegiata9 perché
caratterizzata da attestazione di verità circa fatti percepiti al pubblico ufficiale; trattasi di fattispecie documentale a formazione progressiva che trae origine da una dichiarazione di parte presentata dallo spedizioniere doganale, cui
segue la verificazione delle merci, l’apposizione del risultato della visita da parte del funzionario doganale, il versamento di quanto prescritto e la registrazione.
Anche i documenti comunitari T1 e T2, attestanti gli «appuramenti» del funzionario doganale sulle merci in transito nell’ambito dei paesi
comunitari, costituiscono atti pubblici di fede privilegiata10, e non semplici
certificazioni amministrative, sia nella parte relativa all’attestazione delle operazioni effettuate dalla dogana di partenza, sia nella parte relativa all’annotazione dei controlli eseguiti dalla dogana di arrivo, poichè, sull’una o sull’altra
parte, il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, dà atto di attività da
lui svolte o verificatesi in sua presenza; il fatto che la legge doganale preveda,
nei casi considerati, il cosiddetto «considerato conforme», anche senza che il
funzionario doganale abbia proceduto al controllo materiale della merce, non
sposta i termini della questione, posto che anche in tale ipotesi la suddetta annotazione fa fede privilegiata di un controllo virtuale, che è lasciato alla discrezionalità del doganiere e la cui rilevanza, ai fini penali, sussiste sulla base della
falsa attestazione di attività svolta dal doganiere o verificatasi in sua presenza e
non anche sulla base del controllo effettivo del carico.
Cass. pen., Sez. V, 09/04/2003, n.21355, Campolongo, Riv. Pen., 2004, 250; Cass. pen., 11/02/1985,
Tantillo, Giust. Pen., 1986, 2, 90 Per Cass. pen., Sez. II, 24/01/2007, n.5224, B.R., CED Cassazione,
2007 integra la condotta criminosa di falsità ideologica del privato in atto pubblico il rilascio di false
dichiarazioni allo spedizioniere doganale preposto alla formazione della bolletta doganale, dal momento
che l’attività da questi svolta costituisce esercizio di una pubblica funzione amministrativa.
9
Cass. pen., 03/11/1986, Cesaria, Riv. Pen., 1987, 984
10
Cass. pen., 17/03/1987, Rapetti, Riv. Pen., 1988, 206
8
134
Rossi
7.4.Obblighi di controllo del personale di dogana
Quanto sopra esposto chiarisce che il personale della dogana ha l’obbligo di intervenire e di controllare i flussi di merci, anche per accertare se le
stesse sono rifiuti e se sono in regola con le norme ambientali.
Il funzionario della dogana ha l’obbligo giuridico di operare un controllo
prima di tutto documentale analizzando la dichiarazione doganale dello spedizioniere il quale, a sua volta, ha l’obbligo giuridico (sanzionato penalmente) di
dichiarare se i beni sono rifiuti o meno.
Certo la difficoltà operativa risiede nella circostanza che le merci sono
dichiarate tramite il riferimento a codici TARIC che sono ben distinti e distanti
(si rinvia qui al contributo di Primerano) dai codici identificativi dei rifiuti.
La seconda parte del testo di prossima pubblicazione ed il supporto informatico che completeranno il progetto S.CO.R.I.A. saranno di grande utilità per
permettere, almeno a campione, un controllo più incisivo del traffico transfrontaliero.
8.
Il ruolo di controllo operativo della PG nella materia dei rifiuti
8.1.Il controllo documentale
Come si è già osservato, il reato in esame è di tipo formale e quindi la
verifica principale deve essere di tipo documentale.
La verifica quindi deve attenere ai documenti di trasporto e ai documenti
di autorizzazione necessari per il trattamento del rifiuto.
Si rinvia qui a quanto precedentemente esposto.
8.2.Il controllo sostanziale
Spesso il controllo documentale non è sufficiente a verificare l’accertamento circa la natura di rifiuto.
Si deve qui ricordare che ai sensi del comma 5 dell’art. 50 del Reg. CE n.
1013/06, gli Stati membri designano fra il proprio personale di ruolo le persone
responsabili della cooperazione a titolo bilaterale o multilaterale, allo scopo di
facilitare la prevenzione e l’individuazione delle spedizioni illegali ed individuano il(i) centro(i) incaricato(i) dei controlli fisici in parola.
Nella Regione Puglia, il centro incaricato dei controlli fisici in parola è
l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente.
Il controllo di polizia giudiziaria
135
Appare perciò necessario da parte del personale delle Dogane o della
Guardia di Finanza, quando l’analisi documentale non è sufficiente, interpellare
ARPA Puglia anche per l’esecuzione dei prelievi necessari secondo le regole
fissate dal codice.
8.3. Gli adempimenti: il verbale di accertamento
Il primo atto da compiere, rilevata l’irregolarità, è la formazione del verbale di constatazione dell’illecito.
La constatazione dell’illecito è attività tipica di ricerca della prova.
In giurisprudenza si afferma che nell’attività consistente nel “prendere
notizia dei reati di propria iniziativa” indicata negli artt. 55 e 330 c.p.p. rientra
sicuramente la percezione diretta da parte del personale di PG operante attraverso i cinque sensi di cui è dotato l’uomo e, nella specie, l’olfatto. Ne consegue la legittimità dell’operato del personale di PG che, percepito un nauseante
olezzo proveniente da un fondo di proprietà privata, nella flagranza del reato di
abbandono incontrollato di rifiuti e realizzazione di discarica abusiva abbia fatto
ingresso nel fondo compiendo i necessari accertamenti sullo stato dei luoghi e
gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova del reato ipotizzato, identificando
il possibile autore del fatto e procedendo al sequestro del corpo del reato11.
In generale le relazioni di servizio della polizia giudiziaria sono atti irripetibili soltanto se contengono un tipo di accertamento che non è possibile
compiere nuovamente nel dibattimento, e specificamente se contengono la descrizione di un’attività materiale ulteriore rispetto a quella investigativa e non
riproducibile, ovvero la descrizione di luoghi, cose o persone, soggetti a modificazioni. Aggiungono che le relazioni di servizio, se pure documentano atti non
ripetibili, sono acquisite al fascicolo per il dibattimento a condizione che siano
redatte nella forma del verbale o, benché redatte nella forma dell’annotazione,
rechino la sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente e non lascino incertezza assoluta sulle persone intervenute12.
Nello specifico il verbale di polizia giudiziaria relativo all’accertamento
in ordine alla descrizione della caratteristica fisica di un rifiuto13 costituisce
un accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire
Cass. Sez. III sent.. 43314 del 29-11-2005 (C.c. 26 ottobre 2005), Pres. Lupo Est.Ianniello Ric. Bastone,
Lexambiente.com
12
Cass. pen., Sez. Unite, 17/10/2006, n.41281, G.A., CED Cassazione, 2006
13
Cass. pen., Sez. III, 12/07/2007, n.36965, CED Cassazione, 2007
11
136
Rossi
modificazioni o di scomparire in tempi brevi, secondo quanto previsto dall’art.
354 c.p.p. Ne consegue che esso va qualificato come atto irripetibile e quindi
non soggetto alle limitazioni processuali circa i termini per la sua acquisizione.
Rientrano infatti nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la polizia giudiziaria prende diretta cognizione di fatti, situazioni o comportamenti
umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale, suscettibili, per loro natura, di
subire modificazioni o di scomparire in tempi più o meno brevi così da risultare
suscettibili di essere, in seguito soltanto riferiti o descritti.
Il verbale di accertamento deve contenere specificatamente:
•
la descrizione della natura fisica del bene verificato;
•
l’indicazione in ordine a elementi che consentano di affermare che il bene
è stato abbandonato da qualcuno o se il bene è stato codificato come rifiuto;
•
se il bene descritto deve essere ancora trattato o (ove già trattato) indicare
le ragioni per le quali non è da considerarsi MPS;
•
l’esistenza (o meglio l’inesistenza) di documentazione relativa al trasporto e all’autorizzazione del produttore del rifiuto;
•
il luogo verso il quale il bene è diretto;
•
il contenuto della bolletta doganale e l’indicazione di eventuali falsità della stessa;
•
l’identificazione del produttore del rifiuto, dello spedizioniere, del trasportatore e del destinatari.
8.4. Gli adempimenti: il sequestro
Alla procedura di formulazione del verbale ispettivo, ove viene rilevata l’esistenza del reato, deve seguire il sequestro.
L’articolo 321 del c.p.p. prevede che quando vi è pericolo che la libera
disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del
pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale
provvede il giudice per le indagini preliminari. Il giudice può altresì disporre il
sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.
Al comma 3-bis del medesimo articolo è previsto che, nel corso delle
indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico
Il controllo di polizia giudiziaria
137
ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle
quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del
luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione
delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo
stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato
eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria.
La polizia giudiziaria, quando agisce di propria iniziativa e non su delega
del p.m., prima di procedere al sequestro, ex art. 354 c.p.p., deve avvisare l’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (ex art. 114 disp, att, c.p.p.), in quanto anche il sequestro – come le ispezioni e le perquisizioni
– rientra nella categoria degli atti per i quali è previsto l’avviso all’indagato della facoltà di nominare un difensore ad inizio di operazioni. La nullità derivante
dall’omesso avviso all’interessato da parte della polizia giudiziaria che procede
al sequestro della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia deve ritenersi
sanata, a norma dell’art. 182, 2° comma, c.p.p., se la parte, presente, non la deduce immediatamente prima o immediatamente dopo il compimento dell’atto14.
Ovviamente tale obbligo non sussiste quando l’indagato non è presente e non è immediatamente reperibile.
In tema di gestione dei rifiuti va ricordato che, anche dopo la entrata in
vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in caso di condanna per il reato di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione dei rifiuti in
difetto di autorizzazione, di cui all’art. 256 del citato decreto n. 152, va disposta
la confisca del mezzo di trasporto ex art. 259, comma secondo, stesso decreto15.
La confisca è da considerarsi obbligatoria.
Pertanto, l’esigenza cautelare afferente al sequestro preventivo del
predetto mezzo di trasporto è in re ipsa16.
In conclusione, in presenza di elementi, anche solamente indiziari, che
attestino la esistenza di un rifiuto e l’inesistenza della documentazione necessaria occorre procedere a sequestro del rifiuto e del mezzo di trasporto.
Sul tipo di sequestro, è preferibile adottare il sequestro preventivo anche
in considerazione della circostanza della confiscabilità del mezzo di trasporto
che esonera dalla prova della esigenza cautelare.
Cass. Sez. III n. 36385 del 4 ottobre 2007 (Ud. 24 mag. 2007) Pres. De maio Est. Amoroso Ric.
Cepparulo, Lexambiente.com
15
Cass. pen., Sez. III, 15/11/2006, n.42227, CED Cassazione, 2006
16
Cass. pen., Sez. III, 04/05/2006, n.19047, P.M., Ambiente, 2006, 9, 888
14
138
Rossi
Il sequestro preventivo, perché diretto a impedire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze
di esso, realizza una esigenza cautelare , di tutela della collettività, presuppone
innanzi tutto la commissione di un fatto riconducibile, sub specie juris, ad una
fattispecie criminosa.
Al contrario, le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari personali, indicate nell’art. 273 c.p.p., non sono estensibili, per le loro
peculiarità, alle misure cautelari reali. Ne consegue che ai fini della doverosa
verifica della legittimità del provvedimento con il quale sia stato ordinato il
sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa ogni
valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi. Questo affinché il sequestro e l’eventuale procedimento di riesame non anticipino, con stravolgimento dell’ordine processuale, il definitivo
accertamento della sussistenza del reato, che forma oggetto di verifica nel
procedimento principale17. Pertanto per la giustificazione del provvedimento di sequestro preventivo, nella fase delle indagini preliminari è sufficiente
il fumus di sussistenza degli estremi del reato ipotizzato. Ne consegue che il
giudice, prima di disporre il sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato o
di convalidare il decreto emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero, deve
accertare, sia pur sommariamente, senza addentrarsi in questioni proprie del
giudice di cognizione, che il fatto rientri nella fattispecie criminosa che forma
oggetto dell’imputazione.
Insomma la verifica dell’antigiuridicità penale va compiuta su un piano di astrattezza, nel senso che essa non può investire in concreto la sussistenza dell’ipotesi criminosa, ma deve essere limitata alla configurabilità
del fatto come reato18.
Infatti come rileva la Corte Costituzionale “la misura cautelare reale attiene, per sua stessa natura, a cose che presentano un tasso di pericolosità che
giustificano l’imposizione della cautela da qui il rilevo che la misura, pur raccordandosi ontologicamente ad un reato, inteso questo nella sua realtà fenomenica, può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, proprio
17
Vedi tra gli altri Cass. pen Sez. un., 23 aprile 1993, in Riv. pen. 1994, 402 nota di PEZZULLO; Cass. pen.
sez. I, 20 gennaio 1994; Cass. pen. Sez. un., 25 marzo 1993, in Cass. pen. 1993,1969 con nota di MENDOZA;
Cass. penale sez. VI, 7 giugno 1991, in Cass. pen. 1992, 3108; Cass. , sez. V, 22-01-1992, Giuliani,
Mass. Cass. pen., 1992, fasc. 5, 86 ; Cass., 19-11-1990, Di Rocco, Arch. nuova proc. pen., 1991, 468.
18
vedi tra gli altri Cass., pen., sez. VI, 23 marzo 1995, n. 5006 (c.c. 21 dicembre 1994), Gallo ed altro;
Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 1995, n. 5637 (c.c. 23 novembre 1994,) De Gattis; Cass., pen., sez. un., 29
novembre 1994, n. 20 (c.c. 11 novembre 1994) Ceolin
Il controllo di polizia giudiziaria
139
perché la funzione del sequestro non si proietta necessariamente sull’autore del
fatto criminoso ma su cose che, postulando un vincolo pertinenziale col reato,
vengono riguardate dall’ordinamento. A ben guardare, anzi, ove si introducesse in sede di gravame un potere di controllo sul merito si assisterebbe ad un
processo nel processo che sposterebbe il tema del decidere fino a coinvolgere
l’oggetto stesso del procedimento principale”19.
Tale astrattezza, però, non limita i poteri del giudice nel senso che questi
debba esclusivamente “prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcuna attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica
in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete, perciò, il poteredovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L’accertamento della sussistenza del
fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere
l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia20.
Tale posizione è stata definitivamente chiarita nella sentenza Mariano21
che afferma:
È sufficiente al riguardo ricordare, in via di principio, che in tema di
sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimità della
misura cautelare, da parte del tribunale del riesame, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente
la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di
investigazione,ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la
fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto (cfr. Sez.un.,7
novembre 1992, Midolini). Le condizioni generali per l ’applicabilità
delle misure cautelari personali, indicate nell ’ art.273 c.p.p.,non sono estensibili, per la loro peculiarità, alle misure cautelari reali, da
ciò deriva che, ai fini della verifica in ordine alla legittimità del provvedimento mediante il quale sia stato ordinato il sequestro preventivo
Corte Cost. 17 febbraio 1994, n. 48
Cass. pen., sez. un., 20 novembre 1996, n. 23 Bassi e altro
21
Cass. pen., Sez. Unite, 23/02/2000, n.7, Mariano, Cass. Pen., 2000, 2225
19
20
140
Rossi
di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa ogni valutazione
riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di
essi alla colpevolezza dell’indagato (cfr. sez.un.,23 aprile 1993,Gifuni). Diversamente, si finirebbe con l’utilizzare surrettiziamente la
procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono
per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr. Cass.
VI, 4 febbraio 1993, Francesconi; Cass.III,14 ottobre 1994, Petriccione; Cass. III,26 aprile 1996,Beltrami,ex plurimis ). Orbene, il tribunale nella specie ha correttamente assolto al compito di controllo
ad esso devoluto, senza incorrere in alcuna violazione dei richiamati
principi, posto che ha valutato su di un piano di astrattezza l’antigiuridicità dei fatti sostanzianti l’accusa, limitandosi alla verifica di
compatibilità tra la enunciata ipotesi accusatoria e le emergenze esistenti nonché alla attribuibilità del prospettato illecito all’indagato.
Cosa allora vuol dire in concreto, in particolare nella fattispecie, valutare
astrattamente il reato?
•
in primo luogo prescindere dai profili di colpevolezza dei singoli indagati
anche sotto il profilo psicologico;
•
in secondo luogo non può essere presa in considerazione una questione
che involge un accertamento di una pretesa punitiva ma possono diventare
rilevanti eventuali difformità tra fattispecie concreta e fattispecie legale,
solo quando siano ravvisabili ictu oculi;
•
l’accertamento deve essere sommario, senza addentrarsi in questioni proprie del giudice di cognizione, ed in particolare ad esempio circostanze su
cui è necessario approfonditi accertamenti tecnici, valutazioni di incerta interpretazione di atti amministrativi, contestazioni di atti degli organi
amministrati preposti al controllo della fattispecie.
Quindi, la motivazione sequestro preventivo (anche della Polizia Giudiziaria) deve succintamente indicare le ragioni per le quali vi sono elementi indiziari attestanti la natura di rifiuto del bene e la circostanza che il
trasporto dello stesso bene è privo della documentazione accompagnatoria
e autorizzatoria necessaria.
Per ragioni di opportunità è bene però che il contenuto del verbale di ispezione sia trasposto all’interno del verbale di sequestro per dare al giudice piena
contezza degli elementi probatori.
Il controllo di polizia giudiziaria
141
Altra forma di sequestro è quello probatorio; forma da utilizzare solo
in via eccezionale attese alcune difficoltà tecniche in ordine alla motivazione dello stesso.
L’art. 253 c.p.p. prevede che l’autorità giudiziaria dispone con decreto
motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. Sono corpo del reato le cose sulle quali o
mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono
il prodotto, il profitto o il prezzo.
L’art. 354 prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano
che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero.
Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino
o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può
intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle
indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e
rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Se del caso, sequestrano il corpo del
reato e le cose a questo pertinenti.
Ai sensi dell’art. 355, nel caso in cui abbia proceduto a sequestro, la polizia giudiziaria enuncia nel relativo verbale il motivo del provvedimento e ne
consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Il verbale
è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico
ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito. Il pubblico ministero,
nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato convalida il sequestro se
ne ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate.
Copia del decreto di convalida è immediatamente notificata alla persona alla
quale le cose sono state sequestrate.
Va qui richiamata la Cassazione a Sezioni Unite22 che ha enunciato una
serie di principi così sintetizzabili:
•
nel caso di totale mancanza di motivazione sia del decreto di sequestro
probatorio di cose qualificate come "corpo di reato" che dell'ordinanza
confermativa del riesame, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, la Corte deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio sia
dell’ordinanza di riesame che del decreto di sequestro;
•
anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a
22
Cass. pen., Sez. Unite, 28/01/2004, n.5876, Ferazzi, Riv. Pen., 2004, 1028
142
Rossi
fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione
in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti;
•
qualora il pubblico ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro
a fini di prova, le ragioni che, in funzione dell'accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto l'applicazione della
misura e abbia persistito nell'inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest'ultimo non è legittimato a disegnare,
di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza
delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse.
La Corte precisa in motivazione che, posto dunque che la mancanza di
una benché minima motivazione al riguardo inficia il provvedimento impositivo
del sequestro, rendendo incontrollabile se questo sia stato adottato nel rispetto
dei presupposti di legge, occorre chiedersi se tale nullità possa essere sanata dal
tribunale del riesame.
Ritiene il Collegio che (…) lo stretto collegamento e la complementarità
del rapporto tra l’ordinanza cautelare e quella di riesame (Cass., SS.UU., 17
aprile 1996, Moni) e l’identità di cognitio di entrambi i giudici per la natura totalmente devolutiva di questo tipo d’impugnazione, diventano seriamente problematici quando il provvedimento oggetto di gravame non sia costituito da una
pronunzia giudiziale, ma sia stato emesso direttamente dal Pubblico Ministero,
poichè in tal caso costituisce prerogativa autonoma dell’accusa enucleare il
presupposto essenziale del sequestro a fini di prova, cioè la specifica esigenza probatoria funzionale all’accertamento del fatto reato per cui si procede.
Posto che il potere di iniziativa è attribuito al Pubblico Ministero (immediatamente ovvero mediatamente tramite la convalida dell’operazione di sequestro della polizia giudiziaria ex art. 354, 355 c.p.p.), deve convenirsi che
non può che spettare allo stesso organo, esclusivo dominus delle indagini
preliminari e delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, identificare e allegare le ragioni probatorie che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a giustificare in concreto
l’applicazione della misura. Di talchè, a fronte dell’omessa individuazione
nel decreto di sequestro delle esigenze probatorie e della persistente inerzia del
Pubblico Ministero pure nel contraddittorio camerale del riesame, il tribunale
non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle spe-
Il controllo di polizia giudiziaria
143
cifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante
un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose
da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questi radicalmente e illegittimamente pretermesse.
Conseguentemente si deve qui ritenere che quando il sequestro probatorio possiede una motivazione non meramente apparente il Tribunale
non può valutarla nel merito attenendo la stessa valutazione alle scelte discrezionali del PM.
Pertanto quando si ritiene necessario procedere a sequestro probatorio la
PG operante deve motivare specificatamente le ragioni per le quali il bene in
sequestro è necessario alle indagine.
Il Pubblico Ministero, d’altra parte, nel provvedimento di convalida
deve acquisire e integrare la motivazione esposta dalla PG pena la nullità
del provvedimento.
Antonio Uricchio
La cooperazione internazionale in materia doganale
tra scambio di informazioni, poteri di inseguimento
e sorveglianza transfrontaliera
Sommario: 1. Struttura e competenze dell’agenzia delle dogane; 2. La cooperazione in materia doganale
e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea e degli Stati membri. 3. Lo scambio di informazioni quale strumento privilegiato di cooperazione internazionale. 4. Le altre forme di cooperazione
amministrativa: l’inseguimento e la sorveglianza tranfrontaliera, le consegne controllate, le operazioni di
infiltrazione, l’istituzione di squadre investigative speciali. 5. Rapporti tra l’estensione della giurisdizione
tributaria ai tributi doganali e il codice doganale comunitario
1.Struttura e competenze dell’agenzia delle dogane
Con d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, emanato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge n. 59/1997, è stata operata una profonda ristrutturazione degli assetti delle amministrazioni finanziarie e, tra di esse, di quella
doganale, caratterizzata dall’istituzione delle agenzie fiscali1. Tale disciplina è
stata completata dal D.p.r. 26 marzo 2001, istitutivo del Dipartimento delle politiche fiscali. In base alla riforma, sono istituite quattro agenzie, aventi persoIn generale sulle agenzie amministrative, cfr., G. Arena, voce Agenzia amministrativa, in Enc. giur.,
I, Roma, 1998, S. Piazza, Il problema delle «Agenzie» tra crisi del sistema ministeriale e nuove forme
di organizzazione dell’amministrazione, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche «Vittorio
Bachelet», Roma, 1999, 47 ss. e 91 ss.; L. Torchia, Il riordino dell’amministrazione centrale: criteri,
condizioni e strumenti, in Dir. pubbl., 1999, 689 ss.; G. Soricelli, Le agenzie amministrative nel quadro
dell’organizzazione dei pubblici poteri, Napoli, 2002. Con riferimento alle Agenzie fiscali, cfr. Sul punto,
G. Tabet, Spunti critici sulla natura delle Agenzie fiscali e sulla loro equiparazione alle Amministrazioni
dello Stato, in Rass. tribut., 2002, 817 ss.,; R. Lupi, La disciplina della spesa, in Trattato di diritto
amministrativo², Diritto amministrativo speciale, cit., III, 2645 ss., segnatamente 2687 ss., Id., Le agenzie
delle entrate tra legalità e flessibilità, in Rass. tribut., 1999, 1435 ss.; con specifico riferimento all’Agenzia
del demanio, M. Arsì, I beni pubblici, in Trattato di diritto amministrativo², Diritto amministrativo
speciale, cit., II, 1705 ss., in particolare 1767 ss., e all’Agenzia del territorio, L. Casini, Il catasto e i
registri immobiliari, ivi, I, 3 ss., spec. 32 ss. Sulla nuova organizzazione del Ministero dell’economia
e delle finanze, si leggano R. Lupi, La riorganizzazione del Ministero delle finanze, in G.d.a., 2000, 27
ss., L. Fiorentino, La riforma del Ministero dell’economia e delle finanze, ivi, 2002, 701 ss., e M. De
Benedetto, La riforma dell’amministrazione finanziaria, ivi, 2002, 706; G. Cipolla, voce Agenzie fiscali
in Digesto disc. priv. sez. comm. Aggiornamento (in corso di pubblicazione).
1
146A. Uricchio
nalità giuridica di diritto pubblico ed ampia autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria: 1) l’agenzia delle
entrate; 2) l’agenzia delle dogane; 3) l’agenzia del territorio; 4) l’agenzia del
demanio. Ciascuna agenzia è presieduta da un direttore “scelto in base a criteri
di alta professionalità” (art. 67) e titolare di poteri analoghi a quelli spettanti al
capo del dipartimento del Ministero. Il direttore dell’agenzia è affiancato dal
comitato direttivo, composto da un numero massimo di sei membri, e dallo
stesso direttore dell’agenzia e del collegio dei revisori dei conti, composto da
tre componenti effettivi e da due supplenti.
L’Agenzia delle Dogane è stata quindi attuata con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze del 28-12-2000, con effetto dal l° gennaio 2001.
L’art. 63 del D.lgs. n. 300/1997, cit., assegna all’Agenzia i servizi relativi
all’amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei diritti doganali, della
fiscalità interna negli scambi intracomunitari, delle accise sulla produzione e sui
consumi (con esclusione di quelle sui tabacchi lavorati) e della connessa tassazione ambientale ed energetica. All’Agenzia delle Dogane, che ha sede a Roma,
viene inoltre affidata la gestione dei laboratori doganali di analisi, con criteri
imprenditoriali e con possibilità di offerta di servizi sul mercato.
L’organizzazione ed il funzionamento dell’Agenzia delle Dogane sono disciplinati da uno Statuto, un Regolamento di amministrazione e un Regolamento di contabilità, deliberati dal Comitato direttivo nel mese di dicembre 2000.
L’art. 5 dello Statuto prevede, in particolare, i seguenti organi:
-
il Direttore dell’Agenzia2;
-
il Comitato direttivo3;
-
il Collegio dei revisori dei conti4.
Nell’esercizio della propria autonomia organizzativa e regolamentare,
l’Agenzia disciplina con il Regolamento di amministrazione l’ organizzazione
Il Direttore, è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro dell’ economia e delle finanze; l’incarico ha durata massima di cinque
anni ed è rinnovabile. Ai sensi dell’art. 6 dello Statuto, il Direttore è il legale rappresentante dell’Agenzia,
la dirige e ne è responsabile.
3
Il Comitato direttivo è nominato per cinque anni con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ economia e delle finanze; metà dei componenti possono essere scelti fra dipendenti delle amministrazioni pubbliche dotati di competenza qualificata
nei settori in cui l’Agenzia opera, mentre i restanti membri sono scelti fra i dirigenti dell’Agenzia.
4
Tale Collegio è composto dal presidente, da due membri effettivi e due supplenti iscritti al registro dei
revisori contabili, nominati con decreto del Ministro dell’ economia e delle finanze; i membri durano in
carica per cinque anni e sono confermabili una sola volta. Il Collegio esercita, in quanto applicabili, le
funzioni stabilite dall’art. 403 del c.c. per il Collegio sindacale della società per azioni.
2
La cooperazione internazionale in materia doganale
147
interna centrale e periferica ed il funzionamento degli uffici, orientando la regolamentazione ai principi del decentramento, delle responsabilità operative, della
semplificazione dei rapporti con i cittadini, dell’efficienza nell’ erogazione dei
servizi.
Il Regolamento di amministrazione, deliberato dal Comitato direttivo in
data 5-12-2000 e da ultimo modificato il 7-5-2001 e 1’8-2-2002, individua le
strutture di vertice a livello centrale e regionale, e definisce il modello organizzativo degli uffici locali. Il livello centrale è poi completato dal Comitato di
coordinamento strategico, presieduto dal Direttore dell’Agenzia, con il compito
di indirizzo e monitoraggio dell’attuazione delle strategie, e dal Servizio autonomo interventi settore agricolo che, nell’ambito della regolamentazione europea, cura tra l’altro gli adempimenti relativi alle restituzioni all’esportazione e
ogni altra agevolazione concessa nell’ambito delle operazioni di importazione
ed esportazione di prodotti oggetto della Politica Agricola Comune (PAC).
A livello regionale l’amministrazione delle dogane si articola in Direzioni
regionali riferite al territorio di una o più regioni. Queste, nell’ambito della propria competenza territoriale, esercitano funzioni di programmazione, indirizzo,
coordinamento e controllo nei confronti degli uffici locali, curano i rapporti con
gli enti pubblici locali, assicurano le attività relative al diritto di interpello e
svolgono attività operative particolarmente nei settori della gestione dei tributi,
dei controlli, dell’antifrode e del contenzioso.
2.
La cooperazione in materia doganale e la tutela degli interessi finanziari
dell’Unione europea e degli Stati membri
L’introduzione di merci nel territorio doganale comunitario determina, in
primo luogo, il sorgere in capo a chi la pone in essere dell’obbligo di condurre
dette merci senza indugio all’ufficio doganale designato dall’autorità ovvero
presso una zona franca; tenuto all’esecuzione di tale obbligo è chiunque provveda al trasporto delle merci dopo la loro introduzione nella UE. L’introduzione
di merci nel territorio doganale comunitario comporta, infatti, la vigilanza doganale sulle stesse fin dall’introduzione stessa e per tutto il tempo eventualmente
necessario a determinarne la posizione doganale (cioè il relativo status di merce
comunitaria o non comunitaria).
La successiva formalità prescritta dalle disposizioni comunitarie consiste
nell’obbligo di presentazione delle merci in dogana, e conseguentemente nella
148A. Uricchio
comunicazione alla dogana dell’arrivo della merce. Già in questa fase, pur trovandosi le merci sotto stretta vigilanza doganale, l’ordinamento comunitario
consente all’interessato di chiedere l’autorizzazione alla dogana ad effettuare
ispezioni o prelevamenti di campioni, strumentali ad una più consapevole e sicura assegnazione di una destinazione doganale.
Le merci “presentate”, nel senso appena chiarito, devono quindi formare
oggetto di una “dichiarazione sommaria” che deve essere fatta subito o al massimo nel termine, concesso dalla dogana, del primo giorno feriale successivo alla
presentazione (art. 43 del CDC)5.
Infine, per le merci non comunitarie scatta l’obbligo di assegnazione di
una destinazione doganale, entro 45 giorni dalla presentazione della dichiarazione sommaria, per le merci giunte via mare, ed entro 20 giorni per le merci
giunte per altre vie.
Tra la presentazione in dogana e l’attribuzione di una delle destinazioni
doganali ammesse, le merci si trovano in “custodia temporanea” e, pertanto,
possono essere collocate soltanto nei luoghi autorizzati e non possono formare
oggetto di manipolazioni, fatta eccezione per quelle necessarie per la loro conservazione.
è utile inoltre ricordare che le destinazioni doganali ammesse dal Codice doganale comunitario sono il vincolo della merce ad un regime doganale,
l’introduzione della merce in una zona franca o un deposito franco, la sua riesportazione fuori dal territorio doganale della comunità, la sua distruzione e
l’abbandono all’erario.
è utile, inoltre, ricordare che, ai sensi dell’art. 201 del Regolamento CEE
n. 2913 del 12 ottobre 1992, istitutivo del codice doganale comunitario, l’obbligazione doganale all’importazione si collega all’immissione in libera pratica nel territorio doganale dell’Unione europea di una merce soggetta a dazi
all’importazione. Momento e luogo della nascita dell’obbligazione all’importazione si identificano con quello di accettazione della relativa dichiarazione
da parte dell’ufficio doganale. Soggetto passivo dell’ obbligazione doganaTale dichiarazione viene resa su un modello ufficiale anche se è previsto che possano essere utilizzati
documenti commerciali che riportino tutti gli elementi necessari all’identificazione della merce;
va altresì ricordato che, ai sensi dell’art. 183 del Regolamento di attuazione del Codice Doganale, la
dichiarazione sommaria, per merci che prima della loro presentazione in dogana hanno circolato vincolate
ad una procedura di transito, è costituita dall’esemplare del documento di transito destinato all’ufficio di
destinazione. La dogana, inoltre, può anche non esigere la dichiarazione sommaria qualora nel termine
di un giorno vengano compiute le formalità prescritte per l’assegnazione alle merci di una destinazione
doganale (art.45 del Codice doganale comunitario).
5
La cooperazione internazionale in materia doganale
149
le all’importazione è il dichiarante e, in caso di rappresentanza indiretta, il
soggetto per conto del quale la dichiarazione viene effettuata. L’obbligazione
doganale all’importazione sorge inoltre a seguito di una serie di circostanze accomunate dal dato della illiceità6. Gli articoli del Codice da 209 a 211
trattano, invece, dell’obbligazione doganale in caso di esportazione. In particolare, l’obbligazione sorge all’atto dell’esportazione dal territorio doganale
dell’Unione europea di merce soggetta a dazi all’ esportazione, con dichiarazione in dogana; più precisamente essa sorge all’atto dell’accettazione della
dichiarazione medesima e riguarda il dichiarante, insieme, eventualmente, al
soggetto per conto del quale la dichiarazione è effettuata (art. 219). Inoltre, la
stessa obbligazione viene fatta dipendere dall’uscita dal territorio doganale di
merce soggetta a dazio all’ esportazione, senza dichiarazione (art. 210) ovvero
con l’inosservanza delle condizioni di uscita in esonero da dazi all’esportazione (art. 211). Infine, ai sensi dell’art. 212 del Codice, l’obbligazione doganale
sorge anche quando la merce considerata forma oggetto di un divieto o di una
limitazione di importazione o esportazione.
Alla presentazione della dichiarazione doganale da parte del proprietario
della merce ovvero da un suo rappresentante7 fa seguito l’accettazione della stessa da parte dell’ufficio doganale mediante sottoscrizione da parte dell’operatore
il quale ne verifica la regolarità formale8. Solo a seguito della registrazione della
Si tratta, delle seguenti ipotesi:
- irregolare introduzione di merci soggette a dazi nel territorio doganale UE e irregolare introduzione nel
territorio di merci da zona franca o deposito franco (art. 202): l’obbligazione sorge all’atto dell’introduzione;
- sottrazione al controllo doganale di una merce soggetta a dazi all’importazione (art. 203). Configura
sottrazione al controllo anche ogni dichiarazione in dogana o presentazione di documenti per il visto in
dogana, quando tali comportamenti comportano l’erronea attribuzione alla merce dello status di merce comunitaria (art. 865, disp. att.). Soggetto dell’obbligazione è chi procede alla sottrazione, ma anche coloro
che colpevolmente acquisiscano o detengano la merce. Il debitore in questi casi è la persona che era tenuta
al rispetto degli obblighi in questione (art. 204).
7
Evidenzia E. Frixione, Problemi doganali in Dir.prat.trib. (rass.giurisprudenza), 2002, II, pag. 1121, che
“il procedimento di accertamento dei tributi doganali ha inizio con una dichiarazione fatta da chiunque sia
in grado di presentare o di far presentare al servizio doganale competente la merce e tutti i documenti per
la corretta applicazione del regime per il quale la merce è stata dichiarata”.
8
Osserva F. Cerioni, Gli atti dell’agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, in Rass.trib., 2004,
pag. 397 che, all’atto dell’accettazione della dichiarazione, è sempre eseguito, invece, il controllo formale
della stessa “che è volto a riscontrare l’utilizzazione del modello di dichiarazione prescritto, la completezza della compilazione, l’apposizione della sottoscrizione del dichiarante e la presenza dei documenti
necessari. All’esito del controllo formale, la dichiarazione è accettata dalla dogana”. Va comunque ricordato che, ai sensi dell’art. 9, primo comma, d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, qualora il dichiarante o
il suo rappresentante non contesti gli esiti della fase di controllo formale mediante instaurazione della
controversia doganale, l’ufficio appone sulla bolletta apposita annotazione, firmata e datata, e provvede
6
150A. Uricchio
dichiarazione (che conferisce ad essa valore di bolletta doganale)9, possono essere effettuati i controlli di merito preordinati alla verifica della qualificazione,
del valore, dell’origine della merce dichiarata ovvero il regime di tara o il trattamento degli imballaggi e qualunque altro elemento utile per l’applicazione della
tariffa e per la liquidazione dei diritti doganali10 (art. 8, d.lgs. 374/2000).
Ciò premesso, appare evidente come fondamentale, ai fini dell’applicazione dei tributi doganali, sia in considerazione della struttura della fattispecie
che degli adempimenti formali posti a carico dei soggetti obbligati, sia la collaborazione amministrativa in materia doganale. L’esigenza di intensificazione
delle forme di cooperazione, pur essendo stata già avvertita nel secondo dopoguerra, è, peraltro, emersa in modo prepotente con il completamento del mercato unico (31 dicembre 1992) e la soppressione dei controlli doganali all’interno
del territorio comunitario a seguito dell’abbattimento delle barriere interne11.
alla liquidazione dei diritti doganali rettificando l’ammontare degli stessi indicato in dichiarazione. In base
al secondo comma dell’art. 9, la data dell’annotazione costituisce quella in cui l’accertamento è divenuto
definitivo con la conseguenza che solo da tale data decorre il termine per l’impugnazione (ora dinanzi
alle Commissioni tributarie). Così anche L. Ferrajoli, Il contenzioso doganale, Milano, 2006, pag. 14,
secondo cui “con l’accettazione, la dogana svolge un controllo meramente formale della dichiarazione (e
quindi non di merito) volto a verificare che la stessa sia compilata su modello conforme a quello previsto
dalla dogana, sia sottoscritta dal dichiarante, rechi la liquidazione dei tributi, indichi i dati necessari per
la destinazione doganale e rechi i documenti necessari”. Si veda, al riguardo, anche, F. Ricca, in Corr.
trib., 2002, pag. 3020, per il quale “per accertamento doganale si intende quel procedimento complesso
che prende avvio con l’accettazione della dichiarazione presentata all’ufficio dell’interessato – sulla cui
base vengono riscossi i diritti o assunte le cauzioni – e prosegue con l’esame della dichiarazione stessa,
con l’eventuale visita delle merci, per concludersi con l’apposizione sulla bolletta doganale, di apposita
annotazione, firmata e datata riportante la liquidazione dei diritti doganali (confermativa o rettificativa
dell’ammontare indicato dal dichiarante).
9
Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. II, Torino, 2002, pag. 273 che “la bolletta è materialmente formata mediante una annotazione della dogana sulla dichiarazione che attesta che sono stati pagati
i diritti dovuti alla dogana e che sono state effettuate le formalità doganali; essa, in sintesi, imprime alla
merce un nuovo stato giuridico («esito doganale»), corrispondente alla «destinazione doganale» indicata
in dichiarazione”.
10
Con riguardo alla disciplina dell’accertamento doganale, si vedano, tra i numerosi interventi della dottrina, G. Ardizzone, Dogane e imposte doganali in Enc.giur. Treccani, Roma, 1988, S. Fiorenza, Dogane e
imposte doganali, in Dig.disc.priv.sez.comm., vol. V, Torino, 1990, pag. 116; F. Pistolesi, I tributi doganali
in P. Russo,Manuale di diritto tributario, Milano, 1998, pag. 731. Si veda, inoltre, la circolare 79/D deI
19.4.2000 del cessato Dipartimento delle dogane, secondo cui l’oggetto delle controversie doganali non
deve considerarsi limitato alle contestazioni riguardanti la qualificazione, il valore, l’origine della merce
dichiarata bensì ogni tipo di contestazione insorta nella fase di formazione dell’accertamento o in sede di
revisione dello stesso e concernente l’accertamento e la liquidazione dei diritti doganali.
11
Il passaggio, non solo terminologico, si realizza con l’Atto Unico europeo (modificativo del Trattato di
Roma) redatto nei giorni 17 e 28 febbraio del 1986 ed entrato in vigore il 1° luglio 1987 (ratificato in Italia
con la L. 23 dicembre 1986, n. 909). In estrema sintesi, il mercato comune è uno spazio economico dove
le merci, le persone, i servizi e i capitali possono circolare liberamente in un regime concorrenziale unico.
Il suo nucleo è un’unione doganale, estesa al complesso degli scambi di merci, anche provenienti dai Paesi
La cooperazione internazionale in materia doganale
151
Risale, infatti, al 5 dicembre 1953 l’adozione della raccomandazione sulla reciproca assistenza amministrativa del Consiglio di cooperazione doganale (oggi
ribattezzata Organizzazione mondiale delle dogane)12 . Numerosi sono stati poi
gli accordi intergovernativi bilaterali sulla mutua assistenza stipulati negli anni
successivi dall’Italia con Stati esterni all’Unione europea e dalla Comunità europea ed i loro Stati membri con i Paesi terzi con lo scopo di favorire lo scambio
di informazioni13, la prevenzione, la ricerca e la repressione delle violazioni
delle disposizioni di carattere doganale.
In ambito europeo, vanno segnalate la convenzione di Napoli 1 del 7 settembre 1967, ratificata con la legge 21 giugno 1971, n. 806 ed entrata in vigore
il 1 gennaio 1972 con lo scopo di contrastare le infrazioni delle disposizioni
comunitarie ed interne relative ad importazioni, esportazioni e transito delle
merci, la convenzione di Napoli 2, aperta alla firma il 18 dicembre 1997 e le
disposizioni del regolamento CEE n. 515 del 1997, avente ad oggetto l’obbligo
di ricorrere all’assistenza e alla cooperazione tra Stati su base spontanea.
è di tutta evidenza peraltro l’attenzione delle istituzioni comunitarie verso
la materia della cooperazione doganale costituendo i dazi doganali una delle
terzi, che si trovavano in libera pratica negli Stati membri. Invero, come è stato giustamente precisato da
un’autorevole dottrina “il mercato comune (...) nonostante premesse giuridiche ben più elevate, di fatto
si risolveva in poco più che una zona di libero scambio”, mentre il mercato interno è da intendersi come
“un’area economica integrata, verso la prospettiva di una vera unione economico-monetaria”. In tal
senso F. ROCCATAGLIATA, Diritto tributario comunitario, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto
tributario internazionale, Padova, 1999, pag. 663.
12
Cfr. F. Ardito, La cooperazione internazionale in materia tributaria, Padova, 2007, secondo cui “la raccomandazione del 1953 si propone di incrementare la collaborazione internazionale, al fine di contrastare
la trasgressione alle leggi doganali, lesive degli interessi economico-finanziari degli Stati aderenti”.
13
In precedenza il fenomeno era disciplinato attraverso l’utilizzo dello strumento convenzionale, sullo
schema dell’art. 26 del modello OCSE. Tale strumento è risultato inadeguato di fronte alle crescenti esigenze di controllo e di lotta alla frode e all’elusione fiscale, i quali hanno assunto da subito un’entità multinazionale. Il fenomeno è stato avvertito maggiormente tra gli Stati comunitari, in relazione alla necessità di
affermare la libera circolazione dei fattori della produzione e per la costruzione del mercato comune. Sugli
accordi internazionali in materia di scambio di informazione cfr. G. CARLI, Politica fiscale nella Comunità europea: origini e sviluppi della cooperazione comunitaria in materia tributaria, in “Leg. e giur. trib.”,
1081, pagg. 2006 e seguenti; M. DEL GIUDICE, La cooperazione internazionale per la lotta alla evasione
ed alla frode fiscale in materia di imposte sui redditi, in “Nuova riv. trib.”,1988, pagg. 10 e seguenti; U. LA
COMMARA- A: NUZZOLO, Lo scambio di informazioni come strumento applicativo della cooperazione
internazionale tra Amministrazioni fiscali, in “il fisco”, n. 43/1997, pagg. 12775 e seguenti; P. ADONNINO, Lo scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in AA.VV., Corso di diritto tributario
internazionale, a cura di V. Uckmar, cit., Padova, 1999, pagg. 893 e seguenti; ID., La cooperazione tra le
Amministrazioni finanziarie, in AA.VV., L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Padova, 2000,
pagg. 717 e seguenti; M. BARASSI, Lo scambio di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie, in
“Riv. dir.trib. int.”, 1999, pagg. 90 e seguenti; M. BAVILA, Brevi note in tema di scambio di informazioni
tra Amministrazioni finanziarie, in “Riv. dir.trib.”, 2002, pagg. 153 e seguenti..
152A. Uricchio
fonti principali del bilancio comunitario14. Attraverso l’utilizzo degli strumenti
di cooperazione tra le amministrazione doganali si è inteso, infatti, efficacemente impedire, accertare e sanzionare fenomeni di sottrazione all’osservanza degli
obblighi in materia doganale proprio al fine di assicurare una tutela agli interessi
finanziari sia dell’Unione che degli Stati membri.
3.Lo scambio di informazioni quale strumento privilegiato di cooperazione
internazionale
Tra le diverse forme di collaborazione in materia doganale, la più significativa è costituita dallo scambio di informazioni (preventiva dietro richiesta,
automatico e spontaneo) in quanto preordinato più che alla mera acquisizione di
dati ed elementi conoscitivi forniti dagli altri Stati all’utilizzo degli stessi per la
corretta applicazione della normativa doganale.
Su un piano più generale, va avvertito che lo strumento dello scambio
di informazioni ha trovato larga previsione nei diversi ambiti della disciplina
tributaria sia convenzionale che comunitaria (con riguardo all’Unione europea,
oltre al regolamento n. 515/1997, citato, riguardante la materia doganale, si vedano, per le imposte dirette, la direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre 197715,
per l’imposta sul valore aggiunto la direttiva 79/1070/CEE del 6 dicembre 1979,
per le accise e le altre imposte indirette sul consumo di oli minerali, alcoli, bevande alcoliche e tabacchi lavorati la direttiva 92/12/CEE del 25 febbraio 1992;
si veda poi il regolamento CEE n. 218/92 del 27 gennaio 1992, modificato dal
regolamento CEE n. 792/2002 del 7 maggio 2002).
Il fenomeno è apparso in costante fermento, anche di recente, in considerazione dell’esigenza di potenziare gli strumenti previsti in passato “per far
Cfr. F. Fernandez Marin, Scambio di informazioni tra garanzia di armonizzazione e limiti all’attività
nazionale di controllo, in A. Di Pietro (a cura di), Lo stato della fiscalità nell’Unione europea. L’esperienza
e l’efficacia dell’armonizzazione, Roma, 2003, pagg. 912, secondo cui “in questa prospettiva è sorto
il Regolamento CE n. 515/1997 relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati
membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle
normative doganale e agricola”.
15
Cfr. SACCHETTO, L’evoluzione della cooperazione internazionale fra le Amministrazioni finanziarie
statali in materia di Iva ed imposte dirette: scambio di informazioni e verifiche “incrociate”internazionali,
in “Boll. trib.”, 1990, pag. 563, secondo cui “fin dall’inizio il problema dell’evasione fiscale internazionale
ha attirato l’attenzione della Comunità europea, particolarmente vulnerabile da questo punto di vista, perché in essa, accanto alla libertà più larga di circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali,
esiste il mantenimento di una fiscalità che, a parte l’adozione di qualche disposizione, resta largamente
nazionale”.
14
La cooperazione internazionale in materia doganale
153
fronte alle nuove esigenze in materia di cooperazione amministrativa derivanti
dall’integrazione sempre più stretta delle economie del mercato interno”. Il
legislatore comunitario ha così abrogato il regolamento (CEE) n. 218/92 con il
nuovo regolamento (CE) n. 1798/2003 del 7 ottobre 2003, entrato in vigore il 1°
gennaio 2004 ed adattato, in seguito all’allargamento dell’Unione europea, dal
più recente regolamento (CE) n. 885/2004 del 26 aprile 2004. e successivamente
ha modificato nuovamente la direttiva 77/799/CEE con le due recenti direttive
2003/93/CE del 7 ottobre 2003 e 2004/56/CE del 21 aprile 2004, estendendone
ulteriormente l’ambito d’applicazione.
In materia doganale, lo scambio di informazioni trova la propria disciplina nelle convenzioni di Napoli (prima e seconda) e nel regolamento 13 marzo
1997, n. 515 (in precedenza aveva trovato applicazione in materia il regolamento del Consiglio del 19 maggio 1981)
In merito alle modalità operative di scambio delle informazioni, il legislatore comunitario ha previsto tre distinte procedure:
a) lo scambio su richiesta;
b) lo scambio spontaneo;
c) lo scambio automatico;
La prima procedura, quella più frequente, viene attivata su iniziativa
dell’autorità competente di uno Stato membro (autorità richiedente), che si rivolge all’autorità competente di un altro Stato membro (autorità interpellata)
con riferimento ad un caso specifico. Per effetto dell’art. 4 del regolamento 515,
citato, l’autorità interpellata comunica all’autorità richiedente, su richiesta di
quest’ultima, tutte le informazioni che consentono di assicurare l’osservanza
delle disposizioni previste dalle regolamentazioni doganale e agricola nonché
qualsiasi attestazione, documento o copia conforme di documento di cui dispone o che essa si procura alle condizioni di cui all’art. 4, par. 2, e che si riferiscono a operazioni cui si applicano le regolamentazioni doganale o agricola.
Lo scambio di informazioni a richiesta può comportare, talora, lo svolgimento di attività istruttorie e di indagine attraverso cui venire a conoscenza
degli elementi da offrire all’amministrazione richiedente (art. 9, regolamento
515, cit., per effetto del quale “su richiesta dell’autorità richiedente, l’autorità
interpellata procede o fa procedere alle opportune indagini amministrative in
merito alle operazioni che sono o appaiono all’autorità richiedente contrarie alle
regolamentazioni doganale o agricola).
L’autorità interpellata non è tenuta necessariamente ad ottemperare alla
richiesta, se risulta che l’autorità richiedente non abbia esperito le abituali fonti
154A. Uricchio
di informazioni a sua disposizione, secondo le circostanze del caso, senza poter
mettere in pericolo i risultati dell’inchiesta16.
La seconda procedura non prevede né una preventiva richiesta, né una
sistematicità nello scambio di informazioni; in questa fattispecie l’autorità competente di uno Stato membro, comunica le informazioni di sua iniziativa - appunto spontaneamente - all’autorità competente di un altro Paese membro. Tale
procedura si attiva principalmente quando le autorità competenti di ciascuno
Stato membro comunicano senza indugio alle autorità competenti degli altri
Stati membri interessati qualsiasi informazione utile che si riferisce ad operazioni che sono o appaiono contrarie alle regolamentazioni doganale o agricola
in particolare le informazioni relative alle merci che ne costituiscono l’oggetto
nonché ai nuovi mezzi o metodi utilizzati per effettuare tali operazioni.
La terza procedura non richiede che sia fatta una preventiva richiesta: lo
scambio avviene con regolarità per taluni casi determinati nell’ambito della procedura di consultazione prevista dall’art. 9. Trattasi di ipotesi ben definite a seguito
di consultazioni bilaterali o plurilaterali delle autorità competenti promosse, nel
primo caso, dall’autorità competente di uno dei due Stati membri, nel secondo,
su richiesta dell’autorità competente di uno Stato membro o dalla Commissione.
Completa il quadro normativo la disciplina del sistema di informazioni da
trasmettere alla Commissione relativamente alle merci che hanno costituito oggetto o si presume abbiano costituito oggetto di operazioni contrarie alle regolamentazioni doganale o agricola, ai metodi ed ai procedimenti utilizzati o che si
presume siano stati utilizzati per violare dette regolamentazioni, alle richieste di
assistenza, alle azioni intraprese e alle informazioni scambiate.
Con riferimento a tutte le procedure esaminate, non viene mai offerta dal
legislatore comunitario una definizione di informazione. Al riguardo si può ritenere che, in assenza di specifiche previsioni, per informazione si può intendere
qualunque documento, attestazione ufficiale, esito di indagine e qualunque altro
elemento necessario a meglio definire un caso concreto.
Per quanto concerne i termini, l’Amministrazione competente interpellata deve rispondere “con la massima sollecitudine” ovvero nel minore termine
previsto e che, in caso di difficoltà o di rifiuto a fornire tali informazioni, debba
informare tempestivamente l’autorità richiedente, ponendo in evidenza ostacoli
e ragioni del rifiuto. In alcuni casi, espressamente indicati, l’autorità interpellata
PISANI, La cooperazione internazionale ai fini amministrativi-tributari, in Corr. trib., 2002, pagg. 3423
e seguenti.
16
La cooperazione internazionale in materia doganale
155
può rifiutarsi di fornire le informazioni, in quanto la direttiva non impone alcun
obbligo in tal senso17.
Tutte le informazioni che uno Stato membro abbia ottenuto devono essere tenute segrete, alla stregua delle informazioni raccolte in applicazione della
legislazione nazionale. Tali informazioni possono essere accessibili solo a persone qualificate interessate alle operazioni di accertamento o di controllo amministrativo, non possono essere utilizzate per fini diversi da quelli espressamente
previsti dalle direttive in materia.
è utile infine ricordare che l’autorità interpellata, quando investita della
richiesta, procede come “se agisse per conto proprio o su richiesta di un’altra
autorità del proprio paese” (così regolamento 515 del 1997 e artt. 4 e 9, Convenzione di Napoli).
4.Le altre forme di cooperazione amministrativa: l’inseguimento e la sorveglianza tranfrontaliera, le consegne controllate, le operazioni di infiltrazione, l’istituzione di squadre investigative speciali
Particolare attenzione va riservata alle forme di collaborazione che comportano una maggiore integrazione tra gli uffici delle amministrazioni doganali.
La disciplina comunitaria prevede, infatti, che, in seguito ad accordo tra
l’autorità richiedente e quella interpellata (secondo le modalità da quest’ultima
definite), agenti autorizzati dell’autorità richiedente possano essere presenti negli uffici amministrativi dell’autorità interpellata, anche nel corso di indagini
amministrative, sempre al fine di scambiare le informazioni di cui all’art. 1.
Questa stretta forma di collaborazione tra le Amministrazioni finanziarie si riCiò si verifica nei seguenti casi: a) quando la legislazione o la prassi amministrativa dello Stato
interpellato non autorizza l’autorità competente ad effettuare ricerche, a raccogliere o utilizzare dette
informazioni per le necessità dell’altro Stato; b) quando ciò comporterebbe la divulgazione di un segreto
commerciale, industriale o professionale o un processo commerciale, o l’originarsi di un contrasto con
l’ordine pubblico; c) quando per motivi di fatto o di diritto, lo Stato richiedente non sia in grado di fornire,
a sua volta, informazioni equipollenti. Tali limiti sussistono sia per la trasmissione di informazioni che per
l’effettuazione di richieste. L’autorità interpellata non è tenuta a fornire la collaborazione richiesta quando
il numero ed il tipo di richiesta presentata impongano alla stessa un onere amministrativo eccessivo e,
comunque, quando l’autorità richiedente non abbia ancora esaurito le forme di informazioni consuete.
La direttiva, nell’ottica dello snellimento delle procedure di scambio di informazione, prevede pure una
forma di collaborazione diretta dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria. In pratica, l’autorità dello
Stato richiedente e quella dello Stato interpellato possono accordarsi per autorizzare la presenza nel primo
Stato di funzionari dell’Amministrazione fiscale del secondo. Cfr. P. ADONNINO, Lo scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, cit., pag. 907 e seguenti.
17
156A. Uricchio
vela particolarmente utile “nei casi che presentano indizi di consistenti irregolarità o frodi transfrontaliere in uno o più Stati membri, nei casi di complessità
tali da rendere auspicabile la presenza dei funzionari, o anche nei casi prossimi
a prescrizione nei quali la presenza di funzionari può accelerare l’indagine”
(così relazione della Commissione).
La presenza di funzionari dell’Amministrazione finanziaria di altri Stati
dell’UE sul territorio dello Stato nazionale, molto limitata per altri tributi, trova,
nella disciplina doganale, una più ampia attuazione.
Il titolo IV della Convenzione di Napoli del 1967 e poi gli artt. 10 e seg.
della Convenzione di Napoli II contemplano, infatti, forme particolari di collaborazione che sembrano derogare ai tradizionali principi di sovranità nazionale
e di competenza territoriale, dando luogo a forme di integrazione tra uffici dei
diversi Stati quali per esempio l’istituzione di squadre investigative speciali comuni o la sorveglianza e l’inseguimento tranfrontaliero. Nel preambolo della
convenzione di Napoli I, viene peraltro sottolineata l’esigenza di disciplinare
anche azioni tranfrontaliere a fini di prevenzione, accertamento o repressione di
alcune violazioni della legislazione doganale in modo da assicurare il rispetto
dei principi di legalità, conformandosi al diritto applicabile in loco e alle direttive delle autorità localmente competenti, di sussidiarietà, ricorrendo a tale
strumento solo in caso in cui non sia possibile adottarne altre di minore impatto
e invasività e di proporzionalità, definendo la durata dell’azione in base alla
gravità della violazione presunta.
Procedendo con ordine, va evidenziato che, in base all’art. 6, della convenzione di Napoli, gli Stati membri possono convenire tra loro scambi di funzionari di collegamento per periodi di tempo determinati o indeterminati e in
base a modalità reciprocamente convenute e accettate. A tali funzionari possono
essere affidati i seguenti compiti: a) agevolare e accelerare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri; b) fornire assistenza nelle indagini attinenti al suo
paese di origine o allo Stato membro che rappresenta; c) partecipare all’evasione delle domande di assistenza; d) fornire consulenza ed assistenza al paese
ospitante nella preparazione e nell’attuazione di operazioni transfrontaliere; e)
qualsiasi altro compito che gli Stati membri possano convenire tra loro.
Sono previste poi precise garanzie sia per l’autorità interpellata che per
quella richiedente: i funzionari dell’autorità richiedente presenti in un altro Stato membro devono essere debitamente autorizzati e devono essere in grado di
produrre, in qualsiasi momento, un mandato scritto in cui siano indicate la loro
identità e la loro qualifica ufficiale.
La cooperazione internazionale in materia doganale
157
Va poi segnalata l’istituzione di uffici centrali di coordinamento cui sono
attribuiti, tra l’altro, compiti di coordinamento e di programmazione delle operazioni transfrontaliere al fine di prevenire, accertare e perseguire violazioni nei
casi di traffico illecito di merci soggetti a tassazione con evasione di obblighi
tributari o di merci soggetti a divieti in base alle normative doganali comunitarie
(art. 19, par. 2, Convenzione Napoli). Nel corso delle operazioni svolte all’estero
i funzionari in missione in un altro Stato membro sono equiparati ai funzionari di
quest’ultimo per quanto riguarda eventuali violazioni da essi subite o commesse.
Passando all’inseguimento transfrontaliero, va detto che i funzionari
dell’amministrazione doganale di uno Stato membro, qualora abbiano avviato nel proprio Paese l’inseguimento di una persona colta in flagrante mentre
commette una delle violazioni innanzi indicate per cui potrebbe essere prevista
l’estradizione, possono continuare l’inseguimento senza doversi munire dell’autorizzazione preventiva nel territorio di un altro Stato membro quando le autorità competenti dell’altro Stato membro non hanno potuto essere previamente
avvertite dell’ingresso nel proprio territorio, per ragioni di urgenza i funzionari
inseguitori possono comunque richiedere a quelli dello Stato ospitante di fermare la persona inseguita in modo da identificarlo e procederne all’arresto. L’inseguimento cessa, tuttavia, a seguito di richiesta non appena lo Stato membro
nel cui territorio esso avviene lo richieda. Dopo ogni operazione, i funzionari
impegnati nell’inseguimento devono presentarsi alle competenti autorità locali
per presentare rapporto sulla propria missione, restando a disposizione in caso
di richiesta di tali autorità.
Numerose affinità presenta la sorveglianza transfrontaliera la quale può
avere luogo sempre nelle ipotesi di cui al citato art. 19, par. 2, quando i funzionari dell’amministrazione doganale di uno Stato membro che sorvegliano nel
proprio Paese una persona sospetta delle violazioni predette possono proseguire
la sorveglianza in altro Stato se quest’ultimo l’abbia autorizzata a seguito di
apposita domanda di assistenza ovvero, se per motivi di particolare urgenza,
non sia stato possibile richiedere l’assistenza, ove abbiano notificato all’autorità
competente il passaggio alla frontiere e abbiano trasmesso senza indugio una
richiesta che rechi i motivi dell’attraversamento della frontiera senza autorizzazione preventiva. I funzionari che esercitano tale attività di sorveglianza non
possono, tuttavia, spingersi ad attività di intervento, non potendo né fermare,
né arrestare la persona da sorvegliare, né irrompere in abitazioni o altri luoghi
non accessibili al pubblico, dovendo in ogni caso sottostare alla legislazione del
territorio ospitante e alle istruzioni delle competenti autorità locali.
158A. Uricchio
Va ancora ricordato che ciascuno Stato membro si impegna a garantire
che, su richiesta di un altro Stato membro, possono essere effettuate consegne
controllate nel suo territorio. Più complesse sono, infine, le attività di infiltrazione di funzionari doganali di uno Stato membro i quali agiscano nel territorio di
altro Stato sotto identità fittizia al fine di svolgere attività di investigazione. Tali
attività, le quali devono comunque avere una durata limitata, possono essere
prestate in stretta cooperazione con le autorità dello Stato ospitate. Esse inoltre
presuppongono un’apposita richiesta da parte dello Stato membro e sono subordinate alla condizione che risulti “estremamente difficile” chiarire i fatti oggetto
di indagine. Possono essere anche istituite squadre investigative speciali comuni
con i seguenti scopi: a) svolgimento di indagini difficoltose, che comportano
la mobilitazione di mezzi ingenti e miranti ad accertare violazioni precise, che
esigono un’azione simultanea e concertata negli Stati membri partecipanti; b)
coordinamento di azioni comuni miranti ad impedire e ad individuare particolari tipi di violazioni ed ad ottenere informazioni sulle persone interessate, il loro
ambiente e i metodi da esse adottati.
Le squadre investigative speciali, istituite con fini specifici e per un periodo di tempo limitato, sono composte da funzionari dei due o più Stati, specializzati nei propri settori, e sono dirette e coordinate dal funzionario dello Stato nel
territorio del quale la squadra opera, restando soggetta alla legislazione locale.
5.Rapporti tra l’estensione della giurisdizione tributaria ai tributi doganali e
il codice doganale comunitario
L’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nel modificare l’art. 2, d. lgs. n. 546, ha esteso la sfera di cognizione delle Commissioni
tributarie a tutte le controversie aventi ad oggetto “i tributi di ogni genere e
specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali”18, abbandonando, in
Con riferimento all’ampliamento della giurisdizione tributaria ai tributi di ogni genere e specie, tra i
numerosi saggi apparsi sulle riviste specializzate si vedano, G. Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle
Commissioni tributarie in Rass.trib., 2003, pag. 120; L. Perrone, I limiti della giurisdizione tributaria, in
Rass. trib. 2006, pag. 712; S. Muscarà, La giurisdizione (quasi) esclusiva delle Commissioni tributarie
nella ricostruzione sistematica delle S.S.U.U. della Cassazione, in Riv.dir.trib., 2006, I, pag. 33; A. Colli
Vignarelli, Il processo tributario. Il legislatore interviene in modo poco meditato in Il fisco, 2006, pag.
2855; E. Fortuna, Gli attuali confini della giurisdizione tributaria, in Riv.dir.trib., 2003, I, pag. 13; M.
Cicala, La giurisdizione tributaria, in Fisco, 2005, pag. 2050; F. Amatucci, Le prestazioni patrimoniali
locali ed ampliamento della giurisdizione tributaria in Rass.trib. 2007, pag. 365; P. Biondo, La nuova
giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Dir.prat.trib., 2006, I, pag. 760; F. d’Ayala Valva, Nuove
18
La cooperazione internazionale in materia doganale
159
tal modo, il precedente criterio di riparto tra la giurisdizione tributaria e le altre
giurisdizioni (ordinaria e amministrativa), fondato sull’individuazione analitica
dei tributi affidati al giudice tributario19. è di tutta evidenza che, per effetto della
disposizione richiamata, anche le controversie doganali, in precedenza affidate
al giudice ordinario, rientrano nella giurisdizione tributaria20. Ciò pone nuovi
e delicati problemi interpretativi in considerazione dell’esigenza di applicare
norme (quelle del d.lgs. 546) immaginate e costruite avendo riguardo ai tributi
erariali (e poi) comunali e locali di cui all’originaria formulazione dell’art. 2 a
tributi di ogni tipo e natura (si pensi alle disposizioni riguardanti le parti – art.
10 e ss. – che non contemplano l’agenzia delle dogane, a quelle relative agli atti
impugnabili che non menzionando gli atti tipici del procedimento di accertamento doganale, ecc.).
A ciò va aggiunto che, in ogni caso, si rende comunque necessario coordinare la disciplina processuale interna con quella del codice doganale comunitario che pure tocca gli strumenti di tutela21. Prendendo le mosse da quest’ultariffe e prestazioni imposte e giurisdizione tributaria in Giur.merito, 2004, pag. 1256; M. Basilavecchia,
Modifiche al processo tributario, in Corr.trib., 2006, pag. 106; M. Lovisetti, L’estensione della giurisdizione
tributaria alle entrate locali in Corr.trib. 2006, pag. 189.
19
Alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 2, nell’attuale assetto del sistema processuale tributario,
convivono diversi criteri di delimitazione della giurisdizione: un primo tende a configurare una giurisdizione generale tributaria, ancorché non esclusiva, incentrata comunque sul concetto di tributo comunque
denominato, il secondo costruito attorno ad un elenco tassativo e analitico di prestazioni imposte di natura
non tributaria. Il terzo collega la giurisdizione al criterio meramente soggettivo della competenza funzionale dell’organo abilitato ad irrogare la sanzione. è di tutta evidenza che la pluralità dei criteri di riparto
della giurisdizione, unitamente alle difficoltà di raccordo con le disposizioni in materia di atti impugnabili,
rendono necessario, un ripensamento ed una riscrittura di gran parte delle disposizioni del d.lgs. 546,
avendo il legislatore costruito la disciplina del rito secondo il modello dei tributi indicati nella precedente
formulazione dello stesso articolo e non su quelli via via immessi nella sfera della giurisdizione tributaria.
20
Si veda in proposito Cass. S.S.U.U., 15 ottobre 1999, n. 714, in Corr.trib., 2000, pag. 1018, secondo cui, anche sotto il vigore della normativa antecedente alle modifiche apportate dalla finanziaria per il 2002, appartenevano alla giurisdizione delle Commissioni tributarie le controversie promosse avverso ruoli emessi per il pagamento di diritti doganali. Critica tale pronuncia P.Centore,
ibidem, pag. 1022, per il quale, nel comparto dei diritti doganali, “la pretesa impositiva che si manifesta mediante ingiunzione emessa ai sensi dell’art. 82, d.p.r. n. 43 del 1988, deve essere contrastata mediante opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria che, di conseguenza, è competente anche a valutare i successivi effetti dell’atto, segnatamente nella fase della riscossione”.
21
In giurisprudenza, merita di essere segnalata la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV. 7 giugno 1999,
n. 977, secondo cui in materia doganale devono ritenersi sussistenti “situazioni di diritto soggettivo, con
conseguente giurisdizione del giudice ordinario, per le cosiddette controversie estimative, relative alla
qualificazione della merce, all’applicazione delle tariffe e alla liquidazione dei diritti dovuti. Appartengono invece alla cognizione del giudice amministrativo le azioni impugnatorie proposte nei confronti
dell’atto amministrativo di accertamento ed in particolare quelle volte a contestare il corretto esercizio
del potere impositivo, sotto il profilo dell’inosservanza di regole procedimentali dettate essenzialmente in funzione di tutela e garanzia dell’ordinato e imparziale svolgimento dell’attività amministrativa.
160A. Uricchio
timo profilo, va ricordato che il legislatore comunitario, con l’articolo 243 del
Regolamento CEE n. 2913 del 12 ottobre 1992, istitutivo del codice doganale
comunitario, stabilisce che chiunque ha il diritto di proporre ricorso contro le
decisioni prese dall’autorità doganale, concernenti l’applicazione della normativa doganale, quando esse lo riguardino direttamente e individualmente. La
norma prevede altresì che il ricorso – da introdursi nello Stato membro in cui la
decisione22 avverso la quale è proposto è stata presa o sollecitata – possa essere
esperito sia, in prima istanza, presso l’Autorità doganale a tal fine designata dagli Stati membri, sia, in una seconda fase, innanzi ad un’Autorità indipendente
che può essere o l’Autorità giudiziaria o anche un “organo specializzato equivalente in conformità delle disposizioni vigenti negli Stati membri” eventualmente a tale scopo previsto dall’ordinamento nazionale. Come espressamente
affermato dalla Corte di Giustizia (sez. V, sentenza 11 gennaio 2001, n, 1)23,
l’art. 243, citato, va interpretato nel senso che spetta al diritto nazionale stabilire se gli operatori debbono – in un primo momento – proporre ricorso dinanzi
all’autorità doganale o se possono adire direttamente l’autorità giudiziaria ordinaria24. La norma comunitaria rimette, pertanto, al legislatore nazionale la scelta
tra tutela giustiziale domestica preventiva e obbligatoria e tutela giurisdizionale
immediata, non preceduta necessariamente dall’esperimento della fase del ricorso amministrativo. Essa, inoltre, consente alla normativa interna di affidare
le controversie doganali alla giurisdizione ordinaria ovvero a giudici speciali
che rispondano ai requisiti di terzietà e indipendenza oltre che di specializzazione e professionalità.
Da quanto osservato deve ritenersi che la disposizione della finanziaria
2002, nel prevedere la devoluzione delle controversie doganali alle Commissioni tributarie sottraendole al giudice ordinario, non confligge con la disciplina
comunitaria anche per effetto delle garanzie di indipendenza, imparzialità e di
22
Così anche L. Ferrajoli, Il contenzioso doganale, Napoli, 2007, pag. 3, secondo cui “l’estensione della
giurisdizione delle commissioni tributarie è una novità di assoluto rilievo rispetto al precedente periodo
– in cui la tutela del contribuente era affidata al giudice ordinario – e alla proponibilità di rimedi in via
amministrativa direttamente agli uffici periferici dell’Agenzia (la cui compatibilità con la giurisdizione
tributaria si presenta oggi non scevra di problemi).
23
Gli atti amministrativi con cui l’autorità doganale provvede ad una singola fattispecie sono genericamente denominati dal codice doganale comunitario “decisioni” (art. 4, punto 11 del Reg. 2913/92). Più
specificamente, il codice designa con il nome di decisione “qualsiasi atto amministrativo, relativo alla
normativa doganale che deliberi su un caso particolare avente effetti giuridici per una o più persone
determinate o determinabili”. Al riguardo, l’art. 7 del codice stabilisce che le predette decisioni sono
“immediatamente esecutive”.
24
in Fisco, 2001, pag. 3167.
La cooperazione internazionale in materia doganale
161
competenza tecnica che gli organi della giurisdizione tributaria riformati offrono. Va peraltro avvertito che l’art. 245 del codice doganale comunitario attribuisce a ciascuno Stato membro il compito di adottare la disciplina di dettaglio
della procedura di ricorso, “fatti salvi i ricorsi proposti a scopo di annullamento
o di modifica di una decisione presa dall’Autorità doganale a norma del diritto
penale”25.
Alla luce dell’attuale assetto normativo in materia, le attività di accertamento, di liquidazione e di riscossione dei diritti doganali si caratterizzano per
una serie di atti tipici, variamente denominati, non sempre corrispondenti alle
categorie di atti impugnabili contemplate nell’ambito dell’art. 19, d.lgs. 546 del
1992. Affidate alle Commissioni tributarie le controversie aventi ad oggetto i
tributi di ogni genere e specie, comprese quelle doganali, si pone il problema di
identificare gli atti avverso i quali è consentita la proposizione del ricorso alle
Commissioni tributarie e di analizzare comunque il rapporto tra la tutela giurisdizionale offerta da tali organi e quella amministrativa consentita dal codice
doganale comunitario e disciplinata dalla normativa speciale interna.
I problemi segnalati si complicano, oltre che per effetto della complessità
e varietà dei modelli applicativi del tributo doganale26, anche in considerazione
dell’evoluzione della normativa che ha segnato il graduale passaggio dalla determinazione officiosa e autoritativa del tributo da parte dell’Amministrazione
doganale all’autoliquidazione dello stesso da parte del contribuente27. Al riguardo, occorre preliminarmente ricordare che alla presentazione della dichiarazione
Cfr. S. Armella – I. Solari, I controlli in materia doganale in Codice delle verifiche doganali, in V.Uckmar
– F. Tundo, Codice delle verifiche tributarie, Piacenza, 2005, pag. 391, secondo cui “la possibilità di
esperire ricorso amministrativo è, per la normativa comunitaria, eventuale; ciò nondimeno nel nostro
ordinamento tale forma di tutela è ancora prevista, pur con le precisazioni rese necessarie a seguito della
riforma del Ministro delle finanze attuata nel 1999”.
26
Evidenzia, al riguardo, V. Mercurio, Dogane e imposte doganali in S. Cassese (a cura di ), Dizionario
di diritto pubblico, Milano, 2006, vol. III, pag. 2031, come “il codice doganale comunitario riconosca
un generale diritto di ricorso avverso le decisioni prese dall’autorità doganale aventi ad oggetto l’applicazione della normativa doganale. Il legislatore comunitario, nonostante i propositi iniziali, si è limitato
a disciplinare gli aspetti generali del procedimento di ricorso, demandando agli Stati la definizione delle
disposizione di attuazione”.
27
In questo senso, V. Mercurio, Dogane e imposte doganali, cit., pag. 2030, il quale, nell’avvertire come
l’applicazione dei tributi doganali risulti articolata, sia nella disciplina comunitaria sia in quella nazionale,
in una molteplicità di procedure, nella quali figurano una varietà di atti ed attività del contribuente e dell’autorità doganale, osserva che “elemento comune ai diversi moduli applicativi è l’intervento necessario del
soggetto che introduce le merci nel territorio doganale comunitario, sul quale gravano gli obblighi formali in precedenza richiamati, cui segue un’attività da parte dell’amministrazione doganale rappresentata
dall’accettazione della dichiarazione e dalla successiva liquidazione dei diritti”. Osserva, in proposito, F.
Cerioni, Gli atti dell’agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria in Rass.trib., 2004, pag. 432 che “la
25
162A. Uricchio
doganale da parte del proprietario della merce ovvero da un suo rappresentante28
fa seguito l’accettazione della stessa da parte dell’ufficio doganale mediante sottoscrizione da parte dell’operatore il quale ne verifica la regolarità formale. Solo
a seguito della registrazione della dichiarazione (che conferisce ad essa valore
di bolletta doganale), possono essere effettuati i controlli di merito preordinati
alla verifica della qualificazione, del valore, dell’origine della merce dichiarata ovvero il regime di tara o il trattamento degli imballaggi e qualunque altro
elemento utile per l’applicazione della tariffa e per la liquidazione dei diritti
doganali29 (art. 8, d.lgs. 374/2000).
Ciò premesso, va ricordato che, in base alla disciplina doganale (art. 65
e ss, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni), possono essere
definite in via amministrativa le contestazioni da parte degli uffici doganali direttamente presso gli uffici doganali o presso gli uffici gerarchicamente sovraordinati. Resta poi consentita anche l’attivazione di una procedura di riesame
dell’accertamento ove viziato (artt. 78 e seg., cod.dog.com. e art. 11, secondo
comma, d.lgs. 374 del 1990)30.
varietà degli atti e dei moduli con cui l’Agenzia delle dogane provvede all’attuazione del rapporto
d’imposta, rispetto a quanto avviene in altri settori dell’ordinamento tributario, rivela l’influenza del
modello comunitario d’attuazione del prelievo, espressione e, talora, sintesi dei modelli procedimentali
vigenti nei vari Stati dell’Unione europea”.
28
Più in generale, su tale fenomeno nei diversi settori dell’ordinamento tributario, cfr. R. Rinaldi, Profili
ricostruttivi della liquidazione delle imposte, 2000.
29
Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. II, Torino, 2002, pag. 273 che “la bolletta è materialmente formata mediante una annotazione della dogana sulla dichiarazione che attesta che sono stati pagati
i diritti dovuti alla dogana e che sono state effettuate le formalità doganali; essa, in sintesi, imprime alla
merce un nuovo stato giuridico («esito doganale»), corrispondente alla «destinazione doganale» indicata
in dichiarazione”.
30
Secondo l’art. 65 del TULD, qualora nel corso dell’accertamento sorga una contestazione sulla ‘’qualificazione, il valore o l’origine della merce dichiarata ovvero circa il regime di tara o il trattamento degli
imballaggi”, il proprietario della merce può alternativamente: a) chiedere che la Dogana proceda alla
visita di controllo prevista dall’art. 63; b) domandare che sia sentito il parere di due periti, uno dei quali
da lui scelto nelle liste di esperti individuati dalla Camera di Commercio e l’altro designato dal Capo della
Dogana; c) instaurare immediatamente la controversia doganale chiedendo che si proceda alla redazione,
in contraddittorio, del relativo verbale. Va poi segnalata la procedura del c.d. daziato sospeso in cui viene
provvisoriamente liquidato il tributo in base alla dichiarazione, previa prestazione di una cauzione, nell’attesa di ulteriori verifiche di ordine tecnico (articoli 74 del Reg. CEE 2913/92, 61, comma 2, del TULD e
164 del R.D. 13 febbraio 1896, n. 65; si veda al riguardo, T. Palacchino, Accertamento doganale e procedura viziato e procedura di daziato sospeso in Il fisco, 2003, pag. 7377 ). Come precisato dall’art. 61 u.c.
TULD, il risultato delle analisi dovrà essere comunicato all’operatore, il quale, ove intenda proseguire la
contestazione, deve domandare, entro trenta giorni dalla notifica del certificato di analisi, la ripresa del
contraddittorio; in mancanza, il risultato si intende accettato e la dogana potrà procedere alla riliquidazione dei diritti. La seconda possibilità accordata dall’art. 65 TULD - alternativa o cumulativa alla prima - è
quella di poter promuovere un parere peritale. Infatti, qualora il dichiarante non ritenga di avvalersi della
La cooperazione internazionale in materia doganale
163
Prescindendo dall’approfondimento delle fasi dei diversi procedimenti giustiziali amministrativi, è utile chiedersi quali conseguenze discendano in
materia dall’entrata in vigore dell’art. 12 della legge 28 dicembre 2001 n. 448.
Considerato che i provvedimenti adottati in via amministrativa per la risoluzione delle controversie doganali costituiscono determinazioni sull’accertamento
dei diritti doganali, sembra di poterne ammettere la ricorribilità in Commissione tributaria, rientrando tali atti nella categoria di quelli di accertamento di cui
all’art. 19 lett. a) del D.lvo 546/92. L’impugnabilità in Commissione tributaria
di tali decisioni è, del resto, espressamente riconosciuta anche dall’ Agenzia
delle dogane. Nella circolare 26/D del 4 aprile 2002, l’Agenzia, dopo aver chiarito che “per effetto dell’estensione della giurisdizione della Commissione tributaria, disposta dalla legge 448/2001, a tutti i tributi di ogni genere specie…
sono suscettibili di gravame dinanzi al sopra menzionato organo di giurisdizione speciale tutti i provvedimenti che possano essere assimilati per funzione o
natura a quelli indicati dall’art. 19 del più volte citato d. lgs. 546/92”, ha ritenuto
impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie le decisioni emesse dagli uffici
di vertice della stessa Agenzia, a seguito di ricorsi amministrativi proposti anteriormente al 1 gennaio 200231.
visita di controllo di cui si è detto o non ne accetti il risultato può richiedere una perizia. In tal caso la
decisione della contestazione sarà assunta, con provvedimento motivato, dal Capo della dogana, il quale
tuttavia potrà discostarsi dal parere reso in merito da due periti, di cui uno scelto dall’operatore tra quelli
compresi nelle liste approvate dalla Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato e l’altro,
invece, designato dallo stesso Capo dogana. Ovviamente la decisione del Capo dogana, da notificare
senza ritardo all’interessato, dovrà essere adeguatamente motivata specie quando essa sia difforme dal
parere dei periti. Se l’ operatore non intende accettare la decisione sfavorevole del Direttore della dogana,
sarà tenuto, nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica della stessa, a chiedere che si proceda
alla redazione del verbale di controversia. In tal caso, la dogana, preso atto del dissenso dell’operatore,
dovrà fissare un termine per la redazione di detto verbale. Qualora, invece, insorta la contestazione con la
Dogana, l’operatore non ne richieda il deferimento ai periti, il verbale di controversia deve essere redatto
nel momento stesso in cui la contestazione è sorta e contemporaneamente alla redazione del verbale la
dogana, ove non vi abbia già proceduto in precedenza, deve anche procedere al prelievo dei campioni.
31
L’art. 78 del codice doganale dispone, che se, dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a
posteriori risulta che le disposizioni che disciplinano il regime doganale prescelto non sono state impiegate
correttamente, l’ufficio adotta i provvedimenti necessari. Le norme nazionali, conformemente al dettato
comunitario, prevedono che quando dalla revisione emergono inesattezze, omissioni o errori relativi
agli elementi posti a base dell’accertamento, l’ufficio provvede alla rettifica della dichiarazione e ne da
comunicazione all’interessato, notificandogli un avviso motivato. La rettifica della dichiarazione può essere
contestata dall’ operatore entro 30 giorni dalla data di notifica dell’avviso. Al momento della contestazione
è redatto il verbale di controversia ai fini dell’eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi di
cui agli art,. 66 del TULD . Si veda, sul punto, anche la circolare del Dipartimento delle dogane 19 aprile
2000, n. 79/E, secondo cui l’istituto della revisione dell’accertamento, oltre che nei casi in cui la nuova
liquidazione dei diritti doganali fosse determinata da una differente qualificazione della merce o in genere
164A. Uricchio
Procedendo nell’indagine, va comunque ricordato che, con riguardo alla
questione del rapporto tra le disposizioni in materia di rimedi amministrativi e
le modifiche apportate all’art. 2, d.lgs. 546, l’Avvocatura generale dello Stato
ha ritenuto “abrogate dal 1 gennaio 2002, per incompatibilità, le previgenti disposizioni che prevedevano la proponibilità di ricorso amministrativo avverso
i relativi atti di imposizione e/o di irrogazione di sanzioni”. Nel parere richiamato, tale soluzione trova conforto nella considerazione che non vi è alcuna disposizione che consenta di raccordare temporalmente i rimedi amministrativi e
la loro decisione con il ricorso giurisdizionale avanti le commissioni da proporsi entro un breve termine perentorio decorrente dalla notifica dell’atto32. Nello
stesso senso si è espressa l’Agenzia delle dogane, con la circolare n. 41/D/2002
ove è stato, tuttavia ritenuto che l’attribuzione della giurisdizione in materia
doganale alle Commissioni tributarie non ha determinato l’eliminazione del rimedio amministrativo previsto dall’art. 65 e ss., cit.; nel caso di esperimento
di tale procedimento, il contribuente potrà comunque impugnare dinanzi alle
Commissioni tributarie la determinazione che definisce l’accertamento doganale entro il termine di 60 giorni dalla notificazione della stessa33. Deve comunque
ritenersi che, ove prodotti all’autorità doganale, i rimedi amministrativi innanzi
richiamati, ancorché la disciplina relativa sia abrogata per incompatibilità, si
atteggiano come una sorta di istanza di autotutela34.
da una modifica degli elementi posti a base dell’accertamento (quantità, qualità, natura e valore), può
essere adoperato anche in tutti i casi di errore che influisca sull’accertamento e sulla liquidazione dei diritti.
32
A titolo esemplificativo, la circolare richiama alcune decisioni amministrative che ritiene ricorribili davanti al giudice tributario: le decisioni adottate ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 24.11.1971, n. 1199 (ad esempio, contro l’avviso di pagamento delle accise), dell’art. 18 del D.1gs. 18.12.1997, n. 472 (contro l’atto
di irrogazione di una sanzione amministrativa tributaria), degli artt. 56 e seguenti della legge 7.1.1929,
n. 4 (contro l’ ordinanza di pagamento della pena pecuniaria per le violazioni alle leggi finanziarie compiute anteriormente all’entrata in vigore del D.1gs. 472/97) e le determinazioni assunte dal Direttore dell’
Agenzia delle dogane ai sensi dell’art. 70 del D.P.R. 23.1.1973, n. 43, a seguito dell’instaurazione di
procedimenti amministrativi per la soluzione di controversie doganali. Ancorché la circolare non ne faccia
cenno, sembrano immediatamente impugnabili in Commissione tributaria anche le decisioni adottate dai
Direttori Regionali dell’ Agenzia ai sensi dell’art. 68 del D.P.R. 43/73, suscettibili di ricorso al Direttore
dell’ Agenzia (art. 68, comma 2).
33
Nello stesso senso, F. Ricca, nota a circolare agenzia delle dogane n. 41/D del 17 giugno 2002 in Corr.
trib. 2002, pag. 3020, il quale, nel commentare la circolare dell’agenzia delle dogane, evidenzia come
“l’implicita abrogazione del rimedio amministrativo si fonda sull’incontestabile presupposto della perentorietà del termine di sessanta giorni per la presentazione del ricorso decorrente dalla notificazione
dell’atto impugnato e dall’assenza di disposizioni atte a raccordare con il predetto termine un eventuale
concorrente ricorso amministrativo e la sua decisione”.
34
Cfr. P. Agostinelli, Il riesame dell’accertamento nella disciplina dei tributi doganali e riflessioni intorno
ad un diverso modo di concepire l’autotutela in Riv.dir.trib., 2000, I, pag, 923.
Gianluca Selicato
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
e le attività di controllo dell’Amministrazione
finanziaria: strumenti e informazioni a disposizione
delle autorità
Sommario: 1. Il contributo offerto dal fisco alla lotta ai traffici illeciti di rifiuti – 2. Il diritto tributario
gioca d’anticipo nella repressione del crimine transnazionale – 3. La cooperazione amministrativa e gli
strumenti informatici utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per il controllo dei traffici tra Italia
ed Albania – 3.1. Cooperazione amministrativa e altre fonti di informazione nel sistema delle imposte
indirette. Considerazioni attorno alla pluralità di soggetti coinvolti nel prelievo dell’Iva, delle accise e
dei tributi doganali ed al conseguente ampliamento delle attività investigative – 3.2. Scambio di informazioni e banche dati dell’Amministrazione finanziaria al servizio dell’accertamento ai fini reddituali: i
principali istituiti di diritto interno e comunitario – 3.3. Segue: le altre fonti informative previste dal diritto
internazionale tributario – 4. Pluralità di soggetti coinvolti nel prelievo dell’Iva, delle accise e dei tributi
doganali e conseguente ampliamento delle attività investigative – 4.1. Recenti orientamenti legislativi in
materia di imposta sul valore aggiunto ed elemento soggettivo del tributo. La struttura dell’Iva e le sue
connessioni con gli altri “tributi armonizzati” – 4.2. La soggettività passiva nelle accise. Le figure tipiche
del depositario autorizzato, dell’operatore professionale e del rappresentante fiscale e le indagini nei loro
confronti – 4.3. Soggettività passiva e presupposto dei tributi doganali. I controlli in materia doganale:
rinvio – 4.4. La rilevanza dell’Iva e dei suoi meccanismi di controllo nel sistema dei traffici tra Italia e
Albania – 4.4.1. Le frodi nel sistema dell’Iva e la loro possibile connessione con i traffici di rifiuti: fattispecie tipiche e strumenti di contrasto, tra soluzioni legislative ed attività di controllo – 4.4.2. Il debole
deterrente del reverse charge e la sua limitata applicazione ai traffici di rifiuti tra Italia ed Albania – 4.4.3.
La cooperazione amministrativa in materia di Iva con particolare riferimento allo scambio automatico di
informazioni
1.
Il contributo offerto dal fisco alla lotta ai traffici illeciti di rifiuti
Lo studio del regime giuridico delle spedizioni transfrontaliere di merci
tra Italia e Albania induce a ritenere che i traffici illeciti di rifiuti, se provenienti
da e diretti verso altri Paesi, difficilmente attraversano i nostri varchi doganali
potendo seguire percorsi alternativi che espongono i vettori ad un rischio inferiore di controlli1. Anche all’interno della stessa Unione Europea, infatti, i Paesi
Tale sensazione ha trovato conferma negli incontri svolti con l’Agenzia delle Dogane. Non va tuttavia
sottaciuto il rischio che anche l’attraversamento del territorio italiano sfugga agli ordinari controlli a cuasa
1
166
Selicato
di più recente adesione presentano una maggiore “permeabilità” a tali traffici
in ragione di una struttura dei controlli ancora immatura sebbene destinata alla
graduale armonizzazione con i modelli comunitari. Le attività di contrasto del
fenomeno andrebbero perciò prevalentemente rivolte al trasporto dei rifiuti prodotti in Italia o in Albania (e dal loro territorio illegittimamente esportati), ovvero ai traffici che abbiano come destinazione finale uno dei due Paesi transfrontalieri, e dovrebbero muovere dalla piena conoscenza degli strumenti d’indagine e
delle fonti di informazione già disponibili, tenendo altresì conto delle differenze
di regimi speciali che sono sottratti anche alle consuete procedure informatiche. Come segnalato dal
reggente dell’Ufficio di Bari dell’Agenzia delle Dogane, dott. Giulio Planera, che qui si ringrazia,
persistono, infatti, alcuni profili di criticità del nostro sistema in buona parte riconducibili all’applicazione
delle Convenzioni internazionali che regolano alcune tipologie di traffici assai diffusi sul territorio
nazionale. Ci si riferisce, ad esempio, alla c.d. Convenzione TIR (Transport International Routier),
adottata a Ginevra il 14 novembre 1975 e ratificata in Italia il 12 agosto 1982, applicabile ai trasporti da o
verso Paesi extra UE aderenti alla Convenzione medesima e nei quali esista un’organizzazione nazionale
garante, ovvero: Albania, Armenia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Croazia,
Danimarca, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Giordania, Grecia, Iran
(Repubblica Islamica), Irlanda, Israele, Italia, Kazakstan, Kuwait, Kyrgyzstan, Lettonia, Libano, Lituania
, Lussemburgo, Macedonia (Ex Repubblica Iugoslava di), Marocco, Moldavia (Repubblica di), Norvegia,
Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Serbia e Montenegro , Siria
(Repubblica Araba), Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Tunisia, Turchia, Turkmenistan,
Ucraina, Ungheria, Uzbekistan. Ai sensi di tale Convenzione (e della successiva Convenzione modificativa
adottata a Ginevra il 14 novembre 1975 e ratificata dall’Italia il 12 agosto 1982) ed in virtù della sostanziale
garanzia del pagamento dei tributi doganali attraverso la creazione di uno speciale documento denominato
“Carnet T.I.R.” – su cui il sistema ruota – il trasporto internazionale di merci su strada, sebbene comporti
l’attraversamento di più frontiere, avviene senza che il carico sia soggetto al pagamento o al deposito di
dazi e/o tasse d’importazione o esportazione presso gli uffici doganali di passaggio, né debba sottostare a
controlli doganali ulteriori a quelli previsti presso le sole dogane di partenza e di destinazione (a tal fine
esso viene sigillato). Per maggiori dettagli si rinvia al sito dell’IRU - International Road Transport Union
(http://www.iru.org/), limitandoci in questa sede a riferire della particolare concentrazione di tali traffici
sulle tratte che, attraversando la Puglia, conducono in Turchia.
Numerosi elementi di similitudine (ed identici fattori di criticità nella logica dei controlli di cui si discute)
presenta il regime del Carnet A.T.A. (Admission Temporaire - Temporary Admission), istituito dalla Convenzione di Bruxelles del 6 dicembre 1961 per facilitare il movimento internazionale di determinate merci
destinate ad essere presentate ed utilizzate in occasione di esposizioni, fiere, congressi e manifestazioni
similari «semplificando le formalità doganali mediante sostituzione dei documenti adottati da ciascun
Paese per la temporanea importazione, esportazione e transito, nonché per garantire alle dogane dello
Stato di importazione la riscossione dei diritti doganali dovuti in conseguenza della mancata riesportazione delle merci». Nella descrizione curata da G. Falconi sul sito web dell’Agenzia delle Dogane (http://
www.agenziadogane.it) – cui si rinvia per ulteriori approfondimenti – le merci oggetto dell’agevolazione
stabilita dalla Convenzione ATA vengono raggruppate in materiali professionali, merci per esposizioni,
materiale pedagogico e scientifico, campioni, films.
Il quadro si fa preoccupante ove si consideri che, a fronte dell’intrinseca pericolosità dei sistemi appena
descritti, sembrerebbe esservi un’insufficiente attenzione sul versante dei controlli su strada dei mezzi
pesanti, testimoniata da recente differimento dell’Italia alla Corte di Giustizia disposto dalla Commissione
Europea per il mancato rispetto della Direttiva 22/2006.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
167
che separano la fuoriuscita delle merci dai confini nazionali attraverso i varchi
doganali da quella che sfugge tali canali2.
Per l’opportuna delimitazione dell’oggetto d’indagine va quindi precisato
che questa sezione del manuale si occupa dei soli rifiuti che transitano dai varchi
doganali italiani rispetto ai quali si propongono, nei capitoli successivi, nuovi
indicatori di pericolosità che dovrebbero orientare il lavoro degli investigatori
muovendo dalle classificazioni della tariffa doganale. Particolare importanza,
in questo contesto, assume la materia dei tributi dal momento che, se lo studio
dei percorsi e delle dinamiche di questi traffici coinvolge più direttamente altre
discipline, l’imposizione dei proventi da attività illecite3 costituisce una preoccupazione costante del Fisco e potrebbe aprire una “finestra” sugli avanzati
strumenti e sui penetranti poteri di cui l’Amministrazione finanziaria quotidianamente si avvale nel contrasto all’evasione fiscale. Esistono peraltro situazioni
in cui operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’Iva scontano un regime particolare proprio in ragione della rilevanza fiscale che il superamento dei
confini doganali assume. Tale circostanza, unita al perdurante regime transitorio
dell’Iva comunitaria e al fatto che nel sistema del tributo si verifica una costante
posizione di credito del soggetto passivo di diritto rispetto allo Stato4, induce a
segnalare il rischio di frodi annidate nelle cessioni all’esportazione che potrebbero così divenire (oltre che occasioni di illecita fuoriuscita dal territorio italiano
di rifiuti il cui smaltimento secondo la nostra legislazione comporterebbe, per
lo meno, costi gravosi5) operazioni connotate da particolare pericolosità fiscale.
La repressione delle patologie che interessano il rapporto giuridico d’imposta – sia che assumano i connotati dell’evasione, siano esse riconducibili alla
più insidiosa elusione – costituisce, dunque, ulteriore elemento di interesse della
presente ricerca, atteso che, anche sotto il profilo tributario, i traffici di cui si
discute assumono rilevanza ai fini dell’imposizione (in particolare) indiretta,
Si pensi all’esportazione dei rifiuti su di un peschereccio o con altri mezzi di fortuna.
Cfr. A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 782.
4
In ragione del meccanismo rivalsa-detrazione, sul quale si veda N. d’Amati, Istituzioni di diritto tributario, 2007, 271, ss. Per ulteriori approfondimenti vd. A. Comelli, Iva nazionale e Iva comunitaria, Padova,
2000, M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova,
2005, nonché P. Centore, Iva Europea. Aspetti interpretativi ed applicativi dell’Iva nazionale e comunitaria, Milano, 2006.
5
Il Dossier L’Ecomafia Globale del 18 novembre 2006, realizzato dall’Osservatorio Nazionale Ambiente
e Legalità di Legambiente, riferisce di numerose indagini condotte nel 2005 sul traffico di rifiuti speciali
e pericolosi tra Gioia Tauro e la Cina, l’India, la Russia e il Nord Africa. Si rinvia all’analisi ivi svolta sui
sequestri effettuati nel periodo ottobre 2005 - marzo 2006 con la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane, che forniscono qualche elemento utile a cogliere le dimensioni del fenomeno.
2
3
168
Selicato
con ciò ricadendo in ulteriori circuiti di controllo che meritano quanto meno di
essere segnalati.
La stessa struttura dei tributi armonizzati, inoltre, presenta elementi di sicuro interesse ai fini che ci occupano atteso che, a ben vedere, l’imposta sul valore aggiunto, le accise e i tributi doganali possiedono la caratteristica comune
di coinvolgere una pluralità di soggetti nell’attuazione del prelievo, con evidenti
conseguenze in punto di estensione dei poteri accertativi dell’Amministrazione
finanziaria6. Un ulteriore fattore comune a tali forme di prelievo risiede, infine,
nella fisiologica cooperazione amministrativa tra gli Stati interessati dai traffici o
nel cui territorio avviene l’uscita dei beni dai c.d. «regimi sospensivi», i cui scambi
di informazioni (spesso in forma “automatica”) alimentano banche dati diverse
ma complementari a quelle di cui si avvale, per altri fini, l’Agenzia delle entrate.
Come si avrà modo di verificare nel prosieguo, la materia si presenta particolarmente complessa anche per la convivenza, al suo interno, di istituti in
parte appartenenti alla nostra cultura giuridica, in parte mutuati dall’esperienza internazionale ed in parte coniati dal diritto tributario comunitario. Il tratto
comune delle norme sottostanti può individuarsi nella finalità cui le stesse sono dirette, ovvero rendere più sicura e puntuale la riscossione dei tributi che
maggiormente risentono, nell’attuazione del loro prelievo, della dimensione internazionale delle attività sottostanti e della conseguente frammentazione delle
attività di controllo. La reazione dell’ordinamento va nella duplice direzione
di creare maggiori garanzie per il Fisco (aspetto sostanziale), rafforzandone al
contempo i poteri, e di integrare sempre più i flussi informativi interni con quelli
provenienti dagli altri Paesi (aspetto procedimentale).
Sebbene l’utilizzo diretto di questo patrimonio di conoscenze sia spesso
precluso in sedi diverse da quelle deputate all’accertamento e riscossione dei
tributi, la definizione di un quadro il più possibile chiaro ed esaustivo delle informazioni di cui l’Amministrazione finanziaria dispone in relazione ad operazioni ed operatori “sospetti” può servire ad organizzazione in modo più proficuo
le indagini sui traffici illeciti di rifiuti, nella speranza di stimolare un approccio
sinergico al problema che eviti, in futuro, inutili (quanto frequenti) duplicazioni
nelle attività di controllo. Del resto, proprio il carattere sovranazionale del feno6
Alcune considerazioni sulla soggettività passiva nei tributi c.d. «armonizzati» e sulla pluralità di soggetti
coinvolti nel loro prelievo cercheranno di porre in luce elementi e situazioni che – per quanto generalmente
trascurati nelle odierne attività di controllo – contribuiscono sensibilmente a comporre il quadro delle
informazioni disponibili e dei poteri esercitabili e potrebbero per ciò stesso rendere più avvedute ed
efficaci le strategie d’indagine.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
169
meno richiede strategie innovative di individuazione e contrasto di tali traffici, i
cui strumenti non sempre possono ricavarsi dal diritto penale.
2.Il diritto tributario gioca d’anticipo nella repressione del crimine transnazionale
Dai più recenti interventi legislativi, anche in ambito comunitario ed internazionale, emerge, con sempre maggiore evidenza, una preoccupazione diffusa
per gli odierni limiti delle strategie interne di contrasto delle organizzazioni criminali le cui attività travalichino, in tutto o in parte, i confini nazionali. Nel tentativo di circoscrivere l’oggetto di questo approfondimento conviene chiarire che,
nell’ambito della lotta al crimine sovranazionale, le reazioni dell’ordinamento
differiscono sensibilmente a seconda che il reato assuma connotazioni “internazionali” piuttosto che “transnazionali”. La lotta al crimine internazionale, infatti, costituisce vicenda ben diversa e – sotto certi aspetti – più lineare della prevenzione e repressione dei crimini transnazionali; se rispetto ai primi – che corrispondono ad una precisa tipizzazione di diritto internazionale – esistono appositi strumenti di reazione generalmente contenuti nelle convenzioni sottoscritte
dagli Stati, il crimine transnazionale, al contrario, manca di appropriate categorie giuridiche e trae anzi giovamento proprio dalla fisiologica asimmetria degli
ordinamenti rispetto a identiche condotte criminose7. Riguardo a tali situazioni
la letteratura da tempo avverte il disagio per l’inadeguatezza degli ordinamenti
penali che, per quanto integrati dal diritto comunitario, troppe volte devono confrontarsi con fenomeni che, travalicando i confini dell’Unione Europea, disvelano l’inadeguatezza (anche) degli strumenti adottati all’interno delle spazio giuridico comunitario, oltre che, ovviamente, delle tecniche investigative nazionali.
Primi segnali di una nuova tendenza della legislazione penale, più accorta
ai limiti dell’azione investigativa e giudiziaria tradizionale, provengono dalla
Convenzione (ONU) di Palermo sul crimine organizzato transnazionale e la responsabilità degli enti del 15 novembre 20008, ratificata in Italia con l. 16 marzo
La nozione di reato transnazionale è contenuta all’art. 3 della Convenzione ONU sul crimine organizzato
transnazionale e la responsabilità degli enti (vd. Infra) che individua una simile ipotesi quando la condotta
travalica, sotto uno o più aspetti (preparatorio, commissivo o effettuale), i confini di un singolo Stato, è
commesso da un’organizzazione criminale ed è connotato da una certa gravità (esso deve essere punito nei
singoli ordinamenti con una pena detentiva non inferiore nel massimo a quattro anni).
8
Sull’argomento vds. E. Spiezia, Crimine transnazionale e procedure di cooperazione giudiziaria, Milano,
2006, F. Ruggieri, La giustizia penale nella Convenzione, la tutela degli interessi finanziari e dell’am7
170
Selicato
2006, n. 1469. Il protocollo propone un’articolata azione di contrasto dei principali reati transnazionali commessi da “gruppi criminali organizzati”10 fondata
su di un’ampia assistenza giudiziaria in materia di indagini, azione penale e procedimenti giudiziari per specifici reati di particolare gravità11 che coinvolgano
un “gruppo criminale organizzato” e che presentino, al contempo, elementi di
collegamento tra più Stati.
L’assenza, in convenzione, di riferimenti espressi ai reati di carattere tributario non tradisce una scarsa attenzione a tali fenomeni; al contrario riflette
una maggiore maturità del diritto tributario nelle politiche di contrasto delle
condotte fraudolente o dell’abuso del diritto di rilevanza transnazionale. La materia fiscale, infatti, si distingue per una maggiore capacità di reazione ai crimini
internazionali che dipende, in parte, dalle dimensioni ormai assunte dagli scambi commerciali da e per l’estero, in parte, dall’interesse degli Stati a contrastare
tempestivamente i fenomeni che finiscono per ripercuotersi sulle loro finanze.
La progressiva internazionalizzazione delle attività economiche, le conseguenti esigenze di pianificazione fiscale, gli effetti prodotti dal regime transitorio
dell’Iva, la corretta e puntuale applicazione dell’imposizione sugli scambi di
beni e sulle prestazioni di servizi tra operatori residenti in Stati diversi, il Codice
unico doganale, l’imposizione sul consumo, sono soltanto alcune delle questioni che, da tempo, inducono i cultori della materia e l’Amministrazione finanziaria a confrontarsi con il tema delle frodi fiscali a carattere transnazionale, in
buona parte agevolate dalla resistenza delle sovranità statali in materia di tributi
biente nell’Unione Europea, Milano, 2003, nonché M. Pisani (a cura di), Cooperazione internazionale
in materia penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, 1149, ss., con riferimenti all’esecuzione dei giudicati
tra Italia ed Albania. Va segnalato che il reato preso in considerazione dalla Convenzione non è quello
occasionalmente transnazionale, bensì il frutto di un’attività organizzata dotata di stabilità e suscettibile di
essere ripetuta nel tempo.
9
Di “Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”.
10
Ai sensi dell’art. 3 della l.n. 146/2006 per reato transnazionale deve intendersi «…il reato punito con la
pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale
organizzato, nonchè: a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una
parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato
in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali
in un altro Stato».
11
Si tratta dei reati di partecipazione ad un gruppo criminale organizzato (art. 5), riciclaggio di proventi di
reato (art. 6), corruzione (art. 8), intralcio alla giustizia (art. 23 Conv.), tratta degli esseri umani, traffico
di migranti e traffico di armi da fuoco (questi ultimi introdotti nel protocollo addizionale), nonché degli
altri reati “gravi”, ossia punibili dagli ordinamenti nazionali con una pena detentiva non inferiore – nel
massimo – a 4 anni.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
171
che rende difficoltosa – anche all’interno dell’UE stessa – l’armonizzazione dei
sistemi fiscali.
Ne consegue che strumenti convenzionali come quello di cui si discute
finiscono per produrre effetti abbastanza limitati in materia fiscale12 non tanto
perché vi sia scarsa attenzione degli Stati alle frodi ed abusi relativi ai tributi ma,
al contrario, perché la cooperazione tra amministrazioni finanziarie per la repressione delle condotte fraudolente si avvale già, in questo settore, di apparati
normativi (per lo più convenzioni contro le doppie imposizioni, trattati multilaterali) e prassi consolidate che necessitano di un’opera costante di affinamento,
aggiornamento ed implementazione, piuttosto che della definizione ex novo di
un sistema di collaborazione internazionale. Proprio la disciplina della cooperazione amministrativa in ambito fiscale, pertanto, alimenta circuiti informativi
e percorsi metodologici che si affiancano (rafforzandoli) agli strumenti offerti
dalla Convenzione di Palermo, con evidenti benefici anche per le indagini di
carattere extra-tributario che interessano scambi e traffici tra più Paesi.
Conviene pertanto muovere dal sistema dei controlli fiscali e dai modelli
e meccanismi della cooperazione amministrativa tra gli Stati, avendo cura di
chiarire l’eventuale rilevanza degli istituti in rassegna rispetto ai traffici illeciti
di beni – quali essi siano – tra Italia e Albania.
12
Cfr. G. Izzo, Reati transnazionali ex l.n. 146/2006 e ricadute sanzionatorie sul contrabbando di tabacchi
lavorati esteri e sulle frodi carosello, in Fisco, 2006, 1-4544, ss., secondo cui: «Le potenzialità espansive
del nuovo istituto regolato dall’art. 11 della l. n. 146/2006 possono peraltro attingere anche ad ipotesi
particolari di reati tributari che presentino il connotato di un reato transnazionale, consentendo una confisca
per equivalente nella materia dei reati tributari che non la prevede. Il pensiero corre alla cosiddetta frode
carosello in materia di Iva». Lo stesso A., però, riconosce che la suddetta vis espansiva è condizionata dal
verificarsi di precise condizioni, quali la consumazione della frode ad opera di «…un gruppo criminale
organizzato (composto da: amministratore di una società estera controllante; amministratore di una
società nazionale controllata dalla prima ed avente il ruolo di interponente nella frode; amministratore
della società interposta), costituito non fortuitamente per la commissione estemporanea della frode». E’
altresì necessario che la frode «non rientri nell’ipotesi attenuata e sia perciò punibile con il massimo di
sei anni di reclusione, ed altresì sia perpetrata secondo le modalità previste dall’art. 3 della l.n. 146/2006,
ad esempio, con preparazione, pianificazione, direzione e controllo dell’attività fraudolenta da parte
dell’amministratore della società estera controllante…».
172
Selicato
3.La cooperazione amministrativa e gli strumenti informatici utilizzabili
dall’Amministrazione finanziaria per il controllo dei traffici tra Italia ed
Albania
3.1.Cooperazione amministrativa e scambio di informazioni: premessa
e definizione di un quadro generale
Come si è accennato in premessa, i trasferimenti di beni tra Italia e Albania,
ove noti, acquistano rilevanza a fini impositivi divenendo perciò oggetto di apposite attività di controllo a cura delle Amministrazioni finanziarie dei due Paesi.
Sebbene riferiti a relazioni commerciali esterne ai confini dell’U.E, detti controlli, per i motivi che ci si accinge ad illustrare, risentono comunque13 del processo
di armonizzazione delle legislazioni fiscali statali che, soprattutto sul versante
dell’imposizione sugli scambi14, prosegue speditamente nel rispetto dell’incipit comunitario di rimuovere le distorsioni normative alla libera concorrenza.
Occorre perciò dar conto, seppure sommariamente, dei meccanismi attraverso cui si attua il coordinamento delle Amministrazioni finanziarie degli Stati
membri e l’organizzazione delle loro procedure di controllo, la cui graduale
uniformazione intende garantire la fluidità della circolazione delle informazioni
tra autorità fiscali e giudiziarie dei Paesi UE. Gli sforzi recentemente compiuti
dalla Commissione Europea per arginare il preoccupante fenomeno delle frodi
nell’Iva (su cui vd. infra), ad esempio, hanno innestato negli ordinamenti degli
In via diretta – per quanto compete le autorità italiane – o indiretta – quanto all’apparato albanese che
tende a recepire, come vedremo, massima parte delle soluzioni accolte nella legislazione comunitaria e
(soprattutto) nel diritto tributario internazionale.
14
Il concetto di armonizzazione fiscale nell’U.E richiede alcune precisazioni, essenzialmente rivolte all’individuazione dei limiti che il processo di riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri incontra
nella materia dei tributi. Se ai nostri fini può essere utile fare riferimento all’aspetto teleologico della
questione, che impone di osservare l’armonizzazione in funzione della realizzazione delle libertà (economiche) fondamentali del Trattato istitutivo della U.E., sarebbero comunque opportuni ulteriori approfondimenti in argomento, per i quali si rinvia, oltre alla manualistica del diritto tributario, a C. Sacchetto,
Armonizzazione fiscale nella Comunità Europea, in Enc. Giur. Treccani, II, 1994, 1, F. Gallo, Mercato
unico e fiscalità: aspetti giuridici del coordinamento fiscale, in Rass. Trib., 2000, 725, P. Russo – R. Cordeiro Guerra, L’armonizzazione fiscale nella Comunità europea, in Rass. Trib., 1990, 631, J. Mahalerbe,
Il ruolo della fiscalità, dal Trattato sull’Unione europea alla Costituzione europea, Atti del Convegno Le
ragioni del diritto tributario in Europa, Bologna, 26 settembre 2003, A. Di Pietro, Presentazione al volume, Lo Stato della fiscalità nell’Unione Europea. L’esperienza e l’efficacia dell’armonizzazione, Bologna,
Scuola PT GdF, 2003, I, 9, S. Carmini, Il diritto tributario comunitario e la sua attuazione in Italia, Padova, 2003, 282, ss., P. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2004, 19, ss., anche per gli ampi riferimenti
bibliografici (in part. 43, ss.). Con particolare riferimento al processo di armonizzazione delle legislazioni
nazionali sull’Iva, si veda L. Perrone, L’armonizzazione dell’Iva: il ruolo della Corte di Giustizia, gli
effetti verticali delle direttive e l’affidamento del contribuente, in Rass. Trib., 2006, 423, ss., che riferisce
di un processo di armonizzazione (anche in questa materia) «tutt’altro che stabilizzato».
13
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
173
Stati membri istituti e procedure operative omogenee che presentano evidenti
connessioni con l’oggetto di questa ricerca. Può affermarsi, in proposito, che
la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, quella delle accise e quella dei
tributi doganali individuano, nel loro insieme, un perimetro al cui interno lo
scambio di informazioni e la cooperazione internazionale hanno ormai assunto
un ruolo centrale15.
Tali vicende, lungi dall’esaurire i loro effetti sul piano delle cessioni intracomunitarie di beni, finiscono per influenzare anche i rapporti tra Stati membri
ed alcuni Paesi non aderenti all’U.E., com’è provato dalla legislazione doganale
albanese che presenta evidenti simmetrie con le soluzioni accolte dal diritto
comunitario16. Anche sul piano pattizio, peraltro, l’Italia e l’Albania hanno intensificato la cooperazione amministrativa in vari settori17, pervenendo finanche
all’estensione nello spazio giuridico albanese delle sperimentazioni condotte
in materia di cooperazione doganale all’interno dell’U.E. attraverso l’Accordo
quadro fra la Comunità europea e la Repubblica d’Albania sui principi generali
della partecipazione della Repubblica d’Albania ai programmi comunitari18.
15
Per una visione d’insieme dell’argomento cfr. C. Sacchetto, L’evoluzione della cooperazione
internazionale fra le Amministrazioni finanziarie statali in materia di Iva ed imposte dirette. Scambio di
informazione e verifiche “incrociate” internazionali, in Boll. Trib., 1990, 487, P. Adonnino, cooperazione
amministrativa e modalità di scambio di informazioni tra Amministrazioni fiscali nazionali, Atti del
seminario internazionale di studio su Le convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul
patrimonio e per prevenire la frode e l’abuso fiscali, Roma, 22-26 maggio 1995. Sulla funzione oggi
assunta dallo scambio di informazioni negli ordinamenti moderni si veda A. Fedele (Prospettive e sviluppi
della disciplina dello “scambio di informazioni” fra Amministrazioni finanziarie, in Rass. Trib., 1999, 49)
osserva che «…lo scambio di informazioni è in origine previsto nelle convenzioni internazionali contro
le doppie imposizioni ed ordinato esclusivamente ad impedire o limitare tale fenomeno; oggi è invece
apprezzato soprattutto come strumento per la corretta applicazione degli ordinamenti tributari dei singoli
Stati, la prevenzione dell’evasione, delle frodi fiscali, dell’elusione: vi è uno “sganciamento” dell’istituto
dai problemi della doppia imposizione…».
16
Cfr. Codice doganale per la Repubblica di Albania, di cui alla legge albanese n. 8449 del 27 gennaio
1999.
17
Possono segnalarsi, senza alcun proposito di esaustività:
a) i Protocolli d’intesa finalizzati alla riorganizzazione delle Forze di Polizia albanesi e allo sviluppo della
collaborazione tra i due Paesi nella lotta alla criminalità (sottoscritti a Roma il 10 novembre 1998 e il
10 gennaio 2000 ed a Tirana il 5 luglio 2000);
b) i Protocolli d’intesa per lo sviluppo dei programmi a sostegno delle Forze di Polizia albanesi e la collaborazione nella lotta alla criminalità attraverso la costituzione di un Ufficio di Collegamento italiano
in Albania ed il distacco di un Ufficiale (o Ufficiali) di collegamento albanese (1) in Italia (sottoscritti
a Roma il 13 febbraio 2001 e a Lecce il 12 novembre 2002);
c) il Memorandum d’intesa riguardante la cooperazione tra il Ministero della giustizia della repubblica
Italiana e il Ministero della giustizia della Repubblica di Albania sottoscritto a Roma il 23 aprile 2002.
18
Nell’oggetto di tale accordo (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee n. L 192 del
22 luglio 2005), rientra, infatti, anche il Programma d’azione doganale denominato Dogana 2007 (per il
periodo 2003-2007), istituito con la decisione n. 253/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
174
Selicato
Completa il sistema delle relazioni doganali tra i due Paesi l’Accordo di mutua
assistenza amministrativa per la prevenzione, la ricerca e la repressione delle
infrazioni doganali tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica d’Albania, firmato a Tirana il 12 marzo 1998 ed approvato con
l. 18 giugno 2003, n. 160, la cui struttura s’ispira ai valori della cooperazione
amministrativa propri del diritto comunitario ed il cui esame è rinviato ad altra
sezione del presente contributo.
L’esistenza di una convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia
ed Albania conforme al Modello OCSE rende altresì possibile avvalersi, per il
controllo delle relazioni commerciali tra i due Paesi e delle vicende reddituali
rilevanti ai fini delle rispettive legislazioni fiscali, di soluzioni investigative già
consolidate nel diritto tributario internazionale.
L’argomento si presenta, dunque, fecondo di stimoli sebbene la sua complessità richieda brevi cenni introduttivi sui lineamenti generali della cooperazione internazionale tra Amministrazioni finanziarie e, più in particolare, sulle
opportunità che il diritto comunitario e quello internazionale offrono alla collaborazione tra autorità italiane ed albanesi19.
Deve anzitutto segnalarsi, in proposito, che il ricorso allo scambio di informazioni in materia fiscale per finalità differenti dall’accertamento dei tributi
11 febbraio 2003. Per rendere più attuale tale indicazione può essere utile ricordare che, con Decisione n.
624/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, è stato istituito un nuovo programma d’azione doganale nella Comunità denominato Dogana 2013, che dovrebbe ugualmente rientrare
nel suddetto Accordo quadro. Così come per il precedente strumento di cooperazione doganale, anche
Dogana 2013 intende aiutare le Amministrazioni doganali dei Paesi partecipanti «a favorire gli scambi
legittimi, nonché a semplificare ed accelerare le procedure doganali». Alcuni degli obiettivi principali
appaiono di sicuro interesse ai fini di questo approfondimento: a) favorire la creazione di una dogana
informatizzata paneuropea che garantisca che le attività doganali rispondano alle esigenze del mercato interno, assicuri la tutela degli interessi finanziari della CE e rafforzi la protezione e la sicurezza;
b) contribuire all’attuazione del codice doganale modernizzato; c) rafforzare la cooperazione doganale
internazionale fra le amministrazioni doganali dell’UE e le autorità doganali dei paesi terzi nel settore
della sicurezza della catena di approvvigionamento». Ma soprattutto: «rafforzare la cooperazione nonché
gli scambi di informazioni e buone prassi con le amministrazioni doganali dei paesi terzi, in particolare i
paesi candidati, i paesi potenziali candidati e i paesi partner della politica europea di vicinato». Le azioni
previste dal programma consistono principalmente in scambio di informazioni, benchmarking, seminari di
approfondimento, gruppi di indirizzo, visite di lavoro e azioni di monitoraggio.
19
Sui temi del diritto tributario internazionale corrispondenti alla presente indagine, si vedano C. Sacchetto, L. Alemanno (a cura di) Materiali di diritto tributario internazionale, Milano, 2002, V. Uckmar, (a
cura di), Corso di Diritto tributario internazionale, Padova, 2000, L. Carpentieri, R. Lupi, D. Stevanato,
Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano, 2003, L.Tosi-A.Giovannardi, Lineamenti di diritto
tributario internazionale, Padova, 2007. Sugli odierni limiti del sistema della cooperazione amministrativa
si veda F. Fernandez Marin Scambio di informazioni tra garanzia di armonizzazione e limiti all’attività di
controllo, in A. Di Pietro (a cura di), Lo Stato della fiscalità nell’Unione Europea. L’esperienza e l’efficacia dell’armonizzazione, cit., II, 849, ss.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
175
incontra alcuni limiti20, espressamente richiamati nella Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale entrata in vigore, in Italia, il 1°
maggio 200621. L’articolo 4 della Convenzione, infatti, precisa che le finalità
dello scambio di informazioni in materia fiscale si riferiscono «all’accertamento dei tributi, alla riscossione dei crediti fiscali o alle relative misure esecutive»
ovvero alla promozione di «procedimenti innanzi ad autorità amministrative o
procedimenti di natura penale innanzi ad autorità giurisdizionali». La norma
prosegue affermando che: «una Parte può utilizzare le informazioni ottenute ai
sensi della presente convenzione come mezzo di prova dinanzi ad una giurisdizione penale solo previa autorizzazione della Parte che ha fornito dette informazioni. Tuttavia, due o più Parti possono, di comune accordo, rinunciare alla
condizione dell’autorizzazione preliminare».
Il Commentario all’articolo chiarisce inoltre che, in presenza di reati tributari in diversi Stati, l’Amministrazione fiscale è tenuta ad avviare procedimenti di natura penale o, come avviene ad esempio in Italia, a sottoporre direttamente la questione all’Autorità giudiziaria. Si sostiene, però, che in tali ipotesi
ogni ulteriore scambio di informazioni a livello internazionale non possa essere
effettuato ai sensi della stessa Convenzione ma unicamente ai sensi di appositi
e distinti strumenti di assistenza giudiziaria22.
Sul tema vd. A.M. Gaffuri, I limiti all’utilizzabilità dei dati acquisiti nello scambio di informazioni, in
(a cura di) V. Uckmar e F. Tundo, Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, Piacenza, 2005, 701, ss.,
ove ampii riferimenti bibliografici.
21
Stilata a Strasburgo il 25 gennaio 1988 sotto l’egida congiunta del Consiglio d’Europa e dell’Ocse e ratificata dall’Italia (con dichiarazioni e riserve) il 31 gennaio 2006. A tale data, oltre all’Italia, avevano già ratificato la Convenzione Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Polonia, Islanda,
Belgio, Azerbaijan e Francia. Canada ed Ucraina l’avevano già sottoscritta ma non ancora ratificata. Quanto alle dichiarazioni e riserve contenute nella ratifica esse attengono, in primis, la limitazione dell’ambito
oggettivo di applicazione della convenzione (ai seguenti tributi: Irpef, Irpeg e Ires, imposte sostitutive
delle imposte sui redditi, comunque denominate, Irap, Iva, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, Ici), l’indicazione dell’Autorità competente (Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento
per le politiche fiscali), nonché alcune riserve di diritti (1. Di non accordare alcuna forma di assistenza per
le imposte delle altre parti rientranti nelle categorie dei contributi di sicurezza sociale obbligatori dovuti
alle amministrazioni pubbliche o agli enti di sicurezza sociale di diritto pubblico, delle imposte su beni e
servizi determinati, quali i diritti di accisa, delle imposte sull’uso o sulla proprietà dei veicoli a motore,
delle imposte sull’uso o sulla proprietà di beni mobili diversi dai veicoli a motore e di ogni altra imposta,
diversa dall’imposta di registro e dalle imposte ipotecarie e catastali; 2. Di non accordare assistenza in materia di recupero di ogni credito tributario, o di recupero di sanzioni amministrative relativamente ai tributi
appena elencati; 3. Di non accordare assistenza quanto ai crediti tributari già esistenti alla data di entrata in
vigore della Convenzione per l’Italia; 4. Di non accordare assistenza in materia di notifica dei documenti
relativamente ai tributi appena elencati; 5. Di non accettare le notifiche per via postale).
22
Così S. Romagnoli, L’Italia firma la Convenzione su mutua assistenza amministrativa, in Fisconelmondo.
it, in Periodico on line di fiscalità internazionale, Ag. Entrate (a cura di), 13 marzo 2006.
20
176
Selicato
A ben vedere, però, quella dell’utilizzabilità dell’informazione così acquisita nell’ambito del procedimento penale finisce per costituire una questione
trascurabile ai fini che ci occupano atteso che, in ogni caso, la collaborazione
amministrativa si traduce comunque in una fonte preziosa di elementi necessari
ad indirizzare le indagini cui questo volume è rivolto23.
Può essere piuttosto utile, in tale direzione, osservare che il livello di dialogo tra le Amministrazioni finanziarie dei due Paesi varia in relazione al tributo
preso in esame dal momento che l’apparato di poteri e le fonti d’informazione
collegati al suo accertamento (ergo anche alle verifiche eccedenti i confini nazionali) differiscono sensibilmente, in primo luogo, a seconda che si discuta di
imposte dirette o indirette. Mentre l’accertamento e la riscossione dei tributi che
colpiscono gli scambi di beni tra i due Paesi o la loro immissione in consumo
all’interno dei rispettivi territori costituiscono argomenti di comune interesse del
Governo italiano e di quello albanese, la tassazione dei redditi e dei patrimoni
dei propri cittadini corrisponde invece ad esigenze che risentono maggiormente
della sovranità statale in materia fiscale24 e che ricevono massima tutela dagli
istituti del diritto tributario comunitario. Questi istituti, a differenza di quanto
osservato in tema di imposizione sugli scambi e circolazione delle merci, non
sempre trovano applicazione nei rapporti tra Italia ed Albania.
3.2. Scambio di informazioni e banche dati dell’Amministrazione finanziaria al servizio dell’accertamento ai fini reddituali: i principali istituiti di diritto interno e comunitario
Quello delle imposte dirette diviene così il settore più delicato ai fini della
presente indagine, nel senso che gli strumenti della collaborazione amministra23
Il che non impedisce di soffermarsi su quanto osservato da F. Fernandez Marin, Lo scambio di
informazioni tra gli Stati membri, in A. Di Pietro (a cura di), Lo Stato della fiscalità nell’Unione Europea.
L’esperienza e l’efficacia dell’armonizzazione, cit., II, 872, ss., a proposito delle norme attraverso cui i
principali Paesi membri hanno recepito la Dir. 77/799/CEE: «gran parte degli Stati membri attribuiscono
un carattere ostativo ai principi che reggono la prestazione dell’assistenza tributaria, quando nella
Direttiva sono disciplinati come limiti potestativi. Specialmente rilevante è il trattamento del “principio
di confidenzialità”, che è disciplinato dalla Direttiva nel senso che le informazioni fornite devono essere
tenute segrete secondo le disposizioni dello Stato richiedente…». Su tali questioni può essere utile
consultare anche la Circ. n. 33/E del 18 aprile 2002 dell’Agenzia delle Entrate - Dir. accertamento, che
fornisce istruzioni agli Uffici proprio in materia di scambio di informazioni e che dedica un apposito
capitolo (Cap. V) alla segretezza ed ai limiti di tale forma di cooperazione amministrativa.
24
Sull’inesistenza di un principio generale di cooperazione fra gli Stati nel diritto internazionale si legga
L. Tosi , La collaborazione con le Amministrazioni straniere ai fini della repressione degli illeciti fiscali in
materia di imposte dirette, in Fisco, 2001, 1-11733.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
177
tiva, in tale contesto, risentono maggiormente della loro matrice comunitaria.
Va tuttavia osservato che tale circostanza non configura un limite invalicabile al loro utilizzo per il contrasto di attività destinate ad oltrepassare i confini
dell’Unione Europea atteso che, sebbene l’apparato di norme che ci si accinge a
commentare trovi applicazione (generalmente) nei soli rapporti tra amministrazioni finanziarie degli Stati membri, la mera localizzazione sul territorio comunitario di uno qualsiasi dei soggetti coinvolti in un’attività di trasporto sospetta
consente comunque di fare ricorso alle forme di collaborazione la cui illustrazione può muovere dall’art. 31-bis del dPR 29 settembre 1973, n. 600.
Con l’assoggettamento ad accertamento reddituale di uno qualunque dei
contribuenti (o potenziali contribuenti) sospettati di prender parte al traffico illecito, l’Amministrazione fiscale italiana può infatti avvalersi dell’ «assistenza
per lo scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri
dell’Unione europea», attraverso l’istituto introdotto – con decorrenza 8 novembre 2005 ed in via generalizzata per l’intera attività di accertamento dei tributi25
– dal d.lgs. 19 settembre 2005, n. 215. Si tratta di una disposizione che presenta
evidenti similitudini con l’articolo 26 del Modello di convenzione OCSE (su
cui si veda infra) ma che, ad un più attento esame, rivela un differente ambito di
applicazione, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello territoriale. Ed infatti, mentre il corrispondente istituto del Modello OCSE si rivolge (almeno nelle
versioni antecedenti al 2005, quale è quella adottata dall’Italia e dall’Albania)
ai soli scambi di informazioni funzionali alla corretta applicazione delle norme
contenute nella convenzione contro le doppie imposizioni, l’assistenza cui il
dPR n. 600/73 fa riferimento attiene, invece, la cooperazione amministrativa utile ad assicurare l’esatto adempimento delle imposte sul reddito e sul patrimonio.
Per quanto attiene il profilo territoriale, inoltre, a fronte di un’efficacia
“meramente” bilaterale delle convenzioni contro le doppie imposizioni, il dPR
n. 600/73 – facendo proprie le acquisizioni del diritto comunitario in tema di
25
Con l’art. 35, comma 24, del d.l. n. 223/2006, «le attribuzioni e i poteri di cui agli articoli 31 e
seguenti» del dPR 600/73 sono state peraltro estese anche alle imposte di registro, ipotecaria e catastale
(per effetto dell’inserimento dell’art. 53 bis – “Attribuzioni e poteri degli uffici” – nel T.U. n. 131/1986),
riconducendo ad unità un sistema precedentemente frammentato in regole differenti. Per approfondimenti
vd. M. Basilavecchia, I nuovi poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria nelle imposte di
registro, ipotecaria e catastale, Studio n. 68-2007/T del Consiglio nazionale del Notariato, approvato dalla
Commissione Studi Tributari del 20 aprile 2007, consultabile su http://www.notariato.it.
26
L’art. 31-bis recepisce, riunendoli in un’unica disposizione, principi e regole della cooperazione
amministrativa comunitaria introdotti da differenti Direttive e Regolamenti. La sintesi che la norma opera
in riferimento a tali precetti consente di trascurarne la trattazione analitica, essendo sufficiente, ai nostri
178
Selicato
cooperazione amministrativa all’interno del territorio dell’Unione europea26 –
fa riferimento allo scambio di informazioni tra tutti i Paesi membri27, secondo
una logica multilaterale che è propria del processo di armonizzazione di questa
materia. Si evince, da ciò, la maggiore flessibilità dell’istituto di diritto interno,
il quale – seppure nei limiti del territorio comunitario – consente di contrastare
fenomeni che presentano caratteri più complessi e che coinvolgono, evidentemente, il territorio di più Stati.
La cooperazione amministrativa può trovare impulso in un’esplicita richiesta delle autorità competenti, ovvero basarsi su scambi di informazioni
spontanei o automatici28.
fini, un mero elenco delle fonti: Dir. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977 (inizialmente relativa al solo
settore delle imposte dirette ma successivamente estesa all’Iva – con la Dir. 79/1070/CEE del 6 dicembre
1979, poi modificata dai Reg. (CEE) 218/92 del 27 gennaio 1992, e Reg. (CE) 792/2002 del 7 maggio 2002
– e alle accise – con la Dir. 92/12/CEE del 25 febbraio 1992). Sui successivi Regolamenti (1798/2003 del
7 ottobre 2003, 885/2004 del 26 aprile 2004) e Direttive (2003/93/CE del 7 ottobre 2003, 2004/56/CE del
21 aprile 2004) che hanno riguardato il settore Iva, al cui interno la cooperazione amministrativa svolge
una funzione centrale anche in considerazione della natura del tributo e del suo meccanismo applicativo,
si rinvia a F. Saponaro, Lo scambio di informazioni tra Amministrazioni finanziarie e l’armonizzazione
fiscale, in Rass. Trib., 2005, 453, ss.
27
Cui si aggiunge, sebbene limitatamente a talune fattispecie, anche la Svizzera, con la quale l’U.E. ha da
poco raggiunto un’intesa in ordine alla possibilità di accedere ad importanti informazioni. Con comunicato
del 25 ottobre 2005, il Ministero dell’economia e finanze rendeva infatti note cinque fattispecie esemplificative (ma non esaustive) di comportamenti che – ai sensi dell’art. 10 dell’accordo sottoscritto nel 2004
tra la Svizzera e l’Unione europea sui redditi da risparmio – consentono lo scambio di informazioni su richiesta con l’Amministrazione elvetica. Si tratta delle seguenti situazioni: «1. Il proprietario di un’impresa
individuale avrebbe dovuto includere nella sua dichiarazione dei redditi tutti i beni e i redditi posseduti e
quindi gli interessi derivanti dalle attività possedute, che fanno parte dell’attivo patrimoniale. Non avendolo fatto, egli ha prodotto una contabilità incompleta. Quando dalle attività non dichiarate scaturiscono
interessi rientranti nel campo applicativo dell’Accordo, si è in presenza di una frode fiscale. 2. Nell’ambito
di una procedura di divulgazione volontaria secondo l’art. 2 dell’Accordo, un contribuente ottiene e adopera un certificato rilasciato da un agente pagatore che non riflette la reale situazione reddituale, ma riporta redditi inferiori a quelli effettivamente posseduti. 3. Una persona fisica produce documenti contabili
(contabilità o altri documenti) che attribuiscono interessi rientranti nel campo applicativo dell’Accordo a
un ente terzo (società), quando in realtà, tramite un contratto fiduciario, questi redditi gli sono attribuiti
effettivamente, e non dichiarati. In questo caso, i documenti contabili non riflettono la realtà e vi è frode
fiscale. 4. Al fine di ottenere una riduzione sull’imposta che un agente pagatore deve scomputare secondo
l’art. 3, par. 3, dell’Accordo, una persona fisica utilizza un certificato di avvenuta ritenuta d’imposta
a monte, mentre in realtà non è stata prelevata tale imposta. 5. Secondo l’Accordo, una persona fisica
cittadina dell’UE, entrata in relazioni contrattuali con un agente pagatore dopo il 1° gennaio 2004, che
dichiara di essere residente di uno Stato terzo (non UE o Svizzera) deve fornire un certificato di residenza
dello Stato terzo dove risiede. La conseguenza è la non applicazione dell’Accordo al pagamento di interessi a questa persona. In questo contesto, l’utilizzazione di un certificato di residenza fiscale inesatto è
costitutivo di frode fiscale».
28
Vds. L. della Volpe, U. Marchetti, G. Pezzuto, I modelli comunitari di attuazione della cooperazione
amministrativa, Op. cit., 785, ss., nonché E. Palumbo, F. Tinessa, Gli scambi internazionali di informazioni,
in (a cura di) V. Uckmar e F. Tundo, Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, cit., 416, ss.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
179
Rispetto alla prima fattispecie si osserva come lo scambio “su richiesta”
trovi fondamento nell’art. 2 della Dir. 77/799 ma sia divenuto, nel tempo, una
categoria generale dello scambio di informazioni, alla stregua delle altre ipotesi
che ci si accinge a commentare. L’approfondimento dell’istituto può avvalersi
di quanto previsto dalla già citata Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale che avverte sulla possibilità di rifiuto della richiesta
nel caso in cui «lo Stato richiedente non abbia fatto ricorso a tutti i mezzi di
cui dispone sul proprio territorio, tranne nel caso in cui il ricorso a tali mezzi
comporti difficoltà sproporzionate» (art. 19).
Venendo ai profili sostanziali, l’art. 5 (Scambio di informazioni su richiesta) impone l’obbligo – allo Stato che ne riceva la richiesta – di fornire ogni
informazione che appaia rilevante per «procedere all’accertamento ed alla riscossione delle imposte, al recupero dei crediti tributari o alle relative misure di
esecuzione, e per promuovere un’azione dinanzi ad un’autorità amministrativa
o avviare procedimenti penali dinanzi ad un organo giurisdizionale» (art. 4).
Ciò in riferimento sia ad una determinata persona che a singole transazioni che
si intenda di dover controllare29.
Quanto agli aspetti procedurali, la convenzione impone allo Stato c.d. “richiesto” di adottare «tutti i provvedimenti necessari al fine di fornire allo Stato richiedente le informazioni» per l’ipotesi in cui «le informazioni disponibili
negli archivi fiscali dello Stato … non consentano di dar seguito alla richiesta di informazioni». Si ricorda, in proposito, che già dal 1998 le informazioni
“a richiesta” sono scambiabili direttamente anche dalla Guardia di Finanza in
virtù di una determinazione del 11 febbraio 1998 del Ministro delle finanze.
Per avere maggiore contezza delle opportunità offerte dallo strumento di
cui si discute può farsi riferimento anche all’art. 5, commi 4 e ss., dell’accordo
OCSE sullo scambio di informazioni in materia fiscale (Agreement on exchange
Alcuni limiti all’acquisizione probatoria vengono espressamente individuati nel rischio di rivelare
segreti commerciali, industriali o professionali, processi commerciali o informazioni la cui divulgazione
contrasti con l’ordine pubblico. Il terzo comma dell’art. 31 bis prevede, inoltre, la possibilità di rifiutare la
trasmissione delle informazioni anche laddove «l’autorità competente dello Stato membro richiedente, per
motivi di fatto o di diritto, non sia in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni».
Al fine di assicurare il funzionamento di tali meccanismi, il quinto comma stabilisce che «la comunicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle
informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio» non è
considerata violazione del segreto d’ufficio. L’indicazione è conforme al precedente orientamento legislativo sul segreto d’ufficio contenuto, per la materia dei tributi, negli artt. 66 dPR n. 633 del 1972 e 68 dPR
600 del 1973. Per ogni eventuale approfondimento può farsi dunque riferimento ai contributi dottrinali ed
alla prassi sviluppatisi in relazione a tali norme.
29
180
Selicato
of information on tax matters, predisposto dall’OECD Global Forum Working
Group on Effective Exchange of Information)30, nonché ai chiarimenti forniti
nell’annesso commentario, dal momento che tali indicazioni risultano applicabili anche agli istituti in rassegna.
Al contenuto della richiesta è invece dedicato l’art. 18 della Convenzione
sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale che, dettando disposizioni comuni a tutte le forme di assistenza, ne individua gli elementi necessari
nell’indicazione:
- dell’autorità o dell’organo che ha avviato la richiesta presentata dall’autorità competente;
- del nome, indirizzo ed ogni altro dettaglio che consentono l’identificazione della persona riguardo alla quale è presentata la richiesta;
Article 5 - Exchange of Information Upon Request: «1. (…Omissis…. ); 2. (…Omissis…. ); 3. (…Omissis….
); 4. Each Contracting Party shall ensure that its competent authorities for the purposes specified in Article
1 of the Agreement, have the authority to obtain and provide upon request: (a) information held by banks,
other financial institutions, and any person acting in an agency or fiduciary capacity including nominees
and trustees; (b) information regarding the ownership of companies, partnerships, trusts, foundations,
“Anstalten” and other persons, including, within the constraints of Article 2, ownership information on all
such persons in an ownership chain; in the case of trusts, information on settlors, trustees and beneficiaries;
and in the case of foundations, information on founders, members of the foundation council and beneficiaries.
Further, this Agreement does not create an obligation on the Contracting Parties to obtain or provide
ownership information with respect to publicly traded companies or public collective investment funds
or schemes unless such information can be obtained without giving rise to disproportionate difficulties.
5. The competent authority of the applicant Party shall provide the following information to the competent
authority of the requested Party when making a request for information under the Agreement to demonstrate the foreseeable relevance of the information to the request: (a) the identity of the person under
examination or investigation; (b) a statement of the information sought including its nature and the form in
which the applicant Party wishes to receive the information from the requested Party; (c) the tax purpose
for which the information is sought; (d) grounds for believing that the information requested is held in the
requested Party or is in the possession or control of a person within the jurisdiction of the requested Party;
(e) to the extent known, the name and address of any person believed to be in possession of the requested
information; (f) a statement that the request is in conformity with the law and administrative practices of
the applicant Party, that if the requested information was within the jurisdiction of the applicant Party then
the competent authority of the applicant Party would be able to obtain the information under the laws of
the applicant Party or in the normal course of administrative practice and that it is in conformity with this
Agreement; (g) a statement that the applicant Party has pursued all means available in its own territory to
obtain the information, except those that would give rise to disproportionate difficulties.
6. The competent authority of the requested Party shall forward the requested information as promptly as
possible to the applicant Party. To ensure a prompt response, the competent authority of the requested Party
shall: (a) Confirm receipt of a request in writing to the competent authority of the applicant Party and shall
notify the competent authority of the applicant Party of deficiencies in the request, if any, within 60 days of
the receipt of the request. (b) If the competent authority of the requested Party has been unable to obtain
and provide the information within 90 days of receipt of the request, including if it encounters obstacles in
furnishing the information or it refuses to furnish the information, it shall immediately inform the applicant
Party, explaining the reason for its inability, the nature of the obstacles or the reasons for its refusal».
30
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
181
- della forma in cui lo Stato richiedente auspica di ricevere le informazioni
in relazione alle proprie esigenze;
- della conformità della richiesta alla legislazione ed alla prassi amministrativa dello Stato richiedente e della sua giustificazione alla luce dei
requisiti dell’art. 19.
La norma stabilisce, inoltre, l’obbligo per lo Stato richiedente di comunicare allo Stato richiesto ogni altra informazione concernente la richiesta di
assistenza non appena ne venga a conoscenza (art. 18, co. 2)31.
Differenti disposizioni riguardano lo scambio automatico di informazioni (Art. 6) – che, avvalendosi dei sistemi informativi predisposti a servizio
dell’Iva e dei tributi doganali32, sarà approfondito nella successiva trattazione
di tali argomenti – e lo scambio spontaneo di informazioni (Art. 7) che si attua
allorquando una Parte comunichi ad un’altra (senza richiesta preliminare, ma
al verificarsi di situazioni che la Convenzione evidentemente individua quali
indici di pericolosità33) le informazioni di cui è a conoscenza. In tale ultimo caso
ciascuna Amministrazione, in via autonoma, «adotta i provvedimenti ed attua le
procedure necessarie» all’acquisizione e successiva trasmissione all’altro Stato
contraente delle informazioni cui la Convenzione è rivolta.
È del tutto evidente che, in continuità con quanto già previsto dalla Dir.
L’articolo 20, invece, si sofferma sulla risposta alla richiesta di assistenza, che, secondo la Convenzione,
deve essere espressa, analitica e motivata in caso di rigetto.
32
Osserva D. D’Agostino, Cooperazione amministrativa tra gli Stati dell’Unione europea nella lotta alle
frodi in materia di imposizione indiretta, in Fisco, 2000, 9607: «Rientra in tale forma di cooperazione la
presentazione periodica da parte degli operatori economici intracomunitari di elenchi riepilogativi delle
cessioni e degli acquisti intraCEE (cosiddetti listings) da presentare con cadenza periodica al competente
ufficio doganale. Tali elenchi oltre ad assolvere funzioni statistiche, alimentano il sistema VIES (Vast
Information Exchange System) che consente il controllo di tutte le operazioni dichiarate dagli operatori
intracomunitari. Si tratta in sostanza di un archivio di dati a base elettronica che registra una serie di
informazioni sulle operazioni in questione (assistenza di I e II livello). Gli Stati membri, qualora ritengano
insufficienti le notizie disponibili sul VIES hanno la possibilità di inoltrare richieste di controlli più approfonditi cui l’autorità interpellata deve rispondere entro 3 mesi (assistenza di III livello)».
33
Si tratta delle seguenti situazioni: «a) la prima Parte ha motivo di ritenere che nell’altra Parte possa
verificarsi una riduzione o un’esenzione anomale d’imposta;
b) un contribuente ottiene nella prima Parte una riduzione o un’esenzione d’imposta che comporterebbe
un aumento di imposta o un assoggettamento ad imposta nell’altra Parte;
c) le operazioni tra un contribuente di una Parte ed un contribuente di un’altra Parte avvengono tramite
uno o più Paesi in modo tale che ne possa risultare una riduzione d’imposta nell’uno o nell’altro Paese
o in entrambi;
d) una Parte ha motivo di ritenere che possa risultare una riduzione d’imposta da trasferimenti fittizi di
utili nell’àmbito di gruppi di imprese;
e) quando, in seguito ad informazioni comunicate ad una Parte da un’altra Parte, la prima Parte abbia
raccolto informazioni utili ai fini dell’accertamento degli obblighi tributari nell’altra Parte».
31
182
Selicato
77/799, lo scambio spontaneo può avvenire anche al di fuori dei casi elencati
dalla norma, ogni qualvolta se ne ravvisi l’opportunità.
In assoluta sintonia con l’enunciato dell’art. 31-bis del dPR n. 600/73 si
delinea, quindi, anche nell’apparato convenzionale appena richiamato, un sistema di poteri dell’Amministrazione finanziaria decisamente ampio e riferito,
in modo generalizzato, allo scambio con le autorità degli altri Stati membri di
ogni informazione necessaria ad «assicurare il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio». Questa esigenza rende legittima finanche
la presenza (purché autorizzata) nel territorio dello Stato dei funzionari delle
Amministrazioni fiscali degli altri Stati membri (art. 31 bis, co. 2) con il fine di
raccogliere le informazioni da trasmettere alle predette autorità con le modalità
ed entro i limiti previsti per l’accertamento delle imposte sui redditi34.
Altri elementi utili alle indagini potrebbero provenire dai c.d. «controlli
simultanei» che, ai sensi dei commi 6 e ss. della norma, possono proporsi alle
Amministrazioni finanziarie di altri Stati membri allo scopo di «scambiare le
informazioni così ottenute quando tali controlli appaiano più efficaci di un controllo eseguito da un solo Stato membro». Si tratta di un’opportunità collegata a
situazioni «di uno o più soggetti di imposta» che presentino «interesse comune
o complementare con altri Stati membri»35. La procedura è agevole, dal momento che l’Amministrazione finanziaria individua «in modo autonomo» i soggetti
d’imposta sui quali intende proporre un controllo simultaneo e ne informa le
L’argomento è affrontato dall’art. 9 (Verifiche fiscali all’estero) della Convenzione sulla mutua assistenza
amministrativa in materia fiscale, che, al fine di stabilire le relative regole procedurali, così dispone: «Su
richiesta dell’autorità competente dello Stato richiedente, l’autorità competente dello Stato richiesto
può autorizzare rappresentanti dell’autorità competente dello Stato richiedente ad assistere alla fase
pertinente di una verifica fiscale nello Stato richiesto; Se la richiesta è accettata, l’autorità competente
dello Stato richiesto comunica al più presto all’autorità competente dello Stato richiedente la data ed il
luogo della verifica, l’autorità o il funzionario incaricato di effettuare detta verifica, nonché le procedure
e le condizioni stabilite dallo Stato richiesto per lo svolgimento di tale verifica. Ogni decisione relativa
allo svolgimento della verifica fiscale è adottata dallo Stato richiesto. Una Parte può informare uno dei
depositari circa la sua intenzione di non accettare, in linea generale, le richieste di cui al paragrafo 1. Tale
dichiarazione può essere fatta o ritirata in qualsiasi momento».
35
Sul tema più generale delle verifiche simultanee si legga A. Nuzzolo, Le verifiche simultanee, in (a cura
di) V. Uckmar e F. Tundo, Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, Cit., 425, ss. Quanto alle indicazioni offerte dalla Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale ci si limita a riportare
il contenuto dell’art. 8 (Verifiche fiscali simultanee): «Su richiesta di una delle Parti, due o più Parti si consultano al fine di determinare i casi e le procedure relativi alle verifiche fiscali simultanee. Ciascuna Parte
decide se partecipare o meno ad una determinata verifica fiscale. Ai fini della presente Convenzione, per
verifica fiscale simultanea si intende un accordo tra due o più Parti al fine di verificare, simultaneamente,
ciascuna sul proprio territorio, la situazione fiscale di una o più persone con interessi comuni o collegati
al fine di scambiare le informazioni utili in tal modo ottenute».
34
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
183
autorità competenti degli altri Stati membri attraverso una comunicazione contenente tre soli elementi: a) i motivi della scelta di quei soggetti; b) le informazioni che inducono a proporre controlli simultanei; c) il termine entro il quale i
controlli devono essere effettuati.
In considerazione del carattere relativo del limite rappresentato dal loro
ambito territoriale di applicazione, anche altri strumenti di monitoraggio delle
attività economiche di soggetti che possiedano un qualsiasi elemento di collegamento con l’U.E. possono concorrere allo sviluppo delle indagini. È il caso
dell’Archivio dei rapporti finanziari istituito nell’ambito dell’anagrafe tributaria, di recente interessata da un importante intervento di revisione36, il quale,
almeno alla luce delle prime indicazioni ministeriali, sembrerebbe poter concorrere al contrasto di fenomeni la cui rilevanza non si esaurisce sul piano fiscale37.
G. Nanula, L’archivio dei rapporti con operatori finanziari, in Fisco, 2007, 1-4966, ss., individua i limiti
del sistema antecedente (muovendo dalla c.d. Legge Rognoni-La Torre del 1982 e passando in rassegna
sia l’art. 20, comma 4, della l. 30 dicembre 1991, n. 413, che il D. Int. 4 agosto 2000, n. 269, recante la
cosiddetta “anagrafe dei rapporti di conto e di deposito”, mai entrata in vigore) e ne auspica il superamento
con la nuova Anagrafe. Idem, La tormentata lotta all’evasione fiscale ed alla criminalità organizzata sul
versante finanziario, in Fisco, 2007, 1-611, ss., che si sofferma sulle implicazioni della novella del 2006:
«…sulla base della vecchia legislazione, sia il funzionario delle imposte per l’accertamento tributario che
quello di polizia giudiziaria per la ricostruzione dei patrimoni illeciti, non erano in grado di conoscere
tutte le banche o gli intermediari finanziari di cui il soggetto investigato fosse cliente, con la conseguenza
che quest’ultimo potesse quindi intestare la movimentazione dei propri affari illeciti ad una qualche banca
ovvero ad un qualche intermediario finanziario destinati a rimanere occulti; così come, se per avventura
tali funzionari delle imposte o di polizia avessero effettivamente avuto la possibilità di conoscere tutte le
banche o gli intermediari finanziari di cui il soggetto stesso concretamente si servisse, non sarebbero poi
stati ancora in grado di conoscere la sua ricchezza illecita allocata sotto forma di rapporti al portatore,
ampiamente adoperati come forma di deposito o d’investimento occulto. A queste bucature del sistema
normativo antiriciclaggio e antievasione …(omissis)…sembra ora porre rimedio, con una qualche
sottostante difficoltà e non ancora chiarissima determinazione, la l. 4 agosto 2006, n. 248, di conversione
del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, la quale - all’art. 37, commi 4 e 5 - ritorna sull’argomento…».
37
In tal senso E. Grassi, L’utilizzo degli strumenti tecnologici nell’azione di contrasto all’evasione e
all’elusione fiscale, in Fisco, 1-6679, ss., secondo cui il versante della criminalità organizzata sarebbe stato
ben presente nelle preoccupazioni del legislatore tributario, come testimonierebbe il provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 19 gennaio 2007 che presuppone, secondo l’Autore, una sinergica
azione di contrasto dell’evasione fiscale e della lotta alla criminalità organizzata.
In relazione ai rapporti tra Italia ed Albania, può essere utile esaminare l’Accordo per la promozione e protezione degli investimenti, raggiunto il 12 settembre 1991 e ratificato con l. 14 dicembre 1994, n. 709 (in
vigore dal 12 dicembre 1996), che dedica un’apposita disposizione ai trasferimenti di valuta tra i due Paesi,
prevedendo che: «Ognuna delle parti contraenti garantirà agli investitori dell’altra, dopo l’assolvimento
da parte degli investitori stessi di ogni obbligo fiscale nonché di ogni altro obbligo giuridico tributario, il
trasferimento all’estero in qualsiasi valuta convertibile di: a) capitali e quote aggiuntive di capitali utilizzate per il mantenimento ed incremento di investimenti; b) redditi quali definiti al punto 3 dell’articolo 1
del presente accordo nonché compensi per assistenza e servizi tecnici connessi ad investimenti; c) somme
derivanti dalla totale o parziale, vendita o liquidazione di un investimento; d) somme destinate al rimborso
di prestiti relativi ad un investimento ed al pagamento dei relativi interessi; e) ogni altro compenso ed in36
184
Selicato
L’utilizzabilità delle suddette informazioni contenute nell’anagrafe tributaria da parte dell’autorità giudiziaria e degli ufficiali di polizia giudiziaria38 è
espressamente riconosciuta, oltre che sul piano normativo39, anche dal Direttore
dell’Agenzia delle entrate nel Provvedimento del 19 gennaio 2007 che stabilisce
«Modalità e termini di comunicazione dei dati all’Anagrafe Tributaria da parte
degli operatori finanziari di cui all’art. 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 e successive modificazioni».
Tale utilizzo è subordinato al verificarsi delle condizioni indicate all’art. 4 del
decreto interministeriale del 4 agosto 2000, n. 269, secondo cui «la richiesta
al centro operativo e la utilizzazione degli elementi informativi acquisiti sono
consentite per l’espletamento (…omissis…) degli accertamenti finalizzati alla
ricerca e all’acquisizione della prova e delle fonti di prova nel corso di un procedimento penale, sia in fase di indagini preliminari, sia nelle fasi processuali
successive, ovvero degli accertamenti di carattere patrimoniale per le finalità
di prevenzione previste da specifiche disposizioni di legge e per l’applicazione
delle misure di prevenzione»40.
dennità percepiti da cittadini dell’altra parte contraente e derivanti da lavoro alle dipendenze e per conto
di investitori e da servizi prestati nella realizzazione di investimenti effettuati nel proprio territorio, nella
misura e secondo le modalità previste dalle leggi e dai regolamenti nazionali vigenti; f) risarcimenti dovuti
a norma degli articoli 4 e 5» (comma 1 dell’art. 6, in tema di Trasferimenti valutari vari).
38
Oltre che dell’Ufficio italiano cambi, del Ministro dell’interno, del Capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza – dei questori, del direttore della Direzione investigativa antimafia e del
comandante del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza.
39
Cfr. art. 7, comma 11, dPR 29 settembre 1973, n. 605, che, a seguito delle modifiche apportate dall’art.
63, comma 2, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (in vigore dal 29 dicembre 2007), stabilisce che: «Le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo,
nonché dai soggetti di cui all’articolo 4, comma 2, lettere a), b), c) ed e), del regolamento di cui al decreto
del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 4 agosto 2000, n. 269, ai fini
dell’espletamento degli accertamenti finalizzati alla ricerca e all’acquisizione della prova e delle fonti
di prova nel corso di un procedimento penale, sia ai fini delle indagini preliminari e dell’esercizio delle
funzioni previste dall’articolo 371-bis del codice di procedura penale, sia nelle fasi processuali successive,
ovvero degli accertamenti di carattere patrimoniale per le finalità di prevenzione previste da specifiche
disposizioni di legge e per l’applicazione delle misure di prevenzione».
40
A tal fine il decreto interministeriale prevede che le richieste siano avanzate – tra gli altri – anche dall’autorità giudiziaria «ai sensi delle vigenti disposizioni del codice di procedura penale, ovvero dagli ufficiali
di polizia giudiziaria delegati dal Pubblico Ministero o specificamente designati dal responsabile, a livello
centrale, dei servizi di cui all’articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203», ovvero, ancora, «dal comandante del Nucleo speciale di
polizia valutaria della Guardia di finanza».
Si noti che, ai sensi del quinto comma dell’art. 5 del decreto in esame, le autorità procedenti devono fornire
«immediata notizia agli interessati delle richieste d’informazione di cui al comma 1, fatti salvi i divieti
di comunicazione e di notificazione previsti dal codice di procedura penale o da altra legge». Tale adempimento assume particolare rilevanza in considerazione della puntuale tracciatura degli accessi effettuati
all’Anagrafe tributaria.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
185
C’è chi osserva che tale precisazione sia del tutto superflua, atteso che
altre disposizioni vigenti consentirebbero comunque l’accesso e l’utilizzo degli
elementi informativi di cui sopra nel corso di un procedimento penale41. Invero,
anche gli altri elementi eventualmente acquisiti nel corso di una verifica fiscale
risultano tendenzialmente utilizzabili dal giudice penale, sebbene con cautele e
precauzioni che vengono ben segnalate in dottrina42 ma che non sembra possano
inficiarne il valore (quantomeno) di indizi di reato43.
Ad ogni modo, con le recenti modifiche, che si aggiungono alla possibilità
di accedere ai rapporti di tipo creditizio e finanziario detenuti da qualsiasi intermediario44, si perviene alla creazione di un database centralizzato dei rapporti
41
Cfr. G. Nanula, La tormentata lotta all’evasione fiscale ed alla criminalità organizzata sul versante
finanziario, cit., secondo cui «il legislatore avrebbe potuto anche fare a meno del suddetto richiamo,
atteso che, sul piano delle indagini penali non sarebbero ugualmente sussistiti ostacoli all’Autorità
giudiziaria ed alla polizia giudiziaria (artt. 326, 348 e 358 del codice di procedura penale) nell’attingere
dati ed informazioni presso l’Anagrafe tributaria e similmente sul piano della prevenzione patrimoniale,
sulla base dell’art. 2-bis, comma 6, della legge antimafia n. 575/1965». In ordine alle conseguenze
della novella legislativa sul decreto interministeriale, l’A. osserva che il d.m. 4 agosto 2000, n. 269,
deve considerarsi solo in (minima) parte sopravvivente alle nuove disposizioni del d.l. n. 223/2006
(«In via di prima approssimazione, sembra che il decreto n. 269/2000 sopravviva soltanto per la parte
specificatamente richiamata, mentre tutto il resto, incompatibile con le nuove norme, debba essere
considerato implicitamente abrogato»…«il D.Int. n. 269/2000 del Ministro del tesoro si rivela del tutto
incompatibile con le nuove norme, sia per quanto concerne la costituzione di un Centro operativo, che
per quanto riguarda la collaborazione di un’apposita società di automazione, in quanto le modalità per
la comunicazione telematica dei dati anagrafici dei clienti saranno determinate dal nuovo provvedimento
del Direttore dell’Agenzia delle Entrate; incompatibili sono evidentemente anche le eccezioni sulla non
rilevabilità dei titolari di conti transitori o di cassette di sicurezza o dei prenditori di certificati di deposito;
inutile poi, l’esistenza di un Comitato di garanzia, perché gli accessi all’Anagrafe tributaria sono già
garantiti dalle norme che riguardano il suo funzionamento, e così via»).
42
Vd. I. Cherchi, L’utilizzabilità in sede penale degli elementi acquisiti nel corso delle indagini tributarie,
in V. Uckmar – F. Tundo (a cura di), Codice delle verifiche tributarie, Cit., 691, ss.
43
Sempre I. Cherchi, Op. cit., 694, descrive l’evoluzione dell’indagine dalla fase amministrativa a quella
penale, evidenziando i differenti poteri (di polizia tributaria e giudiziaria) di cui la Guarda di finanza dispone e le conseguenze di tale evoluzione sul piano delle garanzie di difesa da riconoscere al contribuente.
44
Le indagini finanziarie e creditizie consistono nell’acquisizione della copia dei conti relativi ai singoli
rapporti ed operazioni di natura finanziaria – compresi gli eventuali servizi e garanzie – con allegata la
documentazione sottostante, intrattenuti dal contribuente con «banche, società Poste italiane S.p.a., intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio e società
fiduciarie» per ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale ovvero il volume delle operazioni imponibili
e degli acquisti effettuati dal contribuente stesso al fine di rettificarne le relative dichiarazioni. In argomento si rinvia ad approfondimenti specifici, tra cui M. Nardi, G. Malinconico, G. D’Agostino, Le nuove
indagini finanziarie, Rimini, 2007, nonché alla circolare Ag. Entr. n. 32/E del 19 ottobre 2006, della quale
si riportano alcuni passaggi utili a chiarire i limiti dell’utilizzo dei dati, notizie e documenti acquisiti nel
corso di tali investigazioni. L’Agenzia delle entrate sottolinea inoltre la possibilità di esercitare l’indagine
creditizia e finanziaria «indipendentemente da precedenti attività di controllo, quali verifiche o ispezioni
documentali, sia pure nell’osservanza delle regole fissate dai novellati numeri 7) degli artt. 32 del dPR
n. 600 del 1973 e 51 del dPR n. 633 del 1972, a differenza di quanto previsto dai numeri 6-bis), pur essi
186
Selicato
intrattenuti dai contribuenti con gli intermediari finanziari, con evidenza delle
seguenti informazioni:
a) dati anagrafici, compreso il codice fiscale, dei titolari del rapporto;
b) dati identificativi dell’intermediario finanziario presso cui esso è intrattenuto, natura del rapporto, data di apertura e dell’eventuale chiusura, data
dell’eventuale sua modifica.
Con provvedimento del 29 febbraio 2008 del Direttore dell’Agenzia delle
entrate45 si è poi prevista l’integrazione delle suddette informazioni – in attuazione dell’art. 7, sesto comma, del dPR 29 settembre 1973, n. 605, così come
modificato dall’art. 63, comma 1, del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 – con i
seguenti ulteriori dati:
c) esistenza di operazioni di natura finanziaria al di fuori di un rapporto continuativo, compiute in nome proprio o per conto o a nome di terzi, unitamente ai dati identificativi, compreso il codice fiscale, dei soggetti che le
effettuano46;
d) dati identificativi, compreso il codice fiscale, dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi altro rapporto in nome proprio o
per conto o a nome di terzi;
e) dati sulla natura del rapporto, la data di apertura, modifica e chiusura.
Si tratta delle informazioni relative alle «operazioni extra-conto e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi altro rapporto in
nome proprio o per conto o a nome di terzi».
La formazione di aggiornate banche dati sulle operazioni finanziarie comnovellati, che invece necessitano sempre dell’attivazione di una preventiva procedura di accertamento,
ispezione o verifica». Ciò in quanto le indagini finanziarie costituirebbero «un’autonoma attività
istruttoria». Tuttavia, ad avviso della Direzione centrale accertamento dell’Agenzia delle entrate, «per
l’esercizio del potere di cui ai citati numeri 7), secondo un normale canone di procedibilità immanente
anche in materia tributaria, è agevole constatare che il suo innesco non possa avvenire ad libitum da parte
degli organi procedenti, richiedendosi invece che sia comunque iniziata un’attività di controllo, anche in
funzione selettiva nell’ambito della programmazione dell’attività stessa. Persiste pertanto la necessità
della sussistenza di motivi che, seppure non più tassativamente indicati ex lege - come nei soppressi artt.
35 del dPR n. 600 del 1973 e 51-bis del dPR n. 633 del 1972 -, sono tuttavia rinvenibili nelle seguenti
disposizioni»: artt. 31, 31-bis, 37, comma 1, 38, 39, 40, 41 del dPR n. 600 del 1973; artt. 51, comma 1, 54,
55 e 65 del dPR n. 633 del 1972; artt. 23, 24 e 25 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Ulteriori «motivi di
innesco delle indagini in questione» sono quelli contenuti nelle ipotesi delineate nella Circolare 131/E del
30 luglio 1994 - Parte terza.
45
Recante Disposizioni integrative del provvedimento del 19 gennaio 2007 in attuazione dell’art. 7, sesto
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, così come modificato
dall’art. 63, comma 1, del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231.
46
L’esistenza delle operazioni in parola viene comunicata una sola volta, per ciascun anno solare, in occasione della prima operazione compiuta.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
187
piute dai contribuenti conferisce maggiore incisività e speditezza alle attività
investigative, prima soggette ai tempi e agli iter procedurali delle ben più complesse richieste generalizzate agli intermediari finanziari. Si tratta, peraltro, di
un utilizzo degli strumenti della società dell’informazione già noto all’esperienza giuridica di altri Paesi con i quali, ricorrendone le condizioni, potrebbero
attivarsi virtuosi circuiti di scambio di informazioni47.
Quanto alla possibilità di avvalersi dei risultati delle indagini esperite nei
confronti di terzi e sull’utilizzo degli esiti delle indagini effettuate nell’esercizio
dei poteri di polizia giudiziaria possono richiamarsi le indicazioni contenute
nella circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006, che sembrano aderire perfettamente
anche allo strumento in esame48.
Secondo quanto riportato sul sito web del Governo italiano, sono numerosi i Paesi che dispongono
di banche dati similari: la Francia (aggiornamenti con cadenza mensile degli estremi dei conti correnti
bancari, dei dati anagrafici dei titolari; libera fruizione da parte dei funzionari dell’Amministrazione
fiscale; conoscibilità dei dati da parte di altre istituzioni – es. magistratura – dietro espressa autorizzazione
dell’Amministrazione competente), la Germania (disponibilità dei dati anagrafici dei soggetti intestatari,
comprese le deleghe, presso l’Ufficio federale di sorveglianza finanziaria: alcuni dati relativi all’apertura,
alla modifica e alla chiusura dei conti; accesso da parte dei funzionari dell’Amministrazione fiscale
subordinato alla richiesta all’Ufficio federale di sorveglianza finanziaria), la Spagna (aggiornamenti
con cadenza mensile degli estremi dei conti, dei dati anagrafici dei titolari; indicazione delle operazioni
in contanti per importi superiori a cinquecentomila pesetas, ovvero tremila euro circa), l’Ungheria e la
Norvegia (aggiornamenti con cadenza periodica dei dati anagrafici dei conti), gli Stati Uniti d’America
(non c’è una anagrafe dei conti bancari, ma i funzionari del fisco possono accedere ai dati bancari dei
contribuenti previa una semplice notifica di una citazione amministrativa emessa direttamente da chi fa le
verifiche, senza autorizzazione di organi superiori o della magistratura).
48
Circa l’utilizzabilità degli elementi risultanti dalle indagini esperite nei confronti di terzi, la Circ. 32/E
del 2006 (argomentando in materia di “intestazione soggettiva fittizia dei conti”), dopo aver fatto espresso riferimento alla sentenza della Cassazione n. 8826 del 28 giugno 2001, afferma che «nonostante la
mancanza di un’espressa previsione normativa, risulta ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini
ai conti di “terzi”, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che - per la costante
giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo (da ultimo, Cassazione n. 2738/2001) - le citate disposizioni, utilizzando la locuzione “i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base
delle rettifiche e degli accertamenti”, legittimano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente
sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale
intestazione» (cfr. Cass. n. 4987/2003 sui conti intestati a soggetti terzi rispetto alla società sottoposta a
controllo alla quale essi risultano legati da particolari rapporti quali la cointeressenza, la rappresentanza
organica, etc…). Sempre nello stesso capitolo, la circolare aggiunge che «…nel caso in cui già in sede
di istruttoria della singola posizione del contribuente sottoposto a controllo emergano elementi tali da
stabilire in via immediata significativi collegamenti con soggetti terzi, trova tuttora applicazione quanto
già precisato nella citata Circ. n. 131/E del 1994, parte terza, circa l’estendibilità delle indagini bancarie
a tali ultimi soggetti».
47
188
Selicato
3.3. Segue: le altre fonti informative previste dal diritto internazionale
tributario
Ove poi non dovessero verificarsi le condizioni legittimanti il ricorso agli
istituti in commento, o in caso di loro infruttuosità ai fini delle indagini in atto,
nella sfera dei rapporti tra Italia e Albania la cooperazione nell’ambito della
lotta all’evasione fiscale può comunque avvalersi del diritto tributario internazionale e, in particolare, dell’art. 27 della Convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta dai due Paesi il 12 dicembre 1994 e ratificata in Italia con l.
n. 175 del 21 maggio 199849.
Nel suo testo in vigore dal 21 dicembre 1999, la norma obbliga le rispettive Autorità a scambiarsi le informazioni utili ad assicurare l’accertamento e la
riscossione delle imposte sul reddito e sul patrimonio “prelevate per conto di
ciascuno degli Stati contraenti, delle sue suddivisioni politiche o amministrative
o dei suoi enti locali, qualunque sia il sistema di prelevamento” (art. 2, co. 1)50.
Le finalità della collaborazione tra i due Stati attengono, peraltro, anche la
prevenzione delle evasioni fiscali, il che lascia intravedere ampi margini di diNello stesso documento l’Agenzia delle entrate affronta l’argomento dei limiti all’utilizzo degli esiti delle
indagini effettuate dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, richiamando le
disposizioni contenute nei numeri 2) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del
1972. L’Organo investigativo «previa autorizzazione rilasciata dall’Autorità giudiziaria anche in deroga
all’art. 329 del codice procedura penale» può pertanto «utilizzare e trasmettere agli uffici finanziari
competenti i predetti elementi, acquisiti direttamente od ottenuti da altre forze di polizia». Per evitare
errori in sede istruttoria deve ricordarsi che: «le procedure, amministrativa e penale, rimangono comunque
distinte. Su questo ultimo punto l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 33 del 26 febbraio 2002 ha
rigettato la censura della pretesa inconciliabile antinomia fra il regime istruttorio probatorio proprio del
procedimento penale, nel cui ambito l’indagato ha diritto di non rispondere, e quello tributario; la Corte
ha infatti ritenuto priva di rilevanza “la circostanza che il contribuente possa avere di fatto interesse a
non addurre giustificazioni eventualmente idonee a vincere la presunzione nel caso in cui gli elementi che
egli potrebbe addurre siano tali da esporlo a conseguenze negative in un altro, distinto, procedimento nel
quale è posta in causa un’ipotesi di responsabilità penale dello stesso contribuente».
49
Si tratta del Provvedimento n. 175 del 21/05/1998, dal titolo: “Convenzione tra il Governo della Repubblica di Albania e il Governo della Repubblica italiana per evitare le doppie imposizioni in materia di
imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali”. Può essere utile segnalare che la
Convenzione è redatta sulla base del Modello OCSE del 2000 e non possono pertanto invocarsi, in riferimento ad essa, alcune importanti opzioni ermeneutiche di carattere estensivo che sono state invece recepite
nella versione 2005 del Modello.
50
Più in dettaglio, la disposizione delimita con cura, nei commi successivi, l’ambito oggettivo di applicazione della Convenzione e dei suoi istituti, circoscrivendolo alle seguenti imposte: imposta sul reddito
delle persone fisiche (tatimi mbi te ardhurat personale), imposta sugli utili (tatimi mbi fitimin) ed imposte
sulle piccole imprese (tatimi mbi biznesin e vogel) – con riferimento all’ordinamento tributario albanese –
ed imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), imposta sul reddito delle persone giuridiche (oggi Ires)
per quanto concerne l’Italia. Ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 2, si stabilisce inoltre l’automatica applicazione della Convenzione alle imposte di natura identica o analoga che verranno istituite
successivamente alla stipula «in aggiunta o in sostituzione delle imposte di cui al paragrafo 3».
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
189
screzionalità nel reciproco accesso alle informazioni dei due Paesi51. A ciò si aggiunga che, in aderenza ad un’impostazione generalmente accolta nelle convenzioni contro le doppie imposizioni (in quanto mutuata dall’art. 26 del Modello
OCSE52), la limitazione degli effetti del provvedimento alle sole “persone che
sono residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti” non produce conseguenze sullo scambio di informazioni che, come stabilito al primo comma dell’art.
27, può prescindere da tale limite. Peraltro, come segnalato in letteratura, l’evoluzione sotto il profilo funzionale dello scambio di informazioni – inteso come
istituto a prescindere dalla collocazione della sua disciplina nelle convenzioni
contro le doppie imposizioni – ne ha determinato l’espansione dell’ambito soggettivo di riferimento aldilà della originaria categoria dei contribuenti residenti.
Si tende, per tale via, a riconoscere l’applicabilità dello scambio di informazioni
anche nei confronti di ogni potenziale contribuente degli Stati contraenti a prescindere dalla sua residenza fiscale53.
La mancata prescrizione, nella Convenzione Italia-Albania, di qualsiasi
formalità per la cooperazione amministrativa induce a ritenere libera la forma
della richiesta da inoltrare alle competenti autorità, purché siano quantomeno
contenuti i dati necessari ad individuare il soggetto sottoposto ad indagini e la
motivazione della richiesta rivolta.
L’evoluzione dei modelli OCSE (da quello del 1963 a quello del 2005) conduce ad un graduale
ampliamento delle informazioni oggetto di scambio, originariamente circoscritte a quelle «necessarie»
ad assicurare l’attuazione delle disposizioni convenzionali, adesso estese a tutte quelle «verosimilmente
pertinenti».
52
Sulla funzione dell’art. 26 del modello OCSE nel sistema dello scambio di informazioni, vd. M. Barassi,
Lo scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie, in C. Sacchetto, L. Alemanno (a cura di),
Materiali di diritto tributario internazionale, cit., 364, ss.
53
Così F. Ardito, La cooperazione internazionale in materia tributaria, Padova, 2007, 90, che osserva come l’espansione sul piano strutturale dell’istituto coinvolga, oltre ai soggetti cui le informazioni
si riferiscono, anche l’oggetto delle medesime, sia in punto di fattispecie tributarie che al riguardo della
trasmissibilità, accanto alle mere notizie (sulla cui ampia nozione giuridica cfr. Voegel, Double taxation
conventions, Kluwer, 1991, 1201, ss.), di documenti che acquisirebbero valore probatorio pieno all’interno
dell’ordinamento giuridico dello Stato richiedente (in tal senso si era già espresso A. Fedele, Op. cit., 1999,
50, secondo cui «l’oggetto dello scambio all’origine è la “notizia”, in quanto mera conoscenza di fatti,
che serve per orientare l’attività di accertamento; si delinea poi la possibilità di trasmettere documenti,
utilizzabili anche per la loro rilevanza probatoria, ed infine si prospetta l’eventualità che l’esito dello
scambio sia la diretta acquisizione della prova anche da parte dell’Autorità giudiziaria dello Stato richiedente»). Sempre sotto il profilo oggettivo, la progressiva interpretazione evolutiva del Modello OCSE, in
uno con le revisioni periodiche del modello stesso (la prima già nel 1977), hanno determinato l’applicabilità delle sue previsioni anche alle fattispecie elusive, in aggiunta alle originarie (ed esclusive) ipotesi di
evasione fiscale (in tal senso L. della Volpe, U. Marchetti, G. Pezzuto, I modelli comunitari di attuazione
della cooperazione amministrativa, in A. Di Pietro (coord. da), Lo stato della fiscalità nell’Unione Europea, cit., II, 771).
51
190
Selicato
Altre fonti di elementi che potrebbero rivelarsi utili per l’indirizzo o svolgimento delle indagini vanno infine individuate nelle numerose intese bilaterali
sottoscritte dal Governo italiano proprio al fine di disciplinare e rafforzare l’istituto dello scambio di informazioni, sia esso originato dalle relative convenzioni
per evitare le doppie imposizioni che (per gli Stati membri U.E) dalla disciplina
comunitaria oggi recepita nella disposizione di diritto interno precedentemente
commentata. Allo stato attuale, accordi di tale natura sono stati raggiunti con
l’Australia (Canberra, 4 dicembre 1986), l’Austria (Roma, 5 aprile 1985), il
Belgio (Roma, 9 aprile 1997 e Bruxelles, 11 luglio 1997), la Danimarca (Roma,
26 ottobre 1984), la Finlandia (Roma, 12 dicembre 1997), la Francia (Parigi, 13
giugno 1984), la Germania (Bonn, 5 maggio 1994), la Norvegia (Roma, 8 aprile
1998), la Polonia (Cracovia, 4 settembre 2000), la Slovacchia (Roma, 22 aprile
1997), la Spagna (Madrid, 1 giugno 1984), la Svezia (Roma, 29 aprile 1997),
l’Ungheria (Budapest, 5 giugno 1997), la Tunisia (Roma, 29 aprile 1987), gli
Stati Uniti (Washington, 20 ottobre 1983), Trinidad e Tobago (Roma, 21 maggio
1985).
Appare evidente la possibilità di ricorrere alle convenzioni sopra elencate
in occasione di indagini relative a traffici che, previo interessamento dei territori
appena elencati o con il coinvolgimento di operatori ivi insediati, siano successivamente destinati a coinvolgere anche l’Italia e l’Albania.
4.Cooperazione amministrativa e altre fonti di informazione nel sistema
delle imposte indirette. Considerazioni attorno alla pluralità di soggetti
coinvolti nel prelievo dell’Iva, delle accise e dei tributi doganali ed al
conseguente ampliamento delle attività investigative
Si è già avuto modo di osservare come le discipline dell’imposta sul valore aggiunto, delle accise e dei tributi doganali individuino, a seguito del processo di armonizzazione comunitaria, la sede privilegiata della cooperazione
internazionale in materia fiscale.
Approfondendo ulteriormente la struttura di tali tributi si evincono, però, altri fattori di interesse che attengono il loro elemento soggettivo e, più in
particolare, la pluralità dei soggetti coinvolti nel prelievo. Tale caratteristica,
generalmente trascurata in letteratura, può rivelarsi invece decisiva nell’organizzazione delle attività di indagine le quali dovrebbero tener conto degli ampi
poteri di cui gli Uffici finanziari dispongono per l’accertamento di tali tributi.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
191
Attraverso un approccio sistematico al tema, che muove dall’imposta interessata dalle più gravi patologie e da frequenti proposte di riforma (l’Iva),
nelle pagine seguenti si cercherà di descrivere in modo essenziale il meccanismo applicativo dei tributi in esame al fine precipuo di individuare la platea di
soggetti che ne sono coinvolti e che potrebbero perciò stesso fornire elementi
utili alle indagini.
4.1.Recenti orientamenti legislativi in materia di imposta sul valore aggiunto ed elemento soggettivo del tributo. La struttura dell’Iva e le
sue connessioni con gli altri “tributi armonizzati”
Con la rifusione delle disposizioni relative al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto ad opera della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre
2006 il Consiglio dell’Unione Europea ha cercato di razionalizzare e rendere più
uniforme ed agevole l’applicazione del tributo, anche per arginare il diffuso fenomeno delle frodi. A seguito dell’intervento del legislatore comunitario risulta
molto più agevole consultare la disciplina di riferimento dell’Iva, in precedenza
dispersa in una pluralità di norme stratificatesi nel tempo, nonché cogliere gli
effetti dell’azione ermeneutica della Corte di Giustizia, frequentemente investita delle questioni sulla compatibilità delle norme interne rispetto alle Direttive
comunitarie adesso coordinate.
I propositi di uniformità e razionalizzazione cui la novella si ispira scontano, tuttavia, il limite di una materia armonizzata in cui il riavvicinamento
delle legislazioni sulle imposte sulla cifra d’affari di ciascuno Stato membro54
ha risentito – e tutt’ora risente – della sostanziale diversità tra le esperienze
giuridiche dei singoli Paesi oltre che dell’inevitabile differenza delle situazioni
interne, anche in riferimento alle caratteristiche di talune operazioni imponibili,
alle patologie relative al funzionamento del tributo ovvero, ancora, ai suoi effetti economici sul mercato di alcuni beni e servizi.
In ciò risiede, probabilmente, una delle cause della scarsa snellezza nel
nuovo testo, i cui 414 articoli, accanto alla definizione di un modello-base del
tributo e di regole non derogabili dai legislatori nazionali, offrono agli Stati
membri la possibilità di effettuare alcune scelte che rendano più calzante il mo54
Le cui disposizioni furono dapprima coordinate con la Direttiva 67/227/CEE del Consiglio, dell’11
aprile 1967 (sull’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra
d’affari), oggi definitivamente abrogata dalla Direttiva in commento nella parte che ancora restava in
vigore a seguito dei numerosi interventi succedutisi negli anni.
192
Selicato
dello applicativo comunitario alle situazioni locali e alle politiche fiscali in atto55. Sebbene limitate alle (non poche) opzioni che il legislatore comunitario
rimette espressamente alla discrezionalità degli Stati56, dette scelte, una volta
effettuate, conducono alla differenziazione delle discipline interne del tributo,
soprattutto in funzione del rafforzamento delle garanzie per la sua riscossione.
In questa stessa direzione, del resto, il legislatore comunitario prospetta soluzioni diversificate, in parte riconducibili alla Direttiva del Consiglio n. 69 del 24
luglio 200657, che trovano adesso definitiva collocazione nella nuova Direttiva
sul sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto58.
L’evoluzione della disciplina interna del tributo, nel recepire la nuova impostazione, ha indotto autorevole dottrina59 ad esprimere riserve sulla graduale
alterazione del modello teorico di riferimento, fin dall’origine fondato sulla simmetria del meccanismo rivalsa-detrazione ed ancora oggi utilizzato dalla Corte
di Giustizia delle Comunità europee come canone ermeneutico di riferimento60.
Ed in effetti non può negarsi che il ricorso ormai sistematico ad istituti quali il
reverse charge e la corresponsabilità tra cedente e cessionario, ancor più della
55
La stessa Direttiva riconosce espressamente il limite del coordinamento normativo quando, al considerato
n. 6, sottolinea la necessità di procedere per tappe nel processo di armonizzazione delle imposte sul
volume di affari dal momento che esso determina «negli Stati membri modificazioni delle strutture fiscali
e conseguenze sensibili nei settori economico, sociale e di bilancio».
56
Sono ben ottantasei le norme che riconoscono agli Stati membri la possibilità di compiere scelte diverse
dal modello-base offerto dalla Direttiva (si tratta degli articoli 12, 13, 14, 15, 18, 19, 26, 27, 51, 64, 66, 80,
82, 91, 92, 95, 98, 102, 103, 106, 122, 132, 133, 135, 137, 145, 147, 150, 156, 157, 159, 160, 161, 165,
173, 174, 175, 176, 179, 180, 181, 183, 185, 187, 188, 194, 197, 199, 204, 205, 206, 211, 212, 214, 221,
222, 224, 225, 227, 231, 235, 238, 245, 248, 252, 259, 261, 263, 266, 268, 270, 272, 273, 283, 296, 298,
311, 318, 330, 333, 342, 344, 349, 356, 392, 400).
57
Che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare
la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l’evasione fiscale e
che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie.
58
Il proposito di arginare il diffuso fenomeno delle frodi Iva appare invero prevalente, ove si osservi che
massima parte delle opzioni rimesse agli Stati membri attiene precipuamente la scelta delle soluzioni
preferite per contrastare i comportamenti fraudolenti domestici o le triangolazioni internazionali abusive.
59
L. Salvini, Il reverse charge nell’Iva comunitaria e nell’Iva interna, traccia della relazione tenuta al
Convegno “Sovranità fiscale degli Stati tra integrazione e decentramento”, Ravenna, 13-14 ottobre 2006,
sostiene che: «già nel momento attuale, che deve probabilmente definirsi di transizione – anche se non
è chiaro verso quale assetto definitivo – l’introduzione e il progressivo ampliamento dei meccanismi di
reverse charge sembra comunque porre dei problemi non irrilevanti di tenuta della logica complessiva che
ispira il tributo. La sempre più accentuata divaricazione tra il soggetto che pone in essere l’operazione
imponibile e colui che è chiamato a corrispondere all’Erario l’Iva gravante su di essa sembra infatti imporre, se non nell’ordinamento comunitario, quantomeno in quelli degli Stati membri anche alla luce dei
principi costituzionali, una complessiva rimeditazione dei rapporti intercorrenti tra soggettività passiva
“sostanziale” e obbligazione tributaria».
60
In tal senso, tra gli altri, M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, cit., 24, ss.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
193
previsione in sede comunitaria di nuove ipotesi di soggettività passiva estesa ai
soggetti che pongono in essere prestazioni di carattere occasionale61, rendono
evanescente il modello-base più elementare, generando difficoltà di non poco
conto nell’applicazione di una disciplina sempre più complessa.
Tuttavia, ove l’esame del tributo fosse condotto avendo riguardo agli apparati normativi (anch’essi armonizzati) delle accise e dei tributi doganali, specie in punto di soggettività passiva, si potrebbero ricavare argomenti a conferma
dell’ininfluenza dei recenti istituti sulla struttura dell’Iva. Tanto le ipotesi di
coobligazione solidale nel versamento dell’imposta, quanto le garanzie accessorie a carico del soggetto passivo, quanto, ancora, la previsione di adempimenti
e la traslazione del tributo in capo a soggetti diversi dal contribuente di diritto
trovano infatti piena corrispondenza nella disciplina delle accise e dei tributi
doganali, ove i soggetti che concorrono al prelievo sono molteplici.
4.2. La soggettività passiva nelle accise. Le figure tipiche del depositario
autorizzato, dell’operatore professionale e del rappresentante fiscale
e le indagini nei loro confronti
Volgendo l’attenzione al concetto di soggettività passiva accolto nella disciplina delle accise c.d. “armonizzate”62, possono cogliersi numerosi elementi
61
Secondo la Dir. 112/96 (considerato n. 13): «La nozione di soggetto passivo dovrebbe essere definita in
modo da consentire agli Stati membri, per garantire una migliore neutralità dell’imposta, di includervi le
persone che effettuano operazioni occasionali».
62
A seguito dell’approvazione della Direttiva 25 febbraio 1992, n. 12, le accise possono distinguersi in
“armonizzate” e “non armonizzate”, a seconda che si riferiscano o meno ai prodotti indicati nelle Direttive
del 1992 sul riavvicinamento delle aliquote nei settori armonizzati; si tratta delle Dir. del Consiglio della
comunità Europea nn. 79, 80, 81, 82, 83, 84, tutte del 19 ottobre 1992, riguardanti i settori dei tabacchi
e dei tabacchi lavorati diversi dalle sigarette, degli oli minerali, dell’alcool e bevande alcoliche. Per una
ricostruzione del sistema antecedente vd. R. Rinaldi, Consumo (imposte erariali di) in Enc. Giur. Treccani,
VII, Roma, 1988, 1 ss. Nel 2003 è stato ampliato in modo significativo l’ambito oggettivo di applicazione
della disciplina armonizzata, grazie all’entrata in vigore della Dir. 96/2003/CE, del 27 ottobre 2003 che,
con l’abrogazione delle Direttive sugli oli minerali (nn. 81 e 82 del 1992), ha introdotto la più estesa categoria dei prodotti energetici e dell’elettricità. Non v’è dubbio che le norme sulle accise non armonizzate
abbiano ormai assunto, nell’ordinamento italiano come in altri ordinamenti stranieri, un ruolo del tutto
marginale, sia in ragione della ridotta dimensione economica del gettito che queste procurano, sia per
la graduale soppressione di tali tributi. Ai fini del presente studio si preferisce, pertanto, fare esclusivo
riferimento alla principale categoria di accise (quelle, appunto, dette “armonizzate”), la cui regolamentazione è oggi contenuta nel Testo Unico delle Accise, introdotto con d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504. Per ogni
eventuale approfondimento si veda G.M. Cipolla, Accise (Voce), in Dizionario di diritto pubblico (diretto
da) S. Cassese, 2006. Con particolare riferimento al processo di armonizzazione si consulti F. Fichera,
L’armonizzazione delle accise, in Riv. Dir. Fin., 1997, I, 216 ss. Per un differente approccio al tema, si
legga F. Forte, Iva, accise e mercato comune, Milano, 1990. In ordine alle problematiche che il processo
194
Selicato
di affinità con la descritta impostazione del dPR n. 633/72, essendovi, anche in
questo caso, una pluralità di soggetti tenuti a rispondere, seppure a diverso titolo, del pagamento del tributo.
È appena il caso di osservare che l’accertamento della soggettività passiva nel sistema delle accise risente della definizione del loro presupposto che,
secondo l’impostazione preferita, deve essere individuato nell’immissione in
consumo del bene63.
Il superamento delle tesi più risalenti, che assegnavano rilevanza giuridica alla fabbricazione del bene, è ormai pacifico e dipende, in buona misura,
dall’accoglimento del modello comunitario individuato nella Dir. 12/92/CEE
che, agli articoli 5 e 6, stabilisce una precisa distinzione tra il momento della nascita dell’obbligazione e quello dell’esigibilità dell’imposta ritenendoli entrambi necessari alla formazione del presupposto. Anche sotto il profilo della capacità contributiva, del resto, la circostanza per cui il tributo possa (rectius, debba)
essere assolto da soggetti che nulla hanno a che vedere con la fabbricazione
del bene sottoposto ad accisa – quali il depositario autorizzato – milita a favore
delle tesi inclini ad escludere la coincidenza tra presupposto e fabbricazione.
Con il recepimento di tale impostazione ad opera del d.lgs. 26 ottobre
1995, n. 504 (Testo Unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte
sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative)64, il
presupposto è stato conseguentemente individuato in una fattispecie complessa
a formazione progressiva, in cui la mera venuta in esistenza del bene non determina, di per sé, l’obbligo di pagamento venendo quest’ultimo collegato al verificarsi dell’ulteriore situazione consistente nella sua immissione in consumo65.
di armonizzazione talvolta pone si legga, invece, G.M. Cipolla, Dubbi di compatibilità con l’ordinamento
comunitario dell’accisa sugli oli lubrificanti per usi diversi dalla combustione e dalla carburazione, in
Rass. Trib., 2007, 704 ss.
63
In tal senso G.M. Cipolla, Presupposto, funzione economica e soggetti passivi delle accise nelle cessioni
di oli minerali ad intermediari commerciali, in Rass. Trib., 2003, 1859 ss.
64
Sull’excursus normativo che ha condotto all’adozione del T.U.A. si veda M. Cerrato, Spunti intorno
alla struttura e ai soggetti passivi delle accise, in Riv. Dir. Trib., I, 1996, 215, ss., nonché A. De Cicco, G.
Cultrera, Accise (Voce), in Digesto disc. Priv., sez. comm., Agg. 2007, 14 ss. Sulle prospettive di ulteriore riforma della legislazione italiana in materia di accise, schiuse dall’art. 7 della legge delega n. 80 del
2003, si rinvia a A.F. Uricchio, Delega al Governo per la riforma del sistema tributario: la riforma delle
accise, in I profili internazionali e comunitari della nuova imposta sui redditi delle società, G. Marino (a
cura di), Milano, 2005, 147 ss., ove interessanti considerazioni sui limiti del legislatore interno rispetto
ai principi accolti in sede comunitaria e sull’evidente contrasto tra alcuni propositi di riforma e il diritto
comunitario.
65
In tal senso R. Schiavolin, Accise (voce) in Enc. Dir., IV, Agg., 26. Ulteriore argomento a sostegno della loro
tesi è stato individuato nel fatto che l’aliquota applicabile, ai sensi dell’art. 3, comma terzo, del T.U.A., è quella
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
195
Successivi approfondimenti dottrinali hanno ulteriormente svalutato la
fabbricazione del bene, abbandonando lo schema della fattispecie a formazione
progressiva ed individuando nella sola immissione in consumo il presupposto
delle accise66.
La scelta dell’una piuttosto che dell’altra impostazione teorica potrebbe
rivelarsi ininfluente sugli esiti della presente indagine dal momento che entrambe convergono sulla rilevanza dell’elemento soggettivo nello studio del presupposto. Ed è proprio l’approfondimento della soggettività passiva nel sistema
vigente delle accise ad offrire indicazioni a sostegno di uno schema assai simile
a quello individuato dalle recenti modifiche legislative in campo Iva.
Sono soggetti passivi, ai sensi del T.U.A., non soltanto coloro i quali pongono in essere il presupposto (sia esso la mera immissione in consumo ovvero la
sequenza fabbricazione/importazione – immissione in consumo), ma anche quelli
nei cui confronti la disciplina comunitaria stabilisce una specifica coobbligazione solidale per l’assolvimento del tributo. Si tratta delle seguenti figure tipiche:
a) il depositario autorizzato, figura cardine del c.d. «regime sospensivo»67, la
cui regolamentazione è contenuta nell’art. 5 del T.U.A. Gravano, su di lui,
una serie di obblighi connessi alla detenzione dei beni sottoposti ad accisa
ed alle conseguenti responsabilità, tra cui assume particolare rilevanza,
ai fini che ci occupano, la prescritta cauzione che il depositario è tenuto a
prestare nella misura del dieci per cento dell’imposta gravante sulla quanvigente al momento dell’immissione in consumo e non quella in vigore all’epoca della produzione del
bene.
66
Così G.M. Cipolla, Accise, cit., che si sofferma in modo particolare sul secondo comma dell’art. 2 del
T.U.A. La norma, nell’individuare il fatto generatore dell’imposta, stabilisce che «L’accisa e’ esigibile
all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato» e che devono considerarsi
equivalenti all’immissione in consumo: a) l’ammanco in misura superiore a quella consentita o quando
non ricorrono le condizioni per la concessione dell’abbuono di cui all’articolo 4; b) lo svincolo, anche
irregolare, da un regime sospensivo; c) la fabbricazione o l’importazione, anche irregolare, avvenuta al
di fuori di un regime sospensivo. Tali circostanze, unite ad attente riflessioni sulla rilevanza dell’importazione nel sistema delle accise, inducono l’Autore ad affermare che «la disposizione sulla soggettività
passiva è modellata sull’immissione in consumo piuttosto che sulla fabbricazione dei prodotti, ma anche
che all’immissione in consumo propriamente detta l’art. 2, co. 2, equipara fattispecie che (salvo un caso)
prescindono dalla fabbricazione dei prodotti». La tesi non disconosce, in assoluto, una qualche rilevanza
alla produzione del bene, soffermandosi, al contrario, anche sul primo comma del medesimo art. 2 il quale,
evidentemente, individua nella fabbricazione un fatto generatore dell’obbligazione tributaria. Viene tuttavia chiarito che, «mentre il fatto generatore è riferito ope legis alla “obbligazione tributaria”, l’esigibilità
del tributo è riferita, anche in tal caso in via normativa (art. 2, co. 2) alla “accisa”, e cioè, al tributo».
67
Per regime sospensivo deve intendersi il regime fiscale applicabile alla fabbricazione, alla trasformazione, alla detenzione e alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa fino al momento dell’esigibilità del
tributo o del verificarsi di una causa estintiva del debito d’imposta (art. 1, co. 2, lett. g, d.lgs. n. 504/1995).
196
b)
c) Selicato
tità massima di prodotti che possono essere detenuti nel deposito fiscale68.
Viene inoltre prevista una puntuale attività di vigilanza nei suoi confronti,
nonché l’obbligo di tenere una contabilità dei prodotti detenuti e movimentati nel deposito fiscale e di sottoporsi a controlli o accertamenti;
l’operatore professionale il quale, ai sensi dell’art. 8 del T.U.A., sebbene
non titolare di deposito fiscale, può comunque essere destinatario di prodotti spediti in regime sospensivo a condizione di aver richiesto – prima
del ricevimento dei prodotti – di essere registrato presso l’ufficio tecnico
di finanza. Sebbene non sia tenuto a prestare una cauzione, anche l’operatore professionale c.d. registrato deve garantire il pagamento dell’accisa
relativa ai prodotti che riceve in regime sospensivo, ragione questa che
determina obblighi non particolarmente diversi da quelli già osservati in
relazione al depositario autorizzato69. Può essere utile notare che, anche
nel caso di ricezione a titolo occasionale (sempre nell’ambito dell’esercizio di un’attività professionale) di prodotti soggetti ad accisa ed in regime sospensivo, pur potendosi prescindere dalla registrazione, scattano
analoghe obbligazioni di garanzia in funzione delle quali è prescritto che
l’operatore c.d. non registrato presenti un’apposita dichiarazione all’ufficio tecnico di finanza territorialmente competente e che si sottoponga a
“qualsiasi controllo inteso ad accertare l’effettiva ricezione della merce
ed il pagamento dell’accisa”;
il rappresentante fiscale, cui è dedicato l’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1995,
quale «soggetto, designato dal depositario autorizzato comunitario speditore, avente sede nello Stato ed appositamente autorizzato dall’autorità
doganale, che si assume, in nome e per conto dell’effettivo destinatario
dei prodotti, il quale non riveste la qualifica di depositario autorizzato od
operatore professionale (registrato o non registrato), l’onere di provvedere agli adempimenti previsti in materia di circolazione intracomunitaria
di prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo»70. Evidenti, anche
in questo caso, le responsabilità in ordine al corretto adempimento del
68
Aggiunge la norma: «…in relazione alla capacità di stoccaggio dei serbatoi utilizzabili. In ogni caso,
l’importo della cauzione non può essere inferiore all’ammontare dell’imposta che mediamente viene
pagata alle previste scadenze. In presenza di cauzione prestata da altri soggetti, la cauzione dovuta dal
depositario si riduce di pari ammontare…».
69
Ci si riferisce agli obblighi di tenuta della contabilità delle forniture dei prodotti, di presentare i prodotti
ad ogni richiesta e di sottoporsi a qualsiasi controllo o accertamento.
70
Così A. De Cicco, G. Cultrera, Accise, cit., 20, cui si rimanda anche per ulteriori approfondimenti sul
depositario autorizzato e sugli operatori professionali.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
197
tributo che vengono assunte dal rappresentante fiscale, concretandosi, ai
sensi del secondo comma della disposizione in commento, non solo nella
garanzia del pagamento della accisa secondo le modalità vigenti71 ma, addirittura, nell’obbligo di corrisponderla entro il termine e con le modalità
previste dall’art. 8, comma 472.
Tirando le fila del discorso, il regime giuridico di tali soggetti individua
caratteristici poteri di accertamento nei loro confronti che ci connettono al tema trattato in questo volume. Dinanzi al sospetto di traffici illeciti di rifiuti che
coinvolgano beni sottoposti ad accisa o che per qualsiasi motivo risultino attratti
dalla relativa disciplina, le indagini possono estendersi, infatti, nei confronti di
tutti i soggetti collegati al debito d’imposta e svolgersi con l’ausilio degli ampi
poteri indicati nel T.U.A. e (per quanto concerne le speciali procedure di scambio delle informazioni in via elettronica sulle transazioni intracomunitarie dei
prodotti soggetti ad accisa) nel Regolamento CE n. 2073/2004, del 16 novembre
200473.
A titolo esemplificativo si ricorda che, secondo il quarto comma dell’art.
5 del Testo Unico, «i depositi fiscali si intendono compresi nel circuito doganale e sono assoggettati a vigilanza finanziaria; la vigilanza finanziaria
deve assicurare, tenendo conto dell’operatività dell’impianto, la tutela fiscale
anche attraverso controlli successivi…». Analogamente, l’operatore professionale «deve…(omissis)…tenere la contabilità delle forniture dei prodotti,
presentare i prodotti ad ogni richiesta e sottoporsi a qualsiasi controllo o
accertamento».
Maggiori dettagli sui poteri dell’Amministrazione finanziaria e della
Guardia di Finanza – cui compete, in particolare, il controllo sul rispetto del
regime sospensivo – sono poi contenuti nella disciplina specifica dei singoli
beni sottoposti ad accisa, come può evincersi, ad esempio, dalle disposizioni
che il T.U.A. riserva agli alcole e alle altre bevande alcoliche (art. 18, Poteri e
controlli). Oltre alla possibilità di applicare bolli e suggelli agli apparecchi ed
ai meccanismi impiegati nel deposito fiscale, le norme contemplano la facoltà
di ordinare «a spese del depositario autorizzato, l’attuazione delle opere e delle
Ferma restando la responsabilità dell’esercente l’impianto che effettua la spedizione o del trasportatore.
Id est entro il primo giorno lavorativo successivo a quello di arrivo della merce.
73
Cui si riferisce anche la Circ. n. 19/D del 17 maggio 2006 dell’Agenzia delle Dogane. L’attività connessa
alla trattazione delle richieste di mutua assistenza amministrativa in materia doganale (su cui si veda oltre)
e la cooperazione amministrativa in materia di origine costituiscono invece oggetto di approfondimento
della Circ. n. 71/D del 9 dicembre 2003 dell’Agenzia delle Dogane.
71
72
198
Selicato
misure necessarie per la tutela degli interessi fiscali, ivi compresa l’installazione di strumenti di misura» 74.
Pur rinviando ad altra sede l’approfondimento della disciplina relativa
alle restanti categorie di prodotti, può comunque individuarsi nei poteri di accesso dei funzionari dell’Amm. Fin. (muniti della tessera di riconoscimento
di cui all’art. 31 della legge 7 gennaio 1929, n. 4) e della Guardia di finanza75
l’elemento qualificante attorno cui ruota il sistema dei controlli sull’esistenza e
circolazione di questi beni. E’ riconosciuto a tali soggetti il potere di «accedere
liberamente, in qualsiasi momento, nei depositi, negli impianti e nei luoghi
nei quali sono fabbricati, trasformati, detenuti od utilizzati prodotti sottoposti
ad accisa o dove è custodita documentazione contabile attinente ai suddetti
prodotti per eseguirvi verificazioni, riscontri, inventari, ispezioni e ricerche e
per esaminare registri e documenti. Essi hanno pure facoltà di prelevare, gratuitamente, campioni di prodotti esistenti negli impianti, redigendo apposito
verbale e, per esigenze di tutela fiscale, di applicare suggelli alle apparecchiature e ai meccanismi».
Previsioni specifiche riguardano le attività degli ufficiali e sottufficiali
della Guardia di Finanza, cui compete (di propria iniziativa o su richiesta degli
uffici finanziari) il reperimento e l’acquisizione «degli elementi utili ad accertare la corretta applicazione delle disposizioni in materia di imposizione indiretta sulla produzione e sui consumi e delle relative violazioni». Il terzo comma
dell’art. 18 individua in via analitica tali attività, elencandole come segue:
a) invitare il responsabile d’imposta o chiunque partecipi, anche come utilizzatore, all’attività industriale o commerciale attinente ai prodotti sottoposti ad accisa, indicandone il motivo, a comparire di persona o per
mezzo di rappresentanti per fornire dati, notizie e chiarimenti o per esibire documenti relativi a lavorazione, trasporto, deposito, acquisto o utilizzazione di prodotti soggetti alla predetta imposizione;
b) richiedere, previa autorizzazione del comandante di zona, ad aziende ed
istituti di credito o all’Amministrazione postale di trasmettere copia di
tutta la documentazione relativa ai rapporti intrattenuti con il cliente, secondo le modalità e i termini previsti dall’art. 18 della legge 30 dicembre
74
Sempre ai sensi dell’art. 18: «Presso i suddetti impianti possono essere istituiti uffici finanziari di
fabbrica che, per l’effettuazione della vigilanza, si avvalgono, se necessario, della collaborazione dei
militari della Guardia di finanza, e sono eseguiti inventari periodici».
75
Cui è riconosciuta una generica – quanto ampia – «…facoltà di eseguire le indagini e i controlli necessari ai fini dell’accertamento delle violazioni alla disciplina delle imposte sulla produzione e sui consumi».
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
199
1991, n. 413. Gli elementi acquisiti potranno essere utilizzati anche ai fini
dell’accertamento in altri settori impositivi;
c) richiedere copie o estratti degli atti e documenti, ritenuti utili per le indagini o per i controlli, depositati presso qualsiasi ufficio della pubblica
amministrazione o presso pubblici ufficiali;
d) procedere a perquisizioni domiciliari, in qualsiasi ora, in caso di notizia
o di fondato sospetto di violazioni costituenti reato ai sensi del T.U.A.
Quanto al trasporto dei beni, l’Amministrazione finanziaria e la Guardia
di Finanza possono «effettuare i servizi di controllo sulla circolazione dei prodotti di cui al…(omissis)…testo unico, anche mediante ricerche sui mezzi di trasporto impiegati», nonché apporre sigilli al carico e procedere, gratuitamente, al
prelevamento di campioni.
Un ultimo cenno va fatto all’espressa previsione dell’utilizzabilità degli
esiti delle indagini in sedi e procedimenti diversi da quelli tributari, contenuta nel seguente enunciato: «Gli uffici tecnici di finanza possono effettuare
interventi presso soggetti che svolgono attività di produzione e distribuzione
di beni e servizi per accertamenti tecnici, per controllare, anche a fini diversi
da quelli tributari, l’osservanza di disposizioni nazionali o comunitarie. Tali
interventi e controlli possono essere eseguiti anche dalla Guardia di Finanza,
previo il necessario coordinamento con gli uffici tecnici di finanza» (art. 18,
co. 5).
4.3.Soggettività passiva e presupposto dei tributi doganali. I controlli in
materia doganale: rinvio
Rispetto a quanto finora osservato, l’imposizione delle merci scambiate
tra l’U.E. ed i Paesi terzi evidenzia una totale convergenza di interessi degli Stati membri culminata, nel 1992, nell’adozione di un Codice unico comunitario.
Con il termine diritto doganale comunitario ci si riferisce, pertanto, all’insieme
di regole armonizzate che reggono il funzionamento dell’unione doganale europea, sia sotto il profilo sostanziale (in primis il Reg. CEE 25 ottobre 1992,
n. 2913, che ha introdotto il suddetto Codice) che sotto quello procedimentale
(in particolare il Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454)76. Si è in tal modo pervenuti
ad una dettagliata disciplina dell’applicazione, accertamento e riscossione dei
76
Sull’argomento si consulti G. Ardizzone, Dogana e imposte doganali (voce), in Enc. Giur. Treccani, XII,
Roma, 1998, nonché S. Armella, I dazi doganali, in V. Uckmar, (a cura di), Corso di Diritto tributario
internazionale, Padova, 2000.
200
Selicato
tributi doganali77 che corrisponde all’esigenza consacrata dal Trattato istitutivo
delle Comunità europee di rimuovere i dazi e le altre barriere fiscali alla libera
circolazione delle merci nell’intero suo territorio78.
Sarebbe tuttavia errato ritenere che ogni aspetto della disciplina doganale
trovi diretta corrispondenza nel diritto comunitario, dal momento che – seppure
in chiave meramente suppletiva79 – numerose disposizioni di diritto interno80 ed
internazionale integrano il precetto comunitario ed inducono a sostenere che «la
materia doganale non è stata e non è d’esclusiva competenza delle Comunità
europee né degli Stati membri»81. Cionondimedo il diritto comunitario assume un ruolo centrale nel sistema di tali tributi, influenzandone sensibilmente
la struttura del prelievo fino a modellarne l’elemento soggettivo e le fasi procedimentali secondo uno schema che presenta evidenti connessioni con quello
appena osservato in riferimento alle accise.
Il ruolo centrale che (anche) per il circuito doganale assume il “regime
sospensivo”82 e la rilevanza che riveste l’atto di imprimere una destinazione
77
Sulla tipicità degli atti dell’accertamento doganale vd. A.F. Uricchio, Atti e poteri del giudice tributario,
Bari, 2007, 291, che si sofferma sul difficile raccordo tra il meccanismo impugnatorio delineato dal d.lgs.
n. 546/92 ed i procedimenti giustiziali previsti dalla disciplina speciale.
78
Per un accurata elencazione delle fonti comunitarie che, dal Reg. n. 68/950 ai giorni nostri, hanno
concorso all’attuazione dei principi contenuti negli articoli 9 e ss. – e in particolare 23 (abolizione delle
frontiere e libera circolazione delle merci sul territorio comunitario) e 25 (divieto di istituire dazi o tributi
ad effetto equivalente sulla circolazione delle merci all’interno del territorio medesimo) – del Trattato
istitutivo delle Comunità Europee, si veda P. Boria, Diritto tributario europeo, cit., 81.
79
In tal senso G. Fransoni, I dazi doganali, in A. Fantozzi, Il diritto tributario, cit., 1075.
80
Tra cui merita particolare attenzione il Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale
(pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 80 del 28/03/1973).
81
Così F. Fernandez Marin, Il profilo della cooperazione doganale dopo la Convenzione d’Amsterdam, in
A. Di Pietro (a cura di), Lo Stato della fiscalità nell’Unione Europea. L’esperienza e l’efficacia dell’armonizzazione, cit., II, 911.
82
In argomento deve richiamarsi l’art. 84 del Codice unico doganale, dalla cui lettura si ricavano indicazioni utili a comprendere cosa rientri nelle nozioni di regime sospensivo e di regime doganale economico: «Ai
fini degli articoli da 85 a 90: a) quando viene utilizzata la formulazione “regime sospensivo” si intende
che essa si applica, nel caso di merci non comunitarie, ai seguenti regimi:
- transito esterno,
- deposito doganale,
- perfezionamento attivo nella forma del sistema della sospensione,
- trasformazione sotto controllo doganale, e
- ammissione temporanea;
b) quando e’ utilizzata la formulazione “regime doganale economico” si intende che essa si applica ai
seguenti regimi:
- il deposito doganale,
- il perfezionamento attivo,
- la trasformazione sotto controllo doganale,
- l’ammissione temporanea, e
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
201
doganale alla merce determinano, analogamente a quanto accade per le imposte
sulla fabbricazione e sul consumo, il coinvolgimento nel prelievo di una pluralità di soggetti e la conseguente previsione di controlli specifici sull’esatto
adempimento delle obbligazioni collegate al prelievo.
Sotto il primo profilo ci si limita a rilevare come l’art. 4 del Codice doganale comunitario intenda per debitore doganale «qualsiasi persona tenuta al
pagamento dell’obbligazione doganale», il che dimostra, anche in questo caso,
la possibile divaricazione tra contribuente di diritto e soggetto tenuto al pagamento del tributo. Ulteriori conferme alla pluralità di soggetti coinvolti nel prelievo provengono dall’esegesi delle fonti interne che conduce all’individuazione del soggetto passivo nel “proprietario della merce” con l’avvertenza, però,
che l’espressione non indica soltanto il titolare del diritto di proprietà sul bene
(o sui beni) secondo la definizione dell’art. 832 cod. civ., bensì «colui il quale
detiene la merce stessa nel momento in cui attraversa la linea doganale o la
presenta in dogana o risulta tale dalla dichiarazione presentata»83. Sono altresì
tenuti al pagamento del tributo, in quanto solidalmente responsabili, tutti coloro
per conto dei quali la merce è importata84.
Per quanto attiene invece il secondo profilo (quello dei controlli), lo schema procedimentale può essere compreso con facilità ove si individui nella destinazione al consumo nel territorio doganale italiano il presupposto dell’obbligazione doganale in riferimento alle merci estere e nella destinazione al consumo fuori dal territorio medesimo quello dell’obbligazione riferita alle merci
nazionali o nazionalizzate (artt. 34-39 dPR 23 gennaio 1973, n. 43, recante il
Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale). Ne consegue
che la circolazione delle merci comunitarie all’interno del territorio dell’Unione
europea, in conformità con i principi fondamentali del Trattato, non qualifica il
presupposto dell’imposta. Inoltre, come osservato in dottrina, «l’attraversamento della linea doganale costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente,
- il perfezionamento passivo».
I commi successivi forniscono le definizioni delle merci d’importazione («le merci vincolate ad un regime
di esonero condizionale e le merci che hanno formato oggetto, nel quadro del perfezionamento attivo nella forma del sistema di rimborso, delle formalità di immissione in libera pratica e delle formalità di cui
all’articolo 125») e delle merci tal quali (che sono quelle «importate che, nel quadro del regime di perfezionamento attivo e della trasformazione sotto controllo doganale, non hanno subito alcuna operazione di
perfezionamento ne’ di trasformazione»).
83
Cfr. G. Ardizzone, Dogana e imposte doganali, cit., 4.
84
Anche in proposito si veda G. Ardizzone, Dogana e imposte doganali, cit., 4. Si profilano, evidentemente, un meccanismo impositivo ed una struttura del tributo del tutto simili a quelli già osservati nella
rassegna degli altri tributi c.d. “armonizzati”.
202
Selicato
per la nascita del debito d’imposta»85, atteso che tale evento è collegato anche
all’esistenza di una dichiarazione doganale recante le caratteristiche fisiche dei
beni e la ragione del loro trasporto86, la cui rilevanza nell’attuazione del prelievo
è fondamentale: è attraverso di essa che viene impressa alla merce una specifica “destinazione doganale”87 e, nella maggior parte di casi, la dichiarazione
doganale costituisce l’unico atto del procedimento di accertamento dei diritti
doganali, tanto nel modello interno quanto in quello comunitario che, in proposito, convergono88. Ed infatti, mentre nel sistema precedente all’entrata in vigore
dell’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 374 del 1990, la liquidazione dei tributi doganali
doveva attendere l’esito del controllo della dichiarazione suddetta89 – secondo
il modello tipico dell’accertamento in contraddittorio e con i controlli formali e
sostanziali che tale impostazione esigeva – oggi, anche in riferimento ai tributi
doganali, si è approdati al diffuso sistema dell’autoliquidazione del tributo che
rimette (generalmente) al contribuente – rectius al soggetto chiamato ad imCosì G. Fransoni, I dazi doganali, cit., 1076.
Per eventuali approfondimenti sul contenuto della dichiarazione in commento si rinvia all’art. 57 del
TULD (Forma e contenuto della dichiarazione. Casi di nullità).
87
Ai sensi dell’Art. 55 del TULD, per destinazione doganale delle merci si intende l’esito che, proprio in
base alla suddetta dichiarazione ed agli effetti doganali, è dato alle merci stesse nei modi e nelle forme
consentite dal testo unico. Le destinazioni doganali vengono così elencate: a) per le merci estere: importazione definitiva, importazione temporanea e successiva riesportazione, spedizione da una dogana all’altra,
transito, deposito; b) per le merci nazionali e per quelle nazionalizzate: esportazione definitiva, esportazione temporanea e successiva reimportazione, cabotaggio, circolazione. Il Codice doganale comunitario,
all’art. 4, definisce invece la destinazione doganale di una merce attraverso la seguente elencazione: a) il
vincolo della merce ad un regime doganale; b) la sua introduzione in zona franca o in deposito franco; c) la
sua riesportazione fuori del territorio doganale della Comunità; d) la sua distruzione; e) il suo abbandono
all’Erario. Per approfondimenti si rinvia a G. Ardizzone, Dogana e imposte doganali, cit., 5, ss., nonché
a G. Fransoni, I dazi doganali, cit., 1077, il quale suggerisce di tracciare la fondamentale distinzione tra
i due regimi dell’immissione in libera pratica e dell’esportazione e tutti gli altri regimi appena elencati, in
considerazione del fatto che essi «determinano un cambiamento definitivo del regime giuridico del bene il
quale assume o perde, rispettivamente, la qualità di merce comunitaria». L’A., nel prosieguo, si sofferma
sui differenti caratteri della dichiarazione doganale rispetto a quella tributaria, assegnano alla prima una
natura “negoziale” («…è palese, infatti, che il presupposto dell’imposizione doganale non è integrato dal
verificarsi di una mera situazione di fatto. Ciò che conta è, invece, la scelta fra i plurimi regimi in circolazione volontariamente operata dall’operatore ed espressa, appunto, nella dichiarazione doganale»). Sullo
stesso argomento, cfr. C. De Martin, La nuova dichiarazione doganale e la sua natura giuridica, in Riv.
dir. trib., 1993, 460, ss.
Quanto al termine per imprimere alle merci una destinazione doganale, esso è stabilito dall’art. 95 del
TULD, cui si rinvia.
88
In tal senso F. Cerioni, Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, in Rass. Trib.,
2004, 383, ss.
89
Su cui, per eventuali approfondimenti, vds. S. Fiorenza, Dichiarazione e destinazione doganale, Padova, 1982. è sufficiente in questa sede segnalare che l’art. 59 del TULD (Visita delle merci. Bolletta doganale) è stato soppresso con decorrenza 12 giugno 1991.
85
86
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
203
primere la destinazione della merce – la determinazione dell’an e del quantum
delle imposte doganali.
L’avvento dell’informatica nelle attività di controllo, determinato, oltre
che dal progresso, anche dalla necessità di razionalizzare gli sforzi degli Uffici
a fronte di traffici sempre più intensi e diversificati, ha altresì affidato l’indirizzo
delle attività di riscontro delle dichiarazioni alle risultanze dell’analisi informatica dei possibili rischi di frode connessi alle tipologie di operazioni. Secondo le
procedure previste dal c.d. “circuito doganale di controllo” (o “canale verde”)90
le dichiarazioni sono perciò soggette a controlli sostanziali solo nei casi in cui
essi siano richiesti dal sistema. In quanto diretto alla tutela delle ragioni del
fisco, questo meccanismo finisce col trascurare proprio gli elementi sui quali
quest’indagine si impunta, come la sicurezza dei trasporti, la loro liceità e la potenziale pericolosità di talune merci. La registrazione informatica della dichiarazione doganale alimenta, infatti, controlli limitati al riscontro di parametri di
rischio che poco hanno a che vedere con gli indicatori di pericolosità proposti da
questo volume e che dipendono dalle elementari istruzioni operative ricavabili
dai seguenti messaggi:
-NC - Nessun Controllo, c.d. canale verde;
-CD - Controllo Documentale, c.d. canale giallo;
-CS - Scansione (mediante scanner) del mezzo di trasporto - canale arancione;
-
VM - Visita Merci, c.d. canale rosso.
A questa impostazione consegue la (legittima) mancanza di controllo su
gran parte delle merci trasportate e la dipendenza delle procedure dalle dichiarazioni rese dal trasportatore91. Il che evidenzia i gravi limiti nei controlli sui traffici illeciti collegati alla eventuale falsità delle dichiarazioni doganali cui non
90
Per una ricostruzione dei passaggi attraverso cui si è pervenuti all’attuale sistema si veda F. Cerioni,
Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, cit., 385, che segnala come il modello del
“canale verde” fosse stato già previsto «dal d.lgs. n. 374/1990, il cui art. 8 dispone che la visita della
merce in taluni casi può essere effettuata “secondo i programmi e i criteri selettivi stabiliti con decreto
del Ministro delle finanze, ivi compresi quelli della pericolosità fiscale e della casualità”». Aggiunge l’A.,
che tale sistema «è ammesso anche dal codice doganale comunitario (artt. 68 e 71)» e che le «procedure
applicative sono state dettate dal D.M. 28 gennaio 1994, n. 255, e specificate dalla circolare del Dipartimento
delle dogane del 29 gennaio 1999, n. 146/D, dal Telefax dello stesso Dipartimento,20 luglio 1999, prot.
n. 4795 e da ultimo riassunte nella circolare dall’Agenzia delle dogane del 18 dicembre 2003, n. 74/D».
91
Dal che, secondo F. Cerioni, Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, cit.: «circa
il 90% delle dichiarazioni è oggi accettata senza alcun controllo immediato da parte dell’ufficio, il quale
potrà esaminare dette dichiarazioni solo a posteriori, utilizzando la procedura di revisione dell’accertamento prevista dall’art.11 del d.lgs. n. 374/1990 (nonché, analogamente, dall’art. 78 del codice doganale
comunitario)».
204
Selicato
riesce a porre rimedio nemmeno il corrispondente sistema albanese. Sebbene le
autorità del Paese transfrontaliero provvedano al riscontro materiale pressoché
generalizzato delle informazioni contenute nella dichiarazione doganale, altre
patologie lo rendono, infatti, ugualmente permeabile.
La piena comprensione degli strumenti di indagine e dei poteri che la legislazione doganale assegna alle autorità statali acquista pertanto un importanza
centrale nell’indirizzo delle attività investigative. Per l’approfondimento di tali
argomenti si rinvia ad apposita sezione del presente volume92.
4.4.La rilevanza dell’Iva e dei suoi meccanismi di controllo nel sistema
dei traffici tra Italia e Albania
Le considerazioni fin qui esposte, oltre a delineare le possibili direttrici
delle attività di controllo dei traffici di beni tra Italia ed Albania, evidenziano la
complessità dell’elemento soggettivo dei tributi maggiormente interessati dal
processo di integrazione europea. Se si individua nel coinvolgimento di più soggetti nel prelievo il tratto comune dei tributi c.d. armonizzati, può conseguentemente ritenersi che anche la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, nei suoi
attuali assetti, preserva caratteri di sistematicità che non vengono alterati dai recenti interventi legislativi sul versante degli adempimenti collegati alla debenza
del tributo. Le evidenti connessioni con il modello di soggettività passiva accolto sia in materia di accise, sia nei tributi doganali inducono infatti a ritenere che
la solidarietà passiva tra cedente e cessionario e l’ampliamento delle ipotesi di
inversione contabile tra i soggetti coinvolti dall’operazione imponibile costituiscano scelte del tutto coerenti con un’impostazione che, per quanto estranea alla
nostra cultura giuridica, trova diretta corrispondenza nel diritto comunitario e
nella preoccupazione di ridurre il più possibile il rischio di una perdita di gettito
derivante da condotte fraudolente spesso basate sul superamento del confine
comunitario93.
Vds. il contributo di A.F. Uricchio. Si veda, altresì, S. Armella, I. Solari, I controlli in materia doganale,
in V. Uckmar – F. Tundo (a cura di), Codice delle verifiche tributarie, Cit., 379, ss.
93
La peculiarità del presupposto soggettivo dell’Iva è stata da tempo evidenziata da N. d’ Amati, Diritto
Tributario, II, 2000, 187, ss., con il superamento delle conclusioni raggiunte da autorevoli correnti di pensiero (L.V. Berliri e E. Vanoni). Muovendo dall’assunto secondo cui «del tutto impossibile risulta l’impiego di tali elaborazioni nella ricostruzione della soggettività dell’imposta sul valore aggiunto che presenta
aspetti irriducibili agli schemi finora sperimentati», l’A. osserva gli elementi di estraneità della disciplina
del tributo rispetto all’esperienza giuridica interna e perviene all’individuazione della soggettività nella
92
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
205
Ciò posto, anche i meccanismi applicativi dell’Iva e la collaborazione amministrativa tra gli Stati membri nell’accertamento e riscossione dell’imposta
acquistano rilevanza nella nostra ricerca dal momento che l’esportazione o l’importazione tra Italia ed Albania costituiscono vicende rilevanti nella logica del
tributo, generando un diritto di detrazione a fronte di operazioni non imponibili
per difetto del presupposto territoriale (è il caso delle esportazioni a destinazione di un territorio terzo o di un Paese terzo e di altre operazioni connesse ai
trasporti internazionali o assimilate alle esportazioni) ovvero configurandone
il presupposto (importazioni all’interno del territorio comunitario da chiunque
effettuate)94. Il che rende, in primis, applicabile anche ai traffici tra i due Stati
l’apparato di norme attraverso cui l’Unione Europea ed i Paesi membri tentano,
con fatica, di arginare il rischio di condotte fraudolente e la conseguente perdita
di gettito.
Va però segnalato, fin d’ora, il limite di questo sistema che dipende dalle finalità stesse cui è diretto e dagli indicatori di pericolosità che utilizza per
orientare le attività di contrasto alle frodi; tali parametri, infatti, si rivelano inadeguati ad intercettare i traffici di rifiuti tra le due sponde dell’Adriatico, essendo piuttosto funzionali a smascherare operazioni inesistenti e a definire il profilo
tipico dei soggetti economici che ad esse generalmente ricorrono. è altresì vero,
però, che proprio le procedure di controllo che caratterizzano il circuito dell’Iva
possono rivelarsi particolarmente utili a ricostruire le reti di ruoli che governano
tali attività criminose e ad identificare i relativi soggetti e le sovrastanti organizzazioni che traggono beneficio dall’attraversamento delle merci, in entrata o in
uscita, del territorio dell’U.E, vero o fittizio che sia.
Una breve premessa sulle patologie che maggiormente interessano il
funzionamento e la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto (soprattutto
situazione, secondo la concezione Kelseniana (Cfr. H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, Torino, 1966,
192, ss.). Nel confronto tra le varie impostazioni proposte, questa sembra essere, ancora adesso, l’unica
chiave di lettura possibile dell’art. 17 del dPR 633/72, essendovi piena confluenza dei risultati dell’indagine
svolta sull’elemento soggettivo dei tributi armonizzati con l’affermazione di N. d’Amati secondo cui «una
ricostruzione più consapevole del meccanismo dell’Iva deve necessariamente tener conto dell’intreccio
tra gli aspetti formali e gli aspetti sostanziali della situazione tributaria».
94
Secondo la Sentenza Sent. CGCE del 27 settembre 2007, resa nella causa C-409/04 (caso “Teleos e altri”): «Le nozioni di cessione intracomunitaria e di acquisto intracomunitario hanno un carattere obiettivo
e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi e la loro qualificazione sia effettuata in base ad elementi oggettivi, quale l’esistenza di un movimento fisico dei beni di cui
trattasi fra Stati membri. Conseguentemente, la disciplina dell’esenzione diventa operativa nel momento
in cui il diritto di proprietà è trasmesso al cessionario, il bene sia stato spedito o trasportato e quindi abbia
fisicamente lasciato lo Stato membro di origine».
206
Selicato
nelle operazioni transnazionali) consentirà di cogliere appieno le opportunità
offerte dall’attuale sistema dei controlli. Con la descrizione delle regole di
attuazione del suo prelievo, invece, ci si propone di chiarire in quali situazioni
la frode fiscale possa sovrapporsi all’illecito trasferimento di rifiuti, potendosi
in alcuni casi erodere il confine tra violazione del diritto dei tributi e crimine
ambientale.
4.4.1.Le frodi nel sistema dell’Iva e la loro possibile connessione con i
traffici di rifiuti: fattispecie tipiche e strumenti di contrasto, tra soluzioni legislative ed attività di controllo
Dando per noti la funzione economica ed il meccanismo applicativo
dell’imposta sul valore aggiunto, ci si limita a segnalare come una delle caratteristiche peculiari del tributo risieda proprio nella fisiologica posizione creditoria
in cui l’operatore economico si trova nei confronti del fisco. Il congiunto operare del meccanismo di rivalsa/detrazione e dei crediti Iva relativi ad operazioni
che, sebbene non imponibili, danno comunque diritto alla detrazione dell’imposta, espongono il tributo a una serie di frodi cui risulta difficile contrapporre
rimedi efficaci95. Tali fenomeni, peraltro, si verificano con particolare frequenza
proprio all’interno dei confini dell’U.E. dal momento che, a dispetto dei propositi di transitorietà del regime di tassazione delle operazioni intracomunitarie
nel Paese di destinazione96, il criterio della tassazione nel Paese di origine non
è ancora entrato in vigore rendendo di fatto le cessioni di beni e le prestazioni
di servizi effettuate tra due Stati membri equivalenti a quelle che attraversano i
confini dell’Unione Europea97.
Soffermandosi sulle situazioni che potrebbero assumere rilevanza per gli
Le dimensioni del fenomeno, secondo lo studio “Combating VAT fraud in the EU — the way forward”
pubblicato nel marzo del 2007 dall’International VAT Association, avrebbero ormai raggiunto livelli
preoccupanti, con perdite di gettito stimate tra i sessanta ed i cento miliardi di euro annui. I minori introiti
si ripercuotono, simultaneamente, sulle finanze degli Stati membri e sul bilancio dell’Unione Europea che
ha integrato il tributo nel sistema delle risorse proprie comunitarie.
96
Ci si riferisce al regime transitorio di tassazione degli scambi intracomunitari di beni, disciplinato dal
Titolo XVI-bis della VI Direttiva CEE, così come modificata dalla Direttiva 16 dicembre 1991, n. 91/680/
CEE.
97
In argomento si veda R. Baggio, Il principio di territorialità e le esportazioni, in F. Tesauro (a cura)
Giur. sist. di dir. trib., L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 792. Per un esame delle conseguenze
impositive delle importazioni e delle esportazioni in ambito Iva si veda P. Palma, I depositi Iva quali
strumenti di pianificazione fiscale, in Fisco, 2006, 1-994, ss., ove viene accuratamente approfondita la
funzione di tali depositi.
95
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
207
obiettivi del presente lavoro, il fenomeno più diffuso è sicuramente quello delle
operazioni c.d. inesistenti i cui effetti coinvolgono anche le vicende reddituali
con conseguenze che non possono, però, essere approfondite in questa sede98.
Limitatamente all’imposta sul valore aggiunto le operazioni inesistenti possono
rilevare sia sotto il profilo oggettivo (l’operazione non è mai esistita) che sotto quello soggettivo99 (l’operazione è avvenuta tra soggetti differenti da quelli
indicati in fattura100), dando luogo a fenomeni diversificati ma ugualmente rientranti nel concetto di frode contenuto all’art. 280 del Trattato U.E.
Sulle operazioni inesistenti e sull’ambiguità di tale nozione, vd. R. Lupi, Imposta sul valore aggiunto
(voce), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, XVI, 19. Per una comprensione della nomenclatura – sempre
più ampia e peculiare – cui il legislatore comunitario fa riferimento nella descrizione e per la repressione di
tali fenomeni, si segnala la recente espressione “operatore scorretto” (missing trader), contenuta nell’art. 2
del Reg. CE 1925/2004, che designa l’operatore cui è stata attribuita una partita Iva il quale, con intenzioni
potenzialmente fraudolente, acquista o simula di acquistare beni o servizi senza corrispondere il tributo per
poi fornirli fatturandone l’Iva che non verrà però corrisposta alle competenti autorità nazionali.
99
Cfr. I. Caraccioli, Interposizione e norme antifrodi in materia di Iva: profili penali, in Fisco, 2006,
1-2156, che sostiene l’incompatibilità del reato ex art. 416 C.p. con i reati di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ex art. 9 del d.lgs. n. 74/2000 (che escluderebbe il concorso tra emittente ed
utilizzatore). Contra, G. Izzo, Associazione per delinquere e frodi carosello in tema di Iva, in Fisco, 2006,
1-4059, secondo cui «…l’associazione per delinquere acquista rilevanza penale già nella fase che precede l’attuazione del programma criminoso…», dal momento che la legislazione penale consentirebbe di
affermare che «la responsabilità per la partecipazione al sodalizio criminoso può essere affermata anche
se l’associato è rimasto estraneo alla realizzazione dei reati scopo». Dunque: «Se…il reato associativo
si perfeziona indipendentemente dall’attuazione del programma criminoso e dal concorso nei reati fine,
non si vede perché dovrebbe ritenersi incompatibile l’associazione per delinquere finalizzata alle frodi
carosello in ragione del fatto che gli associati siano eventualmente inibiti al concorso reciproco nei reati
scopo ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 74/2000».
100
Le fattispecie rientranti nelle operazioni soggettivamente inesistenti sono molteplici e danno luogo,
ancora adesso, a delicati problemi in ordine alla responsabilità gravante sul terzo acquirente in buona
fede. Ricollegandoci alle posizioni assunte dalla Cassazione (Sent. n. 22882/2006), le operazioni soggettivamente inesistenti andrebbero riferite «ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua
espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni
entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, venga accertato che uno o
entrambi i soggetti siano falsi (Cass. n. 6378/2006, n. 5719/2007)». Sempre secondo gli stessi giudici, in
tale caso, come nell’ipotesi delle operazioni oggettivamente inesistenti, «non si realizza l’ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né i presupposti del
diritto alla detrazione di cui all’art. 19, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come è confermato
anche dal combinato disposto dei successivi artt. 21, comma 7, e 26, comma 3, dello stesso decreto del
Presidente della Repubblica (Cass. 22882/2006)” ». Dal che dovrebbe desumersi l’indetraibilità dell’Iva
corrisposta dal cessionario in buona fede, secondo un orientamento della Suprema Corte che può ritenersi
ormai consolidato almeno in riferimento alle c.d. “frodi carosello” (da ultimo vd. Sent. n. 22555 del 26
ottobre 2007 – con nota di F. Bitonti, in Fisco Oggi, rivista telematica dell’Ag. Entrate del 14 dicembre
2007 - secondo cui: «se l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di
fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, i
quali non possono provenire da un soggetto inesistente (Cass. N. 1727/2007, n. 1950/2007, n. 1569/2007,
n. 6341/2002, n. 13605/2003); in mancanza di tale prova legittimante l’Ufficio procede a recuperare l’im98
208
Selicato
La circolazione fittizia di beni tra diversi Stati può quindi configurare
«triangolazioni» dirette non già a realizzare normali operazioni di commercio
internazionale asservite all’effettivo scambio di beni e servizi tra soggetti residenti in due o più Stati101, bensì finalizzate esclusivamente a generare crediti Iva
per le società coinvolte102. Conseguenze particolarmente nefaste per l’erario e
per le finanze dell’U.E. vanno ricondotte alle c.d. “frodi carosello”, in cui una
società pone in essere acquisti intracomunitari da società cartiere senza versare
l’Iva ma addebitando l’imposta al proprio cliente nazionale (o a soggetti interposti) nella successiva rivendita dei medesimi prodotti103. Aldilà degli effetti
posta detratta…»). Il tenore delle argomentazioni dei Giudici di Legittimità ed il consolidarsi del loro
orientamento sembrerebbero però trascurare alcune recenti indicazioni della Corte di Giustizia UE che –
nella sentenza sul caso “Teleos e altri” (già citata) – ha ritenuto di dover tutelare la buona fede del cedente
che abbia fornito prova della sua estraneità al disegno criminoso. Peraltro, la stessa Cassazione ha fornito,
in passato, argomenti a sostegno della deducibilità dei costi derivanti da documenti mendaci (si veda, in tal
senso, Cass. n. 19353/2006, con nota di M. Di Siena, Operazioni soggettivamente inesistenti e detraibilità
dell’Iva, in Rass. Trib., 2007, 198, ss.). Per una puntuale ricostruzione della controversa esperienza
giurisprudenziale interna e sull’irrilevanza del «solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale senza altro
obiettivo economico», vd. F. Paparella, Un’architettura contrattuale fondata sull’istituzione di un trust
e la valutazione in termini di “abuso del diritto nel sistema” dell’Iva, in Trusts e att. fid., 2007, 563, ss.
101
Le triangolazioni extra-Ue (ovvero quelle cui partecipa un soggetto non residente nella Comunità Europea, mentre gli altri due soggetti risiedono in un Paese comunitario) costituiscono vicende del tutto normali nelle dinamiche commerciali odierne purché, ovviamente, ad esse corrispondano trasferimenti reali
di beni tra i soggetti indicati nelle fatture (in tali operazioni il trasporto viene effettuato a cura o a nome
del cedente anche su incarico del cessionario). Per una loro disamina si rinvia alla Circ. 23 febbraio 1994,
n. 13, del Ministero delle Finanze, che, a pag. 39 e ss., descrive la casistica delle operazioni triangolari
con intervento di soggetto residente al di fuori del territorio comunitario (individuando le distinte ipotesi
dell’operatore italiano fornitore dei beni, promotore della triangolare ovvero destinatario finale dei beni).
Alla stessa circolare si rinvia per l’approfondimento del regime fiscale applicabile alle triangolazioni nazionali (due operatori residenti in Italia e uno in un altro paese Ue) e comunitarie (tre operatori residenti
in tre diversi paesi Ue).
102
Una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Prato, depositata il 18 gennaio 2008,
ha ad esempio censurato una rete di cessioni fittizie di beni tra alcune società italiane ed inglesi attraverso
un sistema in cui una società italiana esportava beni verso una società inglese la quale, a sua volta, li rivendeva ad una terza società. Tali operazioni avvenivano, di norma, nello stesso giorno così come, sempre
nello stesso giorno, gli stessi beni – che in realtà non si erano mai mossi dal magazzino della prima società
– venivano ulteriormente ceduti a una “scatola vuota” italiana che si affrettava a rivenderli proprio alla
prima società del circuito. Il risultato economico di queste operazioni, tra di loro concatenate, si risolveva,
ai fini Iva, in un diritto di rimborso per la prima cedente, la cui maturazione, però, discendeva da operazioni
del tutto fittizie.
103
Nella Comunicazione della Commissione europea del 31 maggio 2006 rivolta al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia
coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale, si riconosce che «la frode dell’IVA assume
molte forme, che vanno dall’economia parallela alla frode interna agli Stati membri (false dichiarazioni,
deduzioni eccessive). Esiste una frode particolare, detta “frode carosello”, che sfrutta generalmente la
combinazione di operazioni all’interno di uno Stato membro (con reclamo dell’IVA) e di operazioni intracomunitarie (senza reclamo di IVA tra i contraenti). Di recente, si osserva anche l’implicazione sempre più
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
209
distorsivi della concorrenza derivanti dall’immissione di un bene sul mercato
nazionale ad un prezzo inferiore a quello normalmente praticato, resa possibile
proprio dall’omesso pagamento dell’Iva, la scomparsa della prima società configura un grave danno per le casse erariali (incasso dell’Iva in uscita e mancato
versamento dell’Iva in entrata), cui si aggiunge quello derivante dalla successiva richiesta di rimborso Iva della seconda società (che avrà portato in detrazione
l’imposta pagata nella propria fornitura ad un ulteriore cliente)104.
Va in proposito rimosso l’equivoco, in cui spesso si incorre, di ritenere
irrilevanti ai fini che ci occupano (traffici tra Italia ed Albania) le operazioni intracomunitarie ed i corrispondenti istituti da poco introdotti per contrastarne le
frodi. I traffici tra le opposte sponde dell’Adriatico possono infatti costituire un
semplice segmento di un’operazione fiscalmente rilevante nella disciplina del
tributo che potrebbe, peraltro, coinvolgere esclusivamente operatori nazionali o,
al più, comunitari: si pensi, ad esempio, alla tipica fattispecie dell’esportazione
“diretta”, descritta dall’art. 8, comma 1, lett. a), del dPR. n. 633/72, in cui la cessione rilevante ai fini Iva può avvenire tra un operatore ed un cliente italiano105.
Ciò che riconduce tali vicende alla sfera del presente approfondimento è la mera
circostanza che la consegna dei beni ceduti avviene al di fuori del territorio comunitario, a prescindere dal fatto al trasporto provveda lo stesso cedente ovvero
un terzo (spedizioniere, vettore, ecc…)106.
frequente di operatori stabiliti in Paesi terzi». Per approfondimenti sulla dinamica delle frodi carosello e
sulle loro conseguenze economiche e fiscali vd. M. Peirolo, Frodi carosello in ambito intracomunitario e
le recenti misure di contrasto allo studio della Commissione UE, cit.. Per comprendere, invece, le dimensioni del fenomeno e la sua complessa articolazione può osservarsi quanto segnalato da Eurojust nel marzo
2007 in ordine ad un caso di frode internazionale IVA a carosello per un importo stimato di 2,1 miliardi
euro in cui sono coinvolti 18 Stati membri.
104
Tali meccanismi possono diventare più insidiosi ove la condotta fraudolenta si avvalga di altri istituti
tipici del sistema dell’Iva, come l’acquisto in sospensione d’imposta previsto per gli “esportatori abituali”
al fine di evitare situazioni creditorie croniche nei confronti del fisco (per approfondimenti vds. S. Mogorovich, Gli adempimenti degli esportatori per la corretta determinazione del plafond per gli acquisti agevolati, in Impresa c.i., 2006, 1113, ss.). Pur con le cautele adottate dalla Finanziaria 2005 (comunicazioni
telematiche delle dichiarazioni d’intento ad avvalersi del regime speciale e sanzioni più gravose), la facoltà
concessa ad alcuni operatori di acquistare beni e servizi senza pagamento di imposta nei limiti dell’ammontare delle esportazioni effettuate nei dodici mesi precedenti può indebolire sensibilmente i controlli nel
caso in cui le frodi coinvolgano detti soggetti.
105
Sul concetto di cessione all’esportazione e sulla rilevanza che lo stesso assume nel sistema dell’Iva,
vd. R. Portale, Imposta sul valore aggiunto, 2007, Milano, 199, ss., che conduce un approfondito esame
dell’ampia casistica rientrante nelle previsioni dell’art. 8, dPR n. 633/72.
106
Peraltro la riferibilità alle cessioni all’esportazione delle stese ipotesi di frode che interessano le operazioni intracomuniatrie non sembra poter essere messa in dubbio. In proposito vd. M. Peirolo, Frodi
carosello in ambito intracomunitario e le recenti misure di contrasto allo studio della Commissione UE, in
Fisco, 2006, 1-5010, secondo cui: «Come indicato nella comunicazione COM (2006) 254 del 31 maggio
210
Selicato
Le condotte fraudolente brevemente descritte possono quindi interessare anche la circolazione (reale o presunta) dei rifiuti tra l’Italia e l’Albania
dal momento che, ove con la loro esportazione dovesse sorgere un diritto alla
detrazione del tributo, all’eventuale fittizietà dell’operazione potrebbe corrispondere il duplice beneficio del credito fiscale e dell’occultamento della reale
destinazione dei beni/rifiuti107. In tal caso, anche a seguito del ritrovamento
di tali beni, diverrebbe più difficile ricondurne la titolarità all’impresa “finta”
esportatrice la quale, anzi, esibirebbe regolare documentazione relativa alla
cessione effettuata e si avvarrebbe della prevedibile corrispondenza tra contabilità e trattamento fiscale applicato. Gli stessi controlli, peraltro, avrebbero
minori occasioni di innesco, atteso che, sebbene solo cartolarmente, il ciclo
dello smaltimento dei rifiuti o residui di lavorazione risulterebbe regolarmente
effettuato.
Con la doverosa segnalazione che, anche in materia di Iva, come già osservato per la classificazione doganale, sono poche le norme che consentono
di risalire alla caratteristica di “rifiuto” di un bene, le premesse appena svolte
suggeriscono di accennare ad alcuni profili della disciplina fiscale di tali merci:
a) l’attuale perimetro di applicazione del reverse charge, noto strumento di
contrasto delle frodi in materia di Iva i cui effetti neutralizzano la convenienza fiscale della fittizia esportazione (anche) dei rifiuti108;
b) la struttura dei controlli su tali operazioni, svolti in forma congiunta dalle
2006 (paragrafo 2.1), le “frodi carosello” coinvolgono sempre più spesso anche gli operatori
extracomunitari. In questi casi, la frode viene perpetrata ricorrendo al deposito Iva, disciplinato dall’art.
50-bis del d.l. n. 331/1993, la cui istituzione recepisce i principi comunitari contenuti nell’art. 16 della VI
Direttiva CEE e risulta finalizzata, in particolar modo, ad evitare che ai beni comunitari venga riservato
un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello previsto per i beni provenienti dai Paesi “terzi”».
107
I quali ben potrebbero finire, ad esempio, in una discarica abusiva.
108
Invero la lotta alle frodi Iva si avvale anche di altri strumenti, di cui non può omettersi almeno una breve
elencazione. Si tratta della previsione di ipotesi di responsabilità solidale tra cedente e cessionario in riferimento alle cessioni di taluni beni e al verificarsi di specifiche condizioni (nuovo art. 60-bis del dPR 633/72
introdotto dalla Finanziaria 2005, su cui si veda A. Marcheselli, Presunzioni a catena e motivazioni per
relationem sulle c.d. frodi carosello nell’Iva, in Riv. Giur. Trib., 2005, 683, ss.), ovvero dell’impossibilità,
per le società non operative, di fruire del rimborso Iva, ovvero ancora della necessità di fideiussione per le
richieste di rimborso da parte di talune tipologie di contribuenti individuati con apposito Decreto ministeriale. Particolare efficacia dissuasiva va poi riconosciuta alle nuove fattispecie delittuose di omesso versamento o indebita utilizzazione in compensazione dell’Iva ex artt. 10-ter e 10-quater del d.lgs n. 72/2000.
Gli istituti appena descritti non sembrano però acquistare grande importanza nelle strategie di contrasto
dei traffici illeciti di rifiuti, dovendosi invece riconoscere principalmente al reverse charge ed alla cooperazione amministrativa di carattere informatico e tradizionale l’efficacia dissuasiva dei reati in questione.
Un ruolo fondamentale, come vedremo, è giocato proprio dal costante aggiornamento dei metodi di controllo transnazionale di tali fenomeni, per lo più basati sui indicatori di pericolosità che anche il sistema
informatico utilizza.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
211
Agenzie fiscali (delle entrate e delle dogane) e dalla Guardia di finanza,
con ampio ricorso allo scambio di informazioni, la cui influenza sul comportamento degli operatori è facilmente immaginabile. Proprio l’obiettivo di contrastare il crescente fenomeno delle frodi nella riscossione del
tributo alimenta, del resto, una produzione normativa e strategie di cooperazione che affinano sempre più tali controlli, rivolgendoli soprattutto
all’attraversamento dei confini comunitari da parte di determinati operatori (generalmente a prescindere dalla natura delle merci trasportate) ed
il cui asse portante, nel modello vigente, è rappresentato dalle anomalie
riscontrate dai sistemi informatici.
4.4.2.Il debole deterrente del reverse charge e la sua limitata applicazione
ai traffici di rifiuti tra Italia ed Albania
Rispetto al primo argomento va riconosciuta una progressiva espansione
dell’ambito oggettivo di applicazione del reverse charge che si traduce in una
diversificazione della sua funzione all’interno del sistema. Il meccanismo in
esame, anche detto “inversione contabile”, trasferisce tutti gli adempimenti tipici del sistema dell’Iva (fatturazione, registrazione e versamento del tributo) in
capo ai cessionari o committenti, sovvertendo la regola-base contenuta all’art.
17, primo comma, dPR n. 633/72, che pone tali obblighi in capo al cedente o al
prestatore109.
Dall’esame dello sviluppo che l’istituto ha avuto nel nostro ordinamento emerge con chiarezza la sua progressiva transizione da strumento diretto a
garantire il normale funzionamento del tributo in ipotesi di operazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, privi di rappresentante
fiscale in Italia e non identificati direttamente ai sensi dell’art. 35-ter del dPR
n. 633/72110, a meccanismo prevalentemente rivolto a “disinnescare” il rischio
Dal punto di vista procedurale il cedente/prestatore è tenuto ad emettere la fattura senza applicazione
dell’Iva, indicandone la motivazione con espresso riferimento alla disposizione che determina l’inversione
contabile. Il cessionario/committente, a sua volta, dovrà integrare la fattura, indicandovi l’aliquota
normalmente applicabile e la relativa imposta. Sarà lo stesso cessionario /committente a provvedere
pertanto all’annotazione della fattura sia sul registro delle fatture emesse che su quello degli acquisti.
L’importo del tributo concorrerà così alla liquidazione periodica Iva del cessionario/committente, sebbene
risultando sia a debito che a credito.
110
Si tratta del meccanismo meglio noto con il termine di “autofattura” (art. 17, co. 3, dPR n. 633/72), che
rappresenta l’origine dell’istituto e che intende evitare – all’interno di operazioni Business to Business – il
mancato adempimento degli obblighi Iva e la conseguente impossibilità di perseguirne il responsabile in
quanto privo di sufficienti collegamenti con il territorio dello Stato. Si tratta, dunque, di una soluzione
109
212
Selicato
delle più frequenti frodi in materia di Iva, eliminandone in radice la convenienza fiscale111. Nel corso degli anni, infatti, l’inversione contabile è stata gradualmente estesa agli acquisiti intracomunitari effettuati da soggetti passivi Iva
che agiscono in quanto tali112, nonché alle operazioni effettuate dai soggetti non
residenti i quali, pur avendo nominato il proprio rappresentante fiscale in Italia
ovvero direttamente identificati nel nostro Paese, effettuino le prestazioni indicate all’art. 7, comma 4, lett. d), del dPR n. 633113. Ma soprattutto, l’istituto ha
finito per interessare le operazioni interne, perdendo la sua logica strutturale ed
assumendo connotazioni tipiche di uno strumento di contrasto alle frodi, che si
legislativa che tende a garantire il corretto funzionamento del tributo e che conferisce al reverse charge
caratteri “strutturali”.
111
L’efficacia del meccanismo, sotto questo aspetto, risiede nel fatto che non avviene più il pagamento del
tributo, risolvendosi invece l’operazione in mere annotazioni contabili di segno opposto. La sua centralità
negli odierni assetti dell’Iva comunitaria può ricavarsi dall’esame di alcune indicazioni contenute nella
Dir. 112/06, di cui vanno segnalate soprattutto le considerazioni preliminari (sub. 42): «In determinati casi
gli Stati membri dovrebbero poter designare il beneficiario delle forniture di beni o delle prestazioni di
servizi quale soggetto debitore dell’imposta. Tale misura dovrebbe aiutare gli Stati membri a semplificare
le regole e a contrastare l’elusione e l’evasione fiscale in determinati settori e per taluni tipi di operazioni». L’indicazione assume consistenza nel successivo articolo 199, in cui viene elencata una vasta serie
di operazioni rispetto cui gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto
passivo. Aggiunge la norma che: «Quando applicano l’opzione di cui al paragrafo 1, gli Stati membri
possono definire le cessioni di beni e le prestazioni di servizi contemplate e le categorie di prestatori, cedenti, acquirenti o destinatari cui tali misure possono applicarsi», stabilendo, altresì, che «gli Stati membri
possono adottare le seguenti misure: a) esigere che il soggetto passivo che esercita altresì attività o effettua operazioni non considerate cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili ai sensi dell’articolo 2,
sia considerato soggetto passivo per le operazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo effettuate
nei suoi confronti; b) esigere che un ente di diritto pubblico che non è soggetto passivo sia considerato
soggetto passivo per le operazioni di cui al paragrafo 1, lettere e), f) e g) effettuate nei suoi confronti».
112
Estensione disposta dall’art. 38 del d.l. n. 331/93 in conformità con quanto disposto dall’art. 21 della VI
Direttiva Iva. Si intende così garantire – secondo una logica ancora una volta strutturale rispetto al sistema
– il pagamento dell’Iva nel Paese di destinazione.
113
Si tratta di un disposizione entrata in vigore dal 31 agosto 2002 e che si riferisce alle prestazioni di
servizi derivanti da: « contratti di locazione anche finanziaria, noleggio e simili di beni mobili materiali
diversi dai mezzi di trasporto, le prestazioni di servizi indicate al n. 2) del secondo comma dell’art. 3,
le prestazioni pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione
e di addestramento del personale, le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di radiodiffusione e di
televisione, le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, di elaborazione e fornitura di dati e
simili, le operazioni bancarie, finanziarie e assicurative e le prestazioni relative a prestiti di personale,
la concessione dell’accesso ai sistemi di gas naturale o di energia elettrica, il servizio di trasporto o di
trasmissione mediante gli stessi e la fornitura di altri servizi direttamente collegati, nonché le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all’obbligo di non
esercitarle, nonché le cessioni di contratti relativi alle prestazioni di sportivi professionisti, si considerano
effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti
ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in
Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità
economica europea».
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
213
rivolge alle operazioni ritenute maggiormente a rischio, ovvero: i subappalti in
edilizia (a meno che non siano rivolti ad un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori), le cessioni di fabbricati o di porzioni
di fabbricato strumentali di cui alle lettere b) e d) del numero 8-ter) dell’articolo
10, le cessioni di telefonini, personal computer e loro componenti ed accessori,
materiali e prodotti lapidei direttamente provenienti da cave e miniere. Ha poi
interessato, con finalità diverse e non riconducibili al contrasto alle frodi, le
cessioni imponibili di “oro industriale”114, nonché altri settori merceologici la
cui disciplina fiscale si presentava particolarmente complessa. È il caso delle
cessioni dei rottami e dei metalli non ferrosi rispetto alle quali, accanto alla
preoccupazione del legislatore italiano di tener conto dell’imminente scadenza
della deroga autorizzata dalla Commissione europea (31 dicembre 2003) che
consentiva l’esenzione da Iva di alcune operazioni, è emersa nuovamente la
necessità di contrastare le frodi115. Con l’art. 35 del d.l. n. 269/03, l’applicazione
del reverse charge alle cessioni di rottami e altri materiali di recupero ha perciò
realizzato il duplice obiettivo di non gravare un settore particolarmente delicato,
quale è quello indicato dall’art. 74 del dPR n. 633/72, del peso economico del
tributo (fino a quel momento non previsto in riferimento a molte operazioni) e di
fornire, al tempo stesso, una prima risposta all’esigenza comunitaria – oltre che
nazionale – di contrapporre soluzioni incisive alle patologie più diffuse nella
riscossione dell’imposta. Per effetto delle odierne previsioni dei commi 7 e 8
dell’art. 74 del dPR n. 633/72, a decorrere dal 2 ottobre 2003, il reverse charge
si applica, quindi, anche alle «cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli
ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, di
pelli, di vetri, di gomma e plastica, intendendosi comprese anche quelle relative agli anzidetti beni che siano stati ripuliti, selezionati, tagliati, compattati,
lingottati o sottoposti ad altri trattamenti atti a facilitarne l’utilizzazione, il trasporto e lo stoccaggio senza modificarne la natura». La disposizione coinvolge
L’applicazione del reverse charge all’oro industriale discende dalla Direttiva 98/80/CE che ha cercato
di mediare le contrapposte esigenze emerse nel dibattito comunitario sul riordino del mercato dell’oro,
notoriamente caratterizzato da profonde differenze nelle discipline statali. Il legislatore comunitario ha
optato per una soluzione che tenesse contestualmente conto delle esigenze dei Paesi maggiori produttori
di lavorati e semilavorati in oro (come l’Italia che si opponeva all’imponibilità di tali operazioni) e della
razionalità e coerenza del sistema, riconoscendo – a fronte di un’esenzione Iva dell’oro da investimento
e dell’applicazione del tributo all’oro industriale – il ricorso al meccanismo in esame che ha reso
economicamente neutra l’Iva gravante sulla cessione dei lavorati e semilavorati (con il reverse charge non
si ha infatti alcun esborso di Iva).
115
In argomento si veda R. Pravisano, I rottami, cascami ed avanzi ai fini Iva: aspetti operativi e contabili,
in Fisco, 2006, 1-6255, ss.
114
214
Selicato
anche le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi di cui alle seguenti voci della
tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 2003:
a) ghise gregge e ghise specolari in pani, salmoni o altre forme primarie
(v.d. 72.01);
b) ferro-leghe (v.d. 72.02);
c) prodotti ferrosi ottenuti per riduzione diretta di minerali di ferro ed altri
prodotti ferrosi spugnosi, in pezzi, palline o forme simili; ferro di purezza minima in peso, di 99,94%, in pezzi, in palline o forme simili (v.d.
72.03);
d) graniglie e polveri, di ghisa greggia, di ghisa specolare, di ferro o di acciaio (v.d. 72.05);
nonché le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi di cui alle seguenti voci della
tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 1996:
a) rame raffinato e leghe di rame, greggio (v.d. 74.03);
b) nichel greggio, anche in lega (v.d. 75.02);
c) alluminio greggio, anche in lega (v.d. 76.01);
d) piombo greggio, raffinato, antimoniale e in lega (v.d. 78.01);
e) zinco greggio, anche in lega (v.d. 79.01);
e-bis) stagno greggio, anche in lega (v.d. 80.01);
e-ter) filo di rame con diametro superiore a 6 millimetri (vergella) (v.d.
7408.11);
e-quater) filo di alluminio non legato con diametro superiore a 7 millimetri (vergella) (v.d. 7605.11);
e-quinquies) filo di leghe di alluminio con diametro superiore a 7 millimetri (vergella) (v.d. 7605.21);
e-sexies) barre di ottone (v.d. 74.07.21).
Si tratta, come già evidenziato, di previsioni che acquistano particolare
importanza ai nostri fini dal momento che interessano beni la cui classificazione
può evidentemente includere rifiuti. Va comunque osservato, anche in riferimento a questi casi, che il reverse charge non opera in modo generalizzato,
richiedendo, nel rispetto della logica “B2B”, che il cessionario sia soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. Di modo che l’aggiramento del meccanismo appare possibile, anche in riferimento a eventuali traffici illeciti tra Italia
e Albania, con l’interposizione (quale cessionario nazionale) di un soggetto non
professionale cui conseguirebbe la disapplicazione del meccanismo anche nelle
operazioni interne. Un indicatore cui rivolgere particolare attenzione potrebbe
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
215
essere perciò individuato nella natura del cessionario nazionale dei beni rientranti nelle classificazioni di cui sopra.
Identica pericolosità mantengono i trasporti riferiti ad operazioni intracomunitarie o con l’estero, le quali sono di regola sottratte al reverse charge e
scontano l’applicazione dei normali criteri di tassazione. Le cessioni intracomunitarie, ad esempio, alla stregua delle cessioni all’esportazione, restano operazioni non imponibili, per quanto aventi ad oggetto rottami, scarti e semilavorati,
rispettivamente ai sensi dell’art. 41, co. 1, lett. a), d.l. n. 331/93 e dell’art. 8,
dPR. n. 633/72; anche gli acquisti intracomunitari di tali beni seguono le normali regole di tassazione stabilite dall’art. 42 del d.l. n. 331/93 restando circoscritta
l’applicazione del reverse charge alla sola ipotesi delle importazioni affettuate
da un soggetto passivo d’imposta116.
Si delineano, in tal modo, i limiti dell’utilizzo dell’inversione contabile
per la disincentivazione (quantomeno fiscale) del traffico illecito dei rifiuti, che
dipendono da una sostanziale divergenza degli obiettivi dell’ordinamento tributario con quelli della prevenzione dei reati in esame. Né possono attendersi
rapidi sviluppi della disciplina brevemente illustrata dal momento che, anche
nelle prospettive evolutive del sistema tributario, il reverse charge potrebbe finire per operare in riferimento ad alcuni soltanto dei beni suscettibili di occultare, nella loro classificazione, rifiuti. Infatti, sebbene il legislatore comunitario
nel 2006 abbia riconosciuto agli Stati membri ampia autonomia di deroga alla
regola-base contenuta nell’art. 21 della VI Direttiva (Debitori dell’imposta verso l’Erario), concedendo loro la facoltà di individuare il debitore d’imposta con
il soggetto passivo nei cui confronti talune operazioni – tassativamente indicate
dalla norma – sono effettuate, l’articolo 1 della Direttiva 2006/69/CE117 circoscrive l’ambito di applicazione dell’istituto ad operazioni solo in minima parte
riconducibili a quelle che ci occupano118. Ci si riferisce alle sole «cessioni di ma116
In tal senso R. Portale, Imposta sul valore aggiunto, cit., 1064, il quale si sofferma anche sul trasporto
dei rottami, osservandone il tendenziale assoggettamento a reverse charge nel caso in cui attenga le
operazioni cui tale meccanismo debba essere applicato. Osserva altresì l’A. come il trasporto di tali beni
abbandoni il regime dell’inversione contabile quando sia affidato ad un vettore terzo – invece che curato
direttamente dal cedente quale prestazione accessoria alla cessione – dal momento che in tal caso tale
prestazione acquista autonomia rispetto all’operazione assoggettata all’inversione contabile.
117
La Dir. 69/2006 modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di
semplificare la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l’evasione fiscale ed abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie.
118
Entro gli stessi limiti è costretto il settimo comma dell’art. 17 del dPR 633/72, introdotto dall’art. 1, co.
44, lett. b), della l.n. 296/06, che ha tenuto conto delle aperture del legislatore comunitario stabilendo la
possibilità di individuare con semplice decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ulteriori ipotesi
216
Selicato
teriali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di
avanzi, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto
riciclabili nonché di materiali di scarto parzialmente lavorati, e determinate
cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato M» le quali, pur
costituendo una categoria decisamente ampia119, non includono, ad esempio,
nessuna sostanza liquida. Identici limiti interessano la successiva Dir. 112/06
che, all’art. 199, adopera la stessa espressione per delimitare – in riferimento a
questi beni – l’applicazione dell’inversione contabile120.
Contributi alla soluzione dei descritti problemi potrebbero invece discendere dalle proposte formulate dal Consiglio ECOFIN del 5 giugno 2007 alla
Commissione Europea in ordine all’eventuale assoggettamento ad imposizione delle operazioni intracomunitarie121 ed alla possibilità di ricorrere, su base
facoltativa, ad un meccanismo di inversione contabile generalizzato. Si tratta
di misure di carattere strutturale e «di ampia portata» che non sembrano poter
di applicazione dell’inversione contabile rispetto a quelle già previste dalla vigente legislazione fiscale
(possibilità di cui il Ministero si è da subito avvalso prevedendo, con DM 25 maggio 2007, di applicare
il meccanismo del reverse charge, a decorrere dal 1 ottobre 2007, anche alle cessioni di fabbricati o di
porzioni di fabbricato strumentali di cui all’art. 10, primo comma, n. 8-ter), lettera d), del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633). Sebbene la norma renda ragionevole attendersi
contributi di diritto interno (e dunque limitati alle operazioni interne) all’auspicabile “neutralizzazione”
della convenienza fiscale di tali traffici (l’art. 17, settimo comma, prevede l’ulteriore estensione dell’ambito
di applicazione del reverse charge attraverso uno o più decreti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 3,
l.n. 400/88 e con l’apposita autorizzazione preventiva della Commissione), non va sottaciuta la sensazione
che un’impostazione simile possa contrastare con la natura comunitaria del tributo e con le Direttive che
definiscono rigorosamente i limiti dell’autonomia degli stati membri.
119
Si riporta l’elenco contenuto nel suddetto Allegato M alla Direttiva 2006/69/CE:
«a) Cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi o non ferrosi e
di loro leghe;
b) cessioni di prodotti semilavorati ferrosi e non ferrosi e prestazione di taluni servizi di lavorazione
correlati;
c) cessioni di residui ed altri materiali riciclabili costituiti da metalli ferrosi e non ferrosi, loro leghe,
scorie, ceneri, scaglie e residui industriali contenenti metalli o loro leghe, nonché prestazioni di servizi
consistenti nella selezione, nel taglio, nella frammentazione e nella pressatura di tali prodotti;
d) cessioni di rottami ferrosi e metalli di recupero nonché di ritagli, avanzi, cascami e materiali di recupero e riciclabili consistenti in residui di vetreria, vetro, carta, cartone e board, stracci, osso, cuoio, similpelle, pergamena, cuoi e pelli greggi, tendini e nervi, spago, corde e funi, gomma e plastica, e prestazione
di taluni servizi di lavorazione correlati;
e) cessioni dei materiali di cui al presente allegato dopo che sono stati sottoposti a talune trasformazioni
come ad esempio la ripulitura, la lucidatura, la selezione, il taglio, la frammentazione, la compressione o
la fusione in lingotti;
f) cessioni di cascami e avanzi provenienti dalla lavorazione di materiali di base».
120
A ben vedere, il limite del ragionamento comunitario risiede nell’impossibilità di adottare, da parte dei
singoli Stati membri, soluzioni suscettibili di incidere sulle operazioni con l’estero, rispetto alle quali ci si
sarebbe atteso (ed ancora ci si attende) un contributo di maggiore spessore da parte dei Bruxelles.
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
217
produrre effetti immediati nella lotta alle frodi Iva, almeno in base a quanto
contenuto nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e Parlamento
delle Comunità europee del 22 febbraio 2008, sulle «misure di modifica del
sistema Iva per combattere la frode» (SEC 249/2008), cui si rinvia per ogni
approfondimento122.
4.4.3.La cooperazione amministrativa in materia di Iva con particolare
riferimento allo scambio automatico di informazioni
Sul versante della collaborazione tra le autorità fiscali degli Stati membri, la dimensione e la complessità oggi assunta dai fenomeni fin qui osservati,
accanto alla loro prevalente natura transnazionale, alimentano una produzione
normativa e strategie di cooperazione che ci ricollegano alle questioni finora
trattate in riferimento agli altri tributi c.d. “armonizzati”. Esistono, tuttavia, per
l’Iva, apparati informativi e procedure peculiari che sono propri del sistema del
tributo, il cui rilievo ai nostri fini discende – anche in questo caso – dal contributo che potrebbero fornire alle indagini rivolte ai traffici di rifiuti e all’individuazione delle organizzazioni sottostanti123.
121
La proposta consiste nel lasciare inalterata la differenza di aliquote oggi esistente (responsabile della
mancata abrogazione del regime transitorio) ma sostituendo l’esenzione delle operazioni intracomunitarie con un’aliquota del 15%: «Se lo Stato membro di arrivo delle merci applica un’aliquota superiore
al 15%, l’IVA aggiuntiva spetterà a quest’ultimo; se lo Stato membro di arrivo delle merci applica
un’aliquota inferiore al 15% (alcuni Stati membri applicano una o più aliquote IVA ridotte o un’aliquota zero), lo Stato membro dell’acquirente accorderà un credito al soggetto passivo che effettua l’acquisto intracomunitario. Allo stesso modo, lo Stato membro di arrivo potrà riscuotere l’IVA derivante
da un’eventuale limitazione applicabile al diritto dell’acquirente alla detrazione dell’IVA a monte. Si
eviteranno in tal modo le distorsioni della concorrenza che potrebbero essere generate dalla diversità
delle aliquote IVA nazionali».
122
È sufficiente in questa sede osservare che, per quanto le due misure sembrino idonee a risolvere il
problema delle frodi carosello, non è ancora dato sapere quali possano essere le conseguenze di carattere economico ad esse collegate. Rispetto alla tassazione delle operazioni intracomunitarie l’analisi della
Commissione ha infatti rivelato «una serie di elementi positivi. Essa ha anche messo in evidenza alcune
riserve, ma nessuna tale da giustificarne l’esclusione». Meno convincenti sono invece apparsi gli esiti
degli approfondimenti sull’applicazione generalizzata del reverse charge, sul quale, a fronte degli indubbi
benefici per la riduzione della frode carosello intracomunitaria, la Commissione teme «che la procedura
di inversione contabile possa incidere negativamente sulle entrate degli Stati membri a causa di nuove
forme di frode».
123
Per un quadro d’insieme sull’argomento, vd. U. Di Nuzzo e F. Ruis, Prevenzione e repressione delle
frodi all’Iva: profili di criticità e prospettive operative, in Fisco, 2006, 1-2888, nonché E. Gattone e G.
Tiralongo, Lotta alla frode fiscale. L’Unione europea decisa a rafforzare la cooperazione tra Stati membri
e Paesi terzi per arginare il fenomeno della frode nel campo dell’Iva, delle accise e della fiscalità diretta,
in Fisco, 2006, 1-4193, ss.
218
Selicato
Muovendo dalle patologie del sistema, la Corte dei conti di Lussemburgo, nella Relazione dell’8 novembre 2007124, ha ribadito la necessità di una
maggiore cooperazione amministrativa per il contrasto alle frodi nel sistema
dell’Iva125. Tale esigenza è confermata dalla Commissione Europea che, in risposta alle osservazioni dell’Organo comunitario126, afferma: «…il quadro giuridico della cooperazione amministrativa nel campo dell’IVA è stato rafforzato,
ma gli Stati membri non utilizzano in maniera sufficiente le nuove possibilità
offerte e il livello di cooperazione amministrativa non è commisurato al volume degli scambi intracomunitari. La Commissione continua a incoraggiare
gli Stati membri a migliorare la loro cooperazione amministrativa nell’ambito
dell’attuale legislazione. I problemi (ad esempio, risposte tardive, mancanza di
risposte provvisorie, uso limitato delle possibilità legate alla presenza di funzionari fiscali in altri Stati membri, controlli simultanei e multilaterali) vengono
discussi nelle riunioni SCAC e nei seminari Fiscalis127». Ciononostante proprio
l’accertamento e la riscossione di questo tributo offrono l’occasione per una
cooperazione ormai collaudata tra i Paesi U.E., anche in ragione dell’esistenza
di appositi meccanismi di scambio di informazioni regolarmente utilizzati a fini
investigativi. Il principale strumento di raccordo delle Amministrazioni fiscali
è costituito dal sistema informativo introdotto dal Regolamento CEE n. 218/92
del 27 gennaio 1992, cui ha fornito attuazione il d.l. 30 agosto 1993, n. 331,
in base al quale, a decorrere dal 1 gennaio 1993, il controllo delle transazioni
commerciali in ambito comunitario e dei soggetti passivi IVA che le pongono in
124
Si tratta della Relazione speciale n. 8/2007 “sulla cooperazione amministrativa in materia di imposta
sul valore aggiunto” presentata ai sensi dell’art. 248, par. 4, comma 2, CE.
125
Nelle conclusioni viene testualmente affermato che: «Nonostante le nuove disposizioni introdotte nel
2004, la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri nel campo dell’IVA non è ancora abbastanza intensa per poter affrontare in maniera adeguata le evasioni e le frodi intracomunitarie in materia
d’IVA».
126
La sintesi delle risposte della Commissione alla relazione della Corte dei conti europea è pubblicata
sulla GUCE C 20/20 del 25 gennaio 2008.
127
“Fiscalis” è un programma d’azione comunitario pluriennale per migliorare il funzionamento dei sistemi d’imposizione nel mercato interno mediante sistemi di comunicazione e di scambio di informazioni, controlli multilaterali, scambi di personale, seminari ed altre attività di formazione. La Decisione n.
2235/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2002, istitutiva del programma,
non riguarda soltanto l’imposta sul valore aggiunto, ma anche le accise su alcole, tabacchi lavorati e oli
minerali, le imposte sul reddito e sul patrimonio e le imposte sui premi assicurativi. La dotazione finanziaria per l’attuazione del programma per il periodo 2003-2007 era pari a 67,3 milioni di euro. Per eventuali
approfondimenti vd. G. Tiralongo, Unione europea: al via il programma Fiscalis 2007, in Fisco, 2002,
1-6826, ss, nonché la Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’utilizzo
degli accordi di cooperazione amministrativa nella lotta antifrode in materia di IVA del 26 aprile 2004
(COM 2004/260).
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
219
essere avviene sulla base dell’archivio informatico noto come Vat Information
Exchange System (VIES)128.
L’archivio, cui hanno accesso diretto l’Agenzia delle entrate, quella delle
dogane e la Guardia di finanza (istituzioni ugualmente coinvolte nella lotta alle
frodi fiscali in materia di imposta sul valore aggiunto129), fornisce in tempo reale i dati identificativi degli operatori intracomunitari e l’ammontare delle loro
operazioni, individuandone analiticamente clienti e fornitori. Il VIES presenta,
però, alcuni limiti che sono stati almeno in parte annotati in dottrina con il rilievo di una possibile «imprecisione e/o inesattezza dei dati rilevabili, talvolta
derivanti da procedure diversificate mediante le quali gli Stati hanno elaborato gli elementi in loro possesso»130; ovvero della possibilità di “falsi allarmi”
128
Lo stesso Regolamento 218/92/CE ha previsto altresì l’istituzione degli Uffici Centrali di Collegamento
(Central Liaison Office - C.L.O.) tra i Paesi membri, cui è affidato il compito di assicurare una efficace rete
di cooperazione amministrativa basata sui meccanismi tradizionali della procedura di scambio di informazioni a richiesta. In proposito si rinvia alla direttiva ministeriale n. 368 del 7 gennaio 1994 che ripartisce
le competenze di coordinamento e direzione operativa delle attività di cooperazione amministrativa tra il
CLO (per l’assistenza su richiesta ex art. 5 del Reg. n. 218/92/CEE) e la Guardia di finanza, il Se.C.I.T., e
l’Agenzia delle Entrate e delle Dogane (per le questioni di interesse bilaterale tra due Paesi membri ex art.
12 del Reg. n. 218/92/CEE ).
129
Va precisato che, in materia di Iva intracomunitaria, l’Agenzia delle dogane è chiamata a svolgere poteri
di polizia tributaria, assolvendo funzioni di controllo simili a quelle previsti per l’Agenzia delle entrate.
Si veda, in argomento, l’art. 34 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. dalla l. 22 marzo 1995, n. 85, che
attribuisce «agli uffici doganali il potere di controllo in merito alle omissioni, irregolarità o inesattezze
dei Modelli INTRASTAT, riguardanti gli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie effettuate
dai contribuenti» (così P. Mercurio, Considerazioni a margine sui controlli effettuati dalle dogane in
materia di Iva intracomunitaria, in Fisco, 2006, 1-6064). Esistono, peraltro, atti di coordinamento delle attività condotte, su distinti fronti ed attraverso differenti uffici, dall’Amministrazione finanziaria e
suoi organi ausiliari, come è provato dalla Circ. n. 48/E dell’11 novembre 2005 della Dir. Accertamento
dell’Agenzia delle entrate che stabilisce un concerto tra le due Agenzie (entrate e dogane) e la Guardia
di finanza nell’azione di contrasto alle frodi all’iva intracomunitaria. La circolare intende realizzare procedure condivise che consentano di far fronte a specifiche problematiche operative emerse nel corso dei
controlli: 1. difficoltà di ripartire a monte i controlli nei confronti dei soggetti che hanno realizzato la frode,
stante la varietà delle fonti d’innesco; 2. difficoltà, per i verificatori non militari, di intervenire in alcune
situazioni in cui sia richiesto l’intervento delle forze di polizia; 3. sovrapposizione dei nuclei di verifica
delle tre istituzioni nel caso in cui il sistema di frode veda coinvolti più soggetti, localizzati in più parti del
territorio nazionale e individuati autonomamente - ma contemporaneamente - dagli organi di controllo; 4.
pericolo che, nel caso in cui i soggetti coinvolti nella frode individuata vengano sottoposti ad indagini da
parte dell’organo giudiziario, l’azione amministrativa in corso subisca un “blocco” temporale che potrebbe
compromettere il buon esito del controllo ai fini fiscali; 5. difficoltà, per i verificatori dell’Agenzia delle
entrate, di realizzare controlli completi nei confronti dei soggetti che effettuano frodi all’Iva attraverso il
sistema del “falso deposito fiscale”.
130
In riferimento a tali situazioni, A. Lovito e M. Serino, Il punto di vista delle indagini nelle frodi fiscali
comunitarie, in Fisco, 2005, 1-2623, ss., segnalano la possibilità che alcuni Paesi inseriscano «l’ammontare delle sole cessioni di beni di un loro operatore e non anche le prestazioni, risultando così valori
completamente diversi rispetto a quelli di altri Stati».
220
Selicato
collegati alla mancata rilevazione del cambiamento di denominazione e codice
identificativo Iva e conseguente segnalazione, da parte del sistema, della (errata) cessazione dell’attività economica in data antecedente all’effettuazione di
alcune operazioni imponibili131. A tale ultimo inconveniente si è cercato di porre
rimedio con l’accordo raggiunto nel giugno 2007 per chiarire l’interpretazione
della data di inizio e della data di cessazione delle attività dei soggetti passivi
nella base dati del sistema informatico, con successiva attivazione di un’interfaccia aperta che consente la verifica automatica dei numeri IVA.
Il sistema, inoltre, si appresta a divenire più efficiente con il passaggio al
c.d. “VIES II”, risultato di un’opera di studio e sperimentazione avviata nel 2004
e pervenuta all’individuazione di sei settori da sviluppare:
-
miglioramento della raccolta dei dati VIES;
-
miglioramento della qualità complessiva dei dati VIES;
-
inserimento nel VIES di servizi business to business (B2B);
-
sistema dello “sportello unico” (ovvero un sistema in cui viene data
all’operatore la possibilità di adempiere agli obblighi IVA per tutte le sue
attività nell’Unione europea esclusivamente presso lo Stato membro in
cui risiede);
-
scambio di formulari;
-
miglioramento dell’attuale funzionalità.
Nonostante si registrino già notevoli ritardi nell’entrata in vigore dei primi
moduli della riforma dello scambio automatico di informazioni, va riconosciuto
che l’impegno concreto della Commissione per l’ammodernamento dell’archivio informatico (il quale, nell’attuale versione, era destinato a durare soltanto
fino al 1997) lascia intravedere buone possibilità di un suo maggiore utilizzo
nelle future indagini132. Appare invece ancora scarso l’utilizzo degli strumenti
131
Sempre A. Lovito e M. Serino, Il punto di vista delle indagini nelle frodi fiscali comunitarie, cit., 2634,
segnalano la possibilità che alcuni Paesi inseriscano «l’ammontare delle sole cessioni di beni di un loro
operatore e non anche le prestazioni, risultando così valori completamente diversi rispetto a quelli di altri
Stati». Ulteriori limiti del sistema sono stati segnalati anche dalla Corte dei conti europea nella ricordata
Relazione speciale che denuncia i ritardi nella raccolta e nell’acquisizione di dati attendibili ed i problemi
per la rettifica dei dati inesatti che ne compromettono l’utilità. I giudici contabili osservano, inoltre, che:
«Il sistema contiene dati solo sulle cessioni ma non sugli acquisti intracomunitari. Ne risulta così limitata
la possibilità di effettuare controlli incrociati» (par. 100).
132
Si è sostenuto che, allo stato attuale, il VIES sarebbe uno «strumento spuntato nelle mani degli investigatori», dal momento che gli organi investigativi e di controllo lo hanno spesso utilizzato «come mero
strumento di supporto nelle indagini, utile soltanto per un preliminare screening orientativo, ma senza
tuttavia poter attribuire alle informazioni contenute nello stesso carattere di assoluta certezza e definitività» (così A. Lovito e M. Serino, Il punto di vista delle indagini nelle frodi fiscali comunitarie, cit., 2634).
Il giudizio non convince, dal momento che, sebbene con funzione meramente “orientativa”, già oggi il
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
221
messi a disposizione per i controlli multilaterali, «sebbene il programma Fiscalis metta a disposizione un finanziamento comunitario»133.
Deve, a questo punto, sollecitarsi il maggiore utilizzo delle informazioni
già disponibili134, nonché un più efficace dialogo tra le autorità nazionali che
condurrebbe all’individuazione di strategie d’indagine più coerenti con gli sforzi recentemente compiuti dalla Commissione europea. Si ritiene utile riportare,
di seguito, lo stralcio delle innovazioni riferite alla Corte dei conti europea,
nell’auspicio che dalla loro lettura provengano spunti operativi:
-
istituzione di un canale di comunicazione elettronica sicuro per gli scambi
di informazioni tra gli uffici locali nei diversi Stati membri a sostegno
delle comunicazioni decentrate;
-
messa a disposizione degli Stati membri di orientamenti esaustivi ed elaborazione di nuovi formulari elettronici in formato XML;
-
rafforzamento del dibattito, all’interno dei gruppi di progetto Fiscalis,
sull’istituzione di forme più strutturate di scambi d’informazioni per casi
specifici, ad esempio per quanto riguarda le vetture di seconda mano e le
importazioni;
-
istituzione di una piattaforma di controlli multilaterali e di un forum permanente per promuovere e ampliare i controlli multilaterali e per garantire
lo scambio delle migliori pratiche in relazione agli stessi;
-
emanazione di istruzioni e linee guida dettagliate per la comunicazione
delle statistiche sulla cooperazione amministrativa al fine di avere una
visione più completa del suo funzionamento;
-
introduzione di un meccanismo di feedback che potrebbe aumentare la
motivazione per lo scambio (spontaneo) di informazioni;
-
pubblicazione, ad opera della Commissione, di una valutazione della cooperazione amministrativa nel settore dell’IVA nel 2008. Questa valutazione conterrà inoltre un’analisi del funzionamento delle strutture nazionali
dei servizi centrali di collegamento negli Stati membri dell’UE.
VIES permette di individuare i collegamenti occulti tra operatori economici, con evidenti economie per
le indagini. Il suo incrocio con le risultanze delle indagini finanziarie e con altri elementi acquisibili con
gli strumenti della cooperazione amministrativa in materia di II.DD. consentono inoltre di organizzare le
indagini in modo più razionale.
133
Al par. 102 viene evidenziata anche una certa difficoltà ad intervenire sui fattori di rigidità dei sistemi interni, atteso che «La maggior parte delle proposte presentate dalla Commissione nell’ambito dello SCAC
(il comitato permanente per la cooperazione amministrativa), per migliorare lo scambio d’informazioni
tra gli Stati membri, non hanno avuto seguito (cfr. paragrafi 78-83)».
134
Così come indicato anche nella Circolare 2/E del 23 gennaio 2007, par. 2.
222
Selicato
Va da ultimo segnalato l’incoraggiamento, rivolto dalla Commissione agli
Stati membri, ad avvalersi maggiormente dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF)135.
Permangono alcune perplessità collegate alla struttura stessa delle frodi Iva. Gli odierni strumenti di controllo rispecchiano, infatti, un’impostazione
repressivo-sanzionatoria che riverbera scarsi effetti sulla prevenzione del diffuso fenomeno. Occorre, invece, evolvere le procedure di controllo verso modelli capaci di individuare indicatori di anomalia più precisi ed immediati, che
consentano di orientare l’attività investigativa sui soggetti e sui flussi di traffico
suscettibili di un più agevole coinvolgimento in tali dinamiche.
Il discorso si sposta, così, sul sistema interno dei controlli e sugli indicatori
di pericolosità su cui esso s’impernia, in buona parte rilevabili dalla lettura delle
circolari dell’Agenzia delle Entrate recanti gli indirizzi operativi annuali per la
prevenzione e contrasto all’evasione, anche nel comparto Iva. Tralasciando le
metodologie di selezione dei contribuenti da assoggettare ad accertamento ai
fini reddituali136, in materia di Iva l’attenzione può concentrarsi sulle istruzioni
impartite dall’Amministrazione finanziaria negli ultimi due anni. A tale proposito, la Circolare n. 2/E del 23 gennaio 2007 invita gli Uffici a prestare maggiore
attenzione al fenomeno delle frodi intracomunitarie, avvalendosi delle banche
dati e delle applicazioni informatiche a disposizione137 ma anche utilizzando in
modo più intenso la cooperazione internazionale attivabile attraverso l’apposito
ufficio istituito presso la Direzione centrale accertamento. Ciò, in particolare,
nei casi in cui le operazioni sospette siano effettuate da operatori nazionali direttamente o indirettamente con soggetti residenti all’estero, appartenenti o meno
agli Stati membri. Il documento di prassi, inoltre, sollecita il ricorso all’istituto
dello scambio spontaneo di informazioni, anche al fine di «innescare un circolo
virtuoso di flusso informativo con Paesi esteri».
La Circolare n. 6/E del 25 gennaio 2008, inoltre, sottolinea la necessità
Per comprendere la natura delle attività svolte dall’Organismo, anche in materia di contrasto alle frodi
fiscali, e le sue principali problematiche operative si veda la Relazione della Commissione europea del 2
aprile 2003, n. 154, sulla Valutazione delle attività dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode.
136
A proposito delle quali può essere comunque utile approfondire la Circolare n. 49/E del 9 agosto 2007
(e, in particolare, il suo allegato 2) avente ad oggetto l’ accertamento del reddito complessivo netto delle
persone fisiche determinato sinteticamente ai sensi dell’art. 38, quarto e quinto comma, del D.P.R. n.
600 del 1973. Il documento, infatti, approfondisce lo strumento delle segnalazioni centralizzate, fornendo
istruzioni operative e esplicando il funzionamento delle due liste selettive su cui il sistema si basa e delle
quali, ai nostri fini, può essere utile osservare la lista T “incrementi patrimoniali”.
137
Che dovrebbero consentire di individuare i soggetti interponenti nelle triangolazioni fraudolente e, in
generale, beneficiari delle operazioni fraudolente.
135
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
223
di proseguire con «l’accurata analisi di ciascuna realtà territoriale condotta
a livello locale unita agli elementi informativi presenti nelle banche dati a disposizione dell’Agenzia (ad esempio RADAR) nonchè alle risultanze di studi
e analisi effettuate da altri enti (ISTAT, Banca d’Italia, Unioncamere, ecc.)»,
traendo da tali studi i criteri-guida per l’individuazione dei fenomeni e delle
posizioni che presentano un elevato rischio di evasione. Elementi rilevanti nella
selezione dei contribuenti da assoggettare ad accertamento vengono poi individuati nell’incidenza sul totale delle operazioni della compensazione ai fini Iva
e nelle richieste di rimborso del tributo138. Da qui il suggerimento, pertanto, di
incrementare le attività di controllo delle posizioni che presentino l’esposizione
di crediti IVA apparentemente non coerenti con i dati economici dichiarati e
con i regimi normativi applicabili. Ma anche di quelle in relazione alle quali,
nell’ambito dell’attività di intelligence, siano stati rilevati comportamenti fraudolenti, ovvero che presentino dichiarazioni con un ammontare di fatturato non
coerente con l’ammontare degli acquisti e della manodopera impiegata.
Aldilà di quanto contenuto nelle richiamate circolari di indirizzo dell’attività accertativa, la formazione di altri indicatori di pericolosità fiscale degli
operatori Iva discende dall’esperienza diretta degli Uffici preposti ai controlli
fiscali che generalmente alimenta la copiosa prassi. La Circolare del 7 agosto
2000, n. 158/E, del Dipartimento delle entrate del ministero delle finanze, ad
esempio, indirizza i controlli nei confronti dei contribuenti che effettuano operazioni import-export con la Repubblica di San Marino sulla base di indici di
rischio che non sembrano aver perso di attualità e che, soprattutto, si prestano
ad essere adoperati anche nella selezione dei soggetti partecipanti ai traffici cui
la presente ricerca è rivolta:
-
screening degli importatori ed esportatori italiani con sede negli ambiti
territoriali di competenza, selezionando le posizioni che hanno effettuato
un volume di scambi superiore ad una soglia stabilita;
-
suddivisione delle posizioni per fasce di valore delle importazioni e delle
esportazioni;
138
Si tratta di un indicatore che emerge con chiarezza dalle indagini statistiche svolte in riferimento agli
F24 relativi alle liquidazioni Iva nelle principali macroattività economiche del triennio 2004-2006, che
evidenziano un incremento percentuale dell’IVA a debito pari a circa il 12% ed un incremento percentuale
delle compensazioni di crediti IVA pari a circa il 21%. Afferma la Circolare: «L’aspetto di immediata
evidenza riguarda il rilevante incremento delle compensazioni dei crediti IVA rispetto a quello dell’IVA
a debito. Tali incrementi, peraltro, non si manifestano in modo omogeneo in relazione ai vari settori
economici nè risultano essere sempre giustificabili in base ai dati economici ovvero ai regimi normativi
vigenti (aliquote differenziate, esportatori abituali, etc). L’individuazione di posizione anomale con
riferimento a tali parametri può rappresentare un utile criterio di selezione».
224
Selicato
-
selezione delle posizioni che, nell’ambito di ciascuna fascia, risultano interessate da più indici di rischio quali: a) mancanza di versamenti IVA
nell’arco di più anni; b) esposizione di consistenti crediti IVA; c) richiesta
di rimborsi IVA nel quadriennio, ovvero utilizzazione del credito in compensazione di altri tributi;
-
improvviso incremento rilevante del volume delle operazioni import-export;
-
acquisti da società “filtro” cessate e/o fallite;
-
chiusura dell’attività dopo breve periodo dalla costituzione;
-
società in fallimento o curatela fallimentare;
-
società in liquidazione;
-
attività economica non classificabile (N.C.A.) e/o non inerente al settore
merceologico della Società esportatrice straniera;
-
età del legale rappresentante o del titolare della Società non rispondente
ai parametri di “normalità” (particolarmente giovane o vecchio);
-
nazionalità estera del legale rappresentante o del titolare della Società;
-
variazione del numero di partita IVA (per cambio domicilio fiscale - denominazione - attività - etc.);
-
società controllante/controllata rispetto ad altre Società importatrici;
-
non congruenza tra gli acquisti ed il volume di affari;
-
scarso numero di addetti all’impresa in relazione alla rilevanza del volume di affari;
-
confluenze societarie - fusioni - scissioni - incorporazioni;
-
situazioni nelle quali il legale rappresentante della Società abbia svolto
ruoli di rilievo in altre Società che poi siano state dichiarate chiuse, liquidate ovvero fallite;
-
prossimità del termine di scadenza delle fideiussioni.
Altrettanto utili ed attuali appaiono ulteriori indicazioni fornite dalla stessa Circolare in ordine alla valutazione della solidità patrimoniale e della redditività delle imprese che prendono parte alle operazioni commerciali 139.
139
Si riporta testualmente: «Per concentrare ulteriormente l’attenzione sui soggetti di maggiore rischio,
può risultare opportuna anche una metodologia selettiva che utilizzi, oltre agli indici di pericolosità sopra
esemplificati, alcuni tra i più significativi indici di bilancio, utili a valutare la “solidità patrimoniale” e
la “redditività” dell’impresa. L’applicazione degli indici può infatti consentire l’emersione dei soggetti
caratterizzati da squilibri economici aziendali che, in concomitanza con altri elementi (ad esempio
l’articolazione dei collegamenti degli scambi), possono essere indicatori di finalità fraudolente. Sono di
seguito richiamati alcuni indici di bilancio di più utile applicazione:
- indici patrimoniali;
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
225
Meritano attenzione anche gli indici di pericolosità delle nuove partite Iva
attivate sul territorio italiano individuati (senza pretesa di esclusività) con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 21 dicembre 2006. Essi si
basano su informazioni ricavabili dall’Anagrafe tributaria:
-
età superiore ai 60 o inferiore ai 20 anni;
-
frequenti attivazione e chiusura in un breve lasso di tempo di partite Iva;
-
frequenti cambi di residenza in un breve lasso di tempo;
-
mancanza di dichiarazioni dei redditi e Iva (compresa la comunicazione
annuale) negli ultimi tre anni;
-
richieste di rimborsi Iva;
-
presenza di accertamenti notificati al soggetto e alle società rappresentate.
Anche l’Agenzia delle Dogane procede nei controlli ai fini Iva degli operatori da assoggettare ad ulteriore accertamento, muovendo da indicatori o regolazioni che consentono di individuare :
a) liste selettive;
b) segnalazioni del Servizio di collegamento al CLO nazionale dell’Agenzia
delle Dogane;
c) segnalazioni del CLO nazionale;
d) richieste di assistenza amministrativa da parte di altri Stati membri;
e) analisi rischi circa la pericolosità fiscale dei contribuenti effettuate direttamente dagli uffici doganali;
f)
richieste da parte dell’Autorità giudiziaria;
g) incongruenze formali rilevate in sede di registrazione degli elenchi IN-
- indice di indipendenza e autonomia finanziaria = consente di valutare l’attitudine dell’impresa a far
fronte alle passività utilizzando il capitale proprio (mezzi propri). Si ottiene dal rapporto tra il capitale
proprio e il totale delle passività;
- indice di copertura delle immobilizzazioni = consente di valutare in che misura le immobilizzazioni sono
coperte dal capitale proprio. Si ottiene dal rapporto tra capitale proprio e immobilizzazioni nette;
- indici economici;
- indice di redditività delle vendite = misura la percentuale di redditività aziendale riferita ai soli ricavi
specifici. Si ottiene dal rapporto tra l’utile (reddito operativo) ed i ricavi di vendita al netto dei soli costi
operativi (ricavi netti operativi);
- indice di redditività del capitale proprio = misura la percentuale di redditività aziendale riferita al capitale proprio. Si ottiene dal rapporto tra l’utile (reddito operativo) e il capitale proprio;
- indice di rotazione del magazzino = valuta quante volte il magazzino viene rinnovato durante l’esercizio. Si ottiene rapportando il costo del venduto alla semi-somma delle esistenze iniziali e delle rimanenze
finali;
- indice della durata media delle scorte = misura la giacenza media, in termini di giorni, della merce in
magazzino. Si ottiene rapportando 365 gg. all’indice di rotazione del magazzino».
226
Selicato
TRASTAT nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, a prescindere
dall’incrocio di dati di altri Paesi UE140.
Si evidenzia, infine, come anche in questo settore permangano problemi
connessi all’utilizzabilità in sede giudiziaria delle informazioni cui il sistema,
nella sua attuale configurazione, dà accesso. Il fenomeno interessa in particolare
gli scambi internazionali di informazioni, come si evince dalle più recenti missioni di audit della Corte dei conti europea che hanno messo in luce la persistenza di ostacoli alle azioni giudiziarie transfrontaliere fornendone alcuni esempi
che potrebbero rivelarsi utili ai fini di questo approfondimento: «in alcuni Stati
membri (Francia e Lussemburgo) è molto difficile procedere contro le persone
implicate in azioni fraudolente, quali ad esempio la partecipazione a catene
costituite per frodi carosello in cui vengono frodati soltanto gli altri Stati membri»; ed ancora: «l’istituzione nazionale di controllo (NAO) del Regno Unito
L’elenco è direttamente tratto da P. Mercurio, Considerazioni a margine sui controlli effettuati dalle
dogane in materia di Iva intracomunitaria, cit., 1-6068. L’A. approfondisce anche le tecniche di controllo,
distinguendole in controlli formali (sulla corretta compilazione degli elenchi INTRASTAT), svolti dal
sistema informativo dell’Agenzia delle Dogane, e nei più accurati controlli sostanziali i quali assumono
invece la morfologia di vere e proprie attività di verifica («con accesso dei funzionari della dogana incaricati del controllo nei luoghi adibiti ad attività imprenditoriale del contribuente interessato») sulle operazioni intracomunitarie dichiarate e non dichiarate e, soprattutto, sulla possibile sua interposizione fittizia
nelle suddette operazioni. Secondo l’A. : «La presunzione di interposizione fittizia può ravvisarsi se nei
confronti del soggetto controllato si constata:
a) la mancanza di disponibilità finanziarie a fronte di investimenti commerciali risultanti cartolarmente;
b) l’estraneità del soggetto al settore commerciale: è razionale dedurre, infatti, che un soggetto privo di
qualsiasi precedente nel settore del commercio possa essere sospettato di essere un prestanome;
c) l’illegittimità delle richieste di non applicazione dell’Iva sugli acquisti o sulle importazioni, mancando
il presupposto giuridico dell’acquisizione dello status di esportatore abituale;
d) la mancanza di strutture logistiche idonee ad ospitare gli stock oggetto delle transazioni;
e) l’incoerenza tra il volume di operazioni commerciali risultanti cartolarmente e la “storia” del contribuente».
Vengono inoltre individuati i seguenti elementi probatori della presunzione di interposizione: documenti
contabili ed extracontabili acquisiti in sede di accesso; risultati delle interrogazioni delle banche dati
dell’Amministrazione (Anagrafe tributaria, VIES) e delle altre banche dati di pubbliche amministrazioni;
dichiarazioni rilasciate dal contribuente in sede di contraddittorio.
Ancora, appare interessante l’invito ai verificatori di accertare l’esistenza o meno di «idonei depositi e
magazzini; adeguati beni strumentali utilizzati; sufficienti scorte di magazzino; un numero adeguato di
lavoratori dipendenti». Un ultimo richiamo va fatto alla possibilità che il responsabile dell’Ufficio procedente disponga «di estendere la verifica anche a carico del sospetto interponente, al fine di reperire
altri elementi a conferma della sospetta interposizione fittizia. In tal caso, al termine delle operazioni di
verifica nei confronti del presunto interponente, i verificatori dovranno far rilevare nel processo verbale
di constatazione la sussistenza della differenza negativa tra i prezzi indicati nelle fatture di vendita e il
valore normale di mercato, rilevata presso il cessionario, e l’eventuale mancata produzione di elementi
idonei, da parte del cessionario sospetto interponente, a sostenere le eventuali giustificazioni di tale incongruenza…».
140
La rilevanza fiscale dei traffici internazionali
227
ha riferito di essere stata informata dalle autorità tributarie danesi su alcune
aziende danesi sospettate di essere implicate in catene di commercializzazione
con «operatori scorretti» nel Regno Unito. Tuttavia, non vi era alcuna perdita
di gettito fiscale in Danimarca e potevano essere pertanto svolte solo indagini
penali limitate». Infine: «la Corte dei conti federale tedesca ha riferito che non
è stato raggiunto alcun accordo comune con altri Stati membri per perseguire
le frodi IVA intracomunitarie. Per la legislazione tedesca, l’esistenza di tali accordi costituiva il presupposto per poter agire contro gli operatori commerciali
coinvolti in frodi di questo tipo».
Si tratta di questioni che saranno sicuramente affrontate e risolte nei prossimi anni, la cui importanza discende dal ruolo, sempre maggiore, che la cooperazione amministrativa sta assumendo nel contrasto alle frodi fiscali e dalla
graduale affermazione di uno spazio giuridico comunitario basato sulla piena
conoscenza dei fenomeni transnazionali. Le forme di collaborazione sperimentate in materia tributaria tendono così a divenire modelli di riferimento anche
per l’azione di contrasto dei traffici illeciti tra Italia ed Albania, quale ne sia il
contenuto.
Sezione II
Profili tecnici, tecnologici ed operativi
Amedeo Antonucci, Giuseppe Ialacqua,
Egidio Francesco Carità
L’intervento della Guardia di Finanza nei controlli sul traffico transfrontaliero di rifiuti - progetto
“S.CO.R.I.A.”1
Sommario: 1. Il programma Interreg iiia – 2000/2006 – Italia-Albania - 2. Il termine “rifiuto” e le interpretazioni comunitarie - 3. L’intervento della Guardia di Finanza nel traffico transfrontaliero dei rifiuti e
lo scopo del progetto “s.Co.R.I.A.” - 4. Quadro normativo di riferimento - 4.1. Il sistema delle fonti del
diritto doganale - 4.2. La normativa di base - 4.3. Integrazione della normativa comunitaria e nazionale
- 4.4. Principi guida della politica doganale comunitaria per la lotta alle frodi ed ai traffici illeciti - 5. Il
rapporto doganale ed il dispositivo di vigilanza nazionale. Poteri attribuiti ai militari della Guardia di
Finanza - 5.1. Procedura per l’introduzione delle merci nel territorio doganale della comunità - 5.2. La
normativa di base - 5.3. Presentazione della dichiarazione doganale - 5.4. Controllo della dichiarazione,
liquidazione dei diritti e svincolo delle merci - 5.5. Revisione della dichiarazione e controlli a posteriori
presso gli operatori con i paesi terzi - 5.6. L’attività di intelligence - 5.7. Servizi fissi all’interno degli spazi
doganali - 5.7.1. Vigilanza ed assistenza - 5.7.2. Riscontro - 5.8. Servizi di vigilanza dinamica fuori dagli
spazi doganali - 5.8.1. Controlli su strada - 5.8.2. Zona di vigilanza doganale terrestre e marittima - 5.9.
Controlli a posteriori presso le imprese che effettuano interscambio di beni con l’estero - 6. Progetto
“s.Co.R.I.A.” – Attivita’ della Guardia di Finanza in Puglia - 6.1. Premessa - 6.2. Analisi del fenomeno
- 6.3. Movimentazioni transfrontaliere tra l’Albania e la Puglia (Bari, Brindisi e Lecce) - 6.4. Prospettive
del progetto s.Co.R.I.A.
1.Il programma Interreg iiia – 2000/2006 – Italia-Albania
Il progetto Interreg IIIA – 2000/2006 – Italia-Albania – è un programma
di iniziativa comunitaria, finalizzato a migliorare le forme di collaborazione
transfrontaliera nel bacino geografico del basso Adriatico, nello specifico sulla
base di un programma bilaterale condotto tra i due Paesi.
Nell’ambito del Progetto, il Comitato di Sorveglianza ha approvato, il 2
ottobre 2002, il Complemento di Programmazione “ASSE II – AMBIENTE E
SANITà – Misura 2.1 – “Tutela e valorizzazione ambientale” con riferimento
alla “Azione 4 - Programma di tutela ambientale attraverso iniziative finalizza1
S.CO.R.I.A.: Spazio Comune Rifiuti Italia Albania
232
Antonucci, Ialacqua, Carità
te al riciclaggio e smaltimento dei rifiuti”, ravvisando la necessità di attivare
iniziative utili ad assicurare alle strutture governative albanesi assistenza e affiancamento consulenziale, formazione e aggiornamento professionale, messa
a punto di norme e procedure, per la gestione dei rifiuti, finalizzate anche al
superamento delle situazioni di estremo degrado ambientale.
Nel quadro delle iniziative intraprese al riguardo, l’Assessorato all’Ecologia della Regione Puglia ha sottoscritto una specifica convenzione con il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza e con l’Agenzia Regionale
per la Protezione Ambientale (ARPA Puglia), finalizzata ad attivare uno spazio
comune per il contrasto dei traffici illeciti via terra e via mare, a garantire un
maggior controllo dei soggetti economici che operano nel settore dei trasporti
transfrontalieri dei rifiuti e ad attuare, nel contempo, un monitoraggio generale
della gestione dei rifiuti che vengono recuperati e smaltiti in uscita ed in ingresso dal territorio Regionale, attraverso la linea doganale europea, da e per il
territorio Albanese, con riferimento (come indicato nel progetto Interreg) alle
province di Bari, Brindisi e Lecce.
La Guardia di Finanza infatti, quale Polizia Economico Finanziaria, così
come disciplinato dal D.Lgs. 19 marzo 2001, n. 682, nel corso dell’attività istituzionale effettua controlli sui trasporti dei rifiuti via mare e via terra, orientati
verso l’individuazione degli illeciti caratterizzati da più rilevanti profili economico-finanziari, riconducibili specie ad organizzazioni criminali qualificate.
In particolare, l’azione di vigilanza del Corpo nel settore dei rifiuti viene
ordinariamente condotta:
•
nell’ambito dei servizi di controllo economico del territorio, dalle pattuglie operanti;
•
nel contesto dei servizi di polizia doganale, condotti presso gli scali marittimi ed aerei e presso i valichi di frontiera;
•
dalle unità aeree e navali, che assicurano attività ricognitive dedicate,
nell’ambito del più ampio concetto operativo di sorveglianza integrata del
territorio.
2
D. Lgs. N. 68/2001 “Adeguamento dei compiti del Corpo della Guardia di Finanza, a norma dell’art. 4
della Legge 31 marzo 2000, n. 78”
L’intervento della Guardia di Finanza 2.
233
Il termine “rifiuto” e le interpretazioni comunitarie
La regolamentazione del traffico dei rifiuti costituisce, per i paesi industrializzati, una priorità a livello ambientale, sociale ed economico, sia in ambito europeo che in quello più vasto transnazionale.
Il termine rifiuto, se da un lato richiama subito alla mente immagini certamente negative, di inquinamenti ambientali delle più svariate tipologie (cumuli
di spazzatura, discariche di rifiuti tossici, smaltimenti illeciti, scarichi in mare
e nei fiumi, ecc.), dall’altro può rappresentare una seria e concreta opportunità
economica, favorendo la creazione di due canali di gestione, lecito o illegale:
•
il primo, eco-compatibile, utile a creare posti di lavoro e opportunità per
le imprese;
•
il secondo, idoneo ad alimentare ed accrescere le capacità economiche
delle organizzazioni criminali, che gestiscono il settore con le stesse modalità attuate per altri settori illeciti, quali il riciclaggio, l’usura, il traffico
di stupefacenti, ecc.
I dati europei testimoniano come il settore della gestione e del riciclaggio
dei rifiuti sia in costante crescita, con un fatturato stimato di oltre 100 miliardi
di euro, ed una elevata quantità di manodopera che assicura oltre 1 milione di
posti di lavoro.
La politica dei rifiuti dell’Unione Europea tende quindi ad assicurare un
elevato livello di tutela dell’ambiente, tenendo conto delle diverse condizioni
dei singoli Stati Membri; essa si fonda sui principi fondamentali di precauzione, di azione preventiva, di correzione dei danni causati all’ambiente e sul
principio “chi inquina paga”; al riguardo, l’Unione Europea ha così definito il
concetto di gerarchia dei rifiuti:
1) prevenire la formazione di rifiuti;
2) qualora non sia possibile, i rifiuti devono essere riutilizzati, riciclati e recuperati;
3) limitare quanto più possibile lo smaltimento in discarica, costituendo,
questa, la soluzione peggiore per l’ambiente.
Così come esposto, il concetto non soddisfa la naturale predisposizione
del rifiuto ad essere oggetto di traffico, dalle c.d. “zone civilizzate del Mondo” verso quei paesi a minor sviluppo economico, dove i parametri introdotti
dall’Unione Europea perdono la loro efficacia, lasciando il posto al più semplice
concetto - o meglio alla metafora - di “pattumiera del Mondo”.
Nel corso di questi ultimi anni, la comunità mondiale ha posto in essere
234
Antonucci, Ialacqua, Carità
molteplici forme di accordo, per tentare di arginare e vietare qualsiasi forma di
traffico illecito di rifiuti transfrontalieri .
Si citano, al riguardo, ex plurimis:
•
la Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite del 1972, che si conclude
con una “Dichiarazione sull’ambiente umano”, rivolta ad ispirare l’azione futura degli Stati a principi di tutela ambientale; ad essa è collegata
l’U.N.E.P., United Nations Environment Programme, che è l’istituzione
ambientale sorta in ambito ONU proprio come diretta conseguenza della
Conferenza di Stoccolma; tale organismo è da ritenersi come la “coscienza ambientale” delle Nazioni Unite, creata come premessa per coordinare
le azioni relative ai problemi ambientali nel loro insieme;
•
la Convenzione di Basilea, conclusa il 22 marzo 1989.
Quest’ultima è stata subito sottoscritta dalla Comunità Europea, che l’ha
poi approvata con una Decisione del Consiglio il 1° febbraio 1993 (93/98/CEE,
GU L 39/93); a tutt’oggi tre Stati, pur avendo sottoscritto la Convenzione, non
hanno ancora depositato gli strumenti di ratifica: Afghanistan, Haiti, Stati Uniti
d’America.
La Convenzione regolamenta le spedizioni internazionali dei rifiuti pericolosi; in essa si pone sullo stesso piano il Paese “originante il rifiuto” e il Paese
“ricevente”, cosicché il rifiuto venga smaltito in modo corretto ed ecologicamente compatibile.
Secondo la Convenzione, costituiscono rifiuto “le sostanze o gli oggetti
che si eliminano, che si ha intenzione di eliminare o che si è tenuti ad eliminare
in virtù delle disposizioni del diritto nazionale”.
I principali obiettivi fissati dalla Convenzione di Basilea sono:
•
ridurre i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e di altra natura,
fino a raggiungere un livello compatibile con una solida gestione dell’impatto ambientale;
•
trattare e smaltire i rifiuti pericolosi in un luogo più vicino possibile a
quello di origine, in maniera compatibile con l’ambiente;
•
minimizzare la produzione di rifiuti pericolosi e di altra natura.
Ma l’aspetto centrale è rappresentato dalla movimentazione (ovvero il
traffico, non necessariamente “illecito”) del rifiuto da un originario e ben definito luogo geografico verso diversi Paesi, con il conseguente passaggio dei confini
nazionali, attraverso le linee doganali europee.
L’intervento della Guardia di Finanza 3.
235
L’intervento della Guardia di Finanza nel traffico transfrontaliero dei rifiuti e lo scopo del Progetto “s.Co.R.I.A.”
Attuando le proprie finalità istituzionali, e tenendo conto delle prerogative
attribuite dalla legge, la Guardia di Finanza interviene nei controlli sul traffico
transfrontaliero dei rifiuti, sostanzialmente in due momenti:
•
attraverso gli ordinari controlli ispettivi ed investigativi condotti sull’intero territorio dello Stato;
•
mediante i controlli eseguiti negli spazi doganali, sulle movimentazioni di
merci che attraversano la linea doganale europea.
Seguendo l’obiettivo del progetto a base del presente studio, gli Autori
hanno pertanto concentrato la loro attenzione sul controllo dei traffici transfrontalieri di rifiuti che attraversano, regolarmente o illegalmente, la linea doganale
europea, verificando la possibilità di:
-
incrementare il livello di efficacia dei servizi di contrasto, individuando
preventivamente le merci ritenute più sensibili, mediante controlli dinamici ed indagini mirate sul territorio;
-
potenziare l’impiego di risorse nei controlli, dotando il personale di strumenti elettronici avanzati e banche dati, ove possibile interconnesse e consultabili dinamicamente, da cui evincere l’indice di pericolosità delle singole merci, rispetto alla possibilità che possano occultare traffici di rifiuti.
4.
Quadro normativo di riferimento
4.1.Il sistema delle fonti del diritto doganale
Il quadro giuridico vigente in campo doganale è ordinato su una struttura
complessa di norme, comunitarie e nazionali, che si sono stratificate e succedute
nel tempo, per effetto della progressiva evoluzione del processo d’integrazione
europea.
In origine, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea poneva come primo obiettivo la realizzazione del mercato comune, nella duplice
configurazione dell’unione economica (con le quattro libertà fondamentali di
circolazione delle persone, merci, servizi e capitali) e dell’unione doganale fra
gli Stati membri, attraverso l’abolizione dei dazi e delle tasse di effetto equivalente sui passaggi interni e l’adozione di una tariffa comune nei rapporti con i
Paesi terzi.
236
Antonucci, Ialacqua, Carità
Oltre alla potestà tributaria doganale, l’accordo ha conferito alla Comunità la competenza esclusiva nei tre settori della politica commerciale, dell’agricoltura e dei trasporti.
In tal modo, anche la disciplina del commercio con l’estero, che implica la
fissazione delle restrizioni quantitative, dei contingenti tariffari, delle misure di
difesa antidumping e dei divieti di importazione di prodotti contraffatti, è stata
trasferita dagli Stati membri alle istituzioni comunitarie, in via definitiva.
L’Atto Unico Europeo, del 17 febbraio 1986, ha segnato un’importante
tappa in avanti verso l’Unione, con il passaggio dal mercato comune al mercato
interno, a seguito dell’abbattimento delle barriere fisiche e la conseguente eliminazione dei controlli alle frontiere interne tra gli Stati membri.
Dal 1° gennaio 1993, le persone, le merci ed i capitali provenienti dai
Paesi terzi, una volta superata la fase dell’ingresso nel territorio doganale della
Comunità attraverso un qualsiasi varco dei confini marittimi e continentali, possono liberamente circolare in tutti gli Stati membri senza essere assoggettati a
nessuna formalità doganale o paratariffaria. Rimangono fermi esclusivamente i
divieti e le misure di controllo giustificati da motivi di ordine e sicurezza pubblica, di tutela della salute e della vita delle persone, di protezione del patrimonio
artistico, storico o archeologico, di tutela della proprietà industriale e commerciale, ai sensi degli artt. 36 e 223 del Trattato C.E.
Di riflesso, l’abolizione dei controlli interni ha determinato una maggiore
esposizione dei cittadini dell’Unione al pericolo dell’aumento dei traffici illeciti
e della criminalità transnazionale, per cui si è affermata l’esigenza di interventi
della Comunità a sostegno degli Stati membri per migliorare gli apparati di sicurezza e le misure di prevenzione e repressione di tali gravi fenomeni.
In tale quadro, il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 ha attribuito
all’Unione Europea le materie del c.d. “terzo pilastro”, ossia la cooperazione nei
settori della giustizia e degli affari interni, nei quali le Istituzioni comunitarie
possono ora intervenire attivamente, assieme agli Stati membri, promuovendo
ogni utile iniziativa di collaborazione mediante accordi politici su posizioni comuni, azioni comuni e convenzioni internazionali di cui raccomanda la ratifica.
Ulteriore tappa di evoluzione del sistema è segnata dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, ratificato in Italia con la Legge 16 giugno 1998, n. 209,
che – per gli aspetti d’interesse – ha previsto:
-
una più stretta cooperazione fra le forze di polizia, le autorità doganali e
l’Europol, per gli accertamenti in materia penale, ai fini della repressione
della criminalità organizzata e comune, anche mediante il ravvicinamen-
L’intervento della Guardia di Finanza 237
to, ove necessario, delle normative degli Stati membri (art. 29 del Trattato
U.E., nella nuova numerazione);
-
il potere dell’Unione Europea di adottare le misure amministrative necessarie per la prevenzione e la lotta contro le frodi che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione, al fine di pervenire ad una protezione efficace ed
equivalente in tutti gli Stati membri (art. 279 del Trattato C.E., corrispondente nella precedente numerazione all’art. 209 A);
-
l’inserimento, tra le politiche di gestione comunitarie, della cooperazione
doganale amministrativa tra gli Stati, che verrà rafforzata con apposite
misure (art. 135 del Trattato C.E.).
In conclusione, il sistema delle fonti del diritto doganale risulta così modulato:
(1) la disciplina sostanziale dei presupposti e delle modalità di applicazione
dei dazi doganali ed agricoli è competenza esclusiva della Comunità Europea, come pure le misure di politica commerciale e la mutua assistenza
amministrativa tra gli organi nazionali.
Gli strumenti normativi per adempiere tali funzioni sono costituiti dai regolamenti, dalle direttive, dalle decisioni e dalle raccomandazioni previsti
dall’art. 189 del Trattato C.E.
I regolamenti, in particolare, sono direttamente applicabili e producono
effetti immediati in ciascuno degli Stati membri, i quali non possono emanare atti normativi in tali materie, fatta eccezione per i provvedimenti
necessari di attuazione.
(2) l’organizzazione delle amministrazioni doganali nazionali, con i relativi
compiti e poteri ispettivi, nonché il trattamento sanzionatorio amministrativo e penale in caso di violazioni, sono materie di competenza esclusiva
degli Stati membri, che possono decidere in autonomia ovvero coordinarsi tra loro in base a principi comuni.
In questi settori, la Comunità Europea non è depositaria di attribuzioni
delegate, per cui non può intervenire su problematiche che esulano dagli
obiettivi assegnati dai patti costitutivi.
(3) dopo il Trattato di Amsterdam, la tutela degli interessi finanziari della Comunità e la lotta alle frodi doganali, mediante misure di controllo efficaci
ed equivalenti, è divenuta materia di competenza concorrente dell’Unione
e degli Stati membri.
Questi ultimi sono liberi di adottare le procedure di contrasto che ritengono più opportune, ma allorquando la Comunità interverrà con propri atti
238
Antonucci, Ialacqua, Carità
normativi, si verificherà automaticamente che le disposizioni delle leggi
nazionali, contrastanti con quelle comunitarie, verranno meno e saranno
disapplicate dai giudici competenti, riconoscendo il primato del diritto
sovranazionale.
I tempi di maturazione delle decisioni uniformatrici della Comunità saranno scanditi dal principio di sussidiarietà, fissato dall’art. 3.B del Trattato C.E., in base al quale le Istituzioni Europee intervengono nei settori
non di esclusiva competenza soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati
dagli Stati membri e possono, a motivo delle dimensioni e degli effetti
dell’azione in questione, essere realizzati in modo ottimale a livello comunitario.
(4) la lotta alla criminalità internazionale nelle sue varie manifestazioni (traffici di stupefacenti ed armi, traffici di rifiuti, frodi doganali di rilievo penale, terrorismo, corruzione, ecc.) fa parte delle materie del “terzo pilastro”
dell’Unione, nelle quali diverrà sempre più stretta la cooperazione intergovernativa fra i Paesi membri.
In tale ambito, gli Stati sovrani non si spogliano delle proprie competenze,
ma si impegnano a sviluppare principi ed obiettivi comuni per l’impostazione
delle politiche nazionali.
Il Consiglio U.E. può a questo fine adottare:
-
posizioni comuni, che definiscono l’orientamento dell’Unione in merito
alle questioni da affrontare, indicando le linee guida ed i punti di riferimento per le iniziative degli Stati membri;
-
decisioni-quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari nazionali, così vincolando gli Stati quanto ai risultati da ottenere e facendo salva la loro scelta in merito alla forma ed ai mezzi;
-
schemi di convenzioni multilaterali, che vengono proposti per la ratifica
da parte di tutti i Paesi comunitari.
4.2.La normativa di base
Seguendo lo schema tracciato, la normativa doganale di base può essere
enucleata per ognuna delle quatto aree individuate.
1)Il Codice doganale comunitario (C.d.c.), adottato con regolamento (CEE)
n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, contiene la disciplina sostanziale ai fini dell’applicazione dei tributi e delle misure previste nel
quadro degli scambi commerciali con i Paesi terzi.
L’intervento della Guardia di Finanza -
-
239
In questo corpus normativo fondamentale vengono definiti:
i presupposti oggettivi e soggettivi dell’imposizione;
gli elementi di base dell’obbligazione doganale, ossia la classificazione
tariffaria, l’origine ed il valore delle merci;
-
la procedura da seguire per l’introduzione dei prodotti nel territorio della
Comunità e per l’assegnazione della destinazione doganale prescelta, con
i relativi obblighi dei contribuenti e le connesse modalità di accertamento
dei debiti d’imposta;
-
i regimi tecnici per l’immissione in libera pratica, l’esportazione, il transito, il deposito, il perfezionamento attivo e passivo, la trasformazione sotto
controllo doganale e l’ammissione temporanea.
Le Disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario (D.a.),
emanate con regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione del 2 luglio
1993, definiscono i dettagli di funzionamento di tutti gli istituti basilari, mediante 915 articoli e 113 allegati di elenchi e modulistica.
2)Le principali norme circa l’organizzazione nazionale dei servizi doganali,
le misure di vigilanza ed i poteri di controllo, le sanzioni penali ed amministrative irrogabili in caso di trasgressione sono previste da:
-
Testo Unico delle leggi doganali (TULD), approvato con D.P.R. 23.1.1973,
n. 43, e successive modificazioni;
-Decreto Legislativo 8.11.1990, n. 374, relativo al riordino degli istituti
doganali ed alla revisione delle procedure di accertamento e controllo;
-Decreto Legislativo 18.12.1997, n. 472, contenente le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative tributarie.
Particolare rilievo rivestono, altresì, i regolamenti approvati con:
-
D.M. 11/12/1992, n. 548, in merito alle procedure semplificate di accertamento doganale;
-
D.M. 28/1/1994, n. 254, relativo alle semplificazioni per l’entrata delle
merci nel territorio doganale;
-
D.M. 28/1/1994, n. 255, concernente i programmi e le disposizioni in materia di visita fisica delle merci nella fase dell’accertamento;
-
D.M. 28/1/1994, n. 256, contenente disposizioni sul servizio di riscontro
e l’identificazione delle merci sottoposte a vincoli doganali.
3)La Comunità Europea ha assunto tre iniziative strategiche nel settore della lotta alle frodi in danno delle risorse proprie e delle uscite di bilancio,
mediante:
-
il Regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 del Consiglio del 18/12/1995,
240
Antonucci, Ialacqua, Carità
concernente la normativa generale dei controlli e delle misure amministrative per la tutela degli interessi finanziari delle Comunità;
-
la Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, adottata con atto del Consiglio del 26/7/1995 (in G.U.C.E. n.
C 316/48 in data 27/11/1995);
-
il programma d’azione doganale nella Comunità (“Dogana 2007”), adottato con Decisione n. 253/2003/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2003.
Data l’importanza del tema, nel prosieguo verranno evidenziati i principi
guida della politica comunitaria dei controlli doganali e gli indirizzi programmatici da attuare.
La materia della mutua assistenza amministrativa per la lotta alle frodi
nell’ambito dell’unione doganale e della politica agricola comune è, invece,
oggetto del Regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio del 13/3/1997.
4)In base all’art. K. 3 del Trattato U.E., il Consiglio ha elaborato due importanti convenzioni dirette ad intensificare la cooperazione tra le amministrazioni doganali in materia di lotta ai traffici di stupefacenti, armi ed
altri generi soggetti a divieti e restrizioni ai sensi degli artt. 36 e 223 del
Trattato C.E.
Si tratta di:
-Convenzione sull’uso dell’informatica nel settore doganale, elaborata
con atto del Consiglio del 26/7/1995 (in G.U.C.E. n. C 316/33 in data
27/11/1995);
-Convenzione relativa alla mutua assistenza e alla cooperazione tra amministrazioni doganali (meglio nota con la sigla “Napoli II”), adottata con atto
del Consiglio del 18/12/1997 (in G.U.C.E. n. C 24/1 in data 23.1.1998).
4.3.Integrazione della normativa comunitaria e nazionale
Considerate le finalità del presente studio, non è possibile approfondire
esaurientemente l’esame degli istituti speciali del diritto doganale sostanziale e
procedurale.
Tuttavia, il quadro sistematico evidenziato può essere di ausilio per orientare
l’attenzione sui due livelli normativi: quello comunitario e quello nazionale, che
vanno sempre considerati in modo integrato, riconoscendo gli spazi rispettivi d’intervento ed i rapporti di coordinamento nelle materie di competenza concorrente.
In questo campo, infatti, si registrano talune incertezze teoriche circa pre-
L’intervento della Guardia di Finanza 241
sunte “abrogazioni implicite” di disposizioni legislative nazionali che sarebbero
state superate da norme comunitarie più generali, senza però che vengano esattamente chiariti gli aspetti di non compatibilità e di contrasto che dovrebbero
indurre a disapplicare le prime.
La prudenza ermeneutica in questa materia deve essere alta e costante,
così da indurre a diffidare di soluzioni radicali, sia nel senso dell’eccessivo rigore sia in quello della semplificazione incontrollata.
4.4. Principi guida della politica doganale comunitaria per la lotta alle
frodi ed ai traffici illeciti
In prospettiva operativa, si rivela di particolare interesse soffermare l’attenzione sulle caratteristiche che si vanno delineando nel processo di unificazione del modello europeo delle misure di vigilanza doganale, verso il quale
evidentemente occorre orientarsi di continuo.
Al riguardo, occorre prendere le mosse dal Regolamento n. 2988/95 che
costituisce la legge-quadro di tutta la normativa comunitaria e nazionale in materia di controlli, misure e sanzioni amministrative nel settore delle irregolarità
da cui derivano minori introiti di risorse proprie (dazi doganali) o maggiori
uscite di bilancio.
In tale contesto, l’art. 2 prevede che i controlli devono avere carattere
effettivo, proporzionato e dissuasivo, per assicurare un’adeguata ed omogenea
tutela degli interessi finanziari della Comunità.
Ciò significa che, tendenzialmente, vanno limitati sempre più gli interventi formali e non sostanziali, sistematici e non selettivi, superficiali e non
deterrenti.
In linea generale, le procedure di applicazione dei controlli continueranno
ad essere disciplinate dalla normativa degli Stati membri, fatto salvo quanto
prescritto dalle disposizioni settoriali eventualmente emanate dalla Comunità.
Più esattamente, l’art. 8 precisa che “gli Stati membri adottano le misure necessarie … adeguate e proporzionate” tenendo conto delle prassi e delle
strutture amministrative esistenti, in modo da non dar luogo a vincoli economici
ed a costi amministrativi eccessivi. Tuttavia, “se del caso”, la natura e la frequenza dei controlli e delle verifiche in loco che gli Stati membri debbono eseguire, nonché le relative modalità di esecuzione vengono stabilite dalle normative settoriali comunitarie, con l’obiettivo di “assicurare un controllo equivalente
mediante il ravvicinamento delle procedure e dei metodi” di lavoro.
242
Antonucci, Ialacqua, Carità
Una riflessione sul punto appare opportuna per sottolineare che, allo stato
attuale, tutte le prescrizioni del TULD e delle leggi nazionali in materia di vigilanza e controlli, e dei correlativi poteri di polizia doganale, sono pienamente
efficaci e compatibili con il sistema comunitario, fatta salva la possibilità che gli
organi dell’Unione decidano, in futuro, di accelerare il processo di unificazione
delle metodologie ispettive ed intervenire direttamente nella materia, in base al
principio di sussidiarietà.
Il processo di progressiva “europeizzazione” interessa, però, tutta la materia della tutela degli interessi finanziari della Comunità, non solo in campo
amministrativo, ma anche penale.
Infatti, la Convenzione elaborata dal Consiglio il 26.7.1995 in base all’art.
K3 del Trattato UE ha già fornito una definizione giuridica unitaria del concetto di “frode comunitaria”, ricomprendendo qualsiasi condotta intenzionale
che provochi minori entrate o maggiori spese di bilancio per effetto della presentazione di documenti o dichiarazioni incompleti, falsi o inesatti, ovvero per
la mancata comunicazione di informazioni determinanti e per la distrazione di
benefici o fondi lecitamente ottenuti.
Si segnala il programma d’azione comunitario “Dogana 2007”, che ha
l’obiettivo di sostenere e completare le azioni intraprese dagli Stati membri per
garantire l’efficace funzionamento del mercato interno nel settore doganale, mirando a facilitare gli scambi e combattere la frode, nel rispetto degli interessi
finanziari e delle esigenze di sicurezza della Comunità e dei suoi cittadini.
Ciò in quanto l’assenza di frontiere interne rende necessaria l’attuazione
di procedure e di controlli di efficacia equivalente in ogni punto del territorio
della Comunità in occasione dell’entrata o dell’uscita, rispettando le esigenze di
rapidità e di fluidità del commercio estero, in modo da evitare distorsioni pregiudizievoli per il regolare andamento del mercato.
L’obiettivo ultimo è quello di rafforzare i meccanismi di cooperazione e
le basi comuni delle amministrazioni doganali degli Stati membri, affinché esse
riescano ad operare “nel modo efficiente ed incisivo che può essere assicurato
da un’amministrazione unica”.
L’intervento della Guardia di Finanza 243
5.Il rapporto doganale ed il dispositivo di vigilanza nazionale. Poteri attribuiti ai militari della Guardia di Finanza
Le esigenze di vigilanza e controllo nei confronti delle merci provenienti
da Paesi terzi nascono all’atto dell’arrivo delle stesse alla frontiera comunitaria e proseguono nel corso dell’iter di perfezionamento del rapporto doganale,
nonché, ad accertamento definito, si concludono con l’esecuzione di controlli “a
posteriori” presso gli operatori.
Sono, pertanto, individuabili diverse fasi dell’azione di contrasto, ognuna
contraddistinta da specifiche modalità d’intervento e potestà ispettive, che si
riferiscono ai successivi passaggi evolutivi del rapporto doganale, qui brevemente riassunte.
5.1. Procedura per l’introduzione delle merci nel territorio doganale della Comunità
All’atto dell’ingresso nella Comunità, la merce deve essere condotta, a
cura della persona che ha proceduto a tale introduzione o di chi ne assume il
trasporto, presso l’ufficio doganale o altro luogo designato dalle Autorità, utilizzando la via e secondo le modalità dalle stesse fissate.
In alternativa, è possibile immettere il carico all’interno di una zona franca, quando l’ingresso avviene direttamente per via marittima, aerea o terrestre,
senza che si verifichi attraversamento di una parte del territorio.
è importante notare che le disposizioni in esame trovano applicazione
anche nei confronti dei trasporti che si trovano ancora fuori della Comunità, ma
che possono essere sottoposte al controllo dell’Autorità doganale di uno Stato
membro, in particolare a seguito di accordi conclusi con Paesi terzi. Intese in
questa direzione sono state raggiunte con la Svizzera, Slovenia e, di recente, con
l’Albania.
Dopo l’arrivo ai confini U.E., le merci sono sottoposte alla vigilanza doganale e possono formare oggetto di controlli, ai sensi della normativa vigente
in ogni Stato membro.
Eccezioni alle disposizioni che precedono sono costituite da:
-
correnti di traffico particolari, quali quello turistico, frontaliero e postale,
nonché il traffico di importanza economica trascurabile;
-
beni che hanno lasciato temporaneamente il territorio doganale della Comunità, circolando tra due punti dello stesso per via marittima o aerea;
-
merci che si trovano a bordo di navi ed aeromobili, destinati verso un
244
-
Antonucci, Ialacqua, Carità
Paese terzo, che attraversano soltanto il mare territoriale e lo spazio aereo
degli Stati membri;
trasporti vincolati ad un regime doganale internazionale, che devono proseguire per altra dogana.
5.2. Presentazione delle merci in dogana e dichiarazione sommaria
Fatte salve le disposizioni applicabili ai viaggiatori e quelle relative alle
procedure semplificate, le merci provenienti da Paesi terzi devono essere presentate in dogana dalla persona che le ha introdotte nel territorio della Comunità
o che ne ha assunto il trasporto.
Le stesse, esclusi i casi di pericolo imminente, possono essere scaricate
o trasbordate dal mezzo di trasporto, solo previa autorizzazione dell’Autorità
doganale e unicamente nei luoghi da questa indicati. Allo stesso modo, ogni
spostamento successivo è soggetto ad autorizzazione specifica.
Non appena introdotte in dogana o, su autorizzazione dell’Autorità doganale, le merci devono formare oggetto di una dichiarazione sommaria, che può
essere costituita da un documento commerciale (ad esempio, fattura, lettera di
vettura o, in mancanza di questa, una semplice distinta di carico, e, per gli arrivi
via ferrovia, un elenco dei vagoni che compongono il convoglio) o amministrativo (manifesto delle merci arrivate e, per le dogane interne, documento di
transito) presentato dalla parte.
L’Ufficio doganale assume in carico le dichiarazioni, mediante annotazione in appositi registri ed attribuzione di numero e data.
Successivamente, il carico può essere:
-
sdoganato direttamente sul mezzo di trasporto, per proseguire poi fino a
destinazione;
-
introdotto nei magazzini di temporanea custodia, in attesa di ricevere una
destinazione doganale.
5.3. Presentazione della dichiarazione doganale
Dalla data della dichiarazione sommaria, decorrono i termini per il disbrigo delle formalità necessarie per attribuire alle merci una destinazione doganale.
La dichiarazione in dogana per il vincolo delle merci al regime prescelto
può essere presentata:
-
per iscritto, su modello denominato “Documento Amministrativo Unico
(D.A.U.)”;
L’intervento della Guardia di Finanza 245
-
utilizzando, laddove attivato, un sistema informatico. In Italia, la procedura in vigore consente la trasmissione telematica della dichiarazione, fermo
restando l’obbligo di procedere, comunque, alla stampa della stessa su
supporto cartaceo e successiva presentazione in dogana;
-
oralmente, nei casi fissati dalla legge (situazioni di scarsa rilevanza dal
punto di vista economico: merci al seguito dei viaggiatori o, comunque,
di valore minimo);
-
mediante qualsiasi altro atto con il quale il detentore delle merci manifesti
la sua volontà di vincolarle ad un regime doganale; tale incombenza può
essere assolta da chiunque sia in grado di presentare o di far presentare la
merce ed i relativi documenti, fatta salva la disciplina della rappresentanza.
Tra i dati che devono essere indicati nel D.A.U., rilevano, sotto l’aspetto
fiscale, quelli concernenti gli elementi basilari per l’accertamento dei tributi:
-
qualità delle merci e loro classificazione doganale;
-
quantità;
-
valore;
-
origine,
nonché la casella relativa al computo dei diritti da pagare.
Riprendendo il tema dell’obbligo di dichiarazione, si evidenzia che è prevista, altresì, la possibilità per la parte di presentare una dichiarazione incompleta o di modificare i dati contenuti nella stessa.
Una volta depositata, e sempre che siano state presentate in dogana le
merci cui si riferisce, la dichiarazione viene immediatamente accettata dall’ufficio doganale apponendo numero e data, ed assume valore di bolletta doganale.
La dichiarazione non può essere accettata fino a quando le merci non siano arrivate negli spazi doganali o in altro luogo autorizzato per l’espletamento
delle operazioni doganali. Per le merci destinate all’estero, la dichiarazione può
essere presentata anche quando risulti che le merci si trovino sotto il controllo
di un altro ufficio doganale.
5.4.Controllo della dichiarazione, liquidazione dei diritti e svincolo delle merci
L’Autorità doganale ha facoltà di procedere, ai fini del controllo delle dichiarazioni da essa accettate:
-
alla verifica documentale della dichiarazione e dei documenti ad essa allegati, chiedendo, altresì, laddove ritenuto opportuno, la presentazione di
documenti supplementari;
246
Antonucci, Ialacqua, Carità
-
alla visita delle merci e, ove occorra, ad un prelievo di campioni per analisi o per un controllo approfondito.
Gli uffici doganali nazionali:
-
procedono, comunque, ad effettuare l’esame documentale, allo scopo di
accertare la qualità, la quantità, il valore e l’origine delle merci, nonché
ogni altro elemento occorrente per l’applicazione della tariffa e per la liquidazione dei diritti;
-
possono eseguire la visita totale o parziale delle merci, e debbono obbligatoriamente procedervi nei casi prescritti da norme di legge o di regolamento, da disposizioni ministeriali e secondo i programmi ed i criteri
stabiliti dal D.M. n. 255/1994.
Al riguardo, l’Agenzia delle Dogane ha introdotto anche in Italia, alla
luce delle disposizioni del C.d.c., l’ipotesi del c.d. “canale verde”, che prevede
la possibilità per gli Uffici doganali di non eseguire alcun controllo, né fisico né
documentale – per quelle merci selezionate dal sistema informatico con la sigla
“NC”.3
L’elevato contenuto tecnico della NC ha portato all’emanazione semestrale di un ulteriore documento, denominato “Note esplicative delle Nomenclatura
Combinata delle Comunità Europee”, pubblicato anche in Italia dall’Agenzia
delle Dogane.
Al fine di indicare, per ogni codice della NC, le disposizioni comunitarie
applicabili alle relative merci, è stata aggiunta, alla NC, una nona ed una decima
cifra che tiene conto delle misure comunitarie complementari, pervenendo ad
una Tariffa Integrata Comunitaria denominata TARIC4.
La TARIC, come le tariffe di lavoro nazionali, non ha lo statuto di strumento giuridico, ma i relativi codici devono essere utilizzati per le dichiarazioni
doganali e le informazioni statistiche5.
Le disposizioni modificative dei citati codici possono essere consultati attraverso la lettura degli Allegati I e II, di cui al regolamento 2658/87, pubblicati
Nomenclatura Combinata di cui all’allegato I al regolamento 2658/87, del Consiglio del 23 luglio 1987
composto di circa 670 pagine dove in 99 capitoli, raggruppati in 21 sezioni, sono classificate le merci con
un codice a otto cifre .
4
La TARIC aggiunge alle circa 15.000 voci della NC, ulteriori circa 20.000 suddivisioni (codificate con
due cifre supplementari o con un codice addizionale).
5
L’integrazione e codifica dei provvedimenti relativi alle misure comunitarie concernenti le importazioni
e le esportazioni, costituisce, di fatto, l’unico strumento valido che permette la raccolta di statistiche su
base comunitaria in ordine ai provvedimenti interessati e rendendo così in gran parte superflui gli specifici
sistemi di dichiarazione relativi a determinate merci o misure
3
L’intervento della Guardia di Finanza 247
annualmente sulla Gazzetta della C.E., rispettivamente nella serie “L” (legislazione) e “C” (comunicazioni ed informazioni).
Terminati gli adempimenti di legge, l’ufficio, se non sono emerse difformità rispetto alla dichiarazione, ovvero se il dichiarante non ha contestato le
difformità riscontrate, appone sulla bolletta specifica annotazione firmata e datata e, quando l’accettazione della dichiarazione faccia sorgere un’obbligazione
doganale, procede alla liquidazione del relativo importo.
La data di tale annotazione costituisce il momento in cui l’accertamento
diviene definitivo.
Laddove richiesto dal regime doganale prescelto, gli uffici adottano, altresì, i provvedimenti necessari per l’identificazione delle merci.
La bolletta doganale viene consegnata al dichiarante dopo la riscossione
dei diritti liquidati, o dopo la prestazione della cauzione nei casi e secondo le
modalità prescritte, ovvero ancora dopo l’espletamento di tutte le formalità previste per il regime prescelto.
Contestualmente al rilascio della bolletta, la merce viene svincolata per la
destinazione doganale richiesta.
5.5.Revisione della dichiarazione e controlli a posteriori presso gli operatori con i Paesi terzi
La normativa prevede che l’Autorità doganale possa:
-
procedere alla revisione della dichiarazione, d’ufficio o su richiesta del
dichiarante;
-
controllare, per accertare l’esattezza dei dati contenuti nella dichiarazione, i documenti relativi alle operazioni di importazione o di esportazione, nonché alle successive operazioni commerciali concernenti le merci
stesse.
I controlli possono essere eseguiti presso il dichiarante, ovvero presso
chiunque sia direttamente od indirettamente interessato alle operazioni o sia in
possesso dei documenti relativi.
Gli uffici doganali hanno la facoltà di procedere alla revisione degli elementi presi a base dell’accertamento divenuto definitivo, ancorché le merci che
ne hanno formato l’oggetto siano state lasciate alla libera disponibilità dell’operatore o siano già uscite dal territorio doganale.
Quando dalla revisione emergano inesattezze, omissioni o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, l’ufficio doganale procede alla
248
Antonucci, Ialacqua, Carità
relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando
apposito avviso, contro il quale è ammesso ricorso.
Divenuta definitiva la rettifica, l’ufficio procede al recupero dei diritti dovuti, ovvero promuove d’ufficio la procedura per il rimborso di quelli pagati in
eccesso. La revisione dell’accertamento comporta, ove ne ricorrano gli estremi,
la contestazione delle violazioni per le dichiarazioni infedeli o delle più gravi
infrazioni eventualmente rilevate.
5.6.L’attività di intelligence
L’attività d’intelligence riveste fondamentale importanza per lo sviluppo
dell’iter info-investigativo e la successiva fase operativa.
Essa si concretizza in attività di documentazione, studio, ricerche ed analisi, finalizzate alla predisposizione di esaurienti quadri conoscitivi, utili per
orientare proficuamente la politica strategica ed operativa della complessiva
azione di polizia.
I recenti sviluppi dei fenomeni oggetto di attenzione hanno richiesto di
affiancare, all’azione investigativa sul campo, una funzione di analisi, collaterale e complementare, da realizzare anche attraverso l’impiego di procedure
informatiche “dedicate”.
Al riguardo, si richiama in questa sede la duplice funzione tipica dell’intelligence, e cioè quella di assicurare:
-
l’analisi strategica, mediante lo studio degli elementi generali del fenomeno di interesse, al fine di orientare la successiva azione di polizia preventiva o repressiva; soprattutto con l’ausilio di banche dati in uso al Corpo
e/o provenienti da altri enti cooperanti;
-
l’analisi operativa, che si fonda su elementi concreti in base ai quali
vengono approfonditi gli aspetti investigativi dei casi specifici e fornite
precise ipotesi di lavoro, al fine di indirizzare le indagini nella direzione
opportuna. (creazione di nuove tecniche info-investigative – nuovi datawarehouse).
5.7. Servizi fissi all’interno degli spazi doganali
5.7.1.Vigilanza ed assistenza
L’art. 17 del Testo Unico delle leggi doganali definisce, quali spazi doganali, “i locali in cui funziona un servizio di dogana, nonché le aree sulle quali
L’intervento della Guardia di Finanza 249
la dogana esercita la vigilanza ed il controllo, a mezzo dei suoi organi diretti o
a mezzo della Guardia di Finanza”.
Le attività in esame sono principalmente disciplinate:
-
dagli artt. 19, 32 e 63 TULD, nonché dai DD.MM. n. 254 e n. 255 in data
28 gennaio 1994, relativamente al controllo delle merci;
-
dall’art. 20 TULD, per quanto riguarda il controllo dei passeggeri.
La funzione assicurata dal servizio è quella di garantire l’osservanza della
disciplina concernente il movimento e la custodia della merci, al fine di impedire che vengano compiute sottrazioni, confusioni o sostituzioni, ovvero operazioni non permesse.
Le specifiche modalità esecutive sono regolate da apposite “consegne”,
concordate dal Capo della Dogana e dal Comandante competente del Corpo,
che ne verificano costantemente l’attualità rispetto ai flussi commerciali da sottoporre a vigilanza ed all’evoluzione del quadro normativo di riferimento.
Le attribuzioni riconosciute ai militari del Corpo vengono esercitate
nell’ambito di un rapporto di dipendenza funzionale dal personale delle Dogane.
Inoltre, l’art. 22 TULD prevede la possibilità per i Capi delle Dogane,
d’intesa con i Comandanti competenti del Corpo, di adottare opportune misure
di vigilanza che non richiedano la presenza continua dei militari.
I mezzi di trasporto di qualsiasi genere che attraversano la linea doganale
in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli spazi stessi, possono essere sottoposti a visita da parte dei funzionari doganali direttamente o per
mezzo dei militari della Guardia di Finanza, anche attraverso l’ausilio di sistemi elettronici avanzati che utilizzano tecniche non invasive ai raggi X6, al fine
di indirizzare selettivamente i controlli fisici sia verso l’ispezione di container
che verso i veicoli adibiti al trasporto di merce.
Questo nuovo e selettivo sistema consente di semplificare ed accelerare
le operazioni di visita delle merci e di riverberare analoghi effetti sul servizio di
riscontro, che può essere più speditivo nei confronti di quei mezzi che sono stati
oggetto di scansione ai raggi X.
5.7.2.Riscontro
Prima che le merci lascino definitivamente gli spazi doganali, l’art. 21
TULD prevede la facoltà per i militari del Corpo di eseguire il riscontro sommario ed esterno dei colli e delle merci alla rinfusa.
6
Es.: tecnica di utilizzo dei c.d. SILHOUTTE SCAN.
250
Antonucci, Ialacqua, Carità
La funzione del servizio è volta ad assicurare il controllo, dopo lo svincolo delle merci, della corrispondenza del carico ai documenti doganali di scorta,
al fine di attivare, nel caso sussistano fondati sospetti di irregolarità, la visita
di controllo, ai sensi dell’art. 63 TULD, inoltrando immediatamente motivata
richiesta al Capo dell’ufficio doganale.
Si tratta di un servizio autonomo affidato alla Guardia di Finanza, per il
cui svolgimento i militari esercitano un’ampia ed autonoma discrezionalità, essendo prevista la facoltà di prescindere dal riscontro, ovvero di limitarlo ad un
parte soltanto del carico.
In questa direzione, l’introduzione di nuovi e più performanti ausili elettronici, di supporto ai militari impiegati nello specifico settore, permetterebbe
di realizzare più penetranti accertamenti sulla qualità ed entità di merci realmente trasportate, con metodi “non invasivi”, anche in virtù delle peculiarità
che contraddistinguono i rifiuti rispetto alle normali merci trasportate; a titolo
di esempio:
-
contatori “Geiger”, per la rilevazione sulla radioattività delle merci;7
-
olfattometri elettronici, definiti anche “nasi elettronici”8;
-
sistemi di elaborazione dati miniaturizzati – palmari - integrati all’utilizzo
di sistemi Web Service per la consultazione di Banche dati dinamiche o
datawarehouse dedicati;
-
sistemi di rilevazione elettronica del peso per automezzi di grosse dimensione, al fine di rilevare l’effettivo carico e riscontrare difformità rispetto
al peso specifico delle merce.
5.8.Servizi di vigilanza dinamica fuori dagli spazi doganali
5.8.1.Controlli su strada
L’art. 20-bis TULD attribuisce ai militari del Corpo il potere di esercitare,
fuori degli spazi doganali, i poteri di visita, ispezione e controllo sui mezzi di
trasporto e sui bagagli delle persone.
Utile per misurare radiazioni di tipo ionizzante. In particolare può essere usato per misurare le
radiazioni provenienti da decadimenti di tipo Alfa, Beta e Gamma (nuclei di elio, elettroni e fotoni
ad alta energia).
8
Il naso elettronico è un sistema biomimetico, progettato cioè per imitare il funzionamento dei sistemi olfattivi che ritroviamo in natura, come quello dei mammiferi o più specificatamente quello umano. Un naso
elettronico raccoglie ed elabora le informazioni provenienti da una serie di sensori ; tali informazioni sono
inizialmente codificate come grandezze elettriche, ma vengono immediatamente acquisite e digitalizzate
da un sistema di elaborazione.
7
L’intervento della Guardia di Finanza 251
In particolare, la norma prevede la facoltà di procedere alla visita:
-
dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere che comunque attraversano il
confine terrestre della Repubblica.
In presenza di fondati sospetti di irregolarità, gli automezzi, le navi e gli
aerei possono essere sottoposti altresì ad ispezioni e controlli tecnici particolarmente accurati, diretti ad accertare eventuali occultamenti di merci.
Anche in tali circostanze sarà possibile utilizzare i sistemi elettronici di
rilevamento delle sostanze realmente trasportate, cui si è fatto riferimento
in precedenza.
-
dei bagagli e degli altri oggetti in possesso delle persone che comunque
attraversano il confine terrestre della Repubblica.
Gli interventi ispettivi in esame rientrano nei più generali compiti di vigilanza sui trasporti stradali assicurati dalle pattuglie del Corpo, anche ai
fini della fiscalità interna.
5.8.2.Zona di vigilanza doganale terrestre e marittima
Penetranti poteri sono attribuiti ai militari del Corpo nella zona di vigilanza doganale terrestre, definita all’art. 23 TULD.
L’art. 25 TULD, infatti, riconosce la facoltà di procedere, al fine di accertare la legittima provenienza delle merci estere soggette a diritti di confine,
a perquisizioni, verificazioni e ricerche, ai sensi degli artt. 33 e 35 della legge
7 gennaio 1929, n. 4, nonché di sottoporre le stesse a sequestro, in presenza di
indizi circa l’introduzione in contrabbando nel territorio doganale.
Al riguardo, la legge prescrive che il detentore delle merci ha l’obbligo di
dimostrare la legittima provenienza dei beni al seguito e, qualora rifiuti o non
sia in grado di fornire tale prova, o quando le prove addotte siano inattendibili,
viene ritenuto responsabile di contrabbando, salvo che il possesso derivi da altro
reato da lui commesso.
Analogamente a quanto disposto per la zona di vigilanza doganale terrestre, l’art. 29 TULD delinea il concetto di zona di vigilanza doganale marittima,
nella quale i militari della Guardia di Finanza possono esercitare specifici poteri
di controllo.
In particolare, ai sensi dell’art. 30 TULD, le unità navali del Corpo possono:
-
per le navi di stazza netta non superiore alle 200 tonnellate, recarsi a bordo
e farsi esibire il manifesto e gli altri documenti di carico;
nei casi di assenza o rifiuto di esibizione dei predetti documenti, e, co-
252
Antonucci, Ialacqua, Carità
munque, in presenza di indizi di violazioni di norme doganali, è possibile
scortare la nave alla più vicina dogana per gli accertamenti del caso;
-
per le navi di stazza netta superiore alle 200 tonnellate, effettuare una vigilanza di tipo visivo sui loro movimenti.
La possibilità di recarsi a bordo e richiedere i documenti, nonché di scortare la nave alla più vicina dogana, è limitata esclusivamente alle ipotesi in cui
viene tentato l’imbarco, lo sbarco ovvero il trasbordo di merci dalla nave, in
luoghi in cui non vi sono uffici doganali.
5.9.Controlli a posteriori presso le imprese che effettuano interscambio
di beni con l’estero
L’esame, presso le imprese, del corretto svolgimento delle operazioni doganali viene svolto dai reparti del Corpo:
-
in via concorrente, nell’ambito dell’attività di verifica fiscale generale,
avente per oggetto tutti i settori impositivi concernenti la gestione aziendale;
-
nel contesto dei servizi di polizia giudiziaria in relazione ad ipotesi di
contrabbando;
-
mediante interventi operativi “mirati”, in modo specifico, al controllo degli scambi commerciali con i Paesi terzi.
In quest’ultimo caso, l’obiettivo del controllo non è limitato al solo accertamento del corretto svolgimento delle formalità doganali e del pagamento
dei relativi dazi, ma anche dei rilevanti flussi economico-finanziari che a tali
operazioni si riferiscono.
6.
Progetto “s.Co.R.I.A.” – Attività della Guardia di Finanza in Puglia
6.1. Premessa
La Guardia di Finanza costituisce, fin dalle origini, la polizia doganale
nazionale preposta al contrasto del contrabbando e dei traffici illeciti; per l’assolvimento di tale compito istituzionale, sono impegnate strutture operative
capillarmente distribuite sul territorio, specializzate nell’attività d’intelligence
e nelle investigazioni penali, nelle verifiche e negli accertamenti bancari; pari9
Vgs. nota 2
L’intervento della Guardia di Finanza 253
menti, in linea con tale indirizzo, viene attribuita una crescente importanza alle
tecnologie informatiche, anche attraverso collegamenti con altri Organismi pubblici e privati - operanti nel settore.
Va inoltre specificamente evidenziato che il Corpo svolge compiti di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente, ai sensi dell’art 8, comma 4, della Legge 8 luglio 1986, n. 349.
Su tali premesse, nel solco tracciato dal D.Lgs. n. 68/20019, la Guardia di
Finanza – anche in Puglia - ha sviluppato sinergie istituzionali con Enti locali
deputati all’attuazione delle misure comunitarie in materia ambientale, attraverso la sottoscrizione, come detto, di apposite Convenzioni; ciò nell’ottica di
pervenire alla massimizzazione delle potenzialità d’azione dell’Istituzione, attraverso la previsione di attività, da condurre in sinergia con gli Enti preposti,
con l’obiettivo di analizzare, studiare, e quindi applicare, moduli operativi di
intervento nella repressione dei crimini ambientali, utilizzando innovative e più
incisive metodologie di analisi ed investigazione.
In tale ottica, in applicazione della specifica convenzione sottoscritta dal
Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza10, gli Autori hanno condotto una approfondita analisi della complessa fenomenologia concernente le movimentazioni transfrontaliere di merci, da e per l’Albania, attraverso i valichi di
frontiera delle province di Bari, Brindisi e Lecce, preliminarmente svolgendo:
•
una raccolta di informazioni in sede nazionale, comunitaria ed internazionale, con lo scopo di ricercare le movimentazioni di quelle merci che,
per la loro particolare e specifica tipicità, potessero essere di rilievo per
l’individuazione di possibili illeciti flussi di rifiuti;
•
un esame delle notizie acquisite ed integrate, anche, attraverso riscontri
con le banche dati disponibili ed elaborazione dei dati così ottenuti.
6.2.Analisi del fenomeno
Come già anticipato al par. 2., la definizione di “rifiuto” è attribuita dalle
Autorità competenti di cui alla direttiva 2006/12/CE (direttiva quadro sui rifiuti), valutandone la natura caso per caso, quando queste devono rilasciare un’autorizzazione o decidere in merito alla spedizione di rifiuti.
La stessa direttiva contiene una classificazione dei materiali identificabili
quali “rifiuti”, suddividendoli in base all’origine (urbani o speciali) ed alla perico10
INTERREG IIIA – Italia-Albania
254
Antonucci, Ialacqua, Carità
losità (pericolosi e non pericolosi), denominata Codice Europeo dei Rifiuti (CER).
Se apparentemente può risultare agevole determinare ciò che è rifiuto e
ciò che rifiuto non è, in concreto l’effettiva qualificazione della merce pone dei
seri problemi interpretativi come, ad esempio, la distinzione tra i materiali che
non sono l’obiettivo primario di un processo di produzione, ma che possono essere considerati sottoprodotti non assimilabili a rifiuti, e i materiali che devono
invece essere trattati come rifiuti.
Alcuni esempi chiariscono la problematica11:
Scorie e polveri derivanti dalla produzione siderurgica aNON RIFIUTO
Le scorie di altoforno sono prodotte contemporaneamente alla ghisa liquida. Il processo di produzione siderurgico è adattato per conferire alle scorie le
caratteristiche tecniche richieste, in base a una scelta tecnica operata all’inizio
del processo di produzione, che determina il tipo di scorie da produrre.
L’utilizzo delle scorie è peraltro certo per una serie di impieghi finali ben
determinati ed esiste una domanda elevata. Le scorie di altoforno possono essere utilizzate direttamente al termine del processo di produzione, senza doverle sottoporre ad alcuna trasformazione che sia parte integrante del processo di
produzione in corso (ad esempio: la frantumazione, per ridurle alle dimensioni
richieste). Si può quindi ritenere che la definizione di rifiuto non si applica a
questo materiale.
Scorie di desolforazione derivanti dalla produzione siderurgica a RIFIUTO
Per contro, la produzione delle scorie di desolforazione avviene a causa
della necessità di desolforare il ferro prima di trasformarlo in acciaio. Ricche di
zolfo, queste scorie non possono essere utilizzate o riciclate nel circuito metallurgico, ragion per cui sono generalmente smaltite in discarica. Si tratta di un
rifiuto fin dalla produzione.
Polvere estratta durante il processo di produzione dell’acciaio a RIFIUTO
è la polvere estratta durante il processo di produzione dell’acciaio, quando si depura l’aria all’interno dello stabilimento.
Mediante un processo di estrazione, la polvere è trattenuta da filtri, i quali
possono essere puliti e il cui contenuto metallico riciclato è reintegrato nel ciclo
economico.
11
Fonte: Commissione Europea, COM 2007/59
L’intervento della Guardia di Finanza 255
Sottoprodotti dell’industria agroalimentare - Mangimi a NON RIFIUTO
I sottoprodotti dell’industria agroalimentare sono utilizzati massicciamente nei mangimi. I processi di produzione in numerosi settori (produzione di
zucchero, amido e malto, frangitura di oleaginosi) generano sostanze che sono
utilizzate come materie prime per mangimi, direttamente dagli agricoltori o dai
fabbricanti di alimenti composti per animali.
Sebbene non si possa automaticamente considerare tutti i residui di produzione destinati all’alimentazione animale come non rifiuti, le suddette sostanze
sono prodotte deliberatamente nell’ambito di processi di produzione adattati a
tal fine, oppure, qualora non siano prodotte deliberatamente, soddisfano i criteri
cumulativi per i sottoprodotti definiti dalla Corte di Giustizia, dato che il loro
riutilizzo nei mangimi è certo e non necessitano di trasformazione previa al di
fuori del processo di produzione. Si può quindi ritenere che la definizione di
rifiuto non si applica al materiale in questione.
Alcune tipologie di scarti e altri materiali analoghi a NON RIFIUTO
La segatura, i trucioli e i cascami di legno non trattato sono prodotti nelle
segherie o nell’ambito di operazioni secondarie, come la fabbricazione di mobili o pallet e il confezionamento, contemporaneamente al prodotto principale,
ovvero il legno lavorato.
Questi elementi sono poi impiegati come materie prime per la produzione
di pannelli in legno, come quelli in truciolato, o nella fabbricazione della carta.
Il loro utilizzo è certo, rientra nel processo di produzione e non necessita di
trasformazione previa, se non quella necessaria a ridurre tali materiali alle dimensioni richieste per poterli integrare nel prodotto finale.
Di norma, i residui provenienti da un processo di produzione principale,
o i materiali che presentano solo difetti superficiali ma la cui composizione è
identica a quella del prodotto principale, come le miscele di gomma o i composti per vulcanizzazione, trucioli e pezzetti di sughero, scarti di plastica e altre
materie simili, possono essere considerati sottoprodotti.
Affinché sia così devono potere essere riutilizzati direttamente nel processo di produzione principale o in altre produzioni che siano parte integrante di tale processo e per le quali il loro utilizzo sia altrettanto certo. Si può
ritenere che anche questo tipo di materiali non rientra nella definizione di
rifiuto. Laddove questi materiali richiedano un’operazione completa di riciclaggio o di recupero, o se contengono sostanze inquinanti che occorre eliminare prima di poterli riutilizzare o trasformare, essi devono essere considera-
256
Antonucci, Ialacqua, Carità
257
L’intervento della Guardia di Finanza ti rifiuti fino al completamento dell’operazione di riciclaggio o di recupero.
In sintesi, uno schema per stabilire se un materiale sia da ritenersi rifiuto
o sottoprodotto:
6.3. Movimentazioni transfrontaliere tra l’Albania e la Puglia (Bari,
Brindisi e Lecce)
Le movimentazioni trasnfrontaliere di merci tra l’Albania e l’Italia, attraverso i valichi di frontiera di Bari, Brindisi e Lecce, hanno assunto, nel tempo,
crescente consistenza, come si evince dalle tabelle appresso riportate, basate sui
dati rilevati attraverso l’archivio dei dati doganali “M.E.R.C.E.”12.
ANNO
OPERAZIONI
DOGANALI NR.
AMMONTARE
COMPLESSIVO
QUANTITà
DELLE MERCI KG.
IVA
2006
28.457
€ 316.564.826,00
94.302.576
€ 28.917.447,00
2007
33.112
€ 346.888.751,00
103.859.467
€ 32.821.477,00
Tab. 1 – Importazioni dall’Albania nell’ultimo biennio
ANNO
OPERAZIONI
DOGANALI NR.
AMMONTARE
COMPLESSIVO
QUANTITà DELLE
MERCI KG.
TRIBUTI
2007
96.358
€
589.064.940,00
740.960.567
€ 357.602,00
2006
85.892
€
479.118.803,00
857.663.267
€ 279.143,00
Tab. 2 – Esportazioni verso l’Albania nell’ultimo biennio
258
Antonucci, Ialacqua, Carità
Nel dettaglio, per le importazioni:
PROVINCE
OPERAZIONI
DOGANALI NR.
AMMONTARE
COMPLESSIVO
QUANTITà DELLE
MERCI KG.
IVA
BARI
26.876
€ 315.307.813,00
92.457.351
€ 28.615.053,00
BRINDISI
5.765
€ 27.349.562,00
9.552.124
€ 3.766.755,00
LECCE
471
€ 4.231.375,00
1.849.992
€ 439.669,00
TOTALE
33.112
€ 346.888.751,00
103.859.467
€ 32.821.477,00
Tab. 3 – Importazioni dall’Albania nell’anno 2007
Per le esportazioni:
PROVINCE
OPERAZIONI
DOGANALI NR.
AMMONTARE
COMPLESSIVO
QUANTITà DELLE
MERCI KG.
TRIBUTI
BARI
BRINDISI
LECCE
73.002
20.476
2.880
€ 466.850.704,00
€ 94.965.594,00
€ 27.248.642,00
312.945.846
67.523.832
360.490.889
€ 243.455,00
€ 54.097,00
€ 60.050,00
TOTALE
96.358
€ 589.064.940,00
740.960.567
€ 357.602,00
Tab. 4 – Esportazioni verso l’Albania nell’anno 2007
L’analisi delle tipologie di merci movimentate attraverso la linea doganale
di Bari, Brindisi e Lecce, sulla base dei codici TARIC ad esse attribuiti, non ha
evidenziato transiti palesi di “rifiuti”, convenzionalmente identificati come tali,
anche perché la classificazione TARIC non contempla espressamente, salvo limitatissimi casi, voci che identificano una merce come rifiuto.
Tuttavia, talune merci transitate, pur non essendo classificabili quali “rifiuti”, secondo il codice TARIC, potrebbero essere considerate tali in conformità
con le indicazioni dei Codici CER.
Ad esempio, in una recente esperienza operativa è stata individuata una
partita di merce cui era stato attribuito il codice TARIC “7802000000” (rottami
di piombo), che, a seguito di controllo da parte dei militari del Corpo, è invece
risultata composta da “batterie esauste”, costituenti quindi “rifiuti pericolosi”.
L’intervento della Guardia di Finanza 259
6.4. Prospettive del progetto S.CO.R.I.A.
In linea con lo scopo del progetto S.CO.R.I.A., armonizzando i qualificati
contribuiti scientifici e tecnico-operativi contenuti nel presente volume, saranno
sviluppate ulteriori sinergie, indirizzate a:
•
monitorare la movimentazioni di merci in transito transfrontaliero tra la
Puglia e l’Albania, secondo specifiche progettualità intervenziali;
•
individuare i settori merceologici e le tipologie di operazioni commerciali
a rischio potenziale di transito di “rifiuti”;
•
ricercare, verificandone l’efficacia, nuovi ausili informatici e tecnologici
di supporto agli operatori, per la ricerca e la scoperta dei traffici illeciti di
“rifiuti”.
L’esito complessivo dei lavori del progetto S.CO.R.I.A. sarà oggetto di un
successivo testo, con l’obiettivo finale di predisporre azioni comuni finalizzate
a promuovere la legalità, con sempre maggiore forza e determinazione.
Domenico Gramegna
Tipologia dei rifiuti
Sommario: 1. Premessa - 2. Rifiuti urbani - 3. Rifiuti da demolizione - 4. Fanghi di depurazione - 5.
Pneumatici - 6. Scarti di legno - 7. RAEE - 8. Fluff di frantumazione - 9. Veicoli fuori uso - 10. Rifiuti
prodotti da processi termici
1.
Premessa
I risultati conseguiti nell’ambito delle attività di tutela ambientale realizzate nelle annualità 2004-2005 in Convenzione tra Commissario Delegato per
l’emergenza ambientale in Puglia, Assessorato regionale all’Ambiente, Guardia
di Finanza, ARPA Puglia e CNR-IRSA, associati alla necessità di proseguire
l’azione di monitoraggio e di prevenzione, ha motivato la sottoscrizione di uno
specifico Accordo di Programma esteso alle forze dell’Ordine operanti nel settore ambientale, quali la Guardia di Finanza, il Comando Tutela Ambiente dei
Carabinieri ed il Corpo Forestale dello Stato.
Da tale accordo è disceso un programma di lavoro teso a razionalizzare
le attività di monitoraggio dei siti potenzialmente inquinati finalizzate alla ricostruzione di un quadro chiaro ed esaustivo dei livelli di degrado e di contaminazione ambientale presenti sul territorio regionale, nonchè della movimentazione
dei materiali di scarto e rifiuti che vengono dai siti stessi asportati e trasferiti nei
siti di definitiva raccolta, stoccaggio e discarica, con la finalità di porre in essere
interventi volti al recupero funzionale degli ecosistemi, al ripristino ambientale
dei siti inquinati.
Le attività svolte finora unite ad altre esperienze condotte da ARPA Puglia sul
territorio regionale hanno permesso di elencare le tipologie di rifiuti più frequentemente presenti negli episodi di abbandono e formazione di discariche abusive.
Tali tipologie sono state rappresentate in schede che riportano la classificazione CER del rifiuto, elementi di gestione tecnico-legale, impatti sull’ambiente
delle sostanze che compongono tipicamente i rifiuti nell’ottica sia di decifrarne
la pericolosità, sia di identificare composti chimici o elementi come traccianti
nella progettazione di analisi chimiche richieste dagli organi prelevatori a seguito di campionamenti in sito.
262
2.
Gramegna
Rifiuti urbani
Codici
20 Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata
20 01
20 01 01
20 01 02
20 01 08
20 01 10
20 01 11
20 01 13 *
20 01 14 *
20 01 15 *
20 01 17 *
20 01 19 *
20 01 21 *
20 01 23 *
20 01 25
20 01 26 *
20 01 27 *
20 01 28
20 01 29 *
20 01 30
20 01 31 *
20 01 32
20 01 33 *
20 01 34
20 01 35 *
frazioni oggetto di raccolta differenziata (tranne 15 01)
carta e cartone
vetro
rifiuti biodegradabili di cucine e mense
abbigliamento
prodotti tessili
solventi
acidi
sostanze alcaline
prodotti fotochimici
pesticidi
tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio
apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi
oli e grassi commestibili
oli e grassi diversi da quelli di cui alla voce 20 01 25
vernici, inchiostri, adesivi e resine contenenti sostanze pericolose
vernici, inchiostri, adesivi e resine diversi da quelli di cui alla
voce 20 01 27
detergenti contenenti sostanze pericolose
detergenti diversi da quelli di cui alla voce 20 01 29
medicinali citotossici e citostatici
medicinali diversi da quelli di cui alla voce 20 01 31
batterie e accumulatori di cui alle voci 16 06 01, 16 06 02 e 16 06
03 nonché batterie e accumulatori non suddivisi contenenti tali
batterie
batterie e accumulatori diversi da quelli di cui alla voce 20 01
33
apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da
Tipologia dei rifiuti 20 01 36 20 01 37 *
20 01 38
20 01 39
20 01 40
20 01 41
20 01 99
20 02
263
quelle di cui alla voce 20 01 21 e 20 01 23, contenenti componenti pericolosi
apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da
quelle di cui alle voci 20 01 21, 20 01 23 e 20 01 35
legno, contenente sostanze pericolose
legno, diverso da quello di cui alla voce 20 01 37
plastica
metallo
rifiuti prodotti dalla pulizia di camini e ciminiere
altre frazioni non specificate altrimenti
20 02 01
20 02 02
20 02 03
rifiuti prodotti da giardini e parchi (inclusi i rifiuti provenienti da
cimiteri)
rifiuti biodegradabili
terra e roccia
altri rifiuti non biodegradabili
20 03
20 03 01
20 03 02
20 03 03
20 03 04
20 03 06
20 03 07
20 03 99
altri rifiuti urbani
rifiuti urbani non differenziati
rifiuti dei mercati
residui della pulizia stradale
fanghi delle fosse settiche
rifiuti della pulizia delle fognature
rifiuti ingombranti
rifiuti urbani non specificati altrimenti
Gestione
a)
b)
c)
d)
L’art. 184 comma 2 del D.Lgs. 152/06 definisce rifiuti urbani:
i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;
i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi
da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g);
i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree
264
Gramegna
pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree
cimiteriali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti
provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c)
ed e).
L’art.195 comma 2 del D.Lgs 152/06 al punto e) prevede fra le competenze dello Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per
l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e
dei rifiuti urbani. Lo Stato dovrebbe definire i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti
urbani. Peraltro l’art. 198 del D.Lgs.152/06 prevede che i comuni concorrano
a disciplinare la gestione dei R.U. con appositi regolamenti che stabiliscano,
fra l’altro, come previsto al comma 2 punto g, l’assimilazione, per qualità e
quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di
cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui
all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d).
La produzione dei rifiuti domestici pone problemi di gestione da oltre 30
anni allorquando molte discariche iniziarono ad essere stracolme. Negli anni
’70 si iniziò a delineare la necessità di rivedere il concetto di gestione dei rifiuti
solidi urbani (RSU) in un’ottica di riduzione della quantità complessiva prodotta giornalmente per singolo cittadino e si iniziò a parlare di raccolta differenziata, di riciclaggio e persino di divieto dell’uso di alcuni materiali più difficili.
è di quegli anni, infatti, l’emanazione della legge che imponeva una tassa sui
sacchetti di plastica per disincentivarne l’uso. Da allora ad oggi sono state attuate diverse politiche per cercare di affrontare il problema ma quasi sempre si
sono incentrate sulla scelta di soluzioni tecnologiche per la gestione finale dei
rifiuti che rispondessero innanzi tutto a necessità economiche immediate. Nella valutazione economica delle modalità di gestione degli RSU non sono mai
stati inseriti i costi sociali complessivi, le cosiddette esternalizzazioni passive,
rappresentate, ad esempio, dall’impegno economico pubblico per la decontaminazione ambientale o i costi per la cura di malattie indotte all’esposizione degli
inquinanti rilasciati nel percolato delle discariche o nei fumi degli inceneritori.
Né sono stati applicati quei concetti generali che permettessero di gestire i rifiuti in un’ottica di massima riduzione a monte ed alla produzione composizioni
merceologiche tali da ottimizzarne il riutilizzo o il riciclaggio. Per poter attuare
una strategia efficiente di vera gestione degli scarti domestici non si può pre-
Tipologia dei rifiuti 265
scindere dalla comprensione del fenomeno in termini non solo quantitativi ma
anche qualitativi. Non si può, infatti, pianificare una politica di riduzione, di
raccolta differenziata, di riciclaggio e di scelta ragionata delle migliori forme
di smaltimento se non si esaminano le diverse componenti merceologiche che
compongono gli RSU. è singolare che nonostante le dichiarazioni d’intenti, le
leggi e le campagne di educazione del pubblico, la gestione dei rifiuti sia ancora,
e sempre, in uno stato di emergenza e sia ancora al centro di forti scontri sociali
sul territorio.
Il primo dato da acquisire per poter comprendere la natura e la corretta
entità del problema, nonché la potenzialità, il significato e l’importanza delle
politiche di riduzione, raccolta differenziata e riciclaggio, è la composizione
dei rifiuti. Nonostante la composizione percentuale delle diverse componenti
degli RSU vari da regione a regione, si possono fare delle stime che con buona
approssimazione si avvicinano a tutte le realtà urbane. Come si vede dalla figura
1, la materia organica, costituita prevalentemente dagli scarti alimentari, rappresenta circa 1/3 in peso della spazzatura casalinga (va segnalato che in alcune
città si supera il 40%), seguita da carta e cartone, legno e stracci, plastica, vetro,
metalli. Circa l’1% in peso e rappresentato da rifiuti pericolosi, derivanti dalla
presenza di medicinali, batterie e prodotti chimici come solventi, detergenti,
vernici, composti per il giardinaggio ed altri prodotti chimici di uso casalingo.
La presenza di questa componente presenta non pochi problemi di gestione dal
momento che la loro tossicità si può trasferire in comparti ambientali, come
aria ed acqua, che possono rappresentare la via, diretta o indiretta, della loro
assunzione da parte dell’uomo. La loro raccolta differenziata, quindi, ha poco
a che vedere con la possibilità del loro riciclaggio, ma è mirata ad evitare che
il loro non corretto trattamento posa portare a danni sanitari. Come si deduce
dai dati esposti, quindi, i rifiuti casalinghi sono largamente rappresentati dagli
scarti alimentari e dagli imballaggi che li contengono ed a cui vanno aggiunte
le confezioni di prodotti non alimentari. Esiste in realtà anche una frazione di
piccole dimensioni che non è riconducibile a alcuna categoria merceologica particolare e che rappresenta il sottovaglio. Appartengono agli RSU anche parte dei
cosiddetti “ingombranti” come materassi, lavatrici, frigoriferi, reti, armadi etc.
che però vengono prodotti più raramente nel corso di un anno e che meritano
un discorso a parte di cui non ci occuperemo qui per brevità e per focalizzare
l’attenzione sulla frazione più consistente di RSU.
266
Gramegna
Nonostante l’evidente necessità di ridurre la quantità complessiva di prodotti che finiscono in breve tempo ad alimentare la produzione di RSU, nel
corso degli anni la loro quantità è aumentata progressivamente. La produzione
giornaliera di rifiuti è continuata a crescere anche dopo che il problema si era già
posto con gravità in molte città italiane e nonostante il tanto parlare di raccolta
differenziata e di riciclaggio. La produzione individuale giornaliera dei rifiuti è
oggi stimata in poco meno di 1,4 kg che corrispondono a circa mezza tonnellata
annua. Dal momento che la frazione organica proveniente dagli scarti alimentari
non si presta a fluttuazioni apprezzabili nel corso degli anni, è importante considerare il dato relativo alla produzione degli imballaggi totali e quello disaggregato per diverso materiale, dal quale si può vedere che il legno ha subito un
andamento non lineare nell’arco degli anni, ma la sua produzione è generalmente diminuita, mentre alluminio e poliaccoppiati (ad esempio il tetrapack in cui
sono contenuti succhi di frutta o latte), sono rimasti sostanzialmente invariati e
rappresentano una frazione in peso poco importante rispetto ad altri materiali.
L’uso di vetro, carta e plastiche è invece generalmente aumentato nel tempo,
con incrementi consistenti per la carta e le plastiche. Riguardo a quest’ultime, è
importante considerare che, a parità di peso, possono occupare molto più volume rispetto ad altri materiali, data la loro leggerezza.
L’esplosione del problema della gestione degli RSU ha portato alla costituzione dei consorzi di riciclaggio per ciascuna filiera merceologica finanziati
con una parte di fondi che i produttori dei diversi imballaggi avevano l’obbligo
di conferire loro. Il compito di questi consorzi era quello di avviare campagne
di sensibilizzazione degli utenti circa la possibilità di ridurre i rifiuti da smaltire
grazie alla raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio dei materiali che finivano tra i rifiuti. Il concetto di riciclaggio fa riferimento alla possibilità di reimmettere parte o tutto il materiale presente nei rifiuti nei circuiti produttivi dei
beni che li hanno originati. L’attività di raccolta differenziata degli imballaggi
è aumentata per tutti i materiali, nonostante esistano tuttora notevoli differenze
geografiche in questa pratica che è ben avviata al Nord mentre è meno attuata al
centro e soprattutto al Sud e nelle isole.
Questo dato sulla raccolta differenziata potrebbe portare a pensare che,
parallelamente, anche il riciclaggio abbia seguito un andamento simile, ma così
non è. Per poter comprendere a fondo la distinzione della raccolta differenziata
e del riciclaggio, è necessario prendere in esame le reali potenzialità ed i costi
del riciclaggio della materia per le diverse frazioni merceologiche.
Perciò che riguarda la carta, la percentuale di riciclaggio è molto eleva-
Tipologia dei rifiuti 267
ta, fino all’80% di quella raccolta in maniera differenziata, soprattutto se ben
selezionata a monte. L’Italia continua ad essere deficitaria in termini di produzione di carta riciclata ed è ancora consistente l’importazione della carta da
macero dall’estero, che supera le 600 mila tonnellate/anno. Ciò significa che
la raccolta differenziata serve e può essere ulteriormente estesa. Il vetro presenta il grande vantaggio di poter essere riutilizzato tal quale senza necessità di
essere pretrattato, se usato nelle confezioni con ritorno cauzionale, come le bottiglie riconsegnate ai produttori. Questa è la forma più economica di riciclaggio
in quanto consente di risparmiare molta energia che negli altri materiali viene
impiegata per omogeneizzare il materiale da riciclare. Ma anche il vetro rottamato presenta elevate percentuali di riciclaggio che superano il 70% di quello
raccolto in maniera separata. I contenitori in alluminio, pur non rappresentando
una frazione importante in termini di peso percentuale, si prestano anch’essi ad
un riciclaggio considerevole, mentre i poliaccoppiati, data la presenza contemporanea di diversi materiali, come carta e plastica o alluminio, presenta problemi consistenti che riguardano proprio la necessità di separare le diverse frazioni
prima di poterle avviare al riciclaggio. Perciò che concerne le plastiche, va considerato come non si tratti in realtà di una frazione merceologica omogenea, dal
momento che gli imballaggi sono costruiti con materiali chimicamente diversi
tra loro come il polietilene (PE), il polipropilene (PP), il polietilentereftalato
(PET), il cloruro di polivinile (PVC), il polistirene (PS), i policarbonati (PC)
per citare quelli che più comunemente entrano nella composizione della frazione plastica degli RSU. Anche all’interno delle singole tipologie di plastica
possono esistere ulteriori differenze che riguardano, ad esempio, l’elasticità del
prodotto, la sua colorazione o la trasparenza. Tutte queste caratteristiche mutano al mutare della composizione chimica della plastica che viene lavorata con
tecniche o additivi che le differenziano ulteriormente e che ne hanno fatto il loro
punto di maggior convenienza. Questa loro elevata eterogeneità si traduce nella
produzione di una materiale riciclato generalmente disomogeneo, con scarse
caratteristiche di resistenza meccanica e chimica. È importante considerare che,
a differenza di quanto accade per l’alluminio e per il vetro, la plastica riciclata
da una bottiglia per l’acqua non potrà mai essere riusata per lo stesso scopo. Va
inoltre considerato che, dato il basso costo della materia prima vergine proveniente dalla separazione del petrolio nelle sue diverse componenti di idrocarburi, la plastica riciclata costa troppo per essere conveniente ed il suo riciclaggio si
attesta a meno del 20% di quella raccolta. Date le sua scarse qualità, la plastica
riciclata ha finito per essere utilizzata per applicazioni minori, come l’arredo
268
Gramegna
urbano (panchine, recinzioni, cassonetti, giochi), al termine delle quali non può
che tornare a diventare rifiuto non riciclabile. Sarebbe quindi può opportuno
parlare di allungamento parziale della vita commerciale dei manufatti in plastica
presenti negli RSU, piuttosto che di un loro riciclaggio.
Come tutti i problemi complessi, anche quello della gestione dei rifiuti
urbani va affrontato pensando soluzioni articolate e tenendo in considerazione
gli obiettivi che debbono essere, come anche indicato dalla legge, di riduzione
complessiva dei quantitativi, della massimizzazione della raccolta differenziata
e del riciclaggio. Perché ciò si possa realizzare è necessario:
-
attuare politiche di produzione dei materiali il cui riciclaggio possa essere
facilmente e convenientemente attuato ai massimi livelli. È necessario,
quindi, governare la merceologia del rifiuto piuttosto che subirla;
-
indirizzare i consumi di prodotti tenendo in considerazione le implicazioni sulla produzione dei rifiuti, facilitando l’uso di prodotti di cui si possa
recuperare la materia una volta giunti a fine vita commerciale;
-
facilitare il consumo di prodotti locali a livello regionale per facilitare
l’uso di imballaggi più pesanti della plastica, come il vetro, lo spostamento dei quali a distanze maggiori risulterebbe troppo costoso. Inoltre,
la vicinanza tra i produttori ed i consumatori permette di ottimizzare il
servizio con “vuoto a rendere” di gran lunga quello che consente maggiori
risparmi di energia;
-
ridurre la quantità di beni usa e getta come gli imballaggi ed i sacchetti di
plastica;
-
ridurre la quantità di plastica nei beni usa e getta a breve e brevissima
durata di vita;
-
produrre plastiche omogenee dal punto di vista chimico di cui si possa
recuperare la materia;
-
Perciò che riguarda la materia organica, che rappresenta il peso maggiore
negli RSU, è possibile recuperare la materia trasformandola in compost,
ciò che rimane dopo l’attacco dei batteri che si sviluppano in condizioni
favorevoli al suo interno. Perché il compostaggio della frazione organica
degli RSU possa portare ad un buon prodotto anche utilizzabile come concime organico di qualità, è necessario operare una selezione a monte che
eviti il contatto con la frazione tossiche o con materiali non marcescibili
come vetro, metalli e plastiche che rimarrebbero come impurità nel prodotto finale, mentre è possibile includere quei materiali di cellulosa (carta
e cartone) che non possono essere riciclati in altro modo.
269
Tipologia dei rifiuti Solo mettendo in pratica quei principi di governo del problema sarà possibile capire bene cosa fare della frazione che rimarrà fuori dai processi di riuso
e riciclaggio e decidere quale sia la migliore soluzione di conferimento o trattamento finale. Decisioni prese solo considerando le soluzioni ingegneristiche che
non coinvolgano anche le aziende ed i consumatori, che sono poi i produttori di
rifiuti, rischia di non portare ad alcuna soluzione accettabile dal punto di vista
sociale.
3.
I rifiuti da demolizione
Codici
17
Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno
proveniente da siti contaminati)
Pericolosi
Non Pericolosi
1701
 
 
 
Cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche
 
170101 cemento
 
170102 mattoni
 
170103 mattonelle e ceramiche
170106*
miscugli o scorie di cemento,
mattoni, mattonelle e ceramiche, 170107
contenenti sostanze pericolose
miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, diverse
da quelle di cui alla voce 170106
1702
 
 
Legno, vetro e plastica
 
 
legno
vetro
170204*
1703
170301*
170303*
1704
 
 
170201
170202
vetro, plastica e legno contenenti
sostanze pericolose o da esse 170203
contaminati
plastica
Miscele bituminose, catrame di carbone e prodotti contenenti catrame
miscele bituminose contenenti
170302
catrame di carbone
catrame di carbone e prodotti
 
contenenti catrame
Metalli (incluse le loro leghe)
 
 
170401
170402
miscele bituminose diverse
quelle di cui alla voce 170301
 
rame, bronzo, ottone
alluminio
da
270
 
 
 
 
 
170409*
Gramegna
 
 
 
 
 
170403
170404
170405
170406
170407
piombo
zinco
ferro e acciaio
stagno
metalli misti
rifiuti metallici contaminati da
 
sostanze pericolose
 
cavi, impregnati di olio, di catra1704010* me di carbone o di altre sostanze 170411
pericolose
17
Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno
proveniente da siti contaminati)
Pericolosi
1705
cavi, diversi da quelli di cui alla
voce 170410
Non pericolosi
Terra (compreso il terreno proveniente da siti contaminati), rocce e fanghi di
dragaggio
terra e rocce, contenenti sostanze
170504
pericolose
terra e rocce, diverse da quelle di cui
alla voce 170503
pietrisco per massicciate ferro170507* viarie, contenente sostanze peri- 170508
colose
pietrisco per massicciate ferroviarie,
diverso da quello di cui alla voce
170507
170503*
170505*
1706
170601*
170603*
fanghi di dragaggio, contenenti
170506
sostanze pericolose
Materiali isolanti e materiali da costruzione contenenti amianto
materiali
amianto
isolanti
contenenti
 
altri materiali isolanti contenenti
170604
o costituiti da sostanze pericolose
170605*
materiali
da
contenenti amianto
1708
Materiali da costruzione a base di gesso
costruzione
 
materiali da costruzione a base
170801* di gesso contaminati da sostanze 170802
pericolose
1709
170901*
fanghi di dragaggio, diversi da quelli
di cui alla voce 170505
 
altri materiali isolanti diversi da quelli
di cui alle voci 170601 e 170603
 
materiali da costruzione a base di
gesso diversi da quelli di cui alla
voce 170801
Altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione
rifiuti dell’attività di costruzione e
 
demolizione, contenenti mercurio
 
271
Tipologia dei rifiuti altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione, contenenti
PCB (ad esempio sigillanti contenenti PCB, pavimentazioni a
170902*
 
base di resina contenenti PCB,
elementi stagni in vetro contenenti PCB, condensatori contenenti PCB
 
altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione (compresi i
170903*
170904
rifiuti misti) contenenti sostanze
pericolose
rifiuti misti dell’attività di costruzione
e demolizione, diversi da quelli di cui
alle voci 170901, 170902 e 170903
Gestione
I rifiuti di demolizione si formano nel momento in cui un manufatto o
una sua parte viene sottoposto ad una trasformazione, pertanto essi non si producono necessariamente solo nella fase della demolizione, ma possono in parte
originarsi anche nelle varie fasi della costruzione.
L’art. 6, c. 1, lett. b) del DLgs 22/97, che ricalca l’art. 1 della direttiva
91/156/CE, definisce: “b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio
o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti”.
È evidente che i rottami, i calcinacci, le piastrelle rotte, che costituiscono
i rifiuti di questa particolare categoria di prestatori d’opera, possono essere prodotti solo presso il committente.
I rifiuti da demolizione possono essere costituiti da:
•
materiali inerti (laterizi, calcestruzzo, ceramiche…)
•
amianto (lastre di eternit, parti coibentanti…)
•
metalli
•
legno
•
catrame
•
oli
•
vernici
•
PCB (interruttori elettrici…)
A differenza dei materiali da scavo (terre e rocce), per i quali è prevista
la verifica dell’eventuale contaminazione e la possibilità di riutilizzo tal quale
272
Gramegna
nel luogo di produzione (sempre che le concentrazioni rispettino i limiti di cui
all’Allegato 1, tabella 1, colonna B del DM 471/99), i residui da demolizione
devono considerarsi rifiuti a tutti gli effetti, soprattutto alla luce del nuovo Codice ambientale (D.Lgs. n. 152 del 2006).
I rifiuti da demolizione sono speciali per la sentenza di Corte di Cassazione.
«I materiali risultanti dall’attività demolitoria sono “rifiuti speciali”
ai sensi dell’articolo 7, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 22/1997 e
dell’articolo 184, comma 3, lettera b), del Dlgs 152 del 2006» (Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza n. 33882 del 9 ottobre 2006).
Per “stimolare” il mercato ad abbandonare la prassi dello smaltimento in
discarica di categoria 2 A, se non quello della discarica abusiva, il legislatore ha
stabilito delle procedure semplificate in materia.
I rifiuti da demolizione, per essere riutilizzati per la realizzazione di terrapieni, rilevati, piazzali, strade, ecc., devono essere trattati in appositi impianti di
frantumazione, selezione e classificazione, previa autorizzazione della Provincia.
Negli ultimi decenni è stata notevole la crescita del settore delle costruzioni. Questa ha portato ad un cospicuo aumento della richiesta di materiale
vergine proveniente da cave.
Contemporaneamente la crescita delle attività di costruzione ha portato ad
un proporzionale aumento di produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione
(C&D). Questa tendenza si è confermata negli ultimi anni in cui la produzione
abitativa è stata costantemente in crescita facendoci assistere alla più lunga fase
di crescita dopo il ciclo del ’51 - ’64 definito del miracolo economico. Dall’inizio degli anni ’90 è inoltre cresciuto significativamente il peso dell’attività di
manutenzione e riqualificazione degli edifici sia residenziali che industriali e
commerciali. Si pone, dunque, sempre con maggiore importanza il problema
della gestione dei rifiuti da C&D sia per l’aumento delle quantità sia per la variabilità della composizione degli stessi.
Negli anni a cavallo del terzo millennio essendo collocato intorno agli
anni ’60 il periodo di maggior attività in Italia ed aggirandosi per gli edifici la
vita utile intorno ai 40 anni, oltre i quali si rendono necessari interventi di ristrutturazione per mantenere gli standard qualitativi di base, si è assistito ad un
progressivo aumento dei rifiuti da C&D.
Nella tabella che segue è riportato l’andamento della produzione di rifiuti
C&D per il periodo di tempo considerato (2000 – 2004). Come si vede non è
possibile, analizzando i dati a disposizione, valutare l’ammontare di tale frazione merceologica in Puglia per il 2000 e per il 2001, mancando, di fatto, per i
Tipologia dei rifiuti 273
produttori di tale tipologia di rifiuti, l’obbligo della dichiarazioni e MUD e, di
conseguenza, stime di dettaglio dell’APAT
Se a questo si aggiunge che proprio nella metà degli anni ’60 si cominciarono ad usare nelle costruzioni amianto e vari prodotti di sintesi è facile immaginare che nei prossimi anni la composizione dei rifiuti da costruzione e demolizione sarà ancora più complessa di quella attuale.
Per quanto riguarda il settore residenziale bisogna inoltre notare che gli
interventi nelle città si configurano sempre più come interventi di recupero e
riqualifica di aree exindustriali. Questo giustifica una strategia di intervento per
la gestione dei rifiuti C&D che preveda, accanto ad un orientamento al recupero
dei materiali, la predisposizione di metodologie per la separazione dei materiali
recuperati utilizzando tecniche di demolizione selettiva, che prevedono la separazione dei diversi componenti dell’edificio (calcestruzzo, mattoni, cemento,
legno) attraverso tecniche mirate ad ottenere frazioni omogenee e valorizzabili.
A questo proposito si rimarca che la commissione edilizia dell’UNI ha elaborato
una norma sperimentale (U32014580) con le indicazioni sulle operazioni per
una demolizione corretta.
La gestione dei flussi di rifiuti da C&D è strettamente connessa alle possibilità di recupero degli stessi nel settore delle costruzioni. È di indubbia importanza l’opportunità di trasformare questi rtifiuti in manufatti da riusare o in
materiali da riciclare con evidenti vantaggi per l’ambiente legati alla limitazione
delle attività di estrazione e di sfruttamento delle cave per l’approvvigionamento di inerti vergini che porta al progressivo degrado del territorio e depauperamento delle risorse ambientali. La valorizzazione degli scarti inerti dipende
quindi dall’organizzazione del mercato indotto dalla disponibilità di materie
prime secondarie come componenti e materiali per l’edilizia.
Una panoramica europea sulla gestione dei rifiuti C&D è contenuta nel
rapporto europeo della DGXI “Construction and Demolition waste Manage-
274
Gramegna
ment practises and their economic impact”, che evidenzia come le attività C&D
alimentino uno dei principali flussi di rifiuti a livello europeo, quantitativamente
paragonabile a quello dei rifiuti solidi urbani. Purtroppo l’anomalia italiana rappresentata dall’effetto sinergico dei bassi costi di smaltimento in discarica, dei
controlli ridotti, delle sanzioni scarsamente applicate e dalla presenza di organizzazioni a delinquere specializzatesi proprio in questo settore come indicato
dal rapporto di Legambiente L’Ecomafia Globale “l’illegalità ambientale e il
ruolo della criminalità organizzata (Roma, 18 novembre 2006)”, non favorisce
il recupero legale di tali rifiuti, a causa della disponibilità degli inerti naturali a
prezzi contenuti e infine della scarsa diffusione di attività di riciclaggio.
La soluzione del problema passa quindi attraverso il riciclaggio degli aggregati provenienti dalle demolizioni edili; l’enorme quantità di scarti ora destinati a discarica o a riutilizzi non conformi potrà essere quindi indirizzata verso
trattamenti in impianti fissi e mobili che forniscono materia prima secondaria in
sostituzione dell’inerte primario.
Gli impianti fissi, in particolare, possono trattare diverse tipologie di rifiuti inerti, come definiti dall’art.2 della direttiva 1999/31/UE; sono riciclabili
come rifiuti da costruzione e demolizione in sostituzione degli inerti naturali
secondo quanto specificato nel D.M. 5 febbraio 1998, che distingue:
•
i rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione aventi codici CER
17.00.00, escluso il terreno proveniente da siti contaminati, regolamentato
dal D.M. 471/99;
•
i rifiuti, aventi codici CER diversi dai 17.00.00, che possono essere prodotti nelle normali attività di costruzione e demolizione (ad es. gli imballaggi);
•
i rifiuti speciali pericolosi derivanti da attività di C&D, singolarmente individuati e regolamentati (l’amianto);
•
i rifiuti prodotti dalla costruzione e manutenzione delle strade tra cui i
prodotti di scarifica o fresatura completa del manto stradale, il cemento
armato o il laterizio prodotti dalla demolizione di eventuali manufatti;
•
le terre e rocce di scavo provenienti da attività C&D e realizzazione strade
o altre infrastrutture.
Tali rifiuti vengono trattati e recuperati attraverso la frantumazione previa
suddivisione del materiale in ingresso in tre flussi:
•
materiale lapideo riutilizzabile,
•
frazione leggera (carta, plastica, legno, impurità),
•
frazione metallica.
Tipologia dei rifiuti •
•
•
•
•
275
Il riutilizzo degli aggregati in uscita da tali impianti può avvenire:
per realizzare strati di rilevato e sottofondi per strade e ferrovie;
attraverso la formazione di misti cementati;
attraverso la formazione dei magroni dei calcestruzzi;
attraverso la formazione di calcestruzzi di bassa resistenza,;
per la costituzione dei misti bentonabili.
Impatti
Gli impatti generati dall’abbandono/discarica abusiva dei rifiuti da demolizione ed i relativi rischi per l’ambiente e per la salute pubblica sono correlabili a:
•
dispersione nell’aria di polveri e fibre di amianto;
•
rilascio nel suolo superficiale di inquinanti (metalli, amianto, PCB …);
•
rilascio nel sottosuolo e nelle acque sotterranee di inquinanti per effetto
della diluizione e mobilizzazione a seguito di precipitazioni meteoriche;
•
alterazione del paesaggio e degrado del territorio;
•
impatto visivo.
4.Fanghi di depurazione
Codici
19
Pericolosi
Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento
delle acque reflue fuori sito, nonchè dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua
preparazione per uso industriale
Non pericolosi
Rifiuti prodotti dagli impianti per il trattamento delle acque reflue, non specificati
1908
altrimenti
Fanghi prodotti dal trattamento delle
 
 
190805
acque reflue urbane
soluzioni e fanghi di
190807* rigenerazione delle resine  
 
a scambio ionico
276
Gramegna
fanghi prodotti dal trattamento biologico delle
190811* acque reflue industriali, 190812
contenenti sostanze pericolose
fanghi contenenti sostanze
pericolose prodotti da altri
190813*
190814
trattamenti delle acque
reflue industriali
fanghi prodotti dal trattamento biologico
delle acque reflue industriali, diversi da
quelli di cui alla voce 190811
fanghi prodotti da altri trattamenti delle
acque reflue industriali, diversi da quelli
di cui alla voce 190813
1909
Rifiuti prodotti dalla potabilizzazione dell’acqua o dalla sua preparazione per uso
industriale
 
 
190902
 
 
190903
Fanghi prodotti dai processi
chiarificazione dell’acqua
Fanghi prodotti
decarbonatazione
dai
processi
di
di
Gestione
L’utilizzo dei fanghi, prodotti a seguito della depurazione delle acque reflue, sui terreni coltivati è una pratica incoraggiata dalla normativa comunitaria
(Dir. 86/278/CE), in quanto, oltre a garantire il recupero di rifiuti che altrimenti
andrebbero smaltiti in discarica, assicura il riciclo di elementi nutritivi in natura
e l’apporto di sostanza organica al suolo.
Le più frequenti modalità di smaltimento/utilizzo dei fanghi sono:
-
smaltimento in discarica;
-
riutilizzo in agricoltura direttamente o previo compostaggio;
-
incenerimento con o senza rifiuti;
-
inserimento nella produzione di laterizi, asfalti, calcestruzzi.
I vantaggi legati al loro impiego derivano dalle loro proprietà fertilizzanti
sia per la presenza di elementi nutritivi utili allo sviluppo delle piante (come
azoto, fosforo, potassio e microelementi), sia per il contenuto di sostanza organica, che contribuisce al mantenimento delle proprietà fisiche del terreno.
Le problematiche connesse a tale pratica risiedono, tuttavia, nel contenuto
di metalli pesanti, di microrganismi patogeni e di composti organici nocivi presenti nei fanghi, che possono rappresentare un rischio per l’ambiente e la salute
della popolazione.
La norma che in Italia regola le condizioni e le modalità di utilizzo in agri-
Tipologia dei rifiuti 277
coltura dei fanghi prodotti dal processo di depurazione dei reflui provenienti da
insediamenti civili e produttivi è il D.Lgs. 99/92, che fissa limitazioni nelle caratteristiche agronomiche e microbiologiche degli stessi per ridurre al minimo i
rischi legati alla possibilità che sostanze pericolose possano entrare nella catena
alimentare o inquinare il suolo
Ai sensi del D.Lgs. 99/92, i fanghi di depurazione possono trovare utilizzo
in agricoltura nel rispetto delle seguenti condizioni:
•
devono essere stati sottoposti a trattamento (ossia a stabilizzazione per
contenere / eliminare i possibili effetti igienico-sanitari);
•
devono essere idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e
correttivo del terreno;
•
non devono contenere sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per
gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale;
•
la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non deve superare
i valori indicati nell’allegato 1A;
•
la concentrazione di uno o più metalli pesanti nei fanghi non deve superare i valori indicati nell’allegato 1B.
   
  Elemento
  Cadmio
  Mercurio
  Nichel
  Piombo
  Rame
  Zinco
Concentrazioni massime in metalli pesanti (mg/Kg s.s.)
 
(D.Lgs. 99/92)
 
 
Allegato I A (Suoli)
Allegato I B (Fanghi)
 
1,5
20
 
1
10
 
75
300
 
100
750
 
100
1000
 
300
2500
278
Gramegna
Impatti
Gli impatti legati allo sversamento incontrollato dei fanghi sono correlabili alla presenza di:
-
metalli pesanti;
-
grassi, oli animali e vegetali;
-
oli minerali;
-
tensioattivi;
-
solventi organo-clorurati;
-
solventi aromatici;
-
pesticidi organici clorurati;
-
pesticidi fosforati.
5.
Pneumatici
Codici
Gli pneumatici fuori uso, (CER 16.01.03) sono classificati RIFIUTI
SPECIALI, ai sensi del D.Lgs n°152/06, art.184 comma 3, lettera l, così come
precedentemente del DLgs n° 22/97 all’art. 7, comma 3, lettera l), così come
precedentemente nel DPR 915/82 art. 2, comma 4), e nella Deliberazione del
Comitato Interministeriale del 27.7.1984.
Gestione
Ogni anno in Europa vengono prodotti circa 300 milioni di pneumatici ed
impiegate 250.000 tonnellate di oli diluenti che facilitano i processi industriali
di lavorazione della gomma. Si tratta di componenti essenziali che garantiscono
le prestazioni tecniche, la resistenza all’usura e la durata dei pneumatici e che
vengono usati in particolare per assicurare l’aderenza al terreno e la tenuta. Ma
il fatto che questi oli contengano idrocarburi policiclici aromatici (IPA), otto dei
quali classificati come sostanze cancerogene dalla normativa europea, ha spinto
i produttori a mettere a punto oli alternativi a basso tenore di IPA.
Gli pneumatici ricostruibili sono stati esonerati dalla normativa rifiuti con
il DM 9 gennaio 2003, il quale ha abrogato di fatto il Punto 10.3 allegato 1 al
Tipologia dei rifiuti 279
DM 05/02/1998 (sul recupero “semplificato” dei rifiuti). Il decreto prende però spunto legislativo dalla nuova classificazione dei rifiuti CER 2002, direttiva
CE 2000/532/CE, attuata in Italia con la Direttiva Min Ambiente e Territorio
del 09/04/2003. Nella riformulazione dei codici rifiuto, lo “pneumatico usato”
viene sostituito dalla nuova denominazione “pneumatico fuori uso”, restando
invariato il CER in 160103.
Viene così a crearsi una nuova e diversa classificazione dei pneumatici
suddivisa in:
•
Pneumatici fuori uso - considerati rifiuto a tutti gli effetti, destinati ad attività di recupero (Punto 10.2 dm 05/02/1998 o smaltimento in discarica);
•
Pneumatici usati - ovvero, i c.d. “ricostruibili” non considerati rifiuto se
destinati in una attività di ricopertura o riutilizzo diretto in altre forme
previste dalla normativa tecnica di settore.
Dallo scorso 13 settembre 2006 è possibile immettere sul mercato esclusivamente pneumatici rigenerati in linea con le norme ambientali stabilite dalla
“Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite”.
A far scattare l’obbligo è la decisione 2006/443/Ce in base alla quale gli
pneumatici ricostruiti possono dalla data citata essere venduti come prodotti
nuovi nello spazio comunitario solo se rispondenti agli standard tecnici dettati
dai Regolamenti 108 e 109 dell’Unece (United Nations Economic Commission
for Europe).
La situazione che viene a crearsi provoca confusione normativa ed operativa nel settore, tutto è demandato ai produttori. I produttori, che in massima
parte sono rivenditori-manutentori devono aprioristicamente destinare lo pneumatico alle operazioni di recupero o smaltimento, e quindi, considerare lo pneumatico previa selezione (uno ad uno) rifiuto o pneumatico ancora idoneo alla
ricopertura, con carcassa idonea e rispondente alle normative tecniche di settore
(norme UNI 9950).
Tale selezione è effettuata a monte, presso il luogo di produzione e non
dopo che è stato effettuato il trasporto e che siano stati conferiti presso il recuperatore (se rifiuto) o destinati alla ricopertura.
Relativamente agli pneumatici usati destinati alla ricopertura è necessario rispettare la normativa fiscale applicata per il trasporto di un qualsiasi bene
o merce. Per tale ultima ipotesi, è doveroso segnalare una sentenza della Corte
di Cassazione, Sezione 3 del 9 febbraio 2005 n 4702; in tale sentenza viene
condannato l’imputato per aver trasportato illecitamente pneumatici usati, co-
280
Gramegna
stituenti rifiuti, senza le prescritte autorizzazioni, ai sensi degli artt. 30 e 51
del D.lgs 22/97. In tale situazione la S.C. ha respinto il ricorso considerando
non ammissibile l’applicazione della Legge 178/2002, art. 14 (legge sulla definizione autentica di rifiuto), che permette l’esenzione dalla normativa sui
rifiuti per i materiali di scarto destinati al riutilizzo diretto nello stesso ciclo
di produzione o altro idoneo ciclo di produzione con o senza eventuale pretrattamento.
La S.C. si è rifatta ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea che
ha statuito la “parziale incompatibilità col diritto comunitario dell’art. 14 della
legge 178/2002, alla luce della c.d. interpretazione autentica configurata da
questa norma, i pneumatici usati di cui il detentore si sia disfatto o che abbia
venduto ad altri perché fossero riutilizzati previa “rigeneratura” o “ricopertura” non rientrano nella deroga alla nozione di rifiuto (…)”
Continua la S.C. inquadrando l’attività di “rigenerazione” o “ricopertura”
in una operazione di recupero R5 (riciclo-recupero di altre sostanze inorganiche) senza specificarne le motivazioni, vista anche la troppo generalizzata
espressione di riciclo-recupero di altre sostanze inorganiche.
La volontà del legislatore è stata forte e chiara, ha abrogato una norma
tecnica attuativa riferita esplicitamente ai rifiuti destinati alla “ricopertura” che
al Punto 10.3.3 veniva descritta come :”raspatura, eventuali riparazioni e soluzionatura; vulcanizzazione controllo finale e rifinitura” continuava al 10.3.4
Caratteristiche della materie prime e/o prodotti ottenuti : pneumatici ricostruiti
rispondenti alle norme UNI 9950.
Parlando di pneumatico usato ricostruibile si può delineare la seguente
modalità operativa:
Ritiro dal cliente-fornitore dello pneumatico avviato alla ricostruzione,
accompagnato dal documento di trasporto, contenente:
•
l'indicazione della tipologia;
•
l'indicazione della quantità;
•
l'indicazione della causale (conto lavorazione o conto vendita);
•
la dichiarazione esplicita di : “pneumatico destinato alla ricostruzione
nel rispetto delle normative tecniche ECE ONU 108 (per pneumatici di
autovetture) ECE ONU 109 (per pneumatici di autocarro)”.
In caso di pneumatico ritirato in conto lavorazione, dovrà naturalmente
seguire il successivo documento di trasporto in “conto restituzione da lavorazione” con riferimento al DDT iniziale.
Tipologia dei rifiuti 281
È indispensabile che la documentazione venga tenuta ben distinta ed in
evidenza per gli eventuali controlli da parte degli organi preposti .
In merito agli pneumatici fuori uso, classificati rifiuto con CER 160103, deve essere applicato il Dlgs 152/06 per le rispettive fasi di trasporto e trattamento.
Il trasporto con mezzo di terzi o proprio in conto proprio autorizzato deve
essere fatto da soggetti iscritti all’Albo Gestori Rifiuti e accompagnato da prescritto formulario di identificazione (art. 193 Dlgs 152/06);
L’attività di recupero deve essere autorizzata in procedura semplificata,
artt. 214-216, capo V - Procedure semplificate, del Dlgs 152/06 ai sensi del
Dm 05/02/1998, Punto 10.2, per pneumatici non ricostruibili (da richiedere alla
Amministrazione Provinciale, con la nuova riforma ambientale alla Sezione Regionale Albo Smaltitori ) che prevede attività di messa in riserva con accumulo
non superiore a 600 metri cubi, lavaggio triturazione e/o vulcanizzazione. Le
attività ammissibili di recupero della materia sono:
•
recupero per mescole compatibili (R3);
•
recupero nella produzione di bitumi (R3);
•
realizzazione di parabordi (R3).
Le materie prime o prodotti ottenuti si riassumono in:
•
manufatti in gomma;
•
bitumi e parabordi.
Impatti
Gli pneumatici vengono fabbricati utilizzando oli diluenti che possono
presentare un contenuto variabile di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) non
aggiunti intenzionalmente.
Nel corso del processo di fabbricazione, gli IPA, possono essere incorporati nella matrice di gomma e risultare quindi presenti, in quantità variabili, nel
prodotto finale.
Il Comitato scientifico della tossicità, dell’ecotossicità e dell’ambiente
(CSTEA) ha confermato i risultati scientifici che evidenziano gli effetti negativi
sulla salute degli IPA. Gli IPA sono stati classificati come sostanze cancerogene,
mutagene e tossiche per la riproduzione.
Oli diluenti contenenti IPA sono automaticamente classificati come cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione.
Al fine di conseguire un elevato livello di protezione della salute umana
282
Gramegna
e dell’ambiente e di contribuire alla riduzione delle emissioni totali annue di
IPA, come previsto dal protocollo del 1998 sugli inquinanti organici persistenti,
il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 2005/69/CE del
16 novembre 2005, che limita l’immissione sul mercato e l’uso di oli diluenti
ricchi di IPA e di miscele utilizzate come oli diluenti nella fabbricazione di
pneumatici.
Con tale direttiva viene quindi modificato l’allegato I della direttiva
76/769/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1976, stabilendo che non possono essere immessi sul mercato gli pneumatici e i battistrada fabbricati dopo il 1° gennaio 2010 che contengono oli diluenti aventi un contenuto complessivo di tutti
gli IPA elencati nello stesso allegato I superiore a 10 mg/kg.
6.Scarti di legno
Codici
03
03 01
03 01 01
03 01 04 *
03 01 05
03 01 99
03 02
03 02 01 *
03 02 02 *
03 02 03 *
03 02 04 *
Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone
rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli
e mobili
scarti di corteccia e sughero
segatura, trucioli, residui di taglio, legno, pannelli di truciolare e
piallacci cont.sost.Peric.
segatura, trucioli, residui di taglio, legno, pannelli di truciolare e
piallacci diversi da 030104
rifiuti non specificati altrimenti
rifiuti dei trattamenti conservativi del legno
prodotti per i trattamenti conservativi del legno contenenti
comp. Organ. non alogenati
prodotti per i trattamenti conservativi del legno contenenti composti organici clorurati
prodotti per i trattamenti conservativi del legno contenenti composti organometallici
prodotti per i trattamenti conservativi del legno contenenti composti inorganici
Tipologia dei rifiuti 03 02 05 *
03 02 99
283
altri prodotti per i trattamenti conservativi del legno contenenti
sostanze pericolose
prodotti per i trattamenti conservativi del legno non specificati
altrimenti
Gestione
Recupero e Riciclaggio
Il Consorzio Nazionale Rilegno, nato nel 1997, ha come obiettivo primario il recupero e il riciclaggio dei rifiuti di imballaggi di legno (imballaggi
ortofrutticoli, pallet, imballaggi industriali), in modo da trasformare i rifiuti non
più utilizzabili in risorsa e contribuire alla salvaguardia dell’ambiente ed all’eliminazione degli sprechi.
In stretta collaborazione con il Consorzio Nazionale Imballaggi (Conai),
il Consorzio coordina e promuove la raccolta, il recupero e il riciclaggio dei
rifiuti di imballaggio di legno
All’interno del Consorzio agiscono tre diversi soggetti:
•
I produttori di imballaggi: versano al Consorzio un contributo annuo
proporzionato al quantitativo di imballaggi e di materiali per imballaggi
immessi sul mercato nazionale, delegano a Rilegno la responsabilità del
raggiungimento degli obiettivi di raccolta e riciclo;
•
Gli utilizzatori: al momento dell’acquisto dell’imballo, pagano il Contributo Ambientale Conai, fissato dal Consiglio di Amministrazione del
Conai;
•
I riciclatori: ritirano il materiale raccolto nei centri convenzionati riconoscendo al Consorzio un corrispettivo per la pianificazione del costo di
raccolta.
Grandi Categorie
Gli imballaggi di legno sono suddivisi in 3 grandi categorie:
•
imballaggi ortofrutticoli;
•
pallet;
•
imballaggi industriali.
284
Gramegna
Piattaforme di Recupero
Il materiale solitamente accolto nelle piattaforme di recupero è costituito da:
•
Tipologia rifiuti codice cerrifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili
prodotti particolari d’arredamento) 20 01 38
•
Rifiuti ingombranti 20 03 07
•
Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti (ad esempio selezione, triturazione, compattazione, riduzione in pellet) – legno 19 12 07
•
Imballaggi in legno (pedane, cassette, bobine) 15 01 03
•
Scarti di corteccia e sughero 03 01 01
•
Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli e mobili
– segatura (a titolo sperimentale), trucioli, residui di taglio, legno, pannelli
di truciolare e piallacci 03 01 05
•
Rifiuti della lavorazione del legno) non specificati altrimenti 03 01 99
•
Rifiuti di costruzioni e demolizioni – legno 17 02 01
•
Rifiuti urbani non differenziati 20 03 01
Nella fase di accoglimento in piattaforma di recupero vengono normalmente imposte le seguenti prescrizioni:
-
I rifiuti non devono essere inquinati da grassi, vernici, materiale organico
o altre sostanze che possano comprometterne il riutilizzo;
-
non devono essere presenti altre tipologie di rifiuti (plastica, vetro, metalli, inerti, carta/cartone, rifiuti organici, ecc.) frammiste ai rifiuti legnosi;
-
non è possibile conferire ceppaie;
-
possono essere conferiti imballaggi in legno accoppiati con altri materiali
(pluriball, stoffa, ecc.) purché la prevalenza in peso sia determinata dalla
parte legnosa e l’accoppiamento sia inamovibile (incollatura o simili).
Imballaggi
Il totale di imballaggi in legno prodotti in Italia e immessi al consumo nel
2006 è 2.850 milioni di tonnellate è cresciuto rispetto al 2005 (+2,29%) ed è
suddiviso tra:
•
pallet (67%);
•
imballaggi industriali (19%);
•
cassette ortofrutticole (7%);
•
materiale per imballaggi (4%);
•
altro (3%).
Nel 2006 in Italia sono state recuperate complessivamente 1.787.262 ton
di rifiuti da imballaggio in legno, pari al 62,68% sul totale di imballaggi in legno
Tipologia dei rifiuti 285
circolanti sul territorio nazionale nel 2006 (2.851.570 ton.), superando abbondantemente gli obiettivi fissati dal Testo Unico Ambientale.
Nel dettaglio, il valore complessivo è dato da:
•
1.254.262 tonnellate avviate al riciclo di materia prima (di cui 829.867
ton. raccolte direttamente da Rilegno e 424.395 ton. da altri soggetti, operanti principalmente nell'industria del riciclo);
•
300.000 tonnellate dalla rigenerazione di pallet riparati;
•
228.000 avviate al recupero energetico;
•
5.000 tonnellate avviate al compostaggio.
Impatti
Sostanze che possono rendere pericoloso un rifiuto di legno:
•
Berilio;
•
Vanadio;
•
CromoVI;
•
Cobalto;
•
Nichel;
•
Rame;
•
Zinco;
•
Arsenico;
•
Selenio;
•
Argento;
•
Antimonio;
•
Tellurio;
•
Bario;
•
Mercurio;
•
Tallio;
•
Piombo;
•
Fluoruri;
•
Cianuri;
•
PCB;
•
PCT;
•
Biocidi;
•
Creosoto;
•
Fenoli;
•
Solventi alogenati;
•
Solventi non alogenati;
286
•
•
•
•
•
Gramegna
Composti aromatici;
Ammine alifatiche;
Ammine aromatiche;
Eteri;
PCDD e PCDF.
I costituenti sopra elencati vengono classificati in classi di sostanze pericolose in base alla direttuva 67/548/CEE e successive modificazioni, relativa
all'etichettatura di sostanze pericolose; sulla base di tali classi si può poi provvedere a verificare se sono quindi superati o meno i limiti di pericolosità delle
somme di concentrazioni suddette.
Tra i contaminanti più comuni troviamo: clorofluorocarburi (CFC), benzene, metalli pesanti come il piombo (in vernici al piombo) cadmio, cromo,
mercurio, zinco, arsenico
7.
raee
Codici
q 160209 * trasformatori e condensatori contenenti PCB
q 160210* apparecchiature fuori uso contenenti PCB o da essi contaminate,
diverse da quelle di cui alla voce 160209
q 160211* apparecchiature fuori uso, contenenti clorofluorocarburi, HCFC,
HFC
q 160212* apparecchiature fuori uso, contenenti amianto in fibre libere
q 160213* apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 160209 e 160212
q 160214 apparecchiature fuori uso, diverse da quelle di cui alle voci da
160209 a 160213
q 160215* componenti pericolosi rimossi da apparecchiature fuori uso
q 160216 componenti rimossi da apparecchiature fuori uso, diversi da quelli
di cui alla voce 160215
q 200121* tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio
q 200123* apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi
q 200135* apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da
quelle di cui alla voce 200121 e 200123, contenenti componenti pericolosi
Tipologia dei rifiuti 287
q 200136 apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da
quelle di cui alle voci 200121, 200123 e 200135
q 200307 rifiuti ingombranti
Gestione
I RAEE = Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche sono i
rifiuti provenienti dalle AEE = Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, ossia
in base all’Allegato 2 D.Lgs. 151/05:
•
grandi e piccoli elettrodomestici;
•
apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni;
•
apparecchiature di consumo;
•
apparecchiature di illuminazione;
•
strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni);
•
giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero;
•
dispositivi medici (ad eccezione di quelli impiantati e infettati);
•
strumenti di monitoraggio e controllo;
•
distributori automatici.
I RAEE sono costituiti da computer, telefonini, fax, giocattoli e strumenti
per lo sport e il tempo libero, ecc. e la normativa di gestione si riassume in:
• Direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione
dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti;
• D.lgs. 25 luglio 2005 n. 151, emanato in recepimento delle citate direttive
ed integrato dalla Legge 190/07, introduce in Italia nuove regole che impongono:
• l’obbligo, per i produttori di nuovi beni, di non utilizzare determinate sostanze pericolose nella fabbricazione delle AEE a partire dal 1° luglio
2006;
• un peculiare sistema di gestione dei RAEE, basato su raccolta differenziata, trattamento e recupero ad hoc con oneri economici posti a carico
dei produttori e distributori delle apparecchiature nuove, a partire dal 31
dicembre 2007.
Gli obiettivi del decreto citato si riassumono:
•
nella riduzione al minimo della produzione di rifiuti provenienti da AEE
288
•
•
•
•
•
Gramegna
attraverso la massimizzazione del reimpiego/recupero di quelle esauste
e, soprattutto, con la prevenzione, alla fonte, della formazione di rifiuti
grazie a una progettazione ecocompatibile di apparecchi che considerino
gli aspetti ambientali ed i costi correlati alla corretta gestione una volta
diventati rifiuto;
nell’obbligo di raccolta differenziata e realizzazione di un sistema di raccolta, recupero e riciclaggio;
nel divieto di collocazione in discarica dei RAEE che non siano stati preventivamente sottoposti a selezione;
nel divieto di utilizzo e di immissione sul mercato a partire dal 1° luglio
2006 di una serie di sostanze pericolose, nonché sorgenti luminose ad
incandescenza, contenenti mercurio, piombo, cadmio, cromo esavalente,
bifenili polibromurati ed etere di difenile polibromurato;
nella realizzazione di sistemi di trattamento, recupero e smaltimento finale di questi rifiuti finanziati essenzialmente dai produttori delle apparecchiature;
nella segnalazione ai consumatori, con apposita marchiatura presente su
tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici, della necessità della raccolta
differenziata.
Gli AEE, quando non servono più, diventano un’enorme quantità di rifiuti ovvero circa 14 kg pro capite prodotti ogni anno, secondo le stime della
Commissione europea, con un aumento compreso fra il 3% e il 5% l’anno. In
Italia, ogni anno, si producono 784.000 tonnellate di rifiuti da apparecchiature
elettriche ed elettroniche (RAEE). Di questi, secondo il Rapporto Rifiuti 2004
di APAT e ONR, se ne recuperano 52.677 t/anno.
I RAEE sono classificati, in funzione della provenienza, nelle categorie
dei professionali e di quelli provenienti da nuclei domestici (compresi i RAEE
di origine commerciale, industriale, istituzionale o di altro tipo, analoghi, per
natura e quantità, a quelli originati dai nuclei domestici). L’obiettivo finale di
raccolta differenziata della spazzatura elettronica proveniente dai nuclei familiari, da raggiungere entro il 31 dicembre 2008, è fissato in 4 kg/ab*anno.
Il finanziamento delle operazioni di trasporto, trattamento, recupero e
smaltimento finale della spazzatura elettronica è a carico dei produttori.
Entro il 31 dicembre 2007 i produttori dovranno garantire il raggiungimento di determinati obiettivi di recupero, che vanno dal 70 all’80% in peso in
relazione alla tipologia di appartenenza. I distributori di nuovi prodotti, inol-
Tipologia dei rifiuti 289
tre, dovranno assicurare, all’atto di vendita, il ritiro gratuito di quelli analoghi
provenienti da nuclei domestici e giunti a fine vita, nonché provvedere al loro
conferimento presso centri istituti per il recupero.
Spetterà, invece, ai Comuni assicurare la creazione di un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti tecnologici. I consumatori, invece, sono tenuti
esclusivamente a raccogliere e conferire separatamente rispetto ai rifiuti urbani
i propri RAEE.
Impatti
I principali impatti riconosciuti riguardano il rilascio in ambiente di:
•
Oli isolanti PCB contenuti nei condensatori;
•
Sostanze lesive dell’ozono (es. CFC e HCFC, utilizzati quali refrigeranti
nelle serpentine dei frigoriferi);
•
Componenti contenti Hg, Pb, Cd, Cr VI;
•
Tubi catodici;
•
Pile;
•
Circuiti stampati;
•
Componenti contenenti amianto;
•
Plastica contenente ritardanti di fiamma bromurati;
•
Cartucce di toner;
•
Sorgenti luminose a scarica (presenza di Hg);
•
Componenti contenenti sostanze radioattive.
•
•
È da rimarcare che:
Oltre il 90% di tali RAEE finisce negli inceneritori senza separazione dei
materiali, oppure è collocato in discarica, con rischio di inquinamento del
suolo e della falda da parte delle sostanze pericolose precedentemente
descritte.
Secondo un recente rapporto del WWF, il solo incenerimento di questi rifiuti nei Paesi dell’UE è responsabile di emissioni in atmosfera di circa 36
t di Hg e 16 t di Cd all’anno e contribuisce a più del 50% del Pb immesso
negli inceneritori, senza contare le notevoli emissioni di diossine e furani
290
Gramegna
8.Fluff di frantumazione
Codici
191003* P FLUFF
191004 FLUFF
frazione leggera e polveri, contenenti sostanze pericolose
frazione leggera e polveri, diverse da quelli di cui alla
voce 191003
Gestione
A livello macroscopico il fluff è una miscela eterogenea di materiali plastici, fibre tessili (imbottiture sia sintetiche sia naturali), gomma, materiali metallici soprattutto non ferrosi ed in misura minore da altri componenti presenti
nei beni frantumati (legno, vetro, carta, ecc.).
Possono essere presenti anche contaminanti indesiderati, quali residui oleosi, vernici e metalli pesanti (piombo, rame, ecc.), quando si operi su automezzi
non “bonificati” o nel caso di operazioni di smontaggio non adeguate.
La destinazione finale dei materiali che compongono il fluff è finora stata
la discarica, in particolare di tipo ex II B e/o IIC per rifiuti speciali.
La composizione media del fluff è la seguente:
Carta; 2%
Cab lag g i; 5%
F ib re te ssili e
sin te tich e ;
13%
Plastica ; 35%
Ve tro ; 7%
Le g n o ; 3%
Po liure tan i;
16%
Go mme ; 7%
M e talli n o n
fe rro si; 4%
F e rro ; 8%
Tipologia dei rifiuti 291
Il materiale risulta in funzione della tecnologia di frantumazione utilizzata
ed è estremamente disomogeneo sia per pezzatura, sia per composizione, essendo legato ai materiali trattati all’origine anche in riferimento alle specifiche
previste per l’accettazione dei rifiuti. Tale disomogeneità intrinseca si traduce
nella difficoltà oggettiva di operare determinazioni analitiche su campioni rappresentativi.
L’entità del fenomeno fluff (dati 2004) è di tutto rilievo e consiste in 1,5
milioni di auto smaltite in Italia ogni anno (10 milioni in Europa), 600.000
tonnellate/anno di fluff prodotto da16 impianti di frantumazione a livello nazionale
Il campionamento del fluff rappresenta un problema complesso la cui soluzione è stata proposta dal Manuale 38/2006 di ANPA “Studio APAT/ARPA sul
fluff di frantumazione degli autoveicoli”
In sintesi l’operazione consiste nelle seguenti fasi descritte di seguito.
•
Omogeneizzazione mediante pala meccanica
•
Livellamento su piazzale cementato ove viene formato un parallelepipedo
•
Suddivisione della superficie in settori di uguale dimensione e prelievo di
n. 12 incrementi di ugual peso, evitando la selezione delle diverse frazioni
granulometriche
292
•
•
•
Gramegna
Riunione e mescolamento degli incrementi prelevati
Quartatura del campione primario al fine di ottenere un campione miniaturizzato e rappresentativo di tutta la massa
Preparazione del campione di laboratorio
Impatti
Gli impatti generalmente riconosciuti derivano dalla movimentazione del
fluff derivante dalle operazioni di frantumazione; nello specifico, alla presenza
di materiale particellare fine nel rifiuto è associato il cospicuo assorbimento di
inquinanti bioaccumulabili.
È inoltre possibile la dispersione in falda e contaminazione del suolo da
parte dei metalli pesanti ed eventualmente di tutte quelle sostanze che non siano state preventivamente eliminate in seguito alla bonifica del veicolo. Infatti,
anche quando il fluff è classificato come rifiuto non pericoloso, il suo eluato ha
una composizione tale per cui è spesso necessario, ai sensi di legge, smaltirlo in
discariche di tipo 2B.
L’unica soluzione praticabile per ridurre la pericolosità del fluff è quella
di selezionarlo mediante vagliatura o soffiatura dividendolo in due frazioni di
granulometria diversa. La parte più fine, che contiene la maggior parte delle sostanze tossiche, ma ha un volume molto ridotto, deve essere considerata a tutti
gli effetti come un rifiuto speciale pericoloso. La parte più grossolana, ovvero
quella meno inquinata, con un volume considerevolmente superiore alla precedente, potrebbe essere considerata assimilabile agli RSU, fatta salva la necessità
di effettuare comunque le opportune analisi.
9.
Veicoli fuori uso
Codici
16 01
16 01 03
16 01 04*
16 01 06
16 01 07*
16 01 08*
veicoli fuori uso, rifiuti della demolizione e della manutenzione
di veicoli (tranne 13, 14, 1606, 1608)
pneumatici fuori uso
veicoli fuori uso
veicoli fuori uso, non contenenti liquidi né altre componenti pericolose
filtri dell’olio
componenti contenenti mercurio
Tipologia dei rifiuti 16 01 09*
16 01 10*
16 01 11*
16 01 12
16 01 13*
16 01 14*
16 01 15
16 01 16
16 01 17
16 01 18
16 01 19
16 01 20
16 01 21*
16 01 22
16 01 99
293
componenti contenenti PCB
componenti esplosivi (ad esempio “air bag”)
pastiglie per freni, contenenti amianto
pastiglie per freni, diverse da 16 01 11
liquidi per freni
liquidi antigelo contenenti sostanze pericolose
liquidi antigelo diversi da 16 01 14
serbatoi per gas liquido
metalli ferrosi
metalli non ferrosi
plastica
vetro
componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci da 16 01
07 a 16 01 11, 16 01 13 e 160114
componenti non specificati altrimenti
rifiuti non specificati
Gestione
L’art 184 del D.Lgs. 152/06 classifica, al comma 4 lettera f), i VFU e loro
parti come rifiuti speciali.
Un veicolo è classificato fuori uso nei seguenti casi:
•
con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso,
oppure con la consegna al concessionario o gestore dell'automercato o
della succursale della casa costruttrice che, accettando di ritirare un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente
decreto rilascia il relativo certificato di rottamazione al detentore;
•
nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore
rinvenuti da organi pubblici e non reclamati;
•
a seguito di specifico provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria;
•
in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono.
Non rientrano nella definizione di rifiuto e non sono soggetti alla relativa disciplina i veicoli d’epoca e i veicoli di interesse storico o collezionistico o destinati ai musei, conservati in modo adeguato, pronti all’uso ovvero in pezzi smontati.
294
Gramegna
È interessante osservare l’evoluzione della tipologia di materiali impiegati per la produzione delle vetture, confrontando il peso delle differenti tipologie
di questi ultimi su una vettura di segmento C di vecchia, nuova e futura concezione.
Il D.LGS. 209/03 fissa gli obiettivi di reimpiego, riciclaggio e recupero
secondo lo schema seguente:
Scadenza
1° gennaio 2006
1° gennaio 2015
Reimpiego/recupero
Reimpiego/riciclaggio
peso medio per veicolo e peso medio per veicolo per
per anno
anno
85%
75%
95%
80% *
70%
85%
Tipologia dei rifiuti L’attività di gestione dei VFU è schematizzata nel modo seguente
295
296
•
•
•
Gramegna
Il ciclo produttivo è schematizzato nelle attività di:
Demolizione che prevedono lo smontaggio e deposito dei pezzi di ricambio commercializzabili nonché delle componenti recuperabili:
•
Vetro (parabrezza, lunotti, deflettori…);
•
Poliuretano plastiche (paraurti, fascioni laterali, tappetini …);
•
Marmitte catalitiche;
•
Pneumatici fuori uso;
•
Componenti metallici;
Rottamazione che sono rivolte alla riduzione volumetrica mediante cesoiatura e pressatura per la produzione di pacchi di carrozzeria.
Frantumazione che consistono nella riduzione in frammenti della carcassa e successivo recupero della parte metallica.
Impatti
Fra le sostanze presenti nei VFU si annoverano:
•
i metalli pesanti, veicolati dalle operazioni di frantumazione;
•
gli IPA generati da parziali combustioni di materiale organico all’interno
del gruppo martelli;
•
i PCB veicolati sia dalle alte temperature che si generano nel gruppo martelli che dagli oli presenti nel rifiuto;
•
PCDD e PCDF presenti sia come inquinanti dei dielettrici clorurati che
generate dalle alte temperature del sistema in presenza di Cu come catalizzatore.
Le carcasse di autoveicoli abbandonati, non potendo essere analizzate e controllate in modo rigoroso al fine del corretto trattamento di frantumazione, devono
essere cautelativamente considerate come rifiuti contenenti sostanze pericolose
Tipologia dei rifiuti 297
10. Rifiuti prodotti da processi termici
Codici
CODICE CER SPECIFICA
10 Rifiuti prodotti da processi termici
10 01 rifiuti prodotti da centrali termiche ed altri impianti termici (tranne 19)
10 01 01 ceneri pesanti, scorie e polveri di caldaia (tranne le polveri di caldaia di cui alla voce 10 01 04)
10 01 02 ceneri leggere di carbone
10 01 03 ceneri leggere di torba e di legno non trattato
10 01 04 * ceneri leggere di olio combustibile e polveri di caldaia
10 01 05 rifiuti solidi prodotti da reazioni a base di calcio nei processi di desolforazione dei fumi
10 01 07 rifiuti fangosi prodotti da reazioni a base di calcio nei processi di desolforazione dei fumi
10 01 09 * acido solforico
10 01 13 * ceneri leggere prodotte da idrocarburi emulsionati usati come carburante
10 01 14 * ceneri pesanti, scorie e polveri di caldaia prodotte dal coincenerimento, contenenti sostanze pericolose
10 01 15 ceneri pesanti, scorie e polveri di caldaia prodotte dal coincenerimento, diverse da quelli di cui alla voce 10
01 14
10 01 16 * ceneri leggere prodotte dal coincenerimento, contenenti sostanze pericolose
10 01 17 ceneri leggere prodotte dal coincenerimento, diverse da quelle di cui alla voce 10 01 16
10 01 18 * rifiuti prodotti dalla depurazione dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 01 19 rifiuti prodotti dalla depurazione dei fumi, diversi da quelli di cui alle voci 10 01 05, 10 01 07 e 10 01 18
10 01 20 * fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, contenenti sostanze pericolose
10 01 21 fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui alla voce 10 01 20
10 01 22 * fanghi acquosi da operazioni di pulizia caldaie, contenenti sostanze pericolose
10 01 23 fanghi acquosi da operazioni di pulizia caldaie, diversi da quelli di cui alla voce 10 01 22
10 01 24 sabbie dei reattori a letto fluidizzato
10 01 25 rifiuti dell’immagazzinamento e della preparazione del combustibile delle centrali termoelettriche a carbone
10 01 26 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento
10 01 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 02 rifiuti dell’industria del ferro e dell’acciaio
10 02 01 rifiuti del trattamento delle scorie
10 02 02 scorie non trattate
10 02 07 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 02 08 rifiuti prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 02 07
10 02 10 scaglie di laminazione
10 02 11 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenti oli
10 02 12 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 02 11
10 02 13 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 02 14 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 02 13
10 02 15 altri fanghi e residui di filtrazione
10 02 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 03 rifiuti della metallurgia termica dell’alluminio
10 03 02 frammenti di anodi
10 03 04 * scorie della produzione primaria
10 03 05 rifiuti di allumina
10 03 08 * scorie saline della produzione secondaria
10 03 09 * scorie nere della produzione secondaria
10 03 15 * schiumature infiammabili o che rilasciano, al contatto con l’acqua, gas infiammabili in quantità pericolose
10 03 16 schiumature diverse da quelle di cui alla voce 10 03 15
10 03 17 * rifiuti contenenti catrame della produzione degli anodi
10 03 18 rifiuti contenenti carbone della produzione degli anodi, diversi da quelli di cui alla voce 10 03 17
(3)
10 03 19 * polveri dei gas di combustione, contenenti sostanze pericolose
10 03 20 polveri dei gas di combustione, diverse da quelle di cui alla voce 10 03 19
10 03 21 * altre polveri e particolati (comprese quelle prodotte da mulini a palle), contenenti sostanze pericolose
10 03 22 altre polveri e particolati (comprese quelle prodotte da mulini a palle), diverse da quelle di cui alla voce 10
03 21
10 03 23 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 03 24 rifiuti prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 03 23
10 03 25 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 03 26 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 03 25
10 03 27 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 03 28 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 03 27
10 03 29 * rifiuti prodotti dal trattamento di scorie saline e scorie nere, contenenti sostanze pericolose
10 03 30 rifiuti prodotti dal trattamento di scorie saline e scorie nere, diversi da quelli di cui alla voce 10 03 29
10 03 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 04 rifiuti della metallurgia termica del piombo
10 04 01 * scorie della produzione primaria e secondaria
10 04 02 * impurità e schiumature della produzione primaria e secondaria
10 04 03 * arsenato di calcio
298
Gramegna
CODICE CER SPECIFICA
10 04 04 * polveri dei gas di combustione
10 04 05 * altre polveri e particolato
10 04 06 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi
10 04 07 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 04 09 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 04 10 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 04 09
10 04 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 05 rifiuti della metallurgia termica dello zinco
10 05 01 scorie della produzione primaria e secondaria
10 05 03 * polveri dei gas di combustione
10 05 04 altre polveri e particolato
10 05 05 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi
10 05 06 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 05 08 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 05 09 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 05 08
10 05 10 * scorie e schiumature infiammabili o che rilasciano, al contatto con l’acqua, gas infiammabili in quantità
pericolose
10 05 11 scorie e schiumature diverse da quelle di cui alla voce 10 05 10
10 05 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 06 rifiuti della metallurgia termica del rame
10 06 01 scorie della produzione primaria e secondaria
10 06 02 impurità e schiumature della produzione primaria e secondaria
10 06 03 * polveri dei gas di combustione
10 06 04 altre polveri e particolato
10 06 06 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi
10 06 07 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 06 09 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 06 10 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 06 09
10 06 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 07 rifiuti della metallurgia termica di argento, oro e platino
10 07 01 scorie della produzione primaria e secondaria
10 07 02 impurità e schiumature della produzione primaria e secondaria
10 07 03 rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi
10 07 04 altre polveri e particolato
10 07 05 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 07 07 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 07 08 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 07 07
10 07 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 08 rifiuti della metallurgia termica di altri minerali non ferrosi
10 08 04 polveri e particolato
10 08 08 * scorie salate della produzione primaria e secondaria
10 08 09 altre scorie
10 08 10 * impurità e schiumature infiammabili o che rilasciano, al contatto con l’acqua, gas infiammabili in quantità
pericolose
10 08 11 impurità e schiumature diverse da quelle di cui alla voce 10 08 10
10 08 12 * rifiuti contenenti catrame derivante dalla produzione degli anodi
10 08 13 rifiuti contenenti carbone della produzione degli anodi, diversi da quelli di cui alla voce 10 08 12
10 08 14 frammenti di anodi
10 08 15 * polveri dei gas di combustione, contenenti sostanze pericolose
10 08 16 polveri dei gas di combustione, diverse da quelle di cui alla voce 10 08 15
10 08 17 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 08 18 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 08 17
10 08 19 * rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, contenenti oli
10 08 20 rifiuti prodotti dal trattamento delle acque di raffreddamento, diversi da quelli di cui alla voce 10 08 19
10 08 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 09 rifiuti della fusione di materiali ferrosi
10 09 03 scorie di fusione
10 09 05 * forme e anime da fonderia non utilizzate, contenenti sostanze pericolose
10 09 06 forme e anime da fonderia non utilizzate, diverse da quelle di cui alla voce 10 09 05
10 09 07 * forme e anime da fonderia utilizzate, contenenti sostanze pericolose
10 09 08 forme e anime da fonderia utilizzate, diverse da quelle di cui alla voce 10 09 07
10 09 09 * polveri dei gas di combustione contenenti sostanze pericolose
10 09 10 polveri dei gas di combustione diverse da quelle di cui alla voce 10 09 09
10 09 11 * altri particolati contenenti sostanze pericolose
10 09 12 altri particolati diversi da quelli di cui alla voce 10 09 11
10 09 13 * scarti di leganti contenenti sostanze pericolose (4)
Tipologia dei rifiuti 299
CODICE CER SPECIFICA
10 09 14 scarti di leganti diversi da quelli di cui alla voce 10 09 13 (4)
10 09 15 * scarti di prodotti rilevatori di crepe, contenenti sostanze pericolose
10 09 16 scarti di prodotti rilevatori di crepe, diversi da quelli di cui alla voce 10 09 15
10 09 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 10 rifiuti della fusione di materiali non ferrosi
10 10 03 scorie di fusione
10 10 05 * forme e anime da fonderia non utilizzate, contenenti sostanze pericolose
10 10 06 forme e anime da fonderia non utilizzate, diverse da quelle di cui alla voce 10 10 05
10 10 07 * forme e anime da fonderia utilizzate, contenenti sostanze pericolose
10 10 08 forme e anime da fonderia utilizzate, diverse da quelle di cui alla voce 10 10 07
10 10 09 * polveri dei gas di combustione, contenenti sostanze pericolose
10 10 10 polveri dei gas di combustione, diverse da quelle di cui alla voce 10 10 09
10 10 11 * altri particolati contenenti sostanze pericolose
10 10 12 altri particolati diversi da quelli di cui alla voce 10 10 11
10 10 13 * scarti di leganti contenenti sostanze pericolose (4)
10 10 14 scarti di leganti diversi da quelli di cui alla voce 10 10 13 (4)
10 10 15 * scarti di prodotti rilevatori di crepe, contenenti sostanze pericolose
10 10 16 scarti di prodotti rilevatori di crepe, diversi da quelli di cui alla voce 10 10 15
10 10 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 11 rifiuti della fabbricazione del vetro e di prodotti di vetro
10 11 03 scarti di materiali in fibra a base di vetro
10 11 05 polveri e particolato
10 11 09 * scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico, contenenti sostanze pericolose
10 11 10 scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico, diverse da quelle di cui alla voce 10 11 09
10 11 11 * rifiuti di vetro in forma di particolato e polveri di vetro contenenti metalli pesanti (provenienti ad es. da
tubi a raggi catodici)
10 11 12 rifiuti di vetro diversi da quelli di cui alla voce 10 11 11
10 11 13 * lucidature di vetro e fanghi di macinazione, contenenti sostanze pericolose
10 11 14 lucidature di vetro e fanghi di macinazione, diversi da quelli di cui alla voce 10 11 13
10 11 15 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 11 16 rifiuti prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 11 15
10 11 17 * fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 11 18 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 11 17
10 11 19 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, contenenti sostanze pericolose
10 11 20 rifiuti solidi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui alla voce 10 11 19
10 11 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 12 rifiuti della fabbricazione di prodotti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione
10 12 01 scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico
10 12 03 polveri e particolato
10 12 05 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 12 06 stampi di scarto
10 12 08 scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione (sottoposti a trattamento termico)
10 12 09 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 12 10 rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 12 09
10 12 11 * rifiuti delle operazioni di smaltatura, contenenti metalli pesanti
10 12 12 rifiuti delle operazioni di smaltatura diversi da quelli di cui alla voce 10 12 11
10 12 13 fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti
10 12 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 13 rifiuti della fabbricazione di cemento, calce e gesso e manufatti di tali materiali
10 13 01 scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico
10 13 04 rifiuti di calcinazione e di idratazione della calce
10 13 06 polveri e particolato (eccetto quelli delle voci 10 13 12 e 10 13 13)
10 13 07 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi
10 13 09 * rifiuti della fabbricazione di amianto cemento, contenenti amianto
10 13 10 rifiuti della fabbricazione di amianto cemento, diversi da quelli di cui alla voce 10 13 09
10 13 11 rifiuti della produzione di materiali compositi a base di cemento, diversi da quelli di cui alle voci 10 13 09 e
10 13 10
10 13 12 * rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose
10 13 13 rifiuti solidi prodotti dal trattamento dei fumi, diversi da quelli di cui alla voce 10 13 12
10 13 14 rifiuti e fanghi di cemento
10 13 99 rifiuti non specificati altrimenti
10 14 rifiuti prodotti dai forni crematori
10 14 01 * rifiuti prodotti dalla depurazione dei fumi, contenenti mercurio
300
Gramegna
Gestione
La tendenza ecologica a limitare l’impiego delle materie prime naturali
porta a considerare con grande interesse l’uso di materiali alternativi tra cui
proprio i residui dei grandi impianti termici. Esistono processi che sono già
in grado di recuperare efficacemente materia dalla ceneri pesanti o scorie ed
altri in grado di inertizzare le ceneri leggere, molti dei quali garantiscono anche
l’importante recupero della frazione metallica ferrosa e non. Tali impianti sono
dotati di sistemi di deferrizzazione con elettromagnete ed estrazione di altre specie metalliche tramite isteresi inversa. Di norma è possibile conseguire un risultato di purificazione/inertizzazione soddisfacente tramite processi di vagliatura,
ageing & washing, crushing & scrubbing, vetrificazione per rendere amorfo il
materiale. Il riutilizzo si realizza tramite l’impiego di questi materiali come:
•
sottofondi infrastrutturali;
•
conglomerati bituminosi;
•
materiale ceramico;
•
malte per costruzioni;
•
ecocemento.
I rifiuti da processi termici si prestano ottimamente ad essere recuperati
come prodotti da costruzione. La Direttiva 89/106/CE "Prodotti da Costruzione", emanata dalla Comunità Europea, fissa i requisiti essenziali che tali prodotti devono assicurare e regolamenta le modalità per la produzione, la marcatura
e la loro commercializzazione. Ad oggi già per diverse famiglie di prodotti da
costruzione è obbligatorio il regime di marcatura; a queste se ne aggiungeranno
altre, alcune delle quali richiederanno l’intervento di un Organismo Notificato.
Segue un elenco di alcune di queste famiglie e le norme di riferimento per la
relativa certificazione.
Aggregati
•
EN 12620:2002 - Aggregati per calcestruzzo
•
EN 13043: 2002 - Aggregati per conglomerati bituminosi e finiture superficiali per strade, aeroporti e altre aree trafficate
•
EN 13055-1:2002 - Aggregati leggeri - Parte 1 : Aggregati leggeri per
calcestruzzo, malta e malta da iniezione/boiacca
•
EN 13139:2002 - Aggregati per malte
•
EN 13242:2002 - Aggregati per miscele non legate e miscele legate utilizzati nelle opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade
•
EN 13383-1:2002 - Blocchi per opere edili - Parte 1: Specifiche
•
EN 13450:2002 - Aggregati per massicciate ferroviarie
Tipologia dei rifiuti 301
Calcestruzzo, malta e loro componenti
•
EN 934-2 rev: 2001 - Additivi per calcestruzzo, malta e malta per iniezione - Parte 2: Additivi per calcestruzzo - Definizioni, requisiti, conformità,
marcatura e etichettatura
•
EN 934-4 rev: 2001 - Additivi per calcestruzzo, malta e malta per iniezione - Parte 4: Additivi per malta per cavi di precompressione - Definizioni,
requisiti, conformità, marcatura e etichettatura
Cementi, calci da costruzione e altri leganti idraulici
•
EN 197-1:2000 - Cemento - Parte 1: Composizione, specificazioni e criteri di conformità per cementi comuni
•
EN 459-1 rev: 2001 - Calci da costruzione - Parte 1: Definizioni, specifiche e criteri di conformità
Murature e prodotti correlati
•
EN 771-1:2003 - Specifica per elementi di muratura - Parte 1: Elementi di
muratura di laterizio
•
EN 771-2:2003 - Specifica per elementi di muratura - Parte 2: Elementi di
muratura di silicato di calcio
•
EN 998-2:2003 - Specifiche per malte per opere murarie - Parte 2: Malte
da muratura
Prodotti prefabbricati di calcestruzzo
•
EN 1520:2002 - Componenti prefabbricati armati di calcestruzzo alleggerito con struttura aperta
La rispondenza alle specifiche, conditio sine qua non affinchè un rifiuto
possa assumere i connotati di materia prima, viene verificata da una serie di
prove di laboratorio che sono condotte da laboratori accreditati.
Impatti
I problemi relativi al riutilizzo dei rifiuti da processi termici sono legati
alla presenza dei metalli pesanti difficili da estrarre e fissare data la natura delle
scorie e dal notevole impatto ambientale di alcuni di essi.
Roberto Primerano
Spedizioni trasfrontaliere dei rifiuti
Procedure e regimi di controllo
Sommario: 1. Inquadramento normativo - 1.1. Verifica documentale - 1.2. Controllo dei rifiuti - 1.2.1.
Classificazione - 1.2.2. Il Codice Europeo dei Rifiuti - 1.2.3. Procedure di attribuzione del C.E.R. - 1.3.
Caratterizzazione dei rifiuti -1. Inquadramento normativo
1.Inquadramento normativo
Le procedure e i regimi di controllo per le spedizioni di rifiuti in funzione
dell’origine, della destinazione e dell’itinerario di spedizione, del tipo di rifiuti
spediti e del tipo di trattamento da applicare ai rifiuti nel luogo di destinazione,
sono disciplinate a partire dal 12 luglio 2007 dal nuovo Regolamento CE n.
1013/20061 che ha sostituito il Regolamento CE n. 259/932.
Il regolamento si applica alle spedizioni di rifiuti:
a) fra Stati membri, all’interno della Comunità o con transito attraverso paesi terzi;
b) importati nella Comunità da paesi terzi;
c) esportati dalla Comunità verso paesi terzi;
d) in transito nel territorio della Comunità, con un itinerario da e verso paesi
terzi.
L’art. 194 del D.L.vo n. 152/2006 (cd. T.U. ambientale), dedicato alle
spedizioni transfrontaliere di rifiuti, al comma 1, dispone che tali attività “sono
disciplinate dai regolamenti comunitari che regolano la materia, dagli accordi
bilaterali di cui all’art. 19 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259” e,
secondo il comma 5, dalle “disposizioni di cui al decreto interministeriale 3 settembre 1998, n. 370”, che continueranno ad applicarsi, secondo il comma 4, sino all’emanazione di apposito “decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute,
dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, nel rispetto delle norme del regolamento (CEE) n. 259 del 1° febbraio 1993 che disciplinerà:
1
2
GUCE L 190/1 del 12/07/2006
GUCE L 030 del 06/02/1993
304
a)
b)
c)
d)
Primerano
i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da
prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all’articolo 27 del predetto
regolamento; tali garanzie sono ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (EMAS), e del quaranta
per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale
ai sensi della norma UNI EN ISO 14001;
le spese amministrative poste a carico dei notificatori ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, del regolamento;
le specifiche modalità per il trasporto dei rifiuti negli Stati di cui al comma 2;
le modalità di verifica dell’applicazione del principio di prossimità per i
rifiuti destinati a smaltimento.”
L’art. 194 del D.L.vo 152/06 (testo aggiornato sino al D.L.vo n. 4 del 16
gennaio 2008) rinvia dunque esplicitamente alla normativa regolamentare di settore, oggi sostituita dal Reg. CE 1013/2006, che avendo efficacia diretta all’interno degli Stati membri, non necessita di un atto nazionale di trasposizione.
Secondo il comma 5, ai sensi e per gli effetti del regolamento CE relativo
alle spedizioni di rifiuti:
a) le “Autorità Competenti” di spedizione e di destinazione sono le Regioni
e le Province Autonome;
b) l’“Autorità di Transito” è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio;
c) “Corrispondente”3 è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
La disciplina integrativa rispetto ai contenuti del Regolamento demandata
agli Stati membri ai sensi dell’art. 50 del Reg. CE n. 1013/06 fa riferimento alle
norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni
del regolamento medesimo. Gli stati membri sono chiamati ad adottare tutte
le misure necessarie affinché le sanzioni applicabili in caso di violazione delle
disposizioni siano attuate.
Gli atti regolamentari vengono integrati dal legislatore italiano:
•
con la previsione dell’art. 259 del D.L.vo 152/06 che stabilisce le norme
in materia di sanzioni (effettive, proporzionate e dissuasive) applicabili
3
Organismo che ai sensi dell’art. 54 del Reg. CE n. 1013/2006 è incaricato di informare e consigliare le
persone o le imprese che si rivolgono ad esso. Il corrispondente della Commissione informa i corrispondenti
degli Stati membri di qualsiasi eventuale questione che gli venga sottoposta e che riguardi questi ultimi e
viceversa.
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 305
per traffici illeciti di rifiuti, precisando al comma 1 che “Chiunque effettua
una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo
26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso
è punito con la pena dell’ammenda da millecinquecentocinquanta euro a
ventiseimila euro e con l’arresto fino a due anni. La pena e’ aumentata in
caso di spedizione di rifiuti pericolosi.” Al comma 2 è stabilito che “Alla
sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del
codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al
comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4,
consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto.”
•
con la fissazione dei criteri per il calcolo delle garanzie finanziarie che
vengono definiti da appositi decreti.
I rifiuti introdotti nel territorio doganale della Comunità devono essere
condotti a norma dell’articolo 38, comma 1, del Regolamento (CEE) n. 2913/92
Ai sensi del comma 2 dell’art. 50 del Reg. CE n. 1013/06, “gli Stati membri prevedono, mediante misure di esecuzione del presente regolamento, tra
l’altro, ispezioni di stabilimenti e imprese a norma dell’articolo 13 della direttiva 2006/12/CE, nonché controlli a campione sulle spedizioni di rifiuti o sul
relativo recupero o smaltimento.
I controlli delle spedizioni possono aver luogo in particolare:
a) nel luogo di origine ed essere effettuati con il produttore, il detentore o il
notificatore;
b) nel luogo di destinazione ed essere effettuati con il destinatario o l’impianto;
c) alle frontiere della Comunità;
e/o
d) durante la spedizione nel territorio della Comunità.”
Ai sensi del comma 4 dell’art. 50 del Reg. CE n. 1013/06, “I controlli
sulle spedizioni comprendono:
1. la verifica di documenti,
2. l’accertamento delle identità
e, se del caso, il
3. controllo fisico dei rifiuti.”
Ai sensi del comma 5 dell’art. 50 del Reg. CE n. 1013/06, gli Stati membri
designano fra il proprio personale di ruolo le persone responsabili della coo-
306
Primerano
perazione a titolo bilaterale o multilaterale, allo scopo di facilitare la prevenzione e l’individuazione delle spedizioni illegali ed individuano il(i) centro(i)
incaricato(i) dei controlli fisici in parola.
Nella Regione Puglia, il centro incaricato dei controlli fisici in parola è
l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente (ARPA
Puglia).
1.1 Verifica documentale
Il controllo doganale si esplica, ai sensi del Regolamento (CEE) n.
2913/924, che istituisce il codice doganale comunitario, con atti specifici dell’autorità doganale finalizzati alla corretta applicazione della legislazione doganale
e delle altre legislazioni che disciplinano l’entrata, l’uscita, il transito, il trasferimento e l’utilizzazione finale di merci in circolazione tra il territorio doganale
della Comunità e i paesi terzi e la presenza di merci non aventi posizione comunitaria; tali atti possono comprendere la verifica delle merci, il controllo della
dichiarazione e l’esistenza e l’autenticità di documenti elettronici o cartacei,
l’esame della contabilità delle imprese e di altre scritture, il controllo dei mezzi
di trasporto, il controllo del bagaglio e di altra merce che le persone hanno con
sé o su di sé e l’esecuzione di inchieste amministrative o atti analoghi.
L’Unione Europea ha istituito un sistema di sorveglianza e di controllo di
ogni movimento di rifiuti, all’interno dei propri confini e con i paesi dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA, European Free Trade Association),
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e con
i paesi terzi che sono parti contraenti della convenzione di Basilea del 22 marzo
1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro
smaltimento.
Il trasporto di rifiuti oltreconfine risponde a specifiche regole comunitarie
finalizzate alla tutela della salute umana e dell’ambiente.
•
Regolamento (CEE) n. 259/93 con il quale il Consiglio ha emanato norme
intese a restringere e a controllare questi movimenti, allo scopo, tra l’altro,
di conformare il vigente sistema comunitario in tema di sorveglianza e di
controllo dei movimenti di rifiuti alle prescrizioni della convenzione di
Basilea. Regolamento modificato dal Regolamento (CE) n. 2557/2001 ed
abrogato dal Regolamento (CE) n. 1013/2006 a partire dal 12 luglio 2007;
4
GUCE L 302 del 19/10/1992
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 307
•
Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio
relativo alle spedizioni di rifiuti;
•» Regolamento (CE) N. 1379/2007 della Commissione recante modifica
degli allegati I A, I B, VII e VIII del regolamento (CE) n. 1013/2006 del
Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle spedizioni di rifiuti per
tenere conto del progresso tecnico e dei cambiamenti concordati nell’ambito della convenzione di Basilea;
•
Regolamento (CE) N. 1418/2007 della Commissione del 29 novembre
2007 relativo all’esportazione di alcuni rifiuti destinati al recupero, elencati nell’allegato III o III A del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, verso alcuni paesi ai quali non si applica la
decisione dell’OCSE sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti;
Nell’occasione del transito doganale, che rappresenta un passaggio obbligato di merci e materia, è opportuno riunire e potenziare i diversi controlli
finalizzati alla verifica del rispetto delle leggi, in particolare per contrastare le
attività illecite.
1.2 Controllo dei rifiuti
1.2.1
Classificazione
Il D.L.vo 152/06 tiene ancora in vita la doppia classificazione dei rifiuti,
già prevista dal D.P.R. 915/82, quella ai fini giuridici e quella ai fini dello smaltimento.
Secondo il D.L.vo 152/06 i rifiuti vengono classificati, ai fini del regime
giuridico, esclusivamente secondo l’origine in:
•
rifiuti urbani
•
rifiuti speciali
e, secondo le caratteristiche di pericolosità in:
•
pericolosi
•
non pericolosi
È possibile che un prodotto/sostanza/residuo/materiale possa essere classificata come rifiuto se ricade in una delle categorie indicate nell’Allegato I
della Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 relativa ai rifiuti (Tab.1).
308
Primerano
Tab.1 - Categorie di rifiuti secondo l’Allegato I della Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 relativa
ai rifiuti
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 309
1.2.2 Il Codice Europeo dei Rifiuti
Tutti i rifiuti devono essere identificati da un Codice a sei cifre. L’elenco
dei codici identificativi (denominato CER 2002 e allegato alla parte quarta del
D.L.vo 152/06) è articolato in 20 classi. I rifiuti delle diverse classi distinti in
categorie erano elencati negli allegati A e D.
Tali categorie in alcuni casi erano costituite da prodotti o sostanze singole
individuati in modo specifico, in altri casi, invece, da famiglie di rifiuti molto
ampie aspecifiche, comprendenti numerosi rifiuti.
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Tab.2 – Classi del Codice Europeo dei Rifiuti
Ogni Classe raggruppa rifiuti che derivano da uno stesso ciclo produttivo.
All’interno dell’elenco, i rifiuti pericolosi sono contrassegnati da un asterisco
(“voci a specchio”).
L’elenco armonizzato di rifiuti viene rivisto periodicamente, sulla base
delle nuove conoscenze ed in particolare di quelle prodotte dall’attività di ricerca, e se necessario modificato in conformità dell’articolo 18 della direttiva
75/442/CEE.
L’inclusione di un determinato materiale nell’elenco non significa tuttavia
che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza.
La classificazione del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale
risponde alla definizione di rifiuto.
Il Catalogo vuole essere una nomenclatura di riferimento con una termi-
310
Primerano
nologia comune per tutta la Comunità allo scopo di migliorare tutte le attività
connesse alla gestione dei rifiuti.
Tab.3 – Numerazione del Codice Europeo dei Rifiuti
A questo riguardo, il Catalogo Europeo dei Rifiuti dovrebbe diventare il
riferimento di base del programma comunitario di statistiche sui rifiuti lanciato
con la risoluzione del Consiglio, del 7 maggio 1990, sulla politica relativa alla
gestione dei rifiuti.
1.2.3 Procedura di attribuzione del CER
Le modalità di attribuzione del CER ad un determinato rifiuto e conseguentemente la sua classificazione come pericoloso ovvero non pericoloso sono
individuate nell’alleato A della Direttiva del Ministero dell’Ambiente 9/4/02.
La procedura è la seguente:
1. Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i titoli dei capitoli da
01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in
questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con
le cifre 99.
2.Se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la
classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13,
14 e 15 per identificare il codice corretto.
3. Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16.
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 4.
311
Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non altrimenti
specificati) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività
identificata al punto 1.
Con la Direttiva 2000/532/CE e successive modifiche, è stata nuovamente
prevista la necessità di controllo analitico per determinate tipologie “…contenenti sostanze pericolose” e per i rifiuti individuati da codice cosiddetto “a
specchio”. Al di fuori dei suddetti casi la norma non rileva tale obbligo per
l’attribuzione del CER.
Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico
o generico a sostanze pericolose e come non pericoloso in quanto “diverso” da
quello pericoloso (“voce a specchio”), esso è classificato come pericoloso solo
se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni.
Le “voci a specchio” sono previste solo per le caratteristiche di pericolo:
H3 - H4 - H5 - H6 - H7 - H8 - H 10 - H11 (Tab.4).
Tab.4 – Codice di pericolosità H e Classe ONU corrispondente
312
Primerano
Si applicano le concentrazioni limite (CL) di sostanze pericolose riportate all’articolo 2, decisione 2000/532/CE (come modificato dalla decisione
2001/118/CE, 2000/119/CE e 2001/573/CE) :
Caratteristiche di pericolo tipo A:
Si procede come segue:
1. si individua/no la/e sostanza/e classificata/e pericolosa/e in base alle frasi
di rischio (R) delle singole sostanze presenti nel rifiuto;
2. si individua la relativa classificazione di pericolosità;
3. si sommano tra loro le concentrazioni limite (CL) in % rispetto al peso
delle sostanze appartenenti alla stessa categoria di pericolo;
4. si verifica se ciascuna delle sostanze appartenenti alla stessa categoria di
pericolo raggiunge le relative soglie indicate all’articolo 2 della decisione
2000/532/CE.
∑Cmis ≥ CL
e solo in questo caso il rifiuto è pericoloso.
Per le caratteristiche di pericolo tipo B: H1 - H2 - H9 - H12 - H13 - H14, si
prescinde dalle indagini analitiche ed i rifiuti che le presentano sono pericolosi
sempre, indipendentemente dai valori delle CL. In pratica, vige solo il criterio
dell’origine.
L’articolo 3 della decisione 2000/532/CE, dispone che un rifiuto pericoloso dell’elenco, in casi eccezionali, può essere considerato non pericoloso anche
se non riportato nella decisione 2001/118/CE; cioè lo Stato membro può decidere, in casi eccezionali, che un rifiuto classificato “pericoloso” non presenta
nessuna caratteristica di pericolo o che, viceversa, un rifiuto classificato “non
pericoloso” presenta caratteristiche di pericolo.
Tale eventualità è riferita a casi specifici, ben individuati ed opportunamente documentati. In particolare, nell’ipotesi di rifiuto classificato “pericoloso”
nell’elenco e che il detentore ritenga non presenti nessuna caratteristica di pericolo, è tale detentore che ha l’onere di fornire, per lo specifico rifiuto, l’opportuna documentazione che attesti l’assenza delle citate caratteristiche di pericolo.
La classificazione ai fini del regime di smaltimento è quella ancora in
vigore descritta dalla Delibera Interministeriale del 27.7.1984 emanata in forza
del DPR 915/82 ed è funzione del tipo di smaltimento (Tab.5): discarica, incenerimento, compostaggio.
Ai fini dello smaltimento in discarica, la classificazione è basata sulla caratterizzazione delle seguenti variabili:
•
tipologia del rifiuto
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 313
•
concentrazione delle sostanze presenti nel rifiuto tal quale (all. 1
DPR915/82)
•
concentrazione delle sostanze presenti nell’eluato (all. 1 DPR915/82)
I test di lisciviazione sono quelli definiti dalla Delibera Interministeriale
del 14 luglio 1986:
•
test di cessione all’acido acetico utilizzabile per valutare il comportamento di un rifiuto all’azione lisciviante congiunta di acque meteoriche e di
percolati da discariche miste, con tipologie di rifiuti a matrice organica e
inorganica;
•
test di cessione con acqua satura di CO2 utilizzabile per simulare il comportamento di rifiuti da smaltirsi in discariche destinate a ricevere unicamente rifiuti a matrice inorganica.
Anche la concentrazione delle sostanze organiche previste dalle tabelle
1.1 ed 1.2 della delibera 27 luglio 1984, determinata nel rifiuto tal quale, è da
utilizzare per individuare i rifiuti ammessi nei diversi tipi di discarica di seconda
categoria (Tavole E ed F).
1.3 Caratterizzazione dei rifiuti
Le prove per la caratterizzazione dei rifiuti e del loro comportamento possono generalmente essere suddivise in tre categorie:
1. le prove di caratterizzazione di base utili per valutare le proprietà caratteristiche dei rifiuti e verificare il comportamento alla lisciviazione (cioè il rilascio
di sostanza costituenti a contatto con un liquido) a breve e lungo termine.
In tali prove sono trattati i rapporti liquido/solido (L/S), la composizione
dell’agente lisciviante, i fattori che controllano il rilascio di inquinanti, quali
pH, potenziale di ossidoriduzione, capacità complessante e i parametri fisici.
2. le prove di conformità sono utilizzate per determinare se il rifiuto è conforme a valori di riferimento specifici. Tali prove si incentrano sulle variabili chiave e sul comportamento alla lisciviazione identificato mediante le
prove di caratterizzazione di base.
3. le prove di verifica sul campo sono utilizzate come controllo rapido per
confermare che il rifiuto è lo stesso che è stato sottoposto alla/e prova/e di
conformità.
La caratterizzazione di base deve essere effettuata secondo la norma UNI
10802:2004 “Rifiuti - Rifiuti liquidi, granulari, pastosi e fanghi - Campionamento manuale e preparazione ed analisi degli eluati”.
314
•
•
•
•
•
•
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•
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•
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•
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Primerano
Di seguito si riportano le norme altrimenti valide:
IRSA/CNR con acido acetico a pH = 5 +/- 0.2 (derivato da test US-EPA
EP)
IRSA/CNR con acqua satura di CO2
DMA 05/02/98 (“Ronchi Bis”: recupero rifiuti non pericolosi) sviluppato
da ISS
US-EPA Toxicity Characteristic leaching Procedure (TCLP) (tampone acetato a pH iniziale = 5, 18h in batch)
prEN 14429: Influence of pH on leaching with initial acid/base addition
(ANC mode)
WI 292 033 Influence of pH on leaching with continuous pH control (pH
static)
prEN 14405: Up flow percolation test (to determine the leaching behaviour of a waste material under standardized conditions)
WI 292 040 Dynamic leaching test for Monolithic Waste
WI 292 046 Acid neutralization capacity test.
EN 12457-(1..4): Leaching test for granular waste materials and sludges –
compliance batch leaching tests (12457-2 – UNI 10802 A.2)
WI 292 010 Compliance leaching test for monolithic material (bozza
CEN – UNI 10802 A.3)
Altri test sviluppati da organismi nazionali (AFNOR, NEN, DIN…)
UNI ENV 12920 “Metodologia per la determinazione del comportamento
alla lisciviazione dei rifiuti in condizioni specificate” fornisce la metodologia generale per l’applicazione dei test di cessione sviluppati dal CEN
Spedizioni trasfrontaliere di rifiuti. Procedure e regimi di controllo 315
Tab.5 – Operazioni di smaltimento secondo l’Allegato II.A della Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006
relativa ai rifiuti
316
Primerano
Tab.6 – Operazioni di recupero secondo l’Allegato II.B della Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006
relativa ai rifiuti
Bibliografia
1. M. Sanna “La classificazione dei rifiuti” 2005 II Ed. Ambiente - Epc Libri
2.R. Pravisano “La contabilità dei rifiuti, residui, avanzi ed imballaggi”
2007 Giuffrè Editore
Vito Felice Uricchio
Le nuove frontiere della tecnologia per la gestione
della conoscenza
Sommario: 1. Rapporti tra tecnologia ed intelligence - 2. L’intelligence nel settore ambientale
- 3. Gli scenari dell’innovazione nell’intelligence ed i sistemi informativi nazionali e regionali 4. Le principali banche dati gestite dalle Istituzioni centrali dello Stato - 5. Le principali banche
a valenza ambientale della Regione Puglia - 6. L’esperienza pugliese - 7. Il Data Warehousing
- 8. Il Data mining ed i suoi algoritmi a supporto dell’attività investigativa - 9. Il Text Mining
o Text Data Mining
1.Rapporti tra tecnologia ed intelligence
Il diffuso incremento della “domanda di sicurezza” generato da accadimenti terroristici piuttosto che da fenomeni criminosi di varia natura, associato
agli importanti risultati conseguiti dal progresso scientifico che hanno coinvolto
la gestione integrata delle informazioni e le tecniche di monitoraggio e controllo, determinano un crescente interesse per una sempre più proficua interazione
tra tecnologia ed intelligence.
L’intelligence può essere definita come il prodotto a valore aggiunto risultante della raccolta, valutazione, analisi, integrazione ed interpretazione di tutte
le informazioni disponibili che riguardano uno o più aspetti di una necessità
decisionale o investigativa (Fleisher & Bensoussan, 2003).
Tale definizione di intelligence che supera l’applicazione esclusivamente
militare, trova importanti riscontri ed applicazioni nella materia ambientale che
per definizione analizza la complessità come un apparato composto da elementi
eterogenei che coesistono in un certo spazio (acqua, aria, suolo, popolazione, attività economiche, ecc...), richiedendo strumenti in grado di poter rappresentare
le interazioni e le evoluzioni colte nel loro articolato dinamismo.
Infatti, la moderna cultura ambientale, anche attraverso le applicazioni
d’intelligence tende al superamento di una visione segmentata in differenti componenti ambientali, favorendo approcci mirati a considerare un sistema complesso di elementi e funzioni tra loro strettamente correlati in cui la variabile
antropica nelle sue estrinsecazioni, lecite ed illecite, incide profondamente.
318
V.F. Uricchio
Affrontare la problematica ambientale a questo livello di complessità, costituisce un’esigenza prioritaria, sia a livello scientifico che gestionale: l’innovazione tecnologica fornisce oggi tecniche di intelligence che, attraverso strumenti software ed applicazioni modelliste, consentono una visione sistematica
ed unitaria dell’ambiente, anche al fine di superare la frammentazione dei momenti analitici, decisionali e programmatori.
L’applicazione delle tecniche d’intelligence nella conduzione delle indagini in generale e, nel settore ambientale in particolare, è oggi possibile anche
grazie alla progressiva modernizzazione del Paese che, attraverso un processo
di continuo cambiamento, può assicurare solide basi per la disponibilità di un
numero sempre maggiore d’informazioni digitali, prevalentemente strutturate
in banche dati.
Infatti, tra le principali “leve” disponibili per una sempre più ampia applicazione delle tecnologie di intelligence, ci sono senza dubbio le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Pur considerando che
tali tecnologie sono e rimangono un utile strumento, non va sottovalutata la loro
“carica informativa” legata alla pervasività in quasi tutti i settori della vita di un
Paese che tende ad informatizzare, ai fini della gestione, qualsiasi informazione
dal dato anagrafico, al consumo di energia, alle grandi trasformazioni territoriali
ed ambientali.
Diventa pertanto strategico per il nostro Paese, così come per tutti i Paesi
moderni, una strategia complessiva di realizzazione della Società dell’Informazione che si basa sull’innovazione e sulla conoscenza, per interpretare i fenomeni, per scandire i flussi, per atomizzare le più piccole trasformazioni, certi della
possibilità d’analisi integrata dei dati.
Il successo di questa strategia ha come presupposto fondamentale la piena
collaborazione già in corso, non solo con tutte le Amministrazioni Centrali e
Locali, ma anche con il mondo dell’economia, della ricerca e del sociale.
La scelta strategica di affermare le tecniche d’intelligence, intese nel
senso più ampio del termine, e di condurre le Amministrazioni ad una diffusa
modernizzazione attraverso un adeguato utilizzo delle nuove tecnologie ICT
sia nel pubblico che nel privato, consente una maggiore incisività dell’azione
investigativa.
Occorre sottolineare come buona parte dei successi conseguiti dai Servizi
di sicurezza americani (CIA, FBI, NSA, etc.) siano proprio ascrivibili alla ampia diffusione delle tecnologie ICT, opportunamente supportata dagli investimenti nella formazione di capitale umano ed in ricerca specialistica.
Le nuove frontiere della tecnologia
319
La quota di valore aggiunto e d’efficienza dei settori basati sulla conoscenza continua a salire e questo è indice che la conoscenza sta acquisendo
sempre più importanza nell’ambito dell’attività d’indagine, di orientamento e
di gestione.
L’affermazione delle tecnologie ICT è stata ultimamente anche accelerata
dalla continua diminuzione dei costi unitari di apparecchiature informatiche e di
telecomunicazione (anche attraverso Internet). In aggiunta lo scambio di informazioni e di metodologie di fruizione dell’informazione alimenta, a sua volta,
la crescita dell’alta tecnologia. Queste tecnologie permettono un’accelerazione
del processo innovativo, consentono una più rapida diffusione di conoscenza
codificata e di idee, e rendono la ricerca scientifica più efficiente e più legata
all’interpretazione della conoscenza.
Un ulteriore fattore di cambiamento è l’organizzazione del sistema delle
Forze dell’Ordine rispetto agli attori di sviluppo dell’attività innovativa (università, centri di ricerca, istituzioni, infrastrutture di supporto, etc.): organizzazione
attualmente più aperta, pronta a raccogliere stimoli e risultati della ricerca per
tradurli nella propria attività operativa.
Nella definizione ed attuazione di tali sistemi organizzativi il Governo
ha un ruolo centrale, potendo favorire ed accelerare la capacità d’innovazione
delle Forze dell’Ordine attraverso strumenti quali il PON Sicurezza che agiscono direttamente sul sistema formativo, sul sistema della ricerca applicata, delle
politiche tecnologiche, ma anche, in un’ottica interdisciplinare tesa a modellare
le nuove regole di operatività.
2.L’intelligence nel settore ambientale
Le caratteristiche di trasversalità e sistemicità ascrivibili alla tematica ambientale, alla luce di quanto affermato nel precedente paragrafo, rendono ancora
più interessante l’applicazione di tecnologie di intelligence arricchite dal contributo multidisciplinare di tutte le realtà appartenenti al mondo produttivo pubblico e privato - come Enti Locali, Aziende, Organizzazioni, Centri di Ricerca, Università ed al controllo Forze dell’Ordine, Agenzie per l’ambiente, imprese, etc.
Le attività di controllo evidenziano uno strettissimo rapporto strategico
tra i rischi ambientali e conseguenti minacce per la salute e tecnologie di protezione. In questo contesto, in cui ogni realtà pubblica e privata è parte integrante
di un network nel quale è elevatissimo il grado di interdipendenza, l’unico modo
320
V.F. Uricchio
per far fronte al rischio consiste nella condivisione di dati, conoscenze ed esperienze da parte di chi è chiamato a garantire la sicurezza.
In tale direzione, l’innovazione tecnologica può offrire numerose soluzioni tecnologiche in grado di agevolare ed orientare le attività d’intelligence
attraverso una vasta gamma di dispositivi elettronici di rilevazione e di metodologie d’indagine basate sulla lettura integrata dei dati e delle informazioni
disponibili.
Il settore del controllo ambientale, proprio per le sue caratteristiche di globalità innanzi richiamate, rappresenta un ottimo laboratorio in cui sperimentare
approcci sempre più innovativi in grado di apportare un concreto contributo alle
istituzioni comunitarie, nazionali e regionali preposte alla tutela dell’ambiente ed
allo sviluppo di politiche orientate al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità.
Infatti, il settore delle tecnologie per il controllo dell’ambiente è in forte evoluzione, sia qualitativa che quantitativa, per differenti e vari motivi, riconducibili però ad un unico aspetto di fondo: la consapevolezza che le problematiche
connesse alla tutela del territorio ed al miglioramento delle condizioni ambientali, possono essere affrontate utilizzando efficacemente sinergie che da un lato
possano beneficiare dei risultati delle ricerche e delle sperimentazioni e dall’altro della operatività in termini di competenze e dotazioni di differenti organismi.
L’innovazione tecnologica, organizzativa e gestionale per il controllo e
la tutela dell’ambiente, ha come presupposto il trasferimento dei risultati della
stessa innovazione al territorio e tale circostanza diviene realizzabile solo se
maturano processi di integrazione e di convergenza tra gli enti di ricerca pubblica e le istituzioni preposte al controllo ambientale.
Tra gli strumenti applicabili al contesto ambientale, in grado di sostenere
la gestione organizzata delle informazioni grafiche ed alfanumeriche, sicuramente i Geographic Information System (GIS), assumono una rilevante importanza. Il settore dei GIS è relativamente nuovo ed in rapida espansione e sviluppo: negli ultimi 40 anni ha subito una rapidissima crescita ed evoluzione che ha
coinvolto gli aspetti teorici, tecnologici e organizzativi, culminando negli ultimi
10 anni che hanno visto l’esplosione degli interessi della comunità scientifica
nel settore.
L’utilizzo dei GIS e dei DSS (Decision Support System) si è via via sviluppato grazie a motivazioni di carattere:
-
scientifico: legate allo sviluppo di numerose applicazioni da parte del
mondo della ricerca accademica e privata in numerosi settori applicativi;
-
tecnologico: grazie al sempre più diffuso utilizzo di computer sempre più
Le nuove frontiere della tecnologia
-
321
potenti a costi accessibili ed allo sviluppo delle “autostrade telematiche”;
sociale: per la necessità di condividere l’informazione e di promuovere la
partecipazione popolare ai processi decisionali.
Sul versante scientifico, l’innovazione sta producendo importanti risultati
nel campo dei GIS e dei DSS che attualmente riguardano i seguenti aspetti:
-
Modelli cognitivi dello spazio geografico: le teorie ed i modelli nella
cognizione umana sono strettamente correlati con il pensiero, la cultura, la
formazione, le esperienze di ciascun individuo. La formalizzazione di tali
aspetti “culturali” nei GIS, consente di riprodurre e ripercorrere i ragionamenti umani, con la possibilità di considerare un numero estremamente
più ampio di dati georeferenziati ed informazioni alfanumeriche con i rigori delle regole precedentemente strutturate.
-
Implementazione computazionale dei concetti geografici mirata al superamento dei constraints imposti dalla geometria Euclidea e dalla fisica Newtoniana relativi alla necessità di georeferenziare le informazioni
contenute nei data base per poter essere fruibili da GIS, consentendo di
poter considerare aspetti fenomenologici non strettamente legati al territorio che tuttavia possono avere delle implicazioni più o meno dirette sul
territorio medesimo.
-
Approfondimento delle basi teoriche della predittività, attraverso
l’analisi più intrinseca delle fattispecie che hanno condotto alla configurazione del reato, la ricostruzione del relativo modello e la interpolazione,
ai fini predittivi, di cosa e quando potrà manifestarsi. Tali strumenti, in
aggiunta, consento anche di poter valutare i possibili impatti, che una determinata azione, sia criminale che lecita, possa esercitare sull’ambiente e
sulle sue componenti.
-
Incremento dell’oggettività dei processi decisionali anche legati alle scelte da intraprendere per poter svolgere un’indagine, per condurre
un’azione di monitoraggio ambientale, per concentrare maggiori risorse
informative su particolari indizi e per promuovere l’ottimizzazione delle
decisioni anche in condizioni di carenza di dati e di incertezze conoscitive.
-
Implementazione di metodologie per incrementare l’autoapprendimento dei Sistemi Informatici integrati allo scopo di allineare le logiche d’indagine alle logiche poste in essere dalla stessa organizzazione
criminosa. I sistemi di autoapprendimento consentono di superare i più
sofisticati meccanismi di modellazione di strutturazione delle informazio-
322
-
-
V.F. Uricchio
ni e delle regole, attraverso la semplice acquisizione dei risultati (ad es.
di indagine) ottenuti con esito positivo e la determinazione indiretta dei
relativi algoritmi.
Formalizzazione dei modelli cognitivi: le teorie ed i modelli nella cognizione umana sono strettamente correlati con il pensiero, la cultura, la
formazione, le esperienze di ciascun individuo. La matematica e l’informatica offrono differenti metodi per formalizzare la conoscenza quali relazioni algebriche, linguaggi funzionali, etc. Le ultime innovazioni consentono la formalizzazione dei cosiddetti “dati semantici” incasellandoli
in data base. Infatti, i data base evoluti oltre a contenere dati grafici ed
alfanumerici possono includere inferenze, algoritmi, modelli computazionali e programmi che possono essere richiamati ed applicati per specifiche
funzioni.
Promozione di una sempre più ampia integrazione tra strumenti,
modelli di dati, modelli computazionali, operatori logici, etc. utilizzati
nella gestione del territorio e dell’ambiente e dei fenomeni che con essi
interagiscono. In considerazione dei numerosissimi strumenti informatici
implementati a livello internazionale, nazionale e regionale, l’aspetto della lettura integrata delle informazioni in essi presenti assume sempre un
maggior rilievo, per cui nel seguito del presente capitolo saranno descritti
sia alcuni dei principali strumenti informativi attivati in Italia ed in Puglia
che gli approcci metodologici utilizzabili per l’estrazione delle relazioni
non banali.
Tali strumenti ed innovazioni, finalizzate al supporto scientifico alla decisione razionale (decision making), mirano ad una vasta diversificazione delle
applicazioni che comprendono, oltre al settore della sicurezza e dell’ambiente,
il settore della gestione del territorio, dell’agricoltura, dell’economia della matematica, della geografia, etc.
L’attuale scommessa è quella mettere a punto metodologie in grado di restituire all’interno di un sistema di supporto alle Decisioni anche l’osservazione
non formalizzata legata agli aspetti sociali, psicologici ed emozionali, culturali,
criminologici, economici, estetici, etc.
Si tratta di un ambito di straordinaria rilevanza scientifica, che merita di
essere introdotto con il massimo rigore, in strumenti computazionali al fine di
conseguire gli ambiziosi obiettivi della più articolata Intelligenza Artificiale.
Le nuove frontiere della tecnologia
3.
323
Gli scenari dell’innovazione nell’intelligence ed i sistemi informativi nazionali e regionali
La rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ed i servizi ad essi connessi continuano a svilupparsi con cinetiche
estremamente rapide, accentuando le potenzialità di integrazione. La curva
iperbolica di crescita di tali tecnologie, lascia intravedere scenari sempre più
interessanti con sistemi più potenti ed universali. L’estrapolazione dei trend di
crescita registrati negli ultimi anni consentono di effettuare proiezioni che per i
prossimi quattro anni prevedono scenari di straordinario sviluppo dell’utilizzo
della rete e della conseguente gestione digitale dell’informazione:
• 10 volte gli utenti connessi alla rete;
• 100 volte la velocità delle reti;
• 1.000 volte i dispositivi connessi in rete;
• 1.000.000 volte il numero delle transazioni in rete.
Entrambe le tecnologie dell’informazione e della comunicazione continuano con determinazione nel loro rapido sviluppo tecnico scientifico e del
rapporto prezzo prestazioni e proseguirà anche la tendenza alla convergenza. Il
fenomeno della convergenza accoppiato alla progressiva riduzione dei prezzi
continuerà a far cadere le barriere a nuove applicazioni fino a poco tempo fa
economicamente improponibili.
Negli ultimi anni le tecnologie di telecomunicazione hanno subito importantissime innovazioni, che hanno portato all’aumento della capacità trasmissiva delle reti, sia fisse che mobili.
In particolare per quanto concerne le reti fisse si è affermata la banda
larga, intesa come ambiente tecnologico che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività. In termini di tecnologie, la banda
larga si svilupperà ulteriormente grazie ai processi d’innovazione concernenti
la compressione del segnale, l’impiego diffuso delle fibre ottiche, l’uso dei
satelliti, il wireless e gli sviluppi in ambito utilities come ad esempio le powerline (onde convogliate in grado di utilizzare le trasmissioni di voce o dati
utilizzando la rete di alimentazione elettrica, anche per le intercettazioni ambientali).
Per quanto riguarda le infrastrutture di telecomunicazione mobile, l’incremento della capacità trasmissiva resa disponibile dalle tecnologie di terza generazione, consente l’accesso a servizi multimediali quali la video-conferenza,
324
V.F. Uricchio
chiamate audio e video, direttamente dai terminali mobili, consentendo anche
l’integrazione con i sistemi di posizionamento legati alle celle o ai GPS (Global
Positioning System) che garantiscono servizi di “localizzazione”.
Sul versante delle tecnologie dell’informazione i microprocessori continuano, con un ritmo ormai consolidato, al raddoppio di prestazioni a parità di
prezzo ogni 12-18 mesi e, sviluppi analoghi, si registrano per le tecnologie di
memorizzazione.
Le nuove tecnologie innovative “oltre il silicio” sono già prossime ai mercati e tra esse spicca l’impiego della “grafene” derivante dalla grafite e definibile come il corrispettivo “bidimensionale” della stessa grafite. L’impiego di
questo nuovo materiale al posto del silicio, consente di raggiungere gradi di
miniaturizzazione fino ad ora impensabili.
Si pensi che la grafene è ottenuta artificialmente dalla grafite attraverso la
separazione di strati dello spessore di appena un atomo. Grazie alla grafene è
stato quindi possibile realizzare un transistor dello spessore di un atomo e della
larghezza di poco inferiore a quella di 50 atomi.
Un transistor di dimensioni così ridotte richiede, inoltre, un basso impiego
energetico per il suo funzionamento, caratteristica che permette di produrre chip
a bassissimo consumo.
Le applicazioni nanotecnologiche ed in particolare nanoelettroniche (ossia applicate all’information and comunication technology), consentono da un
lato la “gestione intelligente” di qualsiasi periferica dal sensore utilizzabile nel
monitoraggio ambientale alla microspia e dall’altro il potenziamento delle capacità elaborative dei computer per cui diviene possibile interconnettere numeri
sempre più elevati di processori in parallelo.
Ma le innovazioni più significative per l’utilizzatore consistono nei nuovi
“modelli di computing” che sono alla base della gestione realmente integrata
delle informazioni.
La concreta applicazione dei modelli di computing e delle metodologie
di data mining e di text data mining, richiede tuttavia la disponibilità del più
ampio numero di dati digitali ed il Governo italiano è fortemente impegnato in
tale direzione, favorendo il più ampio utilizzo delle nuove tecnologie ICT sia
nel pubblico che nel privato, dalle grandi banche dati all’invio telematico delle
dichiarazioni dei redditi.
È evidente per il raggiungimento di questo obiettivo:
• l’importanza di un piano coordinato per il perseguimento delle finalità
Le nuove frontiere della tecnologia
•
•
•
325
della Società dell’Informazione, fortemente integrato rispetto agli obiettivi di sicurezza nazionale ed internazionale;
la necessità di misurare il raggiungimento degli obiettivi con strumenti
formalizzati e gestiti di monitoraggio;
il coordinamento e l’indirizzo delle risorse finanziarie con la gestione diretta di risorse per interventi mirati;
il coinvolgimento di tutte le Amministrazioni basato su un modello di
collaborazione operativa grazie a diverse figure chiave nelle diverse organizzazioni.
In questo quadro le Regioni sono oggi riconosciute, a partire dalle istituzioni comunitarie, come articolazioni del sistema europeo e nazionale, in cui
matura la costruzione della Società dell’Informazione, il contesto in cui prende
corpo un meccanismo di attuazione sostenibile. Infatti, il livello regionale ha
la scala minima sufficiente per generare effetti sensibili su scala globale ed al
tempo stesso, la Regione opera sotto quella soglia di complessità che la rende
più agevolmente governabile. Tuttavia, pur considerando l’importanza assolutamente strategica delle Regioni nella governance e nella gestione delle informazioni, allo scopo di garantire la disponibilità di informazioni omogenee e più facilmente interpretabili in maniera integrata è stata promossa la realizzazione di
numerose banche dati che fanno riferimento ad Istituzioni centrali dello Stato.
4.Le principali banche dati gestite dalle Istituzioni centrali dello Stato
La necessità di gestione coordinata delle informazioni, nelle more del potenziamento dei sistemi di lettura integrata, sono state spesso superate attraverso gestioni dirette operate da Ministeri e da Amministrazioni centrali. La forte
spinta verso la digitalizzazione delle informazioni è evidente dalla elencazione
sintetica dei principali sistemi informatici ed archivi digitali promossi dallo Stato e di seguito riportati:
•
Rete internazionale fonia-dati-immagini che passa attraverso la realizzazione di una rete di comunicazione tra la Farnesina, le rappresentanze diplomatiche estere (circa 220), il Ministero delle Comunicazioni, il Ministero
dell’Interno, razionalizzando l’intero settore del collegamento tra Amministrazioni nazionali ed internazionali. Tale rete è anche utilizzabile per la gestione anagrafica dei residenti all’estero e per il voto telematico degli stessi.
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V.F. Uricchio
Il sistema informativo a sostegno del made in Italy consistente in banche dati presso diverse Amministrazioni a supporto dell’industria italiana
all’estero ed estremamente utile per il controllo dei flussi di materie prime, semilavorati e prodotti finiti.
Il Sistema Informativo Nazionale Ambientale (SINAnet), che attraverso un insieme di servizi on line, consente la fruizione integrata del patrimonio informativo cartografico ed alfanumerico in tema di ambiente, territorio ed assetto idrogeologico. Altri obiettivi riguardano principalmente
l’informatizzazione di uffici ancora non automatizzati (banca dati delle
concessioni di derivazione d’acqua, di elettrodotti e di opere idrauliche,
monitoraggio degli interventi di difesa del suolo). Il programma avviato
nel 1988 dal Ministero dell’Ambiente si è progressivamente esteso grazie
all’importante opera dell’APAT del sistema delle Agenzie regionali (ARPA), delle Regioni e delle Province autonome e delle Istituzioni Principali di Riferimento (IPR), tra cui il CNR-IRSA, centri di eccellenza che
possono contribuire a livello nazionale alla formazione delle regole e alla
alimentazione della base conoscitiva ambientale. Parte delle informazioni
del SINAnet confluiscono nella rete europea Environment Information
and Observation Network (EIOnet) dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA), che si basa sulla connessione di nodi specializzati per ambiti
territoriali (NFP – National Focal Point), per tematiche ambientali (ETC
– European Topic Centre), e per competenze specifiche (MCE – Main
Component Element).
Il Sistema Informativo per la Tutela dell’Ambiente (SITA) gestito dal
Comando Tutela Ambiente dei Carabinieri con la collaborazione di tutte
le Forze dell’Ordine, del Sistema delle Agenzie e degli Enti Locali, con
l’obiettivo di potenziare le capacità di prevenzione e contrasto al crimine
nei settori dello smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, dell’inquinamento idrico ed atmosferico, dell’abusivismo edilizio e dei danni al patrimonio ecologico e archeologico. Il progetto utilizza gli strumenti di elaborazione e gestione di immagini iperspettrali (MIVIS) per l’acquisizione di
dati ambientali originali e per il sostegno efficace alle attività operative. Il
campo di applicazione del sistema è attualmente limitato al territorio del
Mezzogiorno d’Italia, includendo solo le regioni comprese nell’Obiettivo
1 del P.O.N. Sicurezza 2000-2006, che ne ha finanziato la realizzazione.
Il Sistema di Indagine (SDI) del Ministero dell’Interno, istituito nel
2001 in seno al Dipartimento della Pubblica Sicurezza, è gestito in mo-
Le nuove frontiere della tecnologia
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daltià interforze da personale altamente specializzato proveniente dalle
cinque Forze di polizia dello Stato (Polizia, Carabinieri, Finanza, Forestale e Penitenziaria) ed ha sostituito il precedente Centro Elaborazione Dati, che forniva il supporto informatico per l’attività operativa delle Forze
di Polizia e assicurava la classificazione, l’analisi e la valutazione delle
informazioni e dei dati significativi sia per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, che per la prevenzione e la repressione dei reati. Il sistema consente è integrato con altre banche dati esterne (ad es. Infocamere,
ACI - Pubblico Registro Automobilistico, Motorizzazione civile, INPS,
ENEL, Telecom) e permette di accedere ad una massa considerevole d’informazioni, tanto che l’utente, assistito da strumenti di ricerca particolarmente sofisticati, può accedere a ricerche singole ma anche a ricerche
integrate. Il nuovo SDI accede a risorse distribuite, consentendo di conoscere in tempo reale controlli incrociati su persone fisiche e giuridiche.
Sul piano della profilazione degli accessi, l’implementazione, l’accesso e
la consultazione è riservata esclusivamente a differenti livelli di personale, adeguatamente addestrato e munito di apposita smart card, proveniente
dalle strutture centrali e territoriali della Polizia di Stato, dell’Arma dei
Carabinieri, della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale dello Stato e
della Polizia Penitenziaria.
Rete di monitoraggio dei livelli di campo elettromagnetico: il progetto
prevede la progressiva realizzazione di una rete di centraline automatiche
che rivelano i livelli di campo elettromagnetico degli impianti presenti
sul territorio nazionale, al fine di verificare che detti livelli non superino i
limiti stabiliti dalle normative vigenti. I dati saranno messi a disposizione
dei cittadini, in funzione degli obiettivi di trasparenza della P.A. e saranno
consultabili anche tramite Internet.
Archivio del patrimonio culturale contenente dati inventariali per oltre
50 milioni di beni, con dati di catalogazione ed immagini digitali (fotografie e filmati). I beni inventariati, catalogati e digitalizzati, organizzati
come beni artistici, librari e archivistici, potranno anche essere resi fruibili
attraverso un portale multilingue in grado di interessare una platea mondiale di circa due miliardi di persone attraverso musei virtuali, mediateche, visite virtuali dei luoghi della cultura, etc..
Automazione servizi gestionali dell’Amministrazione: il sistema si
propone di informatizzare le procedure tecnico/organizzative preposte al
funzionamento della macchina amministrativa, attivando percorsi di con-
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V.F. Uricchio
tabilità economico-patrimoniale ed analitica, di controllo di gestione e di
gestione del personale.
Operatori TLC e gestione numerazione ed elenco telefonico generale consistente in un sistema telematico per la gestione delle richieste di
risorse di numerazione e la verifica del loro utilizzo, la costituzione e il
mantenimento dei numeri portati, la realizzazione di un elenco telefonico
generale a disposizione dell’Autorità giudiziaria.
Logistica e Personale degli Organi Centrali della Difesa e gli Alti Comandi periferici finalizzato a migliorare i processi di gestione del personale e della logistica attraverso un approccio unitario tra le diverse Forze
d’Armata e Forze dell’Ordine, garantendo tutti i livelli decisionali e di
autonomia, per arrivare alla creazione e gestione di Banche Dati unitarie.
Sistema unitario di gestione delle risorse umane della Pubblica Amministrazione che si pone l’obiettivo di rispondere alle necessità conoscitive in materia di Gestione delle risorse umane, nel più generale contesto
di realizzazione del Sistema Unitario di Amministrazione e Gestione del
Personale.
Informatizzazione del Tesoro allo scopo di monitorare la spesa pubblica
anche ai fini dell’eProcurement, del controllo sugli impegni e mandati di
pagamento e del supporto alle decisioni in tema di finanza pubblica.
Informatizzazione dell’Amministrazione finanziaria ed Anagrafe Tributaria ai fini del contrasto all’evasione fiscale ed in tema di adempimenti doganali, nonché per l’introduzione di modalità telematiche per lo
svolgimento dei processi tributari. Il sistema consente di fornire servizi
di base, di accesso alle informazioni dell’Agenzia delle Entrate per particolari adempimenti degli Enti Locali, delle imprese e dei cittadini. Altri
interventi riguardano ulteriori servizi a cittadini e imprese, per lo sviluppo di soluzioni cooperative tra Amministrazioni diverse (servizi integrati
alle imprese e agli Enti Locali) ed interventi infrastrutturali. L’anagrafe
tributaria è la banca dati istituita presso il Ministero dell’economia e delle
finanze, gestita dalla Società Generale d’Informatica, alimentata e consultata dal personale appartenente alle tre Agenzie fiscali (Entrate, Dogane e
Demanio), dalla Guardia di finanza e dal Servizio Consultivo e Ispettivo
Tributario (SECIT). In essa vengono raccolte e archiviate tutte le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche, le dichiarazioni IVA, le dichiarazioni dei sostituti d’imposta, i codici fiscali, le partite IVA, gli atti e le operazioni inerenti il registro dei beni immobili e dei
Le nuove frontiere della tecnologia
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beni mobili da registrare, il catasto, gli accertamenti eseguiti, le verifiche
effettuate, le sanzioni comminate, i ricorsi alle Commissioni tributarie e
le relative sentenze. Attualmente, l’anagrafe tributaria, per la mole dei dati
trattati e le informazioni contenute, rappresenta la più grande banca dati
attiva in Italia. Per quanto sopra si è accennato con riferimento al carattere di criminalità di impresa che spesso assume la criminalità in materia
ambientale, e nel settore dei rifiuti in particolare, i dati di natura fiscale e
tutte le operazioni tributarie possono fornire agli investigatori notizie importanti e informazioni utili ai fini di un completo identikit delle persone
fisiche e giuridiche operanti in questo settore.
Gestione delle informazioni fiscali per il territorio: l’Agenzia del Territorio rende disponibili in rete dati relativi agli immobili, ai trasferimenti
immobiliari, alle ipoteche, gestiti nelle banche dati catastali e ipotecarie,
con l’obiettivo di arrivare al 95% di visure catastali e ipotecarie effettuate
on line. Altri servizi riguardano l’estensione della trasmissione telematica
a tutti gli atti immobiliari, per eseguire con un unico adempimento registrazioni, trascrizioni e volture, nonché l’integrazione tra dati catastali e
procedure dei Comuni per la gestione dell’ICI.
Gestione dei conti consuntivi locali per la verifica dei conti consuntivi
degli Enti Locali via telematica da parte della Corte dei Conti, al fine di
consultare le necessarie notizie sulla finanza locale per le verifiche di rito
e per il controllo sulla gestione.
Il Sistema informativo delle Camere di Commercio, gestisce le numerose anagrafi pubbliche a carattere economico-amministrativo, tra cui il
Registro delle Imprese, ove sono tenute ad iscriversi, tutte le imprese operanti sul territorio italiano e la banca dati EcoMud che gestisce le informazioni relative ai MUD, Modello Unico di Dichiarazione ambientale,
realizzata da InfoCamere con la collaborazione di Ecocerved (Società per
l’ambiente delle Camere di Commercio). La grande potenzialità di questo
strumento è quella di consentire di seguire il percorso del rifiuto dalla sua
produzione fino al suo smaltimento o recupero, individuando anche eventuali intermediari.
Controllo dei flussi di merci in porti e aeroporti ed il sistema informativo doganale (AIDA): il sistema, gestito dall’Agenzia delle Dogane,
si inserisce nella catena logistica del trasporto, integrandosi con i servizi
telematici offerti dagli enti gestori dei servizi portuali ed aeroportuali per
migliorare l’efficienza dei controlli e la fluidità degli scambi commer-
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V.F. Uricchio
ciali. Assicura servizi standardizzati e integrati, agevolando gli scambi,
riducendo i costi, promuovendo la competitività dei porti/aeroporti italiani, attirando nuove correnti di traffico e contrastando le frodi. Il Nuovo Sistema Informativo Doganale (AIDA) è stato sviluppato utilizzando
utilizza la telematizzazione degli scambi di documenti e di informazioni
con l’utenza esterna, l’integrazione delle basi informative per una reattiva
analisi dei rischi (i reati constatati alimentano dinamicamente il sistema
di attribuzione delle classi di rischio attraverso funzioni di autoapprendimento), l’inserimento della dogana nella catena logistica del trasporto,
l’integrazione dei servizi telematici della dogana con i servizi telematici
degli enti portuali ed aeroportuali, l’interoperabilità della dogana con gli
enti coinvolti nello sdoganamento per la realizzazione di uno sportello
unico. Il sistema gestisce ogni anno oltre 10 milioni di dichiarazioni e solo
il 4 per cento delle dichiarazioni continua ad essere presentato su carta.
Tra i dati disponibili vi sono la qualità e la quantità delle merci, il valore,
la modalità di trasporto, i paesi di provenienza e di destinazione, sono poi
utilizzati anche ai fini del monitoraggio e dell’analisi dei flussi commerciali e trasmessi, on line, agli altri enti interessati quali l’Istituto Nazionale
di Statistica o la Ragioneria Generale.
Informatizzazione dei dati Giudiziari ai fini della gestione telematica
nello svolgimento dei procedimenti giudiziari civili e penali, allo scopo
di monitorare le dinamiche processuali, consentire la consultazione telematica dello stato delle cause, dei registri di cancelleria, del fascicolo elettronico e della giurisprudenza di merito, permettendo l’accesso via web per
il deposito di atti e la richiesta di copie. Tale azione di digitalizzazione, oltre ai vantaggi legati all’efficientamento del sistema processuale, consente
la lettura integrata delle informazioni per la realizzazione di sistemi cooperanti per il lotta alla criminalità (contrasto alla criminalità organizzata,
sistemi antimafia, evoluzione dei sistemi di casellario e cassazione, etc.).
Automazione delle fasi del processo penale e collegamento telematico
di Procure e Forze dell’ordine ai fini dell’acquisizione delle notizie di
reato, attraverso: a) la creazione del fascicolo digitale e di strumenti per
la creazione assistita degli atti; b) la reingegnerizzazione dei sistemi in
dotazione presso i centri di intercettazione telefonica delle Procure; c) la
creazione di un sistema di supporto alla gestione degli atti del dibattimento penale attraverso un sistema di archiviazione digitale multimediale; d)
la realizzazione e diffusione di un sistema di archiviazione digitale delle
Le nuove frontiere della tecnologia
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331
sentenze; e) la creazione di un collegamento con la banca dati delle impronte digitali del Ministero dell’Interno per l’identificazione certa dei
soggetti che commettono reati contro la persona, il patrimonio ed ogni
proprietà in genere; f) la realizzazione di un sistema integrato dell’area
penale (Sistema Informativo delle Procure Generali, dell’Esecuzione e
della Sorveglianza) volto alla condivisione del patrimonio informativo
digitale e non cartaceo; g) aggiornamento in tempo reale del Casellario attraverso l’automatica alimentazione del sistema dai registri informatizzati
e la creazione della banca dati nazionale dei carichi pendenti.
Banche dati di sostegno all’attività investigativa ed il sistema informativo della Direzione Nazionale Antimafia e delle Direzioni Distrettuali Antimafia (SIDDA/SIDNA) sono finalizzate a migliorare la
disponibilità di informazioni sull’attività investigativa antimafia sul territorio di competenza delle DDA, migliorando la raccolta centralizzata
ed il coordinamento dell’azione investigativa da parte della DNA ed ottimizzando il processo di acquisizione e organizzazione delle informazioni
investigative condivise. Tali strumenti sono volti ad assicurare maggiore
incisività nella lotta alla criminalità organizzata attraverso la disponibilità
d’informazioni strumentali all’azione investigativa, quali l’alimentazione
automatica della banca dati della Direzione Nazionale Antimafia dal sistema dei registri generali, la creazione della banca dati dei beni confiscati,
la creazione della banca dati delle misure cautelari personali. Il sistema
SIDDA/SIDNA risponde all’esigenza di sviluppare, attraverso l’analisi
delle progressioni investigative ottenute nei singoli procedimenti penali,
una aderente e più ampia azione di contrasto, capillare e simultanea, alle
attività dei gruppi di criminalità organizzata nel panorama nazionale.
La base dati nazionale TATTICA, deriva dalla fusione delle informazioni provenienti da ciascuna delle banche dati distrettuali e serve alle
singole DDA per avere una conoscenza complessiva delle informazioni
emerse dalle indagini in corso su tutto il territorio nazionale, nonché per
la pianificazione e coordinamento delle attività di indagine in materia di
criminalità organizzata.
La base dati nazionale STRATEGICA, consente la lettura integrata dei
dati investigativi e giudiziari con altre informazioni di varia natura, per
effettuare valutazioni di carattere più complessivo dei fenomeni criminali.
Tra le banche dati esterne a cui è collegata la base dati nazionale strategica
ci sono, fra le altre: il Casellario Giudiziale, l’Anagrafe Tributaria, l’IN-
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V.F. Uricchio
PS, l’ACI e la Motorizzazione Civile, l’Agenzia delle Entrate, l’Autorità
di Vigilanza sugli Appalti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Gestione del Sistema di Radiolocalizzazione satellitare dei Trasporti
marittimi ed aerei attraverso la realizzazione del progetto NISAT (Navigation Information Sistem in Advanced Technology,) del VTS (Vessel
Traffic Service) e della Banca Dati del Naviglio. Questi sistemi, permettono già l’erogazione di servizi fondamentali per la sicurezza della navigazione, con importanti ricadute economiche in termini di prevenzione degli
incidenti. Sviluppo di importanti servizi all’utenza nel settore fiscale e
della gestione amministrativa del naviglio, riduzione dei tempi delle operazioni portuali, razionalizzazione della logistica del trasporto nella fase
del passaggio intermodale dal trasporto marittimo a quello terrestre, con
ulteriori incrementi previsti per il traffico marittimo.
Gestione del Sistema di Radiolocalizzazione satellitare dei Trasporti
terrestri che, attraverso sistemi di Logistica Evoluta, consentirà la gestione automatizzata dei flussi di traffico, anche grazie a servizi di infomobilità, tracking delle merci a terra (indipendentemente dal vettore utilizzato),
nonché la possibilità, per le autorità competenti, di indirizzare e governare
i flussi di traffico e gli interventi infrastrutturali.
Automazione dello Stato Civile si basa sull’integrazione degli archivi
gestiti dalle Amministrazioni Comunali in cooperazione con il Ministero
degli Affari Esteri (gestione automatizzata dell’anagrafe dei cittadini italiani in Italia ed all’estero e degli immigrati, creazione del sistema integrato degli Uffici Territoriali del Governo - UTG).
Sistema Informativo della Montagna (SIM) che assicura ai territori
montani adeguati livelli di erogazione dei servizi pubblici, come facilità
di accesso ai dati territoriali. I servizi del SIM vengono erogati attraverso
Intranet, Internet e “sportelli sul territorio”, allocati presso le comunità
montane, le Regioni, il Corpo Forestale dello Stato, etc. Il Sistema Informativo della Montagna che costituisce un’articolata banca dati contenete
numerose informazioni di carattere ambientale, territoriale e legale, è a
sua volta, interconnesso con varie banche dati pubbliche (Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Unione Nazionale Comunità e Comuni Montani,
Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, Catasto, Meteomont, Inventario Forestale, CITES (Convention on International Tra-
Le nuove frontiere della tecnologia
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de in Endangered Species of wild Fauna and Flora), SITA del Ministero
dell’Ambiente, Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Istituto Nazionale di Statistica) ed è, peraltro, collegato con tutte le Comunità montane,
tutti gli Enti Parchi Nazionali, diversi Enti parchi regionali, alcune Università statali, decine di Enti di ricerca e di sperimentazione.
Banca dati dei livelli di assistenza e di spesa sanitaria finalizzata ad effettuare analisi mirate dei dati sulla spesa e sui servizi sanitari, da parte dei
diversi livelli di governo (nazionale, regionale, aziendale) al fine di permetterne un monitoraggio continuo. Tali informazioni sono strettamente collegate ai dati sulla salute, particolarmente utili sul piano epidemiologico.
Osservatorio sul mondo del lavoro contenente informazioni sul mondo
del lavoro, utili anche sul piano statistico, allo scopo di comprendere le dinamiche occupazionali ed economiche attive sul territorio e di incrociare
domanda ed offerta lavorativa.
Banche dati previdenziali e contributive contenenti dati storici delle
Amministrazioni pubbliche, delle imprese e dei cittadini.
Banche dati ISTAT contenenti informazioni di varia natura (demografica, economica, sociale, del mondo del lavoro, dell’istruzione, etc.) disponibili attraverso il Portale SISTAN che a sua volta contiene i dati previsti
dal Piano Statistico Nazionale (secondo quanto previsto dal decreto legislativo 322/1989 e successive integrazioni con circa 1000 progetti di rilevazione distribuiti tra i diversi soggetti che costituiscono la rete di raccolta
a livello di P.A. Centrale, regionale e Locale) e dal Portale ISTAT.
5.Le principali banche a valenza ambientale della Regione Puglia
Le numerose risorse informative, implementate dalla Regione Puglia direttamente o attraverso specifiche collaborazioni con Università ed Istituti di
Ricerca e recentemente riorganizzate ed allineate in un unico Sistema Informativo Pugliese per l’Ambiente (SIPA), consentono la lettura integrata delle
informazioni ambientali ai fini dell’analisi dei fenomeni e delle dinamiche che
interessano le differenti componenti ambientali.
La strutturazione della base di conoscenza del SIPA è stata realizzata attraverso la realizzazione dei moduli di interfacciamento dei data source esistenti
e l’implementazione di moduli di gestione delle componenti informative oggetto di nuova informatizzazione allo scopo di costituire un repository unico.
334
V.F. Uricchio
La rappresentazione dello stato delle componenti ambientali e dei fenomeni che le interessano, è stata realizzata attraverso un ampio sistema di indicatori in grado di sintetizzare, in un numero, l’informazione ad esso associata.
Il processo di strutturazione dell’informazione ambientale, che trova nel
SIPA un importantissimo momento di sintesi e di magnificazione, in Puglia è
avvenuta per stati successivi attraverso la realizzazione di Banche dati e Sistemi
Informativi Territoriali che hanno mirato all’approfondimento di singoli aspetti
tematici; tra essi possiamo citare:
•
Banca dati tossicologica del suolo e dei prodotti derivati che consente
di rendere immediatamente disponibili e facilmente consultabili informazioni riguardanti le principali caratteristiche ambientali della Regione, lo
stato di inquinamento del suolo pugliese, le schede tossicologiche relative
ai principali inquinanti, nonché le tecniche da utilizzare per la bonifica dei
suoli interessati da inquinamento puntuale (industriale) e diffuso (agricolo). La Banca Dati ha l’obiettivo di supportare le seguenti funzioni di
gestione delle emergenze in caso di rischio d’inquinamento consentendo
l’estrazione d’informazioni sia grafiche che alfanumeriche che possono
essere di supporto alla decisione delle azioni da intraprendere in ordine alla valutazione dei rischi per la salute. Nell’ambito di tale attività è
stata implementata l’Anagrafe dei siti da bonificare, realizzata ai sensi
dell’art.17 del DM 471/99 ed art.251 del D.Lgs 152/2006. Tale Anagrafe
è attualmente aggiornata attraverso le azioni di controllo svolte nell’ambito dell’Accordo Quadro per la Tutela Ambientale tra Regione Puglia,
Guardia di Finanza, Comando Tutela Ambiente dei Carabinieri, Corpo
Forestale dello Stato, ARPA Puglia e CNR-IRSA.
•
Catasto regionale dei rifiuti, la cui implementazione attualmente è in
fase di start-up, è stato istituito con la legge 475/88 ai fini della “raccolta
in un sistema unitario, articolato su scala regionale di tutti i dati relativi
ai soggetti produttori e smaltitori di rifiuti” e che alimenta su base regionale il Catasto Nazionale rifiuti gestito dall’APAT. La base informativa è
costituita principalmente dai dati provenienti dalle dichiarazioni MUD. A
completamento del quadro sull’intero ciclo dei rifiuti vengono affiancate
altre banche dati contenenti le informazioni relative agli impianti (e relative autorizzazioni) per il recupero, il trattamento e lo smaltimento dei
rifiuti nonché il database dei detentori di PCB ed apparecchi contaminati
da PCB presenti sul territorio regionale. Il Catasto rifiuti in Puglia si interfaccia con: il Catasto Telematico APAT; il SIARPA (Sistema Informativo
Le nuove frontiere della tecnologia
•
•
•
•
•
•
335
Ambientale di ARPA Puglia per la gestione dei dati analitici e dei controlli
effettuati da ARPA); il SIMAGE (Sistema per il Monitoraggio Ambientale e Gestione delle Emergenza attivato presso ARPA Puglia).
Sistema informativo territoriale delle aree naturali protette consistente in un WEB GIS interfacciato ad una base di dati, contenente informazioni relative alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e
della flora e della fauna selvatica, all’interno dei Siti di Interesse Comunitario (SIC) ed alle Zone di Protezione Speciale (ZPS). Ogni area è codificata e georeferenziata e ad essa sono associate una serie di informazioni
alfanumeriche che ne descrivono le principali caratteristiche ambientali,
l’habitat e le principali specie faunistiche e floristiche che la popolano.
Sistema Informativo Territoriale per l’Agricoltura che gestisce un
grande volume di dati pedologici, morfologici, amministrativi e climatici
tutti georeferenziati, consentendo, con la sua capacità di sovrapporre le
carte pedologiche a quelle di uso del suolo ed a quelle climatiche, di effettuare analisi per la zonizzazione del territorio, mettendo in evidenza le
aree a maggiore vocazionalità per ogni coltura, quelle a maggior rischio
pedoclimatico in cui si impongono specifici interventi di pianificazione
territoriale e quelle che richiedono una riconversione colturale.
Portale agrometeorologico, che traendo informazioni da un sistema di
95 stazioni di monitoraggio, da n.75 campi sperimentali e da campagne
di monitoraggio sulle acque ad uso irriguo e sui soli agricoli, fornisce assistenza agli agricoltori sulla scorta di applicazioni modellistiche, tra loro
integrate, per somministrare consigli irrigui, per la concimazione e per i
trattamenti fitosanitari, conseguendo vantaggi competitivi ed al contempo
favorendo la sostenibilità delle produzioni agricole.
Sistema informativo territoriale per il monitoraggio delle acque sotterranee (Tiziano) orientato alla gestione di reti di monitoraggio per il
controllo del patrimonio idrico sotterraneo della regione Puglia per la gestione di una Banca Dati informatizzata dei dati idrogeologici, idrochimici e di qualità delle acque per la gestione integrata delle risorse idriche.
Sistema Difesa Mare (Si.Di.Mar) per il controllo dell’ambiente marinocostiero con l’obiettivo di valutare lo stato di qualità ambientale del mare.
La banca dati del SI.DI.Mar raccoglie i dati provenienti dalle reti di osservazioni regionali sull’ambiente marino.
L’Osservatorio Epidemiologico Regionale (O.E.R.) consente l’aggregazione e l’organizzazione dei dati epidemiologici raccolti nell’ambito
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•
•
V.F. Uricchio
del Sistema Sanitario Regionale, allo scopo di consentire analisi integrate
dello stato di salute dei pugliesi in relazione allo stato di contaminazione ambientale ed al contempo di fornire elementi utili ai fini della programmazione degli interventi di Sanità pubblica in ambito Regionale. Le
attività dell’O.E.R., in particolare, sono orientate all’acquisizione delle informazioni ed alla valutazione dei dati di morbosità e mortalità con
particolare attenzione verso alcune patologie cronico-degenerative ad alta
incidenza regionale, le malattie infettive e trasmissibili e quelle dell’area
materno infantile. Il sistema di reporting dell’O.E.R. è costituito dal modulo RISS-H (Reporting by Intranet Statistical System – Hospital).
Sistema Informativo Territoriale Ambientale Paesaggistico (SITAP)
contiene informazioni sulle principali valenze da tutelare in riferimento ai
beni paesaggistici ed architettonici vincolati dai decreti ai sensi del D.Lgs.
42 del 22 gennaio 2004. Nel corso degli anni il sistema è stato aggiornato
e implementato con nuove basi cartografiche e orto-fotografiche per la
realizzazione di approfondimenti e l’acquisizione di dati più dettagliati
in aree campione, nonché con nuovi strati informativi sulla distribuzione
delle località abitate (centri e nuclei abitati dell’ISTAT), delle aree protette (parchi nazionali e regionali, riserve, siti di interesse comunitario del
Ministero dell’Ambiente) e delle infrastrutture di trasporto (autostrade,
strade statali, provinciali e urbane di Teleatlas).
SIstema INformativo Forestale (SINFO) per la prevenzione degli incendi boschivi e la gestione e pianificazione degli interventi di manutenzione e di gestione del patrimonio boschivo e naturale. Attraverso l’integrazione di dati via satellite e dei dati raccolti sul campo, consente di
ottenere informazioni precise sulle aree boschive, fornendo un modello di
valutazione del rischio d’incendio forestale. Il Sistema consente l’attuazione dei Piani di protezione dagli incendi e permette l’acquisizione, l’archiviazione e l’elaborazione delle schede AIB (Anti Incendio Boschivo),
con perimetrazione delle aree percorse da incendio acquisite sul campo
mediante sistemi GPS.
Dal contesto appena delineato appare la disponibilità di un ampia base di
conoscenza articolata in Sistemi Informativi e Banche Dati, che al loro interno
contengono numerose informazioni ambientali, attualmente rese coerenti ed
omogenee attraverso le attività di implementazione del SIPA. A tali livelli informativi, va aggiunto il patrimonio conoscitivo di dati ed informazioni contenuti
Le nuove frontiere della tecnologia
337
negli archivi cartacei (dati non conformi) e digitalizzati allo scopo di renderli
fruibili anche attraverso l’implementazione di opportuni indicatori.
6.L’esperienza pugliese
La disponibilità di un sistema così ampio ed articolato d’informazioni
ambientali, attualmente in fase di potenziamento grazie al SIPA gestito dall’Assessorato regionale all’Ecologia ed al SIT dell’Assessorato regionale all’Urbanistica, associato all’esperienza maturata dalla Regione Puglia attraverso l’efficace collaborazione con le Forze dell’Ordine, rende possibile il perseguimento
di traguardi sempre più ambiziosi, anche attraverso sperimentazioni e progetti
pilota.
Tali percorsi di sperimentazione sono, in questo momento, in atto nella
regione Puglia: la stessa Regione, gli Enti Locali e le Forze dell’Ordine sono in
grado di esprimere una domanda di ricerca che consente di affrontare in maniera efficace i problemi che nascono dalla complessità dell’organizzazione della
scienza e tecnologia attraverso una sua auto-organizzazione evolutiva che nasce
da concrete esigenze.
L’integrazione tra ricerca pubblica, enti territoriali di governo, forze
dell’ordine e magistratura, consente di superare i vincoli legati alla ovvia parzialità delle professionalità operanti in ciascun ambito, superando i legami cognitivi della esperienza tecnologica, legislativa, giuridica e generando una forza
risultante derivante dalla convergenza di sfere di competenza multidisciplinari.
La ricerca deve essere intesa come un bene comune a servizio delle istituzioni e della popolazione, perseguita in modo disinteressato e che deve seguire
criteri di giudizio e di merito universalistici basati su valori utilitaristici. Specie
con riferimento al settore ambientale, i risultati della ricerca non sono patrimonio esclusivo della comunità scientifica, ma diventano sempre più vincolati dai
diritti di proprietà dei finanziatori della stessa ricerca e quindi della collettività.
In questa direzione, la Regione Puglia è oggi impegnata in un profondo
processo d’innovazione nel settore ambientale, realizzato attraverso ampie collaborazioni con il mondo scientifico ed accademico e con vari attori operanti
nel settore ambientale. Le azioni regionali avviate negli ultimi anni in materia
ambientale sono state valutate per la loro rispondenza agli obiettivi della sostenibilità in termini di riproducibilità, durabilità o sostituibilità delle risorse
ambientali coinvolte, oltre che per la potenzialità di indurre effetti positivi di
338
V.F. Uricchio
sviluppo eco compatibile e per la capacità di promuovere ricerca ed innovazione
per obiettivi di qualità ambientale.
Sul piano esperenziale, un significativo contributo è stato fornito dapprima con l’attività di monitoraggio dei siti inquinanti svolto dalla Regione Puglia con la Guardia di Finanza, ARPA Puglia e CNR-IRSA e poi con l’Accordo
Quadro per la Tutela Ambientale che ha consentito l’allargamento anche ad ulteriori Forze dell’Ordine impegnate sul versante ambientale: Comando Tutela
Ambiente dei Carabinieri e Corpo Forestale dello Stato.
Le principali motivazioni che hanno indotto l’Amministrazione Regionale ad eseguire tale attività di monitoraggio sono riconducibili alla necessità
di adempiere alle prescrizioni dell’art.251 del D.lgs 152/2006, ottenendo un
quadro chiaro ed esaustivo dei livelli di degrado e di contaminazione ambientale
presenti sul territorio regionale, con la finalità di porre in essere interventi volti
al recupero funzionale del territorio, al ripristino ambientale dei siti inquinati ed
al contempo promuovere azioni di deterrenza atti a contrastare comportamenti
non sostenibili e crimini ambientali. Le finalità perseguite con il citato Accordo
di Programma sono:
•acquisire una visione integrale del territorio in relazione allo stato di salute ambientale;
• alimentare con informazioni aggiornate l’Anagrafe dei siti da bonificare,
così come disposto dal comma 1 dell’art.251 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152 “Norme in materia ambientale”;
• censire i siti potenzialmente contaminati ed avviare le procedure per
l’analisi di rischio sito specifica allo scopo di accertare il superamento
delle condizioni di rischio e di porre in essere le necessarie misure tecnico-amministrative;
• individuare le principali “cause di inquinamento” presenti in Puglia e/o
derivanti da attività illecite, allo scopo di eliminare i pericoli per la salute
umana e per l’ambiente;
• ottenere informazioni utili per la definizione delle priorità d’intervento
relative alla caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati;
• attivare sinergie con le Amministrazioni Provinciali e Comunali per velocizzare e promuovere il rapido risanamento specie per le situazioni di
minor rischio (ad es. abbandoni di rifiuti) e per riportare sui certificati di
destinazione urbanistica indicazioni in ordine all’eventuale superamento
delle concentrazioni di rischio;
Le nuove frontiere della tecnologia
339
• applicare, attraverso una attenta ricostruzione dei tributi spettanti, nuove
metodologie di accertamento della c.d. Ecotassa, da parte degli organi accertatori operanti sul territorio Regionale, anche attraverso l’utilizzazione
di tecnologie sviluppate dagli Enti cooperanti in convenzione;
• indurre un effetto deterrente e dissuasivo su comportamenti illeciti e/o
lesivi a danno del patrimonio ambientale nonchè del Bilancio Finanziario
Regionale, nel segno anche della prevenzione;
• analizzare le relazioni che intercorrono tra i fenomeni di abbandono ed il
livello di efficienza dei servizi di gestione dei rifiuti.
Le relative attività, attraverso un coordinamento decisionale ed operativo tra le Istituzioni civili e militari coinvolte, hanno portato ad una programmazione partecipata degli interventi, finalizzata alla realizzazione di un
sistema di monitoraggio di siti potenzialmente inquinati, realizzato attraverso
ricognizioni aeree e terrestri perlustrazioni navali, campionamenti, determinazioni analitiche, valutazione delle condizioni di rischio per la popolazione e
per l’ambiente.
La mobilitazione di potenti mezzi e risorse umane fortemente professionalizzate e operanti in sinergia, ha consentito di ottenere risultati estremamente
significativi sia sul piano numerico che su quello qualitativo, offrendo al contempo, alla magistratura ed alle amministrazioni comunali, dossier completi
composti da rilievi aerei con immagini ed informazioni, analisi chimiche e valutazioni ambientali.
I principali punti di forza relativi al progetto si riferiscono ai seguenti
aspetti:
• l’impianto organizzativo si è avvalso della confluenza di professionalità
con competenze diverse e tra loro complementari (esperti in materia ambientale, militari, ricercatori, etc.);
• l’azione di sostegno esterno e la collaborazione informale dei mezzi di
comunicazione ha assunto un’importanza strategica nel dare risalto alle
operazioni incrementando la percezione del controllo del territorio con
conseguente effetto di deterrenza dei fenomeni criminosi a danno dell’ambiente;
• il forte livello di coordinamento assicurato dalla costituzione di apposite
Cabine di Regia e Comitati di progetto ha permesso decisioni rapide e tecnicamente valide poiché derivanti dagli apporti di tutti i partnes dell’Accordo Quadro;
340
V.F. Uricchio
• l’integrazione delle conoscenze ed il mutuo scambio di esperienze, ha
permesso valutazioni complete sul versante tecnico, scientifico e legale;
• integrazione sul versante tecnologico, reso possibile dall’impiego di dispositivi innovativi installati a bordo dei mezzi utilizzati, accoppiati alla
potenza di calcolo ed ai software implementati dai partners scientifici;
• sussidiarietà delle competenze per la comprensione e l’interpretazione di
fenomeni e di situazioni più complesse.
Sulla scorta dei risultati raggiunti nell’Accordo di Programma Quadro
per la Tutela Ambientale e nei progetti inerenti azioni di controllo e di monitoraggio, che sfruttano i risultati della ricerca applicata e che sono svolti in
collaborazione con istituzioni scientifiche, è immaginabile che in futuro, grazie
alla disponibilità di informazioni strutturate e di esperienze di positive sinergie
interistituzionali, si possano configurare scenari sempre più interessanti per il
perseguimento degli obiettivi di tutela ambientale e per il miglioramento della
qualità della vita.
7.Il Data Warehousing
Le complessità della gestione dei dati ambientali, soprattutto se letti ed
interpretati in un contesto ben più ampio di relazioni e connessioni attinenti
alle dinamiche sociali ed economiche, richiedono sistemi dotati di elevatissima
capacità elaborativa e di memoria ed in grado di sviluppare potenze di calcolo
estremamente elevate dedicate ad eseguire calcoli particolarmente onerosi, come quelli legati all’applicazione di modelli complessi e di data mining.
Il Data Warehouse è un magazzino centrale di grosse quantità di dati di
tipo multidimensionale che contiene dati e finalizzato al supporto alle decisioni.
A tale definizione William H. Inmon, ha aggiunto valore definendo il Data Warehouse come “una raccolta di dati integrata, orientata al soggetto, che varia
nel tempo e non volatile di supporto ai processi decisionali”. In base a tale definizione, l’integrazione dei dati di un DW costituisce il principale presupposto
che lo distingue da ogni altro sistema di supporto alle decisioni e che pertanto è
elemento essenziale per l’applicazione di tecniche di data mining e di text data
mining.
Riprendendo la definizione di William H. Inmon la raccolta di dati si basa,
quindi, su cinque elementi costitutivi:
Le nuove frontiere della tecnologia
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l’integrazione della raccolta dati poiché nel data warehouse possono confluire dati provenienti da più sistemi transazionali e da fonti esterne, attraverso
l’utilizzo di metodi di codifica uniformi, mediante il perseguimento di una
omogeneità semantica di tutte le variabili, mediante l’utilizzo delle stesse
unità di misura o attraverso sistemi in grado di gestire le differenze di codifica;
orientamento al soggetto ed alle sue caratteristiche piuttosto che alle specifiche applicazioni o alle funzioni, pertanto si rende necessario archiviare
i dati e strutturare il DW in modo che essi possano essere facilmente fruiti
o elaborati dagli utenti. Tale logica porta al superamento degli obiettivi di
minimizzazione delle ridondanze e di orientamento alla modellazione dei
dati per il perseguimento della visione multidimensionale degli stessi;
variazione nel tempo consentendo la gestione di dati in orizzonti temporali ben più ampi rispetto a quelli archiviati in un sistema operazionale.
Tale caratteristica consente di cogliere molto più efficacemente le dinamiche evolutive dei fenomeni e costituisce elemento essenziale per l’autoapprendimento del sistema.
non volatililità che indica la non modificabilità dei dati contenuti nel DW
attraverso accessi in sola lettura e/o per la fruizione anche integrata;
supporto alle decisioni consentendo di aumentare l’efficacia dell’analisi
attraverso l’incremento del numero di alternative verificabili e di informazioni da processare, soprattutto sul piano delle “decisioni cognitive”.
Il data warehouse, quindi, segue il processo di acquisizione, trasformazione, elaborazione e distribuzione delle informazioni offrendo un sostegno alla
definizione delle decisioni e divenendo, pertanto, un indispensabile strumento
di supporto alle attività di intelligence.
Da quanto affermato emerge con chiarezza che l’operato del data warehouse si differenzia, in modo sostanziale e rilevante dai tradizionali sistemi informatici che, al contrario, hanno il compito di automatizzare le operazioni di
routine e pertanto il DW tende ad avvicinarsi sempre più alle caratteristiche del
cervello umano.
Sicuramente allo stato attuale della tecnologia elettronica, i raffronti fra
cervello umano e rete neurale artificiale mostrano che vi è ancora una grande
distanza da coprire, anche se le innovazioni innanzi richiamate tendono a comprimere sempre più questi gap.
342
V.F. Uricchio
Per effettuare una comparazione tra cervello e supercalcolatore occorre
considerare che il cervello umano contiene circa 1.011 neuroni e che ogni neurone ha da 1.000 a 10.000 connessioni sinaptiche e, con l’attuale tecnologia
microelettronica, è pensabile che si possa mettere insieme un sistema di circa
295.000 processori (come per IBM Blue Gene/P che è attualmente il più potente
supercalcolatore al mondo).
Tenendo presente che per emulare la funzione di una sinapsi occorrono
almeno un centinaio di processori, si vede che siamo ancora molto lontani dal
raggiungere una complessità paragonabile.
Tuttavia occorre considerare che i neuroni cerebrali sono molto più lenti
dei componenti elettronici attivi: un transistore può commutare in intervalli di
nanosecondi, mentre nei neuroni i processi si svolgono in intervalli di millisecondi. Dunque, sotto questo aspetto, vi sarebbe una differenza di 6 ordini di
grandezza a vantaggio dei componenti elettronici.
Nel cervello i processi computazionali procedono in parallelo e con memoria associativa così come nei supercalcolatori sostenuti da algoritmi associativi.
Il cervello è un sistema di elaborazione non-lineare a parallelismo massiccio, ad alta complessità, che funziona per associazione di idee e può essere simulato, almeno in parte, ricorrendo alle reti neurali artificiali che costituiscono
un paradigma computazionale, ispirato dalle conoscenze delle neuroscienze in
cui la macchina elettronica è vista come “metafora del cervello”.
La realizzazione delle nuove generazioni di calcolatori e dei software utilizzano come “modello” il cervello umano in particolare per le caratteristiche di:
•
flessibililità in quanto si autoadatta ad un nuovo ambiente seguendo un
processo di autoapprendimento, sempre più utilizzato in campo informativo ed elaborativo per la gestione di problemi ad elevata complessità;
•
gestisce l’incertezza ed è efficace anche con informazioni approssimative,
probabilistiche, non ben definite: infatti, piuttosto che con la logica booleana a tutto o niente, la rete neurale che lo simula opera più efficacemente
con la logica fuzzy.
Gli unici compiti in cui il calcolatore digitale supera di gran lunga il cervello umano, sono quelli riconducibili alla sequenza di operazioni matematiche
e modellistiche, anche estremamente importanti per prendere decisioni scientificamente supportate.
Le nuove frontiere della tecnologia
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8.Il Data mining ed i suoi algoritmi a supporto dell’attività investigativa
La gestione strategica delle informazioni è un’attività prioritaria, che deve essere condotta con la massima efficacia, funzionalità e professionalità allo
scopo di estrarre elementi utili per la comprensione dei fenomeni e dei processi
e per la definizione delle scelte.
Le metodologie di Knowledge Discovery (KD), che riguardano l’estrazione non-banale di informazioni implicite, precedentemente non note e potenzialmente utili da un insieme di dati contenuti in un determinato database, si
rivelano estremamente utili per l’analisi dei fenomeni oggetto di valutazione, ivi
comprese le attività investigative.
In altri termini, dato un insieme di fatti (disponibili come dati più o meno
organizzati) F, un linguaggio L ed una misura di certezza C, si può definire pattern un’affermazione S formulata nel linguaggio L che descriva una relazione
all’interno di un sottoinsieme di F con un grado di certezza C. Un pattern che
sia interessante, in accordo con una certa definizione di interesse, e che sia sufficientemente certo è chiamato conoscenza (Frawley et al., 1992). In tal senso,
gli output di un sistema che, monitorando un insieme di fatti in un database,
produca patterns, sono orientati al knowledge discovery.
La definizione adottata introduce una serie di elementi di fondamentale
importanza per l’implementazione di un algoritmo di KD: linguaggio, grado
di certezza e misura di interesse. Per quanto concerne il primo elemento, è importante che la conoscenza formalizzata all’interno del database sia espressa in
patterns utilizzando un linguaggio facilmente comprensibile dall’utente, al fine
di rendere i risultati di agevole comprensione, la conoscenza prodotta meno
criptica e direttamente utilizzabile dall’utente finale. In tal senso, l’utilizzo di
rappresentazioni linguistiche rende le regole individuate più naturali da comprendere per l’utente umano (Chan e Au, 1997).
Le informazioni in merito al grado di certezza relativo dei risultati ottenuti, appare fondamentale per valutare il grado di affidabilità degli output dell’operazione di KD. La valutazione della certezza coinvolge numerosi fattori, tra cui
l’integrità dei dati in input, le dimensioni del campione su cui viene effettuata
l’operazione di KD, il grado di supporto eventualmente fornito dalla presenza
di una pregressa conoscenza di dominio. Senza un sufficiente grado di certezza,
il pattern individuato diviene ingiustificabile e, di conseguenza, non può essere
considerato come conoscenza acquisita (Frawley et al., 1992).
Dai database possono essere estratti numerosi patterns, ma solo quelli
344
V.F. Uricchio
considerati in qualche modo interessanti costituiscono conoscenza (Frawley et
al., 1992). La misura di interesse è considerata come una valutazione complessiva dei patterns, ottenuta combinando validità, novità, utilità e semplicità. In
base alla nozione di interesse, un pattern può essere considerato conoscenza se
supera una definita soglia di interesse (Fayyad et al., 1996).
Uno dei temi di maggior interesse nel campo della KD riguarda l’individuazione di “regole associative” (Association Rules): una regola associativa
interessante descrive un’interessante relazione tra differenti attributi in un database (Chan e Au, 1997).
Le regole associative possono essere positive o negative: una regola positiva consente di affermare che un determinato record appartenente al database
e caratterizzato da un determinato valore per un attributo, assumerà anche un
determinato valore per un ulteriore attributo. Di contro, una regola associativa
negativa contiene l’informazione secondo la quale se un record assume un determinato valore per un attributo, allora non assumerà un determinato valore
per un ulteriore attributo (Chan e Au, 1997). Entrambe le regole associative
positive o negative che siano, si rivelano estremamente utili nella conduzione
delle indagini esprimendo relazioni interessanti o escludendo piste di indagine
non rilevanti.
Il grado di interesse di una regola associativa viene spesso valutato a partire dal supporto minimo e dalla minima confidence. Il supporto di una regola
associativa è la frazione di transazioni che contiene sia X che Y. La confidence
è una transazione che contiene X e che, inoltre, contiene Y (Aggarwall e Yu,
1998).
Negli ultimi anni, l’incremento del volume di informazioni alfanumeriche
e spaziali prodotte ed immagazzinate in database (anche distribuiti) sempre più
ampi, sta conducendo ad un crescente interesse per l’applicazione di strumenti
efficienti per l’estrazione di patterns interessanti ed utili, ma spesso impliciti, da
database riguardanti oggetti spaziali. Questi ultimi possono essere considerati
come entità che abbiano sia una locazione spaziale sia caratteristiche spazialmente indipendenti (Malerba et al., 2001).
L’estrazione di patterns da database spaziali sembra più difficile rispetto a
quella da database tradizionali, a causa della complessità delle relazioni spaziali
che è necessario prendere in considerazione (relazioni topologiche topologia come la connessione tra linee, la direzione di una linea, l’adiacenza di aree, etc.).
Infatti, gli algoritmi di data mining tradizionali sono stati sviluppati per si-
Le nuove frontiere della tecnologia
345
tuazioni in cui le osservazioni sono indipendenti (Malerba et al., 2001), violando
una regola fondamentale della geografia secondo la quale ogni elemento è legato
ad un altro, ma quelli vicini tra loro si influenzano in maniera più evidente rispetto
a quelli lontani (Tobler, 1979). In altri termini, la differenza sostanziale tra il data
mining in relational database e quello in spatial database consiste nel fatto che
in quest’ultimo si tiene conto che gli attributi degli elementi confinanti con un oggetto possano influenzare le caratteristiche dell’oggetto stesso (Ester et al., 1999).
La scoperta di regole associative spaziali consiste nell’individuare associazioni tra oggetti spaziali che svolgono il ruolo di reference objects e oggetti spaziali appartenenti a differenti layers geografici che svolgono il ruolo di
task-relevant objects (Esposito et al., 2001). I primi rappresentano i soggetti
principali della descrizione, mentre i secondi sono oggetti spaziali rilevanti per
il compito in esame e spazialmente legati ai primi (Malerba et al., 2001) (ad
esempio relazioni tra utilizzi del suolo e rinvenimenti di situazioni di contaminazione delle acque e del suolo).
Il problema di individuare spatial association rules può essere formulato
nel modo seguente:
ü Dato:
o un database spaziale;
o un insieme di reference objects;
o alcuni layers geografici task-relevant, con gerarchie spaziali definite
su essi;
o alcuni valori soglia per ogni livello l nella gerarchia spaziale per il
valore minimo per il supporto e per la confidence.
ü Trovare regole forti di associazioni spaziali.
L’utilizzo delle metodologie che consentono di individuare le Spatial Association Rules possono fornire un utile supporto alla gestione di problematiche complesse quali quelle ambientali. Infatti, come affermato in precedenza,
l’ambiente è un sistema complesso caratterizzato dalla presenza di molti cicli di
retroazione tra gli elementi, che spesso non sono affatto lineari e di tipo causaeffetto. In tal senso, i sistemi ambientali rispettano la peculiarità dei sistemi
complessi secondo cui le caratteristiche costitutive dell’insieme di elementi non
sono spiegabili a partire dalle caratteristiche delle parti isolate: il tutto è più che
la somma delle parti. Piuttosto che tentare di “mettere insieme dei pezzi” per
creare un tutto, è opportuno riconoscere che il mondo è già un tutto.
Per di più nei sistemi ambientali, il numero delle azioni impattate è alto
346
V.F. Uricchio
e la velocità con cui si generano gli effetti di un’azione può essere elevata; un
piccolo cambiamento in una qualche parte del sistema può generare cambiamenti considerevoli in parti anche lontane (condizioni di instabilità); un grande
cambiamento potrebbe anche non generare alcun effetto sul sistema (condizioni
di stabilità).
A causa dei complessi sistemi relazionali, nella gestione delle problematiche ambientali, è importante far riferimento al concetto di ecologia dell’azione
(Morin, 1993): appena un individuo intraprende un’azione, essa entra in un universo di interazioni, sfuggendo alle intenzioni dell’individuo; alla fine è l’ambiente ad impadronirsi dell’azione in un senso che può diventare contrario a
quello iniziale.
È sempre più condivisa, quindi, l’opinione secondo cui la gestione delle
problematiche complesse, quali quelle ambientali, richiede approcci integrati
piuttosto che settoriali, in cui sia ritenuta di primaria importanza l’analisi delle
relazioni tra le molte parti che contribuiscono alla definizione del fenomeno.
Gli algoritmi che consentono processi automatici di scoperta ed individuazione di regole, modelli e relazioni all’interno dei database per estrarre la
conoscenza, in termini di informazioni significative ed immediatamente utilizzabili, da grandi moli di dati, sono numerosi tra cui i principali sono i seguenti:
•
Decision Trees è un algoritmo di classificazione e di regressione per la modellazione predittiva di attributi sia discreti che continui. Per gli attributi
discreti, l’algoritmo esegue le stime in base alle relazioni tra le colonne di
input in un set di dati. I valori o stati di tali colonne vengono utilizzati per
stimare gli stati di una colonna designata come stimabile. In particolare,
l’algoritmo identifica le colonne di input correlate alla colonna stimabile.
Se ad esempio, in uno scenario finalizzato alla stima della tipologia di
malviventi impegnati nel settore dei traffici illeciti dei rifiuti, nove su dieci
hanno un’età comprese tra 30 e 40 anni, nove su dieci delinquenti rispondono a tale criterio, l’algoritmo desume che l’età rappresenta un criterio
di stima valido. La struttura decisionale esegue le stime in base alla tendenza verso un determinato risultato. Per gli attributi continui, l’algoritmo
utilizza una regressione lineare per determinare le divisioni della struttura
decisionale. Se più colonne vengono impostate come stimabili o i dati di
input contengono una tabella nidificata impostata come stimabile, l’algoritmo crea una struttura decisionale separata per ogni colonna stimabile.
•
Naïve Bayesian è un algoritmo di classificazione per la modellazione
predittiva che calcola la probabilità condizionale tra colonne di input e
Le nuove frontiere della tecnologia
347
stimabili e presuppone che le colonne siano indipendenti. Il nome Naive
Bayes è dovuto al carattere “ingenuo” (naive) di tale presupposto di indipendenza, in quanto l’algoritmo, partendo da questa considerazione, non
tiene conto del fatto che le dipendenze potrebbero esistere. Questo algoritmo include funzionalità di calcolo più semplici di quelle di altri algoritmi
e, pertanto, è utile per generare rapidamente i modelli di data mining al
fine di individuare le relazioni tra colonne di input e stimabili. È possibile
utilizzare questo algoritmo per eseguire l’esplorazione iniziale dei dati ed
applicare successivamente i risultati ottenuti per creare modelli di data
mining aggiuntivi con altri algoritmi dotati di funzionalità di calcolo più
avanzate e accurate.
•
Clustering è un algoritmo di segmentazione che utilizza tecniche iterative
per raggruppare i case di un set di dati in cluster con caratteristiche simili.
Tali raggruppamenti sono utili per l’esplorazione dei dati, l’identificazione delle relative anomalie e la creazione di stime. I modelli di clustering identificano in un set di dati le relazioni che non è possibile derivare
mediante l’osservazione casuale. Ad esempio, è possibile desumere per
logica che le aziende che lavorano e producono “in nero” smaltiscono
illegalmente i rifiuti. Tuttavia l’algoritmo può individuare altre caratteristiche non altrettanto ovvie sulle aziende che sono trasparenti al fisco.
L’algoritmo di clustering si differenzia dagli altri algoritmi di data mining,
ad esempio dall’algoritmo Decision Trees, per il fatto che non è necessario designare una colonna stimabile per creare un modello di clustering.
L’algoritmo di clustering esegue il training del modello rigorosamente in
base alle relazioni esistenti tra i dati e ai cluster identificati.
•
Sequence Clustering è un algoritmo di analisi delle sequenze ed è possibile utilizzare questo algoritmo per esplorare i dati contenenti eventi
da collegare tramite i percorsi o sequenze seguenti. L’algoritmo individua le sequenze più comuni raggruppando le sequenze identiche, ovvero
eseguendone il clustering. Tali sequenze possono assumere varie forme,
inclusi i tipi di dati seguenti:
o
dati che descrivono i percorsi di un crimine ambientale legato allo
smaltimento dei rifiuti speciali;
o
dati che descrivono l’ordine in un cui l’addetto allo smaltimento dei
rifiuti speciali opera, dal prelievo allo smaltimento.
Questo algoritmo è simile all’algoritmo di Clustering ma, anziché rilevare
cluster di case contenenti attributi simili, l’algoritmo di Sequence Clustering
348
V.F. Uricchio
individua i cluster di case contenenti percorsi simili in una sequenza. Il modello
di data mining creato da questo algoritmo contiene le descrizioni delle sequenze
più comuni incluse nei dati. È possibile utilizzare le descrizioni per la stima
del passaggio successivo probabile di una nuova sequenza. Quando l’algoritmo
esegue il clustering dei record, può inoltre individuare nei dati le colonne che
non sono direttamente correlate alle sequenze. Poiché l’algoritmo include le
colonne non correlate, è possibile utilizzare il modello risultante per identificare
le relazioni tra i dati in sequenza e i dati non in sequenza.
•
Association Rules è un algoritmo di associazione utile per i motori dei
suggerimenti. Un motore dei suggerimenti consiglia la strategia da utilizzare sulla base di casistiche precedenti e dei dati acquisiti e certi definiti
per un’indagine. I modelli di associazione sono creati in base a set di dati
che includono sia gli indicatori dei singoli case che gli indicatori degli
elementi contenuti nei case. Un gruppo di elementi viene chiamato set
di elementi. Un modello di associazione è costituito da una serie di set di
elementi e di regole che descrivono la modalità di raggruppamento di tali
elementi all’interno dei case. È possibile utilizzare le regole identificate
dall’algoritmo per stimare i probabili crimini futuri di una organizzazione,
in base agli elementi già esistenti ed ai delitti già consumati. L’algoritmo
di Association Rules può individuare potenzialmente un numero elevato
di regole all’interno di un set di dati. L’algoritmo utilizza due parametri,
uno di supporto e l’altro di probabilità, per descrivere i set di elementi e le
regole generati.
•
Neural Network è l’algoritmo che crea modelli di data mining per la classificazione e la regressione costruendo una rete neurale perceptron multistrato. Analogamente all’algoritmo di Decision Trees, e di Neural Network calcola le probabilità per ogni stato possibile dell’attributo di input,
considerando ogni stato dell’attributo stimabile. In seguito, è possibile
utilizzare tali probabilità per determinare il risultato dell’attributo stimabile in base agli attributi di input.
•
Time Series è un algoritmo di regressione che consente di creare modelli di data mining per la stima di colonne continue, relative ad esempio
al traffico illecito dei rifiuti, in uno scenario di previsione. Mentre altri
algoritmi creano modelli che eseguono la stima della colonna stimabile
in base alle colonne di input, come ad esempio un modello di struttura
decisionale, la stima eseguita da un modello Time Series è basata solo
sulle tendenze che l’algoritmo deriva dal set di dati originale durante la
Le nuove frontiere della tecnologia
•
349
creazione del modello. Il modello tipico di un diagramma è costituito da
due parti: le informazioni cronologiche e storiche desunte da indagini già
effettuate nel passato e le informazioni stimate relative ad eventi che potranno realizzarsi nel futuro. I dati cronologici rappresentano le informazioni utilizzate dall’algoritmo per creare il modello, mentre i dati stimati
rappresentano le previsioni eseguite dal modello. La linea ottenuta dalla
combinazione dei dati cronologici e dei dati stimati viene chiamata serie.
Ogni modello di previsione deve contenere una serie del case, ovvero la
colonna che distingue i punti di una serie. Una funzionalità importante
dell’algoritmo Time Series è la stima incrociata. Se pertanto si esegue
il training dell’algoritmo con due serie separate ma correlate, è possibile
utilizzare il modello risultante per eseguire la stima dei risultati di una
serie in base al comportamento dell’altra serie. Ad esempio, i crimini ambientali possono avere delle relazioni con altre tipologie di crimini e con
tali algoritmi è possibile evidenziarle le relazioni.
Logistic Regression è una variazione dell’algoritmo Neural Network che
consente di creare un modello di rete neurale che non contiene un livello
nascosto e, pertanto, è equivalente alla regressione logistica.
9.Il Text Mining o Text Data Mining
Il Text Mining o Text Data Mining (TM o TDM) è l’estensione del Data
Mining tradizionale su dati testuali non strutturati. Più del 90% della conoscenza su cui normalmente si base l’attività investigativa non è strutturata in banche
dati, ma è disponibile in forma testuale o di immagini.
Con l’incremento della disponibilità delle risorse informative in formato
digitale diventa sempre più complesso analizzarle tutte anche se ognuna di tali
informazioni può nascondere elementi utili ai fini di un’indagine (mail, telefonate, fax, pagine di siti WEB, articoli di giornale, ricerche, rapporti, fotografie,
etc.).
Ma tali quantità di informazioni, spesso invece che tradursi in una grande
opportunità di analisi e di efficacia, finisce paradossalmente per rappresentare
il principale elemento di rallentamento delle attività di strategia di analisi e di
controllo.
Per cui è possibile affermare che l’informazione è nulla, se non è gestita.
Disporre di quantitativi enormi di informazioni, in qualsiasi formato e
350
V.F. Uricchio
di differente tipologia senza poterli interpretare e leggere in maniera integrata
equivale a non averli affatto.
Tuttavia non è possibile pensare di gestire con le sole forze intellettive
umane le conoscenze di cui si dispone, perché non si è dotati di sufficiente
tempo, sono troppe le cose da leggere, analizzare, sintetizzare e confrontare con
altri. In aggiunta, non è così semplice trovare al momento giusto la cosa che
serve per integrarla in quel preciso istante con nuovi scenari, aggregarla a tutte
le altre e rivederla in maniera integrata.
Per tali motivazioni nella gestione della conoscenza complessa, la tecnologia è un fattore irrinunciabile ed il Text Data Mining, offre un importantissimo
supporto per l’estrazione di informazioni preziose ai fini delle indagini.
L’individuazione di gruppi tematici consente di dare un’organizzazione
all’informazione disponibile e di individuare argomenti minori, che anche ad
una lettura attenta potrebbero sfuggire. Le relazioni, inoltre, mettono in evidenza legami tra argomenti apparentemente separati ma che hanno una terminologia comune.
L’applicazione di tecniche di Text Data Mining, sfruttando appieno la ricchezza informativa insita nel patrimonio di dati disponibili, consente di acquisire un effettivo vantaggio nello svolgimento delle analisi complesse.
Il Text Data Mining consente di individuare sequenze di parole (pattern)
che accomunano e caratterizzano un insieme di documenti, di colloqui verbali,
di immagini etc. e che consentono perciò il raggruppamento tematico. Questo tipo di applicazione è particolarmente utile quando si deve analizzare il contenuto
di una collezione di documenti, anche provenienti da fonti eterogenee (giornali,
email, chat, forum, blog, fax, interrogatori, report, etc.).
In particolare, occorre riferire come nel cosiddetto “cyberspazio” (spazio
telematico) possano annidarsi importanti informazioni legate alla possibilità di
anonimato, alla capillare accessibilità ai servizi di rete, all’assenza di autenticazione dell’utente al momento dell’accesso, unitamente alla velocità di trasmissione e all’immediatezza del recapito dell’informazione, ecc: tutti fattori all’origine
della destrutturazione del paradigma verticistico-piramidale dell’organizzazione
criminale convenzionale. Ed è proprio la peculiare “delocalizzazione” (contestuale, spaziale e temporale) dell’utente di Internet, che permette al criminale di
superare quel legame fisico che fino a qualche tempo fa lo vincolava ad un territorio ristretto o comunque ad un’area geografica limitata nella quale operava,
Le nuove frontiere della tecnologia
351
organizzando traffici di più ampio spettro con maggiori convenienze economiche.
Utilizzando i servizi Internet, colui che esercita la leadership lo fa senza
avere la necessità di rivelare la propria identità e localizzazione fisica. Ciò rende possibile, in parte, l’elusione delle attività di sorveglianza effettuate tramite
i metodi convenzionali di investigazione e scoperta. La disponibilità capillare
di punti di accesso “non presidiati” alla rete (in particolare gli “internet point”)
contribuisce ad ampliare la potenziale “dispersione” e “mobilità” geografica
delle parti in gioco fino ad un livello transnazionale.
Tuttavia il numero delle informazioni presenti in Internet ed il suo continuo “divenire” fa sì da rendere particolarmente significativa l’importanza di
tecniche di Text Data Mining per estrarre le sole informazioni utili.
Solo relazionando e incrociando tra di loro dati e informazioni anche di
natura diversa, provenienti da fonti opposte, anche apparentemente fra loro
estranei, è possibile verificare la presenza o meno di collegamenti, legami, relazioni, rapporti che l’individuale e disgiunta valutazione dei singoli documenti
non evidenziava. Sfortunatamente in un sistema di informazioni così eterogeneo, vasto e complesso, la conoscenza “utile” risulta essere così frammentata e
dispersiva e la mole di dati così estesa da rendere improponibile qualsiasi attività di analisi manuale da parte dell’uomo.
Proprio a questi fini è stata sviluppata negli ultimi anni una innovativa
disciplina del Text Data Mining che coniugando informatica, matematica, statistica permette di automatizzare molte delle funzioni di analisi delle informazioni che normalmente verrebbero eseguite dall’uomo con grande dispendio di
energia in termini di tempo e personale.
Il Text Data Mining permette l’analisi automatica dei testi, interpretandone il linguaggio, la sintassi, la semantica e evidenziandone le varie relazioni
logiche, dalle più palesi alle più nascoste.
è scientificamente provato, infatti, che il limite del cervello umano è quello di non poter passare agevolmente da una visione ampia ed omnicomprensiva
di un problema ad una dettagliata e analitica, mantenendo al contempo la percezione totale del problema stesso; ciò è tanto più vero quanto più esteso è il
problema in esame. Ebbene, la tecnologia del text mining è stata sviluppata proprio per il superamento di questo limite: obiettivo reso raggiungibile grazie alla
continua, evoluzione della tecnologia informatica che rende disponibili sistemi
sempre più potenti e veloci.
Il text-mining si fonda su diverse fasi di analisi, ognuna delle quali affronta un aspetto in particolare della problematica, tra cui:
352
V.F. Uricchio
• Fase preparatoria chiamata di “preprocessing linguistico”, nell’ambito
della quale avviene la preparazione dei documenti attraverso un processo
di normalizzazione, vengono risolte le ambiguità semantiche della lingua,
vengono effettuati il riconoscimento e la lemmatizzazione di espressioni
(es.: Federal Bureau of Investigation in FBI) e l’indicizzazione automatica dei documenti.
• Fase di estrazione di conoscenza in cui vengono identificati all’interno
dei documenti i termini e le frasi di maggiore rilevanza, si individuano
legami, connessioni, analogie presenti nei documenti, estraendo concetti
e significati in essi contenuti.
• Fase di analisi semantica che presuppone sia l’analisi grammaticale, logica e sintattica sia il riconoscimento dei concetti: in altre parole, sono
correttamente identificate le diverse accezioni dei termini (es. “calcio”
come sport, come colpo dato col piede, come elemento chimico o come
impugnatura di una pistola) e sono identificati i diversi modi di esprimere
lo stesso concetto (ad esempio “macchina” inteso come veicolo a motore
equivale a “automobile, automezzo, auto, autoveicolo”; e, volendo, anche
a “berlina, utilitaria, cabriolet” o, addirittura a “Ferrari, Smart, BMW”).
Il testo, in pratica, viene analizzato in modo simile a quanto fatto dalle
persone. La Semantic Intelligence rende trattabili problemi non altrimenti
affrontabili e consente di superare i limiti del “cercare” per passare direttamente al “trovare, organizzare, selezionare, correlare”.
• Fase di “clustering” nella quale tutti i documenti vengono raggruppati
in base all’argomento trattato (il sistema può riconoscere il contesto della
frase).
• Fase di “categorizzazione” in cui il documento è riconosciuto come appartenente ad una categoria predefinita e a questa assegnato.
• Rappresentazione iconografica multilivello nell’ambito della quale è
possibile rappresentare visivamente argomenti, documenti, gruppi di documenti, relazioni e livelli di analogie, realizzando in tal modo una “immagine” chiara e definita della conoscenza estratta dalle informazioni sottoposte ad elaborazione.
Il “text-mining” non deve essere confuso con l’attività dei motori di ricerca su Internet. Con questi ultimi, l’utente indica un argomento predefinito
(keyword) e il motore non fa altro che estrarre dalla base informativa tutti i
documenti contenenti quella keyword. Il text mining invece analizza la base
Le nuove frontiere della tecnologia
353
informativa ed estrae tutti gli argomenti che sono trattati nelle varie classi di documenti presenti, evidenziandone le relazioni semantiche. Il tutto praticamente
in tempo reale grazie alle prestazioni dei calcolatori attuali.
La verifica sistematica e l’analisi incrociata di grosse moli di informazioni
(organizzate in “cluster” semanticamente omogenei) può permettere di risalire
a intenzioni, propositi, intenti e strategie non ancora palesate, ma le cui tracce
sono state inconsapevolmente lasciate in documenti, oppure rinvenute in intercettazioni di colloqui (comunicazioni telefoniche, via fax, email, chat, ecc.).
Lo stesse applicazioni trovano utile impiego nelle attività di intelligence investigativo a livello internazionale connesse con la descrizione dei profili
criminologici. Gli elementi analizzati sono parole, termini e nickname usati,
particolarità linguistiche ricorrenti, abitudini di digitazione e interazione con la
controparte, ecc.. Tale attività risulta di fondamentale importanza ai fini dell’incremento dell’efficacia dell’azione investigativa convenzionale, sopratutto per
quanto concerne la localizzazione di quei soggetti che abbiano evidenziato una
condotta sanzionabile nei termini della normativa specifica della materia.
Antonello Antonicelli, Massimiliano Piscitelli
La gestione dei rifiuti in Puglia:
stato dell’arte e prospettive future
Sommario: 1. La pianificazione in materia di rifiuti urbani e speciali - 1.1 La pianificazione in regime
ordinario - 1.2 La pianificazione in regime commissariale - 1.3. Stato di attuazione degli interventi previsti
dalla pianificazione - 1.4. Stato di attuazione degli Ato in Puglia - 1.5. La produzione dei rifiuti solidi
urbani e la raccolta differenziata - 1.6. Azioni di sostegno per l’incremento della raccolta differenziata 1.7. La pianificazione in materia di rifiuti speciali - 2. Le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti
1.
La pianificazione in materia di rifiuti urbani e speciali
1.1. La pianificazione in regime ordinario
Il primo piano di gestione dei rifiuti solidi urbani della Regione Puglia fu
approvato nel 1993 con le deliberazioni di Consiglio Regionale n. 251 del 30
giugno 1993 e n. 359 del 10 settembre 2003, nel rispetto di quanto previsto dal
Dpr n. 915 del 10 settembre 1982. Con la legge regionale n. 17 del 13 agosto
1993 furono poi stabilite le disposizioni per l’attuazione della pianificazione e
per l’organizzazione dei servizi di gestione dei rifiuti urbani.
Il piano prevedeva un’organizzazione territoriale del sistema di gestione
dei rifiuti articolata su 18 bacini di utenza (5 nella provincia di Foggia, 5 nella
provincia di Bari, 2 nella provincia di Brindisi e 3 nelle province di Lecce e Taranto) e un obiettivo di raccolta differenziata pari a circa il 30% sul ventennio di
riferimento. Il sistema previsto per la gestione dei rifiuti residuali dalle attività
di raccolta differenziata si sostanziava di:
•
16 impianti di compostaggio per la produzione di Fos da Rsu tal quale e
compost da rifiuti organici biodegradabili raccolti in modo differenziato
per una potenzialità complessiva di trattamento pari a circa 3.000 t/die;
•
3 impianti per la produzione di Cdr;
•
5 impianti di combustione con recupero energetico per una potenzialità
complessiva pari a circa 1.500 t/die;
•
18 discariche controllate, una per ciascun bacino di utenza, per una volumetria complessiva pari a circa 10 milioni di m3.
356
Antonicelli, Piscitelli
Nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza ambientale in Puglia,
avvenuta con Dpcm 8 novembre 1994, e l’emanazione della l.r. n. 13 del 18 luglio 1996: “Nuove norme per l’accelerazione e lo snellimento delle procedure per
l’attuazione del piano regionale e della organizzazione dei servizi di smaltimento di rifiuti urbani” con cui si modificava e integrava la l.r. n. 17/1993, gli interventi e gli impianti previsti dalla pianificazione non trovarono piena attuazione.
1.2. La pianificazione in regime commissariale
Il primo piano emergenziale fu emanato con il decreto del Commissario
Delegato per l’emergenza ambientale in Puglia n. 70 del 28 luglio 1997, a seguito del perdurare dello stato di crisi nella gestione dei rifiuti e alla luce della
mancata attuazione del piano regionale.
Il piano emergenziale prevedeva misure tese all’incremento della raccolta
differenziata, alla realizzazione di impianti di selezione, prima lavorazione e
stoccaggio delle frazioni secche provenienti dalla raccolta differenziata, nonché
di impianti di compostaggio per il recupero della frazione umida.
Nel 2001, anche in forza dei nuovi poteri acquisiti in ordine alla pianificazione in materia di rifiuti, fu predisposto il nuovo “Piano di gestione dei rifiuti e
delle bonifiche delle aree inquinate” approvato con decreto commissariale n. 41
del 6 marzo dello stesso anno.
Tale piano, tuttora vigente, ha subito numerose modifiche e integrazioni1
finalizzate all’adeguamento alla normativa nazionale e ai nuovi indirizzi programmatici di volta in volta intervenuti.
La versione ultima del piano, approvata con decreto commissariale n.
187/05/CD, prevede:
- la suddivisione del territorio regionale in 15 bacini di utenza, anziché 18
I provvedimenti commissariali di modifica e integrazione del piano sono:
•
Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia n. 296 del 30 settembre
2002: “Decreto commissariale 6.3.2001, n. 41: «Piano di gestione dei rifiuti e di bonifica delle aree
inquinate». Completamento, integrazione e modificazione”;
•
Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia n. 56 del 26 marzo 2004:
“Piano di riduzione del conferimento in discarica dei rifiuti urbani biodegradabili in Puglia ex art.
5 d.lg. n. 36/2003. Integrazione pianificazione regionale”;
•
Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia n. 187 del 9 dicembre
2005: “Aggiornamento, completamento e modifica al piano regionale di gestione dei rifiuti in Puglia approvato con decreto commissariale n. 41 del 6 marzo 2001, così come modificato e integrato
dal decreto commissariale del 30 settembre 2002, n. 296 “Piano di gestione dei rifiuti e di bonifica
delle aree contaminate”;
1
La gestione dei rifiuti in Puglia
-
-
-
-
-
-
-
357
come previsto dal Dc n. 41/2001, così come localizzati nella mappa riportata in figura 1;
la riduzione della produzione dei rifiuti da conseguire nella misura del
10% al 2015;
l’incremento delle raccolte differenziate ed il successivo recupero di materia in misura pari al 60% al 2015, con differenti obiettivi intermedi;
il recupero della frazione organica biodegradabile raccolta in modo differenziato mediante compostaggio (fabbisogno complessivo di trattamento
pari a circa 1.600 t/die, al 2015);
l’esclusione della previsione di realizzazione di inceneritori di rifiuti urbani tal quali;
il recupero della frazione secca combustibile (Fsc) attraverso la produzione di Cdr da avviare a recupero energetico in impianti esistenti (fabbisogno complessivo di trattamento per la produzione di Cdr pari a circa 1.200
t/die, al 2015);
lo smaltimento in discarica controllata (fabbisogno complessivo pari a
circa 280.000 m3/anno, al 2015), previo trattamento meccanico-biologico
(fabbisogno complessivo pari a circa 2.250 t/die, al 2015) finalizzato alla
riduzione della pericolosità della frazione organica biodegradabile residuale, dell’Rbd (Rifiuto biostabilizzato da discarica);
l’eventuale produzione di Rbm (Rifiuto biostabilizzato maturo) da utilizzare per ripristini ambientali.
In figura 2 è riportato lo schema dei flussi di massa previsti dalla pianificazione regionale ed in figura 3 lo schema del sistema integrato di gestione dei
rifiuti solidi urbani residuali da raccolta differenziata.
In tabella 1 sono riportati, invece, gli obiettivi di riduzione e di raccolta
differenziata previsti nel medio e lungo periodo.
358
Antonicelli, Piscitelli
DIMENSIONAMENTO FLUSSI PIANO REGIONALE RIFIUTI URBANI E OBIETTIVI DI RIDUZIONE
PRODUZIONE ANNUALE RSU
Mt/anno (sit. Di partenza)
Incremento annuo (%)
Effetto campagne riduzione (%)
Mt/anno risultanti
2005
1.8
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2.00%
-2.00%
1.80
1.98%
-4.00%
1.76
1.50%
-6.00%
1.72
1.35%
-7.00%
1.70
1.20%
-7.50%
1.68
1.10%
-8.00%
1.67
1.00%
-8.50%
1.66
0.80%
-9.00%
1.65
0.50%
-9.50%
1.64
0.50%
-10.00%
1.63
2007
30.00%
70.00%
35.00%
40.00%
30.00%
40.00%
50.00%
35.00%
35.00%
50.00%
2008
2009
40.00% 50.00%
90.00% 100.00%
45.00% 50.00%
50.00% 60.00%
40.00% 50.00%
50.00% 60.00%
65.00% 70.00%
45.00% 50.00%
45.00% 50.00%
65.00% 70.00%
2010
55.00%
100.00%
55.00%
65.00%
55.00%
65.00%
75.00%
55.00%
55.00%
75.00%
2011
57.00%
100.00%
57.00%
66.00%
55.00%
65.00%
75.00%
55.00%
55.00%
75.00%
2012
58.00%
100.00%
58.00%
66.00%
53.00%
66.00%
73.00%
56.00%
56.00%
76.00%
2013
60.00%
100.00%
60.00%
68.00%
54.00%
68.00%
74.00%
58.00%
58.00%
78.00%
2014
61.00%
100.00%
61.00%
69.00%
55.00%
69.00%
75.00%
59.00%
59.00%
79.00%
2015
62.00%
100.00%
62.00%
70.00%
55.00%
70.00%
75.00%
60.00%
60.00%
80.00%
OBIETTIVI DI RACCOLTA DIFFERENZIATA
QUOTE ANNUE RD
Frazione organica
Potature giardini
Carta e cartone
Vetro
Plastica
Metalli ferrosi
Alluminio
Legno
Tessili
Ingombranti
2005
-
2006
20.00%
50.00%
25.00%
30.00%
20.00%
30.00%
35.00%
25.00%
25.00%
35.00%
Tabella 1: Obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti e di raccolta differenziata stabiliti dal
decreto commissariale n. 187/2005.
Per quanto attiene ai trattamenti meccanici e biologici, così come rilevabile dalla Figura 2, il piano prevede che i rifiuti tal quali residuali da raccolta
differenziata siano sottoposti a trattamento biologico a flusso unico dalla durata
non inferiore a due settimane e, successivamente, a trattamento meccanico di
separazione - per vagliatura a maglia < 80 mm - della frazione secca da quella
umida. E’ previsto, ancora, che il materiale prodotto (Rbd) abbia un indice respirometrico dinamico potenziale (Irdp) non superiore a 800 mgO2*kgSV-1*h-1
ovvero non superiore a 400 mgO2*kgSV-1*h-1 nel caso di successiva maturazione del Rbd per un periodo compreso tra 8 e 10 settimane (nel caso di Opzione 2
finalizzata alla produzione di Rbm – Rifiuto biostabilizzato maturo).
In tabella 2 sono riportati i valori di Ird e Irs (Indice respirometrico statico) limite adottati in alcune Regioni d’Italia.
Regione Basilicata2
Regione Campania
IRD limite
(mgO2*kgSV-1*h-1)
IRS limite
(mgO2*kgSV-1*h-1)
1.000
500
1.000
-
1.300 ± 15 %
3
Regione Lombardia
4
-
2
Regione Basilicata: “Linee guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di
compostaggio e stabilizzazione”, Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata n. 32 del 8 maggio 2002.
3
Commissario di governo per l’emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle acque nella Regione Campania,
ordinanza n. 26 del 10 febbraio 2004: “Linee guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli
impianti di compostaggio e stabilizzazione”.
4
Regione Lombardia, deliberazione giunta n. 7/12764 del 16 aprile 2003: “Linee guida relative alla
359
La gestione dei rifiuti in Puglia
Regione Puglia5
800
-
Regione Sicilia6
1.000
500
Regione Veneto
7
-
600
Tabella 2: Valori limite del grado di stabilità stabiliti dalla normativa regionale.
La produzione dell’Rbm può essere necessaria in caso di discariche ricadente in aree al elevata criticità ambientale, oppure opzionale e finalizzata a
produrre un materiale da utilizzare per ripristini ambientali secondo specifici
protocolli di utilizzo e norme tecniche.
costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di compost”, Bollettino Ufficiale della Regione
Lombardia, 1° supplemento straordinario al n. 20 del 13 maggio 2003.
5
Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia, decreto n. 296 del 30 settembre 2002, cfr
supra.
6
Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque nella Regione Sicilia: “Linee guida
per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio”, Bollettino Ufficiale
della Regione Sicilia n. 27 del 14 giugno 2002.
360
Antonicelli, Piscitelli
RSU t.q. (residuale)
100
Pretrattamenti
>25 (T-1-2)
100
• Opzione T:
75 RBD +25 vap. acqua+CO2
• Opzione 1:
35 RBD + 25 vap. acqua+CO2
40 FSC
• Opzione 2:
25 RBM + 30 vap. acqua+CO2
45 FSC
Biostabilizzazione
IRD <800 mgO2/kgVS*h
75
~75 (T)
RBD
(DISCARICA)
75
Selezione primaria
~35 (1)
40 (1)
40
<80 mm
35
40 (2)
45 (2)
35 (1)
>5 (2)
Confezionamento
in balle
35
~40 (1)
~45 (2)
FSC
(PROD. CDR)
Maturazione
IRD <400 mgO2/kgVS*h
30
Selezione secondaria
5
<25 mm
25
~25 (2)
RBM
(UTILIZZO)
Figura 2: Diagramma di flusso illustrativo del ciclo di gestione dei rifiuti solidi urbani residuali
da raccolta differenziata, così come previsto dal decreto commissariale n. 296/2002.
361
La gestione dei rifiuti in Puglia
1.3. Stato di attuazione degli interventi previsti dalla pianificazione
Di seguito si riporta, per ciascun bacino di utenza, la dotazione impiantistica per la gestione dei rifiuti solidi urbani, prevista dalla pianificazione regionale nella fase a regime e il relativo stato attuale.
Impianto
Selezione
Trani
c.da Puro Vecchio
Biostabilizzazione
Discarica di servizio e
soccorso
Trani
c.da Puro Vecchio
Status
Realizzato, non
esercizio
Da realizzare
Trani
c.da Puro Vecchio
In esercizio
Biostabilizzazione,
selezione con discarica di
servizio e soccorso
Andria
c.da S.N. la Guardia
Appalto in fase di
aggiudicazione
Centro materiali raccolta
differenziata
Molfetta
zona artigianale
In esercizio
Compostaggio
Produzione di Cdr
Comune
Località
Realizzato,
esercizio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Molfetta
Torre di Pettine
non
in
in
Tabella 3: impiantistica prevista per il bacino Ba/1
Impianto
Comune
Località
Status
Biostabilizzazione,
selezione con discarica di
servizio e soccorso
Giovinazzo
S. P. Pago
Appalto in fase di
aggiudicazione
Biostabilizzazione
Bari
Area Amiu Bari
Selezione
Produzione di Cdr
Centro materiali raccolta
differenziata
Bari
Bari
Area Amiu Bari
Area Amiu Bari
Appalto in fase di
aggiudicazione
Modugno
zona Asi
Compostaggio
Molfetta
Torre di Pettine
Tabella 4: impiantistica prevista per il bacino Ba/2
In esercizio
Da realizzare
Realizzato, non in
esercizio
Realizzato,
esercizio
non
in
362
Antonicelli, Piscitelli
Impianto
Comune
Località
Status
Biostabilizzazione,
selezione con discarica di
servizio e soccorso
Spinazzola
Produzione Cdr
è previsto l’utilizzo di quello a servizio del Bacino Ba1,
previa intesa con l’autorità d’ambito
Centro materiali raccolta
differenziata
Compostaggio
Grottelline
Fine lavori: entro il
2008
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Tabella 5: impiantistica prevista per il bacino Ba/4
Impianto
Comune
Località
Status
Selezione
Conversano
c.da Martucci
Realizzato, non in
esercizio
Biostabilizzazione,
produzione di Cdr con
discarica di servizio e
soccorso
Conversano
c.da Martucci
Fine lavori: luglio
2008
Centro materiali raccolta
differenziata
Conversano
c.da Martucci
Gioia del
Colle
Realizzato, non in
esercizio
c.da San Francesco
Da realizzare
Compostaggio
Tabella 6: impiantistica prevista per il bacino Ba/5
Impianto
Discarica
Comune
Brindisi
Località
loc. Autigno
Status
In esercizio
Brindisi
Area industriale
Realizzato,
esercizio
non
in
Centro materiali raccolta
differenziata
Brindisi
Area industriale
Realizzato,
esercizio
non
in
Impianto di compostaggio
Brindisi
Area industriale
non
in
Selezione,
biostabilizzazione con
produzione Cdr
Tabella 7: impiantistica prevista per il bacino Br/1
Realizzato,
esercizio
363
La gestione dei rifiuti in Puglia
Impianto
Comune
Località
Status
Selezione,
biostabilizzazione, con
discarica di servizio/
soccorso
Francavilla
Fontana
c.da Feudo
Approvato
dal 2004, mai
realizzato
Produzione Cdr
Brindisi
Area industriale
Centro materiali raccolta
differenziata
Francavilla
Fontana
Realizzato, non in
esercizio
c.da Feudo
Impianto di compostaggio
Brindisi
Area industriale
Realizzato, non in
esercizio
Realizzato, non in
esercizio
Tabella 8: impiantistica prevista per il bacino Br/2
Impianto
Produzione Cdr
Comune
Cavallino
Località
Status
loc. Mass. Guarini
Fine lavori: entro il
2008
Biostabilizzazione
Cavallino
loc. Mass. Guarini
Realizzato,
prossimo
all’entrata in
esercizio
Selezione
Cavallino
loc. Mass. Guarini
In esercizio
Cavallino
loc. Mass. Guarini
Discarica di servizio/
soccorso
Fine lavori: giugno
2008
Realizzato ed
affidato nel 2007
al gestore dei
servizi di raccolta
Centro materiali raccolta
differenziata
Campi
Salentina
Impianto di compostaggio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Tabella 9: impiantistica prevista per il bacino Le/1
364
Antonicelli, Piscitelli
Impianto
Comune
Località
Produzione Cdr
Cavallino
Selezione,
biostabilizzazione
Poggiardo
Pastorizze
Corigliano
d’Otranto
Mass. Scomunica
Discarica
Centro materiali raccolta
differenziata
Impianto di compostaggio
Melpignano
Status
Fine lavori: entro il
2008
Approvato ma non
realizzato
Approvato ma non
realizzato
In esercizio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Tabella 10: impiantistica prevista per il bacino Le/2
Impianto
Comune
Località
Status
Selezione,
biostabilizzazione, con
discarica di servizio/
soccorso
Ugento
loc. Burgesi
Fine lavori: entro il
2008
Produzione Cdr
Cavallino
loc. Mass. Guarini
Centro materiali raccolta
differenziata
Fine lavori: entro il
2008
Ugento
Impianto di compostaggio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Realizzato, non in
esercizio
Tabella 11: impiantistica prevista per il bacino Le/3
Impianto
Comune
Località
Status
Biostabilizzazione,
selezione, produzione e
valorizzazione Cdr con
discarica di servizio e
soccorso
Massafra
loc. Mass. Console
In esercizio
Discarica, centro di
selezione e Centro materiali
raccolta differenziata
Castellaneta
c.da Cappella Civile
Realizzato, non in
esercizio
Centro materiali raccolta
differenziata
Taranto
Realizzato, non in
esercizio
365
La gestione dei rifiuti in Puglia
Impianto integrato
di smaltimento
(termovalorizzazione e
compostaggio)
Statte
Non in esercizio
Tabella 12: impiantistica prevista per il bacino Ta/1
Impianto
Comune
Località
Status
Selezione,
biostabilizzazione, con
annessa discarica di
servizio/soccorso, e
centro materiali raccolta
differenziata
Manduria
c.da La Chianca
In esercizio
Produzione Cdr
Massafra
loc. Mass. Console
In esercizio
Tabella 13: impiantistica prevista per il bacino Ta/2
Impianto
Biostabilizzazione,
selezione con discarica di
servizio e soccorso
Comune
Località
Status
Da localizzare a cura della Provincia e dell’Autorità
d’ambito8
Centro materiali raccolta
differenziata
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Produzione Cdr
Manfredonia
Compostaggio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Fine lavori: entro il
2008
Paglia
Tabella 14: impiantistica prevista per il bacino Fg/1
Impianto
Impianto di
biostabilizzazione con
annessa discarica di sevizio
e soccorso
Comune
Foggia
Località
Status
c.da Passo Breccioso
Fine lavori: entro il
2008
Con provvedimento commissariale n. 49/07 è stata disposta la delocalizzazione della discarica prevista
a Vieste perché ubicata in “zona 2” del parco nazionale del Gargano, all’interno del proposto SIC (IT
9110012 “Testa del Gargano”), demandando alla Provincia di Foggia la localizzazione in un unico sito
dell’impianto complesso costituito da linea di biostabilizzazione e selezione con annessa discarica di
servizio e soccorso, d’intesa con l’Ato e previa acquisizione del parere favorevole del Comune interessato.
8
366
Antonicelli, Piscitelli
Realizzato, non in
esercizio
Centro di selezione
Foggia
c.da Passo Breccioso
Centro materiali raccolta
differenziata
Foggia
c.da Passo Breccioso
Produzione Cdr
Manfredonia
Paglia
Compostaggio
Da localizzare a cura dell’Autorità d’ambito
Realizzato, non in
esercizio
Fine lavori: entro il
2008
Tabella 15: impiantistica prevista per il bacino Fg/3
Impianto
Comune
Località
Status
Biostabilizzazione /
compostaggio, selezione
con annessa discarica di
servizio e soccorso
Cerignola
Forcone di Cafiero
Realizzato,
prossimo
all’entrata in
esercizio
Centro materiali raccolta
differenziata
Cerignola
Forcone di Cafiero
In esercizio
Produzione Cdr
Manfredonia
Paglia
Fine lavori: entro il
2008
Tabella 16: impiantistica prevista per il bacino Fg/4
Impianto
Discarica
Selezione
Biostabilizzazione /
compostaggio
Produzione Cdr
Comune
Deliceto
Deliceto
Località
Mass. Campana
Mass. Campana
Deliceto
Mass. Campana
Manfredonia
Paglia
Status
In esercizio
Realizzato
Fine lavori: marzo
2008
Fine lavori: entro il
2008
Tabella 17: impiantistica prevista per il bacino Fg/5
1.4. Stato di attuazione degli Ato in Puglia
La centralità dell’azione delle Autorità di Gestione dei Rifiuti è stata riconosciuta formalmente in tutti i documenti programmatici che, nel loro complesso, costituiscono il piano di gestione dei rifiuti per la Regione Puglia.
La mancata costituzione delle ATO in soggetti con personalità giuridica
ha rappresentato un ostacolo reale all’avvio della gestione unitaria del complessivo ciclo dei rifiuti, inteso come raccolta e trasporto e smaltimento, ed al
La gestione dei rifiuti in Puglia
367
trasferimento, da parte delle Province, delle risorse messe a disposizione dalla
Regione per lo sviluppo delle raccolte differenziate.
L’azione della Regione, a valle della fine del commissariamento e con il
conseguente rientro alle competenze ordinariamente previste dalla norma, è stata finalizzata a dare piena attuazione a quanto previsto dalla vigente normativa
(la quale stabilisce “le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali
ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano
le Autorità d’ambito [...] alle quali è demandata l’organizzazione, l‘affidamento
ed il controllo del servizio di gestione integrata dei rifìuti” e prevede altresì
l’obbligo di partecipazione da parte dei Comuni.
Il Commissario delegato, con decreto n.189 del 19 ottobre 2006, nel confermare la configurazione territoriale dei 15 Ambiti Territoriali Ottimali, ha
adottato gli schemi di statuto e di convenzione per la trasformazione in soggetti
dotati di personalità giuridica ed ha stabilito in 60 giorni il termine per la trasformazione volontaria delle Autorità d’Ambito, con espressa riserva di esercitare,
in mancanza, i poteri commissariali sostitutivi mediante la nomina di commissario ad acta in sostituzione dei Comuni inadempienti rispetto al recepimento
dei predetti schemi di Statuto e convenzione. A valle del citato decreto gli ATO
FG5, BA5, BR2, TA3 e LE2 hanno operato le trasformazione in ente con personalità giuridica aggiungendosi, così, al bacino FG4, già Consorzio dal 2002.
In seguito al rientro alla gestione ordinaria, intervenuta il 10 febbraio 2007 con
la dichiarazione della fine dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti urbani,
la Regione Puglia ha disposto le procedure di avvio del procedimento di commissariamento per i comuni inadempienti alla trasformazione in ATO dotati di
personalità giuridica. Tale azione è stata sviluppata a partire dal mese di giugno
2007 ed è tuttora in corso. A valle dell’avvio delle procedure di commissariamento dei comuni inadempienti, quasi tutte le ATO hanno operato la trasformazione in soggetti con personalità giuridica.
Al termine delle procedure in corso finalizzate a conseguire la trasformazione degli Ambiti in soggetti dotati di personalità giuridica, si dovrà avviare
una azione normativa tesa a:
•
definire le linee guida regionali per la redazione dei piani d’Ambito per i
servizi di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani;
•
procedere alla razionalizzazione dei servizi unitari di raccolta e trasporto
dei rifiuti solidi urbani;
•
responsabilizzare gli ATO per il raggiungimento dei livelli di auto-sufficienza nella gestione dei rifiuti solidi urbani.
368
Antonicelli, Piscitelli
1.5. La produzione dei rifiuti solidi urbani e la raccolta differenziata
La Regione Puglia, al fine di favorire l’accesso alle informazioni ambientali, ha avviato nel 2006, in via sperimentale, un sistema di raccolta telematica,
disponibile al sito internet www.rifiutiebonifica.puglia.it, dei dati relativi alla
produzione di rifiuti solidi urbani in ciascun comune pugliese.
Secondo quanto disposto dall’articolo 9, comma 5 della legge regionale n.
25 del 3 agosto 2007, ciascun Ambito Territoriale Ottimale, ovvero, ciascun comune della Puglia è obbligato a comunicare telematicamente e a cadenza mensile i dati relativi alla produzione di Rsu, alla raccolta differenziata di ciascuna
frazione merceologica e all’impianto di destinazione finale.
Dalle elaborazioni preliminari condotte su un campione pari al 70% delle
comunicazioni complessive che i comuni avrebbero dovuto effettuare nell’anno
2007, emerge che la produzione pro capite giornaliera di Rsu in Puglia si attesta
a valori pari a circa 1,4 kg con un andamento discontinuo nell’arco dell’anno,
in particolare per i comuni costieri ricadenti nelle zone turistiche dove si è registrato un incremento della produzione pro capite di Rsu nei mesi estivi pari a
circa il 500%.
Gli Ato in cui si è registrata la maggiore produzione pro capite di Rsu nel
2007 sono stati il Br/1 (1,82 kg*ab/die), il Ba/2 (1,61 kg*ab/die) e il Ta/3 (1,56
kg*ab/die); quelli caratterizzati dalla produzione pro capite più bassa, invece,
sono stati gli Ato Fg/1 e Fg/5 con una produzione pari a circa 0,96 kg*ab/die.
Il livello di raccolta differenziata ha raggiunto, nel 2007, un valore medio
pari a circa l’11%. Gli Ato Ba/1, Ba/2 e Br/1 hanno raggiunto i maggiori livelli,
mentre gli Ato della Provincia di Foggia e Taranto oltre al Br/2 e al Ba/4 si sono
attestati a livelli di raccolta differenziata non superiori al 10%.
Nelle figure 4, 5 e 6 sono riportati i dati relativi a produzione di Rsu e
raccolta differenziata negli anni 1999-2006.
Nella figura 7, invece, i risultati delle elaborazioni preliminari dei dati
relativi all’anno 2007 aggregati per Ato.
1.6.Azioni di sostegno per l’incremento della raccolta differenziata
Al fine di conseguire le migliori percentuali di raccolta differenziata è
indispensabile agire con una serie di strumenti di incentivazione e disincentivazione sia a livello legislativo che amministrativo. In particolare la Regione ha
orientato la propria iniziativa legislativa all’approvazione di una nuova legge
regionale per la definizione dell’importo della c.d. ecotassa (tributo speciale per
369
La gestione dei rifiuti in Puglia
il conferimento dei rifiuti solidi in discarica finalizzato alla minore produzione
dei rifiuti ed all’implementazione delle raccolte differenziate, ai sensi della legge n. 549 del 28 dicembre 1995).
La precedente legge regionale sull’ecotassa, adottata nel 1997, ha subito
nel corso del tempo alcune modifiche che hanno definito la quota di tributo da
applicare alle diverse tipologie di rifiuti urbani e speciali. Per quel che concerne
i rifiuti urbani la precedente impostazione rispondeva all’unica esigenza di stimolare la costituzione degli ambiti sovra-comunali (ambiti territoriali ottimali)
per la gestione unitaria del ciclo dei rifiuti.
Con l’approvazione della legge regionale n. 25 del 3 agosto 2007, articoli
8 e 9, la Regione ha provveduto a modificare tali criteri sulla base delle linee
strategiche definite nel piano di gestione dei rifiuti urbani nonché nella pianificazione comunitaria e nazionale individuando i seguenti criteri di premialità:
•
rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata stabiliti dal piano regionale;
•
organizzazione dei servizi unitari di raccolta e trasporto.
Di seguito, in tabella 18: sono riportati gli importi dell’ecotassa in funzione dei target fissati dalla nuova legge regionale.
Comuni
con servizio
unitario di
raccolta nello
stesso Ato
Comuni
con servizio
autonomo di
raccolta
Rd < 50%
obiettivo di
piano
50%
<
Rd<75%
obiettivo di
piano
75%
<
Rd<90%
obiettivo di
piano
Rd > 90%
obiettivo di
piano
Rsu t.q.
10 €/t
7,5 €/t
5 €/t
2,5 €/t
Sovvalli e
Rsu t.q. a
incenerimento
5 €/t
3,75 €/t
2,5 €/t
1,25 €/t
Rsu t.q.
15 €/t
11,25 €/t
7,5 €/t
3,75 €/t
Sovvalli e
Rsu t.q. a
incenerimento
7,5 €/t
5,6 €/t
3, 75 €/t
1, 85 €/t
Tabella 18: importi dell’ecotassa in funzione dei target fissati dalla nuova legge regionale
370
Antonicelli, Piscitelli
Tale iniziativa, tuttavia, non può essere limitata ed isolata, anche alla luce
degli Obiettivi di Servizio individuati dal Quadro Strategico Nazionale 2007 —
2013 che, in merito all’Obiettivo III “Tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, in relazione al sistema di gestione dei rjfìuti urbani”, individua specifici
indicatori e target, così come riportati nella tabella seguente.
INDICATORI
Rifiuti urbani smaltiti in
discarica
Raccolta differenziata dei
rifiuti urbani
Quantità di frazione
umida trattata in impianti
di compostaggio per la
produzione di compost di
qualità
TARGET
Ridurre a 230 kg*ab/anno i rifiuti urbani smaltiti in discarica a
fronte dei 453 kg*ab/anno del 2006
Aumentare al 40% la raccolta differenziata dei rifiuti urbani
Aumentare la percentuale al 20%
Tabella 19: Obiettivi di Servizio individuati dal Quadro Strategico Nazionale 2007 — 2013
1.7. La pianificazione in materia di rifiuti speciali
I principali provvedimenti di carattere programmatorio in materia di gestione di rifiuti speciali, attualmente vigenti nella Regione Puglia, sono i seguenti:
-Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia
n. 41 del 6 marzo 2001: “Piano di gestione di rifiuti e delle bonifiche delle
aree inquinate”
-Deliberazione della Giunta della Regione Puglia n. 2086 del 3.12.2003:
“Piano regionale per la raccolta e smaltimento degli apparecchi contenenti
PCB non soggetti ad inventario – Approvazione”
-Deliberazione della Giunta della Regione Puglia n. 805 del 3.6.2004:
“Piano regionale per la raccolta e smaltimento degli apparecchi contenenti
PCB soggetti ad inventario - Approvazione.”
-Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia
n. 187 del 9 dicembre 2005: “Aggiornamento, completamento e modifica
al piano regionale di gestione dei rifiuti in Puglia approvato con decreto
commissariale n. 41 del 6 marzo 2001, così come modificato e integrato
dal decreto commissariale del 30 settembre 2002, n. 296 “Piano di gestione dei rifiuti e di bonifica delle aree contaminate”.
La gestione dei rifiuti in Puglia
371
-Decreto del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia
n. 246 del 28 dicembre 2006: “Piano regionale di gestione dei rifiuti. Integrazione Sezione Rifiuti speciali e pericolosi. Adozione.
-Decreto del Commissario Delegato per l’emergenza ambientale in Puglia
n. 40 del 31 gennaio 2007: “Adozione piano regionale di gestione dei rifiuti speciali. Correzioni - rettifiche.”
-Regolamento regionale n. 6 del 12 giugno 2006: “Regolamento regionale
per la gestione dei materiali edili”.
Come previsto dal decreto commissariale n. 246/2006, nel luglio 2007
è stata avviata l’attività di aggiornamento del piano regionale di gestione dei
rifiuti speciali, attualmente in corso e contestuale alla procedura di valutazione
ambientale strategica.
372
2.
Antonicelli, Piscitelli
Le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti
Il trasporto di rifiuti transfrontalieri nella regione Puglia ha assunto negli
anni una importanza rilevante. Ciò è connesso, in larga parte, allo sviluppo di
attività di bonifica principalmente nei 4 Siti di Interesse Nazionale presenti in
Puglia: Manfredonia, Bari Fibronit, Brindisi e Taranto. In tal senso si deve sottolineare che la mancanza di impianti specializzati in regione e, più in generale,
sul territorio nazionale, per il trattamento – smaltimento di particolari tipologie
di rifiuti speciali rende indispensabile il ricorso ad impianti ubicati nel Centro
Europa.
L’attività di spedizione dei rifiuti transfrontalieri è regolamentata dal regolamento europeo n. 259/93 e dal d. lg. n. 152/06 e viene autorizzata dall’amministrazione competente attraverso una procedura che prevede l’accettazione
di idonee garanzie finanziarie presentate e la consegna dei necessari moduli per
il trasporto dei rifiuti. Il titolare dell’autorizzazione, al fine del completamento
della procedura e dello svincolo delle garanzie prestate, deve presentare all’amministrazione idonea documentazione attestante l’avvenuto deposito dei rifiuti
presso l’impianto di destinazione finale, ubicato fuori dai confini nazionali.
A partire dal 1° luglio 2007 le funzioni riguardanti il regime autorizzativo
per l’importazione ed l’esportazione dei rifiuti, in attuazione del regolamento
(CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, relativo alla sorveglianza
e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio, e successive modifiche e integrazioni
e delle norme nazionali di recepimento, vengono esercitate dalle province, così come disposto dall’articolo 6, comma 4 della l.r. n. 17/2007, pubblicata sul
BURP n. 87 del 18 giugno 2007.
L’Assessorato regionale all’ecologia, amministrazione precedentemente
competente, porta a compimento tutte le procedure di cui sopra, attivate presso
i propri uffici entro il 30 giugno 2007.
Al fine di consentire una puntuale ed efficace ricognizione dei trasporti
trasfrontalieri effettuati, l’Assessorato all’Ecologia della Regione Puglia ha avviato, attraverso il SIPA (Sistema Informativo per l’Ambiente), l’introduzione
di una procedura di registrazione dati e visualizzazione su mappa che consentirà, tra l’altro, una maggiore facilità di controllo.
La gestione dei rifiuti in Puglia
373
Figura 1: Schema del sistema integrato di gestione dei Rsu previsto dal Piano regionale di gestione dei rifiuti così come modificato dal decreto commissariale n. 187/2005.
374
Antonicelli, Piscitelli
Figura 3: Schema del sistema integrato di gestione dei Rsu previsto dal Piano regionale di gestione dei rifiuti così come modificato dal decreto commissariale n. 187/2005.
La gestione dei rifiuti in Puglia
375
Figura 4: Produzione di rifiuti solidi urbani in Puglia tra il 1999 e il 2006.
Figura 5: Evoluzione della percentuale di raccolta differenziata in Puglia tra il 1999 e il 2006.
376
Antonicelli, Piscitelli
Figura 6: Percentuale di raccolta differenziata nelle province pugliesi nel 2006.
Figura 7: Percentuale di raccolta differenziata negli Ato pugliesi. Dato medio riferito al 70%
delle comunicazioni dei comuni dell’anno 2007.