Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro

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Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro
Mario Filippo Pini
Italia e Cina,
60 anni tra passato e futuro
Le gerle
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Mario Filippo Pini
Italia e Cina,
60 anni tra
passato e futuro
In quarta di copertina:
affermazione di Walter Gardini
(cfr. nel testo p. 118)
© 2011 L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Saturnia 14, 00183 Roma
www.lasinodoroedizioni.it
email: [email protected]
ISBN 978-88-6443-063-8
ISBN ePub 978-88-6443-135-2
ISBN pdf 978-88-6443-136-9
A mia moglie Pi Hwa
Indice
Prefazione di Federico Masini
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Introduzione
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1. Uno sguardo al passato
Un aneddoto: i cinesi si ricordano di Lucio Wu
1.1 Gli antichi Romani, Marco Polo e Matteo Ricci
1.2 Il giovane Regno d’Italia e l’antico Impero cinese
1.3 Il Pcd’I e il Pcc
1.4 L’Italia fascista e la Cina nazionalista
1.4.1 Galeazzo Ciano
1.4.2 Francesco Maria Taliani
1.5 Gli internazionalisti e i comunisti cinesi
1.5.1 George Hatem e Edgar Snow
1.5.2 Agnes Smedley e Anna Louise Strong
1.5.3 Norman Bethune e Dwarkanath Kotnis
1.6 Gli italiani e i comunisti cinesi
1.6.1 I giornalisti
1.6.2 I missionari
1.7 I contatti all’estero tra comunisti italiani e cinesi
1.7.1 A Parigi
1.7.2 A Mosca
1.7.3 A Ivanovo
1.8 Un bilancio in prospettiva
2. Il lento avvicinamento: 1949-63
Un aneddoto: due ville italiane, due destini
2.1 La Cina e l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale
2.2 L’Italia dalla parte dei perdenti
2.3 L’Italia è pronta a riconoscere la neonata Rpc
2.3.1 Le aspirazioni dell’Italia all’Onu e il fattore Cina
2.4 I funzionari italiani delle dogane cinesi
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2.5 Le prime schiarite dopo la guerra di Corea
2.5.1 Politici e uomini d’affari italiani
2.5.2 Gli intellettuali italiani
2.5.3 Il Partito comunista italiano
2.6 L’invito di Zhou Enlai: perché a Nenni e non a Togliatti?
2.6.1 Palmiro Togliatti e Mao Zedong
2.7 Il dissidio tra Pci e Pcc
2.7.1 Le divergenze ribollono sotto la superficie
2.7.2 I rapporti circoscritti a tarallucci e vino
2.7.3 Lo scontro diventa pubblico
3. Il rapido avvicinamento: 1964-70
Un aneddoto: un ritratto di Mao
3.1 L’apertura di uffici commerciali a Roma e a Pechino
3.2 Il Pci e il Pcc durante gli anni difficili
3.2.1 Gli scontenti del Pci e la propaganda cinese
3.2.2 Il maoismo ha risonanza in Italia
3.2.3 La Cina trova nuovi fratelli in Italia
3.3 L’Italia e la Cina durante la rivoluzione culturale
3.4 La Cina era chiusa, ma non impenetrabile
3.5 Ventun mesi di negoziati per il riconoscimento reciproco
3.6 I vent’anni in Italia dell’ambasciatore Yu Junji
3.7 Tragedie e disavventure di italiani in Cina
4. Le relazioni ufficiali all’ombra del maoismo: 1971-76
Un aneddoto: le frustrazioni degli osservatori
4.1 L’Italia ufficiale a Pechino
4.1.1 La nuova ambasciata
4.1.2 I pochi sopravvissuti dei vecchi tempi
4.2 Una grande ouverture: la missione di Zagari
4.3 L’ingresso della Rpc all’Onu
4.4 Vecchi amici e nuovi amici della Cina
4.5 Le circostanze sono ancora favorevoli
4.6 Il ministro degli Esteri Giuseppe Medici
4.7 La campagna contro Michelangelo Antonioni
4.7.1 Ideologia e affari sono cose diverse
4.8 Meglio guardare la Cina da lontano
4.9 Le nostre reazioni alla morte di Mao
4.9.1 Nessun italiano incontrò mai Mao in veste ufficiale
5. Prima di Tian’anmen: 1977-88
Un aneddoto: i nostri imprenditori ruspanti
5.1 Il rilancio dei rapporti
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5.1.1 Arnaldo Forlani e Huang Hua
5.1.2 La lettera di Breznev
5.1.3 Hua Guofeng
5.1.4 Sandro Pertini
5.1.5 Gli scambi alla fine del primo decennio di relazioni ufficiali
5.2 Oriana Fallaci e Deng Xiaoping
5.3 Il terrorismo di sinistra e il maoismo
5.4 La ricucitura tra Pci e Pcc
5.4.1 Berlinguer due volte in Cina
5.5 La Cina delle riforme e l’Italia della ripresa
5.6 Gli aiuti del governo italiano allo sviluppo
5.6.1 L’imprimatur di Craxi
6. Durante e dopo Tian’anmen: 1989-99
Un aneddoto: le ambulanze italiane a piazza Tian’anmen
alla vigilia della tragedia
6.1 La tragedia di Tian’anmen
6.2 Le reazioni internazionali e dell’Italia
6.3 Non basta essere fratelli per amarsi a vicenda
6.4 La ripresa delle riforme
6.5 L’Italia in Cina negli anni Novanta
6.6 Il mondo scopre Taiwan
6.7 Anche l’Italia scopre Taiwan
6.8 I libri italiani in Cina
7. Nell’era dell’ascesa della Cina: dopo il 2000
Un aneddoto: un evento insolito per una nostra impresa
7.1 L’ascesa della Cina
7.2 L’Unione europea, i suoi Stati membri e la Cina
7.3 La posizione italiana rispetto ai partner Ue
7.4 Tematiche essenzialmente bilaterali
7.4.1 La promozione delle esportazioni e gli investimenti
7.4.2 L’immigrazione cinese
7.4.3 Il turismo
7.5 Tematiche a livello bilaterale e multilaterale
7.5.1 La riforma del Consiglio di sicurezza
7.5.2 Il futuro del G8
7.5.3 I diritti umani
7.5.4 Il Tibet
7.5.5 Cambiamenti climatici e crisi varie
7.6 Tematiche particolari
7.6.1 Taiwan
7.6.2 Il Vaticano
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7.7 L’Italia e la concorrenza cinese
7.7.1 Bombyx mori è volato di nuovo in Cina
7.7.2 Il fenomeno di Prato
7.7.3 Il superato monumento alla sedia di Manzano in Friuli
7.8 Notizie dallo Shanxi: il culto della beata Pallotta
7.9 I gusti alimentari cinesi stanno cambiando
7.9.1 L’azienda vinicola Grace
7.9.2 L’impresa per latticini Yili
8. Uno sguardo al futuro
8.1 Non sarà mai più come in passato
8.2 Esempi utili
8.2.1 Il palazzo imperiale di Shenyang
8.2.2 L’Accademia internazionale di pianoforte di Como
8.3 Divagazione sul tema: i figli di Mussolini in Cina
8.4 Vale la pena studiare cinese?
Indice dei nomi
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Prefazione
di Federico Masini
La storia delle relazioni fra il nostro paese e la Cina vanta un primato
unico fra i paesi del mondo occidentale; infatti, fin dall’epoca degli antichi
Romani gli abitanti della penisola italiana hanno avuto, direttamente o indirettamente, rapporti prima commerciali e poi, nel corso dei secoli, politici,
religiosi e culturali con gli abitanti dell’Asia orientale. È una storia lunga e
affascinante, alla quale sono state dedicate alcune opere storiche, ma che,
in alcune parti, ancora attende di essere descritta in dettaglio.
L’Italia per molti secoli è stata il paese che meglio di altri ha interpretato
il ruolo di mediatrice fra il mondo cinese e il continente europeo. Solo nell’Ottocento passò idealmente il testimone alle nuove potenze europee, la
Gran Bretagna, la Francia e la Germania, e poi successivamente agli Stati
Uniti d’America, che durante quel secolo ebbero più intensi e a volte
cruenti rapporti con l’Impero cinese. Nel Novecento, soprattutto dopo la
Seconda guerra mondiale, l’Italia divenne un paese piccolo, non solo geograficamente, ma anche politicamente e culturalmente, e la storia dei suoi
rapporti con la Cina perse l’importanza cruciale che aveva rivestito nei
millenni precedenti.
Questo libro è dedicato proprio al racconto dei rapporti fra la Repubblica italiana e la neonata Repubblica popolare cinese, due Stati sovrani
che proprio verso la metà del XX secolo si affacciavano nella storia, come
due giovani repubbliche che però potevano entrambe vantare storie millenarie di cultura e di scienza. Fu un incontro complesso e articolato, dettato
dal contesto internazionale e dalle posizioni di altri paesi, l’Unione Sovietica
e gli Stati Uniti, piuttosto che da scelte autonome e indipendenti. Eppure
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ITALIA E CINA, 60 ANNI TRA PASSATO E FUTURO
è anche questa, al pari della storia dei secoli precedenti, una narrazione
che merita grande attenzione e che fino a oggi non era mai stata raccontata
in tutti i suoi aspetti. Vengono alla luce, per la prima volta, risvolti sconosciuti dei tortuosi rapporti fra i vari partiti marxisti-leninisti italiani e il
Partito comunista cinese, e soprattutto fra il Pci e i comunisti cinesi. Apprendiamo in dettaglio l’importanza che eventi a carattere culturale o giornalistico, come il documentario di Antonioni sulla Cina o l’intervista della
Fallaci a Deng Xiaoping, hanno avuto non solo per l’Italia e la Cina, ma in
tutto il contesto internazionale. Leggiamo sconsolati gli eventi di politica
bilaterale, trovando conferma del basso profilo della nostra politica estera
nei primi decenni di relazioni.
I fatti storici possono essere raccontati da coloro che hanno studiato le
carte, i libri o i documenti scritti da altri, oppure possono essere studiati e
narrati da chi, in qualche misura, ne fu direttamente spettatore e partecipe.
È proprio questo il caso di Mario Filippo Pini, autore di questo volume,
che per oltre trentacinque anni ha prestato servizio come diplomatico in
Asia orientale, essendo infatti entrato nei ranghi del Ministero degli Esteri
nel 1970 tramite un concorso che prevedeva anche una prova di cinese,
lingua che aveva studiato presso l’Università di Harvard negli Stati Uniti.
Durante tutta la sua carriera ha continuato poi a dedicarsi con tenacia allo
studio della lingua e della cultura cinese, mettendo le sue conoscenze al
servizio delle relazioni fra il nostro paese e la Cina. Nel 1971 iniziò la sua
carriera lavorando presso la nostra ambasciata a Pechino al momento dell’apertura e poi prestandovi servizio, a più riprese, come consigliere commerciale e ministro; è stato quindi rappresentante italiano a Taiwan e infine
console generale a Shanghai.
Sono quindi particolarmente lieto di presentare questo volume che dimostra l’intelligenza e la determinazione di un diplomatico che ha deciso
di mettere a frutto, a beneficio di un più largo pubblico, la sua conoscenza
e la sua straordinaria esperienza in Cina. Pini, infatti, affronta la narrazione
non semplicemente in qualità di storico che ha letto gli avvenimenti sulle
carte, ma come spettatore di molti degli eventi raccontati. Molti personaggi
di cui qui leggiamo sono stati da lui incontrati personalmente. Il libro,
quindi, si colloca a mezza via fra un’opera di puntuale ricostruzione storica
e un testo di memorie personali. A volte il lettore si potrà accorgere di
come un evento di valore storico sia raccontato anche con aneddoti e fatti
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Prefazione
di vita vissuta, che solitamente non trovano spazio nei libri di storia. La
storia dei tanti uomini diventa così storia personale. Nelle pagine di Pini, i
fatti lontani nel tempo e nello spazio si avvicinano a noi fino a diventare
storie di esseri umani: ci accostiamo così tanto alla storia, che ne vediamo
le più piccole parti, e ci accorgiamo che in fondo è sempre fatta da uomini
e donne, con i loro vizi e le loro intelligenze.
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Introduzione
Quarant’anni fa lavoravo nell’ambasciata che il governo italiano aveva
appena aperto nella periferia orientale di Pechino. Nello stesso momento
nella periferia occidentale di Pechino alcuni italiani, simpatizzanti del
maoismo, lavoravano non per il nostro governo ma per quello cinese come
traduttori. Sempre in quell’anno ricorreva il ventesimo anniversario della
condanna a morte, immediatamente eseguita a Pechino, dell’italiano
Antonio Riva accusato dal regime comunista di essere stato una spia per
gli americani e di aver complottato di assassinare Mao e altri leader cinesi.
Queste cose e tante altre ancora le ho scoperte solo molti anni dopo,
quando ho cominciato a fare ricerche sugli italiani nella Repubblica
popolare cinese (Rpc). Evidentemente il campo dei rapporti italo-cinesi è
sempre stato poco noto, non solo al largo pubblico, ma anche a chi, come
me, ha prestato servizio come diplomatico in Cina a lungo. Mi auguro
quindi che questo libro dedicato all’Italia e alla Repubblica popolare
cinese sia di interesse per tutti coloro che provano curiosità per i risvolti
recenti della nostra storia in quel lontano paese.
Fino a oggi sono stati pubblicati molti saggi che toccano aspetti specifici
delle relazioni tra l’Italia e la Cina, ma vi sono pochi lavori che coprono
determinati periodi storici in maniera complessiva, e nessuno concentrato
sugli ultimi sessant’anni, quelli della Repubblica popolare cinese. Una delle
ragioni di questa lacuna forse deriva dal fatto che una trattazione approfondita di un particolare periodo, specialmente quello più recente così ricco
di sfaccettature, dovrebbe tenere conto di un notevole numero di argomenti, adatti non per un unico libro ma per una serie di libri: uno sulla storia diplomatica, uno sui rapporti economici, uno sull’emigrazione cinese,
uno sui rapporti culturali e così di seguito.
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ITALIA E CINA, 60 ANNI TRA PASSATO E FUTURO
Nelle pagine di questo volume ho dovuto di conseguenza fare delle
scelte precise. Non potendo dare uguale spazio a tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali ho privilegiato, come filo conduttore, quello della storia
diplomatica vista attraverso gli occhi e le esperienze di vari protagonisti.
Ho ridotto al minimo altri temi importanti, e ho lasciato spazio solo a due
di essi che mi sono sembrati necessari per il tipo di narrazione scelto. Mi
riferisco ai rapporti tra il Partito comunista italiano e quello cinese fin
dall’inizio delle rispettive esistenze, il lontano 1921, e ai rapporti del nostro paese con la Repubblica di Cina (Roc) a Taiwan. Il Pci e il Pcc hanno
avuto esistenze assai diverse, ma furono fin dall’inizio collegati al Comintern e al movimento per la rivoluzione mondiale. Mi è parso pertanto pertinente al discorso generale vedere fino a che punto quella fratellanza
teorica aveva prodotto risultati pratici. La Rpc afferma che la Roc è parte
integrante del proprio territorio, ma nella realtà concreta fino a oggi esistono “due Cine”, così interdipendenti che le nostre relazioni con la prima
inevitabilmente toccano anche le nostre relazioni con la seconda, e quindi
mi sono occupato di entrambe. Per l’ultimo decennio, dal 2000 in poi, ho
infine concentrato l’attenzione sui grandi temi del giorno d’oggi: le difficoltà che abbiamo di stare al passo in Cina con gli altri maggiori paesi europei nell’era della globalizzazione, e i limiti che incontriamo quando
abbiamo a che fare con la Repubblica popolare, in questo nuovo secolo
nel quale la Cina sta assumendo dimensioni gigantesche nello scenario
mondiale.
Quando ho iniziato a scrivere ho dovuto decidere dove collocare, dal
punto di vista temporale, l’inizio della narrazione. La Rpc è stata fondata
il primo ottobre del 1949, ma non mi pareva possibile illustrare quello che
era successo a partire da quel momento senza una base, senza raccontare
quello che era avvenuto prima di quella famosa data. Ma quanto andare
indietro? Alla fine, dopo vari tentativi, nessuno dei quali mi ha soddisfatto,
ho deciso di partire dalla notte dei tempi. Ho cioè dedicato il primo capitolo all’intero passato, agli aspetti più importanti dei nostri contatti con la
Cina dall’epoca dell’Impero romano fino alla Seconda guerra mondiale.
Comprimere 2000 anni in un unico capitolo mi ha costretto a un notevole
sforzo riduttivo. Per il lontano passato ho per esempio accennato solo a
Marco Polo e Matteo Ricci, ignorando tanti altri italiani che avrebbero meritato la stessa attenzione di quei due noti personaggi. Basterebbe pensare
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Introduzione
al gesuita Giuseppe Castiglione (1658-1766) che visse alla corte dei Qing
più di cinquant’anni e ci ha lasciato dipinti di valore.
Mi auguro comunque che le basi che ho posto, nonostante gli inevitabili
limiti, siano di qualche utilità per meglio inquadrare quello che è successo
in tempi più vicini a noi.
Per quanto riguarda le fonti, come il lettore potrà facilmente notare,
non ho potuto fare a meno di attingere alla mia memoria e alle mie esperienze personali. Tutti i fatti di rilievo che compaiono in questo libro, tuttavia, sono sostenuti da interviste a protagonisti, da riferimenti a
documenti, libri, saggi, articoli e siti web. In particolare ho fatto ricerche,
da solo o con l’aiuto di altri, in diversi archivi, in Italia e all’estero, compreso
l’Archivio del Ministero degli Esteri della Rpc a Pechino, ormai consultabile fino a parte degli anni Sessanta. Il Ministero italiano degli Affari esteri
non permette agli studiosi la consultazione di documenti recenti, e per il
periodo successivo al 1972 ho di conseguenza fatto largo uso di una pubblicazione ufficiale annuale dal titolo Testi e documenti sulla politica estera
dell’Italia che raccoglie, come indicato dal titolo stesso, materiale che il Ministero degli Affari esteri ritiene di poter offrire al pubblico senza le attese
di rito comuni sia al nostro sistema che a quello degli altri paesi.
Roma, marzo 2011
Avvertenza
Il sistema di trascrizione dei nomi cinesi qui adottato è quello ufficiale del governo della Repubblica popolare cinese, noto col nome di hanyu pinyin, con la sola eccezione di alcune forme
italianizzate ormai invalse nell’uso: Pechino, Nanchino, Chiang Kaishek, Sun Yatsen ecc.
Le traduzioni dei testi cinesi e inglesi sono a cura dell’autore.
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Capitolo primo
Uno sguardo al passato
Un aneddoto: i cinesi si ricordano di Lucio Wu
Nel 1724 un sacerdote a nome Matteo Ripa tornò dalla Cina in Italia via
mare, portandosi dietro quattro giovani cinesi, due dei quali ancora bambini,
per avviarli al sacerdozio. Questi quattro cinesi formarono il primo nucleo del
Collegio dei cinesi 1 di Napoli, un’istituzione che con il passare del tempo preparò ai voti più di cento giovani dalla lontana Cina. Il più giovane del gruppetto
che Matteo Ripa si era preso al seguito aveva solo dieci anni e si chiamava
Lucio Wu. Il piccolo Lucio creò problemi a Ripa già durante il difficile viaggio
e poi non si adattò alla vita oppressiva del collegio religioso. Si lamentava di
non aver abbastanza da mangiare e pochi vestiti malandati per coprirsi. Magari
tutti i torti, a protestare, Lucio Wu non ce li aveva. Chi è stato in certi istituti
religiosi e non religiosi, nemmeno in tempi tanto lontani, sa per esperienza
personale che il vitto elargito nelle mense dei convitti non è esattamente
quello di alberghi a cinque stelle. Figuriamoci come dovevano essere trattati i
poveri cinesi nella Napoli bigotta del Settecento.
Gli esseri umani reagiscono in modo diverso alle difficoltà. Mentre i compagni di Lucio Wu bene o male tennero duro e dopo molti anni furono rispediti
in Cina per svolgere il loro ministero, Lucio Wu scelse la scorciatoia delle fughe
e dei piccoli imbrogli. Alla fine, riacciuffato tutte le volte, nel 1746 fu rinchiuso
a Castel Sant’Angelo dove morì diciassette anni dopo, nel 1763, a quarantanove anni.
1
Il Collegio dei cinesi dopo la riunificazione divenne l’Università “L’Orientale” di Napoli,
la scuola di sinologia e orientalistica che esiste ancora oggi.
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ITALIA E CINA, 60 ANNI TRA PASSATO E FUTURO
Questa, per sommi capi, la storia di Lucio Wu. Certamente egli non
aveva la tempra necessaria per sopravvivere nell’ambiente in cui era capitato.
Ma rimane il fatto che, al giorno d’oggi, i pasticci che combinò non gli avrebbero certo procurato quello che in pratica fu il suo ergastolo nella Mole
adriana. Quando entrò a Castel Sant’Angelo, Lucio aveva trentadue anni.
Un testimone del tempo lo descrive come basso di statura, olivastro, senza
barba: caratteristiche, queste, comuni a molti orientali. Doveva avere ricordi
nebulosi del paese che aveva lasciato ventidue anni prima. Doveva essere totalmente isolato dal mondo che lo circondava, con un profondo senso di disperazione e impotenza.
I turisti che passano a frotte tutti i giorni sotto Castel Sant’Angelo certo
non conoscono la patetica storia del cinese costretto alla via del sacerdozio
senza vocazione, chiuso dentro le massicce mura sopra la loro testa, quasi
250 anni fa. Ho provato a cercare su internet notizie in italiano riguardanti
Lucio Wu, ma non ho trovato niente. Sono stato più fortunato in cinese,
perché ho trovato subito una lunga e accurata descrizione delle sue vicissitudini 2. Questo forse perché i cinesi per tradizione hanno memoria lunga e
una certa tendenza a tenere liste accurate dei torti subiti, partendo, quando
possono, dai tempi più antichi. Caratteristica, questa, che ha un suo valore
anche per l’ampia trattazione che sto per affrontare: i rapporti tra l’Italia e
la Cina.
1.1 Gli antichi Romani, Marco Polo e Matteo Ricci
Le relazioni tra il popolo italiano e il popolo cinese sono di antica data. Invero, l’Italia può a buon diritto rivendicare una primogenitura nei contatti
tra l’Europa e la Cina. Fin dal 166 d.C. l’Imperatore Marco Aurelio Antonino inviò nella vostra terra una ambasceria, a suggello dei rapporti commerciali che esistevano da secoli fra i due principali centri della civiltà di
allora.
Nel 1275, un altro italiano, il veneziano Marco Polo, richiamò sulla Cina
l’attenzione del mondo. Egli risiedette nel vostro paese per ben 17 anni, e
descrisse le sue esperienze in un libro che, originariamente intitolato Catai,
venne poi dai suoi contemporanei chiamato Il Milione. Innumerevoli sono
2
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Cfr. http://michelle0312.ycool.com/
Uno sguardo al passato
le rivelazioni che esso contiene sulla vostra meravigliosa civiltà, di cui allora
l’Europa aveva solo qualche vaga notizia3.
Dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Repubblica popolare cinese queste parole compaiono e ricompaiono di tanto
in tanto, in versioni più o meno simili, decennio dopo decennio, nei discorsi
e durante i brindisi non solo dei politici italiani, ma anche di quelli cinesi.
Vengono usate perché rappresentano almeno una parte di quello che sopravvive, ancora oggi, nella memoria collettiva italiana e cinese, dei rapporti
che abbiamo avuto fin dai tempi più lontani; e forse anche perché fanno
contenti tutti senza toccare questioni in qualche modo controverse. Dopo
tutto gli italiani e i cinesi non fanno altro che congratularsi a vicenda per
l’appartenenza al club ristretto dei paesi di antica e famosa civiltà. Noi italiani, è vero, ci diamo un po’ di importanza attribuendoci il merito di
essere stati i primi occidentali a mandare ambascerie in Cina. I cinesi, che
per parte loro non si preoccuparono mai molto di mandare ambascerie o
mercanti nella lontana Europa, non se la prendono a male per il nostro
primato in esclusiva, perché tutti sanno che, quando Marco Polo arrivò
nel lontano e misterioso Catai, trovò laggiù una civiltà strabiliante, molto
più ricca e avanzata di quanto avesse mai visto prima.
Se guardiamo più da vicino le affermazioni di Giuseppe Medici, vediamo
che mettono insieme notizie vaghe e dal dubbio valore storico insieme ad
altre più attendibili. “L’ambasceria” di Marco Aurelio, probabilmente, fu
costituita solo da mercanti provenienti da qualche parte del bacino del
Mediterraneo, che si spacciarono per messi imperiali, per fare migliori affari4. La semplice realtà è che, per lo meno per quanto ne sappiamo fino a
oggi, nessuno degli abitanti della Cina visitò l’Impero romano; nessun suddito dell’Impero romano – tra quelli che probabilmente arrivarono fino in
Cina come mercanti – ci ha lasciato una relazione scritta sulle esperienze
fatte e sulle cose viste5. I Romani sapevano, in maniera assai vaga e indiretta,
3
Da un brindisi che il ministro degli Esteri Giuseppe Medici fece a Pechino nel 1973, in
Testi e documenti sulla politica estera dell’Italia, pubblicato dal Ministero degli Affari esteri
(Mae), 1973, p. 175.
4
G. Bertuccioli, F. Masini, Italia e Cina, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 5.
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Ibidem.
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ITALIA E CINA, 60 ANNI TRA PASSATO E FUTURO
qualcosa dei cinesi, conosciuti come seres, i lontani abitanti del paese della
seta. Anche i cinesi sapevano, in modo altrettanto nebuloso e indiretto,
che all’altro capo del mondo c’era un altro grande Impero. Ma i dati concreti e attendibili che viaggiavano di bocca in bocca, dalla penisola italiana
fino all’estremità dell’Asia orientale, e viceversa, erano assai pochi, sommersi
e confusi da notizie fantasiose in qualche modo raccolte lungo il percorso
nei due sensi.
In effetti, per avere notizie attendibili sulla Cina, bisogna lasciare i Romani e arrivare al XIII secolo, facendo un salto in avanti di quasi mille
anni. Gli imperatori mongoli della dinastia Yuan (1271-1368) sul trono a
Pechino, tolleravano le differenti religioni ed erano disposti a impiegare al
proprio servizio stranieri come turchi, persiani e perfino europei, forse anche perché si fidavano assai poco dei sudditi cinesi da poco sottomessi e
profondamente ostili ai nuovi dominatori provenienti da una civiltà nomade
assai inferiore alla loro. Grazie ai mongoli, tanto odiati dai cinesi, nello
scorcio che va dagli ultimi decenni del 1200 alla metà del 1300, mercanti e
religiosi occidentali, probabilmente in maggioranza italiani, viaggiarono
via terra, attraverso l’Asia, o via mare fino alla Cina. Marco Polo, che è
stato soltanto il più famoso, certamente non immaginò mai, nemmeno
lontanamente, quante volte il suo nome sarebbe stato ripetuto da politici
italiani e cinesi tanti secoli dopo la sua morte.
Dopo il rovesciamento dei mongoli si susseguirono in Cina due grandi
dinastie, prima i Ming e poi i Qing, che governarono in successione per
ben 543 anni, fino al 1911. È un periodo molto lungo e, almeno fino al
XVIII secolo, glorioso per la Cina ammirata in Occidente per la sua
cultura e per le sue istituzioni. Purtroppo fu anche un periodo in cui essa,
per lo meno fino alla metà del XIX secolo, si mosse in controtendenza rispetto all’Occidente: una visione ristretta e un atteggiamento orgoglioso
e presuntuoso portarono la Cina a chiudersi progressivamente sempre di
più nei confronti del mondo esterno, proprio mentre l’Europa cominciava
la sua spinta aggressiva e colonialista verso tutti gli altri continenti.
I gesuiti furono i primi religiosi occidentali che cercarono di avvicinarsi
alla Cina, quando il paese non era più sotto la dominazione mongola ed
era deciso a tenere gli stranieri fuori dai propri confini. Per penetrare ed
effettuare conversioni, essi giunsero alla conclusione che fosse necessario
avvicinare quel grande popolo con rispetto, studiando in maniera appro22