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L’ Indis, Istituto nazionale distribuzione e servizi, è l’organismo tecnico
dell’Unione italiana delle Camere di commercio (Unioncamere)
al quale è demandata l’attività di studio e promozione del settore
distributivo-commerciale e dei servizi.
L’Istituto assolve a tale compito istituzionale promuovendo,
o eseguendo direttamente, studi e ricerche; organizzando
conferenze, convegni e seminari di studi; divulgando, attraverso proprie
pubblicazioni, informazioni statistico-economiche e giuridiche sul settore
commerciale.
In quest’ambito si colloca la rivista “Disciplina del commercio e dei
servizi” che si propone quale strumento d’informazione, per gli operatori
pubblici e privati, relativamente alla produzione legislativa, giuridica
e giurisdizionale, con riferimento anche all’ambito comunitario,
inerente al composito mondo delle attività commerciali.
L’Indis ha sede a Roma, Piazza Sallustio, 21
tel. 06·4704502 • fax 06·4704526 • e-mail: [email protected]
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Direttore Responsabile
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Emanuela Caneponi
Gianfranco Cardosi
Amedeo Del Principe
Elena Fiore
Serenella Milia
Daniela Paradisi
Andrea Sammarco
Alessandro Selmin
Enzo Maria Tripodi
Comitato Scientifico
Giuseppe Caia, Mario Chiti, Marcello Clarich, Carlo Emanuele Gallo, Potito Jascone, Marco
Maceroni, Claudio Malavasi, Fabio Merusi, Fabio A. Roversi-Monaco, Enzo Santucci, Roberto
Sbrana, Federico Tedeschini, Riccardo Varaldo, Andrea Zanlari
Rete dei corrispondenti regionali Indis
Fausta Emilia Clementi (Abruzzo), Lorenzo Affinito (Basilicata), Natina Crea (Calabria),
Giovanni Miele (Campania), Paola Castellini (Emilia-Romagna), Terzo Unterwegen Viani
(Friuli-Venezia Giulia), Riccardo Monachesi (Lazio), Serenella Milia, Roberto Raffaele Addamo
(Liguria), Franco Pozzoli, Giuseppe Pannuti (Lombardia), Pietro Talarico, Nadia Luzietti, Oscar
Schiavon (Marche), Luca Marracino, Manlio Palange (Molise), Patrizia Vernoni, Giacomo
Orlanda (Piemonte), Pietro Trabace, Teresa Lisi, Angelo Vincenti (Puglia), Maria Cristina Paderi
(Sardegna), Giuseppe Giudice, Franco Virgillito (Sicilia), Silvana Adriana Panetta (Toscana),
Antonella Tiranti, Francesco Nesta, Andrea Kaczmarek (Umbria), Enrico Di Martino (Valle
d’Aosta), Giacomo De’ Stefani, Giorgia Vidotti (Veneto), Alessandro Melchiori (Prov. autonoma
di Bolzano), Marzio Maccani (Prov. autonoma di Trento)
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Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori,
dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti.
Gli autori garantiscono la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo
da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi
che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti.
SOMMARIO 4/2014
Editoriale .......................................................................................... pag. 15
Dottrina
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale:
prospettive e scenari
Andrea Kaczmarek............................................................................»
Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana
Gianfranco Cardosi...........................................................................»
Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
Andrea Girella..................................................................................»
Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
Enzo Maria Tripodi............................................................................»
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Repertorio di giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi
Somministrazione di alimenti e bevande – Occupazione del suolo
pubblico – Subentro – Abusivismo.
T.A.R. Lazio – Roma, sez. II-ter, 6 agosto 2014, n. 8705....................» 79
Sanità e sanitari – Centro di diagnostica – Uso diverso dei locali –
Somministrazione di medicinali.
T.A.R. Sicilia – Catania sez. IV, 2 settembre 2014, n. 2296..............» 83
Concessione cimiteriale – Sepoltura gentilizia – Atti di ritiro della concessione – Decadenza sanzionatoria.
T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. III, 12 agosto 2014, n. 2175..................» 90
Rassegna Di Giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi
Le forme speciali di vendita...............................................................» 93
Come agire
Circoli: sintesi di controlli (parte 1)
Elena Fiore........................................................................................» 115
Normativa nazionale
.........................................................................................................» 127
Circolari e Pareri
Termini di ricevibilità dei ricorsi gerarchici impropri, in materia di attività di mediazione, agenzia, mediazione marittima, spedizione e di
periti ed esperti.
Circolare Ministero dello sviluppo economico 15 ottobre 2014 n.
3675/C..............................................................................................»
Esercizio attività commerciale da parte di cittadino extracomunitario
Parere Ministero dello sviluppo economico 8 ottobre 2014
prot. 17554.......................................................................................»
Articolo 20, comma 7-bis del d.l. 24.6.2014 n. 91, convertito con la
legge 11.8.2014, n. 116. Richiesta di iscrizione nel Registro delle imprese sulla base di atto pubblico o scrittura autenticata
Circolare Ministero dello sviluppo economico 19 settembre 2014, n.
3673/C..............................................................................................»
D.P.R. 9 luglio 2014, 159 – Regolamento recante i requisiti e le modalità di accreditamento delle agenzie per le imprese, a norma dell’articolo 38, comma 4 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. – Modalità di trasmissione delle dichiarazioni di conformità al SUAP
Nota Ministero dello sviluppo economico 4 settembre 2014 ............»
Attività di commercio all’ingrosso – Verifica requisiti soggettivi
Ris. Min. dello sviluppo economico 23 giugno 2014, n. 114972........»
Parere in merito al funzionamento di apparecchiature self-service con
pagamento anticipato
Ris. Min. dello sviluppo economico 11 giugno 2014, n. 108496........»
Parere in merito agli orari dei distributori di carburanti
Ris. Min. dello sviluppo economico 17 giugno 2014, n. 108679........»
Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 – Esercizio dell’attività di
vendita da parte degli imprenditori agricoli – Sanzioni
Ris. Min. dello sviluppo economico 10 giugno 2014, n. 107841........»
Decreto legislativo 26 marzo 2010 – Sospensione attività di somministrazione di alimenti e bevande
Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101224........»
D.P.R. 2010, n. 159. Ambiti di operatività degli organismi accreditati
per l’esercizio dell’attività di Agenzia per le Imprese. Quesito
Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101227........»
Quesito in ordine al concetto di “pastigliaggi”
Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101231........»
Art. 1 D.P.R. 19 dicembre 2001, n. 481 – Noleggio veicoli senza conducente on-line – Quesito
Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101242........»
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Attività di vendita on-line di programmi software per elaboratori elettronici – Richiesta parere
Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101229........» 138
Normativa regionale a cura di Emanuela Caneponi
.........................................................................................................» 155
• Lombardia
Creatività e commercio: spazi espositivi per l’attrattività territoriale. Attuazione del piano d’azione per la moda e il design 2014-2015 – Deliberazione della
giunta regionale 14 novembre 2014, n. X/2644
• Marche
L.r. n. 27/2009 “Testo unico in materia di commercio” Periodi delle vendite di
fine stagione – Anno 2015 – Deliberazione della giunta regionale 27 ottobre
2014, 1197
• Piemonte
Approvazione di criteri e modalità per la Misura 5 – Programmi di Qualificazione Urbana – “Percorsi urbani del commercio” – Deliberazione della giunta regionale 18 novembre 2014, n. 20-587
• Prov. autonoma di Trento
Individuazione delle caratteristiche dei mercati tipici ai sensi del comma 2,
dell’art.18 della L.p. n. 17/2010 – Deliberazione della giunta provinciale 8 settembre 2014, n. 1559
Criteri e modalità per la qualificazione delle manifestazioni fieristiche in “internazionali”, “nazionali” e “locali” e individuazione delle condizioni di svolgimento delle manifestazioni fieristiche – Deliberazione della giunta provinciale 8
settembre 2014, n. 1560
• Umbria
Bando pubblico per la concessione di contributi per le imprese commerciali e
artigianali costituite in Centri Commerciali Naturali innovativi e stabili nelle aree
dei centri storici così come delimitate dal Comune di Perugia e dal Comune di
Terni – Deliberazione della giunta regionale 24 novembre 2014, n. 1505
• Veneto
Bando per il finanziamento di progetti – pilota finalizzati all’individuazione dei
distretti del commercio ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 50/2012 – Deliberazione
della giunta regionale 14 ottobre 2014, n. 1912, Allegato A
Cronache regionali a cura di Silvana Adriana Panetta
Vendite promozionali e di fine stagione............................................. »161
Cronache comunali
Il nuovo regime autorizzatorio delle attività di spettacolo e delle manifestazioni dopo l’entrata in vigore dell’accordo del 5.8.2014, n. 91
Claudio Malavasi...............................................................................» 175
Disciplina comunitaria a cura di Emanuela Caneponi
.........................................................................................................» 201
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di
altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo
semestre – Legge 7 ottobre 2014, n. 154
Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis – Legge 30 ottobre 2014, n. 161
Libera circolazione dei lavoratori
Misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro
della libera circolazione dei lavoratori – Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/54/UE
Valutazione di impatto ambientale (VIA)
Modifica della Direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/52/UE
Tutela dei viaggiatori
Risultati dell’azione esecutiva coordinata per un maggior rispetto dei diritti dei
consumatori sui siti web di viaggi – Commissione europea 14 aprile 2014
Abusi di mercato
Abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) che abroga la Direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le Direttive 2003/124/CE,
2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione - Regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 596/2014
Sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato - Direttiva del Parlamento e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/57/UE
Tutela dei consumatori
Attuazione della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle Direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/
CEE e 97/7/CE. - Decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21
Small Business Act
Una forte politica europea di sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) e agli
imprenditori (2015-2020) - Consultazione pubblica della Commissione europea
sullo “Small Business Act”, 8 settembre 2014
Registrazione marchi comunitari
Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Articolo 3, paragrafo 1, lettera e) – Diniego o
nullità della registrazione – Marchio tridimensionale – Sedia da bambino regolabile “Tripp Trapp” – Segno costituito esclusivamente dalla forma imposta dalla natura del prodotto – Segno costituito dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto – Corte di giustizia europea 18 settembre 2014 (causa C‑205/13)
Etichettature dei prodotti alimentari
Consultazione pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari - Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestale (MIPAAF) 7 novembre 2014
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Hanno collaborato a questo numero:
EMANUELA CANEPONI
Consulente legislativa, coordinatrice della rete regionale del commercio
GIANFRANCO CARDOSI
Dirigente del settore attività produttive, concessioni e turismo del Comune di Viareggio (a r.)
ELENA FIORE
Comandante polizia municipale di Forlì
ANDREA GIRELLA
Ufficiale della Guardia di Finanza
ANDREA KACZMAREK
Consulente di enti locali
CLAUDIO MALAVASI
già Comandante di Polizia Municipale – Dottore commercialista – Revisore legale –
Direttore CRI Emilia-Romagna e Lombardia
SILVANA ADRIANA PANETTA
Funzionario Regione Toscana
ENZO MARIA TRIPODI
Coordinatore INDIS-Unioncamere
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Editoriale
Per un nuovo volto della semplificazione… appuntamento al 2017
Nel periodico “Regioni.it”, del 2 dicembre 2014, è riportata la notizia che il
Governo, di recente, in attuazione dell’articolo 24 del decreto-legge n. 90/2014,
convertito dalla legge n. 114/2014, ha approvato “l’Agenda per la semplificazione, per il triennio 2015-2017”, che contiene le linee di indirizzo, condivise tra
Stato, Regioni ed Enti Locali e il crono-programma di relativi adempimenti, volti
ad assicurare un’effettiva realizzazione di obiettivi di semplificazione, indispensabili per recuperare il ritardo competitivo dell’Italia, liberare risorse per tornare
a crescere e cambiare realmente la vita di cittadini e imprese. La citata Agenda
ha, per oggetto, cinque settori strategici, individuati in: 1) cittadinanza digitale,
2) welfare e salute, 3) fisco, 4) edilizia, 5) imprese.
Il successo dell’iniziativa, adottando logiche di risultato, sarà valutato non tenendo conto del numero delle norme introdotte od eliminate, ma dell’effettiva
riduzione dei costi e dei tempi connessi ai vari adempimenti amministrativi che
gravano su cittadini ed imprese. È stabilito che i risultati vengano resi noti ed accessibili on-line, allo scopo di permettere un costante coinvolgimento, sul tema
della semplificazione, di cittadini e imprese.
Le azioni previste nell’Agenda per sgravare di oneri burocratici le imprese
hanno, quale obiettivo base, quello di ridurre costi e tempi per l’avvio e l’esercizio delle singole attività di impresa, attraverso azioni quali, ad esempio: l’affiancamento degli operatori nella gestione di procedure complesse; la verifica della operatività degli sportelli unici per le attività produttive (SUAP) e delle procedure ambientali; il taglio dei tempi per lo svolgimento di conferenze
dei servizi, ecc.
Il crono-programma risulta così temporalmente articolato:
- semplificazione e standardizzazione della modulistica degli sportelli unici
e diffusione di linee guida per agevolare le imprese: giugno 2016 (a nostro modesto avviso il termine sembra essere eccessivamente lungo e sarebbe stato forse meglio prevederlo entro giugno 2015, con la seguente scansione temporale:
modulistica unica nazionale, com’è esistita senza inconvenienti fino agli anni ’90,
per il commercio al dettaglio, ingrosso, su aree pubbliche – entro febbraio 2015;
pubblici esercizi – bar-ristoranti – alberghi – stabilimenti balneari, ecc. – entro
aprile 2015; attività artigianali – acconciatori – tassisti – parrucchieri, ecc. – entro maggio 2015; altre attività di impresa, giugno 2015);
- creazione di un “modulo” per ottenere celermente, e con semplicità, l’autorizzazione unica ambientale (AUA): giugno 2015;
- ricognizione sistematica, per area di regolazione, delle procedure per l’avvio delle attività di impresa, con individuazione dei casi oggetti di SCIA e di si-
13
Editoriale
lenzio assenso: ricognizione delle prime aree di intervento, entro giugno 2015;
completamento dell’operazione, entro marzo 2016;
- semplificazione delle numerose autorizzazioni e nulla osta necessari per
l’avvio delle attività di impresa Un primo pacchetto di interventi da emanare entro dicembre 2015; completamento entro dicembre 2016.
Speriamo, sulla scia di un vecchio detto toscano che “almeno questa sia la
volta buona!” e che, con l’Agenda voluta dal Governo, si riesca finalmente a mettere in campo e concludere un serio progetto-programma di semplificazione, che
riformi la pubblica amministrazione ed elimini lacci e laccioli inutili, e tutti quei
ritardi ed inefficienze che sono causa, da sempre, della arretratezza della macchina pubblica.
Il previsto coinvolgimento, nell’operazione di semplificazione, di cittadini ed
imprese, dovrebbe poter portare a superare anche quello stato di difficoltà con
il quale è stato guardato l’istituto della DIA, oggi SCIA, di cui all’articolo 19 della
legge n. 241/1990, aggravato da una espressa previsione di un “potere generalizzato” di autotutela da parte della pubblica amministrazione, ed a dare slancio
e valorizzazione all’istituto del silenzio-assenso, divenuto istituto ad applicazione
generale grazie alla riforma introdotta, nel lontano 2005, nella legge n. 241/1990
e, purtroppo, assai poco perfezionato e seguito.
Per quanto riguarda il contenuto di questo numero della rivista, nella rubrica
riservata alla “dottrina” si registra l’intervento di Andrea Kaczmarek che, con l’articolo “Sentenze nn.125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale:prospettive e
scenari”, analizza il quadro che si è venuto a creare nelle competenze delle regioni in materia di autorizzazioni amministrative per il commercio, a seguito di dette
sentenze. L’autore tenta di spingersi oltre il contenuto delle sentenze, per cogliere
le nuove prospettive che oggi si presentano alle regioni che sono chiamate a colmare, tempestivamente, il vuoto normativo prodotto dalle decisioni della Corte
Costituzionale, in materia di governo del territorio, ai fini dell’insediamento e gestione di imprese commerciali, tenuto conto anche dei principi di liberalizzazione e semplificazione, quali emergono dalle decisioni della Corte Costituzionale.
Sull’argomento “Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana” si è intrattenuto Gianfranco Cardosi, che ha analizzato la recente legge n. 35/2014 con la
quale la Regione Toscana ha modificato ed integrato il vigente codice del commercio, approvato con l.r. n. 28/2005, e successive modifiche, per inserirvi una
“disciplina specifica” che riguarda, appunto, le fiere specializzate, riservate alla
vendita di oggetti di antiquariato che rappresentano, oggi, un sicuro punto di riferimento di una filiera commerciale, nel cui ambito si valorizzano competenze
professionali meritevoli di protezione e tutela.
Andrea Girella, nell’articolo “Frode in commercio, contraffazione ed altri reati connessi” esamina, in tutti i suoi aspetti quali, la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine; la contraffazione di indicazioni geografiche o
di denominazione di origine dei prodotto, ecc., il fenomeno della contraffazione alimentare, che risulta nuocere notevolmente ad un buon funzionamento del
mercato oltre che ad un corretto svolgimento degli scambi commerciali. Nello
14
Editoriale
scritto vengono esaminati gli elementi, sia soggettivi che oggettivi, che connotano le singole condotte penalmente punite, indicando le connesse pene relative,
le circostanze aggravanti e le pene accessorie, i rapporti con altri reati e le competenze a decidere in merito.
Enzo Maria Tripodi, nell’articolo “Sant’Antonio arriva anche da internet”,
presenta al lettore il tema delle vendite definite come “piramidali, di cui alla legge n.173/2005, anche sotto il profilo di una loro irregolare gestione. L’occasione
per un attento esame della materia che, tra l’altro, si sta oggi avvalendo anche di
strumenti telematici, connessi all’uso di internet, è stata fornita all’autore da alcuni recenti provvedimenti dell’Antitrust.
Nella rubrica dedicata al “Repertorio di giurisprudenza”, Giuliana Poleggi riporta il testo di interessanti decisioni di giudici amministrativi che riguardano: la
somministrazione di alimenti e bevande; la destinazione d’uso di locali nei quali vengono commercializzati “medicinali”, le concessioni cimiteriali, ecc. ecc.,
mentre nella rubrica riservata alla “Rassegna di giurisprudenza”, curata sempre
da Giuliana Poleggi, sono riportate sentenze che riguardano le forme speciali di
vendita; il commercio elettronico, gli impianti self-service per la distribuzione di
carburanti e le vendite effettuate a mezzo di distributori automatici.
Nella rubrica del “Come agire”, Elena Fiore, affronta l’argomento dei “Controlli nei circoli privati”, riferendosi sia alla libertà di associazione e sia alle autorizzazioni necessarie per la loro gestione , con riferimento anche ai requisiti igienico-sanitari e di sorvegliabilità, con un preciso accenno ad ipotesi di violazioni di normative vigenti.
Nella rubrica dedicata alla “Normativa nazionale”, sono indicati i provvedimenti che riguardano il settore del commercio e delle attività produttive, emanati nel trimestre settembre-novembre 2014, mentre nella rubrica dedicata a “Circolari e pareri”, sono riportati atti e provvedimenti del MISE, aventi attinenza con
la materia del commercio in generale.
Nella “Normativa regionale”, Emanuela Caneponi illustra l’iter normativo della proposta di legge (A.C. 750 A/R Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali) che introduce alcune limitazioni nella liberalizzazione degli
orari di vendita previsti dalla disciplina attualmente vigente. Nello scritto, vengono messi in luce i tratti più significativi della proposta, e sono ricordate al lettore
anche la normativa di recente approvata dalla Regione Piemonte (delib. n. 20547 del18 novembre 2014) concernente i “percorsi urbani del commercio”; la
delibera della Regione Lombardia (n. 10/2014) con la quale è stato approvato
un bando volto a promuovere l’attrattività e la competitività degli esercizi commerciali. Vengono inoltre presentati al lettore i recenti provvedimenti con i quali la Regione Veneto (delib n. 1912/2014) ha stabilito le regole per individuare
i distretti del commercio, a rilevanza sia comunale che intercomunale, la Regione Umbria ha fissato le regole per la concessione di contributi per la valorizzazione delle reti di impresa costituite dai centri commerciali naturali (in acronimo CCN), dotati di autonomia strutturale ed organizzativa, la Regione Marche
ha stabilito (delib. n.1197/2014) nuove regole per le vendite di fine stagione, e
15
Editoriale
la Provincia Autonoma di Trento (delibere nr. 1559 e 1570 del 2014) ha individuato le ulteriori caratteristiche che devono connotare i “mercati tipici”, per distinguerli dagli altri istituti similari.
Nella rubrica “Cronache regionali”, Silvana Panetta, con l’articolo “Vendite
promozionali e di fine stagione”, esamina il contesto economico e la disciplina
nazionale di dette vendite che, a causa dell’attuale contesto economico-finanziario e la perdurante situazione di recesso, tendono ad espandersi, sia per numero,
che per la durata. Sono passate in rassegna anche le normative di varie regioni
(Provincia Autonoma di Trento, Campania, Friuli Venezia Giulia, Umbria, EmiliaRomagna, Lombardia e Liguria), ed esaminato il problema della coesistenza delle vendite promozionali e di fine stagione, sorto a seguito della emanazione del
decreto legge n. 223/2006, che ha escluso la possibilità di prevedere limiti e divieti per le vendite promozionali. Un accenno è stato fatto anche al contenzioso
causato da alcune forme utilizzate per pubblicizzare dette tipologie di vendita,
tipo “occhio ai prezzi”, “la giusta scelta“ e simili, e si è cercato di individuare il
confine, peraltro assai incerto, tra libera politica dei prezzi e concorrenza sleale.
Non manca, nell’articolo, un accenno anche alla normativa comunitaria vigente.
Nelle rubrica “Cronache comunali”, Claudio Malavasi, nell’articolo “Il nuovo
regime autorizzatorio delle attività dello spettacolo e delle manifestazioni, dopo
l’entrata in vigore dell’accordo del 5.8.2014, n. 91”, dopo aver ricordato qual è il
vigente regime autorizzatorio che disciplina le attività di pubblico spettacolo ed
intrattenimento, ed indicato relativo sistema sanzionatorio, illustra i riflessi operativi prodotti dal recente accordo, approvato in sede di Conferenza Unificata il
5 agosto 2014, contenente le “linee di indirizzo sull’organizzazione dei soccorsi sanitari negli eventi e manifestazioni di qualsivoglia tipologia e connotazione,
soprattutto qualora gli stessi richiamino un rilevante afflusso di persone, in merito agli obblighi che gravano su enti ed organizzatori di detti eventi, in materia di
assistenza sanitaria. La problematiche è rilevante ed attuale tenuto conto della
frequenza con la quale vengono organizzati feste, sagre, concerti ed altre simili
iniziative, in luoghi pubblici od aperti al pubblico, con forte richiamo di pubblico che vi partecipa, attivamente o meno, e con montaggio ed allestimento di impianti ed attrezzature le più varie, per le quali non ci stancheremo mai di ricordare, fino a quando volontà e forze ci sosterranno, di tener presenti anche le “regole” scritte nel decreto interministeriale emanato dal Ministro del Lavoro e delle
Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Salute il 22 luglio 2014 (G.U.
n.183 dell’8 agosto 2014) del quale, purtroppo poco si parla (forse perché emanato nel cuore delle ferie estive, è passato inosservato o, come suol dirsi, è rimasto sotto silenzio? Speriamo, ovviamente, che l’interrogativo resti una mera supposizione e non si trasformi in una triste e deprecabile realtà!).
Gianfranco Cardosi
16
Dottrina
Le sentenze nn. 125/2014
e 165/2014 della
Corte Costituzionale:
prospettive e scenari
Andrea Kaczmarek
Consulente di enti locali
I
l presente contributo è volto a delineare il quadro che si è venuto a creare nelle
competenze delle regioni in materia di regolamentazione delle attività commerciali in seguito alle sentenze nn. 125 e 165 del 2014 della Corte Costituzionale,
tentando di andare oltre il mero contenuto di queste per cogliere quali nuovi orizzonti e prospettive si aprono per le regioni in relazione all’abbandono dell’ottica
di controllo quantitativo e dei profili di qualità degli insediamenti commerciali e di
alcuni strumenti ad essa correlati ed al pieno recepimento dei principi di massima
liberalizzazione e semplificazione: dall’incentivazione e la promozione a favore
delle imprese al governo del territorio.
Sommario: Introduzione. – 1. Procedura di autorizzazione per le grandi strutture di vendita. – 2. Requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita. – 3. Strutture di vendita
in forma aggregata – Poli commerciali. – 4. Regime autorizzatorio. – 5. Distribuzione
di carburanti. – 6. Esposizione dei prezzi presso gli outlet. – 7. Considerazioni. – 7.1.
– Regime di concorrenza. – 7.2. – Promozione della qualità. – 7.3. – Proporzionalità,
adeguatezza, semplificazione. – 7.4. – Previa conoscibilità. – 7.5. – Distribuzione di
carburanti. – Conclusioni
Introduzione
Ad una vera e propria rivoluzione copernicana, in materia di disciplina del commercio, abbiamo assistito nei mesi scorsi in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale n. 125 del 7 maggio 2014 e, soprattutto,
n. 165 dell’11 giugno 2014, relative alle normative regionali, rispettivamente, di Umbria e Toscana.
Con tali sentenze, infatti la Corte, procedendo nello sviluppo delle argomentazioni già presenti in precedenti pronunce, esprime principi la cui
portata, al di là della dichiarazione di illegittimità delle norme specificamente ad essa sottoposte, è tale da richiedere un ripensamento globale
17
Rivoluzione
copernicana
nella regolamentazione
del commercio
Andrea Kaczmarek
dell’approccio fino ad oggi seguito dalle regioni nella disciplina del commercio, minandone l’impalcatura in alcuni dei suoi profili più rilevanti.
Entrambe le sentenze, a ben vedere, poggiano prevalentemente sul principio della competenza statale esclusiva in materia di concorrenza di cui
all’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione con richiamo, a
seconda dei casi considerati, delle varie norme che ne costituiscono l’espressione o di altri principi generali (liberalizzazione, semplificazione,
ecc.) che contribuiscono a delineare il nuovo quadro normativo discendente dalla direttiva comunitaria n. 2006/123/CE e dal d.lgs. n. 59/2010.
Le due sentenze, pertanto, possono essere trattate congiuntamente nelle
brevi note che seguono che non vogliono essere una illustrazione o spiegazione di carattere tecnico dello svolgimento dei ricorsi, in merito ai
quali già molto è stato autorevolmente scritto, ma piuttosto un contributo
alla riflessione sulla portata e sugli effetti delle pronunce di illegittimità.
Ricordiamo, dunque, brevemente i passaggi più significativi dei giudizi di costituzionalità ed il loro oggetto, omettendo di riportare il contenuto delle norme statali richiamate che si presume noto.
Le norme
impugnate
Per quanto riguarda la Toscana, sono state impugnate dalla Presidenza
del Consiglio alcune norme della l.r. n. 52 del 2012 ”Disposizioni urgenti in materia di commercio e l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla
l.r. n. 28/2005 e alla l.r. n. 1/2005” nonché della successiva l.r. n. 13/2013
“Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di
carburanti. Modifiche alla l.r. n. 28/2005 e alla l.r. n. 52/2012” che aveva prontamente tentato di eliminare alcuni dei profili oggetto di impugnativa; per quanto riguarda l’Umbria il ricorso ha avuto ad oggetto tre articoli della l.r. n. 10/2013 emanata, anche in questo caso, per l’attuazione
dei dd.ll. n. 201/2011 e n. 1/2012 con modifiche ed integrazioni delle ll.
rr. n. 24/1999 sul commercio fisso, n. 6/2000 sul commercio sulle aree
pubbliche e n. 13/2003 sulla distribuzione di carburanti.
Per entrambe le regioni le norme impugnate concernono la disciplina del commercio in sede fissa e della distribuzione di carburanti (l.r. n.
28/2005: Codice del commercio in Toscana e ll.rr. n. 24/1999 e n. 13/2003
in Umbria): esse possono essere raggruppate in relazione al loro contenuto ed illustrate congiuntamente.
1. Procedura di autorizzazione per le grandi strutture di vendita
Un primo gruppo è costituito dagli articoli 13, 14, 15 e 16 della l.r.
n. 52/2012 della Toscana che hanno inserito all’interno del Codice del
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Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
commercio, di cui alla l.r. n. 28/2005, gli artt. 18-ter, quater, quinquies e
sexies, disposizioni sostanzialmente già presenti nel Regolamento regionale n. 15/R del 2009 (art. 15 e ss.) e relative alla domanda di autorizzazione per grandi strutture di vendita, alla documentazione da allegare,
allo svolgimento dell’istruttoria comunale e regionale ed alla conferenza
di servizi per il rilascio del titolo. In tali norme che prevedono, ad esempio, l’obbligo di produzione di dettagliate planimetrie, analisi di flussi veicolari, relazioni di compatibilità ambientale, lo Stato, con ricorso 27-29
novembre 2012, ha ravvisato una procedura “particolarmente complessa
e onerosa, sia per la copiosità dei documenti richiesti sia per la pluralità
delle fasi procedimentali…“ con l’effetto di ritardare l’ingresso nel mercato di nuovi operatori. Ne consegue la lesione dell’art. 31, comma 2, del
d.l. n. 201 del 2011 e dell’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, espressione della
potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e),
della Costituzione, nonché il contrasto con l’art. 7 del d.P.R. 7 settembre
2010, n. 160 sul procedimento unico presso il SUAP e con l’art. 41 della Costituzione. Tali procedure – ha replicato la regione costituendosi il
27.12.2012 – non sono sproporzionate e onerose, ma armonizzano celerità del procedimento e rispetto delle competenze degli enti coinvolti aggiungendo, con memoria integrativa del 12.11.2012, che le disposizioni in materia di liberalizzazione, essendo di principio, necessitano di
ulteriori sviluppi normativi, anche regionali. La Corte ha, invece, accolto
la tesi della Presidenza del Consiglio, ravvisando nelle norme in esame
l’introduzione di requisiti ulteriori rispetto a quelli prescritti dalla legislazione vigente con conseguente effettivo ostacolo alla libera concorrenza, sia tra operatori della Toscana e di altre regioni, sia tra operatori nuovi e già in attività e, di conseguenza, una violazione dell’articolo 117,
comma 2, lettera e) della Costituzione di cui è espressione l’articolo 31,
comma 2, del d.l. n. 201/2011 che interdice l’introduzione di vincoli, di
qualsiasi natura, che non siano connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso, l’ambiente urbano, e dei beni culturali.
2. Requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita
Un secondo gruppo di norme impugnate è rappresentato dagli articoli
17 e 18 della l.r. n. 52/2012 che hanno introdotto nel Codice del commercio della Toscana, rispettivamente, gli articoli 18-septies e 18-octies
prevedenti il primo una copiosa e dettagliata serie di requisiti di carattere strutturale ed organizzativo per le grandi strutture di vendita, il secondo, al comma 1, lettera d), l’obbligo che il relativo progetto di realizzazione sia a tali requisiti conforme, subordinando a ciò il rilascio
19
Divieto
di procedure
onerose
e complesse
in materia
di grandi
strutture
di vendita
Andrea Kaczmarek
La previsione
di requisiti
qualitativi
per le grandi
strutture di
vendita lede la
concorrenza
ed esula dalle
competenze
regionali
dell’autorizzazione. Questi spaziano dalla classificazione energetica,
all’uso di fonti rinnovabili, alle modalità di trattamento dei rifiuti, alla collaborazione con associazioni di volontariato, al rispetto dei piani
del colore nonché, limitatamente alle strutture con superficie superiore
a 4.000 mq, alla prevenzione della contaminazione del suolo, l’inquinamento da polveri o acustico, la raccolta delle acque, l’organizzazione del trasporto (1), l’organizzazione di spazi di accoglienza e simili.
Così come la procedura complessa per grandi strutture, trattata al punto precedente, anche i requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita, “pur apparentemente motivati con ragioni di tutela dell’ambiente,
della salute e dei lavoratori”, sono stati giudicati dalla Presidenza del
Consiglio, di qualità e quantità tali da risultare ingiustificatamente restrittivi della concorrenza ed ostacolare, aggravando il costo degli investimenti, l’ingresso nel mercato, cosa quest’ultima negata dalla regione
che, nella sua replica, ha sottolineato come essi fossero già presenti nel
regolamento n. 15/R del 2009 senza aver mai creato ostacolo. Tali requisiti sono stati rimodulati nella successiva l.r. n. 13/2013 (art. 2), ma
l’Avvocatura generale dello Stato ne ha ribadito la natura discriminatoria, l’inserimento in modo ingiustificato e sproporzionato, in danno alla concorrenza (svantaggio per le sole grandi strutture, discriminazione
per le strutture sopra e sotto i 4.000 mq, svantaggio per gli operatori in
Toscana), l’estraneità di molti requisiti alla disciplina del commercio.
La Corte, anche in questo caso, ha ritenuto fondato il ricorso dello Stato (2) sottolineando che valori quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori, pur costituendo valida ragione di
deroga al principio generale di liberalizzazione, attengono alla competenza esclusiva dello Stato e non possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso la competenza residuale del commercio che incontra un limite nella natura trasversale e prevalente della tutela della
concorrenza di competenza statale.
(1) La previsione di trasporto privato con tariffe di trasporto pubblico violerebbe anche
le norme sul relativo affidamento.
(2) La Presidenza del Consiglio, con memoria integrativa depositata il 24.3.2014 aveva
ritenuto improcedibile il ricorso avverso l’art. 17 della l.r. n. 52/2012 in quanto sostituito
integralmente dall’art. 2 della l.r. n.13/2013, ma la Corte è stata di diverso avviso perché
la modifica normativa, non avendo eliminato tutti i requisiti obbligatori ed anzi avendone previsto alcuni nuovi, non è stata pienamente satisfativa delle pretese del ricorrente ed
inoltre l’art. 17 non può non aver avuto medio tempore applicazione, presupposti questi
entrambi necessari per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere.
20
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
3. Strutture di vendita in forma aggregata – Poli commerciali
Una ulteriore norma impugnata è l’articolo 20 (3) della l.r. n. 52/2012
che ha inserito nel Codice del commercio della Toscana l’art. 19-bis relativo alle cosiddette Strutture di vendita in forma aggregata, ancora una
volta già previste nel regolamento n. 15/R del 2009, all’articolo 11, e costituite da più medie o grandi strutture di vendita a distanza reciproca
inferiore a 120 metri o dotate di collegamenti strutturali. La norma, come difeso con forza dalla Regione Toscana, risponde ad un’esigenza (4)
di mantenere sotto controllo quegli addensamenti di offerta che, pur non
avendo le caratteristiche dei centri commerciali, esercitano tuttavia analogo impatto sulla viabilità e consumo del territorio cosicché l’esigenza
di regolamentazione discende da quella di impedire l’elusione di disposizioni dettate, appunto, per i centri commerciali. Le censure mosse, al
riguardo, dalla Presidenza del Consiglio e riconosciute fondate dalla Corte riguardano l’introduzione di distanze minime tra esercizi commerciali, vietata dall’articolo 34, comma 3, del d.l. n. 201/2011 e dall’articolo
1 del d.l. n. 1/2012, in violazione, anche in questo caso, della competenza esclusiva statale in materia di concorrenza ed introduzione di limitazioni. Le violazioni riguarderebbero, pertanto, l’art. 117, comma 1 e
comma 2, lettera e) e l’articolo 41 della Costituzione.
Analoga impugnativa è stata mossa avverso l’articolo 9 della l.r. n.
10/2013 dell’Umbria che, ha integrato l’articolo 10-bis della l.r. n. 24/1999
in materia di “poli commerciali”, figura sostanzialmente corrispondente
alle strutture di vendita in forma aggregata della normativa toscana. Anche in questo caso la fattispecie era già presente da tempo in norme di
rango inferiore (deliberazione della Giunta regionale dell’Umbria n. 738
del 2011). Anche in questa occasione lo Stato ha lamentato l’introduzione di norme “restrittive e discriminatorie” in contrasto con l’articolo 31,
comma 2, del d.l. n. 201/2011 con violazione degli articoli 117, comma
2, lettera e) e 41 della Costituzione. Nello specifico, è stata sottolineata
l’introduzione dell’eventualità che un esercizio di vicinato debba essere
sottoposto ad autorizzazione preventiva in quanto ricadente in un polo
commerciale. La Corte ha ritenuto fondate queste doglianze, sottolineando
(3) Anche per l’articolo 20 la Corte ha ritenuto insussistente la cessazione della materia del contendere, tenuto anche conto che la l.r. n.13/2013 ha, in proposito, solamente disposto la riduzione (da 120 a 60 m) della distanza minima per edifici a destinazione
commerciale con titolo edilizio perfezionato entro un dato periodo.
(4) Tale esigenza e diffusa in gran parte d’Italia come dimostrano le varie normative regionali.
21
Forme
aggregate
di esercizi
commerciali:
divieto
di distanze
minime
ed oneri
aggiuntivi
per le imprese
Andrea Kaczmarek
che l’attribuzione della qualifica di polo commerciale avvenga ad esercizi commerciali “per il solo fatto che questi siano adiacenti o vicini a prescindere dalla volontà degli esercenti di unirsi in un polo commerciale”.
In tal modo anche eventuali esercizi di vicinato sono soggetti a procedure di tipo autorizzatorio, in luogo di quella di segnalazione certificata
di inizio attività di cui all’art. 19 della l. n. 241/1990, con introduzione,
pertanto, di vincoli non ammessi ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.l.
n. 201/2011, espressione della competenza statale in materia di concorrenza e della libertà di iniziativa economica (violazione degli artt. 117,
comma 2 lett. e) e 41 Cost.). Quanto alle distanze minime, la Corte ha
richiamato l’articolo 3, comma 1, lett. b) del d.l. n. 223/2006 che già allora ne disponeva il divieto. La particolarità della situazione in Umbria è
che la Corte ha annullato il solo articolo 9 della l.r. 10/2013 il quale si era
limitato ad aggiungere i commi da 3-bis a 3-sexies (5) all’articolo 10-bis
della l.r. n. 24/1999 sul commercio e non anche l’articolo 75 della l.r. n.
15/2010 che in essa aveva inserito i poli commerciali e che non fu a suo
tempo impugnato. Tuttavia il recente Codice del commercio di cui alla l.r.
n. 10/2014 ha definitivamente soppresso la figura dei poli commerciali (6).
4. Regime autorizzatorio
Gli articoli 11, 12 e 19 della l.r. n. 52/2012 della Toscana, prevedenti l’autorizzazione per medie e grandi strutture di vendita, salvo nell’ipotesi di modifica del settore merceologico da operare con Scia (7), e per i
centri commerciali sono stati anch’essi impugnati dallo Stato. I motivi, in
questo caso, sono rappresentati dall’asserito contrasto con i principi di
semplificazione amministrativa di cui all’articolo 19 della l. n. 241/1990
e con l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 che hanno abolito i regimi
autorizzatori, così come con l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012 che interdice la previsione o il mantenimento di divieti e prescrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche
(5) I commi in esame sono relativi alle modalità di intestazione dell’autorizzazione, di
individuazione dei poli (contiguità, distanze, ecc.) e del loro perimetro e di calcolo delle dotazioni territoriali e degli standard urbanistici.
(6) Un riferimento indiretto all’art. 11, comma 2, lett. b) (“addensamento di esercizi che
producono impatti equivalenti a quelli delle grandi strutture”) è impropriamente sopravvissuto alla modifica normativa.
(7) L’articolo 3 della l.r. 13/2013, parimenti impugnato, ha esteso ai centri commerciali,
equiparati ad una media o grande struttura di vendita, la possibilità di modificare i settore merceologici con Scia.
22
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
nonché disposizioni di pianificazione o programmazione con prevalente
finalità o contenuto economico. La procedura penalizzerebbe gli operatori toscani e, secondo l’Avvocatura generale, avendo il principio di liberalizzazione ambito applicativo esteso alla totalità dei cittadini, accanto
all’art. 41 e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione sarebbe violato
anche il comma 2, lettera m) relativo ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Sulle disposizioni impugnate, che comunque la regione nella sua replica ha ritenuto rientrare nella propria competenza e non violative delle
norme costituzionali anche alla luce di precedente decisione relativa al
Veneto, la Corte ha ravvisato da parte del ricorrente l’eccessiva genericità della doglianza e la mancata specificazione delle singole disposizioni che si assumono illegittimamente derogate (8), cosicché ha dichiarato
inammissibili le relative questioni di legittimità costituzionale, ad eccezione del richiamo ai requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita, operato all’articolo 12.
L’ingiustificato
mantenimento
dei regimi
autorizzatori
5. Distribuzione di carburanti
Sia relativamente al Codice del commercio della Toscana (l.r. n. 28/2005)
che alla l.r. n. 13/2003 dell’Umbria sono state impugnate alcune disposizioni in materia di carburanti introdotte, rispettivamente dalla l.r. n.
52/2012 della Toscana e dalla l.r. n. 10/2013 dell’Umbra.
Il primo aspetto concerne le limitazioni all’uso, presso gli impianti di
carburante, del self-service in assenza del gestore. Infatti, l’art. 16 della
l.r. n. 13/2013 della Toscana, sostituendo l’art. 54-bis comma 1 del Codice, condiziona alla presenza di “adeguata sorvegliabilità” la possibilità di apparecchiature self-service prepagamento senza la presenza del
gestore, per di più in sole aree montane ed insulari, cosa che il ricorrente ha ritenuto in contrasto con l’obiettivo di liberalizzazione contenuto
nell’articolo 28, comma 7, del d.l. n. 98/2011 che – come è noto – consente tale modalità al di fuori dei centri abitati e senza ulteriori condizioni. La norma regionale avrebbe per effetto un aggravio di costi ed organizzativo per gli operatori toscani e, ancora una volta, alterazione della
parità concorrenziale (art. 117, comma 2, lett. e) Cost.). Pur avendo la
Regione Toscana sottolineato l’esigenza di evitare che la quasi totalità
(8) Tale specificazione – si legge nella sentenza – era tanto più necessaria considerando
che la regione si è sostanzialmente limitata a sostituire al comune il Suap nella competenza a ricevere le istanze.
23
L’uso di
dispositivi
self-service
senza gestore
non può essere
sottoposto a
condizioni
aggiuntive
rispetto alla
normativa
nazionale
Andrea Kaczmarek
degli impianti potesse operare con modalità di self-service senza gestore,
con ripercussioni negative sull’occupazione, la finalità di tutela del consumatore e dell’incolumità pubblica, la Corte ha condiviso le argomentazioni del ricorrente dichiarando illegittima la disposizione in esame.
Per analoghe motivazioni il ricorrente ha impugnato anche l’art. 18 della l.r. n.13/2013 che, sostituendo l’art. 84 comma 3 del codice, ha imposto agli impianti il funzionamento contestuale della modalità “servito” e
self-service, durante l’orario di apertura: anche in questo caso ed in presenza delle medesime controdeduzioni della regione, la Corte ha ravvisato alterazione della concorrenza.
La medesima situazione si è verificata in Umbria: la Corte, infatti,
ha dichiarato illegittima la limitazione operata dall’art. 44 della l.r. n.
10/2013 che prevede la possibilità di self-service pre-pagamento senza
gestore solo per gli impianti di pubblica utilità, cioè unici di un comune o ad almeno dieci chilometri da altro impianto. Anche l’articolo 43
di detta legge regionale, che disponeva l’obbligo di erogazione di vari prodotti da parte dei nuovi impianti, è stato censurato ravvisando la
Corte la presenza di indebite restrizioni costituenti barriere all’ingresso, con discriminazioni in violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e)
Cost. Il riferimento, in questo caso, è all’articolo 83-bis, comma 1, del
d.l. n. 112/2008 che vieta l’imposizione dell’obbligo di presenza contestuale di più prodotti.
Per completezza espositiva, sempre in tema di carburanti, l’originario
ricorso avverso la l.r. n. 52/2013 comprendeva anche gli articoli 39 e 41
il primo dei quali prevedeva tra l’altro, nei nuovi impianti, obbligo di presenza di impianti fotovoltaici e di serbatoi di date capacità (art. 54 l.r. n.
28/2005) ed il secondo limitava alla soglia dimensionale degli esercizi di
vicinato (300 mq) l’attività di vendita al dettaglio (art. 56 l.r. n. 28/2005).
In seguito alla riformulazione delle norme operata dagli articoli 15 e 17
della l.r. n. 13-2013 (9) la Presidenza del Consiglio ha operato la rinuncia al ricorso, accettata dalla regione e della quale la Corte ha preso atto. Anche in questo caso i motivi di doglianza concernevano le indebite
restrizioni e l’alterazione della concorrenza.
6. Esposizione dei prezzi presso gli outlet
L’ultima norma della l.r. n. 13/2013 della Toscana impugnata e censurata dalla Corte Costituzionale è l’art. 5, comma 2, della l.r. n. 13/2013,
(9) L’obbligo di impianti fotovoltaici è stato mantenuto.
24
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
modificativo dell’art. 19-quater del Codice, che ha imposto agli outlet l’esposizione del solo prezzo finale. Anche in questo caso, avverso l’asserita
introduzione di disparità ed invasione della sfera del diritto civile, nella
fattispecie il Codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206/2005, la regione ha opposto l’esigenza di evitare una concorrenza sleale nei confronti
degli altri esercizi commerciali con tutela del consumatore, ma la Corte
ha ravvisato ostacolo alla concorrenza, dato che la disposizione impedisce il confronto tra i prezzi, e difetto di competenza in materia di diritto
civile (art. 117, comma 2, lettere e) ed l) Cost.
Competenza
esclusiva statale
nella disciplina
civilistica dei
prezzi
7. Considerazioni
Come accennato in premessa, al di là delle singole norme che la Corte ha analizzato e dichiarato illegittime, emergono dalle sentenze in esame dei principi di ampia portata che inducono ad una riflessione circa
l’attuale impostazione di molte normative regionali.
Le sentenze nn. 125 e 165 del 2014, infatti, toccano il “cuore” delle
competenze regionali, costituito dal controllo delle strutture di vendita di
maggiori dimensioni ed espresso soprattutto attraverso procedure attente
di verifica di requisiti e presupposti (mantenimento del regime autorizzatorio e relative procedure) ed una assunzione di un ruolo di indirizzo
degli insediamenti (localizzazione, criteri qualitativi, ecc.).
7.1. Regime di concorrenza
La prima riflessione concerne il regime di concorrenza, continuamente richiamato dalla Corte nelle due sentenze, avente natura trasversale e
prevalente così da fungere da limite alla disciplina che le regioni possono dettare in materia di commercio.
Sulla tutela della concorrenza è molto interessante la premessa che la
Corte sviluppa nella sentenza n. 125/2014 relativa all’Umbria: la nozione di concorrenza riflette quella operante in ambito comunitario e comprende sia interventi regolatori a titolo principale (misure di contrasto di
comportamenti scorretti, ecc.) sia misure legislative di promozione, apertura del mercato, rimozione dei vincoli alle modalità di esercizio delle
attività economiche in genere. In questa seconda accezione tutela della
concorrenza viene ad identificarsi con promozione di essa, in una visione non solo statica (ripristino di equilibri compromessi) ma anche dinamica (misure di riduzione di squilibri, sviluppo del mercato, instaurazione di assetti concorrenziali, ecc.). La liberalizzazione, da intendersi come
razionalizzazione della regolazione, costituisce, pertanto, uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi
25
La duplice
accezione
del concetto
di libera
concorrenza
Andrea Kaczmarek
La parità di
condizioni di
insediamento
ed esercizio
deve essere
garantita sia tra
territori sia tra
imprese nuove
ed in attività
L’importanza
dell’omogeneità
come
strumento di
semplificazione
per il circuito economico e la qualità di tale regolazione non è indifferente, atteso che una regolamentazione ingiustificatamente intrusiva genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e,
dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri è dunque funzionale alla tutela della concorrenza e
rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale.
I principi di liberalizzazione, in tal modo, vengono a costituire “un ramo dell’albero” rappresentato dalla tutela, statica e dinamica, della concorrenza e ne assumono la medesima natura sul piano della competenza statale.
Ma quali sono le caratteristiche della distorsione della concorrenza
secondo la Corte? Essa – si legge in entrambe le sentenze – ha rilevanza
nello spazio e nel tempo. Infatti, la previsione di oneri, vincoli, aggravi,
ingiustificati così come l’individuazione di tipologie di attività cui applicare normative differenti, crea disparità sia tra le imprese sia nell’ambito
della medesima regione, sia tra imprese di regioni diverse, magari confinanti, sia, infine, tra imprese nuove ed imprese già in attività. La nozione
è molto ampia in quanto, a ben vedere e spingendo alle estreme conseguenze, ogni differenziazione di regolamentazione da parte delle regioni,
quale che essa sia, può di per sé creare disparità tra l’una e l’altra nell’accesso e permanenza delle imprese nel mercato, cosicché è lo stessa portata della riforma del titolo V, relativamente alle attività economiche, che
viene in un certo senso ridimensionata.
Invero, forse troppo spesso si sottovaluta l’importanza dell’omogeneità normativa e procedurale (norme, iter, modulistica, ecc.) a livello
nazionale in materia di attività economiche, quale prima e forse principale fonte di semplificazione a favore delle imprese. Si insiste spesso sull’eccessiva quantità e scarsa chiarezza delle norme che regolano
certi settori in Italia e forse troppo poco sulla loro frammentarietà e disomogeneità tra le regioni che impedisce all’operatore, specie straniero, di valutare con correttezza le opportunità per i propri investimenti,
costringendolo ad una complessa valutazione dei pro ed i contro che le
differenti normative offrono. Riconoscere nell’omogeneità a livello nazionale un importante strumento di semplificazione e promozione del
mercato, significa iniziare a concepire la differenziazione normativa a
livello regionale come strumento eccezionale, da utilizzarsi cum grano
salis solo nei casi di effettiva necessità, legata ad esigenze locali, non
altrimenti risolvibili.
26
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
7.2. Promozione della qualità
Una seconda riflessione concerne i requisiti qualitativi: in proposito –
afferma la Corte – “il legislatore regionale ha interpretato le norme statali interposte in materia di liberalizzazione delle attività economiche, e in
particolare l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e l’art. 1 del d.l. n.
1 del 2012, come attributive di competenze legislative a favore della regione per la salvaguardia di valori quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori, che invero rientrano nelle materie
più disparate di competenza esclusiva dello Stato. La tutela dei predetti
valori è effettivamente considerata dal legislatore statale quale valida ragione di deroga al principio generale della liberalizzazione delle attività
commerciali; tuttavia, i predetti valori non possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso l’esercizio della competenza residuale del
commercio”. Anche questo è un principio molto importante e fortemente
limitativo della sfera di competenza nella quale le regioni possono operare: non basta, cioè, che un vincolo sia riconducibile ad un motivo imperativo di interesse generale per rendere legittimo un intervento limitativo.
Quando la materia è di competenza esclusiva dello Stato, resta comunque precluso l’intervento regionale, anche se operato per intenti magari condivisibili e corretti, come nel caso della Toscana: questo, ad esempio, emerge bene nella pronuncia relativa alle modalità di esposizione
dei prezzi degli outlet.
Si noti, infatti, che quasi mai la Corte ha ritenuto infondate, pretestuose
o carenti, le motivazioni a sostegno delle scelte regionali, ma ha censurato, di norma, sul piano della competenza in tema di concorrenza nell’accezione ampia sopra ricordata.
Un ulteriore aspetto sottolineato nella sentenza n. 165/2014 riguarda
l’estraneità alla disciplina del commercio di alcuni requisiti, pur posti con
intenti condivisibili, da cui si può desumere un principio di “non ingerenza” nelle scelte imprenditoriali del privato. Qui il discorso si amplia fino
a chiedersi se le regioni possano considerarsi investite di una funzione
di “promozione della qualità”, nel senso lato del termine, dell’apparato
commerciale e delle sue componenti. Probabilmente va operata, in proposito, una distinzione tra “incentivo” della qualità che va nella direzione della tutela della concorrenza, nell’accezione dinamica di sviluppo
del mercato e della sua concorrenzialità anche sul piano internazionale, ed “imposizione” della qualità che, invece, viene a costituire aggravio, limite, vincolo e disparità sul piano spaziale e temporale. Tra l’altro
la spinta all’elevazione qualitativa, nello spirito della liberalizzazione,
dovrebbe discendere dalla selezione darwiniana che premia le imprese,
27
Incentivi alla
qualità ed
imposizione
della qualità
Andrea Kaczmarek
non migliori secondo parametri precostituiti a livello normativo, ma più
aderenti alla domanda in quel dato luogo e in quel preciso momento, secondo confronto effettivo sul campo.
Questo principio di non ingerenza dovrebbe probabilmente ispirare gli
interventi non solo nel commercio in sede fissa, ma in tutti i settori (aree
pubbliche, feste e sagre, strutture ricettive, ecc.).
7.3. Proporzionalità, adeguatezza, semplificazione
Il principio
di massima
liberalizzazione
Un ulteriore principio che sembra desumersi dallo svolgimento dei
giudizi di costituzionalità in oggetto attiene al profilo di proporzionalità
ed adeguatezza: anche interventi legislativi corretti possono non essere
più tali quando per “qualità e quantità” vengono a risolversi, di fatto, in
ingiustificate restrizioni della concorrenza: è quanto sostenuto nel ricorso dello Stato a proposito delle complesse procedure previste dalla normativa toscana per le grandi strutture di vendita. Qui quello che viene in
risalto è soprattutto il principio di semplificazione, di cui è espressione
l’articolo 19 della l. n. 241/1990, la cui violazione, attraverso la nuova
previsione o semplicemente il mantenimento di procedimenti ingiustificatamente complessi, si traduce ancora una volta in compressione del
diritto costituzionale di impresa, imposizione di vincoli e restrizioni, alterazione della concorrenza.
A ben vedere, dal tenore della sentenza n.165/2014, che ha insistito
sulla non estinzione della materia del contendere in relazione al ricorso
avverso il mantenimento del sistema autorizzatorio (10) (articoli 11, 12 e
19 l.r. n. 52/2012) pervenendo ad una pronuncia di improcedibilità del
giudizio per genericità delle doglianze e mancata specificazione delle
normative asserite violate, può desumersi un non improbabile giudizio
di incostituzionalità nell’ipotesi di ricorso formulato in modo più puntuale. Invero il richiamo non alla liberalizzazione tout court, bensì alla
“massima liberalizzazione” implica che la previsione di titoli autorizzatori debba costituire l’extrema ratio, quando qualsiasi altra modalità più
snella di strutturazione del procedimento sia impossibile da seguire. In
questa ottica anche la segnalazione certificata di inizio di attività o Scia
di cui all’art. 19 della l. n. 241/1990 può costituire un aggravio, laddove
la tutela di valori preminenti di rango costituzionale (salute, sicurezza,
(10) La Regione Toscana non ha introdotto un regime autorizzatorio per le medie e grandi strutture, limitandosi a conservare quello esistente sin dal d.lgs. 114/1998 ed anzi operando un’apertura per le modifiche di settore merceologico.
28
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
ecc.) può essere parimenti efficacemente realizzata attraverso la semplice
informazione dello svolgimento di attività economiche, cioè la semplice
comunicazione (11), non necessariamente previa. L’idea di un commercio, anche rappresentato dalla grande distribuzione, realizzato in forma
totalmente libera da atti d’assenso dell’apparato pubblico, ma ovviamente esercitato nell’integrale rispetto delle sole regole effettivamente necessarie, è probabilmente un punto di arrivo ancora lontano.
7.4. Previa conoscibilità
Quanto alle strutture di vendita in forma aggregata della Toscana o ai
poli commerciali dell’Umbria che ne sono sostanzialmente l’equivalente,
oltre ai consueti profili di illegittimità comuni alla censura di altre norme
impugnate e, specificamente, al divieto di distanze minime che, pur poste quale parametro per la definizione delle fattispecie, di fatto si risolvono in elementi di preclusione o aggravamento delle possibilità di insediamento, vi è un altro elemento interessante che emerge, specie dalla
sentenza n. 125/2014 relativa all’Umbria. Trattasi del concetto di previa conoscibilità di requisiti, presupposti e condizioni per intraprendere
e svolgere una data attività. Infatti viene introdotta l’eventualità – si legge nella sentenza “che un esercizio di vicinato debba essere sottoposto
ad autorizzazione preventiva, in quanto facente parte di un «polo commerciale» (12) come definito dalla norma, potendosi pertanto verificare la
possibilità che, a priori, l’esercente non sia in condizioni di conoscere i
requisiti di accesso all’attività stessa. Infatti, l’avvio dell’attività verrebbe
sottoposto a disposizioni specifiche, in relazione alla superficie di vendita complessiva eventualmente derivante dall’appartenenza, appunto, ad
un polo commerciale che, in alcuni casi, non è all’evidenza chiaramente
individuabile in tale fase; e ciò anche alla luce dei complessi criteri previsti al comma 3-quinquies.”
È questo un principio molto importante, già riportato all’articolo 15,
comma 1, del d.lgs. n. 59/2010, in conformità con la direttiva comunitaria 2006/123/CE, secondo il quale “1. Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio
alle attività di servizi sono:
a) – c) … (omissis) …
(11) Non di rado si assiste, invece, da parte di taluni comuni, alla previsione di Scia per
attività in passato esercitabili liberamente.
(12) A rigore questo ragionamento varrebbe anche per i centri commerciali.
29
Andrea Kaczmarek
Per l’art. 15
del d.lgs. n.
59/2010 le
condizioni di
insediamento
delle attività
commerciali
debbono essere
chiare, oggettive
e rese note
preventivamente
d) chiare ed inequivocabili;
e) oggettive;
f) rese pubbliche preventivamente;
g) trasparenti e accessibili.
Sulla base di questo principio ogni operatore economico dovrebbe poter conoscere, ex ante, tutti e soli i requisiti, condizioni, presupposti, legittimi vincoli previsti per intraprendere o svolgere una data attività cosicché
la discrezionalità dell’ente (regione, comune, ecc.), ove necessaria, dovrebbe essere esercitata nelle fasi di produzione normativa e regolamentare e non all’interno di specifici procedimenti amministrativi nei quali
rappresenta pur sempre elemento di indeterminatezza e di non semplificazione e snellezza.
Tutto ciò viene a sposarsi con il principio del controllo ex post delle attività economiche, già presente nell’articolo 19 della l. n. 241/1990, che
avrà verosimilmente nel futuro maggiore estensione.
7.5. – Distribuzione di carburanti
Poco v’è da dire in merito alle pronunce sulla distribuzione di carburante che non siano riconducibili alle considerazioni svolte: in particolare appare evidente, anche in questo caso, come il richiamo ad esigenze
di tutela tutt’altro che inesistenti, come la salvaguardia dei livelli occupazionali invocata dalla Regione Toscana a favore della limitazione degli impianti c.d. ghost, non sia sufficiente a giustificare i vincoli e le limitazioni disposte.
Conclusioni
Non semplice
revisione ma
rifondazione
delle discipline
regionali su
nuovi principi
Alla luce delle considerazioni svolte appare evidente la necessità di una svolta radicale nel modo di concepire gli interventi regionali in tema di disciplina del commercio. Una volta venuti a cadere
dei capisaldi dell’intervento regionale classico in materia di disciplina del commercio si rende necessaria non un’operazione di semplice adeguamento delle discipline regionali alle pronunce della Corte
Costituzionale, sicuramente opportuna medio tempore per colmare il
vuoto normativo creatosi, ma un’operazione più complessa di rifondazione su nuovi principi. Ciò dovrebbe avvenire, abbandonando in
modo deciso e definitivo ogni riferimento diretto o indiretto ad una
programmazione con finalità economiche per incentrare l’attenzione
sugli interventi di carattere promozionale dello sviluppo, passando
dalla filosofia della regolamentazione a quella della propulsione, dal
30
Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari
controllo ex ante a quello ex post, dal ruolo di interlocuzione a quello di assistenza all’impresa. Ad esempio la promozione dell’aggregazione del commercio nelle sue varie espressioni (centri commerciali
naturali, associazioni di quartiere, reti d’impresa, distretti del commercio, ecc.), quale strumento di rafforzamento globale del mercato,
è un terreno tutto da esplorare e sviluppare.
Tra l’altro le due sentenze avranno presumibilmente un effetto “domino” nelle varie normative regionali, nel senso di porre in serio imbarazzo nel mantenimento di disposizioni analoghe a quelle dichiarate
illegittime dalla Corte Costituzionale, richiedendone l’immediata modifica. In particolare in Umbria – per limitarsi alla situazione delle due
regioni le cui leggi sono state impugnate – sono vigenti disposizioni del
tutto speculari a quelle dichiarate illegittime per la Toscana, in materia di procedimento per le grandi strutture di vendita, mentre i numerosi requisiti qualitativi per le grandi strutture di vendita, anche in questo
caso simili a quelli della regione vicina, sono attualmente contenuti in
una delibera di giunta regionale, la n. 738 del 2011, e divenuti, dopo
la sentenza n. 165/2014, ancor più deboli di quanto già non lo fossero.
Per i poli commerciali, invece, come si è detto il problema non si pone
avendo la Regione Umbria rinunciato a riproporli in sede di Testo unico in materia di commercio, di carattere compilativo delle preesistenti normative in materia.
Il presumibile
“effetto
domino”
delle sentenze
È singolare, in proposito, constatare che proprio – si presume – la volontà di “rafforzare”, sul piano della gerarchia delle fonti, alcune disposizioni di rango inferiore ne abbia favorito la caduta: le norme sulle strutture di vendita in forma associata e sul procedimento delle grandi strutture
di vendita erano in Toscana già presenti nel regolamento regionale n.
15/R del 2009, quelle sui poli commerciali erano in Umbria nella ricordata d.g.r. n. 738/2011.
Infine, un terreno sul quale sicuramente le regioni potranno maggiormente sviluppare le proprie normative è senz’altro quello del governo
del territorio, nell’accezione più ampia, attraverso il quale potranno essere riaffrontate, in altra chiave di lettura, problematiche senz’altro rilevanti come quella degli assembramenti di attività commerciali, o strutture
di vendita in forma aggregata, poli commerciali o come altro le regioni li hanno spesso denominati. Il problema della nascita di queste realtà senza controllo è reale e, a ben vedere, le censure della Corte attengono allo strumento di regolamentazione utilizzato e non al fatto di non
31
Il governo
del territorio
come
strumento
privilegiato
di indirizzo
Andrea Kaczmarek
essere state previste queste figure dalla normativa nazionale del d.lgs. n.
114/1998, lasciando così aperta la via alla riconsiderazione della problematica in altra prospettiva.
Da ultimo viene fatto di notare come spesso alcune disposizioni impugnate siano state ritenute in contrasto, tra l’altro, con l’articolo 41 della Costituzione sulla libertà d’impresa, quello stesso articolo 41 alla cui
ombra l’antica legge n. 426/1971 consentiva superfici minime e contingenti per generi di largo e generale consumo magari limitati ad una ristretta zona comunale: le interpretazioni corrono spesso più veloci delle
norme ed hanno i suoi corsi e ricorsi, come direbbe Giambattista Vico.
32
Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana
Le fiere specializzate
dell’antiquariato in Toscana
Aggiornato il Codice regionale del commercio
Gianfranco Cardosi
Dirigente settore attività produttive, concessioni, mercati e turismo del Comune di Viareggio (a.r.)
L
a Regione Toscana, con una recente legge – n. 35 del 26 giugno 2014 – ha
modificato ed integrato il vigente Codice del commercio per inserirvi la disciplina delle “fiere specializzate nel settore dell’antiquariato” che rappresentano,
oggi, un sicuro punto di riferimento di una filiera commerciale, nel cui ambito si
valorizzano competenze e qualità professionali meritevoli di promozione e tutela.
Con questi “appunti”, si evidenziano le note salienti della nuova disciplina regionale.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Definizione di “fiera specializzata dell’antiquariato“. – 3.
Modalità di concessione dei posteggi. – 4. Riserva di posteggi a commercianti al dettaglio
in sede fissa. – 5. Nota finale.
1. Premessa
Il Codice del Commercio vigente nella Regione Toscana, approvato con
legge regionale n. 28/2005 contiene, all’articolo 29, inserito nel capo V,
dedicato al “commercio su aree pubbliche”, le varie definizioni delle iniziative che si svolgono su dette aree. Tra queste sono indicate, al comma
1, lettere f), e g), del citato articolo 29, quelle della “fiera” e della “fiera
promozionale”, mentre non vi figurano le “fiere dell’ antiquariato” che,
in Toscana, costituiscono eventi assai diffusi ed importanti legati, spesso,
ad antiche tradizioni commerciali, che richiamano un notevole numero
di pubblico e visitatori, con effetti positivi per il turismo e per il commercio in genere. La lacuna legislativa è stata di recente colmata con la legge regionale n. 35/2014 con la quale, oltre a definire cosa si intende per
“fiera specializzata nel settore dell’antiquariato”, sono stati previsti criteri e modalità di rilascio delle concessioni, temporanee e pluriennali, dei
posteggi, con la precisazione sia dei criteri di priorità per le relative assegnazioni, anche in sede di prima applicazione della legge, sia del numero massimo di posteggi assegnabili. Degno di nota è il fatto che, alle
33
Le iniziative
commerciali su
aree pubbliche
Legge regionale
35/2014
Gianfranco Cardosi
“fiere specializzate” di che trattasi, sia stata prevista la possibilità di partecipazione, in posteggi appositamente riservati, anche dei commercianti che operano al dettaglio in sede fissa, vendendo oggetti di antiquariato.
2. Definizione di “fiera specializzata dell’antiquariato”
Definizione
di fiera
specializzata
Necessità
di definire
i prodotti
Con integrazioni apportate agli articoli 29, 33, e 34, della l.r. n. 28/2005
(Codice del commercio), la Regione Toscana ha definito la “fiera specializzata nel settore dell’antiquariato” come la manifestazione commerciale che “è volta a promuovere l’esposizione e la vendita di oggetti di
antiquariato, modernariato, e di oggetti e capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca provenienti dal mondo della cultura, dell’arte e
dell’artigianato artistico e tradizionale”. Dal momento che il legislatore
regionale ha ritoccato, per l’ottava volta, l’originario testo del Codice del
commercio, avremmo gradito vedere inserite, nell’articolo 29 del codice stesso, riservato alle “definizioni” afferenti il commercio su aree pubbliche, anche quelle di: “oggetti di antiquariato”, “modernariato”, “capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca …”, per non lasciare
ai Comuni l’arduo compito di connotarle, nei regolamenti per mercati e
fiere. Tenuto conto, infatti, del noto principio di legalità di cui all’articolo 1 della l. n. 689/1981, in base al quale l’unica fonte regolatrice delle
violazioni amministrative è la legge, sia in senso formale che sostanziale
(regolamenti regionali, comunali, provinciali), e sia per ciò che riguarda
la determinazione dei fatti ai quali si applicano le sanzioni amministrative, si è dell’avviso che sia indispensabile chiarire normativamente tutte dette “definizioni”, per sapere con certezza quali siano le merci o prodotti inquadrabili nell’antiquariato, nel modernariato, nell’abbigliamento
sartoriale di alta moda d’epoca, ecc., e poter orientare, in modo opportuno, i relativi controlli e le connesse procedure sanzionatorie. Troppe volte, ahimè, ci è capitato di assistere personalmente a quesiti rivolti da organi accertatori, ai competenti uffici e servizi comunali che gestiscono la
materia del commercio e delle attività produttive, allo scopo di conoscere se un prodotto posto i vendita in un mercato o fiera sia da considerare o meno come “oggetto di antiquariato”. Ai quesiti è spesso seguita la
risposta “... non lo sappiamo, mancando una definizione giuridica e risoluzioni ministeriali, ecc.”. Quesiti simili li abbiamo sentiti porre specie
in casi di rifacimento parziale di mobili ed arredi venduti per “antichi”;
di capi di abbigliamento, con cartellini “made in ...”, ecc.
Non ci sentiamo affatto allineati con coloro che, nel dubbio, consigliano di sanzionare, affermando che “se lo riterranno opportuno, faranno opposizione e, quindi, ... sarà il giudice a decidere ...”. Non abbiamo
34
Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana
mai condiviso, e continuiamo a non condividere, un tale modo di operare (e consigliare), ritenendo che chi scrive leggi e regolamenti, utilizzando determinati termini, dovrebbe avere anche l’onere di chiarirli, qualora
sia necessario o richiesto, e che non debba essere sempre la magistratura a dover risolvere i problemi interpretavi o applicativi di norme e regole. Preferiremmo, se possibile, per la casistica della quale ci occupiamo
con questi brevi appunti, che fossero le regioni, coordinandosi tra di loro,
a chiarire dette definizioni, a livello di indirizzo per i Comuni e, qualora
ciò non fosse possibile, che vi si provvedesse almeno a livello regionale,
in modo che tutti coloro che operano nel settore – uffici comunali e servizi vari, commercianti ed associazioni di categoria – sappiano, con certezza, quando un oggetto o prodotto può considerarsi “antico”, “moderno”, “vintage” o “capo di abbigliamento sartoriale di alta moda”. Se con
legge regionale, si sono definiti termini come: “aree pubbliche”, “mercato”, ”posteggio”, ”fiera”, ”fiera specializzata”, ”manifestazione commerciale straordinaria”, ”presenze”, ecc., non si vede come altrettanto non
si possa fare per i termini che abbiamo sopra indicati.
Lasciare l’onere amministrativo di connotare o definire le categorie di
detti prodotti ai singoli Comuni, nei regolamenti per la disciplina di fiere
e mercati, si corre il rischio, purtroppo, di vedere qualificato come “antico” un prodotto in un determinato Comune ed, in un altro, magari contermine, veder qualificato lo stesso prodotto come “moderno”, con conseguenze negative per chi opera in mercati e fiere, per chi deve eseguire
i controlli che devono essere improntati al principio di legalità, e per il
consumatore finale, conseguenze che, con un po’ di attenzione e buona volontà potrebbero essere facilmente evitate, nel pubblico interesse.
Necessità di un
coordinamento
3. Modalità di concessione dei posteggi
L’articolo 34 del vigente Codice del commercio della Regione Toscana, stabilisce le modalità di rilascio dell’autorizzazione e della contestuale concessione di posteggio in mercati, fiere o fuori mercato, prevedendo
che a ciò si adempia con l’emanazione di appositi bandi, da pubblicare
alle scadenze tassativamente previste dall’articolo 34, comma 2, di detto codice.
A seguito dell’inserimento, nel Codice del commercio regionale, della tipologia della “fiera specializzata dell’antiquariato”, sono stati previsti specifici “criteri di priorità”, ai fini del rilascio, sia dell’autorizzazione
d’esercizio per la vendita, sia per la concessione del posteggio sul quale
vengono posizionate le strutture utilizzate per la vendita. Detti criteri di
priorità, sono stati precisati come segue:
35
Le gare
per assegnare
i posteggi
I criteri
di priorità
Gianfranco Cardosi
Fiere
“diverse” e
“specializzate”
In caso
di parità
a) maggiore professionalità acquisita con la partecipazione, nei tre anni precedenti, ad almeno cinque fiere diverse specializzate nel settore
dell’antiquariato, di particolare importanza e pregio, nazionali e internazionali, e dotate di un minimo di duecento posteggi.
Si ha la sensazione che sui concetti di “fiere diverse” e di “fiere specializzate di particolare importanza e pregio”, saranno posti vari quesiti
alla regione, data le genericità dei termini usati dal legislatore. Azzardiamo esprimerci soltanto per le “fiere diverse”, che, a nostro sommesso avviso, possono essere le fiere che si svolgono in uno stesso Comune ma in
date diverse, oppure fiere che si svolgono in Comuni diversi. Sulla “particolare importanza o pregio” essendo il giudizio legato esclusivamente a valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione che prevede, organizza e gestisce una determinata iniziativa fieristica, riteniamo
di non poterci esprimere, non disponendo di dati o parametri oggettivi di
riferimento, e non potendo certo legare un giudizio al numero dei partecipanti ad una fiera, che potrebbero esporre e vendere oggetti e prodotti
non di pregio né di particolare importanza.
In caso di parità di punteggio è previsto che si applichino, nell’ordine,
i seguenti ulteriori elementi di priorità:
b) possesso di diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennali, attinenti al settore artistico, dei beni culturali o della storia dell’arte.
Anche su questo elemento o dato prioritario, si è dell’avviso che sarebbe stato opportuno, per evitare dubbi ed incertezze, che il legislatore regionale avesse indicato i titoli di studio che danno diritto o giustificano la priorità, attingendoli dagli elenchi ufficiali pubblicati nel sito del
Ministero competente;
c) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo,
nell’esercizio del commercio su aree pubbliche. La professionalità valutabile è riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, compresa quella
acquisita nel posteggio per il quale viene indetta la selezione. L’anzianità di impresa è comprovata dall’iscrizione, quale impresa attiva, nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio riferita, nel suo
complesso, al soggetto titolare dell’impresa al momento di partecipazione alla selezione, cumulata con quella del titolare al quale eventualmente il partecipante sia subentrato nella titolarità del posteggio medesimo;
d) nel caso di posteggi ubicati nei centri storici od in aree aventi valore
storico, archeologico, artistico ed ambientale, o presso edifici aventi tale
valore, l’assunzione dell’impegno a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e, pertanto, a rispettare
36
Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana
le eventuali condizioni particolari, comprese quelle correlate alla tipologia dei prodotti offerti in vendita ed alle caratteristiche della struttura utilizzata, stabilite dall’autorità competente, ai fini della salvaguardia delle predette aree.
È previsto, inoltre, che in sede di prima applicazione della normativa
di che trattasi, l’anzianità acquisita nel posteggio al quale si riferisce la
selezione pubblica, possa essere valutata fino al massimo del quaranta
(40) per cento (40%) del punteggio complessivo.
4. Riserva di posteggi ai commercianti al dettaglio in sede fissa
L’articolo 38 del Codice regionale del commercio è stato integrato e
modificato dall’articolo 5 della l.r. n. 35/2014, per prevedere l’obbligo,
per i Comuni, di riservare posteggi per coloro che esercitano il commercio al dettaglio in sede fissa di oggetti di antiquariato, modernariato e di
oggetti e capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca.
La riserva di cui sopra deve essere limitata ad una sola concessione di
posteggio, per ogni commerciante.
Per la fruizione, da parte dei singoli commercianti al dettaglio in sede
fissa, dei posteggi loro riservati nell’ambito di fiere specializzate dell’antiquariato, il Comune rilascia concessioni temporanee di posteggio – ossia
valida dal ... al ..., dalle ore ... alle ore ... – tenendo conto dell’anzianità di esercizio dell’impresa, comprovata dall’iscrizione nel registro delle
imprese tenuto dalla Camera di Commercio territorialmente competente.
Il Comune è tenuto a prevedere, nel proprio regolamento, ulteriori criteri da osservare, ai fini del rilascio delle concessioni temporanee, qualora dallo scrutinio del criterio dell’anzianità di esercizio dell’impresa, risultino casi di parità di punteggio.
L’obbligo
di riserva
di posteggi
5. Nota finale
I Comuni, con sede nel territorio della Regione Toscana dovranno, quanto prima, provvedere ad integrare i propri regolamenti per il commercio
sulle aree pubbliche, per adeguarli alla nuova normativa regionale recentemente approvata con l.r. n. 35/2014, prevedendovi anche i criteri per
rilasciare concessioni temporanee di posteggio ai commercianti al dettaglio tradizionali (non su area pubblica), abilitati alla vendita dei prodotti di antiquariato sentendo, sul tema, anche gli organismi rappresentativi
delle categorie interessate, oltre che dei consumatori.
37
Necessità
di adeguare
i regolamenti
comunali
Andrea Girella
Frode in commercio,
contraffazione
e altri reati connessi
Andrea Girella
Ufficiale della Guardia di Finanza
L
a ripresa delle attività economiche è ritenuta dal legislatore raggiungibile, oltre
che con una politica di incentivazione, anche attraverso il buon funzionamento
del mercato e la correttezza negli scambi commerciali.
In quest’ambito, è stato più volte evidenziato come il fenomeno della contraffazione,
globalmente inteso (cioè quel fenomeno patologico attraverso il quale si vìola il diritto
del titolare all’uso esclusivo del marchio), investa tematiche quali la concorrenza sleale,
il fenomeno della criminalità organizzata, il mancato gettito erariale a favore dello
Stato (con un danno conseguente per tutti i contribuenti), la salute dei consumatori.
Vero è che tale buon funzionamento del mercato può essere condizionato – nel
panorama italiano – dalla presenza o meno di efficaci sistemi di controllo e pari
strumenti repressivi.
Sommario: Il fenomeno della contraffazione. – La tutela penale ad oggi. – 1. Frode in commercio. – 1.1. Bene interesse tutelato. – 1.2. Soggetto attivo. – 1.3. Elemento oggettivo. – 1.4.
Elemento soggettivo. – 1.5. Consumazione e tentativo. – 1.6. Aggravante/attenuante. – 1.7.
Rapporti con altri reati. – 1.6. Altri profili. – 2. Vendita/commercio alimenti non genuini. –
2.1. Bene interesse tutelato. – 2.2. Soggetto attivo. – 2.3. Elemento oggettivo. – 2.4. Elemento
soggettivo. – 2.5. Consumazione e tentativo. – 2.6. Aggravante/attenuante. – 2.7. Rapporti
con altri reati. – 2.8. Altri profili. – 3. Aggravanti. – 3.1. Aggravante o nuova fattispecie?.
– 3.2. Sanzioni accessorie. – 4. Contraffazione indicazioni geografiche/denominazione origine. – 4.1. Bene interesse tutelato. – 4.2. Soggetto attivo. – 4.3. Elemento oggettivo. – 4.4.
Elemento soggettivo. – 4.5. Aggravanti/attenuanti. – 4.6. Altri profili. – 5. Attenuanti. – Pene
accessorie. – 7. Adulterazione, contraffazione e commercio di sostanze alimentari. – 7.1.
Bene interesse tutelato. – 7.2. Soggetto attivo. – 7.3. Elemento oggettivo. – 7.4. Elemento
soggettivo. – 7.5. Consumazione e tentativo. – 7.6. Rapporti con altri reati. – 7.7. Altri profili.
– Procedura–Verbalizzazione. – Altri aspetti – Considerazioni conclusive.
Il fenomeno della contraffazione
Aspetto
economico
Il fenomeno della contraffazione è da considerare:
a) lesivo del regolare funzionamento dell’economia pubblica.
Dal lato del venditore: si ha una vera e propria concorrenza sleale,
basata sui minori costi di produzione e sulla totale assenza del “rischio
d’impresa”, dato il preesistente successo dell’oggetto copiato, limitando
l’accesso al mercato.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
Dal lato del consumatore, quando quest’ultimo è consapevole della
non originalità del prodotto, si avvantaggia del prezzo irrisorio (soprattutto delle famiglie in crisi di liquidità) e incentiva questo mercato illegale a danno di quello c.d. ‘regolare’ [inutile qui fare riferimento ai costi di
cui è investita un’attività commerciale regolare].
Secondo un rilevamento statistico del Cesis, il cittadino non acquirente, suo malgrado, paga in termini di mancato gettito (e quindi aumento
ovvero non diminuzione delle imposte) di oltre 5 miliardi di euro (pari al
2,5% delle entrate tributarie);
b) viola i diritti di proprietà industriale in una prospettiva più circoscritta
di tutela degli interessi economici degli imprenditori [sfruttamento indebito].
Nell’ultimo triennio, in base ai sequestri effettuati, si è riscontrato la
notevole estensione e diversificazione dei prodotti soggetti a contraffazione, non più costituti da soli beni di lusso o comunque di costo elevato, ma dalle più svariate merci d’interesse comune;
c) lesivo della fiducia dei consumatori.
Inteso come affidamento che i consumatori ripongono in quei pubblici segni distintivi, oggetti, forme esteriori;
d) potenziale attentatore della salute dei consumatori.
Si pensi a giocattoli, prodotti per l’infanzia, prodotti per la pulizia della casa o medicinali; o ancora, a quei beni di consumo – alimenti provenienti dall’attività agricola – la cui destinazione li renda potenzialmente
offensivi, in certe circostanze, anche della salute (oltre che della fiducia),
dei consumatori, tenuto conto che dal luogo falsamente indicato come
provenienza del prodotto agricolo dipendono, esclusivamente o essenzialmente, le caratteristiche o le qualità dello stesso.
Se in genere è noto e d’impatto la contraffazione dei capi di abbigliamento e/o accessori, la contraffazione non risparmia nemmeno il settore
agro-alimentare, riguardando imitazioni di denominazioni protette, aree
geografiche, o altri simboli che richiamano la cucina italiana.
Oggetto di tali azioni sono quei prodotti a marchio di qualità: DOP,
IGP, STG, quali soprattutto vini, latte e suoi derivati, prosciutti, pasta, aceti e conserve alimentari.
Per tutelare gli operatori del settore, il consumatore (e la sua salute) nel tempo una serie di provvedimenti – ora d’ispirazione europea ora d’iniziativa italiana – hanno portato all’introduzione di nuove disposizioni (anche penali) (1),
(1) Nel Capo II (Dei delitti contro l’industria e il commercio) del Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), la fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.) e la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agro-alimentari (art. 517-quater c.p.)
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Aspetto
fiduciario
Aspetto
sanitario
Andrea Girella
modifiche ed integrazioni di norme già esistenti [si pensi alla l. n. 99/2009 (c.d.
collegato sviluppo)] (2), dando nuovo impulso alla tutela del marchio in generale.
I prodotti alimentari
Il panorama normativo a tutela degli alimenti non è ristretto, anche se
spesso vive di spinte garantiste altalenanti (3).
Qui mi limiterò a trattare le previsioni del codice penale in tema di Frode
nell’esercizio del commercio (art. 515), la Vendita di sostanze alimentari non
genuine come genuine (art. 516), la Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater), l’Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440).
Di ognuno s’intende definire soggetto attivo, l’elemento oggettivo e
quello soggettivo, le eventuali aggravanti/attenuanti, la configurabilità del
tentativo, concludendo con il concorso di reati.
La tutela penale ad oggi
1. Frode in commercio
Il primo articolo cui possiamo fare riferimento è l’art. 515 c.p. (come
riformulato dal citato “collegato sviluppo” [l. 99/2009]).
Intitolato “Frode nell’esercizio del commercio”, punisce:
art. 515 c.p.
con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065 (4),
chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio
aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra,
(2) Che modifica e integra, in un’ottica di maggiore severità, i delitti di contraffazione,
alterazione o uso di segni distintivi o di opere dell’ingegno o di prodotti industriali (art.
473 c.p.) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474
c.p.); pone a carico degli enti, in favore dei quali siano commessi i delitti di cui agli artt.
473, 474, 517-ter e quater, c.p. e i delitti in violazione del diritto d’autore, sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, interdittive; chiarisce la portata del delitto di false o fallaci
indicazioni di provenienza od origine (art. 4, comma 49, l. n. 350/2003); modifica l’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, del c.d. decreto competitività (n. 35/2005),
in modo da consentirgli un ambito di effettiva applicazione, finora resa difficile dalla presenza della contravvenzione di incauto acquisto; la causa di non punibilità prevista a favore degli ufficiali di polizia dall’art. 9, comma 1, lett. a) della l. n. 146/2006, alle operazioni sotto copertura finalizzate alla repressione della contraffazione.
(3) Vedasi, in tal senso, il d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della l. 25 giugno 1999, n. 205).
(4) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds. oltre).
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, a condizione che il fatto non costituisca un più grave delitto.
1.1. Bene interesse tutelato
Inquadramento: siamo nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il
commercio).
L’interesse tutelato è quello del leale e scrupoloso comportamento nell’esercizio dell’attività commerciale con riferimento a tutte le cose mobili.
Ne deriva che l’atteggiamento psicologico del compratore non assume rilevanza.
1.2. Soggetto attivo
Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo
può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti.
Nella casistica giurisprudenziale sono stati inclusi tra i soggetti attivi
del reato i:
a)commessi;
b)dipendenti;
c)rappresentanti;
d)familiari;
e)preposti.
1.3. Elemento oggettivo
Il primo degli elementi oggettivi che costituiscono la fattispecie in esame è il luogo d’azione del soggetto attivo, che deve (in ogni caso) aver agito nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico. In particolare, s’intende:
a)per attività commerciale l’esercizio abituale di un’attività diretta allo scambio dei beni;
b)per spaccio aperto al pubblico qualsiasi luogo destinato abitualmente e funzionalmente al commercio delle merci.
La giurisprudenza ha attribuito una più ampia portata alle due espressioni tanto da ritenere responsabile anche il singolo produttore che occasionalmente (anche un solo atto di scambio) venda i suoi prodotti al pubblico direttamente e al di fuori di uno spaccio.
Tale tesi non è condivisa dalla dottrina osservando che tale condotta viola gli interessi tutelati dall’art. 515 esclusivamente se lo scambio avviene
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Andrea Girella
con le caratteristiche tipizzate dalla norma, e cioè nel luogo espressamente destinato al commercio.
Altro aspetto degli elementi oggettivi costituenti tale fattispecie è la
condotta, la quale consiste nella consegna di una cosa mobile diversa da
quella convenuta, ovvero una cosa, per origine, provenienza, qualità o
quantità diversa da quella pattuita.
Alcuni precisazioni in merito:
a)il termine consegna fa riferimento ad un’attività contrattuale pattuizione-dichiarazione tra venditore ed acquirente, distinta dall’attività
di porre in vendita di cui agli artt. 516 e 517.
Il riferimento del testo all’acquirente integra sia il contratto di compravendita che ogni tipo di negozio che importi l’obbligo di consegnare una cosa mobile all’acquirente (contratto estimatorio, di somministrazione, di permuta);
b)oggetto della consegna deve essere un bene, mobile (ad esclusione,
però, del denaro e delle prestazioni meccaniche di taluni strumenti, perché non possono essere qualificate come cose);
c)la diversità si accerta comparando la cosa consegnata a quella dichiarata o pattuita.
Per la dottrina: la pattuizione si riferisce a contratti le cui condizioni
vengono discusse e concordate tra le parti, mentre la dichiarazione concerne i casi in cui la merce viene offerta a condizioni prestabilite e l’acquirente si limita ad accettarle.
Si avrà frode in contrahendo se la cosa venduta è difforme a quella dichiarata nella fase dell’offerta e delle trattative.
Relativamente alle singole connotazioni di divergenza tra pattuito e
consegnato, la diversità può riguardare l’origine, la provenienza, la qualità o la quantità:
1)per diversità d’origine s’intende il diverso luogo di produzione o di
sistema di preparazione;
2)per diversità di provenienza s’intende che è diverso l’intermediario
che l’ha procurata rispetto a quello indicato o altrimenti è diverso il
fabbricante.
Per provenienza ed origine della merce deve intendersi non già la provenienza della stessa da un dato luogo di fabbricazione, totale o parziale,
ma la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume
la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione, rendendosi garante delle qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti;
3)per diversità qualitativa s’intende riferirsi a quei casi di divergenza su qualifiche non essenziali della cosa in rapporto alla sua utilizzabilità, pregio
o grado di conservazione, cui pur non essendoci difformità di specie.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
Esempi di frode qualitativa:
- l’offerta in vendita di un prodotto in stato di avanzato scongelamento senza l’indicazione dell’origine di prodotto congelato, come pure la detenzione di merce scaduta;
- produrre insaccati con carne congelata senza indicarlo;
- consegnare come mozzarella, prodotta, con latte bufalino non fresco, ma surgelato, in difformità di quanto prescritto dal disciplinare
di produzione;
- miscelare vini da tavola nazionale con vini provenienti da diversi
paesi dall’Unione Europea, senza specificarlo nella documentazione di accompagnamento.
L’assenza di nocività della salute del prodotto difforme dal dichiarato non esclude la frode: è il caso di indicazione come ingrediente burro, prosciutto e mozzarella, in luogo di quelli effettivamente utilizzati, vale a dire margarina, spalla cotta e preparato alimentare filante, o
del caso di ordinario vino da tavola recante l’apparente denominazione “IGT Toscano”;
- consegnare un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell’etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall’art. 515 e 517-bis;
- mettere in vendita di una bottiglia di alcolici, con gradazione diversa, rispetto a quella dichiarata;
- vendere uova recanti in etichetta l’indicazione «uova bio – “agricoltura biologica”, ove tali uova provengano da allevamenti che non
utilizzano il metodo di produzione biologico».
La difformità cumulativa di più elementi (per es. qualità e quantità) dà
luogo ad un unico reato e non ad un concorso omogeneo in quanto la
fattispecie è qualificabile come norma a più fattispecie;
4)per diversità quantitativa s’intende la divergenza di numero, peso,
misura e dimensioni.
Esempi di frode quantitativa:
- vendita al minuto al lordo della tara degli involucri che contengono
i prodotti ceduti;
-[tentativo di frode] tenere in un esercizio commerciale una bilancia
con il dispositivo della tara disattivato.
D’incerta collocazione come frode quantitativa o frode qualitativa risulta la produzione di un quantitativo di vino superiore al disciplinare
di produzione.
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Andrea Girella
1.4. Elemento soggettivo
Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente che
l’agente abbia consapevolezza e coscienza di consegnare cosa diversa
[come detto, una divergenza di origine, qualità e quantità] da quella pattuita o dichiarata.
Non sono richiesti né la volontà del pregiudizio altrui, né uno scopo
di lucro o comunque di profitto.
1.5. Consumazione e tentativo
Il delitto si consuma con la consegna della cosa, cioè con la ricezione
della cosa da parte dell’acquirente.
La ricezione può dirsi avvenuta anche se non è l’acquirente in persona
a prendere in consegna la cosa, ma un incaricato o un dipendente dell’acquirente medesimo [giuridicamente si può parlare di consegna ogni volta
che la cosa sia entrata nella sfera giuridica dell’acquirente].
La consegna è l’adempimento (secondo legge, convenzione o prassi
mercantile) di un qualsiasi contratto che importi l’obbligo di consegnare una cosa mobile.
Sul tentativo dottrina e giurisprudenza ammettono la configurabilità della forma tentata di frode in commercio ogni qualvolta sono posti in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare una cosa diversa da quella pattuita/dichiarata.
Se nel tempo si era considerato che la sola detenzione di cibi congelati o surgelati in un laboratorio o la mancanza di segnalazione sul menù dei prodotti congelati non costituisse tentativo, le Sezioni Unite della Cassazione (25.10.2000) hanno sostenuto che indipendentemente da
ogni concreto rapporto con l’acquirente e, quindi, da un inizio di contrattazione con lo stesso, il tentativo di frode in commercio deve ritenersi integrato avendo riguardo all’univocità degli atti.
Casistica in cui si è ritenuto di configurare il tentativo (per univocità e
idoneità dell’azione):
- la detenzione di prodotti congelati in un esercizio commerciale e
l’omessa indicazione nel menù di tale precondizione dell’alimento;
- la conservazione all’interno del frigorifero di un albergo di prodotti
scaduti;
- la detenzione nei magazzini all’ingrosso di olio commestibile, già
imbottigliato ed etichettato, non conforme al prodotto dichiarato;
- la sola detenzione, presso le cantine di un’azienda vinicola, di vino
Brunello di Montalcino in parte derivante da vitigni non conformi;
- la detenzione per la vendita di confezioni di olio extravergine di oliva,
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
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proveniente da altra azienda, con etichettatura che ne attesti la produzione ed il confezionamento presso lo stabilimento del detentore;
la detenzione, negli stabilimenti vitivinicoli di un’azienda commerciale, di vino preparato con l’aggiunta di zuccheri o materie zuccherine
o fermentate diverse da quelle provenienti dall’uva fresca, in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine all’aggiunta di tali ingredienti;
la conservazione in un congelatore, di prodotti vari – hamburger, olive ascolane – senza specificare nel menù che i cibi venivano preparati con prodotti non freschi, ma surgelati;
[relativamente alla vendita self service] l’offerta al pubblico dei consumatori di confezioni con peso diverso da quello reale o di qualità o provenienza diversa da quella effettiva, trattandosi di attività diretta alla consegna;
[nella vendita al minuto] tenere sul bancone di vendita di una birreria due erogatori di bevande alla spina utilizzati per somministrare il vino, sui quali erano apposte etichette non corrispondenti alla
qualità del vino erogato, nonché esporre sul bancone di prodotti, a
cui erano state staccate e/o sostitute le etichette con la dicitura scaduti, poi ritrovate all’interno del locale;
[nella vendita all’ingrosso] (5) le confezioni di alimenti qualitativamente difformi dal pattuito e pronte per essere imballate e vendute;
la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di
produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi.
1.6. Aggravante/attenuante
Vds. succ. punto 3, in quanto l’aggravante, espressamente prevista
nell’art. 515, 2° comma, concerne la frode di oggetti preziosi.
Non sono riconosciute attenuanti sulla considerazione che il bene tutelato è considerato di natura indisponibile; quindi, anche in caso di consapevole accettazione, il delitto può ricorrere.
1.7. Rapporti con altri reati [concorso]
In genere, chi vìola questa disposizione normativa si rende anche autore di altre fattispecie.
(5) Diversamente da quella al minuto, non necessita di una esposizione al pubblico del
prodotto.
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Andrea Girella
Dottrina e giurisprudenza si sono, nel tempo, confrontati sulla possibilità di concorso di reati dell’art. 515 c.p., con particolare riferimento
agli artt. 516 e 640 c.p.
• artt. 515 e 516 c.p. (Vendita di sostanze alimentari non genuine come
genuine) si riconosce un concorso di reati, attesa la diversità strutturale tra i due delitti;
• artt. 515 e 640 c.p. (6) – le due norme non concorrono in quanto si
differenziano per:
– differenze strutturali
– elementi costitutivi
quali la presenza di artifizi e raggiri o l’induzione in errore ravvisando:
– l’art. 515 (e non la truffa) nel fatto del distributore di vino il cui
meccanismo interno di impostazione automatica del prezzo sia
manomesso in modo da consegnare ai vari utenti una quantità inferiore a quella realmente pagata;
– l’art. 640 nel caso in cui un prodotto venduto, magnificato dalla
pubblicità, abbia dato risultati inferiori alle aspettative e addirittura provocato lesioni;
• art. 515 c.p. e leggi speciali [a differenza della disposizione codicistica che è posta a presidio della regolarità dei rapporti commerciali, le leggi in materia di alimenti proteggono la garanzia della qualità dei prodotti] – è generalmente riconosciuto il concorso di reati,
in ragione del diverso interesse protetto.
1.8. Altri profili
Competenza: Tribunale (monocratico)
Procedibilità: d’ufficio
Arresto: non consentito
Fermo: non consentito.
(6) Art. 640 c.p. (Truffa) – 1. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. – 2. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona
offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità; 2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di
cui all’articolo 61, numero 5). – 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
2. Vendita/commercio alimenti non genuini
Il secondo articolo in commento è il 516 c.p., intitolato “Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine”, che prevede che sia punito:
chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine Art. 516 c.p.
sostanze alimentari non genuine
con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032 (7).
Tradizionalmente viene evidenziata la natura accessoria della norma
rispetto a quelle contenute nel Capo II del Titolo VI (Delitti di comune pericolo mediante frode), per cui si deve escludere che l’art. 516 sia posto
a tutela dell’incolumità pubblica.
2.1. Bene interesse tutelato
Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il commercio).
L’interesse tutelato è quello della buona fede degli scambi commerciali, o nel c.d. onesto svolgimento dell’attività commerciale.
Si noti come dal dato letterale la norma si riferisca alle sole sostanze
alimentari (ambito più limitato rispetto l’art. 515).
2.2. Soggetto attivo
Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo
può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti.
2.3. Elemento oggettivo
Il primo aspetto degli elementi oggettivi della fattispecie in esame è la
condotta, la quale consiste nel porre in vendita o mettere altrimenti in
commercio sostanze alimentari non genuine come genuine, dove:
a)porre in vendita si riferisce ad un’attività di offerta al pubblico di una
determinata sostanza;
b)per messa in commercio s’intende qualsiasi forma di messa a disposizione della merce, anche a titolo non oneroso.
La condotta rilevante non si estende al rapporto contrattuale diretto ma
si ferma ad una fase prenegoziale, che segna il confine con il delitto della frode in commercio (art. 515).
(7) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds
oltre).
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Andrea Girella
Si escludono dalla portata oggettiva del delitto tutti gli atti che non costituiscono immissione in commercio, come per esempio la fabbricazione.
Altro elemento è l’oggetto dell’azione, cioè le sostanze alimentari (siano esse solide che liquidi, come le bevande) non genuine (e non dannose per la salute).
A livello definitorio s’intende per:
c)sostanze alimentari:
1)i prodotti provenienti direttamente o indirettamente dalla terra (per
coltura o allevamento);
2)i prodotti manipolati, lavorati e trasformati e, quindi, provenienti
dall’industria, qualsiasi sia il loro stato fisico (solidi, liquidi o gassosi);
d)genuinità, concetto [che non coincide con quella di pericolosità per
la salute pubblica o dell’uso comune del termine e] che prevede un
aspetto formale e uno naturale:
1)la genuinità naturale indica la condizione di una sostanza che non
abbia subito processi di alterazione della sua normale composizione biochimica, o che comunque la modificazione non ne abbia alterato l’essenza.
L’artificiosa modificazione può attuarsi anche facendo uso dei componenti naturali della sostanza, ma in maniera abnorme.
La non genuinità si avrà anche nel caso dell’aggiunta di sostanze
estranee, anche di per sé genuine, idonee a modificare i princìpi
nutritivi che caratterizzano un certo prodotto.
Casistica di non genuinità:
- vendita come olio d’oliva di olio misto d’oliva e di semi;
- vendita di pane denominato all’olio e contenente invece strutto;
- vendita di salsicce contenenti carne bovina come puro suino;
2)la c.d. genuinità formale è la corrispondenza della sostanza ai parametri che sono formalizzati dal legislatore in apposita disciplina (ove sono indicate le caratteristiche e i requisiti essenziali per
qualificare un determinato prodotto alimentare).
Pertanto debbono considerarsi non genuini:
- i prodotti che abbiano subito un’alterazione nella loro essenza e nella composizione mediante la commistione di sostanze estranee o la sottrazione di princìpi nutritivi rispetto a quelli prescritti;
- i prodotti che contengono sostanze diverse da quelle che la legge indica per la loro composizione o che contengano sostanze
in sé genuine in una percentuale superiore o inferiore rispetto
a quella consentita dalla legge.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
Casistica di non genuinità:
- il pane che presenti un contenuto d’acqua superiore al massimo consentito;
- il formaggio che abbia una sostanza grassa inferiore a quella
stabilita dalla legge;
- il “grana padano”, confezionato con latte termizzato – procedura non prevista dalle disposizioni che riconoscono la denominazione d’origine del prodotto e privano il prodotto dei
microrganismi che consento il peculiare processo di maturazione;
- la vendita di un alimento prodotto senza il rispetto di tutte le
modalità di produzione prescritte dal disciplinare, come nel caso di modalità di alimentazione degli animali destinati alla produzione del latte, differente da quanto risulta dal disciplinare di
produzione del parmigiano.
2.4. Elemento soggettivo
Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente la coscienza della non genuinità della sostanza e la volontà di presentarla come genuina.
La consapevolezza della non genuinità deve sussistere al momento della messa in vendita/in commercio, non rilevando una presa di coscienza successiva.
2.5. Consumazione e tentativo
Il reato si consuma nel luogo e nel momento della messa in vendita/
commercio, senza che occorra un concreto atto di vendita o la consegna
al compratore o un offerta specifica della merce.
Sul tentativo dottrina e giurisprudenza divergono per la difficoltà a configurare gli atti idonei diretti in modo non equivoco a mettere in commercio prodotti non genuini, in quanto sarebbero atti che già di per sé integrano la consumazione.
La configurabilità del tentativo è stata ravvisata nell’ipotesi in cui il
prodotto non genuino, pur non uscito dalla sfera di disponibilità del
produttore, è stato oggetto di una condotta diretta alla commercializzazione.
2.6. Aggravante/attenuante
Vds. succ. punto 3.
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Andrea Girella
2.7. Rapporti con altri reati [concorso]
In genere, chi vìola queste disposizioni normative si rende anche autore di altre fattispecie. Dottrina e giurisprudenza si sono, nel tempo, confrontati sulla possibilità di concorso di reati dell’art. 516 c.p. (con particolare riferimento all’art. 515 c.p., di cui rappresenta una forma di tutela
avanzata e di cui abbiamo già accennato sopra).
L’art. 516 c.p. è ritenuta un’ipotesi accessoria in relazione alle norme
[del Capo II del Titolo VI (Delitti di comune pericolo mediante frode)] che
disciplinano le frodi alimentari causanti un pericolo concreto per la salute pubblica, ovvero gli artt. 439 (avvelenamento di acque e di sostanze
alimentari), 440 (adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari).
L’art. 516 c.p. è considerato norma generale, ma di difficile applicazione, in quanto si limita a sanzionare condotte non pericolose per la salute pubblica visto che non viene richiesto un vero e proprio atteggiamento frodatorio.
Tuttavia, in taluni casi è stato configurato un concorso di reati.
• artt. 516 e 440 e 452 c.p. – in giurisprudenza si sostiene la sussistenza di un concorso tra l’art. 516 c.p. e l’adulterazione e contraffazione colposa di sostanze alimentari (artt. 440, 2° co. e 452, ult. co.)
assumendo che un delitto colposo non può mai assorbire un delitto doloso rilevando la diversità di oggettività giuridica, poiché l’uno
tutela l’incolumità pubblica e l’altro la buona fede commerciale;
• artt. 516 e 515 c.p. – l’art. 516 è assorbito dalla frode in commercio
atteso che la condotta di porre in vendita o mettere in commercio
non riguarda un rapporto contrattuale diretto, e, quindi, si pone come prodromica rispetto a tale rapporto nel quale è necessariamente
presente (e tipizzata dall’art. 515) la figura dell’acquirente.
2.8. Altri profili
Competenza: Tribunale (monocratico)
Procedibilità: d’ufficio
Arresto: non consentito
Fermo: non consentito.
3. Aggravante
L’articolo di riferimento ai primi due descritti è l’art. 517-bis c.p.
[“Circostanza aggravante” – norma aggiunta ad opera dell’art. 5, d.lgs.
30.12.1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1, l. 25.6.1999, n. 205)] secondo cui:
Le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di
origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti.
Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se
il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura
dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso da un
minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso (8).
3.1. Aggravante o nuova fattispecie?
Leggendo il 1° comma sembra di essere di fronte ad una circostanza ad
effetto comune, accessoria rispetto agli artt. 515, 516 [e 517].
Tuttavia, ben si potrebbe trattare di una nuova fattispecie incriminatrice.
Se l’oggetto materiale della condotta dei reati previsti agli artt. 515, 516
[e 517] è costituito da alimenti “qualificati”, cioè:
- di origine controllata (DOC);
- di origine garantita (DOCG);
- di origine protetta (DOP);
- o comunque, sottoposti ad una specifica disciplina e tutela, in ragioni delle peculiarità dei prodotti stessi per caratterizzazione geografiche, e (IGP),
così come individuati dal Reg. (CE) 20.3.2006, n. 510/2006 [con esclusione dei prodotti vitivinicoli, già individuati e disciplinati dal Reg. (CEE)
16.3.1987, n. 823/87],
prevederne una sanzione quando non costituiscono un marchio o un segno distintivo [ma soltanto il riconoscimento di una caratteristica di un
prodotto legata alla sua origine] ben potrebbe essere considerata una nuova fattispecie incriminatrice.
3.2. Sanzioni accessorie
Leggendo il 2° comma, invece, non abbiamo dubbi.
Siamo di fronte a (due) sanzioni accessorie di carattere interdittivo, discrezionalmente ed alternativamente applicabile dal giudice, consistenti:
- nella chiusura dello stabilimento o dell’esercizio, da un minimo di
cinque giorni ad un massimo di tre mesi,
(8) Articolo aggiunto dall’art. 5, d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.
51
Andrea Girella
altrimenti
- nella revoca della licenza, dell’autorizzazione o di altro atto che autorizza l’attività.
Lo spazio di discrezionalità è indubbiamente molto ampio ed i parametri cui dovrà attenersi il giudice sono costituiti soltanto dalla:
- recidiva specifica
- e dalla particolare gravità del fatto.
4. Contraffazione indicazioni geografiche/denominazioni origine
Altro articolo è l’art. 517-quater c.p. (“Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”) [tra le misure introdotte dalla l. 23.7.2009, n. 99, volte a rafforzare la tutela dei diritti di proprietà industriale che va ad integrare la
previsione dell’art. 517-bis e collocato subito dopo la vendita di prodotti con segni mendaci (art. 517 c.p.), alla quale è parificato sul piano sanzionatorio, in quanto punito con la reclusione fino a due anni
e la multa fino a 20.000 euro. Diverso, invece, è il bene giuridico tutelato], secondo cui:
Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione
fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 (9).
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione
che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
4.1. Bene interesse tutelato
Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il commercio).
(9) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds. oltre).
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
L’interesse pubblico tutelato è quello di preservare il commercio dalle
frodi [condotte che presentano una spiccata attitudine ingannatoria] circa la provenienza di prodotti agroalimentari particolarmente qualificata.
In merito, la punibilità dei delitti previsti (1° e 2° comma) è subordinato [come già previsto per gli artt. 473, 474 e 517-ter] alla condizione
(3° comma) che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
In caso contrario, la condotta dovrà ricondursi nell’alveo dei più indistinti marchi mendaci e troverà applicazione l’art. 517 c.p.
4.2. Soggetto attivo
Il delitto ex art. 517-quater è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo può essere chiunque in quanto non è essenziale (per
la stessa formulazione della norma) la qualità di commercianti.
4.3. Elemento oggettivo
In merito alla condotta, come visto, l’articolo prevede due fattispecie,
distinte per commi.
Nel 1° comma la condotta punita è quella della contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine
dei prodotti agroalimentari.
In merito all’oggetto del reato va precisato che, facendo riferimento
alle indicazioni fornite dall’art. 2, reg. CE 20.3.2006, n. 510/2006 (10):
a)per denominazione d’origine si deve intendere il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che
serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese; la cui qualità
o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e
umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata;
b)per indicazione geografica si deve intendere il nome di una regione,
di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve
a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale
(10) Relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.
53
Andrea Girella
regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere
attribuite a tale origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.
Con riferimento alle nozioni di contraffazione e alterazione:
a)la contraffazione è la fabbricazione di una cosa simile ad un’altra e
si esegue, di regola, per imitazione, ma anche con un’alterazionetrasformazione, che è comunque riconducibile alla contraffazione.
Si ha contraffazione:
1)[per la dottrina] quando il marchio altrui venga riprodotto abusivamente, in modo più o meno ben riuscito, oppure venga imitato;
2)[per la giurisprudenza] quando la riproduzione è integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa;
b)alterazione. Si ha alterazione:
1)[per la dottrina] quando la manomissione (rara nella prassi) del
contrassegno genuino apposto dall’avente diritto è tale da indurre i consumatori a confondere la provenienza del prodotto;
2)[per la giurisprudenza] quando la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione
parziale è tale da potersi confondere con il marchio originale o
con il segno distintivo.
Il rischio di confusione richiede che il marchio contraffatto sia utilizzato per contrassegnare prodotti o servizi identici o affini a quelli del marchio registrato, cosicché il pubblico possa essere tratto in inganno non
distinguendo beni provenienti da fonti diverse.
Nel 2° comma la condotta punita è quella della introduzione nel territorio dello Stato, detenzione per la vendita, messa in vendita con offerta diretta ai consumatori o messa comunque in circolazione dei prodotti indicati al 1° comma.
In merito:
a)introduzione nel territorio dello Stato – è l’importazione di quanto
contraffatto o alterato dall’estero (dove si è realizzata la falsificazione) nel territorio nazionale, quest’ultimo comprensivo delle acque
e dello spazio aereo territoriale (11);
(11) Integra il reato previsto dall’art. 474, l’introduzione di prodotti con segni falsi nelle acque territoriali italiane, anche se non risulti superata la barriera doganale, purché la scoperta e il conseguente sequestro di detti prodotti siano avvenuti nel corso degli appositi controlli (nella specie merce in transito nel porto di Napoli e non ancora accettata dal destinatario).
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
b)detenzione per la vendita – consiste nella concreta disponibilità, anche temporanea e a qualsiasi titolo, di quanto contraffatto o alterato, che si sia realizzata di concerto con il falsificatore o con un suo
intermediario;
c)messa in vendita o altrimenti in circolazione – consiste in qualsiasi fatto di offerta in vendita, pubblica o clandestina, all’ingrosso o al
minuto, e si realizza con la semplice offerta, non essendo necessario anche un effettivo atto di alienazione.
Il momento consumativo del reato si verifica nel momento in cui la cosa sia posta in vendita o appena ne avviene l’acquisto.
Per realizzare la condotta di messa in vendita non occorre né l’offerta, né l’esposizione in vendita, ma basta, ad es., la giacenza della
merce nei luoghi destinati all’esercizio del traffico (magazzini, botteghe, ecc.).
Pur in mancanza di una espressa clausola di esclusione della responsabilità in caso di concorso tra le condotte considerate al 1° e al 2° comma della norma, si ritiene che i fatti di cui al 1° comma assorbano quelli previsti nel 2° comma della disposizione.
4.4. Elemento soggettivo
Attesa la sua duplice configurazione, il delitto di cui all’art. 517-quater c.p. è diversamente punibile:
- il 1° comma a titolo di dolo generico, essendo sufficiente la coscienza della contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche e
delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari;
- il 2° comma a titolo di dolo specifico, essendo richiesto anche che il
soggetto abbia agito al fine di trarre profitto dalla introduzione nello Stato o dalla messa in circolazione del bene.
4.5. Aggravanti/attenuanti
In tema di attenuanti/aggravanti, il 3° comma contempla che si applicano le disposizioni di cui agli artt. 474-bis, 474-ter, secondo comma, e
517-bis, secondo comma, sotto richiamati per comodità.
474-bis. Confisca.
Nei casi di cui agli art. 473 e 474 è sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca
delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti.
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Andrea Girella
Quando non è possibile eseguire il provvedimento di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per
un valore corrispondente al profitto. Si applica il terzo comma dell’art.
322-ter.
Si applicano le disposizioni dell’art. 240, commi terzo e quarto, se si
tratta di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato,
ovvero che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, appartenenti a persona estranea al reato medesimo, qualora questa dimostri
di non averne potuto prevedere l’illecito impiego, anche occasionale, o
l’illecita provenienza e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza.
Le disposizioni del presente articolo si osservano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma del titolo II del libro
sesto del codice di procedura penale.
474-ter. Circostanza aggravante.
Se, fuori dai casi di cui all’articolo 416, i delitti puniti dagli articoli 473
e 474, primo comma, sono commessi in modo sistematico ovvero attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 50.000.
Si applica la pena della reclusione fino a tre anni e della multa fino a euro 30.000 se si tratta dei delitti puniti dall’articolo 474, secondo comma.
517-bis. Circostanza aggravante.
Le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti.
Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se
il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura
dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso da un
minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso.
Per il delitto di cui all’art. 517-quater c.p. è configurabile la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 517-quinquies c.p., relativa alla collaborazione con l’autorità di polizia o giudiziaria.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
4.6. Altri profili
Competenza: Tribunale (monocratico)
Procedibilità: d’ufficio
Arresto: non consentito
Fermo: non consentito.
5. Attenuanti
Il quarto articolo d’interesse è l’art. 517-quinquies c.p. (“Circostanza
attenuante”) (12), secondo cui:
Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei
delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di
elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.
L’articolo disciplina una circostanza attenuante applicabile ai delitti di
cui agli artt. 517-ter e 517-quater, ad effetto speciale.
Quest’ultima comporta una diminuzione della pena prevista per tali reati dalla metà a due terzi, diretta a incentivare tutte quelle condotte
che possono favorire la scoperta e la repressione dei reati di cui agli artt.
517-ter, 517-quater c.p.
Nel dettaglio l’attenuante è configurabile nei confronti di chi si adoperi per:
- aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui agli artt. 517-ter, 517-quater;
- nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per
l’individuazione e la cattura dei concorrenti negli stessi;
- nella individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione
dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.
Ai fini del riconoscimento dell’attenuante, sono irrilevanti i motivi per
i quali il colpevole abbia deciso di collaborare con l’autorità.
6. Pene accessorie
Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia
pubblica, l’industria e il commercio), Capo III (Disposizione comune ai
capi precedenti).
(12) Articolo aggiunto dalla lett. e), comma 1, dell’art. 15, l. 23 luglio 2009, n. 99.
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Andrea Girella
La chiusura comune ai citati articoli è l’art. 518 c.p. (“Pubblicazione
della sentenza”), secondo cui:
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 501, 514,
515, 516 e 517 importa la pubblicazione della sentenza.
Trattasi di una pena accessoria derivante dalla condanna.
Si è ritenuta applicabile la pena accessoria anche nel caso di sentenza
di condanna per tentativo di frode in commercio sulla base che tale norma non differenzia il tentativo dal reato consumato.
7. Adulterazione, contraffazione e commercio di sostanze
alimentari
Un ulteriore accenno va fatto all’art. 440 c.p. (“Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”), secondo cui:
Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da
tre a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute
pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.
La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali.
7.1. Bene interesse tutelato
Inquadramento: abbiamo cambiato Titolo, VI (Delitti contro l’incolumità
pubblica (13)) e Capo, II (Delitti di comune pericolo (14) mediante frode).
L’interesse tutelato è quello della pubblica incolumità sotto la particolare visuale della salute pubblica, insidiata da forme di condotta fraudolenta che pregiudicano la qualità delle acque o di altre sostanze destinate all’alimentazione.
Il concetto di salute, bene di significativa rilevanza costituzionale (cfr.
art. 32 Cost.) (15), secondo la definizione fornita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è uno stato di effettivo benessere fisico, mentale
(13) L’incolumità pubblica consiste nella «sicurezza collettiva», nel complesso delle condizioni (garantite dall’ordinamento) necessarie e indispensabili alla esplicitazione primaria
della convivenza sociale (sicurezza della vita, dell’integrità personale e della salute), come
beni di tutti e di ciascuno, indipendentemente dal loro riferimento a determinate persone.
(14) Il comune pericolo va inteso come connubio tra i concetti di collettività, indeterminatezza delle persone e potenza espansiva del nocumento alle cose.
(15) “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
e sociale e non va inteso in senso negativo, come mera assenza di malattia o di infermità.
Si tratta di un c.d. reato di pericolo atteso che per la sua integrazione
è sufficiente l’insorgere del pericolo per la salute pubblica.
Riguardo ai delitti commessi mediante frode, si ritiene comunemente
che non si tratti di frode in senso proprio, se per frode si intende la condotta diretta ad indurre in errore a scopo di trarne ingiusto profitto.
L’inganno entra comunque tra le modalità di aggressione relative ai delitti del capo II, con generico riferimento al mezzo o effetto insidioso, senza che però sia sempre escluso dalle figure del capo I.
7.2. Soggetto attivo
Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo
può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti.
7.3. Elemento oggettivo
Il reato in esame è a forma libera, potendo realizzarsi con qualsiasi
condotta attiva od omissiva, attività non occulte o fraudolente, non vietate in modo espresso dalla legge.
La condotta della fattispecie in commento consiste nel corrompere,
adulterare, contraffare le cose indicate.
In merito vanno precisati alcuni termini:
a)adulterare (acque o sostanze alimentari di cui al 1° comma) – si verifica con l’alterazione della natura genuina di una sostanza attraverso un procedimento col quale si aggiungono o si sostituiscono elementi che sono nocivi alla salute, con l’effetto di far apparire come
genuina la sostanza o il prodotto.
Più precisamente, “adulterare” significa alterare la struttura originale di un alimento, mediante sostituzione di elementi propri dell’alimento con altri estranei, ovvero sottrazione di elementi propri dell’alimento, o ancora, aumento della quantità proporzionale di uno o
più dei suoi componenti.
L’adulterazione può verificarsi anche per sottrazioni, miscele, correzioni e modificazioni varie, tali da determinare una innovazione
nella qualità della sostanza o del prodotto;
b)corrompere – consiste nell’immissione negli alimenti o nelle bevande di sostanze che ne alterano l’essenza, guastando o viziando la
composizione naturale e simulandone la genuinità così da renderle
pericolose per la salute pubblica.
59
Andrea Girella
Da quest’ultima osservazione emerge il carattere fraudolento che caratterizza la condotta in esame.
Si è sostenuto, in dottrina, che il corrompimento costituirebbe ipotesi speciale rispetto all’adulterazione, in quanto riferita, nella previgente legislazione in materia, esclusivamente alle acque;
c)contraffare – diversamente dall’adulterazione e dal corrompimento,
i quali presuppongono un alimento preesistente che viene manipolato – implica l’inesistenza della cosa e consiste nel formare ex novo un alimento con l’apparenza della genuinità in quanto prodotto con sostanze in tutto o in parte diverse, per qualità o quantità, da
quelle che normalmente concorrono a formarlo.
Oggetto materiale della condotta di cui al 1° e 2° comma sono le acque e le sostanze destinate all’alimentazione.
In giurisprudenza, si è osservato che, in tema di delitti di comune pericolo mediante frode, va escluso ogni rilievo alla distinzione tra alimenti e sostanze destinate all’alimentazione.
Per quanto riguarda le “acque”, si è precisato, in giurisprudenza, che
il reato di cui all’art. 440 si configura anche nell’ipotesi in cui il corrompimento venga operato su acque non originariamente pure dal punto di
vista chimico e batteriologico.
Non viene qui trattata la condotta di cui al 3° comma, che ha come
oggetto materiale le sostanze medicinali (16).
Per l’esistenza del reato è necessario che le acque e le sostanze alimentari adulterate o corrotte siano pericolose per la salute pubblica.
Non è necessario che dall’uso alimentare della sostanza derivi un danno per la salute pubblica, essendo sufficiente che tale evenienza appaia
come probabile per l’attitudine della sostanza stessa a cagionare perturbamenti o alterazioni del normale ed armonico svolgimento delle funzioni psico-fisiche.
La giurisprudenza individua il termine di riferimento della dannosità
dell’alimento nel consumatore sano, così escludendo che la nocività del
prodotto possa essere determinata alla stregua della sua azione in persone affette da particolari stati patologici.
(16) La distinzione tra alimenti e medicinali non è sempre agevole. Alcuni alimenti, infatti, hanno proprietà farmaco-dinamiche e farmaco-terapeutiche mentre vi sono dei medicinali che vengono impiegati nella preparazione degli alimenti o prodotti a carattere
bivalente.
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Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
7.4. Elemento soggettivo
Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente che
l’agente abbia consapevolezza e coscienza del pericolo obiettivo per la
salute pubblica connesso al corrompimento o all’adulterazione delle acque o sostanze destinate all’alimentazione) senza alcuna necessità che il
detto evento sia specificamente perseguito in funzione dell’obiettivo di
realizzare un attentato alla salute pubblica.
7.5. Consumazione e tentativo
Il reato si consuma con il fatto del corrompimento, dell’adulterazione
o della contraffazione senza che sia necessario l’uso effettivo o il consumo e il danno alla salute, coincidendo con il verificarsi della pericolosità della cosa.
È configurabile il tentativo qualora siano stati compiuti atti idonei (17)
diretti in modo non equivoco a produrre l’adulterazione, il corrompimento, la contraffazione, senza che il pericolo per la salute pubblica si
sia verificato.
7.6. Rapporti con altri reati [concorso]
Come già detto:
• artt. 516 e 440 e 452 c.p. – in giurisprudenza si sostiene la sussistenza di un concorso tra l’art. 516 c.p. e l’adulterazione e contraffazione colposa di sostanze alimentari (artt. 440, 2° co. e 452, ult. co.)
assumendo che un delitto colposo non può mai assorbire un delitto doloso rilevando la diversità di oggettività giuridica, poiché l’uno
tutela l’incolumità pubblica e l’altro la buona fede commerciale;
• artt. 440 e 444 c.p. (Commercio di sostanze alimentari nocive) – nella prima ipotesi si ha un’opera di corruzione/adulterazione delle sostanze alimentari, mentre nella seconda l’elemento oggettivo consiste nella detenzione per il commercio/distribuzione.
7.7. Altri profili
Competenza: Tribunale collegiale
Procedibilità: d’ufficio
Arresto: obbligatorio
Fermo: consentito.
(17) L’inidoneità a trarre in inganno gli acquirenti integra l’ipotesi del c.d. reato impossibile.
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Andrea Girella
Procedura – Verbalizzazione
Come noto, sotto l’aspetto processuale penale, vista anche la procedibilità d’ufficio, l’attività d’iniziativa della p.g. consisterà principalmente ne:
– il sequestro;
– l’eventuale affidamento (in giudiziale custodia) ad un custode;
– i rilievi fotografici, per una migliore repertazione;
– la nomina (quale ausiliario p.g.) di un perito;
– la possibilità di distruzione (nei casi v/Ignoti, cfr. art. 260, comma
3-ter, c.p.p.) (18).
Altri aspetti
La tutela del regolare e corretto funzionamento del mercato e della fiducia dei consumatori apprestata dai delitti codicistici è rafforzata anche
con la previsione di sanzioni a carico degli enti.
Infatti, dato che la contraffazione di marchi e la messa in circolazione
Enti
di prodotti contraffatti possono essere svolte per conto o a vantaggio di
imprese, il legislatore ha introdotto misure repressive finalizzate a disincentivare tale pratica, colpendo anche i soggetti giuridici.
Per tali motivi è stato integrato (19) l’art. 25-bis, comma 1 e comma 2,
del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (sulla responsabilità amministrativa da
reato degli enti) ponendo a carico degli enti una sanzione pecuniaria fino a 500 quote e sanzioni interdittive [una di quelle previste dall’art. 9,
comma 2, del d.lgs. n. 231/2001] in caso di commissione dei delitti contro l’industria e il commercio previsti nel Capo II, del Titolo VIII del Libro
II del codice penale (in relazione alla commissione dei delitti di cui agli
artt. 473-474, 515, 516, 517, 517-ter, 517-quater).
Considerato che la contraffazione appare come un fenomeno complesso, spesso riconducibile ad organizzazioni criminali (sfruttamento
del lavoro nero e irregolare, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti), la l. n. 99/2009, nell’ottica di un’efficace opera di contrasto, ha previsto alcuni effetti penali nei
(18) Decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, la p.g.
operante può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all’a.g. La distruzione può avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell’a.g. È fatta salva la facoltà di conservazione
di campioni.
(19) Con l. 23.7.2009, n. 99, recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, pubblicata sulla G.U. 31.7.2009, n.
176, S.O. n. 136, ed entrata in vigore il 15.8.2009.
62
Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi
confronti di coloro che si organizzano per la commissione dei delitti in
esame, a prescindere dalla effettiva realizzazione degli stessi.
È stato così integrato l’art. 12 sexies del d.l. n. 306/1992 (modifiche ur- Confisca
genti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto
alla criminalità mafiosa), aggiungendo l’associazione per delinquere finalizzata a commettere i delitti di cui agli artt. 473-474 e 517-quater c.p.
all’elenco dei reati per la cui condanna è obbligatoria la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non riesca a giustificare la provenienza e di cui risulti essere titolare, anche per interposta persona fisica o giuridica, o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in
valore sproporzionato al proprio reddito.
La misura di sicurezza è chiaramente mirata a impedire la reiterazione della condotta illecita attraverso la sottrazione alle organizzazioni criminali di tutte le disponibilità economiche destinate a finanziare l’attività di contraffazione, quando non sia possibile condannare per i delitti di
cui agli artt. 473-474, 517-quater e, conseguentemente, ordinare, ex art.
474-bis c.p., la confisca obbligatoria delle cose che siano servite alla loro realizzazione o che ne siano il prodotto, il prezzo, il profitto.
Considerazioni conclusive
Da operatore di polizia, come porre concreto freno al fenomeno velocemente descritto?
È possibile qui suggerire tre direttrici di azione.
Prima – presidiare gli spazi doganali, con la finalità d’intercettare i traffici illeciti di merci contraffatte e pericolose extra-UE prima ancora che
vengano immesse nel circuito commerciale nazionale.
Seconda – operare un sistematico controllo economico del territorio,
con la collaborazione di tutte le FF.PP. (nazionali e locali) per garantire
una risposta repressiva tempestiva e capillare dei traffici illeciti di minore spessore e della minuta vendita.
Terza – investigazioni orientate non solo al sequestro al momento della vendita al pubblico quanto piuttosto per risalire l’intera ‘filiera del falso’ ed individuare i canali d’importazione, i centri di abusiva produzione, le aree di deposito nonché la rete della grande distribuzione delle
merci contraffatte.
63
Enzo Maria Tripodi
Le vendite piramidali:
Sant’Antonio arriva
anche da Internet
Enzo Maria Tripodi
Coordinatore INDIS-Unioncamere
L
e vendite “piramidali” sono vendite al dettaglio che si basano sul meccanismo
in cui il rivenditore, oltre a vendere i prodotti dell’impresa preponente, effettua
anche il reclutamento di ulteriori venditori al fine di conseguire le provvigioni sulle
sue vendite ed una quota delle provvigioni maturate dai venditori da questi inseriti
nell’organizzazione di vendita.
Le vendite “piramidali” sono anche fattispecie illecite allorquando il sistema è
strutturato per la vendita (cioè per l’autoconsumo) da parte degli aderenti che
pagano, inoltre, una “quota” quale diritto di “accesso” all’organizzazione. Per
recuperare l’investimento il loro obiettivo è reclutare altri partecipanti per ognuno
dei quali ricevere una “provvigione”, secondo meccanismi diversificati.
La legge 17 agosto 2005, n. 173 regolamenta, per un verso, gli incaricati della
vendita a domicilio e, per l’altro, sanziona le ipotesi di vendita “piramidale” illecita.
L’occasione di alcuni provvedimenti recenti dell’Autorità garante della concorrenza
offre il destro per una breve disamina della materia che, tra l’altro, si sta avvalendo
delle potenzialità offerte dalle dinamiche dei contatti telematici, secondo la logica
imprenditoriale del commercio elettronico.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Le vendite piramidali. – 3. La l. 17 agosto 2005, n. 173 e il
d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146. – 4. Le conseguenze civilistiche e penali (molto in breve). –
5. Le vendite piramidali come pratiche commerciali scorrette. – 6. Le vendite piramidali
ed il contratto di franchising. – 7. Le vendite piramidali tramite Internet.
1. Premessa
L’Autorità garante della concorrenza ha nuovamente affrontato il tema delle vendite piramidali, sotto il versante delle pratiche commerciali slea­li, comminando sanzioni pecuniarie elevate, in ragione della gravità dei comportamenti perpetrati dall’organizzazione del “sistema” (1).
(1) AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24784, Vemma Italia-Prodotti con succo di mangostano
(PS7621), in Boll. n. 10/2014, p. 22 ss.; AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24785, Asea-Acqua
del benessere (PS8171), in Boll. n. 10/2014, p. 39 ss.; AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24786,
Organo Gold Italia (PS8202), in Boll. n. 10/2014, p. 64 ss.
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Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
Il tema fornisce l’occasione per una breve descrizione della legge 17
agosto 2005, n. 173 che, con le modifiche del 2007, regolamenta i “confini” delle vendite piramidali che – va detto – non necessariamente costituiscono attività illecite. Tuttavia, data la loro configurazione di “sistema”
costituito dalla vendita e dal “reclutamento” di altri venditori, si presta a
generare una evidente confusione, anzitutto con il franchising (2). Da ultimo, i fenomeni “virali” sviluppati utilizzando i siti su Internet e le potenzialità del commercio elettronico, hanno fornito ulteriori possibilità al
sorgere di “Catene di Sant’Antonio” telematiche.
2. Le vendite piramidali
Vengono considerate come “vendite piramidali”, le operazioni di “vendita” in cui l’incentivo economico dipende dal mero reclutamento di nuovi soggetti (3).
In Italia prevale la tendenza a valutare negativamente il fenomeno ed,
infatti, sono state vietate dalla l. 17 agosto 2005, n. 173 che disciplina
la «vendita diretta a domicilio e la tutela del consumatore dalle forme di
vendita piramidale».
Si differenziano dalla vendita diretta a domicilio in quanto, mentre
quest’ultima ha lo scopo di avvicinare il produttore al consumatore finale
e di favorire la vendita di beni o servizi; le vendite piramidali tendono, invece, a moltiplicare i livelli di vendita attirando nella rete nuovi aderenti.
(2) Per un quadro v. E.M. Tripodi, La regolazione del franchising dieci anni dopo la legge n. 129/2004, in Discipl. comm. e servizi, n. 3/2014, p. 17 ss.
(3) Sulle vendite piramidali v. E. Battelli, F. Reggiani, Legge 17 agosto 2005, n. 173, Vendita diretta a domicilio e vendite piramidali, in V. Cuffaro, Codice del consumo, III ed.,
Milano, 2012, p. 1310 ss.; M. Serena, Il divieto delle forme di vendita piramidali, in
Aa.Vv., Le vendite speciali, a cura di G. Sicchiero, Padova, 2009, p. 435 ss.; C. Iurilli, Le
vendite piramidali della nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali. Dal business
to consumer al business to business, in Studium Iuris, 2008, p. 656 ss.; M.I. Zecchino,
Vendite piramidali, in Notariato, 2007, p. 197 ss.; A. Vallini, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, in Leg. pen.,
2006, 1, p. 33 ss.; E. Squarcia, Vendita piramidale e tutela del consumatore: un intervento settoriale da inserire nella più globale e completa riforma del codice del consumo, in
Nuove Leggi civ. comm., 2006, III, p. 601 ss.; M. Atelli, Disciplina della vendita diretta
a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale, in Obbl. e contr., 2005, p. 271 ss.; A. Pagano, Legge 17 agosto 2005, n. 173 – Disciplina della vendita
diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali , in Corriere giur., 2005, p. 1343 ss.; G. Bisazza, Vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale, in Studium Iuris, 2006, p. 398 ss.; F. Agnino, Vendita piramidale, in E.M. Tripodi, B. Tassone (a cura di), Vendita, ne I nuovi contratti nella
prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, vol. XV, Tomo I, Torino, 2004, p. 469 ss.
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Vendita
a domicilio
e vendita
piramidale
Enzo Maria Tripodi
I “meccanismi”
delle “catene”
piramidali
Inoltre, mentre una società che opera attraverso forme di vendita diretta retribuisce i propri agenti o venditori riconoscendo loro provvigioni proporzionali alla quantità o al valore del prodotto venduto; nelle organizzazioni piramidali, la remunerazione è basata sull’acquisizione di
nuove posizioni di rivendita, cioè sul semplice reperimento di nuovi elementi da inserire nell’organizzazione.
Agli acquirenti che entrano nella “catena” viene richiesto un investimento iniziale obbligatorio, non tanto per l’acquisto della merce, ma quale diritto di accesso per entrare nell’organizzazione. A sua volta, il venditore appena entrato cercherà altri venditori a cui far pagare il «diritto
d’accesso», i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via, indipendentemente dalla quantità di merce venduta.
In altri termini, a fronte del versamento di una quota di adesione, viene offerta la possibilità di acquistare prodotti a prezzi scontati ed a condizioni vantaggiose, promettendo l’attribuzione di provvigioni agli aderenti che reclutino altri soggetti da inserire nella catena di vendita. In realtà
i beni di volta in volta commercializzati sono solo un pretesto per reclutare altri venditori, che pagheranno all’agente esclusivamente la posizione di rivenditore all’interno della struttura.
Tuttavia, quanto più si avanza nella “piramide”, tanto più diventa difficile trovare nuovi clienti oppure smerciare beni in quantità sufficiente
a recuperare il c.d. diritto di entrata nella catena. Di conseguenza, la dilatazione potenzialmente illimitata dei livelli della “piramide” determina un progressivo aumento del rischio del suo crollo, a danno soprattutto dei soggetti che entrano alla base della rete di vendita. Tale rischio è
taciuto ai nuovi candidati, ai quali viene prospettata la possibilità di notevoli guadagni così come è effettivamente avvenuto per i soggetti che si
trovano al vertice della “piramide”.
Chiarite le differenze tra vendita diretta e vendita piramidale, appare evidente come, al fine di tutelare i consumatori, da un lato, ed il principio della
libera e corretta concorrenza, dall’altro, si sia ritenuto necessario prevedere degli strumenti normativi che colpiscano in modo specifico e puntuale
le organizzazioni che propongono forme di vendita piramidale, segnando
anche un margine di legittimità della pratica del multilevel marketing (4).
Si tenga conto, infatti, che, come detto, la vendita diretta attuata attraverso una rete multilivello non è illecita qualora siano evitati i “meccanismi”
(4) Per le fattispecie lecite v. Aa.Vv., Network marketing, Milano, 2006; G.G. Scott, Arricchirsi con le vendite articolate multilivello, VII ed., Milano, 2004.
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Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
propri delle vendite piramidali. Per sintetizzare, il multilevel marketing è
una forma di vendita diretta (porta a porta) in cui gli incaricati commercializzano i prodotti di una impresa e, contemporaneamente, reclutano
altri rivenditori se costoro intendono entrare nell’organizzazione di vendita. Il pagamento per l’attività svolta è in forma di provvigione sulle vendite andate a buon fine, alle quali si aggiungono i compensi detratti dalle
provvigioni conseguite dai venditori “reclutati”. Le provvigioni, quindi,
maturano solo a seguito delle effettive vendite procurate e non per aver
reclutato altri soggetti per far parte dell’organizzazione.
3. La l. 17 agosto 2005, n. 173 e il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146
La l. 17 agosto 2005, n. 173 opera una netta distinzione tra le forme di
“vendita diretta” – includendo tra queste anche quelle a struttura multilevel – e le cosiddette forme di “vendita piramidale”, conosciute anche come “catene di S. Antonio” (5). La legge in parola è stata poi parzialmente modificata dal d.lgs. n. 146/2007, relativo alle pratiche commerciali
slea­li tra imprese e consumatori.
Nella sua formulazione originaria, l’art. 5 disponeva il divieto della
«promozione e la realizzazione di attività e di struttura di vendita nelle
quali l’incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o di promuovere la vendita di beni o servizi determinati
direttamente o attraverso altri componenti la struttura».
Del pari, la normativa, al comma 2, vieta la promozione o l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, “catene di Sant’Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a
reclutare si trasferisce all’infinito, previo il pagamento di un corrispettivo.
Con l’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 146/2007, la suindicata disposizione, insieme all’art. 7 relativo alle sanzioni da applicare, è stata
modificata prevedendo che: «Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli articoli 5, comma 1, e 7, della legge 17 agosto
2005, n. 173, recante la disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, sono abrogati nella parte in cui riguardano forme di vendita piramidali tra consumatori e
(5) A. Natalini, Catene di Sant’Antonio a rischio-manette. Stop alla vendita piramidale:
ora è reato, in Dir. giust., 2005, 37, p. 106 ss.; A. Vallini, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, in Leg. pen.,
2006, p. 33 ss.
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Le modifiche
alla disciplina
con il d.lgs.
n. 146/2007
Enzo Maria Tripodi
Il quadro
sanzionatorio
professionisti come definite all’articolo 23, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo
in cui è previsto o ipotizzabile un contributo da parte di un consumatore
come definito dall’articolo 18, comma 1, lettera a), del predetto codice.
I suddetti articoli 5, comma 1, e 7, restano applicabili pertanto alle forme di promozione piramidale che coinvolgano qualsiasi persona fisica o
giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale».
Detta previsione comporta che «avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema
piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti» viene considerata come una pratica commerciale in ogni caso ingannevole. Inoltre, le
sanzioni previste nell’art. 7, l. n. 173/2005 si applicheranno, non più ai
consumatori, meri reclutati e dunque soggetti passivi di reato, ma soltanto alla «persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale», evitando così il
rischio che la vittima del reato sia tramutata in soggetto attivo dello stesso e quindi punita.
Le sanzioni stabilite dall’art. 7 si applicano – salvo che il fatto costituisca più grave reato – nei confronti delle persone fisiche o giuridiche
agenti nel quadro della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, che organizzano e promuovono iniziative di carattere
collettivo o inducono uno o più soggetti ad aderire, associarsi o affiliarsi a tali organizzazioni.
Si tratta di un reato contravvenzionale punito con l’arresto da sei
mesi ad un anno o con l’ammenda da 100.000,00 euro a 600.000,00
euro. Il reato è da ritenersi di natura permanente, in quanto sono punite sia la «promozione» sia la «realizzazione» di strutture di vendite
piramidali. Inoltre, per la complessità di tali operazioni, difficilmente
i promotori e gli organizzatori riescono ad evitare l’accusa più grave
di associazione a delinquere, con conseguenze ulteriori a titolo sanzionatorio e cautelare.
È rimasto invece invariato l’art. 6, l. n. 173/2005, che individua gli elementi presuntivi della vendita piramidale costituiti da eventuali obblighi
posti in capo al cliente-venditore reclutato, ed in particolare:
a)acquistare dall’impresa organizzatrice, ovvero da altro componente
la struttura, una rilevante quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rifusione del prezzo relativamente ai beni ancora vendibili,
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Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario, nel caso di mancata o parzialmente mancata vendita al pubblico;
b)corrispondere, all’atto del reclutamento e comunque quale condizione per la permanenza nell’organizzazione, all’impresa organizzatrice o ad altro componente la struttura, una somma di denaro o
titoli di credito o altri valori mobiliari e benefici finanziari in genere
di rilevante entità e in assenza di una reale controprestazione;
c)acquistare, dall’impresa organizzatrice o da altro componente la
struttura, materiali, beni o servizi, ivi compresi materiali didattici e
corsi di formazione, non strettamente inerenti e necessari all’attività commerciale in questione e comunque non proporzionati al volume dell’attività svolta.
4. Le conseguenze civilistiche e penali (molto in breve)
Nelle vendite piramidali il contratto stipulato tra l’organizzazione piramidale e il cliente-venditore ha una giustificazione causale nella quale si mescolano la componente lavoristica e quella relativa al contratto
di compravendita. La predominanza della seconda componente rispetto
alla prima finisce, però, con l’attrarre sul piano causale l’intero negozio
verso il modello della compravendita, con la conseguente applicabilità,
sotto il profilo civilistico, di quanto stabilito dal codice civile per i contratti nulli e annullabili (6).
Innanzitutto, al fine di sentir dichiarare la nullità del contratto stipulato in violazione della l. n. 173/2005, le vittime dei raggiri possono invocare il dolo contrattuale o l’impossibilità dell’oggetto, allorché il bene
(6) La l. n. 173/2005, come si è detto, vieta la promozione o l’organizzazione di tutte
quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, “catene di Sant’Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo. È proprio il trasferimento di tale diritto/obbligo di reclutamento a caratterizzare il contratto di vendita piramidale che, quindi, a differenza del contratto di compravendita disciplinato dal codice civile agli artt. 1470 ss., non si esaurisce nello scambio della cosa contro un prezzo. La giurisprudenza che si è pronunciata a riguardo ha concluso
che «i contratti di vendita piramidale si configurano nella pratica come contratti atipici
che presentano alcuni caratteri dell’associazione in partecipazione, del mandato e della vendita. Si tratta dunque di negozi a causa mista che costituiscono espressione del potere delle parti di concludere un atto negoziale nel quale siano combinati elementi propri di tipi negoziali diversi». (In questi termini, Trib. Torino, ord. 3 ottobre 2000, in Giust.
civ., 2001, I, p. 816 ss. con nota di Plaia, Organizzazioni “piramidali” e interessi del consumatore: il giudice ordinario e la l. n. 281 del 1998).
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Il dolo
Enzo Maria Tripodi
L’impossibilità
della
prestazione
Il contratto in
frode alla legge
L’assenza
di causa
non presenti nessuna delle caratteristiche citate nei vari contratti di vendita o, come si è visto in giurisprudenza, di affiliazione commerciale (7).
Inoltre, la giurisprudenza di merito ha ipotizzato che la nullità di tali
contratti possa derivare dalla presenza di prestazioni impossibili da eseguire essendo state estorte con promesse irrealizzabili di successo ed elevato reddito (8).
Anche la fruizione di sconti, servizi e vantaggi appare spesso tanto
generica da far ritenere nulli i contratti stipulati per indeterminatezza
dell’oggetto.
O, ancora, le vittime dei raggiri possono ricorrere alla «frode alla legge,
nell’aver perseguito il tentativo di utilizzare uno strumento contrattuale per
fini e scopi ritenuti dall’ordinamento non meritevoli di tutela, chiedendo l’annullamento o la nullità giudiziale del contratto che il preponente ha ingannevolmente qualificato come franchising (9). L’annullamento del contratto,
in tal caso, travolgerà tutte le obbligazioni delle rispettive parti» (10).
Sotto altro aspetto, nei casi in cui non esista un prodotto da commercializzare ma solo un’idea, può porsi in dubbio la stessa esistenza di una
causa del contratto, ogni qualvolta il fine sia quello di ritenere commercialmente valido un insieme di formule e di tecniche che si risolvono in
realtà in una vendita di fumo, come nel caso di franchisor che pretenda
di aver messo a punto un pseudo-sistema volto a rafforzare la personalità dell’individuo e tale sistema sia fatto oggetto di cessione a vari franchisee che lo pongono in concreta attuazione con prestazioni di servizi in
favore di terzi malcapitati.
La giurisprudenza ha, inoltre, ritenuto nullo un contratto associativo,
motivato dall’esclusiva finalità di vendita di tessere, per contrarietà all’ordine pubblico e illiceità della causa ex art. 1343 cod. civ. (11)
Altra questione che può essere sollevata è la nullità dei contratti per
violazione di norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod.
civ. (12). È «noto che, per la giurisprudenza, per aversi contrarietà a norme
(7) Cfr. Trib. Torino, 3 ottobre 2000, in Corriere giur., 2001, p. 389, con commento di
R. Conti.
(8) Cfr. Trib. Firenze, 30 maggio 1986.
(9) V. quanto si dirà al successivo par. 6.
(10) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, in Aa.Vv., Manuale di diritto
dei consumatori, a cura dello stesso Iurilli, Torino, 2005, p. 158.
(11) Cfr. Trib. Torino, 3 ottobre 2000, in Foro it., 2000, I, c. 3622.
(12) Già una pronuncia risalente aveva riconosciuto, a seguito di ricorso di massa di alcuni truffati di una vendita piramidale, che la nullità di simili contratti che «qualificati in
apparenza come franchising, sono in realtà privi di causa, oppure contengono prestazio-
70
Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
imperative ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., occorre che il contratto sia
vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato» (13).
Nel caso di specie il contratto concluso in violazione del precetto normativo, comporta non solo le sanzioni penali ex art. 7 della l. n. 173/2005
(come detto al par. precedente), ma anche la possibilità che sussistano gli
estremi del reato di truffa (14).
Il sistema di vendita piramidale potrebbe integrare il reato di cui all’art.
640 c.p., in quanto avrebbe come necessario presupposto una réclame
menzognera, la quale, allettando col miraggio di ottenere la merce a prezzo assai inferiore a quello corrente o una percentuale sul prezzo dei prodotti venduti, non renderebbe noti i rischi ai quali espone e le minime
probabilità esistenti a favore di chi s’imbarchi in questa avventura. Tale
forma di réclame sarebbe idonea, quindi, a far cadere in errore ed a creare un pregiudizio patrimoniale, per chi non riesce a recuperare le cifre investite, ed a recare un profitto al commerciante, il quale invece si arricchisce con tutti i versamenti fatti da coloro che abbandonano il sistema.
L’illiceità penale toglie validità al contratto concluso dall’organizzatore della vendita piramidale, e il consumatore ha diritto di ripetere quanto ha pagato al truffatore, in forza dell’art. 2033 cod. civ. L’azione di ripetizione deve essere esclusa solo qualora il privato avesse proceduto al
pagamento per uno scopo contrario al buon costume (in tal caso è, però,
necessario provare che la partecipazione al sistema costituisca offesa alla morale o al buon costume).
ni impossibili da eseguire, o quantomeno per essere stati estorti con promesse irrealizzabili di successo e reddito elevato». (Trib. Firenze, 30 maggio 1986, in Impr. Comm. Ind.,
1988, p. 2980). Nel caso di aspirante franchisee che sia cioè un c.d. Newcomer del settore, non disponendo né di una organizzazione d’impresa né di una precedente esperienza nel settore oggetto di contratto, pare indubbia la definizione dello stesso alla stregua non di franchisee, ma di consumatore (Trib. Ivrea, 5 ottobre 1999, in Danno e resp.,
2000, p. 861, con nota di A. Palmieri).
(13) M. Atelli, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle
forme di vendita piramidali, in Obb. e contr., 2005, p. 271; in tal senso, v. Cass., 25 settembre 2003, n. 14234, in Contratti, 2004, p. 151, con nota di Franchi.
(14) Allo stato, tale fenomeno ha avuto un notevole risalto mediatico con i casi Tucker
ed Alpha club: approdati entrambi nelle aule di giustizia, il primo con importanti profili di rilevanza penale e con pesanti conseguenze per gli organizzatori della struttura piramidale; il secondo, letto in chiave civilistica, ove i contratti sottoscritti dai consumatori sono stati dichiarati nulli perché non meritevoli di tutela per indeterminatezza dell’oggetto. Su detti “casi” v. E. Battelli, F. Reggiani, Legge 17 agosto 2005, n. 173, Vendita diretta a domicilio e vendite piramidali, cit., p. 1351 ss.
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Il possibile
reato di truffa
Enzo Maria Tripodi
Peraltro, non può neppure escludersi che il sistema di vendita piramidale possa dare luogo ad un’attività che presenti i caratteri di sollecitazione e raccolta del risparmio tra il pubblico, con la conseguenza, in
mancanza dei prescritti requisiti e delle prescritte autorizzazioni, di far
ravvisare gli estremi del reato di illecita raccolta di risparmio in relazione al T.U. in materia bancaria e creditizia e al T.U. in materia di intermediazione finanziaria.
5. Le vendite piramidali come pratiche commerciali scorrette
Il lucro del
promotore
di vendite
piramidali ai
consumatori
Le vendite piramidali, quando attengono a rapporti tra imprese e consumatori, rientrano tra le pratiche commerciali sleali di cui alla direttiva
2005/29/UE. Di conseguenza, con il d.lgs. n. 146/2007, la loro disciplina
è stata, ratione materiae, fatta rientrare nell’ambito del Codice del consumo. L’art. 23, comma 1, lett. p), di detto codice qualifica come scorretta
la condotta del professionista che avvia, gestisce o promuove «un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema
piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti».
Il guadagno del promotore del sistema di vendita, quindi, risiede principalmente dall’ingresso di altri soggetti nella rete di vendita o di promozione, aspetto principale di tale schema e dal quale dipende il livello di
ricavi che saranno riconosciuti al consumatore (reclutatore). La remunerazione del promotore generalmente si basa su una “fee” di “ingresso”
mediamente elevata e nei periodici obblighi di acquisto di prodotti da
parte del consumatore che, per poter guadagnare il suo compenso, deve
costantemente reclutare nuovi partecipanti ma senza che via sia una diretta relazione tra gli acquisti di questi ultimi e le provvigioni (15).
Come ha sottolineato l’Autorità garante «(…) mentre una società che
opera attraverso forme di vendita diretta multilivello retribuisce i propri
agenti o venditori riconoscendo loro delle provvigioni sempre direttamente collegate al valore o alla quantità dei beni o servizi venduti direttamente o per il tramite di altri soggetti che si è riusciti ad includere nella
struttura di vendita, in una forma di vendita con caratteristiche piramidali
il bene oggetto di vendita passa in secondo piano, rappresentando semplicemente il pretesto e l’occasione per reclutare altri consumatori che
(15) AGCM, 13 aprile 2011, n. 22299, Xango-Prodotti con succo di mangostano (PS6425),
in Boll. n. 17/2011, p. 48 ss.
72
Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
entrino all’interno della piramide e vi rimangano effettuando ordini personali (acquisti), con ciò alimentando artificialmente il sistema. Per questo il neo-venditore, non appena avuto accesso alla struttura piramidale, avrà come obiettivo primario la ricerca di altri venditori – ai quali far
pagare il diritto d’accesso alla catena o comunque la permanenza nella
stessa – i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via» (16).
Il divieto della vendita piramidale (e non della vendita multilivello) è legato alla “esponenzialità” della partecipazione di nuovi “aderenti” che, seppur rende possibile in alcuni casi la remunerazione dell’attività, nella maggior parte delle ipotesi provoca la “rottura” della catena e, di conseguenza,
l’impossibilità per i nuovi entrati nella rete di poter ricevere alcun profitto. In
questi termini gioca anche la “scorrettezza” della pratica, poiché al momento del reclutamento di nuovi incaricati, nella prospettazione dei guadagni
viene omessa la loro probabilità concreta che questi possano verificarsi (17).
La competenza a ricevere denunce in merito è, com’è noto, in capo
all’Autorità garante che interviene ai sensi di quanto previsto dall’art. 27
del Codice del consumo. L’Autorità, se ritiene la pratica commerciale scorretta, ne vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del
pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata. Inoltre,
con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria tenuto conto della gravità e della durata della violazione (18).
(16) AGCM, Vemma, cit., punto 50.
(17) AGCM, Vemma, cit., punti 51-52.
(18) Si ricorda che, ai sensi dell’art. 27 cod. cons., l’attivazione dell’Autorità può avvenire sia d’ufficio che su “istanza” di qualsiasi soggetto od organizzazione “che ne abbia
interesse”. La procedura per l’accertamento e per l’irrogazione delle sanzioni è quella
prevista dall’art. 27, commi 2-15.
L’Autorità inibisce la continuazione del comportamento scorretto e ne elimina gli effetti
e può anche, in caso di particolare urgenza, disporre la sospensione provvisoria del contratto posto in discussione.
Nella sua attività istruttoria l’Autorità può chiedere informazioni e documenti e può, inoltre, avvalersi della Guardia di finanza. In caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una
sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro (art. 27, comma 4).
Con il provvedimento che vieta la condotta o la clausola, l’Autorità dispone, inoltre, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 5.000.000 euro,
tenuto conto della gravità e della durata della violazione. La sanzione non è inferiore,
nel minimo, a 50.000 euro quando si tratti di situazioni che possono mettere in pericolo
i consumatori, ovvero bambini ed adolescenti.
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Scorrettezza
della pratica
e poteri
dell’AGCM
Enzo Maria Tripodi
Tre casi recenti
In relazione proprio all’art. 27, di recente l’Autorità garante, al termine di tre distinti procedimenti, ha applicato sanzioni alle società Vemma
Italia (100.000 euro), Asea Italy (150.000 euro) e Organo Golden Europe (250.000 euro) per pratiche commerciali scorrette che hanno interessato decine di migliaia di consumatori nel settore delle vendite multilivello illecite di bevande.
Secondo l’Antitrust, ai consumatori veniva proposto l’acquisto di prodotti attraverso meccanismi finalizzati, in realtà, al reclutamento di altri
venditori ai quali viene richiesto un contributo iniziale o la sottoscrizione di un programma di acquisti personali. Il sistema prevede in sostanza il coinvolgimento e la partecipazione di consumatori in uno schema
di acquisto e vendita dei prodotti: chi aderisce è incentivato, al momento dell’ingresso nel sistema, a coinvolgere un numero sempre crescente
di altri consumatori/venditori.
Con il provvedimento di divieto può essere disposta, a cura e spese del professionista,
la pubblicazione della delibera, anche per estratto, ovvero di un’apposita dichiarazione
rettificativa, in modo da impedire che le violazioni dei diritti del consumatore continuino a produrre effetti dannosi.
L’art. 27, comma 7, prevede anche il “ravvedimento operoso” del professionista che può
essere invitato dall’Autorità ad assumere un impegno alla cessazione dell’infrazione ed
alla rimozione degli effetti “in cambio” della chiusura dell’istruzione. Detto impegno –
possibile solo quando la gravità della condotta non sia manifesta – può essere reso vincolante e pubblicato a spese del professionista. La violazione di detto impegno comporta
l’applicazione di una sanzione da 10.000 a 5.000.000 euro. La stessa sanzione è disposta dall’Autorità nel caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti, di cui all’art. 27, commi 3, 8 e 10.
Il pagamento delle sanzioni amministrative di cui al presente articolo deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità.
Qualora vi sia una reiterata inottemperanza l’Autorità, oltre alle sanzioni pecuniarie,
può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni.
I ricorsi avverso le decisioni adottate dall’Autorità sono soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ove ha la sua sede l’Autorità (ossia il T.A.R. Lazio e, poi,
il Consiglio di Stato).
Per le sanzioni amministrative pecuniarie si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni negli artt. 26-29 della l. 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.
Le suddette sanzioni, di cui all’art. 27 cod. cons., sono state inasprite dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, sulla quale v., in prima approssimazione, E.M. Tripodi, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori. Brevi note sul d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Discipl.
comm. e servizi, n. 2/2014, p. 19 ss. e, più ampiamente, Aa.Vv., I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e G. Nava, Torino,
2014; E.M. Tripodi, La vendita fuori dei locali commerciali e a distanza. La nuova disciplina del Codice del consumo, Altalex, Milano, 2014.
74
Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
Si tratta di un meccanismo distributivo considerato scorretto dal Codice del consumo per il quale il consumatore non può fornire un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante
principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema anziché dalla vendita o dal consumo dei prodotti. La posizione di Asea Italy e di Organo Golden Europe risultava ulteriormente aggravata dalla circostanza
che le due società hanno attribuito ai loro prodotti capacità curative che
non risultano adeguatamente dimostrate e certificate.
Nel dettaglio l’Antitrust ha sanzionato Vemma Italia, Asea Italy e Organo Gold Europe per le seguenti pratiche: avvio di un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore paga un contributo
‘d’ingresso’ (anche nella forma di autoconsumo) in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di
altri consumatori nel sistema anziché dalla vendita dei prodotti teoricamente commercializzati.
Infatti, il fatturato di ciascun professionista derivava principalmente dai
meccanismi di ingresso o di autoconsumo e non dalla vendita dei prodotti; ingannevole e mancata informazione completa sulle possibilità di
guadagno, che appaiono totalmente irrealistiche e funzionali a ingannare i consumatori per farli aderire allo schema. La stragrande maggioranza di incaricati non ha generato e ricevuto corrispettivi o di importo del
tutto trascurabile (19).
6. Le vendite piramidali ed il contratto di franchising
Da un’analisi della l. n. 173/2005, in particolare con riguardo alla disciplina della «vendita diretta a domicilio» e dell’«incaricato di vendita»
di cui all’art. 4, emerge la concreta possibilità di un’applicabilità congiunta della suddetta legge con la l. 6 maggio 2004, n. 129 sull’«affiliazione
commerciale» (20).
(19) Limitatamente ai procedimenti a carico di Asea Italy e di Organo Golden Europe,
diffusione di affermazioni ingannevoli sulle capacità curative dei prodotti non dimostrate attraverso idonea certificazione. Infatti, a detta dell’Antitrust, la società Asea sostiene
che la composizione della miscela commercializzata sarebbe perfettamente equilibrata
e in grado di rinforzare il sistema immunitario, favorire il processo di guarigione e limitare l’effetto dannoso dei radicali liberi.
Organo Golden Europe invece sostiene che la bevanda a base di fungo ganoderma
avrebbe proprietà tali da renderla efficace nella profilassi di malattie nervose, vascolari e
tumorali, senza effetti collaterali.
(20) Aa.Vv., L’affiliazione commerciale, a cura di V. Cuffaro, Torino, 2005 e, più ampiamente, E.M. Tripodi, V. Pandolfini, P. Iannnozzi, Il Manuale del franchising, Milano, 2005.
75
Enzo Maria Tripodi
Somiglianze
con il contratto
di franchising
Mentre la l. n. 129/2004 «procede più immediatamente a regolamentare la struttura e la “vita” del contratto di franchising, provvedendo, a
pena di nullità, all’indicazione degli elementi essenziali che dovrebbero
caratterizzare ogni fattispecie contrattuale, la neo-disciplina sulle vendite
piramidali (…) risulta più immediatamente finalizzata alla tutela del c.d.
“incaricato di vendita”, ovvero di colui che (…) era costretto ad effettuare
ingenti acquisti di materiali che, poi rimanevano invenduti a causa dell’inesistenza, de facto, di una reale struttura di vendita» (21).
Anche la l. 6 maggio 2004, n. 129 prevede, come di fatto avviene nelle vendite piramidali, un «diritto di ingresso» (c.d. entry fee), che viene però rapportato al valore economico ed alla capacità di sviluppo della rete
e che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione
commerciale, quale forma di “concorso” alle spese sostenute dal franchisor
per l’impianto e l’organizzazione della Rete. Stabilisce anche delle royalties
in una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato commisurata al giro
d’affari del medesimo o in quota fissa, da versare anche periodicamente.
Date le caratteristiche del franchising, si può assistere al «mascheramento di operazioni illecite nel settore delle vendite piramidali, “nascoste” sotto forma di contratti di affiliazione commerciale» (22). In giurisprudenza, come si è già accennato, non sono infatti mancati casi in cui si
è riconosciuto espressamente che i contratti di affiliazione in realtà dissimulavano dei contratti tra professionisti e consumatori e sono stati dichiarati nulli per indeterminatezza dell’oggetto (23).
È chiaro che, queste forme di “mascheramento” della vendita piramidale
come franchising, crea un grave pregiudizio a coloro che operano nel “vero” franchising ed alle stesse associazioni nazionali che li rappresentano.
In realtà, si tratta di sistemi che non hanno nulla a che fare con il franchising, in quanto usualmente manca il trasferimento di quell’insieme di
diritti e rapporti che costituiscono l’oggetto del contratto di affiliazione.
Rispetto al contratto di franchising mancano, infatti, sia gli elementi soggettivi che oggettivi: quanto ai primi, difetta la qualifica di imprenditore nei c.d. franchisees; quanto ai secondi, perché non c’è alcun trasferimento di know-how e di segni distintivi da parte del presunto franchisor.
(21) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, cit., p. 185.
(22) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, cit., p. 152.
(23) Si v. il caso “Alpha Club” (Trib. Torino, 3 ottobre 2000, cit.). Per un confronto tra
franchising e vendita piramidale v. A. Frignani, Il contratto di franchising, Milano, 1999,
p. 31 s.; id., Franchising. La nuova legge, Torino, 2004, p. 57; E.M. Tripodi, V. Pandolfini,
P. Iannozzi, Il Manuale del franchising, op. cit., p. 228 s.
76
Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet
7. Le vendite piramidali tramite Internet
Le modalità di realizzazione del meccanismo illecito delle vendite piramidali si evolvono secondando i fenomeni, più recenti, di socializzazione e di “riunione” effettuati attraverso Internet ed i social network. I
casi Vemma, Asea, e Organo Gold, ne sono una riprova, come si può facilmente verificare dai loro rispettivi siti Internet.
In anni recenti la Suprema Corte ha stabilito che integra “una forma di
vendita piramidale, punita dall’art. 7, legge n. 173/2005, la creazione di
un sito «web» a cui chiunque può iscriversi, a fronte del pagamento iniziale di una somma di denaro, senza ottenere alcuna controprestazione,
se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti da parte del
sistema stesso” (24).
Nel caso di specie l’incentivo economico primario dei componenti
si fondava sul mero reclutamento di nuovi soggetti, piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati, direttamente o attraverso altri componenti la struttura.
Il complesso sistema di vendita funzionava in questo modo: l’utente
dichiarava di voler acquistare il bene proposto e, dopo il pagamento
del prezzo, pari a 34 euro, veniva inserito in una delle quattro liste del
prodotto che aveva scelto. Al momento dell’iscrizione, veniva generata un’e-mail con i dati per il pagamento; al fine di consentire a tutti gli iscritti di ricevere il regalo, per ogni premio venivano create solo
quattro liste che, a un certo punto, venivano chiuse. Ogni sette iscrizioni, ve ne era una a spese del sito, in modo che a tutti era garantito
l’ottenimento del regalo scelto, che corrispondeva ad un costo di circa
il 14% su ogni 34 euro incassati. In altri termini, l’utente che pagava
i 34 euro non riceveva il regalo, sino a quando non era raggiunto un
certo numero di iscrizioni di altri soggetti; ad esempio in una lista con
14 iscrizioni, affinché il quindicesimo iscritto potesse ricevere il regalo, erano necessarie 210 iscrizioni, ciò che consentiva a tutti i quindici utenti di ricevere il regalo. Nel ricorso in cassazione, la difesa deduceva, tra i motivi, l’erronea applicazione della legge penale, posto
che l’imputato non aveva provveduto al reclutamento degli interessati, i quali avevano aderito spontaneamente alla lista di iscrizione al sito e la prestazione da costoro effettuata non era a fondo perduto, perché la controprestazione non era inesistente.
(24) Cass. pen., 30 maggio 2012, n. 37049, in Dir. pen e processo, 2012, p. 1336, con
annotazione di S. Corbetta, Vendite piramidali.
77
Una vendita
piramidale
on line
Enzo Maria Tripodi
La decisione
della Corte
di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto che il meccanismo rientrasse nella prima
forma di vendita piramidale considerata dall’art. 5, l. n. 173/2005, proprio
perché «i partecipanti al sistema non svolgono alcuna attività di vendita
o di promozione di beni o servizi, ma ricevono un beneficio economico solo dal mero reclutamento di nuovi soggetti; reclutamento in conseguenza del quale vedono aumentare – secondo i meccanismi previsti nel
sito web (...) – la loro probabilità di conseguire il premio, che costituisce
per loro un corrispettivo meramente eventuale». In altri termini, «a fronte del pagamento dell’iniziale somma di denaro, il soggetto che si iscrive al sistema non può ottenere alcuna controprestazione, se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti da parte del sistema stesso».
Ad avviso dei ricorrenti, però, andava anche presa in esame la circostanza (dirimente a loro avviso) che gli iscritti avevano manifestato, senza alcuna “induzione”, la volontà di aderire al sistema.
La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’adesione al sistema, da parte degli interessati, fosse volontaria, dato che
la norma di cui all’art. 4, l. n. 173/2005 «non richiede l’involontarietà
dell’adesione quale presupposto per la sussistenza del reato». Per cui, in
assenza di una specifica indicazione del legislatore, la volontarietà dell’adesione non può essere configurata quale causa giustificatrice rispetto alla condotta punita dalla legge.
78
Repertorio di Giurisprudenza
a cura di Giuliana Poleggi
??
T.A.R. Lazio – Roma, sez. II-ter, 6 agosto 2014, n. 8705 • SISA Srl c. Roma
Capitale.
Somministrazione di alimenti e bevande • Occupazione del suolo pubblico • Subentro • Abusivismo.
Il fatto che l’occupazione del suolo
pubblico sia stata posta in essere da
una persona giuridica diversa dalla
persona giuridica intestataria del titolo determina che, da un punto di vista
soggettivo, l’occupazione deve qualificarsi come abusiva, laddove, da un
punto di vista oggettivo, un’abusività
totale non sussiste in quanto il titolo
abilita proprio all’occupazione strumentale all’attività di somministrazione gestito dalla Società avente causa
e proprio per lo spazio antistante tale
esercizio.
In una fattispecie in cui l’abusività ha
carattere soggettivo ma non anche oggettivo, essendo la concessione OSP
ancora in essere ad esempio intestata
ad altro soggetto, dante causa dell’attuale gestore, ma strumentale al medesimo esercizio destinato ad attività
di somministrazione, l’amministrazione è tenuta ad ordinare la rimozione
dell’occupazione abusiva e ad irrogare
la sanzione pecuniaria, ma non anche
ad applicare la sanzione della temporanea chiusura dell’esercizio, che richiede la sussistenza di una occupazione totalmente abusiva, vale a dire
sia soggettiva che oggettiva.
Motivi della decisione
1. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale, ha disposto nei confronti della
Società ricorrente: 1) la rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico, accertata dal Corpo della Polizia Locale di
Roma Capitale con verbale (Omissis), antistante l’esercizio sito in Piazza (Omissis) per l’immediato ripristino dello stato
dei luoghi a cura e spese dell’interessato;
2) la chiusura dell’esercizio sito in Piazza (Omissis) per un periodo pari a cinque
giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.
2. La Società interessata ha proposto il
presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione l. n. 94/2009 – illegittimità propria dell’ordinanza del Sindaco di Roma
n. 258/2012 e illegittimità derivata della
determinazione dirigenziale del Comune di Roma prot. 63986/14 e del vav n.
14130020608/13 – eccesso di potere – illogicità – violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.
3. La chiusura dell’esercizio, ai sensi
dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009,
rappresenterebbe l’extrema ratio nei soli
casi di pericolo alla sicurezza e all’ordine
pubblico e la norma richiamata non prevederebbe la sanzione della chiusura quale effetto automatico dell’accertamento e
della violazione del codice della strada.
Il Sindaco, pertanto, avrebbe la facoltà di
applicare la sanzione accessoria e, in particolare, avrebbe la facoltà di commisurare la stessa a seconda della gravità della
violazione contestata, previa logica ponderazione tra interessi pubblici e privati.
4. Vi sarebbe illogicità e sproporzione tra
la contestazione mossa alla Società ricorrente e la sanzione irrogata.
Violazione dell’art. 20 del codice della
strada – illegittimità propria dell’ordinanza del Sindaco di Roma n. 258/2012 e illegittimità derivata della determinazione
79
Repertorio di Giurisprudenza
dirigenziale del Comune di Roma prot.
63986/14 e del vav n. 14130020608/13.
Nella fattispecie non sarebbe stato accertato alcun intralcio alla circolazione, lasciando i tavolini ampio spazio al passaggio dei pedoni.
Violazione del principio della congrua
comparazione tra interesse pubblico e
privato.
La chiusura dell’attività commerciale per
cinque giorni, in un momento di grave recessione economica, arrecherebbe notevole nocumento alla posizione lavorativa-retributiva dei dipendenti del locale.
Violazione del principio del giusto procedimento – violazione art. 2, commi 1 e 2,
l. n. 241 del 1990 – violazioni dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e
adeguatezza dell’azione amministrativa.
5. L’area interessata all’occupazione sarebbe già munita di apposito titolo in quanto
la ricorrente sarebbe subentrata nella gestione dell’attività di somministrazione ad
altro soggetto provvisto di regolare concessione di suolo pubblico.
Roma Capitale ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per
il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 30 luglio
2014, la causa è stata trattenuta per la
decisione.
6. Il ricorso, che può essere immediatamente definito nel merito con sentenza in forma semplificata adottata ai sensi
dell’art. 60 d.lgs. n. 104 del 2010, è parzialmente fondato e va accolto con esclusivo riferimento al punto 2 dell’avversata
determinazione – che dispone la chiusura dell’esercizio sito in Piazza (Omissis)
per un periodo pari a 5 giorni – ai sensi di
quanto di seguito indicato.
La determinazione dirigenziale impugnata
è stata adottata in quanto il I Gruppo Trevi di Polizia Locale Roma Capitale, con
80
rapporto amministrativo del 10 gennaio 2014, ha comunicato di avere accertato, con verbale elevato ai sensi dell’art.
20 del codice della strada che, in data 23
novembre 2013, la SISA Srl “occupava il
suolo pubblico antistante il proprio esercizio, sul marciapiede e per una piccola
parte sulla sede viaria, con tavoli, sedie,
fioriere, pannellature e pedana per mq
42,84 senza essere in possesso della relativa autorizzazione”.
7. Il punto centrale della controversia è
costituito dall’esame dell’ultima censura,
con cui la ricorrente ha contestato il carattere abusivo dell’accertata occupazione di suolo pubblico.
L’art. 10, comma 2, del regolamento in
materia di occupazione di suolo pubblico e del canone (deliberazione C.C. n. 75
del 2010) dispone che le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il
pagamento del canone per l’anno di riferimento, a condizione che non risultino
variazioni e l’amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza.
Il Collegio ritiene che la concessione a suo
tempo rilasciata a favore della dante causa
della ricorrente, fosse ancora in essere alla
data dell’accertamento dell’infrazione.
Infatti, non risulta che l’amministrazione
abbia adottato un provvedimento di disdetta, revoca o decadenza del titolo abilitativo e la ricorrente SISA Srl ha fornito
un consistente principio di prova, attraverso l’allegazione di copia dei bollettini
di versamento, che la Galleria Sciarra Srl,
locatore del ramo d’azienda, ha pagato le
rate del canone relativo al 2013.
Il pagamento, peraltro, risulta avvenuto il
23 maggio 2013, vale a dire antecedentemente alla data di accertamento dell’infrazione (23 novembre 2013), sicché, in
Repertorio di Giurisprudenza
ragione della normativa comunale di riferimento, deve ritenersi sussistente, alla
detta data del 23 novembre 2013, una
concessione OSP a nome della Galleria
Sciarra Srl sull’area antistante l’esercizio
commerciale gestito già a tale data dalla
ricorrente SISA Srl.
Viceversa, la concessione OSP, alla data
del 23 novembre 2013, non poteva in alcun modo ritenersi di titolarità della SISA
Srl in quanto la domanda di subentro è
espressamente qualificata, ai sensi dell’art.
7 del relativo regolamento, come domanda di nuova concessione.
Il fatto che l’occupazione del suolo pubblico sia stata posta in essere da una persona giuridica diversa dalla persona giuridica intestataria del titolo determina che, da
un punto di vista soggettivo, l’occupazione deve qualificarsi come abusiva, laddove, da un punto di vista oggettivo, un’abusività totale non sussiste in quanto il titolo
abilita proprio all’occupazione strumentale all’attività di somministrazione gestito
dalla Società avente causa e proprio per
lo spazio antistante tale esercizio.
In altri termini, così come non può essere
posto in discussione, che la SISA Srl non
fosse intestataria del titolo, di qui la abusività soggettiva dell’occupazione, non
può parimenti essere posto in dubbio che
l’area antistante l’esercizio fosse oggetto
di un provvedimento di concessione OSP
strumentale allo stesso esercizio commerciale, di qui l’assenza di una totale abusività oggettiva dell’occupazione.
Di talché, occorre valutare se, in presenza
di una occupazione soggettivamente abusiva ma oggettivamente non totalmente
abusiva, siano legittimi l’ordine di immediata rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico (punto 1 del dispositivo del provvedimento impugnato) e la
sanzione della chiusura dell’esercizio per
cinque giorni (punto 2 del dispositivo del
provvedimento impugnato).
8. La determinazione dirigenziale dell’11
aprile 2014 è stata adottata ai sensi e per
gli effetti dell’ordinanza sindacale n. 258
del 2012.
Il Sindaco di Roma Capitale, con detta ordinanza, ha disposto che i Dirigenti dei
competenti Uffici dell’Amministrazione
Capitolina, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata,
per fini di commercio, su strade urbane
ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, applichino le disposizioni previste dall’art. 20
del codice della strada e dall’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009.
9. L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992, nuovo codice della strada, al quarto comma,
prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo
ottenuto la concessione, non ottempera
alle relative prescrizioni, è soggetto alla
sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da euro 168 ad euro 674
e, al quinto comma, che tale violazione
importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese.
La formulazione della norma è ad ampio
spettro e disegna in termini di doverosità
l’azione amministrativa, sicché deve ritenersi che in presenza di una qualunque
abusività, anche solo soggettiva, la norma sia applicabile e, di conseguenza, debba senz’altro essere ordinata la rimozione
dell’occupazione abusiva, oltre all’irrogazione della relativa sanzione pecuniaria.
L’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009,
invece, attribuisce una facoltà discrezionale all’autorità amministrativa in quanto stabilisce che, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico, il Sindaco,
81
Repertorio di Giurisprudenza
per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e, se
si tratta di occupazione a fini di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di
idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.
Il Sindaco, nell’esercizio del potere conferito dalla legge, rilevato che la sanzione
della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del codice della strada che
già prevedeva l’obbligo della rimozione
delle opere, ha precisato che intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009 per sanzionare le “occupazioni totalmente abusive”
di suolo pubblico, per fini di commercio,
ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del
sito Unesco.
Il riferimento alle “occupazioni totalmente
abusive” è interpretabile nel senso che, per
dar luogo alla sanzione più estrema della
chiusura temporanea dell’esercizio, l’occupazione debba essere completamente
sfornita di titolo, sia in senso soggettivo
che in senso oggettivo, per cui se l’ipotesi dell’occupazione soggettivamente ma
non oggettivamente abusiva è fonte delle
ulteriori richiamate sanzioni, a fronte della stessa, ove l’OSP preesistente ed ancora in essere sia strumentale al medesimo
esercizio commerciale, non è però applicabile la sanzione della chiusura temporanea dell’esercizio (cfr. T.A.R. Lazio, IIter, 12 maggio 2014, n. 4901).
In tale direzione, d’altra parte, milita la
stessa ratio dell’ordinanza sindacale in
discorso, in cui si evidenzia che “l’obiettivo di garantire la massima fruizione degli spazi pubblici va costantemente perseguito anche attraverso lo strumento della
82
tutela del patrimonio pubblico cittadino,
ponendosi quest’ultimo proprio come un
elemento caratterizzante di quel grado di
vivibilità cittadina che favorisce l’incremento della coesione sociale” e che “il
crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte dei titolari di esercizi commerciali, ampiamente
registrato dagli organi di comunicazione
ed oggetto di persistenti segnalazioni da
parte della comunità cittadina, testimonia
la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del
territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro”.
Tali esigenze appaiono ragionevolmente
legate alle ipotesi delle occupazioni abusive in difetto assoluto di qualunque titolo, tali da dar vita ad una indiscriminata
occupazione del suolo pubblico con le ripercussioni negative evidenziate nell’ordinanza, ma non possono ritenersi presenti allorquando un titolo – sia pure, come
nel caso di specie, intestato ad altra Società – sussiste, postulando quindi una preventiva scelta dell’amministrazione in ordine alla compatibilità tra l’occupazione
di uno specifico spazio del territorio e la
tutela del patrimonio pubblico cittadino.
In altri termini, la sanzione della temporanea chiusura dell’esercizio commerciale,
per la sua particolare incisività, è ragionevole ritenere sia stata indirizzata alle sole
ipotesi in cui l’occupazione di un determinato spazio del suolo pubblico non è
per nulla assentita ovvero è assentita ma è
strumentale ad una diversa attività di somministrazione di alimenti e bevande (cfr.
su tale ultimo profilo, T.A.R. Lazio, Roma,
II-ter, 31 gennaio 2014, n. 1219) , mentre,
ove sia stata ritenuta compatibile con la tutela del patrimonio pubblico cittadino, sia
pure attraverso provvedimento rilasciato
Repertorio di Giurisprudenza
ad altro soggetto dante causa dell’attuale
gestore, l’ordinanza sindacale deve interpretarsi nel senso che, non essendo l’occupazione totalmente abusiva, ma essendo abusiva soggettivamente e non anche
oggettivamente, ferme restando le obbligatorie misure di cui all’art. 20 del codice della strada, il disvalore della condotta
non è tale da rendere meritevole il responsabile dell’infrazione della misura maggiormente afflittiva costituita dalla chiusura temporanea dell’esercizio.
10. In conclusione, il Collegio ritiene che
in una fattispecie quale quella in esame,
in cui l’abusività ha carattere soggettivo
ma non anche oggettivo, essendo la concessione OSP ancora in essere intestata ad
altro soggetto, dante causa dell’attuale gestore, ma strumentale al medesimo esercizio destinato ad attività di somministrazione, l’amministrazione è tenuta ad ordinare
la rimozione dell’occupazione abusiva e
ad irrogare la sanzione pecuniaria, ma
non anche ad applicare la sanzione della
temporanea chiusura dell’esercizio, che richiede la sussistenza di una occupazione
totalmente abusiva, vale a dire sia soggettiva che oggettiva.
(Omissis)
11. In conclusione, l’impugnata determinazione dirigenziale si rivela scevra dai
vizi di legittimità prospettati con riferimento al punto 1 del dispositivo, mentre si rivela illegittima, risultando condivisibile la
assorbente censura esaminata, con riferimento al punto 2, vale a dire all’ordine di
chiusura per cinque giorni dell’esercizio
sito in Piazza (Omissis).
Di qui, la fondatezza parziale del ricorso, con esclusivo riferimento al richiamato punto 2) del provvedimento, che, per
l’effetto, deve essere annullato.
In ragione della peculiarità della fattispecie nonché del complessivo esito della
controversia, sussistono giusti motivi per
compensare integralmente fra le parti le
spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio, Sezione Seconda Ter, accoglie in
parte il ricorso in epigrafe, nei limiti indicati in motivazione, e, per l’effetto, annulla la gravata determinazione dirigenziale
dell’11 aprile 2014, nella sola parte in cui
è stata disposta la chiusura dell’esercizio
commerciale sito in Roma, Piazza (Omissis) per un periodo pari a giorni cinque.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
??
T.A.R. Sicilia - Catania - sez. IV, 2 settembre 2014, n. 2296 • Centro Medico Radiodiagnostico di A.R. c. Azienda Sanitaria Provinciale 4 di Enna.
Sanità e sanitari • Centro di diagnostica • Uso diverso dei locali • Somministrazione di medicinali.
L’uso diverso dei locali che abbia la
caratteristica di essere estremamente
circoscritto a uno di essi, non configura un evento tanto grave da imporre
la radicale chiusura, per sempre, della
struttura sanitaria: la concessione straordinaria e circoscritta dell’uso di uno
spazio all’interno del Centro, per la sua
limitazione temporale (una volta ogni
tanto), per gli orari in cui avviene (fuori
degli orari di apertura del centro), per
la parzialità del coinvolgimento (una
stanza ed i percorsi necessari per accedervi), per la non interferenza, per
83
Repertorio di Giurisprudenza
l’assenza di pregiudizio per lo svolgimento del servizio convenzionato, rientrerebbe in pieno nel sistema sanzionatorio di cui all’art. 3, comma 4,
d.a. 467/2003, il cui primo passo consisterebbe nella “formale diffida” con
la quale l’ASP “impone l’eliminazione
entro un termine tassativo” della situazione di contrasto.
1. Nei fatti esposti nel ricorso principale,
il Centro medico ricorrente è una struttura accreditata in radiologia, operante da
un trentennio (Omissis).
Quest’ultima, con provvedimento del
Commissario straordinario dell’A.S.P. 4
di Enna (Omissis), è stata, però, revocata, poiché, di seguito alla comunicazione della locale stazione dei Carabinieri
(occasionata dagli accertamenti eseguiti
in occasione del decesso di un’anziana
signora avvenuto all’interno di una stanza del Centro), veniva rilevato che i locali del Centro erano stati adibiti “per l’erogazione di attività sanitaria diversa da
quella autorizzata in violazione dell’art.
193 del t.u.ll.ss. r.d. 27 luglio 1934, n.
1265 in relazione al DARS n. 890 del
17.06.2002”.
In particolare, i locali cui si riferisce la
revoca erano costituiti dalla stanza nella
quale era avvenuto il decesso (ed i connessi spazi necessari per accedervi) durante una visita effettuata da un medico cui
era stata consentito, asseritamente in maniera precaria ed eccezionale, di effettuare qualche visita di controllo a favore dei
suoi clienti della zona.
Nella sostanza, quindi, l’ASP contesterebbe al Centro ricorrente l’irregolarità di
un tale uso (anche se effettuato per mera
cortesia, in via assolutamente eccezionale una volta ogni tanto, nell’orario pomeridiano quando il Centro era chiuso e
84
limitatamente ad una stanza) in difformità a quanto previsto dall’autorizzazione.
Inoltre, veniva contestato di “avere detenuto per la somministrazione a paziente medicinali guasti perché scaduti di validità”.
2. Le dette violazioni hanno determinato
l’ASP intimata ad adottare il provvedimento di revoca, in quanto ritenute “gravi”.
3. Con ricorso notificato (Omissis), il ricorrente ha impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure:
I) Sulla duplicità del richiamo normativo.
Il contestuale richiamo, a giustificazione
della revoca, dell’art. 193 t.u. leggi sanitarie
e dell’art. 3 del decreto attuativo 467/2003
sarebbe affetto da contraddizione, nonché,
quanto meno, da perplessità e vizio della
motivazione, poiché sarebbero diversi i sistemi sanzionatori disciplinati dalle due
norme sia sotto l’aspetto procedurale, sia
con riguardo alla gradualità dei provvedimenti, sia, infine, in relazione alla possibilità della revoca a tempo indeterminato.
II) Sull’asserita violazione dell’art. 193
t.u. ll.ss.
Il riferimento contenuto nella revoca impugnata alla norma calendata sarebbe illegittimo, poiché, al comma 4, ultima parte,
viene stabilito che “la durata della chiusura non può essere superiore a tre mesi”.
Nel caso in esame, invece, è stata disposta una revoca dell’autorizzazione a tempo indeterminato.
III) Sull’asserita violazione dell’art. 3 d.a.
Sanità 467/2003.
Il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo anche nella parte in cui
richiama a suo fondamento l’art. 3 d.a. Sanità 467/2003.
4. L’Assessorato, con detta disposizione,
per il caso di inadempienze commesse
dai titolari di autorizzazioni per l’apertura ed esercizio di strutture sanitarie, ha
inteso fissare regole di carattere generale
Repertorio di Giurisprudenza
circa le sanzioni irrogabili, nonché il relativo procedimento.
La prima di esse stabilisce che l’avvio del
procedimento è obbligatoriamente costituito dalla contestazione degli addebiti, non
intervenuta, nel caso in esame.
Altra regola fissata dall’Assessorato sarebbe quella, conforme ai principi generali
dell’ordinamento, della gradualità delle
sanzioni, che, infatti, sarebbero progressivamente individuate:
- nella “diffida” ad eliminare “le irregolarità rilevate” “entro un termine tassativo”;
- nella “chiusura temporanea o parziale
della struttura medesima sino alla rimozione delle cause che l’hanno determinata”, in caso di inutile decorso del termine
assegnato con la diffida;
- infine, nella “revoca dell’autorizzazione”, ma nel solo “caso di reiterate e gravi
infrazioni” non altrimenti eliminate.
5. L’ASP non solo non avrebbe contestato
le irregolarità ma, di più, avrebbe immediatamente disposto la massima sanzione
della revoca.
Quest’ultima, per altro, potrebbe essere
comminata solo in presenza di “infrazioni” che presentino congiuntamente i requisiti della reiterazione e della gravità,
asseritamente non rilevate, né rilevabili,
nel caso in esame.
Quanto meno, infatti, mancherebbe la reiterazione delle regole fissate per il buon
funzionamento dei presidi sanitari.
Non sussisterebbe neanche la gravità degli addebiti contestati.
L’uso diverso dei locali, per altro estremamente circoscritto a uno di essi, non sarebbe tale da determinare un evento grave
o, almeno, tanto grave da imporre la radicale chiusura, per sempre, della struttura sanitaria: la concessione straordinaria e
circoscritta dell’uso di uno spazio all’interno del Centro, per la sua limitazione
temporale (una volta ogni tanto), per gli
orari in cui avveniva (fuori degli orari di
apertura del centro), per la parzialità del
coinvolgimento (una stanza ed i percorsi
necessari per accedervi), per la non interferenza, per l’assenza di pregiudizio per
lo svolgimento del servizio convenzionato, rientrerebbe in pieno nel sistema sanzionatorio di cui all’art. 3, comma 4, d.a.
467/2003, il cui primo passo consisterebbe nella “formale diffida” con la quale l’ASP “impone l’eliminazione entro un termine tassativo” della situazione di contrasto.
6. Sul secondo addebito (presenza di due
medicinali scaduti).
In secondo luogo non è grave la presenza
di due medicinali scaduti ed erroneo il riferimento alla violazione all’art. 443 c.p.,
“avere detenuto per la somministrazione
a paziente medicinali guasti perché scaduti di validità”.
In disparte l’inconfigurabilità della fattispecie di reato prevista dalla norma, l’assenza di una gravità tale da giustificare la
revoca emergerebbe dal confronto con la
sanzione amministrativa contemplata per
il farmacista che detenga prodotti scaduti.
Infatti, l’art. 123, commi 3 e 4, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, di approvazione del
testo unico delle leggi sanitarie, recita: “Il
titolare deve inoltre curare che i medicinali, dei quali la farmacia è provvista, non
siano né guasti né imperfetti. In caso di
trasgressione a tale obbligo si applicano
le pene stabilite dall’articolo 443 del codice penale” (comma 1). “Nei casi preveduti nel presente articolo, il prefetto, indipendentemente dal procedimento penale,
può ordinare la sospensione dall’esercizio
della farmacia da cinque giorni ad un mese
e, in caso di recidiva, può pronunciare la
decadenza dell’autorizzazione ai termini
dell’art. 113, lettera e)” (comma 2) .
Pertanto, non potrebbe riservarsi ad un
85
Repertorio di Giurisprudenza
centro di diagnostica strumentale un trattamento di gran lunga più severo (immediata revoca) di quello previsto per la farmacia (sospensione da 5 gg. ad 1 mese).
IV) Sulla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
L’Amministrazione non solo avrebbe
omesso di inviare la necessaria diffidacontestazione espressamente contemplata dall’art. 3 d.a. 467/2003, ma avrebbe,
altresì, omesso di comunicare l’avvio del
procedimento.
V) Sul difetto di istruttoria e di motivazione.
In via subordinata, il ricorrente lamenta
che i fatti sarebbero stati contestati, senza un’adeguata istruttoria e appropriata
motivazione.
Costituitasi, l’Amministrazione ha concluso per l’infondatezza del ricorso.
7. Con ordinanza dell’1.3.2013, n. 188
questa Sezione si è così pronunciata sulla domanda di sospensione cautelare del
provvedimento:
“Ritenuto che dal combinato disposto delle norme nazionali e regionali (art. 193 t.u.
leggi sanitarie e art. 3 del d.a. 17.4.2003)
emerge l’obbligatorietà della revoca degli esercizi sanitari dalle stesse contemplate (e, quindi la vincolatività in quanto all’”an” del provvedimento) nel caso
di esercizio dell’attività senza autorizzazione o nei casi di contestuali “reiterate e
gravi infrazioni”;
“Ritenuto che le dette circostanze, allo stato, non appaiono immediatamente percepibili nella loro necessaria contestualità,
configurandosi:
“a) l’esercizio della prestazione professionale diversa da quella autorizzata (visite
specialistiche), come evento occasionale
e non grave anche se reiterato;
“b) la somministrazione di medicinali scaduti, come evento astrattamente
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certamente grave (tale da giustificare il
provvedimento impugnato), ma contestato
nella dinamica rappresentata dall’Amministrazione, in special modo in riferimento al
loro effettivo uso da parte della struttura e
alla loro potenziale “nocività” (Omissis);
“Ritenuto, tuttavia, che in sede di discussione in Camera di Consiglio sono emersi collegamenti tra i fatti contestati e l’evento che ha determinato il procedimento
penale richiamato nel provvedimento impugnato, invero in quest’ultimo non assolutamente rappresentati;
“Ritenuto che l’adozione del provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere
necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento (emanato in data solo in data 17.1.2013 e al
limitato fine di avviare l’iter di revoca del
rapporto di accreditamento), contenente
la contestazione degli addebiti, e dall’esame delle deduzioni della parte interessata;
“Ritenuto, quindi, fermo restando la sospensione dell’attività, che l’Amministrazione dovrà ripronunciarsi motivatamente
e senza indugio, entro trenta giorni dalla
comunicazione o notificazione della presente decisione, alla luce delle considerazioni trasfuse in ricorso e negli atti difensivi
successivi e degli eventuali approfondimenti e/o specificazioni relativi all’uso e
alla natura dei medicinali scaduti, nonché
all’eventuale collegamento tra l’evento a
rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata;
“Ritenuto che, a tal fine, gli Organi preposti alle indagini in corso, salva la tutela del segreto istruttorio, dovranno fornire, ogni utile elemento”.
8. Ricorso per motivi aggiunti.
Con provvedimento dell’11.5.2013, richiamati due documenti acquisiti con
il supplemento di istruttoria (il verbale dell’interrogatorio reso in Procura il
Repertorio di Giurisprudenza
26.4.2013 dal medico ospitato dal Centro e la relazione resa dell’unità operativa
di medicina legale dell’ASP il 6.5.2013),
l’ASP intimata ha confermato la revoca
dell’autorizzazione sanitaria.
Il detto provvedimento è stato gravato con
ricorso per motivi aggiunti, affidato ai seguenti motivi:
I) Mancanza di reiterazione di infrazioni gravi.
Asserisce parte ricorrente che l’ASP ha
emesso la conferma della revoca senza
mai affermare, né direttamente né attraverso il richiamo ai due atti istruttori, l’esistenza di una pluralità di infrazioni qualificabili come gravi.
In definitiva l’unico addebito, per il quale
con il supplemento di istruttoria si specifica qualcosa di nuovo, riguarderebbe la
detenzione del Nifedicor scaduto, che non
sarebbe, di per sé, evento grave e, comunque, collegata ad altri episodi contestati,
tali da determinare l’ulteriore presupposto richiesto della reiterazione degli stessi.
II) Non gravità dell’uso diverso (visite specialistiche).
Asserisce parte ricorrente che l’ordinanza
resa da questa Sezione, in considerazione della tesi sostenuta oralmente dall’ASP
in camera di consiglio, ha disposto che la
detta Amministrazione, nel ripronunciarsi, avrebbe dovuto effettuare “eventuali
approfondimenti e/o specificazioni” con
riferimento “all’eventuale collegamento
tra l’evento a rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata”.
9. L’ASP si sarebbe determinata a confermare la revoca dopo avere svolto un’istruttoria di contenuto assolutamente favorevole per il Centro medico, la quale, quindi,
avrebbe giustificato una conclusione di segno radicalmente opposto.
Infatti l’ASP, dopo avere chiesto informa-
zioni agli inquirenti, non avrebbe avuto la
possibilità di indicare, con il provvedimento impugnato, alcun “collegamento (per il
Centro medico) tra l’evento a rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata”.
Anzi, secondo le risultanze del supplemento di istruttoria, l’attività diversa era
stata svolta in modo assolutamente occasionale, gratuitamente, svincolata da qualsiasi collegamento con l’attività e la gestione del Centro.
Infatti dal “verbale d’interrogatorio” del
medico ospite (Omissis) richiamato nel
provvedimento impugnato e costituente sua motivazione per relationem, risulta che:
“non vi era rapporto di lavoro” con il Centro ma che il sanitario fruiva “dei locali
esclusivamente a titolo di cortesia”;
i responsabili del Centro “non erano a conoscenza che in quel momento” il sanitario “stesse praticando quel tipo di procedura nei confronti” della sua paziente.
Dalla relazione dell’unità operativa di Medicina legale, anch’essa richiamata dal
provvedimento impugnato, non risulterebbe alcun elemento di fatto attestante
la gravità dell’uso diverso da quello autorizzato e addirittura nemmeno si ipotizzerebbe che tale uso possa costituire una
violazione grave.
Infatti la relazione sul punto si limiterebbe ad affermare che “risultano violate le
norme su cui è basata l’autorizzazione
sanitaria”.
10. La conferma della revoca sarebbe pertanto ulteriormente illegittima perché il
supplemento di istruttoria (attraverso il richiamo del verbale dell’audizione da parte dei carabinieri del medico ospite (Omissis) e della relazione della unità operativa
di Medicina legale) non avrebbe provato collegamento alcuno tra l’uso ulteriore
87
Repertorio di Giurisprudenza
(visite specialistiche) e l’evento a rilievo
penale riguardante il sanitario ospitato ed
anzi avrebbe dimostrato l’assoluta estraneità del Centro medico.
III) Non gravità della detenzione del Nifedicor scaduto.
Il riesame ingiunto dalla predetta ordinanza cautelare infine, avrebbe dovuto essere
effettuato nel rispetto del principio secondo il quale è grave la “somministrazione”
del medicinale scaduto e non la semplice “detenzione”.
L’ASP avrebbe emesso l’impugnata conferma della revoca non potendo in alcun
modo affermare che dei medicinali scaduti sia stata fatta “somministrazione”. Anzi
ha addirittura accertato che uno di essi
(Omissis) era estraneo all’attività svolta dal
Centro medico (relazione dell’unità operativa di Medicina legale) e che apparteneva al medico ospite (Omissis).
La conferma della revoca sarebbe illegittima nella parte in cui erroneamente risulta
motivata sul presupposto che il medicinale
scaduto Nifedicor rientrerebbe nella dotazione obbligatoria del c.d. “carrello dell’emergenza” a servizio dell’apparecchiatura per la risonanza magnetica.
In primo luogo, perché risulta non la “somministrazione” del medicinale scaduto, ma
la sua semplice detenzione, circostanza
che nel caso in cui riguardi un farmacista è ritenuta sanzionabile con la semplice chiusura da 5 a 30 giorni.
In secondo luogo, perché, comunque, il
Nifedicor non è tra i medicinali che devono stare sul carrello dell’emergenza relativo all’apparecchiatura di risonanza magnetica presente nel Centro.
Tanto risulta dalle stesse “raccomandazioni” richiamate nella relazione dell’unità
operativa di Medicina legale.
Infatti, alla pag. 14 di tale documento, interpretando quanto disposto dal d.m. 2
88
agosto 1991 (in particolare l’allegato 3,
quadro 4, punto 4.6 e 4.10), si precisa che
rientra tra le competenze del c.d. “medico responsabile” di ciascuna struttura l’individuazione dei farmaci che devono fare
parte della dotazione del carrello di emergenza a servizio dell’apparecchiatura di risonanza magnetica.
11. Nel caso di specie, il medico responsabile dell’apparecchiatura di risonanza
magnetica presente nel Centro (Omissis)
in esecuzione del superiore obbligo su
di lui gravante, aveva predisposto in data
20.8.2010 il documento contenente la indicazione della dotazione di emergenza,
specificando i medicinali che avrebbero
dovuto essere presenti, individuati nel numero di cinque, tra i quali non figurerebbe il Nifedicor.
IV) Revoca dell’autorizzazione sanitaria
per motivo attinente all’autorizzazione assessoriale all’apparecchiatura R.M.
Il provvedimento di conferma della revoca dell’autorizzazione sanitaria, nella parte in cui si fonda sulla presenza del Nifedicor scaduto, risulterebbe illegittimo per
un’ulteriore ed autonoma ragione fondata
sul fatto che l’asserita violazione riguarderebbe non l’autorizzazione sanitaria rilasciata al Centro medico dall’ASP ai sensi del d.a. 890/2002, ma l’autorizzazione
dell’Assessorato regionale alla sanità riguardante l’apparecchiatura di risonanza
magnetica prevista dal d.m. 2 aprile 1991
e dal d.a. per la Sanità 13.4.1999.
Trattasi di due autorizzazioni del tutto autonome rilasciate al Centro medico (Omissis).
Invero, in base alla relazione dell’unità
operativa di Medicina legale, il Nifedicor
sarebbe un medicinale facente parte del
“carrello per l’emergenza” di pertinenza esclusiva dell’apparecchio di risonanza magnetica e non richiesto per gli altri
Repertorio di Giurisprudenza
apparecchi presenti nel Centro medico.
Pertanto controllo e potere di irrogare le
sanzioni apparterrebbero non all’ASP ma
all’Assessorato regionale, si sensi dell’art.
3 d.a. 13.4.1999.
V) Sviamento di potere - Difetto di motivazione e di istruttoria - Ulteriore violazione dell’ordinanza.
Con ordinanza cautelare (Omissis), la Sezione si è così espressa:
“Ritenuto che va confermata la ricostruzione normativa rappresentata con ordinanza
(Omissis) resa da questa stessa Sezione;
“Ritenuto che, in considerazione della motivazione posta a supporto dei provvedimenti impugnati, in ordine al medicinale
scaduto, secondo quanto condivisibilmente argomentato da parte ricorrente, non
traspare la gravità dell’evento tale da comportare la revoca dell’autorizzazione amministrativa, posto che, per altro, lo stesso non è stato somministrato ad alcuno e,
tanto meno, può dirsi causa che ha determinato il decesso del paziente;
“Ritenuto che, così come emerge dal certificato (Omissis) reso dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Nicosia
e, per quanto affermato in camera di consiglio dai difensori dei responsabili della
struttura ricorrente, a carico di questi ultimi nessun ulteriore procedimento penale
è più in corso, essendo stato archiviato dal
competente GIP, su richiesta del Pubblico
Ministero, quello instaurato per i reati previsti dagli artt. 443 (commercio o somministrazione di medicinali guasti) e 589 c.p.
(omicidio colposo), nonché dall’art. 193 l.
n. 1265 del 1934, a mente del quale “nessuno può aprire o mantenere in esercizio
ambulatori, case o istituti di cura medicochirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di
accertamento diagnostico, case o pensioni
per gestanti, senza speciale autorizzazione
del prefetto, il quale la concede dopo aver
sentito il parere del consiglio provinciale di sanità”;
“Ritenuto, quindi, che, almeno allo stato,
i detti rappresentanti della struttura risultano non responsabili per le due ipotesi gravi che avrebbero, in teoria, consentito l’adozione del provvedimento impugnato”.
(Omissis)
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono fondati.
In vista dell’udienza pubblica nessuna ulteriore novità in punto di fatto, se non la
sussistenza degli atti adempitivi alle ordinanze rese da questa Sezione, è stata rappresentata in giudizio.
Il dovere di sinteticità espressamente sancito dall’art. 74 c.p.a. può essere assolto
con il richiamo, in punto di fatto, a quanto
sopra rappresentato e, in punto di diritto,
alle articolate ordinanze cautelari (Omissis), con le quali si è chiaramente indicato che non sussistono i requisiti della gravità e, comunque, della reiterazione dei
fatti giustificativi di una sanzione definitiva, quale quella comminata dalla resistente Amministrazione sanitaria.
2. Consegue, come premesso, l’accoglimento dei ricorsi e, dunque, l’annullamento degli atti impugnati.
Le ragioni che, a monte, hanno determinato l’Amministrazione a intervenire con
il provvedimento impugnato con il ricorso
principale, comunque, inducono il Collegio a disporre l’integrale compensazione
delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Sicilia - Sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, dispone
89
Repertorio di Giurisprudenza
l’annullamento degli atti impugnati.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
??
T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. III,
12 agosto 2014, n. 2175 • C.A. e
R.L.M.C. c. Comune di Palermo.
Concessione cimiteriale • Sepoltura gentilizia • Atti di ritiro della concessione • Decadenza sanzionatoria.
La decadenza sanzionatoria si differenzia dagli altri atti di ritiro (quali l’annullamento o la revoca) perché non
comporta un riesame dell’atto, alla
stregua della sua legittimità o opportunità, bensì una valutazione del comportamento tenuto dal destinatario
durante lo svolgimento del rapporto.
In questa direzione la decadenza
dall’autorizzazione amministrativa è
un atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, che non richiede specifiche valutazioni in ordine all’interesse
pubblico alla sua adozione.
1. I ricorrenti impugnano il provvedimento
di decadenza dalla concessione cimiteriale “perpetua” presso il cimitero (Omissis)
di Palermo, adottato dal resistente comune e motivato da gravi e reiterate violazioni delle norme che disciplinano l’uso della sepoltura oggetto della concessione. In
particolare, è stata contestata ai ricorrenti
la violazione del divieto previsto nel contratto di concessione di immettere nel sepolcro salme estranee non prima di avervi immesso almeno un proprio parente o
90
affine entro il 6 grado; dette tumulazioni
sono state effettuate su richiesta di (Omissis), in qualità di procuratore della moglie e del figlio del concessionario originario (Omissis).
2. I ricorrenti lamentano l’illegittimità del
provvedimento di decadenza sotto numerosi profili riguardanti l’incompetenza dell’organo emanante, la sussistenza
di vizi procedimentali, l’assenza di una
congrua motivazione e dell’indicazione
dell’autorità giurisdizionale contro cui agire, la violazione del contratto di concessione nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto
e per sviamento dell’interesse pubblico.
3. Si è costituito in giudizio l’intimato
Comune, depositando memorie scritte e
contestando la fondatezza delle censure proposte.
Alla camera di consiglio (Omissis) è stata
respinta l’istanza cautelare proposta, per
difetto dei requisiti del fumus boni iuris e
del periculum in mora.
Alla pubblica udienza (Omissis), in presenza dei difensori delle parti e su loro
conforme richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
Con il provvedimento impugnato l’amministrazione comunale ha dichiarato
la decadenza della concessione cimiteriale relativa alla sepoltura gentilizia in
uso ai ricorrenti, motivata dalla violazione dell’art. 3 del contratto di concessione stipulato (Omissis) tra il comune e l’originario concessionario e dell’art. 9 del
regolamento cimiteriale del 1912, norma
applicabile ratione temporis alla sepoltura oggetto della controversia. L’atto di
decadenza è stato legittimamente disposto dal dirigente dell’Ufficio competente,
Repertorio di Giurisprudenza
rientrando nel novero degli atti gestionali
ed esecutivi adottati nel corso dello svolgimento del rapporto concessorio, come
tale espressione della funzione di amministrazione attiva spettante, ai sensi dell’art.
107 del t.u.e.l., alla dirigenza (cfr. in tal
senso Cons. Stato, sez. V, 12 novembre
2013, n. 5421).
2. Il provvedimento è stato preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento
e l’apporto partecipativo fornito dagli interessati, come risulta dal preambolo dell’atto impugnato, è stato oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione benché
le osservazioni formulate non siano state in grado di modificare l’esito del provvedimento finale. Invero, come si evince
dalla ricostruzione dei fatti risultante dagli atti del giudizio, la decadenza è stata
pronunciata a seguito delle ripetute violazioni dell’art. 3 della concessione-contratto stipulata tra le parti e del divieto ivi
sancito di tumulare soggetti estranei nel
sepolcro; non assume rilievo in proposito la circostanza che le tumulazioni siano
state disposte da soggetto diverso dal concessionario, in quanto questi ha operato
in qualità di procuratore speciale all’uopo nominato, in forza di atto notarile,
dall’odierno ricorrente A.C., unitamente
alla madre, soggetti sui quali incombeva
un obbligo di vigilanza sul corretto operato del delegato.
3. Non risulta del resto che i rappresentati,
venuti a conoscenza dell’illecito comportamento del procuratore e delle operazioni poste in essere sulla sepoltura gentilizia, abbiano intrapreso azioni volte a far
cessare gli effetti della procura conferita e
a contestare la legittimità degli atti compiuti dal rappresentante. Non rileva, inoltre, sul punto che il comune non sia stato in grado di contestare immediatamente
le irregolarità compiute nella gestione del
sepolcro, in quanto il decorso del tempo
non inficia il potere di pronunciare la decadenza a fronte dell’accertamento delle
violazioni del rapporto concessorio (cfr.
T.A.R. Campania, sez. VII, 4 settembre
2013, n. 4166).
4. Il provvedimento adottato, infatti, va
ascritto alla categoria della decadenza
sanzionatoria in quanto evidenzia, a carico del destinatario di un precedente provvedimento concessorio, inadempimenti
tali da impedire la costituzione o la prosecuzione del rapporto sorto per effetto del
suddetto provvedimento ampliativo (cfr.
T.A.R. Lombardia, sez. II, 7 aprile 2006,
n. 985). In ciò si differenzia dagli altri atti
di ritiro (quali l’annullamento o la revoca)
perché non comporta un riesame dell’atto, alla stregua della sua legittimità o opportunità, bensì una valutazione del comportamento tenuto dal destinatario durante
lo svolgimento del rapporto.
In questa direzione la decadenza dall’autorizzazione amministrativa è un atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, che
non richiede specifiche valutazioni in ordine all’interesse pubblico alla sua adozione (T.A.R. Liguria, sez. I, 21 settembre
2011, n. 1393).
Dalla natura vincolata del provvedimento
consegue altresì l’irrilevanza di eventuali
vizi procedimentali, che non potrebbero
comunque comportare, ex art. 21-octies
della l. n. 241 del 1990, l’annullamento
dell’atto impugnato.
Tanto meno rileva l’omessa indicazione
del termine e dell’autorità cui ricorrere
che non determina, per giurisprudenza
costante, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ma solo una mera irregolarità eventualmente valutabile ai
fini della rimessione in termini in ipotesi di impugnazione tardiva, in quanto la
91
Repertorio di Giurisprudenza
disposizione dell’art. 3 comma 4, l. n.
241 del 1990 tende semplicemente ad
agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale (T.A.R. Lecce, sez. III, 7 aprile 2011,
n. 608; T.A.R. Campania, sez. VII, 8 aprile 2011, n. 2009).
5. Infine, è infondata la linea difensiva addotta secondo la quale, essendo la concessione oggetto di giudizio di tipo “perpetuo”, la stessa non potrebbe essere
comunque oggetto di decadenza. Giova
in proposito ricordare che l’art. 842, comma 3 del codice civile include espressamente i cimiteri nel demanio comunale
e la concessione da parte del comune di
aree o porzioni di un cimitero pubblico è
soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro. Ciò comporta
la legittimità sia degli atti di revoca che di
decadenza a valere su dette concessioni,
non potendosi configurare atti dispositivi,
92
in via amministrativa, senza limiti di tempo a carico di elementi del demanio pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, sez. II, 18 gennaio
2012, n. 70).
6. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso non può essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate in favore del resistente comune
come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Sicilia (Sezione Terza) definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del giudizio in favore del Comune
di Palermo, che liquida in Euro 2.000,00
(duemila/00), oltre accessori se e in quanto dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Rassegna di Giurisprudenza
a cura di Giuliana Poleggi
Le forme speciali di vendita
SOMMARIO: 1. Commercio elettronico. – 1.1. Vendita on line di servizi ricettivi. – 1.2.
Non liceità del commercio elettronico di autovetture. – 2. Impianti self-service di carburanti. – 2.1. Questioni di legittimità costituzionale: orari degli impianti relativamente alla
modalità self-service nell’erogazione dei carburanti. – 3. Distributori automatici. – 3.1.
Patentino per la vendita di generi di monopolio. – 3.2. Distributori automatici: procedura
negoziata per l’affidamento del servizio da parte di una p.a. – 3.3. Attività di commercio
effettuato a mezzo di distributori automatici: aliquota Iva applicabile. – 3.4. Vendita di
alimenti e bevande mediante distributori automatici: concessione di servizi.
1. Commercio elettronico
1.1. Vendita on line di servizi ricettivi
Nei fatti, due società, appartenenti allo stesso gruppo societario di gestione di
strutture recettive turistiche, hanno presentato ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio per l’annullamento di un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) con cui, dopo avere deliberato il compimento di una pratica commerciale scorretta da parte di entrambe le suddette
società, l’Autorità irrogava a ciascuna società una sanzione amministrativa pecuniaria (pari a 60.000 euro per la prima e 30.000 euro per la seconda), prevedendo, altresì, l’obbligo del professionista di comunicare alla stessa Autorità (entro
il termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento) le iniziative assunte in ottemperanza alla diffida compimento della pratica commerciale scorretta.
Va specificato che una delle due società era titolare di un marchio utilizzato
da numerose strutture alberghiere facenti parte dell’omonima catena, mentre la
seconda gestiva il sito internet del gruppo, per conto del quale curava l’aggiornamento dei dati pubblicizzati dal sito e gli eventuali reclami dei consumatori
sulle prenotazioni effettuate tramite call-center.
Nello specifico, la pratica censurata dal Garante sarebbe consistita nella divulgazione di informazioni omissive ed ingannevoli circa l’identità e la sede del
soggetto offerente i servizi pubblicizzati sul sito internet, nonché altre carenti informazioni rilevanti.
In particolare l’Autorità, sulla base di una dettagliata e puntuale analisi del
sito internet ha rilevato come, nell’ambito dei messaggi presenti sullo stesso, finalizzato alla promozione dei servizi recettivi del gruppo, sia stata più volte utilizzata la locuzione relativa al nome del gruppo per individuare un soggetto unitario, al quale ricondurre l’offerta.
Precisamente, al gruppo facevano riferimento l’omonimo link della home page
e le sezioni nelle quali esso si articolava. Al gruppo facevano pure riferimento
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Rassegna di Giurisprudenza
la “Guida alla prenotazione” e la sezione “Contatti”, che forniva un’indicazione di numeri telefonici attraverso i quali era possibile contattare un operatore
per informazioni.
Anche il link “Hotels e villaggi”, ulteriormente articolato nei link “Struttura”,
“Dati villaggio” e “Servizi”, pur contenendo la descrizione delle caratteristiche
degli hotel, non riportava la denominazione e la sede o il recapito del gestore
delle stesse.
Con riferimento alle modalità di prenotazione on line (corrispondente ad altro
link sulla home page), l’Autorità ha rilevato poi l’assenza di indicazioni relative
al soggetto percettore dei pagamenti e alla procedura per richiedere il rimborso
di eventuali somme erroneamente versate, facendosi ordinariamente riferimento al nome della catena alberghiera.
Dall’istruttoria è pure emerso che, nella sezione “Conclusioni” compariva un
indirizzo e.mail – info@(nome della catena alberghiera) – da contattare in caso
di dubbi, suggerimenti e chiarimenti e, nello step “Riepilogo della prenotazione” venivano illustrate le condizioni di acquisto della sistemazione nella specifica struttura, ma non l’identità delle società che gestivano le strutture. Le criticità non sono state eliminate in corso di procedimento, atteso che l’Autorità ha
verificato che le modifiche apportate al sito ed illustrate dal gruppo con una memoria, hanno inciso su aspetti formali privi di rilevanza, mentre, con riferimento agli specifici servizi offerti negli alberghi della catena, le indicazioni relative
alla denominazione, alla sede e alle condizioni generali di vendita delle singole società gestrici delle singole strutture apparivano visualizzabili, ma solo dopo
vari passaggi successivi alla home page.
L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato ha, quindi, ritenuto la pratica commerciale accertata in contrasto con l’art. 20, comma 1, del codice del
consumo, che vieta le pratiche commerciali scorrette, con il successivo art. 21,
che qualifica come ingannevole una pratica commerciale “che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo,
anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio” su aspetti riguardanti, tra gli altri, la natura, le qualifiche e l’identità del professionista, e con l’art. 22, commi 2, 4, lett. b) e d) e
5), il quale dopo aver previsto che, “Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in
modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1 (...) quando ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore
medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, stabilisce come, nel caso di un invito all’acquisto sono considerate rilevanti le informazioni relative a “b) l’indirizzo geografico e l’identità del
professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione
sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del
quale egli agisce;... d) le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale”, precisando, infine, che “Sono considerati rilevanti, ai sensi
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Rassegna di Giurisprudenza
del comma 1, gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto”.
L’Autorità ha pure rilevato come la pratica commerciale in esame fosse in contrasto con le previsioni del d.lgs. n. 70 del 2003 il quale, in materia di commercio elettronico, agli artt. 7 e 8, stabilisce, a carico dell’operatore, un obbligo di
completezza informativa avente ad oggetto il nome, la denominazione o la ragione sociale, il domicilio o la sede legale, gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente
con lo stesso (compreso l’indirizzo di posta elettronica) e, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi, una specifica informativa,
diretta ad evidenziare la persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale.
Infine, l’opacità delle informazioni, come sopra descritta, la rilevanza delle
medesime ai fini della fruibilità dell’offerta, la circostanza che la competenza e
l’attenzione in concreto utilizzate siano inferiori a quelle che è ragionevole attendersi dal professionista e l’idoneità delle informazioni fornite ad indurre in errore il consumatore sono state pure evidenziate nel parere reso dall’Autorità per
le Garanzie nelle Comunicazioni su richiesta dell’A.G.C.M. (la cui acquisizione
si è resa necessaria, ai sensi dell’art. 27, comma 6 del codice del consumo, in
quanto la pratica commerciale è stata diffusa a mezzo internet).
Nel ricorso, le ricorrenti sostenevano che, poiché il sito internet era finalizzato
alla sottoscrizione di un contratto alberghiero, il consumatore medio non avrebbe
potuto prescindere, nella consultazione del sito, dall’esame delle sezioni “condizioni generali hotel” e “condizioni di vendita”, sulla base delle quali egli sarebbe venuto in possesso di tutte le indicazioni utili sia in relazione ai dati identificativi dei soggetti che offerente il servizio sia di quelle relative alle procedure di
gestione dei reclami. Per le ricorrenti, l’Autorità avrebbe anche omesso di considerare la bassissima percentuale di contestazioni – inferiore allo 0,0060% in
tutti gli anni oggetto di esame e, peraltro, quasi sempre oggetto di transazione
– circostanza questa che avrebbe di fatto dimostrato l’inidoneità del sito a trarre in inganno i consumatori.
Le ricorrenti hanno altresì lamentato che gli accertamenti, sulla cui base è stata riscontrata la sussistenza della pratica commerciale sanzionata, siano avvenuti
senza utilizzo degli strumenti offerti dall’art. 13 della delib. A.G.C.M. n. 17589 del
2007, contenente il regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche
commerciali scorrette e consistenti in perizie, analisi statistiche ed economiche.
I Giudici però hanno rilevato in proposito come le stesse società ricorrenti
non abbiano contestato efficacemente, in fatto, la circostanza che il sito non
consentisse, o consentisse dopo un significativo numero di passaggi, l’accesso
alle informazioni attinenti all’identità del soggetto, alla sua sede, alla qualità
del professionista, alla procedura di prenotazione e al sistema di trattamento
dei reclami (circostanza dettagliatamente documentata dall’amministrazione
resistente).
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Rassegna di Giurisprudenza
I Giudici hanno inoltre ricordato come, nell’assetto di interessi disciplinato dal
d.lgs. n. 206 del 2005, le norme a tutela del consumo delineano una fattispecie
di “pericolo”, essendo preordinate a prevenire le possibili distorsioni delle iniziative commerciali nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, sicché non è richiesto all’Autorità di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la potenziale lesione della
loro libera determinazione.
Quanto, infine, alla prospettata necessità di avvalersi, in sede istruttoria, degli
strumenti di cui all’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, il Tribunale amministrativo ha
osservato che la norma non prevede affatto un obbligo di utilizzo delle modalità istruttorie invocate dalle ricorrenti e che il provvedimento gravato ha determinato la sanzione tenendo conto della gravità della violazione, desunta dall’elevato grado di diffusione della condotta, suscettibile, per le relative modalità
di realizzazione (offerta mediante internet), di ledere un numero significativo di
consumatori, nonché delle dimensioni delle due società oltre ai fatturati e risultati di bilancio.
La valutazione effettuata dall’Autorità al fine della determinazione degli importi delle sanzioni amministrative è pertanto apparsa ai Giudici operata in maniera logica e correttamente correlata a tutti i richiamati parametri normativi. In
estrema sintesi, per tutto quanto sopra, il ricorso è stato respinto (T.A.R. Lazio –
Roma, sez. I, sent. 25 marzo 2014, n. 3270).
1.2. Non liceità del commercio elettronico di autovetture
Roma Capitale, con nota ha comunicato ad una società che la Segnalazione
Certificata di Inizio Attività (Scia) per commercio elettronico di autovetture non
poteva essere accolta poiché il Dipartimento Attività Economiche e Produttive,
Formazione e Lavoro (sempre con nota) aveva comunicato a tutti i 19 Municipi che “l’attività di vendita di auto nuove ed usate non può essere esercitata mediante il commercio elettronico di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 114 del 1998, in
quanto il bene di scambio, nel caso di specie auto nuove o usate, rientra nella
categoria dei beni mobili registrati per cui data la natura giuridica degli stessi,
è necessaria la sottoscrizione del contratto di compravendita, anche ai fini della successiva registrazione al P.R.A. Tale tesi risulta avallata da quanto disposto
all’art. 11 del d.lgs. n. 70 del 2003, che disciplina i casi di esclusione dei contratti di beni di scambio che non possono essere oggetto di commercio elettronico. Si ritiene di dover applicare la stessa ratio anche per le altre forme speciali
di vendita per corrispondenza o altri mezzi di comunicazione di cui all’art. 18
del d.lgs. n. 114 del 1998”.
Di fronte al rifiuto, la società ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo
impugnando il provvedimento per l’annullamento, ma il ricorso è stato respinto
con le argomentazioni a seguire.
In primo luogo, il provvedimento impugnato è stato congruamente motivato in
quanto, anche attraverso il rinvio per relationem alla nota dell’amministrazione
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Rassegna di Giurisprudenza
comunale sopra citata, espone le ragioni di fatto e di diritto a base della sua adozione. Inoltre, e questo costituisce il punto centrale della controversia, il provvedimento è basato su presupposti di fatto non erronei e costituisce una corretta applicazione della norma di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 70 del 2013.
Il contratto di compravendita di un’automobile non richiede la forma scritta
ad substantiam, ma si perfeziona, così come la vendita di qualsiasi bene mobile, con il semplice consenso delle parti validamente manifestato. La forma scritta, però, è richiesta ai fini della trascrizione al Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) e, può essere sostituita, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del r.d. n. 814
del 1927, nel caso di vendita verbale, da dichiarazione autenticata sottoscritta
dalla sola parte venditrice.
Pertanto, ai fini della validità ed efficacia del trasferimento di proprietà del
bene non rileva la circostanza che l’atto di alienazione non sia stato trascritto
presso il P.R.A., che, invece, configura uno strumento di pubblicità legale e di
tutela in quanto volto a dirimere i conflitti che dovessero sorgere tra aventi causa dal medesimo venditore che vantino diritti sullo stesso bene.
Tuttavia, appare indubitabile che – richiedendo il contratto, sia pure al fine di
costituire uno strumento di pubblicità legale e di risoluzione di conflitti tra più
aventi causa dal medesimo dante causa, la sottoscrizione di almeno una delle
due parti, la parte venditrice, e l’esercizio di pubblici poteri, funzionale all’esecuzione della trascrizione presso il P.R.A. – la fattispecie rientra tra le cause di
esclusione del commercio elettronico di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 70 del 2013.
In sintesi, l’attività avente ad oggetto il commercio di veicoli, intesa nel senso del perfezionamento della vendita degli stessi, pertanto, non può avvenire in
forma elettronica per espressa previsione legislativa.
Diversamente, può senz’altro essere effettuata in forma elettronica l’attività di
offerta al pubblico degli autoveicoli al pubblico, che costituisce una fase antecedente al perfezionamento del contratto di compravendita attraverso il quale
avviene il trasferimento di proprietà del bene verso il pagamento di un prezzo.
La ricorrente ha dedotto che l’amministrazione, prima di adottare il provvedimento tardivo, non avrebbe previamente comunicato alla ricorrente le ragioni
ostative all’accoglimento della Scia, ma la censura è stata disattesa. A prescindere dalla considerazione che, come si vedrà infra, i Giudici non hanno ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina di cui all’art. 19 l. n. 241 del 1990, la
natura vincolata dell’azione amministrativa determina che il provvedimento non
è in alcun caso annullabile per vizi del procedimento.
L’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, infatti, dispone che non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per
mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato.
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Rassegna di Giurisprudenza
Parimenti, la censura di violazione dell’art. 19, l. n. 241 del 1990 non ha persuaso i Giudici in quanto la Scia è stata presentata il 3 ottobre, mentre il provvedimento impugnato è stato adottato il 27 dicembre 2012 e spedito il 2 gennaio
2013, vale a dire oltre il termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione. L’art. 19, l. n. 241 del 1990 stabilisce che ogni atto di autorizzazione,
licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge
o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la
sola esclusione dei casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale,
alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze.
Il terzo comma dell’art. 19 prevede che l’amministrazione competente, in caso
di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo comma, nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un
termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.
Il Collegio ha posto in rilievo che il commercio elettronico di automobili, nel
senso di compravendita di automobili in via telematica, non è neanche astrattamente configurabile, sicché la fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione
di cui all’art. 19, l. n. 241 del 1990. Il citato art. 19 si riferisce infatti ad attività
il cui esercizio può astrattamente avvenire a seguito di segnalazione certificata
di inizio attività, mentre il potere inibitorio si riferisce all’assenza di requisiti o
presupposti per poter svolgere in concreto l’attività in astratto esercitabile. In altri termini, la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività non
può di per sé rendere lecita un’attività illecita, sicché, nella fattispecie in esame,
la Scia, non rientrando nel perimetro di applicazione di cui all’art. 19, l. n. 241
del 1990, deve sostanzialmente considerarsi tamquam non esset (T.A.R. Lazio –
Roma, sez. II ter, sent. 18 febbraio 2014, n. 1918).
2. Impianti self-service di carburanti
2.1. Questioni di legittimità costituzionale: orari degli impianti
relativamente alla modalità self-service nell’erogazione dei carburanti
La Corte Costituzionale ha valutato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della l.r. Toscana n. 13 del 2013 (recante Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla l.r.
n. 28/2005 e alla l.r. n. 52/2012) ritenendola fondata.
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Rassegna di Giurisprudenza
La resistente regione ha rimarcato, nel tentativo di difesa della legittimità della
norma, che si trattava di intervento regionale nella materia del commercio, con
la finalità di bilanciare l’interesse al libero accesso ed esercizio dell’attività di
distribuzione con altri interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela dell’occupazione, la tutela del consumatore e la salvaguardia dell’incolumità pubblica. Stessa finalità, ritenuta tale da legittimare l’intervento regionale, è stata ricondotta dalla resistente alla disposizione di cui all’art. 16 della legge reg. n. 13
del 2013, che ha modificato l’art. 54-bis della legge reg. n. 28 del 2005, la quale
ha limitato la possibilità di ubicare gli impianti dotati esclusivamente di impianti “self-service” solo nelle aree montane e insulari, in considerazione dell’incidenza negativa sull’occupazione di dette installazioni.
La Suprema Corte ha innanzitutto osservato che la disposizione relativa all’orario degli impianti di distribuzione di carburanti, sostituendo l’art. 84, comma 3,
della l.r. Toscana n. 28 del 2005, impone il funzionamento contestuale della modalità “servito” e della modalità “self-service” durante l’orario di apertura dell’impianto, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 28, comma 7, del citato d.l. n. 98
del 2011, espressivo della competenza statale esclusiva in materia di concorrenza
ex art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. L’onere aggiuntivo imposto agli operatori toscani origina, invero, una alterazione della parità concorrenziale in patente violazione del citato art. 28, comma 7, secondo cui “Non possono essere posti specifici vincoli all’utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento
senza servizio con pagamento anticipato, durante le ore in cui è contestualmente
assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, a condizione che
venga effettivamente mantenuta e garantita la presenza del titolare della licenza
di esercizio dell’impianto rilasciata dall’ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori. (...)” (Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 165).
3. Distributori automatici
3.1. Patentino per la vendita di generi di monopolio
Il Tribunale amministrativo della Campania ha affermato che (ai sensi dell’art.
23 della l. n. 1293 del 1957 e art. 54 del d.P.R. n. 1074 del 1958) non è possibile concedere il patentino per la vendita di tabacchi in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina posto al di sotto della
distanza minima di 200 metri.
Infatti, il c.d. patentino per la vendita di tabacchi può essere rilasciato anche
laddove non siano rispettati i limiti di distanza richiesti per l’istituzione di una
tabaccheria, a condizione che il bar del beneficiario del patentino osservi un
orario più ampio rispetto a quello delle rivendite circostanti ed un turno di riposo settimanale in giornata diversa dalla domenica, usuale giorno di riposo delle tabaccherie.
Nei fatti, la società ricorrente, titolare di un esercizio commerciale in una
zona che, negli ultimi anni, aveva conosciuto un forte incremento demografico,
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Rassegna di Giurisprudenza
atteso il considerevole sviluppo urbanistico e la sua localizzazione nel centro
della città, inoltrava regolare istanza, all’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato, per il rilascio del patentino, per la commercializzazione dei tabacchi nell’esercizio dalla medesima gestito. Con il provvedimento impugnato
però la p.a. aveva negato il richiesto titolo abilitativo. Il ricorso è stato reputato privo di fondamento e, nelle argomentazioni a sostegno di tale tesi, i Giudici
hanno ritenuto opportuno operare una sintesi delle norme di legge e delle istruzioni amministrative, vigenti nella materia in esame.
In tal prospettiva, viene anzitutto in rilievo l’art. 23 della l. n. 1293 del 1957,
intitolato “Patentino per la vendita dei generi di monopolio”, il quale prevede:
“Salvo quanto previsto per le rivendite ordinarie e speciali, l’amministrazione
può consentire la vendita dei generi di monopolio nei pubblici esercizi, nei luoghi di ritrovo e di cura e negli spacci cooperativi. L’autorizzazione è effettuata
a mezzo di patentino. La rivendita ordinaria più vicina al locale cui è concesso il patentino rifornisce quest’ultimo dei generi, salvo diversa determinazione
dell’amministrazione”.
L’art. 54 del d.P.R. n. 1074 del 1958, intitolato “Patentini”, ai suoi primi quattro commi prevede: “I patentini sono rilasciati dall’Ispettorato compartimentale
secondo le norme di massima della Direzione generale. Le relative licenze sono
valide per un biennio, salvo rinnovo, ed abilitano alla vendita di tutti i generi di
monopolio o di parte di essi. Ai titolari dei patentini sono estese le disposizioni
di cui all’art. 6 della legge nonché per quanto applicabili, le norme relative ai
doveri da osservarsi da parte dei rivenditori. Il titolare del patentino deve rifornirsi di generi di monopolio presso la rivendita ordinaria più vicina al suo esercizio. L’Ispettorato compartimentale può disporre una diversa aggregazione quando la norma di cui innanzi possa comportare alterazione dell’assetto di vendita
dei generi di monopolio nella zona”.
Quanto alle istruzioni, diramate dall’amministrazione delle Finanze, i Giudici hanno osservato che la circolare n. 04/63406 del 2001, nel titolo V, dedicato
ai patentini, alla lett. a), intitolata “Tipologie di locali”, stabilisce quanto segue:
“I patentini, possono essere istituiti presso: 1. alberghi; 2. stabilimenti balneari; 3. campi sportivi; 4. discoteche; 5. pubs; 6. ristoranti e pizzerie; 7. locali da
ballo; 8. cinema multisala con annesso punto di ristoro; 9. bar di rilevante frequentazione dotati di adeguate strutture di intrattenimento; 10. nelle sale “Bingo”, quando non resti possibile procedere all’impianto di rivendite speciali” (...).
“II patentino, in considerazione del carattere di complementarietà del servizio
svolto, non deve essere una duplicazione delle rivendite, bensì un’espansione
della preesistente struttura di vendita giustificata dalla necessità del servizio al
pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie. A tal proposito assumerà preminente rilievo l’orario prolungato
dell’esercizio del richiedente rispetto alle rivendite circostanti, il giorno di riposo settimanale diverso rispetto a quello delle tabaccherie viciniori e l’eventuale presenza di distributori automatici nella tabaccheria più vicina. In quest’ultimo caso il patentino non potrà essere concesso. L’estensione del servizio della
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Rassegna di Giurisprudenza
preesistente struttura di vendita, che viene a realizzarsi con il rilascio del patentino – ferme restando le prescrizioni di cui alla presente circolare – dovrà in ogni
caso essere correlata ad obiettive esigenze di servizio, tali da giustificare l’ampliamento del servizio di vendita al pubblico (...)”.
La successiva circolare, n. 04/64713 del 2001, sempre riguardo alla tematica in esame, ha previsto che l’inconcedibilità del patentino in caso di presenza
di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina deve intendersi
operante solo nel caso che il distributore medesimo sia posto al di sotto della distanza minima – (ordinariamente prevista per l’impianto delle rivendite in relazione alla popolazione del comune) – dal locale proposto per il rilascio del patentino medesimo. Distanza che nella fattispecie concreta, essendo il comune
con popolazione compresa tra i 10.000 e i 30.000 abitanti, è pari a 300 metri.
L’ulteriore circolare n. 375/UDG del 2005, intitolata “Nuova regolamentazione delle procedure di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini” (per quanto qui rileva) prevede che: “La recente introduzione di nuove norme antifumo e la correlata esigenza di porre sotto attento controllo l’intera rete di vendita impongono
una modifica delle direttive emanate stabilendo criteri più rigorosi in tema di patentini. A tal fine si forniscono i nuovi sottostanti indirizzi, per la valutazione della effettiva necessità di integrare la rete primaria, costituita dalle rivendite, che
dovranno essere rispettati nella fase di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini.
Per il rilascio non sarà più presa in considerazione la presenza nel locale della
sala di intrattenimento in quanto scarsamente compatibile con le predette norme antifumo, ma si farà esclusivo riferimento alla effettiva rilevanza, collocazione e frequentazione dello stesso. Si eviterà, tuttavia, di procedere al rilascio di
patentini in locali ubicati ad una distanza inferiore a metri 100 dalla rivendita
più vicina” (...) “Gli intestatari dei patentini che avranno scadenza successiva al
31 dicembre 2005 non potranno più rinnovarli automaticamente con l’apposizione della prescritta marca da bollo ma dovranno presentare, almeno un mese
prima della scadenza, specifica istanza (in bollo) al competente Ispettorato corredata da apposita dichiarazione attestante la quantità ed il valore dei prelievi
effettuati risultanti dal modo U88/ Pat. regolarmente compilato e firmato dalle
parti. Tali dichiarazioni potranno essere oggetto di specifici accertamenti circa
l’effettiva sussistenza del dato dichiarato ed, in caso di falsità del loro contenuto o di omesso invio delle stesse, le relative istanze verranno respinte. A tale riguardo si evidenzia che uno degli elementi fondamentali, ai fini della decisione
di rinnovo, dovrà essere il rapporto fra il prelievo della rivendita di aggregazione
e quello del patentino. Salvo situazioni particolarissime, per collocazione ambientale e tipologia di clientela, ovvero quando non vi sia alcuna sovrapposizione con il servizio reso dalla tabaccheria di aggregazione, si eviterà di procedere
al rinnovo delle autorizzazioni che prelevino annualmente tabacchi per un valore lordo inferiore al 15% di quello complessivo dei generi esitati dalla rivendita,
stante la loro scarsa necessità nell’interesse del servizio” (...) “Ai fini applicativi
di quanto sopra indicato occorrerà: – eliminare l’indicazione relativa al rinnovo automatico in occasione del rilascio di nuovi patentini sostituendola con le
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nuove disposizioni; avvisare i titolari delle autorizzazioni già rilasciate del nuovo regime di rinnovo e voltura; – richiedere ai titolari di tutte le autorizzazioni
concesse l’invio, con cadenza semestrale, di un prospetto riepilogativo del modello U88/Pat contenente l’entità complessiva, a quantità e valore, dei prelevamenti effettuati nel semestre; integrare la banca dati dei patentini con l’indicazione della loro produttività”.
Infine, l’art. 7 del d.m. n. 38 del 2013, entrato in vigore il 17 aprile 2013 (dopo
l’adozione del provvedimento gravato), intitolato “Criteri per il rilascio di patentini” (che comunque è stato riportato in quanto indicativo delle linee di tendenza della normativa concernente la specie), prevede quanto segue: “1. Ai fini del
rilascio di patentini l’Ufficio competente prende in considerazione il carattere di
complementarietà del servizio di vendita dei tabacchi lavorati che costituisce mera
espansione di una preesistente struttura di vendita, non sovrapponibile alla stessa
e giustificata dalla necessità di erogazione del predetto servizio in luoghi e tempi in cui tale servizio non può essere svolto dalle rivendite ordinarie. 2. I patentini possono essere istituiti presso pubblici esercizi dotati di licenza per la somministrazione di cibi e bevande, nonché presso i seguenti esercizi: a) alberghi; b)
stabilimenti balneari; c) sale “Bingo”; d) agenzie di scommesse e punti vendita
aventi come attività principale la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblico; e) esercizi dediti esclusivamente al gioco con apparecchi di cui all’articolo 110 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, come definiti dall’articolo 9, comma 1, lettera f), del d. dirett. 22 febbraio 2010 del Ministero
dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 9 febbraio 2010,
n. 32; f) bar di rilevante frequentazione, in presenza di comprovati elementi che
dimostrano l’elevato flusso di pubblico, la rilevanza dei servizi resi alla clientela,
la concreta esigenza di approvvigionamento di prodotti da fumo. 3. Ai fini dell’adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all’esercizio del richiedente, valutano: a) l’orario prolungato dell’esercizio rispetto a quello delle rivendite circostanti; b) il giorno di riposo settimanale praticato dall’esercizio in un
giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine; c) la distanza dell’esercizio dalla rivendita più vicina, comunque non inferiore a 100 metri; d) l’ubicazione e la dimensione dell’esercizio; e) la redditività dell’esercizio prodotta negli
ultimi ventiquattro mesi, valutata anche mediante verifica del numero di scontrini
fiscali ovvero di biglietti di accesso emessi quotidianamente, nonché dalle dichiarazioni dei redditi ed Iva; f) l’eventuale presenza di distributori automatici nella rivendita ordinaria più vicina; g) l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o
risultanti da sentenze non impugnabili. 4. In ogni caso il patentino non può essere concesso quando presso la rivendita più vicina risulti installato un distributore
automatico di tabacchi lavorati e la stessa rivendita sia a distanza inferiore a quelle di cui all’articolo 2, comma 2”.
Nell’interpretare le norme di legge e le circolari, sopra specificate, la giurisprudenza amministrativa ha statuito, per quanto qui rileva, che il c.d. “patentino”
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Rassegna di Giurisprudenza
per la vendita di tabacchi può essere rilasciato anche laddove non siano rispettati i limiti di distanza richiesti per l’istituzione di una tabaccheria, a condizione
però che il bar del beneficiario del patentino osservi un orario più ampio rispetto a quello delle rivendite circostanti ed un turno di riposo settimanale in giornata diversa dalla domenica, usuale giorno di riposo delle tabaccherie; ciò sulla base della circolare n. 375/UDG dell’1 agosto 2005, tuttora vigente, in base
alla quale non devono essere assentite mere duplicazioni di servizi già esistenti
(nella specie, sulla base di tale principio, è stato ritenuto legittimo il diniego di
rilascio del patentino basato sulla accertata esistenza di due rivendite delle quali una effettuava “orari lunghi e prolungati” e l’altra era provvista di distributore
automatico che assicurava il servizio nelle ore di chiusura.
La circolare prot. 375/UDG del 2005, avente ad oggetto la “Nuova regolamentazione delle procedure di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini”, ha introdotto
un criterio di distanza minima, evidentemente incompatibile con l’applicazione
di quelli (più articolati, ma comunque basati sulla distanza) previsti dalle precedenti circolari, che funziona come limite oggettivo all’esercizio di una valutazione discrezionale, che deve riguardare la “rilevanza, collocazione e frequentazione” del locale. Si fa, quindi, riferimento alla potenzialità di dar luogo ad una
integrazione della rete di vendita, e non ad una duplicazione dei punti di vendita, secondo una prospettiva coerente con i principi costituzionali.
In base alle regole (di cui alle circolari n. 4/63406 e n. 4/64713 del 2001) non è
possibile concedere il patentino in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina posto al di sotto della distanza minima di 200
mt. (il che non ricorre nel caso di specie). Nella specie, è emerso che il locale per
il quale è stato richiesto il patentino era ubicato in una zona servita dalla rivendita ordinaria ubicata a circa 150 metri, la quale provvista di distributore automatico era al di sotto del limite minimo previsto (dalla circolare prot. n. 04/63406 del
2001 ed integrata dalla circolare n. 04/64713 del 2001), che per l’istituzione di
un patentino nel comune sopra citato prevede una distanza minima di metri 300.
Considerato inoltre che a circa metri 200 era ubicata una rivendita ordinaria
e a circa metri 30 funzionava già un’altro patentino, non poteva essere consente l’istituzione di altri punti vendita (T.A.R. Campania – Salerno, sez. I, sent. 12
febbraio 2014, n. 386).
Già in precedenza, il Tribunale amministrativo del Lazio si era pronunciato
con riferimento ad un caso avente ad oggetto la medesima materia.
In fatto, la società ricorrente, titolare di un esercizio bar, pasticceria e gelateria, aveva presentato istanza volta ad ottenere il rilascio di un patentino per la
vendita di generi di monopolio presso il proprio esercizio, ma tale domanda era
stata esitata in un provvedimento di rigetto non essendo stata riscontrata l’esistenza degli indici rivelatori del carattere di complementarietà del patentino stante
la presenza di una rivendita a 350 mt., di un patentino a 260 metri e di una ulteriore rivendita dotata di distributore automatico di nuova istituzione. Avverso
tale provvedimento di diniego la società aveva proposto appello.
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Rassegna di Giurisprudenza
I Giudici hanno rilevato che l’atto di diniego, nel ricordare il carattere di sussidiarietà del patentino rispetto alla normale rete di vendita, ha negativamente
riscontrato la presenza degli indici rivelatori del carattere di complementarietà dello stesso nella considerazione che la zona risultava essere servita da una
rivendita posta a circa 350 metri, da un patentino ubicato a circa 260 metri in
analoga attività e con orari prolungati e da una ulteriore rivendita di più recente assegnazione, dotata di distributore automatico con orari più lunghi di quelli
osservati dall’esercizio della società ricorrente.
Su tali basi è stato quindi negato il rilascio del patentino, tenuto conto che lo
stesso deve poter operare in luoghi e tempi in cui il servizio non sarebbe altrimenti garantito.
Tale essendo il supporto motivazionale posto a sostegno del provvedimento di
diniego gravato e tali essendo gli elementi sulla cui base è stato negativamente
riscontrato il carattere di complementarietà dello stesso rispetto alla rete di vendita di generi di monopolio esistente nella zona, il Collegio ha ritenuto che tale
provvedimento non fosse immune dalle proposte censure e dovesse essere annullato alla luce delle seguenti considerazioni.
Procedendo alla preliminare ricognizione del quando normativo di riferimento, il Tribunale amministrativo ha rilevato che l’art. 23 della l. n. 1293 del 1957
(recante la Disciplina in materia di organizzazione dei servizi di distribuzione e
vendita dei generi di monopolio) dispone, all’art. 23, che l’amministrazione può
consentire, attraverso il rilascio di un patentino, la vendita dei generi di monopolio nei pubblici esercizi, nei luoghi di ritrovo e di cura e negli spacci cooperativi, il cui rifornimento è effettuato dalla rivendita ordinaria più vicina al locale cui è concesso il patentino.
L’art. 53 del d.P.R. n. 1074 del 1958 dispone che i patentini sono rilasciati
dall’Ispettorato Compartimentale secondo le norme di massima della Direzione generale.
Tali criteri di massima sono stati dettati mediante adozione di apposite circolari, succedutesi nel tempo, al fine di indirizzare l’attività amministrativa degli
uffici periferici rendendola omogenea ed univoca.
In particolare, la circolare n. 04-63406 del 2001 (che ha introdotto una rivisitazione dell’intera materia al fine di renderla più adeguata alle modificate dinamiche del mercato e di razionalizzare le procedure) stabilisce che “il patentino, in considerazione del carattere di complementarietà del servizio svolto, non
deve essere una duplicazione delle rivendite, bensì un’espansione della preesistente struttura di vendita giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei
luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie”
dovendo assumere a tal proposito “preminente rilievo l’orario prolungato dell’esercizio del richiedente rispetto alle rivendite circostanti, il giorno di riposo settimanale diverso rispetto a quello delle tabaccherie viciniori e l’eventuale presenza di distributori automatici nella tabaccheria più vicina”, precluso essendo, in
tale ultimo caso, il rilascio del patentino. La circolare in esame stabilisce inoltre
che l’estensione del servizio della preesistente struttura di vendita da realizzarsi
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Rassegna di Giurisprudenza
attraverso il rilascio del patentino deve essere correlata ad obiettive esigenze di
servizio che giustifichino l’ampliamento del servizio di vendita al pubblico. Tale
circolare è stata successivamente integrata stabilendosi che l’inconcedibilità del
patentino in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina deve intendersi operante solo nel caso in cui il distributore sia
posto al di sotto della distanza minima stabilita in relazione alla popolazione.
La ricognizione della disciplina di riferimento va completata con il richiamo
alla circolare n. 375 del 2005, la quale esclude la possibilità di rilascio di patentini
in locali ubicati ad una distanza inferiore a 100 metri dalla rivendita più vicina.
Poste le illustrate coordinate normative, il Collegio ha ritenuto che il censurato
provvedimento di diniego di rilascio del patentino fosse censurabile in quanto basato su presupposti inidonei a sorreggere l’affermata assenza degli indici di complementarietà del relativo servizio rispetto alla rete di vendita esistente nell’area.
Ed invero, per come riferito nel provvedimento gravato, esistevano nella zona,
due rivendite, di cui una posta a distanza di 350 metri e l’altra a distanza di 500
metri rispetto al locale con riferimento al quale è stato richiesto il rilascio del patentino, ed esisteva altresì un patentino ubicato a circa 250 metri.
Tale essendo la situazione inerente la rete di vendita di generi di monopolio
esistente nella zona su cui insisteva l’esercizio commerciale gestito da parte ricorrente, non sono stati ravvisati dal Giudice motivi ostativi al rilascio del patentino richiesto tenuto conto della normativa di riferimento e delle finalità cui
tale strumento di vendita deve rispondere.
Se, difatti, attraverso il rilascio del patentino deve essere assicurata l’espansione, e non la duplicazione, della struttura di vendita esistente – per come si afferma nella richiamata circolare n. 04-63406 del 2001 – giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa
essere svolto dalle tabaccherie, e se, con riferimento alle distanze, la circolare
n. 375 del 2005 stabilisce una distanza minima di 100 metri dalla rivendita più
vicina, il Collegio ha osservato come le distanze tra punti vendita esistenti nella zona, siano essi rivendite ordinarie o patentini, sono ricomprese tra i 350 e i
200 metri, e quindi di per sé non preclusive al rilascio del patentino.
Pur non essendo il criterio della distanza decisivo in relazione al rilascio del
patentino – per come giustamente si è dato atto nel provvedimento gravato –
il carattere di complementarietà del servizio svolto tramite patentino rispetto a
quello svolto dalle rivendite ordinarie e da preesistenti patentini non può tuttavia prescindere dalla considerazione della concreta diffusione e distribuzione
territoriale della rete di vendita e della relativa fruibilità da parte dell’utenza, che
non può essere, all’evidenza, sganciata dalla considerazione della concentrazione dei punti vendita, anche in ragione della distanza tra gli stessi.
Se, inoltre, la disciplina di dettaglio, contenuta nelle illustrate circolari, pone
un preciso limite di distanza – 100 metri dalla rivendita più vicina – al di sotto del
quale non è consentito il rilascio di patentini, è evidente come, nella valutazione
discrezionale rimessa all’amministrazione in materia di rilascio di patentini, il criterio della distanza assuma decisiva valenza ai fini della verifica del carattere di
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complementarietà del servizio svolto tramite patentino rispetto alla rete di vendita esistente, costituendo un imprescindibile indice di valutazione della natura integrativa del servizio assicurato dal patentino rispetto alla rete di vendita.
Se, difatti, il rispetto delle distanze minime previste evita, secondo un giudizio
ex ante ed in astratto, la duplicazione della rete di vendita, nelle ipotesi in cui la
distanza tra patentino ed altro punto di distribuzione sia superiore a quella minima l’accertamento della rispondenza del richiesto patentino alla realizzazione di un servizio avente carattere complementare e sussidiario non può basarsi
(per come avvenuto nella fattispecie in esame) su di una apodittica constatazione
della esistenza di altri punti vendita dotati di distributore automatico che assicurano il servizio per analoghi periodi e fasce orarie, non risultando comprensibili
le ragioni del gravato diniego di rilascio del patentino e dell’assenza del carattere di complementarietà dello stesso laddove le distanze tra i punti vendita siano
molto superiori rispetto a quelle stabilite dalle citate circolari.
Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso stato dunque accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di diniego (T.A.R. Lazio – Roma, sez.
II, sent. 20 gennaio 2014, n. 673).
3.2. Distributori automatici: procedura negoziata per l’affidamento
del servizio da parte di una p.a.
Nei fatti una società ha presentato ricorso avverso la procedura negoziata seguita dal comune per l’affidamento del servizio di ristoro con distributori automatici presso i locali comunali. Procedura conclusasi con l’affidamento ad altra
società che è stata chiamata in giudizio in qualità di controinteressata all’azione.
La ricorrente ha esposto di svolgere dalla fine del 2008 il servizio di ristoro a
mezzo distributori automatici, nei locali sedi di uffici dell’amministrazione comunale, e che in data 11.12.2012 riceveva una nota del comune con la quale
veniva chiesta la rimozione dei distributori installati. Era, quindi, venuta a conoscenza dell’esistenza e degli esiti della procedura negoziata per l’affidamento
del servizio, della quale in precedenza non aveva avuto alcuna notizia ufficiale.
Con ricorso contestava la violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 163 del 2006,
deducendo che non sussistessero ragioni, ovvero adeguata motivazione, per il ricorso alla procedura negoziata anziché agli ordinari procedimenti per affidamento di appalti definiti da contratti con pubbliche amministrazioni, né per omettere l’invito alla ricorrente a partecipare alla procedura.
In subordine ha dedotto la violazione dell’art. 125, comma 14, del d.lgs. n.
163 del 2006, giacché il regolamento del comune per l’acquisizione in economia di beni, servizi e lavori, approvato con delibera del consiglio comunale,
non annoverava il servizio in argomento fra quelli acquisibili secondo procedure in economia.
I motivi d’impugnazione sono stati ripresi e rimarcati con atto di motivi aggiunti a contestazione degli atti specifici della procedura negoziata, conosciuti
dalla ricorrente in un momento successivo alla proposizione del ricorso.
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Rassegna di Giurisprudenza
Si sono costituite in giudizio l’amministrazione comunale e l’impresa controinteressata. Quest’ultima ha eccepito in pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso per genericità delle censure e per difetto d’interesse di parte ricorrente, la
quale non ha mai avuto rapporti contrattuali con il comune. Nel merito ha eccepito l’infondatezza dell’azione, poiché la fattispecie non sarebbe stata compatibile con i riferimenti normativi del codice degli appalti pubblici, ma il Giudice amministrativo ha ritenuto infondate le eccezioni di inammissibilità sollevate
dalla controinteressata. Le censure sono state valutate sufficientemente precise
nel dedurre la violazione della normativa disciplinante l’affidamento di appalti
di pubblici servizi e forniture e nell’affermare la riferibilità ad essa della fattispecie sottoposta all’esame del Giudice, per la quale, invece, l’amministrazione ha
ritenuto svolgere procedura negoziata.
Quanto all’interesse all’azione, questo è stato riconosciuto sussistente, benché indiretto e strumentale, ossia volto all’annullamento dell’intera procedura di
affidamento in vista di un eventuale rinnovo con diversa disciplina legale e con
l’affermazione dell’onere per l’amministrazione di chiamare in giudizio l’impresa
ricorrente, qualificata nello specifico settore. Ciò a prescindere da rapporti pregressi tra l’impresa stessa e l’amministrazione comunale, i quali sono dimostrati
insussistenti, giacché la ricorrente aveva fino al allora operato come affittuaria di
un ramo d’azienda di un’altra società, essa solo titolare di contratto quadriennale
con il Comune per la somministrazione di bevande e generi alimentari mediante distributori automatici, sottoscritto in data 11.9.2007 e scaduto nel settembre
2011. Dunque la ricorrente occupava i locali degli uffici comunali e operava in
via di mero fatto, non avendo mai comunicato all’amministrazione il contratto
di affitto di ramo di azienda, né avendo dal comune ricevuto assenso a sostituire la ditta appaltatrice nella gestione del servizio; tant’è che la ricorrente non risultava neppure nell’elenco dei fornitori ufficiali del comune al quale l’amministrazione, come meglio esplicitato di seguito, ha attinto per la negoziazione.
Nel merito, i Giudici hanno rilevato come il comune per il nuovo affidamento
del servizio di distribuzione di cibi e bevande a beneficio dei propri dipendenti
e degli utenti frequentatori degli uffici amministrativi ha privilegiato un modus
operandi di tipo privatistico, chiamando alla contrattazione anzitutto i due fornitori ufficiali del settore iscritti nell’elenco posseduto dall’amministrazione, poi
ha chiamato altre tre imprese scelte secondo un’indagine di mercato. Infine ha
ritenuto maggiormente congrua e conveniente l’offerta della società alla quale
ha affidato il servizio a mezzo stipula di apposito contratto.
Emerge con evidenza che assume un rilievo determinante ai fini del decidere la corretta qualificazione giuridica dell’affidamento per cui è causa, che parte ricorrente ritiene ascrivibile al genus dell’appalto di servizi ai sensi del comma 10 dell’art. 3 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Il Collegio ha condiviso il diffuso orientamento giurisprudenziale secondo
cui l’affidamento in questione è qualificabile come concessione di servizi, la
quale viene definita come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di
un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della
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Rassegna di Giurisprudenza
fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30” (art. 3, comma
12, d.lgs. n. 163 del 2006).
Ai fini della qualificazione in parola sono risultate dirimenti da un lato la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio all’origine dei fatti di causa resta interamente in capo al soggetto affidatario e dall’altro lato la circostanza
che il servizio veniva erogato non in favore del comune, ma di una collettività di utenti (personale degli uffici comunali, frequentatori, fruitori dei servizi).
Nel caso di specie i Giudici hanno ritenuto dovesse quindi trovare puntuale
applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale – conforme peraltro
al paradigma comunitario di riferimento – secondo cui si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un
qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
Si è precisato, al riguardo, che quando l’operatore privato si assume i rischi
della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la
riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto
distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Pertanto, si avrà concessione
quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del
servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà appalto quando
l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.
Conseguentemente nella fattispecie concreta sono apparse condivisibili le deduzioni delle controparti, laddove affermavano che l’affidamento all’origine dei
fatti di causa fosse configurabile come concessione di servizi, sì da rendere applicabili le previsioni di cui all’art. 30 del codice dei contratti pubblici e, correlativamente, da rendere inapplicabili le previsioni di cui agli artt. 56 e 57 del
medesimo codice, alle quali non può essere riconosciuta valenza di principio in
relazione all’applicazione dei canoni di trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
Al contrario, dagli atti di causa è emerso che l’amministrazione ha correttamente applicato la previsione di cui al comma 3 dell’art. 30 del d.lgs. n. 163 del
2006, la quale impone l’esperimento di una gara informale cui devono essere
invitati almeno cinque concorrenti (se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione), con predeterminazione dei criteri selettivi.
Ed infatti il comune ha esperito una procedura comparativa in cui ha invitato
cinque operatori del settore e ne ha regolato lo svolgimento esplicitandolo nella
lettera di invito, la quale riporta sia un dettagliato disciplinare di gara con previsione dei criteri selettivi, sia un capitolato di oneri.
Né è stato condiviso l’argomento sollevato dalla società ricorrente, la quale lamentava l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione che non l’avrebbe
convocata alla procedura per cui è causa.
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La ricorrente però non aveva alcun rapporto contrattuale con il comune e gestiva il servizio di distribuzione automatica sine titulo, giacché il contratto d’affitto stipulato con la precedente concessionaria, non poteva legittimarla a operare in suo luogo senza l’espressa accettazione della concedente amministrazione,
non determinando ex se l’automatico subentro nella posizione dell’impresa affittante e nel contratto affidato; e comunque il contratto di affidamento del servizio di distribuzione automatica di bevande e generi alimentari tra il comune
la società locatrice del ramo di azienda era da tempo scaduto (nella determinazione dirigenziale con la quale è stata autorizzata la procedura di contrattazione negoziale, l’amministrazione dava atto dell’esistenza nei locali sede degli
uffici di apparecchiature installate senza contratto e rileva la necessità di regolarizzazione). Non è quindi apparsa irragionevole la scelta operativa dell’autorità comunale che ha selezionato le cinque imprese da chiamare alla contrattazione attingendo dall’elenco dei fornitori ufficiali e da un’indagine di mercato
tra le imprese del settore più qualificate. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso
è stato respinto (T.A.R. Lazio – Roma, sez. II bis, sent. 14 gennaio 2014, n. 453).
3.3. Attività di commercio effettuato a mezzo di distributori
automatici: aliquota Iva applicabile
Con il presente ricorso una società ha impugnato l’avviso di accertamento relativo all’anno 2007 chiedendone la declatoria di nullità ed in subordine la conferma dell’applicazione dell’Iva al 4%. Nei fatti l’ufficio nell’atto in contestazione accertava maggiori ricavi pari ad euro 110.676,00 ed un reddito complessivo
di euro 124.875,00 a fronte di un dichiarato di euro 14.199,00
In precedenza l’ufficio aveva acquisito documentazione a mezzo invio di questionario e, dall’esame della documentazione, riscontrava che la società svolgeva
attività di commercio effettuato a mezzo di distributori automatici, che constava
di 2 soci e che dai dati rilevati dalla dichiarazione dei redditi e dal bilancio emergeva la seguente situazione: ricavi dichiarati euro 909.518,00 costi della produzione euro 872.098,00 di cui euro 195.031,00 per personale, costi per materie
prime euro 403.108,00 costi per servizi 148.313,00 utile d’esercizio 4.305,00 e
reddito di impresa 14.199,00.
Dallo studio di settore per l’anno in oggetto risultava una non congruità e lo
scostamento era pari a euro 89.045,00 e la società non si era adeguata.
Secondo quanto dichiarato dalla stessa la società operava con un utile del
6,5% con soggetti Iva e con 93,5% con privati quindi senza partita Iva. La caratteristica fondamentale dell’attività svolta era quella dell’assenza di contatto diretto tra cliente e venditore
L’aliquota applicata era del 4%, prevista per le somministrazioni di alimenti e
bevande tramite distributori automatici.
Secondo l’ufficio, la società ricorrente non aveva diritto all’applicazione di tale
aliquota in quanto se da un lato corrispondeva la tipologia di somministrazione
dall’altro manca uno dei requisiti cioè il luogo di somministrazione.
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Veniva richiesta ulteriore documentazione quale contratti di comodato, ma
la società asseriva di non averne mai stipulati e l’elenco delle strutture presso le
quali erano collocati i distributori sarebbero stati in ogni caso individuabili dalle fatture di vendita. L’Ufficio ravvisando l’assenza del luogo destinato alla collettività, pur permanendo il sevizio di ristorazione, riteneva corretta l’applicazione dell’aliquota la 10%.
Sotto un secondo profilo l’Ufficio riscontrava dai dati presenti in bilancio gli
elevati costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività pari a euro 872.098,00 non
immediatamente giustificabili e contrastanti con i ricavi di euro 909.518,00 tale
elemento costituiva sintomo di gestione antieconomica tale da legittimare un ricostruzione induttiva.
Al fine della ricostruzione venivano considerati i prodotti maggiormente commercializzati per bevande calde per le fredde e altri prodotti non vendo dati a disposizione veniva applicata la media dei ricarichi previsti per i dolciumi.
Venivano estrapolati per gli acquisti i prezzi più alto per le vendite il più basso, comunque prezzi riportati dalle fatture.
La parte presentava istanza di accertamento con adesione, ma dopo la richiesta di rinvio e la mancata presentazione presentava una sintetica memoria, però
oltre il termine utile per la conclusione della fase di adesione tale procedura non
arrivava a buon fine.
In sede di ricorso veniva contestata l’applicazione dell’Iva al 10% ribadendo
che ogni macchina aveva un valore unitario elevato e quindi incompatibile con
l’istallazione in case private e presentava dichiarazioni di installazione da parte degli utilizzatori.
Contestava la ricostruzione indiretta, ma si limitava ad evidenziare che i beni
oggetto dell’attività erano soggetti a deperimento e a scadenza in misura quantificabile nel 5%.
L’ufficio ribadiva nel merito la correttezza del proprio operato per quanto concerneva l’applicazione dell’aliquota del 4% ribadendo che in assenza di uno
dei 2 presupposti viene meno la possibilità di assoggettare le operazioni all’aliquota ridotta.
Per quanto concerne la ricostruzione indiretta, l’ufficio avrebbe fornito corretta e sufficiente motivazione rilevate una serie di anomalie le stesse avrebbero legittimato la rettifica tra cui una gestione antieconomica e sproporzione tra
costi e ricavi esito di non congruità allo studio di settore con consistente scostamento 10%.
La Commissione tributaria ha parzialmente accolto le doglianze della società
ricorrente e precisamente: per quanto concerne la rettifica dell’Iva dal 4 al 10%
ha ritenuto che la stessa fosse dovuta da parte dell’ufficio ad una semplice presunzione dei corrispettivi quali operazioni con soggetti privati e che questa porti
alla seconda presunzione cioè che tali distributori fossero posti in luoghi diversi
da quelli previsti dal punto 38 della tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972.
A sostegno della tesi della Commissione che tale somministrazione fosse da
considerarsi effettuata in luoghi quali ospedali, stabilimenti case di cura uffici
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ecc. e altri edifici destinati alla collettività può essere il fatto che la società ricorrente possedeva quasi esclusivamente macchine distributrici di valore unitario
elevato come si evince dal registro beni ammortizzabili che non si presterebbero all’installazione in case private.
Anche dall’acquisto dei beni destinati alla vendita quali quantità di caffè in
grani, snack, bibite, acqua e merendine fanno presumere la somministrazione
degli stessi in luoghi diversi dai privati.
È pur vero che non sono stai presentai comodati o altri contratti particolari,
ma sono state presentate dichiarazioni di installazione da parte degli utilizzatori
di tali servizi dalle quali si può evincere l’esclusività di enti società e ditte. È stato inoltre riconosciuto una perdita di beni nella misura del 5% per sfrido (ovvero perdita di peso) o scadenza delle merci che vanno gettate in quanto non più
idonee ad essere consumate.
Per quanto concerne la ricostruzione indiretta la Commissione ha ritenuto
che l’ufficio abbia fornito corretta e sufficiente motivazione. La serie di anomalie rilevate hanno legittimato la rettifica: in primo luogo la gestione antieconomica dell’azienda e la sproporzione tra costi e ricavi come anche documentato
nell’avviso di accertamento. Non ultimo, l’esito di non congruità dello studio di
settore con uno scostamento del 10%. L’andamento antieconomico ha costituito elemento sintomatico di evasione fiscale comunque idoneo a legittimare il ricorso all’accertamento induttivo e analitico-induttivo.
In parziale accoglimento la Commissione ha riconosciuto l’aliquota Iva al 4%
nonché lo sfrido quantificato nel 5% (Commiss. Trib. Prov. Lombardia – Pavia,
sez. I, sent. 29 gennaio 2014, n. 59).
3.4. Vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici:
concessione di servizi
All’esito di un giudizio, il Consiglio di Stato ha espresso il principio per cui
l’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici rientra nell’ambito della concessione di servizi, atteso che la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire
funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio (Riforma della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, sez. I, n. 2061/2012).
Nel giudizio, una società di gestione distributori ha proposto appello per ottenere la riforma della sentenza con cui il Tribunale amministrativo aveva dichiarato irricevibile il ricorso principale e improcedibili i motivi aggiunti dalla stessa società proposti in primo grado per ottenere l’annullamento degli atti della
gara, indetta dal Politecnico di Bari per l’affidamento del servizio di somministrazione del servizio di somministrazione di alimenti e bevande tramite distributori automatici presso le sedi del Politecnico stesso, gara conclusasi con l’aggiudicazione a favore di altra società.
L’appellante ha formulato in sintesi le seguenti censure: anzitutto ha contestato la dichiarazione di irricevibilità del ricorso introduttivo sostenendo che l’atto
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Rassegna di Giurisprudenza
dal quale il Tribunale amministrativo ha fatto decorrere il termine per impugnare (ovvero la nota del Politecnico) non fosse in alcun modo assimilabile alla comunicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 1663 del 2006 in quanto non contenente gli elementi necessari richiesti dallo stesso art. 79 per integrare una “piena
conoscenza” del provvedimento di aggiudicazione. Ed infatti, successivamente l’amministrazione aveva inviato una ulteriore nota nella quale, contrariamente alla prima, venivano menzionati gli elementi richiesti per integrare la fattispecie di cui all’art. 79.
Secondo l’appellante, quindi, l’atto da cui decorrere il termine per ricorrere
doveva ravvisarsi nella seconda nota inviata.
Superata la questione della tardività, l’appellante ha, quindi, riproposto i motivi già formulati in primo grado, diretti in particolare a far valere:
- la violazione dei principi di trasparenza, imparzialità, proporzionalità e par
condicio, perché il criterio scelto dal bando dell’offerta economicamente
più vantaggiosa sarebbe violato dalla palese sproporzione tra il valore numerico attribuito al prezzo più basso e il valore numerico attribuito agli elementi tecnici-qualitativi dell’offerta;
- la violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e par condicio sotto un
ulteriore duplice profilo: a) sia in quanto la stazione appaltante non ha fornito i dati relativi alle consumazioni erogate in precedenza o previste nelle
strutture dell’ente idonei a consentire una corretta valutazione economica
del valore dell’appalto, impedendo, dunque, la formulazione di un’offerta
consapevole; b) sia in quando avrebbe irragionevolmente fissato l’importo
a base di gara in euro 1.500 a distributore, affidandosi, nel farlo, a soggetti esterni, avanzando il dubbio che tali soggetti potrebbero avere avuto interesse a condizionare le determinazioni del Politecnico e potrebbero avere successivamente partecipato alla gara medesima;
- l’illegittima composizione della commissione di gara in quanto priva delle
necessarie professionalità;
- l’inaffidabilità (sotto il profilo della insostenibilità economica) dell’offerta
presentata dall’aggiudicatario.
Con successivo atto di motivi aggiunti proposti direttamente in appello la ricorrente ha poi formulato ulteriori censure (che in parte specificano quelle già dedotte nell’appello principale) lamentando, in particolare, che l’importo posto a base
di gara (euro 1.500 per distributore) sarebbe stato determinato dal Politecnico sulla base di un’offerta ricevuta dalla società risultata successivamente aggiudicataria della gara, la quale, ancor prima dell’indizione della procedura di gara, si era
resa disponibile a pagare un canone annuo per ciascun distributore pari ad euro
2.000. Il Politecnico, in particolare, consapevole di questa disponibilità manifesta sarebbe stato indotto, secondo la tesi dell’appellante, ad individuare un importo da porre a base di gara (euro 1.500) già molto alto rispetto all’importo tipico in
uso presso strutture simili del territorio, inducendo così gli altri operatori ad offrire
un rialzo minimo e consentendo alla società di aggiudicarsi la gara con un rialzo
notevole, che essa, in parte, aveva già rivelato prima della gara.
112
Rassegna di Giurisprudenza
Si è costituita in giudizio la società aggiudicataria per difendersi nel merito,
proponendo anche appello incidentale nel quale:
- deduceva l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respingeva
l’istanza risarcitoria ex art. 89 c.p.c. formulata dall’aggiudicataria nel giudizio di primo grado per il carattere asseritamenrte offensivo e diffamatorio di alcune frasi contenute negli scritti difensivi della ricorrente;
- riproponeva i motivi del ricorso incidentale condizionato dichiarati improcedibili in primo grado (in conseguenza della declaratoria di irricevibilità
del ricorso introduttivo), facendo valere che la ricorrente avrebbe dovuto
essere esclusa dalla gara per la mancata presentazione della dichiarazione ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 da parte di un procuratore speciale dell’impresa.
Nel giudizio si costituiva anche il Politecnico di Bari chiedendo il rigetto del
ricorso.
Esaminando nel merito l’appello principale ed i motivi aggiunti, il Supremo
Consiglio li ha ritenuti fondati nei sensi di seguito specificati. Innanzitutto, la
sentenza del Tribunale amministrativo andava riformata nella parte in cui aveva dichiarato irricevibile per tardività il ricorso introduttivo. Nel caso di specie,
infatti, anche a prescindere dalla questione se l’atto da cui far decorrere il termine per impugnare fosse la prima nota o la seconda (come sopra specificato),
risulta decisiva la circostanza che, venendo in considerazione una gara per l’affidamento di un contratto non riconducibile alla categoria dei contratti di appalto pubblico (di lavori, servizi e forniture), non andava applicato il rito speciale
in materia di appalti di cui all’art. 120 c.p.a. e, dunque, non doveva essere applicato il termine “breve” di trenta giorni per la proposizione del ricorso introduttivo, bensì quello ordinario di sessanta giorni. Come già affermato dalla giurisprudenza, l’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante
distributori automatici rientra, infatti, nell’ambito della concessione di servizi,
atteso che la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio.
Nel merito, è risultato fondato il motivo (già presente, sia pure in forma dubitativa, nell’appello principale e poi compiutamente sviluppato nei motivi aggiunti) diretto a censurare le modalità attraverso le quali la stazione appaltante ha
determinato il prezzo per ciascun distributore individuato a base d’asta. Dai documenti acquisiti in esecuzione dell’ordinanza interlocutoria pronunciata dalla
Sezione è emerso, infatti, che tale importo era stato determinato non sulla base
di proposte rinvenienti da “note società operanti nel settore” (come aveva inizialmente dichiarato, con formula generica, l’amministrazione appaltante), ma
sulla base di una specifica proposta, presentata da una sola società risultata poi
aggiudicataria, la quale si era dichiarata disponibile a pagare fino a euro 2.000
annui per ciascun distributore.
Contrariamente a quando dedotto dal Politecnico, non sono stati ritenuti significativi, ai fini della determinazione del prezzo, i disciplinari delle Università degli Studi di Bari, di Foggia e di Verona, atteso che:
113
Rassegna di Giurisprudenza
- il disciplinare dell’Università degli Studi di Bari (euro 1.800 a distributore)
attiene all’erogazione di bibite e snack senza limiti di prezzo per l’operatore aggiudicatario della gara (mentre nella gara in questione ci sono limiti di prezzo imposti);
- il disciplinare dell’Università degli Studi di Verona (più di euro 2.000 a distributore) con prezzi già stabiliti è inutilizzabile perché fa riferimento ad
un mercato economicamente e geograficamente molto diverso rispetto al
luogo di esecuzione del contratto per cui è causa;
- il disciplinare dell’Università degli Studi di Foggia (mercato comparabile)
prevede un prezzo significativamente più basso di quello poi messo a base
d’asta (euro 1.200 a distributore con prezzi stabiliti).
L’importo stabilito a base d’asta (euro 1.500 a distributore), quindi, oltre ad
essere irragionevolmente più elevato rispetto al prezzo di mercato, in uso nella
zona (quale desumibile dal disciplinare dell’Università di Foggia) risultava determinato utilizzando come parametro di riferimento l’offerta presentata, prima
della gara, dalla società risultata successivamente aggiudicataria.
Il tutto aggravato dal fatto che la stazione appaltante non aveva reso palese
tale circostanza, dichiarando al contrario di aver fissato il prezzo sulla base di
proposte rinvenienti da “note società operanti nel settore” di cui, invece, a parte quella della aggiudicataria, non vi era traccia in atti.
L’accoglimento di tale motivo (che poteva essere legittimamente proposto direttamente in appello mediante motivi aggiunti secondo la previsione di cui all’art.
104, comma 3, c.p.a.) ha determinato l’illegittimità di tutta la gara, minandola
in radice sin dalla pubblicazione del bando, con il conseguente travolgimento
di tutti gli atti della procedura.
Da ciò è derivato l’assorbimento degli altri motivi del ricorso introduttivo (e
dei motivi aggiunti di primo grado), oltre che del ricorso incidentale riproposto
in appello dalla aggiudicataria, in quanto tali ulteriori motivi erano tutti diretti a
contestare le modalità di svolgimento della gara, la quale, invece, per le considerazioni appena svolta, è risulta radicalmente compromessa sin dalla sua stessa origine.
Il motivo di appello incidentale diretto ad ottenere la riforma del capo della
sentenza che in primo grado ha respinto la domanda risarcitoria proposta dall’aggiudicataria ex art. 89 c.p.c. è risultato infondato. Le frasi contestate, in cui si fa
riferimento ad assunti illeciti penali ottenuti dalla società risultata aggiudicataria
della gara per ottenere dalle pubbliche amministrazioni l’installazione di servizi di distribuzione sono, a prescindere da ogni ulteriore valutazione, certamente riconducibili all’oggetto della lite, in cui il thema decidendum principale è
proprio l’esistenza di un prezzo di gara irragionevolmente calibrato su un’offerta ricevuta ex ante dalla stessa aggiudicataria.
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello principale è stato accolto e, di conseguenza, in riforma della sentenza appellata, accolto il ricorso di
primo grado (Cons. Stato, sez. VI, sent. 16 gennaio 2014, n. 152).
114
Come agire
Circoli:
sintesi di controlli (parte 1) (*)
Elena Fiore
Comandante polizia municipale di Forlì
Il caso
Il legale rappresentante di un circolo privato, con annessa attività di
somministrazione, ha omesso di comunicare immediatamente al comune
le variazioni intervenute successivamente alla presentazione della Scia,
come previsto dall’art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 235/2001.
Chiarimenti
La quasi completa liberalizzazione delle attività di somministrazione
di alimenti e bevande, attuata con l’art. 64, commi 1 e 3 (1) del d.lgs. n.
(*) La II parte sarà pubblicata sul prossimo numero.
(1) Art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 59/2010 “L’apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche
di qualsiasi gradazione, di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela
ai sensi del comma 3. L’apertura e il trasferimento di sede, negli altri casi, e il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi di cui al presente comma, in ogni caso, sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico
per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Art. 64, comma 3, del d.lgs. n. 59/2010 “Al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela, adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico di cui al comma 1, ferma restando l’esigenza di garantire sia l’interesse della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato sia quello dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività. Tale programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all’apertura di
nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità
ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in
particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del
territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati crite-
115
Come agire
59/2010, come modificato dal d.lgs. n. 147/2012, non ha – almeno per
il momento – diminuito il numero dei circoli privati sul territorio nazionale e rimane quindi sempre cogente il problema del controllo delle attività che in essi si svolgono.
È quindi utile una panoramica delle diverse discipline che, in qualche
modo, incidono sulla vita e sulle attività dei circoli.
1. Il diritto alla libertà di associazione
L’art. 18 della Costituzione stabilisce che i cittadini hanno il diritto di
associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale e che sono proibite solo le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici
mediante organizzazioni di carattere militare.
Per costituire un circolo occorre:
• uno statuto;
• individuare un fine lecito;
• stabilire l’ambito delle attività (culturali, sportive, ricreative, ecc.);
• definire le cariche sociali;
• prevedere le modalità per diventare soci;
• stabilire le quote sociali annuali, la sede, il patrimonio necessario, ecc.;
ma non occorre alcuna autorizzazione né comunicazione.
Un circolo privato è quindi una libera associazione di persone che si
riunisce per perseguire i fini e gli interessi (culturali, ricreativi, sportivi,
ecc.) comuni che sono stabiliti nello statuto, in locali ove l’accesso è consentito esclusivamente a determinati soggetti (soci).
Occorre però non confondere il termine “circolo privato” con l’attività
di somministrazione che non necessariamente un circolo deve effettuare
nei confronti dei propri associati.
2. Le attività e le autorizzazioni necessarie
I circoli possono gestire, senza alcun titolo autorizzativo, quelle attività
culturali, sportive, ricreative, ecc. necessarie per perseguire i fini stabiliti nello statuto del circolo, quali palestre, sale da ballo, campi da tennis,
cinema, spettacoli, ecc., ad esclusione di quelle attività vietate ai singoli dalla legge penale (gioco d’azzardo, ecc.).
ri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell’esistenza di un bisogno
economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione”.
116
Come agire
Solo alcune attività sono soggette ad autorizzazione/Scia ed in particolare:
• la vendita di prodotti ai soci – art. 16 del d.lgs. n. 114/1998 e art. 66
del d.lgs. n. 59/2010;
• la somministrazione di alimenti e bevande – d.P.R. n. 235/2000;
• l’installazione di apparecchi per il gioco – artt. 86 e 110 t.u.l.p.s.;
•gli spettacoli a carattere non privato (rivolti anche a non soci, con
elevato numero persone, ecc.) – artt. 68 e 80 del t.u.l.p.s.
3. I locali dei circoli
I locali dei circoli ove si svolgono le attività sono soggetti alle norme previste per la tutela della salute e della incolumità delle persone (agibilità, sorvegliabilità, ecc.) ma non richiedono idonea destinazione d’uso.
Il comma 4 dell’art. 32 della legge n. 383/2000 dispone infatti che “La
sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso
omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968 (2), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968,
indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. A supporto di questa disposizione è utile citare due sentenze:
(2) Art. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 “Zone territoriali omogenee.
Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico,
artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate
o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di
cui alla precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il
carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da
considerare come zone C);
F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”.
117
Come agire
• T.A.R. Veneto, sez. III, sentenza n. 1661/2008 – “Vista la meritevolezza delle finalità perseguite da tali associazioni, il legislatore ha così
previsto non solo facilitazioni sul piano fiscale, ma anche su quello amministrativo, con particolare riferimento agli aspetti urbanistici, proprio allo scopo di agevolare l’individuazione delle sedi ove
svolgere tali attività. In questa direzione, le predetti sedi sono allora
localizzabili: a) in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d’uso urbanistico (ossia quelle genericamente individuate dagli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. n.
1444/1968); b) a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla
base del permesso di costruire”;
•T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza n. 1653/2008 – “a differenza
degli esercizi pubblici di somministrazione..., per i circoli privati che
intendono aprire punti di ristoro non è richiesta, alla luce del d.P.R.
4 aprile 2001, n. 235, né la conformità alle norme urbanistiche, né
il rispetto della destinazione d’uso dei locali. La ratio che complessivamente ispira l’intervento di semplificazione, previsto dal citato
d.P.R. n. 235/2001, risiede nella constatazione che la conformità alle norme urbanistiche è suffragata dall’attività principale condotta
all’interno della più ampia sede del circolo privato; il rispetto della destinazione d’uso edilizia non è richiesta per la sede più ristretta ove si esercita la predetta attività di somministrazione, trattandosi di esercizio riservato ai soli soci del circolo”.
Anche il Ministero dello sviluppo economico nella risoluzione n.
264058 del 31 dicembre 2012 ha precisato quanto segue:
“Si ritiene, inoltre, di confermare che non costituisce ostacolo, ai fini
della suesposta interpretazione del citato articolo 32, quanto disciplinato dall’articolo 2, comma 2, del d.P.R. n. 235 del 2001, il quale dispone
che nella denuncia di inizio di attività che deve essere presentata da associazioni o circoli aderenti ad enti o organizzazioni aventi finalità assistenziali che intendano intraprendere attività di somministrazione di alimenti e bevande, il legale rappresentante deve dichiarare tra l’altro che
il locale è conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’interno.
Detta disposizione non può essere finalizzata ad imporre il rispetto
di una particolare destinazione d’uso in quanto il d.P.R. n. 235 disciplina tutti i circoli privati e le associazioni aderenti ad enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali mentre la legge n. 383 dispone solo per quella limitata categoria di associazioni che soddisfa i
118
Come agire
rigorosi parametri statutari in essa previsti; inoltre l’attestazione di conformità alla quale fa riferimento l’articolo 2 del d.P.R. n. 235 concerne
esclusivamente la materia “edilizia, igienico-sanitaria e... di sicurezza”,
in quanto la non necessità della conformità urbanistica dei locali delle
associazioni di promozione sociale è acclarata dall’articolo 32, comma 4, della citata legge n. 383 che ne sancisce la compatibilità con tutte le destinazioni d’uso”.
4. L’attività di somministrazione
Per comprendere la portata del d.P.R. n. 235/2001 occorre fare riferimento all’ancora vigente art. 3, comma 6, lettera e) della legge n. 287/1991
che recita: “la programmazione non si applica per autorizzazioni alla
somministrazione negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal
Ministero dell’interno” (ovviamente questa disposizione è ormai ampiamente superata dal dettato dell’art. 64 del d.lgs. n. 59/2010).
Per dare attuazione alla citata disposizione della legge n. 287/1991 è
stato emanato il d.P.R. n. 235/2001 che reca “Il regolamento di semplificazione del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione nei circoli privati”.
Da notare che nella quasi generalità le leggi regionali, che disciplinano
l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, rimandano al d.P.R.
n. 235/2001 per quanto attiene alla somministrazione attuata nei circoli a favore dei soci, rendendo quindi ancora attuale e pertanto applicabile questo regolamento.
Il d.P.R. n. 235/2001 individua due tipologie di circoli con somministrazione:
• all’art. 2, i circoli aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi
finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, che possono attivare la somministrazione con una Scia;
•all’art. 3, i circoli NON aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno,
che possono attivare la somministrazione con una autorizzazione,
da rilasciarsi per quanto indicato nella norma entro 45 giorni dalla
presentazione della domanda, pena il silenzio assenso.
La disposizione del citato art. 3 deve però essere letta alla luce delle
recenti modifiche normative e pertanto:
• l’autorizzazione è richiesta solo se il circolo, non aderente a enti o
organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal
Ministero dell’interno, è situato in una zona soggetta a tutela ai sensi
119
Come agire
dell’art. 64, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 59/2010, in quanto diversamente la somministrazione può essere avviata con una Scia;
•l’autorizzazione, la cui domanda va inoltrata al SUAP competente
per territorio, deve essere rilasciata, pena il silenzio assenso, entro
60 giorni, in quanto così dispone l’art. 7 (3) del d.P.R. n. 160/2010.
Nella Scia e nella domanda di autorizzazione il legale rappresentante
del circolo deve dichiarare:
a)il tipo di attività di somministrazione (bar, ristorante, paninoteca,
ecc.);
b)l’ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione;
c)che l’associazione si trova nelle condizioni previste dall’articolo 111,
commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del testo unico delle imposte sui redditi;
d)che il locale, ove è esercitata la somministrazione, è conforme alle
norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’interno (cioè che il locale è sorvegliabile ai sensi del d.m. n. 564/1992), e in particolare, di
essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia.
Inoltre, se si tratta di un circolo aderente a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, il
legale rappresentante deve dichiarare anche l’ente nazionale con finalità assistenziali al quale aderisce.
Alla Scia o alla domanda di autorizzazione va allegata una copia semplice, non autenticata, dell’atto costitutivo o dello statuto, in quanto per
i circoli non aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità
assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, di cui all’art. 3 del
d.P.R. n. 235/2001, il comune deve verificare che lo statuto dell’associazione preveda modalità volte a garantire l’effettività del rapporto associativo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, nonché lo svolgimento effettivo dell’attività
istituzionale.
(3) Art. 7, commi 1 e 2, del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 “Procedimento unico”:
1. Fuori dei casi disciplinati dal capo III, le istanze per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 2, comma 1, sono presentate al SUAP che, entro trenta giorni dal ricevimento, salvi i termini più brevi previsti dalla disciplina regionale, può richiedere all’interessato la documentazione integrativa; decorso tale termine l’istanza si intende correttamente presentata.
2. Verificata la completezza della documentazione, il SUAP adotta il provvedimento
conclusivo entro trenta giorni, decorso il termine di cui al comma 1, salvi i termini più
brevi previsti dalla normativa regionale, ovvero indice una conferenza di servizi ai sensi del comma 3.
120
Come agire
5. I requisiti morali per l’attività di somministrazione
Il d.P.R. n. 235/2001 non fa alcun riferimento all’obbligo del legale rappresentante di dichiarare, al fine di attivare la somministrazione di alimenti e bevande, il possesso di requisiti.
Il Ministero dello sviluppo economico con circolare n. 3656/C del 12
settembre 2012 ha precisato che “… con nota 5.7.2012, n. 152888, la
scrivente ha chiarito che resta fermo, indistintamente per tutte le tipologie
di associazioni e circoli, il possesso dei requisiti di onorabilità di cui al citato art. 71 (del d.lgs. n. 59/2010 come modificato dal d.lgs. n. 147/2012).
L’articolo, infatti, dispone l’obbligatorietà del possesso di tali requisiti per
tutti coloro che intendano esercitare l’attività di vendita e di somministrazione, senza fare alcuna distinzione tra le attività rivolte al pubblico
e quelle riservate a determinate categorie di soggetti”.
Non possono quindi esercitare l’attività di somministrazione nei circoli:
a)coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o
per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;
b)coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in
giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena
detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata
applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una
condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, titolo
VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio,
insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;
d)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una
condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i
delitti di cui al libro II, titolo VI, capo II del codice penale;
e)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o
più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio
dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio
degli alimenti previsti da leggi speciali;
f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui
alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata
applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n.
575, ovvero a misure di sicurezza.
Non possono inoltre esercitare l’attività di somministrazione di alimenti
e bevande anche coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione
121
Come agire
da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi.
In caso di società, associazioni od organismi collettivi i requisiti morali devono essere posseduti dal legale rappresentante, da altra persona
preposta all’attività commerciale e da tutti i soggetti individuati dall’art.
2, comma 3, del d.P.R. n. 252/1998, “Regolamento recante norme per la
semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”; oggi sostituito dal d.lgs. n. 159/2011.
6. I requisiti professionali per l’attività di somministrazione
Gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 235/2001 ancora dispongono: “Se l’attività di
somministrazione è affidata in gestione a terzi, questi deve essere iscritto al
registro degli esercenti il commercio di cui all’articolo 2 della legge (REC)”;
questa norma infatti non è stata abrogata ma deve intendersi non più applicabile, non solo per quanto attiene il riferimento al REC ormai abolito,
ma anche in relazione ai requisiti professionali previsti dall’art. 71, comma
6, del d.lgs. n. 59/2010 che recita: “L’esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un’attività di commercio al dettaglio
relativa al settore merceologico alimentare o di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, è consentita solo a chi possiede i requisiti professionali”. Prima della modifica, ad opera del d.lgs. n. 147/2012, il citato
comma 6 prevedeva che i requisiti professionali erano da richiedersi anche quando la somministrazione era “effettuata nei confronti di una cerchia determinata di persone”. Lo stesso Ministero dello sviluppo economico, nella circolare n. 3656/C del 12 settembre 2012 ha sostenuto che non
è più obbligatorio il possesso di uno dei requisiti professionali elencati alle lett. a), b) e c) del comma 6 dell’art. 71 nel caso di attività di vendita di
prodotti alimentari e di somministrazione di alimenti e bevande, effettuate non al pubblico, ma nei confronti di una cerchia determinata di soggetti; e quindi sono esentate da tale obbligo:
• la vendita negli spacci interni;
•la somministrazione nei circoli, nelle scuole, negli ospedali, nelle
comunità religiose, sui mezzi di trasporto, nelle mense, ecc.
7. Il testo unico delle imposte sui redditi
Il d.P.R. n. 235/2001 precisa che il legale rappresentante di un circolo
nella Scia o nella domanda di autorizzazione per attività di somministrazione deve dichiarare di avere caratteristiche di ente NON commerciale
e quindi di trovarsi nelle condizioni previste:
122
Come agire
• (Circoli art. 2) – dall’articolo 111, commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del
t.u.i.r.;
• (Circoli art. 3) – dall’articolo 111 e 111-bis del t.u.i.r.
Si evidenzia che il t.u.i.r. ha subito in questi anni alcune modifiche e
che quindi la norma cui fare riferimento non è più l’art. 111 ma l’art. 148
che dispone:
• al comma 3 – per le associazioni politiche, sindacali e di categoria,
religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei
confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni
che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto
costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o
nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di
proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati;
• al comma 5 – per le associazioni di promozione sociale ricomprese
tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25
agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute
dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali, anche
se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene
svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli
stessi soggetti indicati nel comma 3;
• al comma 8 – le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle
seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:
a)divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione …;
b)obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento … ai fini di pubblica utilità, …;
c)disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla
123
Come agire
vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni
dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;
d)obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto
economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie.
8. Le norme igienico-sanitarie
L’art. 2 del d.P.R. n. 235/2001 dispone che il comune, nel cui territorio
si esercita l’attività, ricevuta la Scia, deve inviare comunicazione per conoscenza alla competente Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) per il parere
necessario all’eventuale rilascio dell’autorizzazione di idoneità sanitaria.
Anche questa parte del d.P.R. n. 235/2001, pur ancora vigente, è superata in quanto per gli aspetti igienico-sanitari occorre far riferimento
ai regolamenti europei in materia di igiene dei prodotti alimentari, ai fini della registrazione delle attività e del riconoscimento degli stabilimenti del settore alimentare, e per quanto attiene alle sanzioni all’art. 6 del
d.lgs. n. 193/2007, recante “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa
ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore” per le violazioni al Regolamento (CE) n. 852/2004, al Regolamento (CE) n. 853/2004 e al Regolamento (CE) n. 2073/2005.
Inoltre, il personale addetto alla produzione, preparazione, manipolazione e vendita di alimenti, non deve più sottoporsi alla visita annuale per il rilascio o il rinnovo del libretto di idoneità sanitaria, ma deve
frequentare periodicamente corsi di formazione sulle norme igieniche e
di comportamento indispensabili a garantire la salubrità degli alimenti.
9. La sorvegliabilità dei locali
L’art. 4 del d.m. n. 564/1992, come modificato dal d.m. n. 534/1994,
dispone che i locali di circoli privati o di enti in cui si somministrano alimenti o bevande devono essere ubicati all’interno della struttura adibita
a sede del circolo o dell’ente collettivo e non devono avere accesso diretto da strade, piazze o altri luoghi pubblici. All’esterno della struttura
non possono essere apposte insegne, targhe o altre indicazioni che pubblicizzino le attività di somministrazione esercitate all’interno.
Una deroga è però prevista dall’art. 5 del d.m. n. 564/1992 per i circoli privati o enti che siano stati autorizzati, alla data di entrata in vigore del regolamento (e quindi entro il 27 febbraio 1993), a somministrare alimenti e bevande, che si possono limitare ad ottemperare al divieto
124
Come agire
di apporre all’esterno dei locali insegne, targhe o altre indicazioni che
pubblicizzino l’attività di somministrazione effettuata all’interno; a questi quindi è consentito anche avere accesso diretto da strade, piazze o altri luoghi pubblici.
I Violazione
Illecito:
• quale legale rappresentante di un circolo privato, con annessa attività di somministrazione, ometteva di comunicare immediatamente
al comune le variazioni intervenute successivamente alla presentazione della Scia ai sensi
dell’art. 2 del d.P.R. n. 235/2001 in quanto...
Norma violata:
• art. 2, comma 6, del d.P.R. 4 aprile 2001, n.
235
Sanzione pecuniaria:
• da € 2.500 a € 15.000 – art. 10 della legge
25 agosto 1991, n. 287, in relazione all’art. 4,
comma 2, del d.P.R. 4 aprile 2001, n. 235
Pagamento in misura ridotta: • € 5.000
Devoluzione dei proventi:
• regione (o ente delegato)
Sanzione accessoria:
•nessuna
Autorità competente
• regione (o ente delegato)
(art. 17 della legge
n. 689/1981):
Misure interdittive
• cessazione immediata dell’attività di sommi(art.17-ter t.u.l.p.s.):
nistrazione di – art. 10, comma 3, della legge 25 agosto 1991, n. 287 e art. 17-ter del r.d.
18 giugno 1931, n. 773, t.u.l.p.s.
Autorità competente
•sindaco
(art.17-ter t.u.l.p.s.):
Procedura:
•amministrativa
Atti da redigere:
• verbale di ispezione di attività di somministrazione in circolo privato
• verbale di accertata violazione amministrativa rapporto autorità amministrativa competente (art. 17-ter t.u.l.p.s.)
• ordinanza di cessazione dell’attività di somministrazione
125
Normativa nazionale
• Decreto legislativo 4 novembre 2014, n. 169
Disciplina sanzionatoria delle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) n.
181/2011, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus
(GU 21-11-2014, n. 271)
• Decreto-legge 18 novembre 2014, n. 168
Proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico,
nonché ad altre armi ad aria compressa o gas compresso destinate all’attività amatoriale e agonistica
(G.U. 18 novembre 2014, n. 268)
• Legge 11 novembre 2014, n. 164
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133, recante misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza
del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive
(G.U. 11 novembre 2014, n. 262)
• Legge 30 ottobre 2014, n. 161
Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea - Legge europea 2013-bis
(S.O. 10 novembre 2014, n. 261)
• Decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153
Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011,
n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1
e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136
(G.U. 27 ottobre 2014, n. 250)
• Decreto Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 3 ottobre 2014
Individuazione dei requisiti minimi ai fini dell’equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato alle strutture ricettive all’aria aperta
(G.U. 13 ottobre 2014, n. 238)
• Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133
Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive
(G.U. 12 settembre 2014, n. 212)
• Ordinanza ministeriale Ministero della salute 2 settembre 2014
Divieto di vendita ai minori di sigarette elettroniche con presenza di nicotina
127
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Circolari e Pareri
‰‰
CIRCOLARE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
15 ottobre 2014 n. 3675/C
Termini di ricevibilità dei ricorsi
gerarchici impropri, in materia di
attività di mediazione, agenzia,
mediazione marittima, spedizione
e di periti ed esperti.
Pervengono con frequenza alla scrivente quesiti da parte delle CCIAA e, da ultimo da parte della Camera di commercio
di Mantova, via e-mail in data 13 ottobre
u.s., concernenti i termini per la presentazione a questa Amministrazione dei ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti inibitori dell’attività, emessi dalle Camere di
commercio, inerenti le attività regolamentate di seguito indicate (per il cui accesso, cioè, è necessario disporre di requisiti previsti da leggi o altri atti normativi):
Agente e Rappresentante di commercio
– legge 3 maggio 1985, n. 204
Agente di affari in mediazione – legge
3 febbraio 1989, n. 39 e d.m. 21 dicembre 1990, n. 452
Perito ed Esperto – Decreto ministeriale 29 dicembre 1979
Spedizioniere – legge 14 novembre
1941, n. 1442
Mediatore marittimo – legge 12 marzo 1968, n. 478
In proposito, si fa presente che avverso detti provvedimenti gli interessati (direttamente o per il tramite di un loro legale) hanno facoltà di presentare un ricorso
gerarchico improprio al competente ufficio di questo Ministero – Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il
consumatore, la vigilanza e la normativa
tecnica – Divisione XXI Registro imprese
– Via Sallustiana n. 53, 00187 Roma, nei
termini seguenti:
Agente e Rappresentante di commercio
(cfr. art. 7 della Legge n. 204/1985)
entro 60 gg. dalla notifica camerale, in
caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste
per l’esercizio della stessa.
entro 30 gg. dalla notifica camerale, in
caso di inibizione alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per
sopravvenuta perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa.
Agente di affari in mediazione (cfr. art.
10 del D.M. n. 452/1990)
entro 30 gg. dalla notifica camerale, in
caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste
per l’esercizio della stessa.
entro 30 gg. dalla notifica camerale, in
caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta
perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa.
Perito ed Esperto (cfr. art. 7 del d.m.
29.12.1979)
entro 30 gg. dalla notifica camerale,
in caso di diniego di iscrizione nel ruolo.
entro 30 gg. dalla notifica camerale,
nei casi di sospensione o di cancellazione dal ruolo.
Spedizioniere (cfr. art. 14 della Legge
n. 1442/1941)
entro 15 gg. dalla notifica camerale, in
caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste
per l’esercizio della stessa.
entro 15 gg. dalla notifica camerale, in
caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta
129
Circolari e Pareri
perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa.
entro 15 gg. dalla notifica camerale, in
caso di imposizione all’interessato di una
sanzione pecuniaria.
Mediatore marittimo (cfr. art. 22 della
Legge n. 478/1968)
entro 30 gg. dalla notifica camerale, in
caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste
per l’esercizio della stessa.
entro 30 gg. dalla notifica camerale, in
caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta
perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa.
L’ufficio ministeriale, una volta esaminato il ricorso in questione e l’ eventuale
documentazione probatoria presentata dal
ricorrente, nonché le controdeduzioni richieste per legge alla Camera di Commercio competente, provvederà, nel previsto
termine di 90 giorni dal completamento
dell’istruttoria, alla valutazione dei medesimi atti e all’emanazione di un parere
che si sostanzierà in un decreto ministeriale di accoglimento o di rigetto del ricorso stesso.
La copia conforme di tale atto sarà
quindi inviata (per raccomandata a/r, o tramite PEC) al ricorrente, nonché alla Camera di commercio (tramite PEC).
Ora, è opportuno anche far presente
che talvolta su detti ricorsi il predetto parere ministeriale può sostanziarsi, in luogo di un decreto di accoglimento o di rigetto, nei seguenti atti:
- in una dichiarazione di inammissibilità (che comporta nella sostanza il non
accoglimento del ricorso), quando il ricorso in questione viene presentato contro un provvedimento camerale non definitivo, cioè quando ancora non è stato
130
emesso il provvedimento di diniego all’avvio, o di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività da parte della Camera di commercio, ma questa
ha solo notificato all’interessato il suo intendimento con una lettera di avvio del
procedimento;
- in una dichiarazione di irricevibilità
(anch’essa comportante nella sostanza il
non accoglimento del ricorso), quando il
ricorso viene presentato/spedito al Ministero fuori termine, cioè oltre il periodo di
tempo sopra indicato;
- in una dichiarazione di cessata la materia del contendere quando l’interessato
chiede spontaneamente l’archiviazione
del suo ricorso già presentato al Ministero, o quando il provvedimento camerale
oggetto del ricorso stesso viene annullato dalla Camera di commercio medesima (per esempio in regime di autotutela).
Da ultimo, ed unicamente in relazione alle attività interessate dalle modifiche
introdotte dagli artt. 73, 74, 75, 76 ed 80
del d.lgs. n. 59/2010 – attuazione della
Direttiva 2006/123/CEE relativa ai servizi del mercato interno – quindi solo per
quanto concerne gli Agenti e Rappresentanti di commercio, gli Agenti di affari in
mediazione, gli Spedizionieri ed i Mediatori marittimi, è opportuno ribadire che
possono essere presentati a questo Ministero unicamente i ricorsi gerarchici più
sopra descritti, cioè quelli avverso i provvedimenti camerali concernenti il diniego all’avvio iniziale o alla prosecuzione
dell’attività che discendono dall’accertamento della mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa, iniziale o sopravvenuta
che sia; mentre non compete al Ministero stesso l’esame della fattispecie relativa
al mancato aggiornamento della propria
posizione da uno degli ex ruoli di riferimento al RI/REA (anche se questa, nella
sostanza, determina comunque un provvedimento camerale di inibizione alla prosecuzione dell’attività).
Circolari e Pareri
In quest’ultimo caso infatti, verrebbe
richiesto al superiore organo giudicante
ministeriale non di valutare se – legittimamente o meno – gli uffici camerali hanno ritenuto mancante un determinato requisito morale e/o professionale in capo
ad un Agente/Mediatore/Spedizioniere/
Mediatore Marittimo, bensì di stabilire se
ci sia stata o meno una discriminazione
nei suoi confronti da parte camerale, per
aver emesso un provvedimento inibitorio
alla prosecuzione dell’attività a causa del
mancato aggiornamento da parte di detto
soggetto della propria posizione al Registro delle Imprese/REA: circostanza, questa, che non ha niente a che vedere con
l’eventuale carenza delle condizioni e dei
requisiti stabiliti dai rispettivi articoli n. 7
della Legge n. 204/1985; n. 10 del d.m. n.
452/1990; n. 14 della legge n. 1442/1941;
n. 22 della legge n. 478/1968.
Pertanto in questa circostanza, di ricorso presentato contro un provvedimento
camerale di inibizione alla prosecuzione
dell’attività causato dall’inadempimento
all’obbligo di aggiornamento della propria
posizione da uno degli ex ruoli di riferimento al Registro delle Imprese o al REA,
questo Ministero non potrà che esprimersi
con una dichiarazione di improponibilità.
‰‰
PARERE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
8 ottobre 2014, prot. n. 17554
Esercizio attività commerciale da
parte di cittadino extracomunitario
Con messaggio di posta elettronica del
1° ottobre scorso, codesto Sportello ha sottoposto a questo Ufficio la questione inerente la necessità, per un cittadino extracomunitario che intenda avviare una attività
commerciale, del possesso di una residenza anagrafica in Italia.
Si rappresenta in merito quanto segue.
Come noto, ai sensi del primo comma
dell’articolo 2196 del codice civile l’imprenditore esercente un’attività commerciale deve, entro trenta giorni dall’avvio
dell’impresa, chiedere l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione stabilisce la sede. Le indicazioni che devono essere ricomprese nella
domanda di iscrizione di un imprenditore individuale sono stabilite dal secondo
comma dell’articolo 18 del decreto del
Presidente della Repubblica 7 dicembre
1995, n. 581, recante «Regolamento di attuazione dell’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all’art.
2188 del codice civile», la cui lettera a)
elenca, tra le altre, la residenza anagrafica dell’imprenditore.
Correttamente, dunque, codesto Ufficio
identifica la residenza anagrafica dell’imprenditore individuale quale requisito ineludibile per l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese.
Ciò risponde pienamente alla ratio costitutiva del registro delle imprese, volto a consentire la pubblica conoscibilità
dei dati afferenti l’impresa e la reperibilità di quest’ultima e del suo titolare ai fini
di notifiche di atti, comunicazioni, richieste, ispezioni. Si richiama, a conferma, il
disposto dell’articolo 2, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 23
luglio 2004, n. 247, recante «Regolamento
di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società
non più operative dal registro delle imprese», laddove si prevede la cancellazione
d’ufficio dell’impresa individuale nel caso
in cui l’ufficio del registro delle imprese
accerti l’irreperibilità dell’imprenditore.
Si ritiene tuttavia utile svolgere un approfondimento in relazione al possesso
della residenza anagrafica da parte del cittadino extracomunitario.
L’avvio di una attività di lavoro autonomo, nella specie consistente nell’attività di
131
Circolari e Pareri
commercio su aree pubbliche, da parte di
un cittadino di un Paese non appartenente
all’Unione europea né allo Spazio economico europeo è soggetto, salvo il diverso
iter volto alla verifica di eventuali condizioni di reciprocità tra l’Italia ed il Paese
di origine dello straniero, al prerequisito della condizione di legittima presenza
dell’interessato in Italia.
Sotto questo profilo viene in esame la
normativa vigente in materia di ingresso
e soggiorno dello straniero nel nostro Paese, recata dal decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 («Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero») e dalle relative disposizioni di
attuazione di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.
L’articolo 5, primo comma, del testo
unico dispone che «possono soggiornare
nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente (…), che siano muniti di
carta di soggiorno o di permesso di soggiorno (…) in corso di validità».
In assenza di informazioni al riguardo, si presupporrà in questa sede che il
richiedente sia in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’articolo 26 del testo unico, valido per l’esercizio di attività di lavoro autonomo e
dunque idoneo ai fini dell’avvio dell’attività commerciale in esame.
È appena il caso di accennare che l’eventuale possesso di un documento di soggiorno rilasciato per altre finalità potrà richiedere la conversione del titolo, ai sensi
degli articoli 6 del testo unico e 14 del regolamento, nonché l’effettuazione delle
dovute annotazioni di cui all’articolo 41
del medesimo regolamento per «i casi in
cui il permesso di soggiorno è utilizzato
(…) per un motivo diverso da quello riportato nel documento».
Nell’ipotesi, qui presunta, che il permesso di soggiorno sia stato rilasciato al cittadino straniero per finalità di lavoro autonomo o assimilati, egli avrà già
132
dimostrato, all’atto della richiesta, di «disporre di idonea sistemazione alloggiativa»
(articolo 26, comma 3), apparentemente
ritenuta sufficiente dalla Questura, da codesto Sportello interpellata in via informale. Si deve tuttavia evidenziare che il testo
unico, nello stabilire all’articolo 6 gli obblighi derivanti dal rilascio del permesso di
soggiorno, dispone, con il comma 7, che
«le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello
straniero regolarmente soggiornante sono
effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal
regolamento di attuazione». In esecuzione della predetta disposizione normativa,
il comma 1 dell’articolo 15 del regolamento stabilisce che «le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate nei casi e
secondo i criteri previsti dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228, e dal regolamento anagrafico della popolazione residente,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223».
Ai sensi delle disposizioni sopra richiamate, sembra dunque doversi ritenere che
lo straniero regolarmente soggiornante in
Italia sia tenuto a richiedere le iscrizioni e le variazioni anagrafiche alle stesse condizioni del cittadino italiano, oltre
ad essere soggetto ad uno specifico obbligo di rinnovare all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel
Comune entro 60 giorni dal rinnovo del
documento di soggiorno (articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, come
sostituito dal regolamento di attuazione
del testo unico sull’immigrazione): il primo comma dell’articolo 2 della legge 24
dicembre 1954, n. 1228 («Ordinamento
delle anagrafi della popolazione residente») pone in capo a ciascun cittadino un
obbligo «di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà
o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del
Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione
Circolari e Pareri
di posizioni anagrafiche», mentre il primo
comma, lettera c), del già richiamato articolo 7 del relativo regolamento di attuazione (dPR 223/89) indica che «l’iscrizione
nell’anagrafe della popolazione residente
viene effettuata: (…) c) per trasferimento
di residenza da altro comune o dall’estero dichiarato dall’interessato oppure accertato» d’ufficio.
In esito alla disamina delle disposizioni vigenti in tema di immigrazione ed
iscrizioni anagrafiche, sin qui brevemente svolta, si ritiene dunque che il cittadino straniero dovrebbe necessariamente già
essere in possesso di una residenza anagrafica, ovvero dovrebbe essere invitato a
provvedere all’esecuzione delle previste
iscrizioni presso l’anagrafe del Comune
di dimora abituale.
Sul punto, tuttavia, questa Amministrazione non può che rimettersi alle valutazioni ed alle definitive determinazioni dei
competenti Uffici del Ministero dell’Interno, in indirizzo.
Per completezza di risposta, infine, attesa l’assenza di informazioni di dettaglio
sul punto, si ritiene opportuno esaminare
brevemente l’ipotesi che l’attività di commercio su aree pubbliche sia volta all’esercizio nell’ambito del settore alimentare. Si ritiene opportuno ricordare che in
tale eventualità il possesso da parte del
cittadino straniero dei requisiti morali e
professionali previsti dalla normativa vigente (in ispecie, legge Regione FriuliVenezia Giulia 5 dicembre 2005, n. 29,
recante «Normativa organica in materia di attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002,
n. 2 “Disciplina organica del turismo”»),
qualora derivi dal conseguimento di titoli rilasciati all’estero, richiede il preventivo esperimento delle procedure amministrative per il riconoscimento dei titoli
professionali esteri, da svolgersi presso
la Divisione VI «Servizi e professioni» di
questa Amministrazione.
‰‰
CIRCOLARE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
19 settembre 2014, n. 3673/C
Articolo 20, comma 7-bis del
d.l. 24.6.2014, n. 91, convertito
con la legge 11.8.2014, n. 116.
Richiesta di iscrizione nel Registro
delle imprese sulla base di atto
pubblico o scrittura autenticata
Con la presente circolare si intende fornire chiarimenti ed indicazioni in merito
all’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti al Registro delle imprese le
cui modalità sono state recentemente innovate a seguito dell’introduzione dell’art.
20, comma 7-bis del d.l. 24.6.2014, n. 91,
convertito con la legge 11.8.2014, n. 116.
La nuova disposizione recita come segue: “Al fine di facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate
all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro
delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative all’attività dell’impresa, quando l’iscrizione è richiesta sulla base di un atto pubblico o di
una scrittura privata autenticata, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il
conservatore del registro procede all’iscrizione immediata dell’atto. L’accertamento delle condizioni richieste dalla legge
per l’iscrizione rientra nella esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che ha
ricevuto o autenticato l’atto. Resta ferma
la cancellazione d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 del codice civile. La disposizione del presente comma non si applica
alle società per azioni”.
Si precisa in primo luogo che la norma
specifica espressamente la data dell’entrata in vigore del nuovo regime fissandola nel “primo giorno del mese successivo
133
Circolari e Pareri
alla data di entrata in vigore della legge di
conversione” cioè nell’1 settembre 2014.
La legge di conversione ha, pertanto, fissato una decorrenza che obbliga ad una
tempestiva soluzione dei non pochi problemi interpretativi che pone.
Proprio al riguardo dell’entrata in vigore della norma sembra opportuno precisare che la stessa si applica alle istanze
trasmesse dall’1 settembre in poi, ciò vuol
dire che restano escluse dal nuovo regime
tutte quelle presentate fino al 31 agosto,
anche se prese in esame dopo l’1 settembre o che a questa data risultano sospese.
La norma esordisce affermando che lo
scopo della nuova disciplina è quello “di
facilitare e di accelerare ulteriormente le
procedure finalizzate all’avvio delle attività
economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende
relative all’attività dell’impresa”. Pertanto
questa è la ratio con la quale occorre leggere la disposizione e dare soluzione alle
questioni sorte con riguardo alla sua applicazione, già rilevate da diverse Camere di commercio.
Prioritariamente occorre riflettere
sull’espressione “immediata iscrizione”.
Secondo il parere della scrivente con tale
locuzione il legislatore ha voluto imporre all’ufficio del registro delle imprese di
procedere comunque all’iscrizione dell’atto senza avviare i controlli concernenti
“le condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione” che a norma di legge, ordinariamente, precedono l’iscrizione e che in
caso di esito negativo comportano la sospensione o il rifiuto dell’iscrizione stessa. Il legislatore ha voluto incidere sulle
attività inerenti i controlli che l’ufficio ordinariamente effettua ai sensi dell’art.11,
comma 6, del d.P.R. 581/95 mirati ad accertare la legalità formale degli atti. Nel
corso dell’istruttoria ex art. 11 citato, di
fatto, il conservatore procede alla verifica di ulteriori elementi quali ad es. illegibilità o mancanza degli allegati o del
134
formato pdf, discordanza tra il contenuto
dell’atto e compilazione della modulistica ecc. Questi, come anche altre verifiche
portano attualmente alla sospensione della procedura di iscrizione. Alla luce della
nuova normativa ed al fine di assicurare
l’immediatezza dell’iscrizione funzionale
alla ratio normativa si ritiene che l’attività
di controllo come esemplificata, vada limitata alla verifica dei requisiti di ricevibilità dell’atto in relazione, ad esempio,
alla competenza territoriale della Camera, ma anche all’autenticità della sottoscrizione della domanda.
Tutti gli elementi dell’atto sono da ricondurre all’attività di chi ha redatto l’atto
pubblico o la scrittura privata stante che la
norma in argomento afferma che l’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione rientra nella esclusiva
responsabilità del pubblico ufficiale che
ha ricevuto o autenticato l’atto.
Si osserva, tuttavia che le problematiche
rilevate meritano approfondite riflessioni e
che le necessarie indicazioni vengano adottate alla luce dell’esame di ampie casistiche
che emergeranno in breve tempo e rappresentate in occasione di confronti con gli uffici Camerali. Considerando improrogabile fornire i primi chiarimenti sulle questioni
emerse nell’immediato, la scrivente ritiene,
quindi, di dover rinviare ad una successiva circolare per una più puntuale disamina
di ogni tipo di verifica o controllo trattenuti
nella competenza dell’ufficio non attinenti
meramente alle “condizioni richieste dalla
legge per l’iscrizione”.
Affinché, il registro delle imprese garantisca una pubblicità sostanziale, essenziale
e corretta il legislatore ha ritenuto di ribadire che resta ferma la cancellazione d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 c.c.. Poiché
l’articolo ora menzionato dispone che “ Se
un’iscrizione è avvenuta senza che esistano
le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l’interessato, ne ordina con decreto la cancellazione” sembra
di poter affermare che l’ufficio del registro,
Circolari e Pareri
sia pur provvedendo all’immediata iscrizione, deve effettuare, ad iscrizione avvenuta, quindi a posteriori, quei controlli che se
effettuati a priori avrebbero comportato la
mancata iscrizione dell’atto.
Tutto ciò premesso in merito all’interpretazione della locuzione “iscrizione
immediata dell’atto”, occorre ancora osservare che, secondo il parere della scrivente, resta inalterato il rispetto del principio dell’ordine cronologico dell’esame
delle pratiche come enunciato e imposto
dall’art. 6 del citato d.P.R. 581/95 e che
l’immediatezza riguarda, pertanto, la qualità dell’esame della pratica e non implica modifiche o accelerazioni rispetto al
turno assegnato ad essa al momento della protocollazione.
Si richiama, inoltre, l’attenzione sul fatto che la norma dispone che “… il conservatore procede all’iscrizione immediata dell’atto” e, quindi, conferma il potere
di iscrizione in capo al conservatore del
registro delle imprese al quale continuano a spettare i poteri di controllo in ordine alla domanda.
Occorre, a questo punto, individuare
quali siano gli atti presi in considerazione
dal legislatore al fine di riservare ad essi lo
specifico trattamento prescritto dal citato comma 7-bis. Innanzi tutto la norma richiede che si tratti di iscrizione basata su
un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. Al riguardo si ritiene che il legislatore abbia inteso riferirsi oltre che agli atti
notarili anche a tutti gli atti provenienti da
un’autorità pubblica, ad esempio le sentenze. Si ritengono, quindi esclusi gli atti provenienti da professionisti diversi. In proposito si ritiene, quindi, debbano escludersi
anche gli atti di cessione di quote di società a responsabilità limitata stipulati ai sensi del comma 1-bis dell’art. 36 della legge 6 agosto 2008, n. 133 che consente la
sottoscrizione digitale degli atti di trasferimento di quote delle s.r.l. e la trasmissione presso l’ufficio del registro delle imprese a cura di un intermediario autorizzato.
A tale proposito, si osserva che il legislatore ha sollevato l’ufficio del registro
“da qualsivoglia controllo sull’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per
l’iscrizione” delineando una procedura che
renderebbe inarrestabile l’iter di iscrizione
al registro delle imprese avviato sulla base
di un atto pubblico o una scrittura privata. Il legislatore, inoltre, ha sottolineato la
“esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto” in
caso di iscrizioni avvenute illegittimamente. Ne consegue in questi casi che il pubblico ufficiale potrà essere sottoposto, ove
ne ricorrano le condizioni, a segnalazioni
all’ordine professionale o essere chiamato a rispondere dei danni conseguenti alla
compiuta irregolarità. Sarebbe, quindi auspicabile l’adozione, da parte ad esempio
dei consigli notarili, di programmi informativi per prevenire il verificarsi delle irregolarità stesse riducendo nel contempo
il rischio del coinvolgimento del professionista la cui attività oggi assume un rilievo diverso e più consistente, nell’ambito delle procedure di iscrizione, rispetto al
passato. Nonostante il tenore letterale della norma, all’attività di segnalazione sopra
ricordata, va infine privilegiata la possibilità che, senza alterarne le prescrizioni legislative, gli uffici e i professionisti trovino
forme di dialogo nell’ambito del più generale e sempre dovuto principio di leale collaborazione fra pubblici uffici e pubblici ufficiali nell’interesse primario delle imprese
e della trasparenza e correttezza delle informazioni ad esse riferite.
Occorre appena accennare, visto che
a tale proposito la norma è esplicita, che
le procedure cui si riferisce il comma 7
bis in questione, sono quelle che riguardano l’avvio di tutte le attività ed in generale tutte le procedure di iscrizione al
registro delle imprese basate su atti pubblici o scritture private autenticate quale
che sia la forma giuridica del soggetto titolate dell’impresa. Restano escluse solo
le società per azioni.
135
Circolari e Pareri
Resta ancora la questione dell’applicazione della norma in argomento al caso
in cui l’istante che presenta domanda di
iscrizione al registro delle imprese e possiede tutti i requisiti per usufruire del trattamento accelerato introdotto dall’articolo 20, comma 7-bis non abbia comunicato
il proprio indirizzo di PEC. Al riguardo si
precisa quanto segue.
A seguito dell’introduzione dell’obbligo di comunicazione della PEC al registro
delle imprese per le società (art.16, comma 6 del d.l. 29 novembre 2008, n.185,
convertito con modificazioni con la legge
28 gennaio 2009, n. 2) il legislatore con
il d.l. 9 febbraio 2012, n.5,convertito con
legge 4 aprile 2012, n. 35, (cfr. art. 37) ha,
anche, previsto una sanzione per il mancato rispetto della norma. È stato così aggiunto il comma 6-bis all’art. 16 cit., stabilendo che :«(…) L’ufficio del registro delle
imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa costituita in
forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione
prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in
attesa che essa sia integrata con l’indirizzo di posta elettronica certificata».
L’art. 5 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179
(convertito con modificazione dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) ha esteso
l’obbligo della comunicazione della pec
al registro delle imprese, alle imprese individuali. Analogamente a quanto stabilito
per le società il legislatore ha previsto una
sanzione per la mancata comunicazione
ed ha stabilito che: “Le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale, sono tenute a depositare, presso
l’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata entro il 30 giugno 2013.
L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di
un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica
136
certificata, in luogo dell’irrogazione della
sanzione prevista dall’articolo 2630 del
codice civile, sospende la domanda fino
ad integrazione della domanda con l’indirizzo di posta elettronica certificata e comunque per quarantacinque giorni; trascorso tale periodo, la domanda si intende
non presentata.
Risulta evidente che le due norme
ora richiamate collidono con il disposto
dell’art. 20, comma 7-bis nel caso in cui
l’iscrizione al registro delle imprese è richiesta sulla base di un atto pubblico o di
una scrittura privata autenticata da parte
di un soggetto (impresa individuale o societaria ad esclusione delle s.p.a) che non
abbia comunicato l’indirizzo di pec. L’ufficio del registro si troverà di fronte al dilemma se sospendere la pratica per mancanza della pec o procedere all’iscrizione
immediata dell’atto al fine di facilitare ed
accelerare le procedure di iscrizione al
registro delle imprese in linea con quanto recita il citato comma 7-bis.
Emerge chiaramente un conflitto fra le
norme in questione.
Come già sottolineato nelle premesse della presente circolare la norma introdotta con il comma 7-bis dell’art. 20
nasce con l’intento di “facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche
nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, rafforzando il grado di
conoscibilità delle vicende relative all’attività dell’impresa”. La scrivente, ribadisce,
pertanto, che il processo interpretativo della nuova disciplina debba essere ispirato
dagli obiettivi esplicitati dal legislatore.
L’introduzione dell’obbligo di munirsi
della pec per le imprese individuali e societarie si inserisce in un contesto di iniziative che guardano verso una prospettiva di semplificazione, modernizzazione e
speditezza dei rapporti tra Amministrazione e impresa. Disporre della pec è oggi importante considerato che anche altre Amministrazioni (ad es. Agenzia delle entrate)
Circolari e Pareri
si sono rese disponibili a mettere a disposizione del cittadino questo canale di comunicazione che assicura celerità, certezza ed economicità da ambo le parti.
Allo stato attuale, pertanto, la scrivente non può fare a meno di osservare che
dare seguito immediatamente all’iscrizione delle istanze basate su atto pubblico o
scrittura privata nei casi in cui l’impresa
sia venuta meno all’obbligo di comunicazione della pec significherebbe mortificare in parte il carattere di essenzialità della
pec in una fase nella quale si assiste, invece, ad un programma di sua piena valorizzazione. La scelta contraria, invece,
ne rafforzerebbe la funzione nell’ambito
dei rapporti fra imprese e Pubblica Amministrazione.
In questo momento storico-economico
sembra opportuno prediligere ed incentivare ogni strumento di semplificazione nei
rapporti fra imprese e P.A. anche attraverso l’imposizione di un onere (munirsi della pec) che non è da considerarsi un aggravio per l’imprenditore ma una corsia
di comunicazione obbligatoria che non
può non rivelarsi favorevole per il mondo imprenditoriale. Il legislatore ha ritenuto talmente importante ciò che ha munito la norma sulla pec di una sanzione
che va ad incidere direttamente nelle vicende dell’impresa impedendo l’iscrizione dell’atto, cioè la rilevanza di esso nei
confronti dei terzi, attraverso la mancata
iscrizione e conseguente pubblicità.
È solo il caso di ricordare, ad adjuvandum, che sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato che ha reso il parere in data
10 aprile 2013, n. 1714/2013, con il quale
ha precisato che anche nel caso di impresa costituita in forma societaria un’istanza
presentata per una società priva di p.e.c. si
deve “... intendere come non presentata”.
Sulla base delle suesposte considerazione alla scrivente sembra opportuno ritenere che la norma contenuta nel comma 7-bis, dell’art. 20 del d.l. 24.6.2014
convertito con la l. 11.8.2014, n. 116
debba considerarsi derogabile nel caso
in cui l’istanza di iscrizione di un atto basato su atto pubblico o scrittura autenticata pervenga all’ufficio del registro delle
imprese da parte dell’impresa che non ha
provveduto alla comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a norma di legge.
‰‰
NOTA MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
4 settembre 2014
D.P.R. 9 luglio 2014, 159 –
Regolamento recante i requisiti
e le modalità di accreditamento
delle agenzie per le imprese, a
norma dell’articolo 38, comma
4 del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 – Modalità
di trasmissione delle dichiarazioni
di conformità al SUAP
Nel corso del 2010 sono stati emanati i due decreti attuativi dell’articolo 38,
commi 3 e 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133. Trattasi dei due interventi normativi,
funzionali al disegno di semplificazione
di assetti procedimentali ed organizzativi,
aventi ad oggetto il SUAP (Sportello Unico per le Attività Produttive) e le Agenzie
per le imprese.
Il d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 reca
la nuova disciplina del SUAP (Sportello
Unico Attività Produttive), che semplifica
e riordina la disciplina dello sportello unico, ne individua il ruolo di canale unico tra
imprenditore ed amministrazione per eliminare ripetizioni istruttorie e documentali e prevede l’introduzione dell’esclusivo
137
Circolari e Pareri
utilizzo degli strumenti telematici nell’esplicazione di tutte le fasi del procedimento amministrativo, al fine di garantire semplificazione e certezza dei tempi
di conclusione. Le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni
concernenti le attività d’impresa e i relativi elaborati tecnici e allegati sono presentati, esclusivamente in modalità telematica, al SUAP del comune competente per il
territorio, che provvede all’inoltro telematica della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento (anch’esse tenute ad adottare
modalità telematiche di ricevimento e di
trasmissione) e assicura al richiedente una
risposta telematica unica e tempestiva in
luogo degli altri uffici comunali e di tutte
le amministrazioni pubbliche comunque
coinvolte nel procedimento.
L’elenco dei comuni con il SUAP operante è disponibile nell’apposita sezione del portale www.impresainungiorno.
gov.it.
Il d.P.R. 9 luglio 2010, n. 159, disciplina le Agenzie per le imprese, istituite dalla norma primaria con lo scopo di facilitare i rapporti tra imprese e amministrazione
sotto vari profili, compreso quello telematico. L’art. 38, al comma 3, lett. c), prevede la
possibilità per gli imprenditori di affidare a
soggetti privati, denominati appunto Agenzie per le imprese, il compito di attestare la
sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell’attività di impresa, mediante il rilascio di una
dichiarazione di conformità, che in quanto
tale costituisce titolo per l’avvio immediato
dell’attività o per la realizzazione dell’intervento. La dichiarazione di conformità è rilasciata solo per le pratiche rientranti nell’attività vincolata dell’amministrazione. Qualora
infatti si tratti di procedimenti che comportano attività discrezionale, le Agenzie svolgono unicamente attività istruttoria in luogo e a supporto del SUAP.
Per l’esercizio della loro attività, le
138
Agenzie devono essere state accreditate
dal Ministero dello sviluppo economico.
A tal fine l’organismo che intende accreditarsi presenta apposita istanza con l’indicazione dettagliata delle attività economiche per le quali chiede l’accreditamento e
dell’ambito territoriale, almeno regionale,
nel quale intende operare. A tal fine deve
accludere all’istanza la documentazione
comprovante il possesso di una struttura
tecnico-amministrativa rispondente a criteri di competenza, indipendenza e terzi età, nonché copia dell’atto di stipula di
una polizza assicurativa di responsabilità
civile professionale che copra i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività e
che sia valida per l’intera durata dell’accreditamento.
La disciplina prevede due livelli di accreditamento. Il primo livello è riferito alle
attività vincolate ossia soggette a SCIA,
mentre il secondo abilita l’Agenzia ad esercitare attività istruttoria in luogo e a supporto dello sportello unico nei casi in cui
l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e
la cessazione dell’esercizio dell’attività di
impresa comporta attività discrezionale da
parte dell’ amministrazione.
Sia nel primo caso (Agenzie di tipo a)
che nel secondo (Agenzie di tipo b) l’accreditamento è concesso con provvedimento della scrivente Direzione generale ai soggetti richiedenti l’accreditamento
che, a seguito della verifica da parte del
Ministero, delle Regioni nei cui ambiti territoriali intendono svolgere l’attività, nonché delle eventuali amministrazioni statali coinvolte in relazione alla tipologia di
procedimenti in relazione ai quali intendono operare, risultano in possesso dei requisiti e dei presupposti previsti dal citato
d.P.R. n. 159 e, nello specifico, dall’allegato al decreto.
A seguito dell’ottenimento del provvedimento di accreditamento le Agenzie
per le imprese di tipo a) nel procedimento
Circolari e Pareri
automatizzato di cui all’art. 5 del citato decreto n. 160, in caso di esito positivo della
verifica trasmettono al SUAP competente
per territorio una dichiarazione di conformità comprensiva della SCIA e delle attestazioni e certificazioni richieste, che costituisce titolo per l’avvio immediato dell’attività
o per la realizzazione dell’intervento dichiarato: l’art. 38, comma 3, letto c), del
decreto legge n. 112 del 2008, infatti, conferisce alla dichiarazione di conformità da
esse rilasciata valore provvedimentale, circostanza che, sotto questo aspetto, fa assumere alle Agenzie la veste di amministrazioni-autorità incaricate di esercitare
pubbliche funzioni. Nel procedimento ordinario di cui all’art. 7 del citato decreto n.
160, esse offrono assistenza all’imprenditore ai fini della individuazione dei procedimenti da attivare in relazione all’esercizio
delle attività d’impresa o alla realizzazione di impianti produttivi, per la redazione in formato elettronico delle domande
e su richiesta dell’interessato, per lo svolgimento dell’attività istruttoria. In tal senso
le Agenzie di tipo b) rilasceranno una attestazione dell’accertato rispetto di tutte le
prescrizioni di carattere tecnico, giuridico,
amministrativo e procedurale previste dalla
normativa ai fini della formazione dell’atto autorizzatorio.
Nel rimandare alla sezione Agenzie per
le imprese del portale www.impresainungiorno.gov.it per il dettaglio dei procedimenti e dei settori per i quali sono state
accreditate, di seguito si riportano le denominazioni delle Agenzie per le imprese
accreditate alla data odierna per l’esercizio dell’attività di tipo a) con i relativi ambiti regionali:
UNITER S.r.l., costituita da Confcommercio, operante in Lombardia, Marche,
Veneto;
CAF CNA S.r.l., operante in Marche,
Lazio. Veneto;
AGENZIA PER LE IMPRESE Confartigianato S.r.l., operante in Marche, Veneto, Lombardia, Lazio;
CAAF SICUREZZA FISCALE SRL, costituita da Confesercenti, operante nel Lazio;
AGENZIA NAZIONALE PER LE IMPRESE DEI PROFESSIONISTI S.r.l. ovvero AGIPRO, operante in Lombardia e Piemonte.
Premesso quanto sopra si richiama il
disposto di cui all’art. 19-bis, comma 1,
lett. a), del decreto legge 24 giugno 2014,
n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, il quale
prevede che “i controlli, le dichiarazioni,e
le attività istruttorie delle Agenzie per le
imprese sostituiscono a tutti gli effetti i
controlli e le attività delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari, salvo per le determinazioni in via di
autotutela e per l’esercizio della discrezionalità”.
Si richiama, altresì, il comma 3 del
medesimo articolo il quale modifica l’art.
19, comma 4, della legge 7 agosto 1990,
n. 241, e stabilisce che, nel caso di SCIA
corredata della dichiarazione di conformità rilasciata da una Agenzia di tipo a)
all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente. per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e
previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell’attività dei
privati alla normativa vigente.
Ciò significa che, nel caso di specie,
ossia in presenza della dichiarazione di
conformità rilasciata dall’Agenzia per le
imprese, attestante la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti per l’avvio o l’intervento non è ammissibile l’applicazione del primo periodo del comma
3 che disciplina l’attività inibitoria e riparatoria che l’amministrazione competente
può porre in essere dopo aver accertato la
carenza dei requisiti e dei presupposti di
cui al comma l citato che, in questo caso,
sono già stati verificati da parte dall’Agenzia per le Imprese.
139
Circolari e Pareri
Di conseguenza, considerato quanto
esplicitato in relazione al ruolo e alla funzione affidati a detti organismi dalla disciplina vigente, nonché il rilievo che possono assumere nel rappresentare un efficace
ed ulteriore supporto per le imprese negli
ambiti territoriali nei quali sono legittimati
ad operare, con la presente si intende segnalare ai Comuni in indirizzo, appartenenti alle Regioni nei cui ambiti territoriali le Agenzie su elencate sono legittimate
ad operare, l’opportunità di inserire, nella
sezione dedicata al SUAP indicata nell’istanza di accreditamento del medesimo
presentata alla scrivente amministrazione, l’informazione relativa alla circostanza
della esistenza nell’ambito territoriale di
riferimento di Agenzie per le imprese accreditate (con relative denominazioni, servizi prestati in ordine ai procedimenti per
i quali hanno ottenuto l’accreditamento,
nonché, ove sussistano eventuali costi da
sostenere) e quindi la conseguente possibilità per le imprese di optare, in alternativa all’invio telematico diretto al SUAP,
per l’invio telematico all’Agenzia presente nel territorio.
Stante quanto sopra, si richiama l’art.
4, commi 1 e 2 del citato d.P.R. n. 159, il
quale dispone che “Le Agenzie comunicano immediatamente al SUAP, tramite il
portale, le dichiarazioni di conformità costituenti titolo autorizzatorio rilasciate, le
attestazioni rese a supporto degli Sportelli Unici e le istanze per le quali e’ stata accertata la mancanza dei presupposti per
l’esercizio dell’attività di impresa” e che
“Le Amministrazioni competenti tengono
conto di tali informazioni, raccolte in una
banca dati integrata con il portale, accessibile da parte delle amministrazioni pubbliche ai fini dello svolgimento dell’attività di vigilanza (...)“.
Si richiama, altresì, la disposizione di
cui all’art. 6, comma 2, del citato d.P.R.
n. 160, la quale dispone che “L’Agenzia,
compiuta l’istruttoria, trasmette, in modalità telematica, al SUAP una dichiarazione
140
di conformità, comprensiva della SCIA o
della domanda presentata dal soggetto interessato corredata dalle certificazioni ed
attestazioni richieste, che costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività e per l’avvio immediato dell’intervento
dichiarato. (...). Il SUAP provvede ad inserire tali informazioni in una sezione del
portale, accessibile da parte delle amministrazioni pubbliche ai fini dell’attività di
monitoraggio di cui al comma 1 dell’articolo 11” del medesimo decreto.
Dal contenuto delle disposizioni su richiamate risulta evidente che la disciplina
in materia di SUAP e Agenzie per le imprese di cui al d.P.R. n. 160 e al d.P.R. n.
159 presuppongono ai fini dell’ operatività del sistema un costante e continuo flusso di informazioni. notizie e dati tra SUAP,
Agenzie e Portale nazionale, che, solo ove
funzionante a regime, è in grado di garantire alle imprese un servizio rispondente
ai dettami normativi e alle amministrazioni coinvolte una efficace attività di monitoraggio e la conseguente adozione, ove
se ne rilevi la necessità, di misure correttive finalizzate ad eliminare inadempienze, disfunzioni o irregolarità In tal senso
assume rilievo, ad avviso della scrivente
che i SUAP in indirizzo operino, altresì, al
fine di dotarsi dei necessari strumenti informatici in grado di consentire che le dichiarazioni di conformità possano essere trasmesse telematicamente in maniera
corretta ed efficace da parte delle Agenzie per le Imprese al SUAP e poi possano
essere inserite nel Portale www.impresainungiorno.gov.it.
Ci si riferisce, nello specifico, ai Comuni che abbiano già reso pienamente operativa la possibilità di inoltrare le Scia utilizzando la procedura informatica all’uopo
predisposta che risponde alle caratteristiche tecniche stabilite dal decreto n. 160,
considerato che ai sensi e per gli effetti
dall’articolo 5, comma l, del decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante misure per l’attuazione dello sportello
Circolari e Pareri
unico, il quale disciplina le modalità di rilascio e gli effetti della ricevuta, “In attesa
dell’adozione, da parte del SUAP, di strumenti che consentano la verifica in modalità informatica della completezza formale
della segnalazione o dell’istanza e dei relativi allegati, nonché di una ricevuta rilasciata automaticamente ai sensi delle regole tecniche stabilite dal decreto, è valida
la ricevuta di posta elettronica certificata
che attesta l’avvenuta consegna al SUAP
della segnalazione o dell’istanza, ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n.
68, oppure la ricevuta emessa in modalità
automatica dal portale www.impresainungiorno.gov.it o dal sito del SUAP tramite
web browser, previa identificazione informatica secondo le modalità previste (...)“.
Ai Comuni nei quali sia pienamente operativo il percorso telematico auto
compilativo per tutti i procedimenti relativi all’attività d’impresa, correttamente
indicato sulla pagina web del SUAP, pertanto, si segnala l’opportunità di adottare
un sistema di opzione informatico riservato alle Agenzie per le imprese, nel quale
possano transitare le dichiarazioni di conformità dalle medesime rilasciate in considerazione della circostanza che in tal
caso è già stata verificata la completezza
formale e la correttezza sostanziale della
Scia e dei relativi allegati.
Ove il Comune utilizzi piattaforme regionali, si estende alla Regione l’invito a
prevedere forme di comunicazione telematica espressamente dedicate alle Agenzie per le imprese.
In conclusione, a conferma della opportunità di predisporre una specifica opzione dedicata alle imprese che vogliano
usufruire dei servizi delle Agenzie per le
imprese, si evidenzia che detta facoltà è
già operativa sul portale nazionale www.
impresainungiorno.gov.it per cui la sua introduzione sui siti degli enti locale consentirebbe di uniformare le opportunità e garantire al meglio il servizio alle imprese.
‰‰
RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
23 giugno 2014, n. 114972
Attività di commercio all’ingrosso
– Verifica requisiti soggettivi
Si fa riferimento alla nota inviata per
e-mail, con la quale codesta Unione di
Comuni chiede un parere in merito alla
competenza relativa alla verifica dei requisiti soggettivi in materia di commercio all’ingrosso.
Questo in quanto la Camera di Commercio competente per territorio avrebbe
trasmesso a codesta Unione una comunicazione, con la quale, facendo presente una serie di novità normative, riteneva
che la competenza alla verifica dei requisiti soggettivi dell’attività in discorso sarebbe ora in capo al SUAP, anche ai sensi di
quanto disposto dalla nota della scrivente n. 135873 del 6 ottobre 2010.
Al riguardo si precisa quanto segue.
Si richiama il contenuto della citata
nota n. 135873, con la quale la scrivente
Direzione ha preliminarmente richiamato la propria interpretazione sugli adempimenti ai quali erano tenuti i soggetti aspiranti l’attività di commercio all’ingrosso
in vigenza del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
Al riguardo ha richiamato il punto
1.1 della circolare 28 maggio 1999, n.
3467/C, nella quale ha precisato che ai
sensi del citato decreto legislativo n. 114
ai fini dell’avvio dell’attività in discorso
non sono previste né comunicazione né
autorizzazione.
Di conseguenza ha sostenuto, richiamando la circolare 10 ottobre 2001, n.
3526/C, recante istruzioni sulla compilazione della modulistica da utilizzare ai
fini dell’avvio e dell’esercizio dell’attività
commerciale (approvata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
141
Circolari e Pareri
Stato, le Regioni e le Province autonome)
che, nel caso di specie, fosse sufficiente
la sola compilazione del quadro di autocertificazione, allegato alla circolare, attestante il possesso dei requisiti prescritti
da parte del soggetto che intendeva avviare l’attività all’ingrosso.
Stante quanto sopra, nella citata nota
la scrivente, a seguito delle modifiche intervenute nella formulazione dell’articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad
opera dell’articolo 49 del decreto legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.
122, che ha introdotto nell’ordinamento
l’istituto della SCIA, il quale per espressa
previsione ha sostituito “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da
atti amministrativi a contenuto generale, e
non sia previsto alcun limite o contingente
complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli
atti stessi ...“, ha conseguentemente sostenuto l’applicabilità dell’istituto della SCIA
dal momento che anche ai fini dell’avvio
dell’attività all’ingrosso non sussiste alcun
margine di discrezionalità in capo all’autorità competente.
Alla luce, però, delle numerose norme
di semplificazione e liberalizzazione introdotte nel corso del 2012 (cfr. in particolare il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
marzo 2012, n. 27, nonché il d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35),
ed in particolare dell’articolo 12, comma
4 del citato d.l. n. 5 del 2012, che individua gli istituti a cui sottoporre l’avvio delle attività, ovvero “... ad autorizzazione, a
segnalazione certificata di inizio di attività
142
(SCIA) con asseverazioni o a segnalazione
certificata di inizio di attività (SCIA) senza
asseverazioni ovvero a mera comunicazione...“, è evidente che allo stato attuale la
SCIA non risulta l’unico istituto applicabile ai fini dell’avvio di un’attività, considerato infatti che la disposizione citata individua espressamente anche l’applicabilità
dell’istituto della comunicazione.
In conseguenza di quanto sopra, la scrivente ritiene di modificare la posizione
assunta nella citata nota il 135873, stante anche la necessità di intervenire ai fini
della eliminazione di procedure non proporzionate, e pertanto rappresenta che il
soggetto aspirante all’avvio dell’attività in
discorso possa utilizzare la Comunicazione Unica, ferma restando la necessità di
indicare il settore di attività e autocertificare il possesso dei requisiti di cui all’articolo 71, comma l del decreto legislativo
n. 59 del 2010 e s.m.i., ossia solo di onorabilità alla luce delle modifiche intervenute all’alinea del comma 6 dell’articolo 71 del citato decreto legislativo n. 59
ad opera del decreto legislativo 6 agosto
2012, n. 147, che hanno di fatto determinato l’obbligatorietà del possesso dei requisiti professionali solo nel caso del commercio al dettaglio dei prodotti alimentari,
con conseguente soppressione di tale obbligo nel caso di commercio all’ingrosso.
Ai fini dell’avvio dell’attività, il rilascio di apposita ricevuta telematica da
parte della Camera di Commercio consente all’impresa di esercitare immediatamente l’attività.
Va rilevato, altresì, che, essendo utilizzabile la Comunicazione Unica, non può
sostenersi l’applicabilità delle modalità
di controllo e della tempistica stabilite in
caso di SCIA dal citato articolo 19 della
legge n. 241 che la disciplina.
La Camera di Commercio, competente per territorio, però, stante la circostanza che il soggetto in questione autocertifica il possesso dei requisiti e la
conseguente applicabilità alla fattispecie
Circolari e Pareri
delle conseguenze penali e amministrative previste dagli artt. 75 e 76 del d.P.R.
n. 445 del 2000 in caso di dichiarazioni
mendaci e formazione o uso di atti falsi,
è tenuta a verificare la veridicità di quanto auto certificato in materia di requisiti,
ma può effettuare detto controllo anche a
campione e a prescindere dal rispetto di
termini temporali che nel caso di specie
non sono espressamente previsti.
In conclusione, considerata la generale
competenza dei Comuni in materia di vigilanza sulle attività commerciali operanti
sul territorio e quindi la necessità di avere
conoscenza della dislocazione delle medesime, la scrivente ritiene che le Camere di Commercio, stante la collaborazione con le amministrazioni pubbliche che
le contraddistingue, debbano rendersi disponibili a trasmettere le notizie relative
alle attività di commercio all’ingrosso ai
Comuni che, eventualmente, ne facciano richiesta.
‰‰
RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
11 giugno 2014, n. 108496
Parere in merito al funzionamento
di apparecchiature self-service
con pagamento anticipato
Si fa riferimento alla nota a margine indicata, con la quale codesto Comune fa
presente che nel territorio comunale è presente un distributore di carburanti dotato
di impianto funzionante anche in modalità self service con pagamento anticipato. Sottolinea, al riguardo, di aver ricevuto
segnalazione che il titolare dell’impianto
self service tende a prestare assistenza agli
automobilisti che si riforniscono autonomamente con tale modalità anche durante l’orario di apertura dell’impianto, inserendo i soldi nell’accettatore di banconote,
nonché posizionando l’erogatore nel serbatoio senza far scendere i conducenti dalle rispettive auto.
Fa presente, inoltre, che il d.P.R. 13 dicembre 1996, all’articolo 4, lettera i), dispone che: “le apparecchiature self-service
pre-pagamento devono, di norma, restare
sempre aperte, purché funzionino senza
l’assistenza di apposito personale”, e alla
lettera f) del medesimo articolo prevede,
altresì, delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni previste ai sensi della legge n. 558 del 1971, abrogata dall’articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114.
Stante quanto sopra, codesto Comune
chiede, pertanto, di sapere se l’eventuale
attività di assistenza prestata dal gestore
durante l’orario di apertura dell’impianto
possa essere sanzionata e, in caso positivo, quale normativa applicare al riguardo.
La scrivente Direzione, fermo restando che si esprime esclusivamente con riferimento alla disciplina nazionale, per
quanto di propria competenza, fa presente quanto segue.
In via preliminare, si evidenzia che la
competenza diretta in materia di orari e
turni di apertura e di chiusura dei distributori di carburanti è esercitata dalle Regioni, alle quali, con il d.P.R. 13-12-1996,
tuttora vigente, sono state indicate le direttive sulla materia in discorso.
Premesso quanto sopra, si evidenza, altresì, che la legge 28 luglio 1971, n. 558,
abrogata dall’articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recava la
“Disciplina dell’orario dei negozi e degli
esercizi di vendita al dettaglio”.
Le sanzioni in essa previste all’articolo
l0, quindi, erano riferibili a chi contravveniva alle disposizioni riguardanti la specifica disciplina degli orari.
Proprio per questo motivo, nell’ambito del d.P.R. 13-12-1996, la lettera f) del
citato articolo 4, che prevede le sanzioni
di cui alla legge n. 558 per chi viola le disposizioni in materia di orari, è posta dopo
143
Circolari e Pareri
le lettere a), b), c), d) ed e), con le quali
vengono disciplinati gli orari dei distributori di carburanti.
Ad avviso della scrivente, pertanto, le
sanzioni previste dalla abrogata legge n.
558 potevano essere applicate solo a chi
violava le disposizioni in materia di orari disciplinate dalle lettere dell’articolo 4
sopra citate.
Alla luce dell’abrogazione operata
dall’articolo 26 del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 114, la scrivente ritiene,
comunque, che eventuali violazioni in
materia di orari dei distributori di carburanti possano quindi essere sanzionate ai
sensi dell’articolo 22, comma 3 del citato
decreto legislativo n. 114 del 1998.
Con riferimento alla possibilità di sanzionare l’eventuale attività di assistenza
prestata dal gestore agli automobilisti che
si avvolgono dell’impianto self-service, si
evidenzia che l’articolo 28, comma 7, del
D.L. 6 luglio 2011, n. 98, come modificato dall’articolo 18, comma l, del d.l. 24
gennaio 2012, n. l, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012,
n. 27, prevede che “Non possono essere
posti specifici vincoli all’utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, durante le ore in cui è contestualmente
assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, a condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la
presenza del titolare della licenza di esercizio dell’impianto rilasciata dall’ufficio
tecnico di finanza o di suoi dipendenti o
collaboratori”.
Ad avviso della scrivente, pertanto,
non sembra escludersi la possibilità che
il cliente possa essere assistito durante la
fase di rifornimento di carburante.
Stante comunque la prevalente competenza regionale in materia, la presente
nota e il relativo quesito sono inviati alla
Regione Calabria, che legge per conoscenza, la quale è pregata di far conoscere anche alla ascrivente il proprio avviso
144
al riguardo. La presente nota e il relativo
quesito sono altresì inviati anche alla Direzione Generale per la sicurezza della’approvvigionamento e per le infrastrutture,
la quale è pregata di far conoscere alla
scrivente Direzione eventuali determinazioni contrarie.
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RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
17 giugno 2014, n. 108679
Parere in merito agli orari
dei distributori di carburanti
Si fa riferimento alla nota a margine
indicata, con la quale codesto Comune
fa presente che l’orario dei distributori di
carburanti presenti all’interno del territorio
comunale è disciplinato da relativa ordinanza sindacale, la quale stabilisce l’orario di apertura e di chiusura degli impianti
nonché i turni di riposo relativi alla giornata del sabato e alle giornate festive.
Riferisce, inoltre, che l’orario dei distributori di carburanti a livello regionale era
disciplinato dalla legge regionale n. 9 del
1986, di recente abrogata, in attesa di determinazione di una nuova regolamentazione commerciale.
Stante quanto sopra, tenuto conto della recente liberalizzazione degli orari di
apertura e chiusura delle attività commerciali ad opera dell’articolo 31 del d.l. n.
201 del 2011 e delle numerose norme di
liberalizzazione delle attività economiche
che si sono succedute dal 2011 in poi, codesto Comune chiede:
se il d.P.R. 13-12-1996 è ancora applicabile;
se l’amministrazione comunale può stabilire l’orario di apertura e di chiusura oppure si deve limitare a stabilire delle fasce
orarie di apertura lasciando ai gestori una
maggiore flessibilità;
Circolari e Pareri
se in caso di orario flessibile, il gestore
deve rispettare un orario massimo di apertura settimanale o giornaliero.
Al riguardo, la scrivente Direzione, per
quanto di propria competenza, fa presente quanto segue.
In via preliminare, si evidenza che la
competenza diretta in materia di orari e
turni di apertura e di chiusura dei distributori di carburanti è esercitata dalle Regioni, alle quali, con il d.P.R. 13-12-1996,
tuttora vigente, sono state indicate le direttive sulla materia in discorso.
In particolare, l’articolo 4, lettera b) del
citato d.P.R. del 1996 prevede che “l’orario minimo settimanale di apertura, già determinato in cinquantadue ore, sarà progressivamente aumentato, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 12, comma 2, del decreto
del Presidente del Consiglio di Ministri 11
settembre 1989, sulla base delle ulteriori direttive emanate dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato
e subordinatamente alla verifica del graduale raggiungimento degli obiettivi di ristrutturazione della rete”.
Tale orario di servizio settimanale, ai
sensi dell’articolo 7, comma 1 del decreto
legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, come
modificato dall’articolo 83-bis del d.l. 25
giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge n. 133 del 2008 “può essere aumentato dal gestore fino al cinquanta per cento dell’orario minimo stabilito. Ciascun
gestore può stabilire autonomamente la
modulazione dell’orario di servizio e del
periodo di riposo, nei limiti prescritti dal
presente articolo, previa comunicazione
al comune”.
Il comma 2 del medesimo articolo 7
dispone, inoltre, che fatta eccezione per
gli impianti funzionanti con sistemi automatici di pagamento anticipato rispetto
alla erogazione del carburante “... per gli
impianti assistiti da personale restano ferme le vigente disposizioni sull’orario minimo settimanale, le modalità necessarie
a garantire il servizio nei giorni festivi e
nel periodo notturno, stabilite dalle regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonché la disciplina
vigente per gli impianti serventi le reti autostradali e quelle assimilate”.
Fermo quanto sopra, in assenza di specifica regolamentazione regionale, la scrivente ritiene che codesto Comune possa
emanare un’ordinanza tenendo conto dei
criteri indicati dalle citate normative, considerata la necessità di garantire una corretta fruizione del servizio da parte della
cittadinanza.
Stante comunque la prevalente competenza regionale in materia, la presente nota e il relativo quesito sono inviati
alla Regione Calabria, che legge per conoscenza, la quale è pregata di far conoscere anche alla scrivente il proprio avviso al riguardo.
La presente nota e il relativo quesito sono altresì inviati anche alla Direzione Generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e per le infrastrutture, la
quale è pregata di far conoscere alla scrivente Direzione eventuali determinazioni contrarie.
‰‰
RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
10 giugno 2014, n. 107841
Decreto legislativo 18 maggio
2001, n. 228 – Esercizio dell’attività
di vendita da parte degli
imprenditori agricoli – Sanzioni
Si fa riferimento alla nota pervenuta
per e-mail, con la quale codesto Comune
ha chiesto informazioni circa le modalità di vendita dei propri prodotti da parte
di un imprenditore agricolo, regolarmente iscritto al Registro delle Imprese e che
esercita l’attività nell’androne del portone
di accesso alla propria abitazione, fuori
145
Circolari e Pareri
dal fondo di produzione e senza alcun titolo autorizzatorio.
Al riguardo, la scrivente, dopo avere
espressamente richiamato la disciplina
applicabile nel caso di attività di vendita
da parte dei produttori agricoli, con riferimento agli aspetti sanzionatori, ha precisato, in sede di primo esame, di non ritenere applicabili le sanzioni previste dal
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
In tal senso aveva inviato il parere ed
il relativo quesito anche al Ministero delle Politiche Agricole, con preghiera di conoscere quali eventuali sanzioni poter applicare, considerato che l’articolo 4 del
decreto legislativo n. 228 non ne prevede
espressamente alcuna.
L’Amministrazione in parola, con nota
del 6-3-2014, n. 16292, ha precisato che:
“Con riferimento alle sanzioni da applicarsi, si rappresenta che il legislatore all’art. 4
del d.lgs. n. 22812001 e s.m.i., non ha previsto sanzioni ad hoc in caso di violazione
dell’obbligo di comunicazione al Comune.
Il d.m. del 20.11.2007 ha delineato
le linee guida, valide per tutto il territorio nazionale, sulle modalità di vendita
dei prodotti fornendo indicazioni chiare
e uniformi alle amministrazioni comunali
interessate alle attività di controllo.
Si tratta di un decreto, per espressa
previsione normativa, di natura non regolamentare, dal momento che la competenza legislativa nelle materie del commercio e dell’agricoltura è riservata alle
Regioni”.
Verificato, pertanto, che non esiste specifica sanzione nella normativa di competenza del predetto Ministero e fermo restando che la fattispecie in parola non è
espressamente prevista ai fini sanzionatori
neanche nella disciplina in materia commerciale, la scrivente non può non rilevare che, nei casi in cui sia accertato che
non sussistono i requisiti e le condizioni
di applicazione della disciplina speciale di
cui al decreto legislativo n. 228 del 2001,
non potrebbe che riespandersi la generale
146
disciplina prevista per le attività di vendita al dettaglio.
Pertanto, trattandosi di attività di vendita al pubblico non conforme a quanto
consentito in base a tale vigente normativa generale di settore, sarebbe legittimamente adottabile un provvedimento di
inibizione di continuazione dell’ attività
nei confronti del soggetto in questione.
Ciò significa, salvo diverso avviso del Ministero della Giustizia e fatte salve eventuali diverse previsioni delle norme regionali, che tale vendita al pubblico rientra
nella disciplina anche sanzionatoria prevista per la generalità delle attività di vendita al dettaglio.
‰‰
RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
27 maggio 2014, n. 101224
Decreto legislativo 26 marzo 2010
– Sospensione attività di somministrazione di alimenti e bevande
Si fa riferimento alla nota pervenuta
per e-mail, con la quale codesto Comune
chiede se ai sensi del decreto legislativo
26 marzo 2010, n. 59 e s.mi., nello specifico l’articolo 64, comma 8, possa essere consentita la possibilità di proroghe
alle sospensioni che si protraggano oltre
il termine massimo consentito dalla norma in discorso.
Tali proroghe, infatti, erano previste
dall’articolo 17, comma 1 della legge regionale n. 29 del 2007; a seguito di modifiche normative, la nuova formulazione
del medesimo articolo rinvia all’articolo 64, comma 8 del citato decreto legislativo n. 59, che però non contiene riferimento alcuno ad eventuali proroghe di
sospensione.
Al riguardo la scrivente Direzione rappresenta quanto segue.
Circolari e Pareri
L’articolo 64, comma 8 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.mi. dispone che “L’autorizzazione e il titolo decadono nei seguenti casi:
a) (Omissis)
b) Qualora il titolare sospenda l’attività
per un periodo superiore a dodici mesi”.
La norma consente la sospensione
dell’attività da parte del titolare per un periodo non superiore ad un anno.
Di conseguenza, nel caso di specie, la
scrivente ritiene che la decadenza sia una
conseguenza automatica delle condizioni
previste dalla legge che l’amministrazione
si limita ad accertare e pertanto è un istituto giuridico che, come tale, non appare
suscettibile di nuove o diverse valutazioni, nonché di proroghe.
La scrivente, comunque, ritiene che, in
sede di accertamento delle condizioni di
decadenza, codesto Comune possa non
considerare quali periodi di sospensione
quelli che consentono di ritenere che non
sia stato il titolare a sospendere volontariamente l’attività.
‰‰
RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
27 maggio 2014, n. 101227
D.P.R. 2010, n. 159. Ambiti di
operatività degli organismi
accreditati per l’esercizio
dell’attività di Agenzia per le
Imprese. Quesito
Codesta Società, in possesso di accreditamento per l’esercizio dell’attività di
Agenzia per le imprese di cui al d.P.R. n.
159 del 2010, con mail trasmessa in data
22 gennaio 2014, ha chiesto alla scrivente Direzione Generale chiarimenti in merito alla possibilità “dell’invio contestuale
a Comunica della dichiarazione di conformità che la (...) Agenzia rilascia a seguito
dei controlli e delle verifiche effettuate
sulla Scia”.
Quanto sopra, ad avviso di codesta società, sarebbe consentito in base ad una
“interpretazione sistematica del comma 3
dell’articolo 6 del d.P.R. n. 160 del 2010”.
Al riguardo, si fa presente quanto segue.
Ai sensi del d.P.R. n. 159 del 2010 le
Agenzie per le Imprese sono soggetti privati accreditati ai quali l’impresa può rivolgersi per l’espletamento degli adempimenti prescritti ai fini dell’avvio dell’attività
produttiva.
Esse svolgono un duplice ruolo: nel
procedimento automatizzato (ossia nel
caso in cui l’avvio o la modifica di un’attività produttiva o di servizio è soggetta a
SCIA e non esiste alcuna attività discrezionale da parte dell’amministrazione) in
caso di verifica positiva a seguito dell’istruttoria, l’Agenzia trasmette al SUAP una
dichiarazione di conformità comprensiva
della SCIA e delle attestazioni e certificazioni richieste, che costituisce titolo per
l’avvio immediato dell’attività o per la realizzazione dell’intervento dichiarato. L’art.
38, comma 3, letto c), del decreto legge
n. 112, infatti, conferisce alla dichiarazione di conformità da esse rilasciata valore
provvedimentale, circostanza che, sotto
questo aspetto, fa assumere alle Agenzie
la veste di amministrazioni-autorità incaricate di esercitare pubbliche funzioni.
Nel procedimento ordinario (ossia quello nel quale sussiste un’attività discrezionale
dell’amministrazione) esse offrono assistenza all’imprenditore ai fini della individuazione dei procedimenti da attivare in relazione all’esercizio delle attività d’impresa o
alla realizzazione di impianti produttivi, per
la redazione in formato elettronico delle domande e su richiesta dell’interessato, per lo
svolgimento dell’attività istruttoria.
Premesso quanto sopra, con riferimento alla richiesta di parere sulla possibilità
dell’invio contestuale a Comunica della
dichiarazione di conformità, si fa presente quanto segue.
147
Circolari e Pareri
In via preliminare, si richiama l’articolo
9 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, il quale ha introdotto la comunicazione unica
per la nascita dell’impresa da presentarsi
all’ufficio del Registro delle imprese per
via telematica o su supporto informatico.
Detta disposizione consente al soggetto interessato, ai fini dell’avvio dell’attività d’impresa, di presentare, all’ufficio del
registro delle imprese, la comunicazione
unica che vale quale assolvimento di tutti
gli adempimenti amministrativi previsti per
l’iscrizione al registro delle imprese e che
ha effetto, sussistendo i presupposti di legge, ai fini previdenziali, assistenziali e fiscali individuati con il d.P.C.M. 6 maggio
2009 recante “Individuazione delle regole
tecniche per le modalità di presentazione
della comunicazione unica e per l’immediato trasferimento dei dati tra le Amministrazioni interessate, in attuazione dell’articolo
9, comma 7, del decreto-legge 31 gennaio
2007, n. 7”, nonché per l’ottenimento del
codice fiscale e della partita IVA.
L’ufficio del registro delle imprese contestualmente rilascia la ricevuta, che costituisce titolo per l’immediato avvio e dà
notizia alle Amministrazioni competenti
dell’avvenuta presentazione della comunicazione unica, le quali comunicano all’interessato e all’ufficio del registro delle imprese, per via telematica, immediatamente
il codice fiscale e la partita IVA ed entro
i successivi sette giorni gli ulteriori dati
definitivi relativi alle posizioni registrate.
La procedura sopra descritta si applica
anche in caso di modifiche o cessazione
dell’attività d’impresa.
La comunicazione, la ricevuta e gli atti
amministrativi di cui al citato articolo 9
del d.l. n. 7/2007 sono adottati in formato
elettronico e trasmessi per via telematica.
La modalità telematica o su supporto
informativo diventa, pertanto, l’unica modalità di trasmissione possibile per tutte le
imprese, comprese quelle individuali, anche in considerazione del fatto che con la
148
comunicazione unica, si espletano tutte le
formalità relative alla fase costitutiva, modificativa ed estintiva dell’impresa, essendo valida, inoltre, anche quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi
previsti dalla legge, anche ai fini previdenziali, assistenziali e fiscali.
Viste, comunque, le eventuali problematiche correlate all’utilizzo della firma
digitale e quindi al fine di agevolare l’utilizzo della procedura e semplificare gli
adempimenti per le imprese, si è resa necessaria l’adozione di strumenti operativi
per consentire agli imprenditori di conferire, a professionisti o altri intermediari, l’incarico di svolgere le attività correlate alla
presentazione della comunicazione unica.
Pertanto, con circolare n. 3616/C del
15 febbraio 2008 il Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito le modalità di
conferimento del potere di rappresentanza
tramite procura speciale e di presentazione della comunicazione unica con l’utilizzo della sola firma digitale del soggetto incaricato.
Dette modalità di conferimento del
potere di rappresentanza tramite procura
sono dettagliatamente chiarite nel punto
3 della citata circolare, nel quale viene
evidenziato che con la procura, il titolare
dell’impresa, attribuisce al soggetto designato il potere di sottoscrizione digitale e
presentazione telematica della comunicazione unica all’ufficio del registro delle imprese competente per territorio, sulla
base del codice univoco di identificazione
della pratica. Tale documento ha quindi il
valore di procura speciale, ovvero limitata all’espletamento della formalità identificata dal codice univoco della pratica, in
forma scritta non autenticata.
L’ufficio del registro delle imprese,
dopo aver acquisito il documento allegato
al plico informatico, potrà eventualmente
effettuare i controlli opportuni senza arrestare o rallentare la procedura.
Premesso quanto sopra, si richiama
l’articolo 6 del d.P.R. n. 160 del 2010
Circolari e Pareri
che esplicita le funzioni dell’ Agenzia per
le imprese sia nel caso di procedimento
automatizzato che ordinario. Il comma 1
prevede che nel caso di procedimento automatizzato “.. il soggetto interessato può
avvalersi dell’Agenzia (..) “.
Il successivo comma 2, dispone che
“L’Agenzia, compiuta l’istruttoria, trasmette, in modalità telematica, al SUAP una
dichiarazione di conformità, comprensiva della SCIA o della domanda presentata dal soggetto interessato corredata dalle
certificazioni ed attestazioni richieste, che
costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività e per l’avvio immediato
dell’intervento dichiarato (...)“.
Il comma 3, che “L’Agenzia, in modalità
telematica, può presentare la SCIA presso
l’Ufficio del registro delle imprese nei casi
in cui essa sia presentata contestualmente alla comunicazione unica (...)“, come,
peraltro, già sancito dal comma 2 dell’articolo 5 del d.P.R. n. 160.
Il comma 4, infine, che “L’interessato utilizza gli strumenti informatici messi a disposizione dall’Agenzia e può, mediante apposita procura, incaricare la
stessa Agenzia di accedere, per suo conto, a tutti gli atti e i documenti necessari
che siano in possesso di un’amministrazione pubblica”.
Dal contenuto delle disposizioni citate e in particolare dal contenuto del comma 3 dell’articolo 6, risulta evidente che
l’Agenzia ha la facoltà di interagire direttamente con il registro imprese, potendo
presentare la SCIA presso tale Ufficio in
tutti i casi in cui può utilizzarsi la comunicazione unica.
Comunque, la facoltà attribuita all’Agenzia dal citato comma 3, ossia di interagire con il registro imprese, lungi dal
riferirsi al percorso procedimentale da ultimo richiamato, si riferisce invero all’esercizio della funzione da parte dell’Agenzia
nel senso che la medesima, nel caso di trasmissione contestuale alla comunicazione
unica, può assumere il ruolo di soggetto
che assiste l’impresa pur non svolgendo
una funzione amministrativa.
Questa duplicità di ruoli in capo ali’
Agenzia, peraltro, trova conferma nel contenuto del comma 4 del citato articolo 6, il
quale dispone che: “L’interessato utilizza gli
strumenti informatici messi a disposizione
dall’Agenzia e può, mediante apposita procura, incaricare la stessa Agenzia di accedere, per suo conto, a tutti gli atti e i documenti necessari che siano in possesso di un
‘amministrazione pubblica “; l’Agenzia, pertanto, assume il ruolo di alter ego del SUAP,
quando attesta la conformità alla disciplina
vigente con la sua dichiarazione, ma anche
il ruolo di assistenza ali’ imprenditore, potendo essa, sulla scorta di una procura, accedere a tutti gli atti dell’amministrazione
per conto del mandante (tutto quanto precede, ovviamente, viene meno nel caso dei
procedimenti discrezionali, ove il legislatore ha lasciato in mano dell’ Amministrazione la gestione del procedimento (cfr. articolo
7 del d.P.R. n. 160 del 2010). In conseguenza di quanto sopra, ai fini degli adempimenti pubblicitari nei confronti del registro delle
imprese, la scrivente ritiene che anche alle
Agenzie per le imprese possa essere conferito, da parte del soggetto interessato, il potere di rappresentanza tramite procura speciale redatta in forma cartacea, con firma
autografa dell’obbligato, trasmessa dall’Agenzia incaricata con propria firma digitale, come, peraltro, già consentito a professionisti o altri intermediari indicati nella citata
circolare n. 3616/C.
Tale documento è, quindi, una procura
speciale in forma scritta non autenticata, la
cui validità è limitata allo specifico adempimento identificato dal codice univoco di
identificazione della pratica.
La procura speciale, oggetto di diversi
pronunciamenti ministeriali, è tuttavia utilizzabile esclusivamente ai fini della sottoscrizione digitale della distinta relativa al
modello di trasmissione della comunicazione unica e la sua forma semplificata trova
giustificazione nel fatto che le modulistiche
149
Circolari e Pareri
allegate risultano sottoscritte, in ogni caso,
secondo le normative di riferimento di ciascuna amministrazione coinvolta.
La comunicazione unica, quindi, è
una “collezione di file” rappresentati da
un “modello Comunicazione”(decreto
19.11.2009), che funge da modello riassuntivo dei contenuti della pratica, e dalle
varie modulistiche relative ai diversi procedimenti confluiti nella procedura.
Nella fattispecie, con tale procura, il
rappresentato attribuirebbe all’Agenzia il
potere di sottoscrizione digitale e presentazione telematica della SCIA presso l’Ufficio del registro delle imprese, nel caso
in cui essa sia presentata contestualmente
alla predetta comunicazione unica, comprensiva di dichiarazione di conformità o
della domanda presentata dall’interessato.
Tale procedimento è disciplinato dal comma 2, art. 5 del citato d.P.R. n. 160/2010
(art. 6, co. 2 e 3 del d.P.R. n. 160/2010).
Anche in questo caso è utilizzabile il
formulario “tipo” di procura speciale, univoco a livello nazionale, predisposto in ottemperanza a quanto previsto dal Codice
dell’ Amministrazione digitale (art. 57 del
decreto legislativo n. 82 del 2005).
Per quanto concerne l’ulteriore quesito, ossia se l’Agenzia può “asseverare i requisiti d’impresa artigiana”, si fa presente
quanto segue.
A livello nazionale l’attività artigianale
è disciplinata dalla legge 8 agosto 1985, n.
443, “Legge-quadro per l’artigianato”, la quale agli articoli 2 e 3 definisce rispettivamente
l’imprenditore artigiano e l’impresa artigiana,
all’articolo 4 specifica i requisiti e i presupposti ai fini del riconoscimento della qualifica artigiana e all’articolo 5 prevede l’istituzione dell’Albo provinciale delle imprese
artigiane, considerandone l’iscrizione costitutiva e condizione per la concessione delle
agevolazioni a favore delle imprese artigiane.
Ciò premesso, stante il disposto di cui
all’articolo 9 della citata legge n. 443,
nonché in base alle competenze regionali sulla materia dell’artigianato, a seguito
150
dell’emanazione di specifiche discipline,
molte Regioni hanno soppresso l’Albo delle imprese artigiane sostituendolo a tutti gli
effetti con il registro delle imprese (con relativa delega alle Camere di Commercio delle funzioni amministrative concernenti l’annotazione, modificazione e cancellazione
delle imprese artigiane nella sezione speciale del registro delle imprese) ed eliminato le Commissioni provinciali per l’artigianato, le quali ai sensi dell’articolo 7 della
citata legge n. 443 valutavano e decretavano l’iscrizione all’albo, condizione necessaria per la concessione delle agevolazioni. Attualmente, pertanto, in alcuni casi i
requisiti di impresa artigiana vengono valutati e riconosciuti dalle commissioni provinciali, in altri casi dalle Camere di Commercio competenti per territorio.
In conseguenza di quanto sopra e premesso che le Agenzie per le imprese, ai
sensi della disciplina vigente (cfr. articolo 2, comma 3 del d.P.R. n. 159 del 2010)
possono accertare ed attestare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti
per la realizzazione, la trasformazione, il
trasferimento e la cessazione di un’attività
d’impresa (cfr. articolo l, comma l, lettera
h), articolo 6, e articolo 7, comma 5 del
d.P.R. n. 160 del 2010), nel caso di specie, trattandosi invece di tipologia di requisiti a fini diversi da quelli su esplicitati
e, peraltro, non di competenza del SUAP,
la scrivente ritiene che le Agenzie per le
imprese non possano attestarne l’esistenza
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RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
27 maggio 2014, n. 101231
Quesito in ordine al concetto
di “pastigliaggi”
Si fa riferimento alla nota a margine
indicata, con la quale codesto Comune
Circolari e Pareri
chiede dei chiarimenti in merito al concetto di “pastigliaggi”, stante anche la
nota ministeriale del 15-10-2007, n.
16490, che ha ricondotto i pastigliaggi all’interno dei generi alimentari non
deperibili.
Proprio con riferimento a quest’ultimo
aspetto, codesto Comune chiede di conoscere se nei cosiddetti pastigliaggi possa farsi rientrare anche il gelato alla soia
preconfezionato.
Al riguardo, la scrivente Direzione, per
quanto di propria competenza, rappresenta quanto segue.
In via preliminare, la scrivente precisa
che per l’avvio e l’esercizio di un’attività
commerciale rientrante nel settore merceologico alimentare e per la somministrazione di alimenti e bevande il vigente dettato
normativo prevede l’obbligo del possesso
dei requisiti di onorabilità e professionali ai
sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo
26 marzo 2010, n. 59 e S.m. i.
Al riguardo, richiama il Regolamento
(CE) n. I78/2002 del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 28 gennaio 2002, il
quale stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e fissa
procedure nel campo della sicurezza alimentare e che all’articolo 2 dispone: “si
intende per «alimento» (o «prodotto alimentare», o «derrata alimentare») qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato,
destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere
ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e
qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento”.
Appare chiaro, dunque, che anche il
gelato alla soia preconfezionato, nonché
i pastigliaggi, quali ad esempio le gomme
da masticare, rientrano nella definizione
di “alimento” e pertanto la vendita di tali
prodotti alimentari è consentita ai titolari
di attività commerciali in possesso del citato requisito professionale.
Fermo quanto premesso, si precisa ulteriormente che con l’entrata in vigore del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114,
ad opera dell’articolo 26 del medesimo,
è stato abrogato il d.m. 4 agosto 1988, n.
375, ad esclusione del comma 9 dell’articolo 56 e dell’allegato 9.
Il citato comma 9, tuttora vigente, dispone l’istituzione di tre apposite tabelle
per i titolari di farmacie, di rivendite di generi di monopolio e di impianti di distribuzione automatica di carburanti, il cui contenuto è elencato nell’allegato 9.
La tabella speciale dei titolari di rivendite di generi di monopolio comprende,
tra gli altri, anche la voce pastigliaggi vari
(caramelle, confetti, cioccolatini, gomme
americane e simili).
Nonostante tale tabella preveda in minima parte anche la vendita di generi alimentari, la scrivente Direzione ha avuto modo di precisare che al rivenditore in
questione non è richiesto il possesso del
requisito professionale ai sensi dell’articolo 71, comma 6 del decreto legislativo
26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i., obbligatorio, invece, per le altre attività commerciali al dettaglio inerenti il settore merceologico alimentare.
Da ciò si desume, la volontà del legislatore pro tempore di accordare detta possibilità a specifiche categorie di rivenditori,
inserendo, appunto, la voce “pastigliaggi
vari” nella tabella merceologica speciale
a loro riservata.
Resta fermo, comunque, ad avviso della scrivente, che in nessun caso il gelato
alla soia preconfezionato può essere fatto
rientrare nella categoria dei “pastigliaggi”
di cui alla tabella speciale citata; esso è da
considerarsi, pertanto, un prodotto alimentare la cui vendita non può essere consentita negli esercizi legittimati alla vendita di
prodotti non alimentari.
151
Circolari e Pareri
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RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
27 maggio 2014, n. 101242
Art. 1 D.P.R. 19 dicembre 2001,
n. 481 – Noleggio veicoli senza
conducente on-line – Quesito
Si fa riferimento alla nota a margine indicata con la quale codesto Comune ha
richiesto informazioni in ordine all’ammissibilità dell’attività di noleggio di autoveicoli senza conducente in modalità telematica.
In particolare ha chiesto se una società
può svolgere tale attività attraverso un sito
internet, utilizzando un posteggio a pagamento presso un garage di terzi e provvedendo, quindi, alla consegna delle stesse
presso il domicilio dei clienti, non effettuando alcuna attività in sede fissa né di
ricezione del pubblico.
Ha chiesto, altresì, se tale società può
prevedere, quale sede legale, la residenza del titolare e se l’attività può essere legittimamente svolta previa presentazione
di una Segnalazione Certificata di Inizio
di Attività (SCIA).
Al riguardo, considerato il contenuto
della richiesta di codesto Comune, la scrivente Direzione ha inoltrato il quesito al
competente Ministero delle Infrastrutture
e dei Trasporti, il
quale, con nota n. 8293 (prot. di arrivo 11-4-2014, n. 60627) ha evidenziato
quanto di seguito si
riporta:
“In relazione a quanto richiesto con la
nota in epigrafe, ad avviso di questa Direzione generale la locazione senza conducente dei veicoli non rientra tra le attività
di autotrasporto, ma piuttosto costituisce
uno degli strumenti tramite i quali un soggetto può avere in disponibilità un veicolo, corrispondendo una controprestazione economica al soggetto che esercita la
152
predetta attività. Ciò per significare che
la materia in parola non rientra tra quelle
attribuite alla scrivente Direzione ai sensi
della normativa in vigore.
Ciò premesso, si precisa, in ogni caso,
che l’art. 84 del codice della strada (d.lgs.
285/2005) non prevede la necessità – da
parte del locatario – di avere in disponibilità specifici locali, quali rimesse per i veicoli oggetto della locazione”.
Fermo quanto sopra, con riferimento
alla richiesta di conoscere se l’attività può
essere legittimamente svolta previa presentazione di una Segnalazione Certificata di
Inizio di Attività (SCIA), la scrivente richiama il d.P.R. 19-12-2001, n. 481, emanato
su proposta del Presidente del Consiglio
e del Ministro per la funzione pubblica,
di concerto con il Ministro dell’Interno, il
quale all’articolo l, comma l dispone che
“L’esercizio dell’attività di noleggio di veicoli senza conducente è sottoposto a denuncia di inizio di attività da presentarsi
ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comune nel cui territorio è la sede legale dell’impresa e al comune nel cui territorio è presente ogni
singola articolazione commerciale dell’impresa stessa per il cui esercizio si presenta la denuncia”.
Si precisa, ovviamente, che la prevista denuncia di inizio di attività, ai sensi
dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990,
n. 241, a seguito delle numerose modificazioni e integrazioni che hanno riguardato il testo dell’articolo in parola, è stata sostituita dalla Segnalazione Certificata
di Inizio di Attività (SCIA).
Infine, con riferimento alle specifiche
modalità di svolgimento dell’attività come
indicate nel quesito, la scrivente rileva che
non sussiste nella disciplina vigente il divieto di indicare, quale sede legale dell’azienda, la residenza del titolare.
Circolari e Pareri
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RISOLUZIONE MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO
27 maggio 2014, n. 101229
Attività di vendita on line
di programmi software per
elaboratori elettronici – Richiesta
parere
Si fa riferimento alla nota pervenuta
per e-mail, con la quale codesto Comune
chiede alcune informazioni con riferimento all’attività di sviluppo di programmi software per elaboratori elettronici da parte di
una società, che verrebbero poi distribuiti a soggetti professionali con partita IVA.
Premesso quanto sopra chiede se:
la predetta attività di e-commerce debba essere considerata come attività di commercio al dettaglio e se, pertanto, per l’esercizio della stessa occorra la preventiva
presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività; la medesima attività di e-commerce, nel caso in cui sia
effettuata commercializzando anche software sviluppati da terzi, debba essere
considerata come attività di commercio
all’ingrosso con relativa presentazione della SCIA. Al riguardo, la scrivente Direzione rappresenta quanto segue.
L’articolo 4, comma 1, lettera a) del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
114 definisce il commercio all’ingrosso come quell’attività svolta da chiunque
professionalmente acquista merci in nome
e per conto proprio e le rivende ad altri
commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o
ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande (...)“.
La successiva lettera b) del medesimo
articolo definisce, altresì, il commercio al
dettaglio, qualificando lo come quell’attività “svolta da chiunque professionalmente
acquista merci in nome e per conto proprio
e le rivende,su aree private in sede fissa o
mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”. Sulla base
di quanto previsto dalla citata normativa di
settore, appare evidente che la prima tipologia di attività in discorso, ovvero la vendita on-line di programmi software sviluppati
direttamente dalla società e poi distribuiti
a professionisti in possesso di partita IVA,
non può essere considerata commercio al
dettaglio, in quanto non rivolta al consumatore finale, né commercio all’ingrosso, in
quanto la società in questione non acquista i programmi software, bensì li sviluppa.
In conseguenza di quanto sopra, il secondo caso oggetto del quesito, ossia
l’attività di vendita di programmi software sviluppati da altri, rientra invece nella tipologia di commercio all’ingrosso e
quindi l’avvio della medesima è soggetto alla preventiva presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività
(SCIA), stante quanto precisato dalla scrivente Direzione nella nota n. 135873 del
6-10-2010, che si allega.
153
Commercio e Attività Produttive
News
Contenuti
Le fiere, le sagre e le feste paesane, che hanno, nel nostro Paese,
grandissima diffusione e notevole rilevanza economica, sono disciplinate
da diverse normative, in quanto molteplici sono le attività che si sviluppano
all’interno di esse: attività commerciali, di ristorazione,
di pubblico spettacolo e di intrattenimento.
Tali manifestazioni, pertanto, coinvolgono non poco le amministrazioni
locali, impegnate sia nelle fasi organizzative che nei controlli da
effettuare affinché le stesse si svolgano regolarmente e in piena sicurezza
per i partecipanti.
À
VIT
NO
›
›
›
›
Prontuario delle violazioni
Casi operativi
Modulistica
Bozza di regolamento comunale
per le manifestazioni di sorte locali
Maggio 2013 - pp. 306 - f.to 17x24 - Codice 81148 - € 38,00
Elena Fiore,
Comandante del Corpo di Polizia municipale di Forlì,
docente nei corsi di formazione per operatori di Polizia locale,
è autore di numerose pubblicazioni per i tipi della Maggioli Editore.
Indice
Presentazione
TITOLO I
FIERE, SAGRE E FESTE PAESANE
Cap. I - Le attività che si svolgono nelle fiere, nelle sagre e nelle feste paesane
1. Premessa 2. Le attività presenti nelle fiere, nelle sagre e nelle feste
paesane
Cap. II - Il controllo delle fiere, delle sagre e delle feste paesane
1. Le sanzioni 2. Casi operativi svolti 3. Prontuario
Cap. III - La modulistica per le fiere, le sagre e le feste paesane
1. Regolamento per il funzionamento e la disciplina della commissione
comunale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo 2. Ordinanza
di confisca di merce venduta abusivamente da cittadino extracomunitario
3. Delibera per la destinazione della merce confiscata sulle aree pubbliche
TITOLO II
LA DISCIPLINA DELLE MANIFESTAZIONI A PREMIO E DI SORTE
LOCALI
Cap. I - Le manifestazioni a premio
1. Il nuovo regolamento per la disciplina delle manifestazioni a premio
2. La normativa abrogata 3. Le manifestazioni a premio
4. Gli adempimenti dei promotori 5. Il controllo delle manifestazioni
a premio
Cap. II - Le manifestazioni di sorte locali
1. Premessa 2. Le manifestazioni di sorte vietate 3. Le manifestazioni
di sorte locali consentite 4. Le lotterie, le tombole, le pesche
di beneficenza 5. La comunicazione 6. Il nulla osta dell’Amministrazione
Autonoma Monopoli di Stato 7. La cauzione 8. La ritenuta fiscale
sui premi e sulle vincite 9. Gli adempimenti dei promotori 10. L’incaricato del
Sindaco 11. Il controllo delle manifestazioni di sorte locali
Cap. III - Il sistema sanzionatorio
1. Le sanzioni 2. Casi operativi svolti 3. Prontuario
Cap. IV - La modulistica per le manifestazioni di sorte locali
1. Comunicazione per lotteria 2. Comunicazione per tombola
3. Comunicazione per pesca o banco di beneficenza 4. Processo verbale
per estrazione di lotteria 5. Processo verbale per estrazione di tombola
6. Processo verbale per pesca di beneficenza 7. Avviso pubblico di lotteria
8. Avviso pubblico di tombola 9. Informativa al Prefetto per comunicazione
irregolare 10. Decreto di nomina di incaricato del Sindaco
Cap. V - Il regolamento comunale
1. Il regolamento comunale per le manifestazione di sorte locali
Appendice
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Normativa regionale
a cura di Emanuela Caneponi
Orario di apertura degli esercizi commerciali - Iter normativo della
Proposta di legge
L’Assemblea della Camera lo scorso 25 settembre ha approvato l’A.C.750 A/R
“Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali” che, apporta alcune limitazioni alla liberalizzazione degli orari di vendita previsti dalla disciplina vigente.
In particolare, il progetto di legge prevede che in dodici giorni festivi dell’anno,
specificamente indicati nel testo1, le attività commerciali debbano essere svolte
nel rispetto degli orari di apertura e di chiusura domenicale e festiva.
Viene, però, contestualmente consentito a ciascun esercente l’attività di vendita al dettaglio, di derogare all’obbligo di chiusura, fino a un massimo di sei giorni, individuati liberamente tra i dodici indicati dal testo. Sono escluse dal campo
di applicazione di tali limiti le attività di somministrazione di alimenti e bevande,
nonché le attività individuate dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 114/1998 quali: le rivendite di generi di monopolio, i negozi interni agli alberghi, alle stazioni,
ai porti e agli aeroporti, le edicole, le stazioni di servizio e le sale cinematografiche ed altre tipologie di attività. Le disposizioni relative all’obbligo di chiusura nei
giorni festivi si applicano a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello
dell’entrata in vigore della proposta di legge in esame.
Ciascun comune, anche in coordinamento con altri comuni contigui, può
predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, ferme restando le citate limitazioni, con
la finalità di assicurare la fruibilità dei servizi commerciali, promuovere l’offerta
commerciale e valorizzare zone a più marcata vocazione commerciale. Al fine
di favorire l’adesione a tali accordi territoriali da parte delle micro, piccole e medie imprese del commercio, le regioni e i comuni possono stabilire incentivi, anche sotto forma di agevolazioni fiscali relative ai tributi di propria competenza.
Ai sindaci è conferita anche la facoltà di porre limiti agli orari di apertura notturna in determinate zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione serale, per esigenze di sostenibilità ambientale o sociale, di tutela dei
beni culturali, di viabilità o di tutela del diritto dei residenti alla sicurezza e al riposo, attraverso ordinanze con validità di tre mesi che possono essere reiterate.
Il testo approvato prevede anche la facoltà (e non più l’obbligo) di istituire un
Osservatorio sugli orari dei negozi e l’accesso, riservato alle sole microimprese a
un fondo ad hoc (con dotazione di 18 milioni di euro fino al 2020) per sostenere
(1) I dodici giorni in riferimento sono: 1) il 1° gennaio, primo giorno dell’anno; 2) il 6
gennaio, festa dell’Epifania; 3) il 25 aprile, anniversario della Liberazione; 4) la domenica
di Pasqua; 5) il giorno di lunedì dopo Pasqua; 6) il 1° maggio, festa del lavoro; 7) il 2 giugno, festa della Repubblica; 8) il 15 agosto, festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria; 9) il 1° novembre, festa di Ognissanti; 10) l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione; 11) il 25 dicembre, festa di Natale; 12) il 26 dicembre, festa di santo Stefano”.
155
Normativa regionale
spese di ampliamento delle attività, ma anche per l’accrescimento dell’efficienza energetica e per l’erogazione dei contributi integrativi per il pagamento dei
canoni di locazione.
Questa proposta di modifica dovrà ora essere approvata dal Senato che, nel frattempo, ha emanato un Dossier, redatto dal proprio Centro studi in cui, oltre ad una
sintesi del contenuto della proposta di legge, ha elaborato una scheda di lettura
di ogni singolo articolo. Nella seduta del 7 ottobre l’atto è stato assegnato alla 10a
Commissione Industria, Commercio, Turismo, che non ha ancora iniziato l’esame.
• Programmazione commerciale
La Giunta regionale del Piemonte, con Delibera n. 20 - 587 del 18 novembre
2014, ha approvato i criteri e le modalità contenuti nell’Allegato 1 - Programmazione 2014-2015 “Programmi di Qualificazione Urbana - Percorsi Urbani del
Commercio”, rivolti principalmente a comuni e unioni di comuni e finalizzati a riconoscere al commercio un ruolo centrale nelle scelte di programmazione territoriale. Le risorse a disposizione sono complessivamente, fino al 2016,
di 15,8 milioni di euro.
L’obiettivo è valorizzare i luoghi del commercio nei comuni piemontesi attraverso iniziative di riqualificazione urbanistica, favorendo la creazione di “centri
commerciali naturali” e sostenendo progetti specifici nei territori più svantaggiati.
Il provvedimento più consistente riguarda l’approvazione dei “Percorsi urbani
del commercio”, che prevede interventi quali la risistemazione viaria finalizzata
anche alla pedonalizzazione, il rifacimento o la realizzazione di impianti di illuminazione pubblica, la realizzazione di arredi urbani, la creazione di aree da
destinare a verde pubblico e ludico-ricreative.
Saranno ritenuti ammissibili anche altri interventi, purché strettamente funzionali alla realizzazione del progetto complessivo di valorizzazione commerciale.
I soggetti beneficiari hanno diritto ai finanziamenti nei limiti delle disponibilità
finanziarie previste per ciascuna annualità che, per la programmazione 201415, ammontano a 4 milioni di euro a cui si aggiungono le somme non utilizzate nell’ambito della programmazione 2013-14, ancora disponibili al momento
della predisposizione della graduatoria finale.
Inoltre, sarà rivolto ai comuni anche un bando, per il quale sono stati stanziati 500 mila euro, per il sostegno alle imprese che operano nell’ambito dei “percorsi urbani del commercio”, ovvero quei luoghi ove il commercio di tradizione
è nato e si è sviluppato. I progetti, in questo caso, dovranno riguardare iniziative
specifiche per garantire l’uniformità dell’ambiente in cui operano le imprese, favorendo il commercio di vicinato e i servizi di prossimità al cittadino.
Infine, in ottica di sostenere progetti promossi in ambiti territoriali svantaggiati, montani e non, a rischio di “desertificazione commerciale”, sono a disposizione risorse per 300 mila euro, soprattutto per finanziare progetti che agevolino le
consegne e lo smistamento degli ordini di spesa, promuovendo anche l’associazionismo intercomunale a tale scopo.
156
Normativa regionale
• Distretti urbani del commercio
La Regione Lombardia, con la Deliberazione di Giunta n. 10/2644 del 14 novembre 2014, ha approvato un bando che mette a disposizione degli esercizi dei
Distretti urbani del commercio 522.000,00 euro per promuovere l’attrattività e la
competitività degli esercizi pubblici e commerciali attraverso la realizzazione di
vetrine e spazi espositivi creativi, per costruire un’esperienza d’acquisto coinvolgente ed emozionale e massimizzare i risultati e la redditività dei punti vendita.
La Giunta regionale con la Deliberazione n. 2435 del 26 settembre 2014 aveva approvato i criteri di attuazione del bando “Creatività e Commercio”, inserito
nel Piano d’azione regionale 2014-2015, per la Moda e il Design, attraverso il
quale la Regione ha adottato un piano d’azione pluriennale a sostegno di questi
comparti con una serie di linee di intervento finalizzate a creare connubi sperimentali tra terziario e creatività.
I finanziamenti saranno trasferiti a Unioncamere Lombardia in qualità di soggetto attuatore della misura e, potranno essere incrementati, a seguito di ulteriori risorse che dovessero rendersi disponibili da parte del Sistema camerale lombardo e di Enti locali interessati all’iniziativa.
Beneficiari del contributo a fondo perduto fino a un massimo del 75% delle spese ammissibili e fino ad un massimo di 15.000 euro, sono le micro, piccole e medie imprese operanti nel settore degli esercizi pubblici e commerciali,
che rientrano nel perimetro dei Distretti Urbani del Commercio (DUC) riconosciuti dalla Regione Lombardia. Saranno previste limitazioni relative agli esercizi commerciali e turistici che detengono, a qualsiasi titolo, apparecchi per il
gioco d’azzardo lecito.
Sono ammessi a contributo l’acquisto e/o il noleggio di prodotti per allestimenti; le spese di adeguamento delle vetrine e dei luoghi in cui saranno realizzati gli spazi espositivi; le spese per l’acquisto di servizi e consulenze finalizzate
alla realizzazione delle vetrine e degli spazi espositivi; le spese per la promozione, comunicazione e pubblicità dell’iniziativa e dei prodotti esposti l’acquisto e/o il noleggio di hardware e software esclusivamente funzionale alla realizzazione del progetto.
L’assegnazione del contributo avviene sulla base di una procedura valutativa
a sportello, secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande previa istruttoria formale volta a verificare il possesso dei requisiti previsti dal bando. La valutazione delle proposte progettuali ritenute formalmente ammissibili
sarà validata da un Nucleo di valutazione, composto da rappresentanti di Regione Lombardia e di Unioncamere Lombardia, nominato con apposito provvedimento regionale.
La Regione Veneto, con la Deliberazione di Giunta n. 1912 del 14 ottobre
2014, e l’Allegato A parte integrante della delibera, ha presentato il bando per
il finanziamento di progetti-pilota finalizzati all’individuazione dei Distretti del
commercio. La misura complessiva del finanziamento regionale ammonta a 5,7
157
Normativa regionale
milioni di euro (a cui potrà aggiungersi il cofinanziamento dei comuni). Le domande vanno presentate dai comuni in forma singola o associata, anche su iniziativa delle organizzazioni delle imprese del commercio e dei consumatori.
I Distretti del commercio sono una progettualità di grande innovazione, all’interno della cornice totalmente nuova disegnata dalla legge regionale sulle politiche
per lo sviluppo del sistema commerciale nel Veneto (L.r. n. 50/2012) e la regione, attraverso un percorso condiviso con le associazioni di categoria e il territorio, con questo strumento intende ridare valore alla polarità del commercio nei
centri urbani, superando anche la contrapposizione con la grande distribuzione.
I Distretti del commercio sono aree di rilevanza comunale o intercomunale nelle quali i cittadini e le imprese, liberamente aggregati, qualificano il commercio come fattore di innovazione, integrazione e valorizzazione delle risorse
di cui dispone il territorio al fine di accrescerne l’attrattività, rigenerare il tessuto
urbano e sostenere la competitività delle sue polarità commerciali. Il distretto è
costituito da attività commerciali di vendita al dettaglio e di somministrazione,
ma anche da altre tipologie di attività produttive e di servizi. La guida sarà affidata alla figura professionale del “manager del distretto”, individuato dai partners,
e gli impegni dei soggetti aderenti ai distretti saranno regolati da un “accordo di
partenariato”. Il partenariato dovrà essere costituito dal comune, da almeno due
organizzazioni delle imprese commerciali e dei servizi e da imprese prevalentemente del commercio ma comunque aperto anche ad altri soggetti.
Il bando prevede, tra l’altro, misure di finanziamento per interventi strutturali, comunicazione e animazione del territorio, miglioramento dei servizi legati
all’accoglienza turistica per favorire l’utilizzo dei luoghi di interesse commerciale, enogastronomico, della produzione artistica e creativa. I programmi di intervento avranno una durata di 18 mesi (dall’1 gennaio 2015 al 30 giugno 2016)
con possibilità di proroga fino a 24 mesi. Il bando prevede alcuni rilevanti fattori
di “premialità” nell’assegnazione dei contributi attraverso misure fiscali di vantaggio, di politiche di riuso delle unità immobiliari commerciali sfitte nei centri storici e urbani, di avvio di nuove imprese commerciali da parte di lavoratori espulsi dai processi produttivi.
• Centri Commerciali Naturali (CCN)
Rendere l’offerta delle imprese commerciali e artigianali insediate nei centri
storici di Perugia e Terni più attrattiva e competitiva, attraverso progetti aziendali supportati da investimenti innovativi, è questa la principale finalità del bando della Regione Umbria per la concessione di contributi per la valorizzazione delle reti di impresa costituite in Centri commerciali naturali (CCN), dotati
di una autonoma struttura organizzativa. I finanziamenti messi a disposizione
dalla Regione, complessivamente 2 milioni di euro per le imprese del commercio di Perugia e Terni e 200 mila euro per quelle artigiane, equamente ripartiti, prevedono un contributo pubblico a fondo perduto in conto capitale (regime “de minimis”), nel limite massimo del 60% dell’investimento ammesso per
158
Normativa regionale
i progetti comuni, e del 50% dell’investimento ammesso per i progetti singoli.
Ai fini dell’ammissibilità, e a pena di esclusione il progetto generale di ciascun
CCN deve prevedere almeno i cinque progetti comuni riguardanti: i sistemi per
l’accesso Wi-Fi gratuito a Internet; il portale web per il commercio elettronico
e/o per la promozione; la fidelity card, marchi, brand, loghi, elementi caratteristici e distintivi, portali di ingresso. Le richieste di contributo dovranno essere
presentate da almeno 30 piccole e medie imprese che, alla data di presentazione della domanda, esercitano attività commerciale o artigianale nelle aree dei
centri storici di Perugia e Terni. Imprese singole o associate, comunque aderenti al medesimo Centro commerciale naturale innovativo e stabile, costituito o da
costituire. Il bando rappresenta un nuovo strumento a disposizione delle imprese per sostenere l’economia attraverso l’innovazione, uno dei fattori ormai indifferibili per stare sui mercati e per essere competitivi.
• Vendite di fine stagione
Nella Regione Marche le vendite di fine stagione, per l’anno 2015, si potranno effettuare in due periodi: dal 5 gennaio al 1 marzo e dal 4 luglio al 1 settembre. L’ha stabilito la Giunta regionale, con Delibera n. 1197 del 27 ottobre 2014.
Le date d’inizio sono identiche su tutto il territorio regionale, a seguito dell’accordo del 2011 maturato all’interno della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, poi recepito a livello locale. L’intesa prevede, annualmente, l’inizio delle vendite dal primo giorno feriale antecedente l’Epifania e dal primo
sabato del mese di luglio. L’individuazione delle date di conclusione sono invece lasciate alla valutazione delle singole Regioni, sulla base delle diverse esigenze territoriali. La regione ha concordato il periodo d’inizio e fine con le limitrofe Regioni dell’Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo, con cui la regione ha
deciso di condividere un percorso comune sia per aiutare le famiglie e le attività commerciali da una difficile situazione di stagnazione, sia per scongiurare
la concorrenza di confine, particolarmente avvertite nei bacini di consumo che
gravitano su realtà amministrative diverse.
• Mercati tipici
La legge sul commercio n. 17/2010 dalla Provincia autonoma di Trento, ha
introdotto nell’ordinamento provinciale la nuova figura del “mercato tipico”,
che si affianca ad altre fattispecie accomunate dall’offerta di prodotti di varie tipologie merceologiche, in un contesto a carattere temporaneo come, ad esempio, manifestazioni fieristiche, mercati su aree pubbliche o vendite temporanee
in occasione di sagre o feste.
Le principali caratteristiche del “mercato tipico”, secondo la legge, sono che
debba essere promosso da un unico soggetto organizzatore privato, avere quale scopo esclusivo la vendita al dettaglio, prevedere che i partecipanti possano
essere operatori appartenenti a tutte le categorie merceologiche e che i prodotti
posti in vendita debbano appartenere a una merceologia specifica o richiamare
159
Normativa regionale
un tema specifico o una tradizione. La stessa legge del 2010 ha previsto che la
Giunta provinciale possa aggiungere ulteriori caratteristiche al “mercato tipico”.
Con le Deliberazioni n. 1559 e 1560 dell’8 settembre 2014 sono state individuate ulteriori caratteristiche allo scopo di chiarire quanto già previsto dalla
normativa e di distinguere ulteriormente la fattispecie del “mercato tipico” dagli
altri istituti similari. In particolare sono stati individuati i limiti temporali di tale
manifestazione, prevedendo che possa svolgersi, salvo deroghe, una sola volta
all’anno per una durata di 7 giorni, a meno che non sia legata ad una festa tradizionale. È stata, inoltre, ulteriormente specificata la “tipicità” dei prodotti posti
in vendita che dovranno essere legati ad una tradizione o agli “antichi mestieri”, oppure essere alternativamente: innovativi e originali, prodotti artigianali di
particolare pregio o prodotti “di nicchia”.
Contestualmente ai criteri, con la delibera è stato approvato il modello di domanda di svolgimento del mercato tipico, che sarà gestito tramite lo Sportello
unico telematico per le attività produttive (SUAP).
160
Cronache regionali a cura di Silvana Adriana Panetta
Vendite promozionali
e di fine stagione
1. Il contesto economico e la disciplina nazionale
L’attuale contesto economico-finanziario e la perdurante situazione
di recessione tendono a far proliferare fenomeni per i quali, a fronte di
una netta contrazione dei consumi, si moltiplicano le iniziative delle
imprese, volte ad indirizzare ed influenzare le scelte dei consumatori
che, se in teoria possono trarre vantaggio dalle offerte “speciali”, sono
anche più esposti a forme di pubblicità ingannevole, ad offerte promozionali non veritiere o comunque eccessivamente enfatiche e ad altre
insidie, mentre le imprese spesso utilizzano le vendite straordinarie per
farsi concorrenza, allo scopo di recuperare o mantenere una clientela che dispone di budget più ridotti ed anche, purtroppo, per ottenere liquidità ed evitare il dilagante fenomeno della chiusura degli esercizi commerciali.
In questo periodo dell’anno, in particolare, si ripropone il tema della coesistenza di tipologie diverse di vendite straordinarie, ciascuna con
le sue caratteristiche, ma spesso, nella pratica, difficilmente distinguibili.
L’articolo 15 del decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998 (1) classifica come “straordinarie” le vendite di liquidazione, di fine stagione e
le promozionali. Si tratta di tre tipologie di vendita diverse, con un’unica
caratteristica: in tutte “l’esercente dettagliante offre condizioni favorevoli, reali ed effettive, di acquisto dei propri prodotti”.
Tralasciando, al momento, le vendite di liquidazione che, pur potendo
essere effettuate in ogni momento dell’anno, necessitano di una specifica
motivazione (cessazione dell’attività, cessione o trasferimento dell’azienda, trasformazione o rinnovo dei locali), il problema maggiore è determinato dalla coesistenza delle vendite di fine stagione e di quelle promozionali, benché spesso anche in relazione a quelle di liquidazione si
rilevino non pochi problemi concreti.
Dalla lettura dell’articolo 15, la differenza teorica delle due tipologie
di vendite appare chiara:
(1) “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
161
Cronache regionali
a)le vendite di fine stagione “riguardano i prodotti, di carattere stagionale o di moda, suscettibili di notevole deprezzamento se non vengono venduti entro un certo periodo di tempo”;
b)le vendite promozionali “sono effettuate dall’esercente dettagliante
per tutti o una parte dei prodotti merceologici e per periodi di tempo limitato”.
Lo stesso articolo 15, mentre nulla dice per le vendite promozionali,
attribuisce alle regioni il compito di disciplinare “le modalità di svolgimento, la pubblicità, anche ai fini di una corretta informazione del consumatore, i periodi e la durata delle vendite di liquidazione e delle vendite di fine stagione”.
Per quanto riguarda le vendite promozionali, invece, è intervenuto il
decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006 (2) che, ai sensi dell’articolo 117,
secondo comma, lettera e) ed m) della Costituzione, all’articolo 3, comma 1, lettere e) e f), ha escluso la possibilità di prevedere per le attività
commerciali “la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a
meno che non siano prescritti dal diritto comunitario” e “l’ottenimento di
autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente
precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti”.
Come si può notare, la disposizione non prevede più le limitazioni contenute nell’articolo 15 citato, ossia la possibilità di effettuare le vendite
promozionali solo per “periodi di tempo limitato” e dunque introduce la
liberalizzazione di tali vendite.
Qualche regione, nel tentativo di regolamentare le vendite promozionali, aveva provato a introdurre disposizioni limitative.
2. Disposizioni regionali in materia di vendite promozionali
2.1. La normativa della Provincia Autonoma di Trento
Ad esempio, la Provincia Autonoma di Trento, con la legge n. 4 del 3
aprile 2009 (3) ed in particolare con l’articolo 3, commi 1 e 6, intervenendo
(2) “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del
4 agosto 2006.
(3) “Norme di semplificazione e anticongiunturali di accompagnamento alla manovra
finanziaria provinciale di assestamento per l’anno 2009”.
162
Cronache regionali
sulla legge n. 4 dell’8 maggio 2000 (4), aveva stabilito che l’esercente che
volesse effettuare vendite promozionali, ne dovesse dare comunicazione
alla CCIAA e per conoscenza al comune competente per territorio, prevedendo anche una sanzione amministrativa in caso di inadempienza.
Secondo la provincia, un tale obbligo non costituiva una forma di autorizzazione preventiva alla vendita, ma semplicemente una mera pubblicità-notizia, con effetti dichiarativi e non costitutivi, ossia uno strumento
finalizzato ad assicurare una conoscenza del fenomeno, senza limitarlo
né comprimerlo, in quanto a tale adempimento non era subordinata alcuna attività valutativa da parte dell’Amministrazione. Si sarebbe trattato, in sostanza, solo di una misura di carattere organizzativo inerente allo
svolgimento delle attività commerciali, negli ambiti di competenza provinciale assegnati dallo Statuto.
La Presidenza del Consiglio dei ministri ha impugnato la norma davanti
alla Corte Costituzionale, ritenendola incidente non sulla materia “commercio”, di competenza provinciale, bensì sulla “tutela della concorrenza”, di spettanza esclusiva dello Stato e sostenendo che tale disposizione
fosse in contrasto con quelle statali che impongono una completa liberalizzazione delle vendite promozionali.
Senza attendere il giudizio, la Provincia di Trento è intervenuta con la
legge n. 19 del 28 dicembre 2009, eliminando l’obbligo di comunicazione preventiva per le vendite pubblicizzate come promozionali e la correlata sanzione per il suo mancato inoltro.
Conseguentemente, la Corte Costituzionale ha dichiarato, con ordinanza n. 136/2010, cessata la materia del contendere, anche in considerazione del fatto che la norma sospettata di incostituzionalità non aveva
ancora mai trovato applicazione sanzionatoria.
2.2. La normativa della Regione Liguria
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata anche in relazione all’articolo 113, comma 2, della legge della Regione Liguria n.
1 del 2 gennaio 2007 (5), come sostituito dall’articolo 27 della legge regionale n. 14 del 3 aprile 2007 (6), il quale stabiliva che: “Non possono
essere effettuate vendite promozionali nei quaranta giorni antecedenti le
vendite di fine stagione o saldi”.
(4) “Disciplina dell’attività commerciale in provincia di Trento”.
(5) “Testo unico in materia di commercio”.
(6) “Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2007”.
163
Cronache regionali
Il Giudice di pace di Genova, nel corso di un giudizio di opposizione
a seguito di una sanzione amministrativa irrogata a causa di una vendita
promozionale effettuata in periodo vietato, si era rivolto alla Corte Costituzionale ritenendo che la norma regionale censurata ponesse una disciplina difforme da quella nazionale, che ha eliminato le limitazioni (temporali, quantitative e procedurali) relative alle vendite promozionali, con
l’unica eccezione riferita ai periodi immediatamente precedenti i saldi di
fine stagione per i medesimi prodotti.
Secondo il ricorrente, la norma ligure avrebbe violato l’articolo 117,
secondo comma, lettera e) della Costituzione, in quanto “le vendite promozionali sono previste allo scopo di garantire un regime di libera concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e un regolare funzionamento del mercato”, ed anche la lettera m) dello stesso comma, in quanto
“le vendite promozionali sono previste al fine di assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di acquisto di prodotti e di servizi”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 232 del 21 giugno 2010,
ha invece ritenuto fondata la questione di legittimità solo sotto il profilo della violazione della lettera e) e dunque della competenza esclusiva
dello Stato in materia di “tutela della concorrenza”.
Secondo la Corte, i due tipi di vendita (promozionali e di fine stagione) – riunite dall’articolo 15 del d.lgs. n. 114/1998 nel più ampio genus
delle “vendite straordinarie” – “trovano il loro peculiare tratto distintivo
nel fatto che, alla tendenziale possibilità di svolgimento durante tutto l’arco dell’anno delle vendite promozionali, che possono riguardare qualsiasi tipo di merce, si contrappone la stretta connessione tra alcuni specifici
prodotti merceologici (connotati appunto dalle caratteristiche della stagionalità ovvero della rispondenza ai dettami della moda del momento)
ed il dato temporale che, onde evitare una perdita di valore commerciale dei prodotti stessi, giustifica l’effettuazione delle vendite di fine stagione o saldi solo in ben determinati periodi dell’anno”.
Un divieto generalizzato di effettuare, nel periodo antecedente le vendite di fine stagione, vendite promozionali per qualsiasi tipologia di prodotti (stagionali e non), si porrebbe pertanto in aperto contrasto con la
disciplina statale, che consente soltanto di prevedere un termine antecedente a quello di svolgimento delle vendite di fine stagione, durante il
quale non possono essere effettuate solo le vendite promozionali che abbiano ad oggetto gli stessi prodotti destinati ad essere posti in saldo. Il Legislatore regionale ha quindi invaso la sfera di competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza.
164
Cronache regionali
Successivamente, la norma regionale è stata più volte modificata, fino
al testo attualmente vigente:
“Art. 113 – Vendite promozionali.
1. Le vendite promozionali sono effettuate dall’esercente dettagliante
per tutti o una parte dei prodotti merceologici non oggetto delle vendite
di fine stagione o saldi e per periodi di tempo limitati e residuali rispetto
a quelli di cui al comma 2.
2. Non possono essere effettuate vendite promozionali nei quaranta giorni antecedenti le vendite di fine stagione o saldi per la medesima merceologia di prodotti stagionali o di moda tradizionalmente oggetto delle vendite di fine stagione. Per medesima merceologia di prodotti s’intendono:
a) abbigliamento;
b) calzature;
c) biancheria intima;
d) accessori di abbigliamento;
e) pelletterie.
2-bis. Solo in casi straordinari legati a gravi eventi calamitosi per i quali
è stato decretato lo stato di emergenza, quali tra l’altro danni alluvionali,
i Comuni possono adottare provvedimenti motivati di deroga rispetto a
quanto previsto al comma 2 anche per singole parti del territorio.
2-ter. La Giunta regionale, su richiesta delle organizzazioni di categoria
maggiormente rappresentative a livello regionale delle imprese del commercio e sentiti i Comuni, può ogni anno stabilire l’effettuazione delle vendite promozionali in deroga a quanto previsto al comma 2.
3. L’esercente dettagliante che intende effettuare la vendita promozionale
è tenuto a darne comunicazione, con avviso apposto nel locale di vendita
ben visibile dall’esterno, almeno tre giorni prima della data prevista per l’inizio delle vendite, indicando quanto previsto all’articolo 112, comma 1”.
Si nota come sia stata mantenuta la limitazione “per periodi di tempo
limitati” e si preveda inoltre l’obbligo di effettuare una serie di indicazioni alla clientela.
3. Vendite di fine stagione e promozionali
La possibilità di coesistenza di vendite promozionali e di fine stagione
è scaturita proprio dalla liberalizzazione introdotta dal d.l. n. 223/2006.
Già la legge n. 80 del 19 marzo 1980 (7), abrogata dall’articolo 26 del
(7) “Disciplina delle vendite straordinarie e di liquidazione”.
165
Cronache regionali
d.lgs. n. 114/1998, all’articolo 8 prevedeva una specifica regolamentazione per le vendite promozionali dei prodotti compresi nella tabella IX,
ossia abbigliamento, calzature e accessori, stabilendo che esse non potessero essere effettuate durante il periodo dei saldi e nei quaranta giorni precedenti.
Le promozioni dovevano inoltre essere comunicate al comune con almeno cinque giorni di anticipo. A tali restrizioni non erano soggette le
vendite di prodotti alimentari e per l’igiene della persona e della casa,
che potevano essere effettuate durante tutto l’anno e senza necessità di
comunicazione preventiva. Tutti gli altri prodotti potevano essere oggetto di vendite promozionali durante tutto l’anno, previa comunicazione
con cinque giorni di anticipo, a condizione che la vendita non riguardasse l’intera gamma delle merci comprese nell’autorizzazione.
Abrogata tale legge e superata anche la disciplina dell’articolo 15 del
d.lgs. n. 114/1998, con la relativa previsione di promozionali effettuabili solo per periodi limitati di tempo, in base al d.l. n. 223/2006 le Regioni possono soltanto decidere se prevedere e con quale durata un periodo
antecedente le vendite di fine stagione durante il quale vietare le vendite promozionali, ma solo per i prodotti soggetti a saldo.
La questione si collega strettamente, ovviamente, a quella della data
di inizio delle vendite di fine stagione. La legge n. 80/1980 fissava uniformemente inizio e durata delle vendite di fine stagione tra il 7 gennaio
e il 7 marzo e tra il 10 luglio e il 10 settembre.
A seguito del d.lgs. n. 114/1998 ogni regione ha invece disciplinato
tali vendite per suo conto, per poi prendere coscienza dell’importanza
di uniformare su tutto il territorio nazionale quanto meno le date di inizio delle vendite di fine stagione, onde evitare, tra l’altro, forme di concorrenza tra comuni vicini ma appartenenti a regioni diverse ed anche
per venire incontro a quelle imprese che, operando a livello nazionale,
devono adattare le loro politiche pubblicitarie ai diversi limiti fissati a livello regionale.
A questo scopo la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato, il 24 marzo 2011, un documento recante “Indirizzi unitari delle Regioni sull’individuazione delle date di inizio delle vendite di
fine stagione”.
Con questo documento sono state condivise le seguenti date di inizio:
- il primo giorno feriale antecedente l’Epifania, per le vendite di fine
stagione invernale;
- il primo sabato del mese di luglio, per le vendite di fine stagione
estiva.
166
Cronache regionali
A queste date si sono uniformate tutte le regioni, anche se ad ogni stagione si assiste da qualche parte al balletto delle date diversificate.
L’individuazione di date uniche per le vendite di fine stagione, tuttavia,
non risolve il problema della coesistenza di tali vendite con quelle promozionali, che sempre più vengono utilizzate quale “anticipo” dei saldi.
Non ha molto senso, infatti, fissare in tutte le regioni date uguali di inizio delle vendite di fine stagione (anche se ogni regione può prevedere
durate differenti delle stesse), se poi non si prevedono contestualmente
periodi di limitazione delle vendite promozionali (per i prodotti oggetto di saldo).
Sul punto, invece, le regioni vanno in ordine sparso.
La Regione Campania, all’articolo 25, comma 19, della legge regionale n. 1 del 9 gennaio 2014 (8), ha stabilito che le vendite promozionali possono essere effettuate “per tutti i periodo dell’anno e senza limitazioni di tempo con il solo obbligo di adeguata informativa al pubblico”.
La Regione Friuli Venezia Giulia, con la legge regionale n. 13 del 20
novembre 2008, ha modificato l’articolo 35 della legge regionale n. 29
del 5 dicembre 2005 (9), eliminando sia il divieto di effettuazione delle
vendite promozionali nei quaranta giorni precedenti i saldi sia l’obbligo
di preliminare comunicazione al Comune.
La Provincia Autonoma di Trento, con legge provinciale n. 17 del 30
luglio 2010 (10), all’articolo 28 ha disciplinato tutte le vendite “presentate
al pubblico come occasioni particolarmente favorevoli”, comprendendo in
tale definizione: “le vendite speciali, straordinarie, di saldi, di fine stagione, di promozione, di liquidazione, di realizzo, di rimanenze di magazzino, a prezzi scontati o ribassati, le offerte e tutte le altre vendite che, con
sinonimi, comparativi, superlativi o altri nomi di fantasia sono presentate
come occasioni particolarmente favorevoli per gli acquirenti, anche prospettate al pubblico attraverso mezzi pubblicitari o d’informazione inviati, consegnati, indirizzati tramite mezzi informatici o in qualunque modo
destinati al consumatore o a gruppi di consumatori”. Per quanto riguarda
le vendite promozionali non sono state previste limitazioni temporali né
obblighi di comunicazione al comune.
Anche la Regione Umbria, con la legge regionale n. 10 del 13 giugno
(8) “Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale”.
(9) “Normativa organica in materia di attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 «Disciplina organica del turismo»”.
(10) “Disciplina dell’attività commerciale”.
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Cronache regionali
2014 (11), all’articolo 31, comma 6, prevede la piena liberalizzazione delle vendite promozionali, che “possono essere effettuate durante tutto il
periodo dell’anno” e anche la Regione Emilia-Romagna, non prevedendo alcun limite temporale per lo svolgimento delle vendite promozionali, le rende di fatto effettuabili in ogni periodo.
La Regione Lombardia, con legge regionale n. 9 del 7 giugno 2012,
aveva invece sospeso solo in via sperimentale per un anno il divieto, contenuto nella sua legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2010 (12), di effettuare
vendite promozionali nel periodo delle vendite di fine stagione, nei trenta giorni antecedenti e dal 25 novembre al 31 dicembre.
Nelle altre Regioni le vendite promozionali sono vietate per periodi tra
i trenta e i quaranta giorni precedenti i saldi.
In un quadro normativo così variegato, rimane il dubbio se la liberalizzazione completa delle vendite promozionali non faccia venir meno
il significato delle vendite di fine stagione o, piuttosto, se la coesistenza
delle due tipologie di vendita non possa costituire una pratica commerciale sleale tra imprese e verso i consumatori.
L’esigenza di una politica dei prezzi trasparente, perseguita anche attraverso l’obbligo di indicare sulle merci il prezzo normale di vendita, la
percentuale di sconto e il prezzo finale, perde forse di incisività di fronte a un proliferare di offerte che spesso fanno perdere di vista il vero valore di mercato del bene da acquistare.
A ciò si aggiungono più o meno furbi tentativi di aggiramento dei divieti, che si concretizzano in pratiche commerciali ormai diffuse e che
spesso portano al contenzioso.
3.1. Il contenzioso
Il Giudice di pace di Firenze, con sentenza del 26 settembre 2014, si
è pronunciato nella causa n. 7998/2014 relativa a due ordinanze sindacali con le quali venivano respinti altrettanti ricorsi contro le sanzioni pecuniarie applicate a un esercizio commerciale per aver, rispettivamente,
effettuato una vendita promozionale nei trenta giorni antecedenti le vendite di fine stagione e anticipato l’inizio delle vendite di fine stagione rispetto alla data fissata dalla regione.
In relazione alla prima contestazione, l’esercente aveva posto all’interno
(11) “Testo unico in materia di commercio”.
(12) “Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere”.
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Cronache regionali
e nelle vetrine del negozio cartelli con scritte quali: “occhio ai prezzi”,
“la giusta scelta”, “grande vendita” “tutto da 5 a 179 euro” e simili, evidenziando la data “dal 13 dicembre”, periodo nel quale le vendite promozionali sono vietate in Toscana.
Va a questo punto ricordato che la legge regionale n. 28 del 7 febbraio
2005 (13) non ha seguito la classificazione dell’articolo 15 del d.lgs. n.
114/1998 che, come si è detto, assimila in un unico genus di “vendite
straordinarie” le vendite promozionali, di liquidazione e di fine stagione: il Capo XII della legge regionale è invece ripartito in due Sezioni: nella sezione I, sono disciplinate le “vendite straordinarie”, costituite dalle
vendite di liquidazione e da quelle di fine stagione; nella Sezione II sono disciplinate le “vendite promozionali”. Apparirà una sottigliezza, ma
il Legislatore con ciò ha voluto sottolineare come le vendite promozionali abbiano perso il loro carattere di “straordinarietà”.
L’articolo 96, al comma 2, vieta lo svolgimento di vendite promozionali di prodotti del settore merceologico non alimentare di carattere stagionale che formano oggetto delle vendite di fine stagione nei trenta giorni precedenti a tali vendite.
Ora, stante questo divieto, riconosciuto come legittimo sia dal Legislatore regionale che da quello nazionale che dalla Corte Costituzionale
(cfr. la citata sentenza n. 232/2010), si assiste sempre più spesso a varie
forme di aggiramento della norma quali, ad esempio, gli anticipi di saldi “limitati alla clientela”, che viene allertata con telefonate, inviti, ecc.
e che nei giorni che precedono le vendite di fine stagione si vede offrire
le merci a prezzi già ribassati.
Il concetto di “clientela”, poi, è piuttosto vago: se si era partiti col concetto di clientela di affezione, ormai chi entra in un negozio qualche giorno prima dei saldi si sente sussurrare che se acquisterà gli verrà praticato
lo sconto: e, d’altra parte, nulla si può obiettare, in quanto chi acquista è
un cliente (magari “nuovo” cliente, ma pur sempre cliente)!
Tornando al caso affrontato a Firenze, il Giudice di Pace ha rilevato come alle vendite promozionali si applichi l’articolo 90 della legge regionale n. 28/2005, il quale stabilisce che per le vendite straordinarie e promozionali le merci poste in vendita devono recare “il prezzo normale di
vendita; lo sconto o il ribasso espresso in percentuale; il prezzo effettivamente praticato a seguito dello sconto o del ribasso”.
(13) “Codice del commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree
pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti”.
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Cronache regionali
Poiché invece la stessa Polizia Municipale aveva dato atto che sulle
scatole delle scarpe poste in vendita era riportato un solo prezzo, senza
indicazioni di sconti o di altri prezzi, il Giudice ha accolto l’opposizione, concludendo che “non potendosi qualificare oggettivamente la vendita praticata come promozionale, ritiene il giudicante l’attendibilità degli
assunti del ricorrente laddove rappresenta che i cartelli esposti alle vetrate, i prezzi esposti sulle vetrine e sulla merce all’interno del negozio indicavano unicamente il range dei prezzi degli articoli, da un minimo ad un
massimo, come semplice informazione e pubblicità diretta alla clientela
sui prezzi praticati”.
La seconda violazione contestata al solito negoziante era relativa al
fatto che il giorno prima della data di inizio delle vendite di fine stagione, erano stati posti in negozio e in vetrina grandi cartelli con scritte tipo:
“saldi”, “sconti”, “tutto – 50%”, con l’indicazione, di più piccolo formato, recante “dal 04/01/2014”. Il Giudice ha ritenuto “l’infondatezza della contestazione effettuata al ricorrente, essendo altrettanto evidente che
la cartellonistica apposta sulle vetrine aveva unicamente lo scopo di pubblicizzare l’inizio dei saldi per il giorno dopo”.
Il confine tra la libera politica dei prezzi praticati e la concorrenza sleale è comunque labile.
La difficoltà di tracciare un solco tra l’una e l’altra si rinviene anche nel
fenomeno delle vendite effettuate attraverso convenzioni con appartenenti ad associazioni o gruppi comunque individuati, a mezzo tessere-sconto o tessere-fedeltà: queste vendite non sono vietate da alcuna norma e
pertanto sono considerate rientranti nella politica dei prezzi praticata dal
negozio e finalizzate a favorire una clientela definita, anche se poi molti grandi magazzini rilasciano le tessere contemporaneamente all’acquisto a condizioni “speciali”.
4. Le disposizioni e la giurisprudenza comunitarie
Le disposizioni comunitarie, sempre attente alla tutela della concorrenza, non sempre forniscono strumenti utili per poter distinguere nettamente tra pratiche coerenti con la liberalizzazione e altre che mirano soltanto ad aggirare le norme vigenti.
Ciò assume ancor maggiore rilevanza nel periodo di crisi economica
che ha investito tutti i Paesi dell’Unione e che ha reso la concorrenza tra
imprese sfrenata se non aggressiva, tanto da mostrare come forse la tutela piena e incondizionata della libertà di concorrenza non sia da sola in
grado di garantire la protezione degli interessi dei consumatori.
170
Cronache regionali
A livello comunitario, infatti, il principio della libera concorrenza viene individuato sia nella tutela dei rapporti tra imprese che nella tutela dei
consumatori (che, a sua volta, si articola in una pluralità di interventi, tra
cui il divieto di pratiche commerciali scorrette), che tuttavia spesso diventa subordinata rispetto alla prima.
L’Unione Europea ha inteso perseguire una politica di protezione dei
consumatori con la direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle “pratiche commerciali sleali
tra imprese e consumatori nel mercato interno”, volta all’armonizzazione delle disposizioni nazionali divergenti e che introduce un divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori (14).
La direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che
non rispettano le regole previste dalla direttiva e, pertanto, garantisce nel
settore da essa coordinato una concorrenza leale.
Per individuare le pratiche commerciali sleali e garantire una maggiore certezza del diritto, l’Allegato I alla direttiva contiene un elenco tassativo di tali pratiche, non modificabile dagli Stati membri: solo quelle ivi
elencate possono essere considerate in ogni caso sleali senza una valutazione caso per caso, come previsto dagli articoli da 5 a 9 della direttiva.
Può essere interessante, ai fini dell’argomento trattato, leggere la sentenza pronunciata il 17 gennaio 2013 dalla Corte di Giustizia europea nella
causa C-206/11, relativa a un caso di supposta pratica commerciale sleale.
La questione era sorta in Austria, dove un commerciante aveva pubblicizzato con formule quali “svendita totale”, “fuori tutto” e “sconti fino al
90%”, una vendita di liquidazione senza aver chiesto preventivamente
l’autorizzazione amministrativa agli organi competenti, i quali avevano
chiesto un provvedimento inibitorio per bloccare la vendita.
La Corte di Giustizia, investita del giudizio dalla Corte di Cassazione, ha chiarito che non basta la mancanza di autorizzazione preventiva
per far rientrare una vendita di liquidazione nella previsione contenuta
(14) La direttiva è stata recepita in Italia dai decreti legislativi n. 145 del 2 agosto 2007
(Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/
CEE sulla pubblicità ingannevole) e n. 146 del 2 agosto 2007 (Attuazione della direttiva
2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004).
171
Cronache regionali
al punto 7 dell’Allegato I della direttiva, il quale classifica come pratica
commerciale sleale, ad esempio, il caso di una dichiarazione mendace
che induca i consumatori a credere che il prodotto di cui si tratta “sarà
disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo
a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo
da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole”.
La Corte ha anche sostenuto che, in talune circostanze, un controllo
anticipato o preventivo da parte dello Stato membro, attraverso un regime
di previa autorizzazione, potrebbe rivelarsi più adeguato e appropriato di
un controllo ex post che ordini la cessazione di una pratica commerciale già in essere. Tuttavia, un simile regime nazionale non può condurre
a vietare una pratica commerciale per il solo fatto che detta pratica non
sia stata previamente autorizzata dall’amministrazione competente, senza essere sottoposta ad una valutazione del suo carattere sleale.
Pertanto, per la Corte, la direttiva 2005/29/CE deve essere interpretata
nel senso che essa impedisce a un giudice nazionale di ordinare la cessazione di una pratica commerciale che non rientri nell’Allegato I della
direttiva, “per il solo fatto che detta pratica non abbia costituito l’oggetto di una previa autorizzazione dell’amministrazione competente, senza
tuttavia procedere a valutare esso stesso il carattere sleale della pratica di
cui trattasi alla luce dei criteri individuati dagli articoli 5-9 della direttiva”.
Di conseguenza, possono essere interrotte solo quelle vendite che perseguono il fine di raggirare il consumatore, mentre l’assenza di autorizzazione non è di per sé prova della natura sleale della vendita.
La Corte di Giustizia si è pronunciata il 30 giugno 2011 nella causa
C-288/10, nell’ambito di un giudizio tra due catene di negozi di abbigliamento tra loro concorrenti in merito ad una disposizione nazionale
del Belgio che stabiliva che nei settori dell’abbigliamento, degli articoli in
cuoio, di pelletteria e delle calzature, le vendite in saldo potessero svolgersi solamente nel periodo compreso tra il 3 gennaio e il 31 gennaio e
tra il 1° luglio e il 31 luglio, mentre nei periodi precedenti (dal 15 novembre al 2 gennaio e dal 16 maggio al 30 giugno) vigeva un divieto generale
di effettuare annunci di riduzione dei prezzi o allusioni a tali riduzioni.
Una delle due ditte in contenzioso aveva inviato ad alcuni clienti un
invito a partecipare ad una vendita privata, nel quale si precisava che i
clienti selezionati, presentando la loro carta fedeltà, avrebbero potuto beneficiare di alcuni giorni di prezzi fortemente ridotti.
Su ricorso della ditta concorrente, il Tribunale commerciale aveva vietato
172
Cronache regionali
di praticare una qualsiasi riduzione di prezzi fino alla data dei saldi, dichiarando che un tale invito costituiva un annuncio vietato dalla legge.
La Corte, chiamata a valutare se una tale disposizione normativa fosse contraria alla direttiva 2005/29/CE, ha ritenuto che quest’ultima impedisca alla normativa degli Stati membri di vietare gli annunci di riduzione dei prezzi nei periodi antecedenti ai saldi, poiché nell’Allegato I alla
direttiva non figurano elencate le pratiche consistenti nell’annunciare ai
consumatori riduzioni di prezzi.
Spetta comunque al giudice del rinvio e non alla Corte di Giustizia Europea stabilire se la disposizione nazionale persegua effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori.
In conclusione, da quanto si è detto emerge come sia complesso oggi utilizzare gli schemi tradizionali per inquadrare fattispecie in continua evoluzione.
Da un lato, infatti, imprese e consumatori hanno a disposizione maggiori strumenti (basti pensare alla diffusione ed alle possibilità che offre
l’e-commerce), dall’altro appare chiaro come sia difficile tracciare un solco tra politica dei prezzi e concorrenza sleale.
In questo contesto, mentre ogni regola o limitazione deve trovare un’interpretazione restrittiva per non violare la libera concorrenza tra le imprese, è essenziale che il consumatore diventi sempre più “informato” per riuscire a districarsi tra le offerte.
173
Cronache comunali
Il nuovo regime autorizzatorio
delle attività di spettacolo
e delle manifestazioni dopo
l’entrata in vigore dell’accordo
del 5.8.2014, n. 91
Claudio Malavasi
già Comandante di Polizia Municipale – Dottore Commercialista – Revisore Legale – Direttore CRI Emilia-Romagna e Lombardia
Tutte le attività esercitate, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, per divertire le persone con fini culturali, di ricreazione o di insegnamento sono disciplinate dall’art. 68 del T.u.l.p.s. che stabilisce l’obbligo della licenza, rilasciata dal Sindaco, ai sensi del d.P.R. 24 luglio
1977, n. 616.
Art. 68 (art. 67 T.U. 1926)
Senza licenza del Questore non si possono dare in luogo pubblico o aperto o
esposto, al pubblico, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, né altri simili spettacoli o trattenimenti, e non si possono aprire o esercitare circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione. Per eventi fino ad un massimo di 200
partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza è
sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19
della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, presentata allo
sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo.
Per le gare di velocità di autoveicoli e per le gare aeronautiche si applicano le
disposizioni delle leggi speciali.
Quindi l’esercizio di locali di pubblico trattenimento è soggetto a Scia
ed il relativo procedimento è soggetto a regolamentazione comunale.
In particolare sono soggetti a questo titolo autorizzativo:
– le rappresentazioni teatrali;
– le accademie;
– le feste da ballo;
– le corse di cavalli;
175
Cronache comunali
– i circoli;
– le scuole di ballo;
– le sale pubbliche di audizione.
L’elenco delle attività non è comunque tassativo; infatti, lo stesso articolo 68 del T.u.l.p.s. stabilisce l’obbligo della licenza per tutti gli spettacoli o trattenimenti simili a quelli sopra elencati.
L’elenco potrebbe estendersi all’infinito, ma caratteristica indispensabile perché il trattenimento o lo spettacolo sia sottoposto alla disciplina
dell’art. 68 del T.u.l.p.s. è che l’attività sia esercitata in luogo pubblico o
aperto o esposto al pubblico nell’esercizio di una attività imprenditoriale.
Sono pertanto da escludere tutte quelle attività con finalità puramente sportive ed educative; quando queste attività sono a carattere sportivo,
però, i promotori devono darne preventivo avviso all’autorità di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima di quello fissato per la manifestazione (art. 123 del reg. d’es. del T.u.l.p.s.) che di seguito si richiama nel
testo vigente:
123. Chi intende promuovere manifestazioni sportive, con carattere educativo,
esclusa qualsiasi finalità di lucro o di speculazione, deve darne avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima di quello fissato per
la manifestazione.
La stessa Corte Costituzionale è intervenuta in materia stabilendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 68 limitatamente alla parte in cui vieta di dare feste da ballo in luogo esposto al pubblico (sent. n. 142 del 15
dicembre 1967) e alla parte in cui stabilisce l’obbligo della licenza per i
trattenimenti da tenersi in luoghi aperti al pubblico e non indetti nell’esercizio di un’attività imprenditoriale (sent. n. 56 del 15 aprile 1970).
L’obbligo della licenza, oggi Scia, inoltre è previsto anche, ai sensi
dell’art. 118 del reg. d’es. del T.u.l.p.s., per:
– i circoli privati a cui si acceda da non soci con biglietto di invito,
quando, per il numero delle persone invitate, o per altre circostanze, sia da escludere il carattere privato della rappre­sentazione o del
trattenimento (la Cassazione penale ha stabilito che un locale dove
siano dati degli spettacoli ai quali tutti possano assistere acquistando contemporaneamente al botteghino la tessera da socio e il biglietto di ingresso non è da considerarsi circolo privato, ma luogo aperto al pubblico, sottoposto alla disciplina degli spettacoli pubblici ...
– sez. I, sent. n. 10997 del 13 settembre 1978, Fiorenza);
176
Cronache comunali
– le rappresentazioni o i trattenimenti dati al pubblico nel recinto delle esposizioni artistiche, industriali e simili.
La licenza, oggi Scia, inoltre viene richiesta, ai sensi dell’art. 69 del
T.u.l.p.s., anche per:
– dare anche temporaneamente pubblici trattenimenti;
– esporre alla pubblica vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici o
altri oggetti di curiosità;
– dare audizioni all’aperto.
L’art 69 T.u.l.p.s. prevede infatti:
Art. 69 (art. 68 T.U. 1926)
Senza licenza della autorità locale di pubblica sicurezza è vietato dare, anche
temporaneamente, per mestiere, pubblici trattenimenti, esporre alla pubblica
vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici o altri oggetti di curiosità, ovvero dare audizioni all’aperto. Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza è sostituita
dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo19 della legge
n. 241 del 1990, presentata allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo.
Anche in questo caso l’elenco non è tassativo; l’art. 124 del reg. d’es.
del T.u.l.p.s. infatti estende l’obbligo della Scia, a termine dell’art. 69
della legge, anche ai piccoli trattenimenti che si danno in pubblico, anche temporaneamente, in baracche o in locali provvisori, o all’aperto, da
commedianti, burattinai, tenitori di giostre, di caroselli, di altalene, bersagli e simili.
Le novità conseguenti l’entrata in vigore del nuovo accordo
All’interno di questo sistema si inserisce il nuovo accordo che la conferenza unificata ha approvato ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera
c) del decreto legislativo 28.8.1997 n. 281 per quanto concerne gli obblighi a carico degli Enti e degli organizzatori in materia di assistenza sanitaria negli eventi e nelle manifestazioni programmate.
Il prima dato da rilevare è l’ambito di applicazione delle nuove prescrizioni che devono essere inserite sia nelle attività delle C.C.V.L.P.S. che
di quelle Provinciali nonché nelle prescrizioni ex art. 9, T.u.l.p.s. previste
nelle modulistiche sia dell’art. 68 che dell’art 69 T.u.l.p.s.:
177
Cronache comunali
a)eventi/manifestazioni: tutte quelle iniziative di tipo sportivo, ricreativo, ludico, sociale, politico e religioso che, svolgendosi in luoghi
pubblici o aperti al pubblico, possono richiamare un rilevante numero di persone.
b)luoghi pubblici: gli spazi e gli ambienti caratterizzati da un uso sociale collettivo ai quali può accedere chiunque senza alcuna particolare formalità (es. strade, piazze, giardini pubblici...).
c)luoghi aperti al pubblico: gli spazi e gli ambienti a cui può accedere chiunque, ma a particolari condizioni imposte dal soggetto che
dispone del luogo stesso (es. pagamento di un biglietto per l’accesso, orario di apertura...) o da altre norme.
Occorre pertanto che gli enti introducano in tutta la modulistica che i Suap
mettono a disposizione degli utenti sui portali anche la previsione del rispetto degli adempimenti previsti dal richiamato accordo nonché che le singole
Commissioni di vigilanza inseriscano questa prescrizione nelle licenze rilasciate ex art 80 T.u.l.p.s. ed in particolare quanto qui di seguito richiamato.
Al fine di garantire un adeguato livello di soccorso è necessario che gli
organizzatori osservino le seguenti disposizioni:
a)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio molto basso o basso:
1)obbligo di comunicazione dello svolgimento dell’evento al SET
118 almeno 15 giorni prima dell’inizio.
b)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio moderato o elevato:
1)obbligo di comunicazione al SET 118 dello svolgimento dell’evento almeno 60 giorni prima dell’inizio;
2)obbligo di trasmissione del documento recante il dettaglio delle
risorse e delle modalità di organizzazione preventiva di assistenza sanitaria messe in campo dall’organizzatore (Piano di soccorso sanitario relativo all’evento/manifestazione);
3)obbligo di osservare eventuali prescrizioni fornite dal SET 118.
c)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio molto elevato:
1)obbligo di comunicazione al SET 118 dello svolgimento dell’evento almeno 180 giorni prima dell’inizio;
2)obbligo di validazione, da parte del SET 118, del documento recante il dettaglio delle risorse e delle modalità di organizzazione
preventiva di assistenza sanitaria messe in campo dall’organizzatore (Piano di soccorso sanitario relativo all’evento/manifestazione) da parte del SET 118;
3)obbligo di osservare eventuali prescrizioni fornite dal SET 118.
178
Cronache comunali
d)per tutte le tipologie di evento con qualsiasi livello di rischio:
1)obbligo di presentazione, alle competenti Commissioni di vigilanza, della documentazione comprovante il rispetto delle sopra riportate disposizioni.
4)È competenza del medico presente nelle Commissioni di vigilanza,
verificare tale documentazione e richiedere un confronto con il SET
118, se ritenuto opportuno.
Alfine di definire il livello a cui la singola manifestazione/evento si deve attenere occorre auto valutare l’evento con l’allegata scheda determinata con l’algoritmo di Maurer.
Quindi è necessario che quando si procede al rilascio delle autorizzazioni ex art. 80 T.u.l.p.s. si verifichi la presenza nel parere della Commissione di vigilanza di queste prescrizioni che devono essere poi inserite
nella licenza ex. art. 9 T.u.l.p.s. alfine di garantire un sistema sanzionatorio penale più pregnante in caso di omissioni in quanto trattasi di illeciti
sanzionati dall’art. 681 c.p.
Il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e il relativo regolamento prevedono inoltre numerose disposizioni che disciplinano gli
spettacoli e i trattenimenti pubblici; tra le più signifi­cative possiamo
ricordare:
– divieto di concedere licenza per l’apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell’edificio e l’esistenza
di uscite pienamente adatte a sgombrarlo pron­tamente in caso di incendio (art. 80 del T.u.l.p.s.);
– obbligo di esporre cartello di avviso del divieto di intro­durre, installare o utilizzare dispositivi o apparati che consentono la registrazione, la riproduzione, la trasmissione o la fis­sazione, in tutto o in parte, su supporto audio, video od audio-video, delle opere dell’ingegno
(art. 85-bis T.u.l.p.s.) (vedi tabella di seguito).
Proprio in relazione all’obbligo della previa verifica di agibilità dei locali e delle aree destinate alle attività oggetto del nuovo accordo che deve inserirsi il nuovo adempimento a carico degli organizzatori che, oltretutto, dovranno anche farsi carico di tutti gli oneri così come già accade
con i VVFF per il servizio di prevenzione incendi.
179
Cronache comunali
Il sistema sanzionatorio delle manifestazioni di spettacolo
e degli eventi
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 507/1999 ed in particolare con le
modifiche apportate dall’art. 49 dello stesso decreto, il sistema sanzionatorio degli spettacoli è stato parzialmente depenalizzato e si può così
sinteticamente rappresentare:
Comportamento
illecito
Spettacolo/
Intrattenimento
abusivo
Norme precedenti
1.1.2000
Il quadro attuale
(post d.lgs. 507/1999)
sanzione principale
artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. san- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma
zionati dagli artt. 666 e 681 1 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n.
c.p. • informativa ai sensi 507/1999) violazione amministrativa da €258,00 a
dell’art. 347 c.p.p. alla Pro- €1.549,00 a­ utorità competente ad irrogare la sancura della Repubblica • in- zione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art.
formativa al Sindaco
681 c.p. informativa di reato ai sensi dell’art. 347
c.p.p. alla Procura della Repubblica
sanzione accessoria
art. 10 T.u.l.p.s. sospensione art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fao revoca attività (facoltativa) coltativa) SINDACO art. 666, comma 3 c.p. (così
SINDACO
come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) ordinanza di sospensione obbligatoria dell’attività condotta in difetto di autorizzazione (Sindaco)
provvedimenti interdittivi
sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p. ordi321-bis c.p.p. ordinanza nanza di sospensione ex art. 100 T.u.l.p.s. del
di sospensione ex art. 100 questore
T.u.l.p.s. del questore
Spettacolo
sanzione principale
od intrattenimento artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. san- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma
con licenza
zionati dagli artt. 666 e 681 2 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n.
negata
c.p. • informativa ai sensi 507/1999) violazione amministrativa da € 413,00
dell’art. 347 c.p.p. alla Pro- a €2.478,00 autorità competente ad irrogare la
cura della Repubblica; • in- sanzione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionaformativa al Sindaco
to dall’art. 681 c.p. informativa di reato ai sensi
dell’art. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica
sanzione accessoria
art. 10 T.u.l.p.s. sospensione art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fao revoca attività (facoltativa) coltativa) SINDACO art. 666, comma 3 c.p. (così
SINDACO
come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) ordinanza di sospensione obbligatoria dell’attività
condotta in difetto di autorizzazione
provvedimenti interdittivi
sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p.
321-bis c.p.p. ordinanza di
sospensione attività ex art. ordinanza di sospensione attività ex art. 100
100 T.u.l.p.s. del questore
T.u.l.p.s. del questore
(segue)
180
Cronache comunali
Comportamento
illecito
Trattenimenti
e spettacoli
abusivi in locale
autorizzato
anche per la
somministrazione
di alimenti e
bevande o altra
attività (art. 86
T.u.l.p.s./
l. n. 287/1991)
Mancato rispetto
delle prescrizioni
nelle
autorizzazioni
ex artt. 68 e 69
T.u.l.p.s.
Norme precedenti
1.1.2000
Il quadro attuale
(post d.lgs. 507/1999)
sanzione principale
artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. sanzio- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma
nati dagli artt. 666 e 681 c.p. 2 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n.
507/1999) violazione amministrativa da € 413,00
• informativa ai sensi dell’art. a €2.478,00 ­autorità competente ad irrogare la
347 c.p.p. alla Procura del- sanzione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionala Repubblica • informativa to dall’art. 681 c.p. informativa di reato ai sensi
al Sindaco
dell’art. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica
sanzione accessoria
art. 10 T.u.l.p.s. sospensio- art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fane o revoca attività di in- coltativa) – SINDACO art. 666 comma 3 c.p. (così
trattenimento (facoltativa) – come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) –
SINDACO
ordinanza di sospensione obbliga­toria dell’attività condotta in difetto di autorizzazione. Nel
caso di reiterazione della violazione o di licenza negata è prevista la chiusura obbligatoria anche dell’altra attività per un periodo non superiore a sette giorni (SINDACO)
provvedimenti interdittivi
sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p. ordi321-bis c.p.p. ordinanza di nanza di sospensione attività ex art. 100 T.u.l.p.s.
sospensione attività ex art. del questore
100 T.u.l.p.s. del questore
sanzione principale
art. 17 T.u.l.p.s. • informati- art. 17 T.u.l.p.s. • informativa ai sensi dell’art.
va ai sensi dell’art. 347 c.p.p. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica • inalla Procura della Repubbli- formativa al Sindaco
ca • informativa al Sindaco
sanzione accessoria
art. 10 T.u.l.p.s. sospensio- art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revo­ca attività di
ne o revoca attività di in- intrattenimento (facoltativa) – SINDACO
trattenimento (facoltativa) –
SINDACO
Le attività di spettacolo ed intrattenimento ed il conseguente
regime autorizzatorio
L’art. 19 del d.P.R. n. 616/1977 – ai punti 5 e 6 – ha assegnato ai Comuni le funzioni relative al rilascio delle licenze di cui agli artt. 68 e 69
del T.u.l.p.s. dal 1° gennaio 1978. Si veda qui di seguito la tabella che
evidenzia le tipologie di autorizzazioni richieste a seconda dell’attività
da svolgere e nelle quali è d’obbligo espletare i nuovi adempimenti nella gradualità prevista dall’accordo stesso che è qui allegato ed applicando l’algoritmo di Maurer.
181
Cronache comunali
TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ
PREAVVISO O LICENZA
PIANO BAR con carattere di prevalenza rispetto Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., agibilità dei loall’attività di pubblico esercizio
cali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere C.P.V.L.P.S.
PIANO BAR senza particolare rilievo
Occorre Scia ex art. 69 T.u.l.p.s. se non all’interno di PE con l.r. che autorizza
KARAOKE installato in sale appo­sitamente attrez- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., previa agibizate e con la pre­senza di un animatore
lità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere C.P.V.L.P.S.
KARAOKE utilizzato alla stessa stregua di un Occorre presentare la Scia (art. 19 legge n.
juke­box
241/1990) se il PE non è in regione con l.r. che
consente
FESTE DA BALLO E GARE DI BALLO organizza- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., licenza di agite in forma imprenditoriale SCUOLE DI BALLO bilità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere
C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S.
FESTE DA BALLO a carattere privato o BALLI IM- Non occorre licenza (v. sentenza Corte CostituPROVVISATI dai clienti di un albergo o di un ri- zionale n. 142/1967)
storante senza intrattenitore od orga­nizzazione
d’impresa a scopo di lucro
SCUOLE DI DANZA CLASSICA con riconosci- Il pretore di Napoli con sentenza del 30 maggio
mento del Ministero della pubblica istruzione
1975 ha decretato che non occorre licenza essendo prevalente il carattere artistico e scolastico e perché manca il carattere della pubblicità
RIUNIONI in luogo pubblico
Occorre dare preavviso all’autorità di P.S.
RIUNIONI in luogo aperto o esposto al pubblico In virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 142 del 15 dicembre 1967 non occorre alcun preavviso o licenza
TRATTENIMENTI E SPETTACOLI in luogo aper- Occorre la Scia ex art. 68 T.u.l.p.s. solo se l’attività
to al pubblico
di intrattenimento o spettacolo è esercitata nell’esercizio di una attività imprenditoriale (v. sentenza Corte Costituzionale n. 56 del 15 aprile 1970)
(segue)
182
Cronache comunali
TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ
PREAVVISO O LICENZA
TRATTENIMENTI E SPETTACOLI nei circoli pri- Se gli spettatore sono unicamente i soci non ocvati
corre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s.. Se ricorre una delle seguenti circostanze il circolo perde il carattere “privatistico” e necessita della licenza ex art.
68 T.u.l.p.s.: a) possibilità per chiunque di entrare con contemporaneo acquisto della tessera di
socio (Cassazione 26 gennaio 1973); b) pubblicità degli spettacoli effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico senza l’evidente indicazione che l’ingresso è riservato ai soci (escluso
circoli ex art. 31 l. n. 383/2000); c) numero eccessivo dei soci anche rispetto alla capienza del
locale; d) numero degli spettacoli e loro periodicità in analogia con quella dei locali di pubbli­co
spettacolo; e) assenza di una forma associativa
di tipo culturale consolidata nel tempo e struttura aziendale (Vedi anche d.p.c.m. n. 504/1999)
PICCOLI TRATTENIMENTI in locali adibiti ad Secondo la prassi instaurata occorre Scia ex art.
altre attività
69 del T.u.l.p.s. (Secondo la Prefettura di Modena
v. nota prot. 151 dell’1 febbraio 1995 occorre la
licenza ex art. 68 T.u.l.p.s. solo se la manifestazione assume carattere di prevalenza rispetto all’attività di P.E. oppure se l’attività di intrattenimento
assume un rilievo tale per cui il pubblico vi assiste in modo diretto e non incidentale o causale)
ESIBIZIONI DI CANTANTI, BALLERINI, CANTA- Occorre Scia ex art. 69 T.u.l.p.s.. Se l’attività vieSTORIE, GIOCOLIERI, BURATTINAI, ESPOSIZIO- ne svolta in locali o se si fa uso di palchi, tribuNE DI RARITÀ, PERSONE, ANIMALI, CURIOSITÀ ne, ecc. occorre licenza di agibilità ex art. 80
T.u.l.p.s., previo parere C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S.
TRATTENIMENTI DATI IN FORMA AMBULAN- Occorre l’iscrizione dell’artista al registro dei
TE DA GIOCOLIERI, SUONATORI, CANTANTI, mestieri ambulanti di cui all’art. 69 del T.u.l.p.s.
MIMI E SIMILI
come spettacolo viaggiante
SPETTACOLI CIRCENSI SPETTACOLI VIAGGIAN- Occorre Scia ex art. 69 del T.u.l.p.s. previa auTI LUNA PARK PARCHI DIVERTIMENTI
torizzazione della Presidenza del Consiglio dei
Ministri Dipartimento dello spettacolo (v. legge
18 marzo 1968, n. 337) Il Comune deve fissare
le aree disponibili per l’installazione di dette attività; in mancanza deve comunque concedere il suolo pubblico. Al medesimo Dipartimento
si devono presentare le istanze per l’esibizione
di artisti extra­comunitari (v. d.lgs. n. 391/1991)
(segue)
183
Cronache comunali
TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ
PREAVVISO O LICENZA
FESTIVAL CONCERTI MANIFESTAZIONI PO- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s. (licenza di agiPOLARI (tornei, giochi tradizionali, ecc.) SFILA- bilità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s.) previo pareTE DI CARRI ALLEGORICI MASCHERATE COL- re C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S.
LETTIVE (generalmente tollerate) tutti organizzati
con fine di lucro
Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., agibilità dei loMANIFESTAZIONI SPORTIVE E GARE a scopo di
cali e parere C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. Si deve
intrattenimento pubblico e fine di lucro
comunicare il regolamento della gara
MANIFESTAZIONI SPORTIVE a carattere educa- Occorre preavviso al Sindaco tre giorni prima
tivo e senza scopo di lucro
della manifestazione (art. 123 del regolamento al T.u.l.p.s.)
GARE AERONAUTICHE (compresi deltaplani)
PISCINE NATATORIE
Occorre licenza del prefetto (art. 183 r.d. 11 gennaio 1925, n. 709)
Occorre Scia ex art. 68 del T.u.l.p.s. previo parere della C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. Per i requisiti IGIENICO-SANITARI e l’obbligo della presenza di un responsabile v. nor­mativa regionale
INSTALLAZIONE DI APPAREC­CHI DA TRATTE- Se non è prevista dalla legge regionale è suffiNIMENTO (juke-box, elettrogrammofoni) NEI P.E. ciente semplice Scia ex art 69 T.u.l.p.s.
SALA GIOCHI
I locali in cui si esercita esclusivamente l’attività di “sala giochi” sono soggetti alla Scia ex art.
86 del T.u.l.p.s. ed alle norme fissate dal regolamento comunale
VIDEOGIOCHI
I locali in cui si installano “VIDEOGIOCHI” sia
che si tratti di circoli privati nei locali di som­
ministrazione che di esercizi pubblici sono soggetti alla Scia ex art. 86 del T.u.l.p.s. ed alle norme
fissate dal regolamento comunale previo ottenimento del nulla osta dell’Amministra­zione dei
Monopoli di Stato sia per la distribu­zione che
per la messa in esercizio
DETENZIONE DI APPARECCHI RADIO TELE- Completamente liberalizzata, è necessaria Scia
VISIVI
ex art. 69 T.u.l.p.s. quando si tratta di pay-tv con
aumento delle consuma­zioni e della Scia; ex art.
68 T.u.l.p.s. previo rilascio agibilità; ex art. 80
T.u.l.p.s. quando oltre alla presenza della pay-tv
vi è il paga­mento di un biglietto di ingresso ed
una sala appositamente attrezzata
INSTALLAZIONE ED EFFETTUZIONE DI GIOCHI Occorre Scia al SUAP ai sensi dell’art. 86 del
LECITI NEI P.E. (gioco delle carte bigliardo vide- T.u.l.p.s.
ogiochi calcio balilla apparecchi e congegni automatici ed elettronici da trattenimento e da gioco di abilità (art. 110 T.u.l.p.s.)
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Cronache comunali
Modalità operative di intervento in caso di evento o
manifestazione senza che sia stata presentata comunicazione
dello svolgimento al Servizio di Emergenza territoriale 118
Oltre a compilare il verbale di identificazione e di dichiarazione o di
elezione di domicilio per le notificazioni ai sensi dell’art. 161 c.p.p. occorre redigere i seguenti atti:
– verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose;
– comunicazione di reato;
– nota informativa al Sindaco per l’applicazione delle san­zioni previste dall’art. 10 del T.u.l.p.s.
VERBALE DI ACCERTAMENTI URGENTI
SULLO STATO DEI LUOGHI E DELLE COSE
COMUNE DI ............................
CORPO POLIZIA MUNICIPALE
Via ............................... n. .......
Prot. n. .....................................
del ............................................
VERBALE DI ACCERTAMENTI URGENTI SULLO STATO
DEI LUOGHI E DELLE COSE (Art. 354, commi 2 e 3, c.p.p.)
L’anno ......................... il giorno ........................ del mese di ............... alle
ore .......... in località ............................. via ..................... n. ......... Comune di ...................................... Provincia di .................................. noi sottoscritti ............................................................ Uff./Ag. di P.G. stante il pericolo che le cose, le tracce e i luoghi si alterino o si disperdano o comunque si
modifichino prima dell’intervento del Pubblico Ministero abbiamo provveduto ad accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Si dà atto che
al momento dell’accertamento era presente il sig. .......................................
............. nato a ........................................ il ............................. residente a
........................... via ........................... n. ..... identificato con ......................
.................. n. ..................... rilasciata da .......................................... in data
.................. in qualità di titolare del locale di pubblico spettacolo, che, reso
edotto della sua facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, ha dichiarato di non volersene avvalere per il sopralluogo. Dagli accertamenti e rilievi si è rilevato quanto segue:
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Cronache comunali
Ubicazione: ..........................................................................................
denominazione dell’esercizio pubblico: “.............................................”
Titolare dell’esercizio pubblico: sig. .....................................................
nato a ............................... il ...................... residente a .......................
via ....................... n. ..... Al momento dell’ispezione si accertava il reato di
cui all’art. 80 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 681 c.p. in quanto si stava svolgendo evento/manifestazione senza che fosse stato inviato il piano di emergenza
al servizio emergenze 118 competente così come previsto nelle prescrizioni della licenza ex art 80 T.u.l.p.s. rilasciata dal Comune di ..........................
L’organizzazione era svolta dal sig. ...............................................................
nato a ......................................................... il .............................. residente a .................................... via ................................ n. ....... identificato
con ................................................................ n. .......................... rilasciata da ........................................ in data ....................... All’interno dell’area
si trovavano circa 700 persone di cui molte intente a ballare sulla pista posta
al centro dell’area.
Si dà atto che il titolare del locale, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura.
Di quanto sopra viene redatto il presente verbale, che previa lettura e conferma viene sottoscritto dall’intervenuto e dai verbalizzanti.
Chiuso alle ore .................................... del .........................
L’intervenuto
..............................
I verbalizzanti Uff. di P.G.
...........................................................
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Cronache comunali
COMUNICAZIONE DI REATO
COMUNE DI ............................
CORPO POLIZIA MUNICIPALE
Via ............................... n. .......
Prot. n. .....................................
del ............................................
Al signor Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di ........................................
OGGETTO: Comunicazione di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p.
L’anno ........... il giorno .............. del mese di ............... alle ore ....... noi sottoscritti .................................................... Uff./Ag. di P.G. ai sensi dell’art. 347
c.p.p. comunichiamo la seguente notizia di reato:
Descrizione sommaria del fatto: Evento/manifestazione in un area aperta al
pubblico privo della comunicazione preventiva al Servizio Emergenze 118 e
della relativa validazione da parte dello stesso del piano sanitario di assistenza
Reato ipotizzato: art. 681 del codice penale in relazione all’art. 80 T.u.l.p.s.
per violazione delle prescrizioni inserite dalla C.C.V.L.P.S.
Data di acquisizione della notizia: ................................................................
Data della commissione del fatto: ..................................................................
Luogo in cui il fatto è avvenuto: ....................................................................
Persona nei cui confronti vengono svolte le indagini: ....................................
1) sig. ............................... nato a ........................ il ........ residente in
.......................... via ............................. n. ...... in qualità di titolare del locale da ballo.
Altre violazioni accertate: nessuna.
Persone che possono riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto:
2) sig.ra ............................ nata a ......................... il ......... residente a .........
.......................... via ...................... n. ..... in qualità di cassiera;
3) sig. .............................. nato a ......................... il ........ residente a
........................... via ............................ n. ....... in qualità di disc-jokey.
Fonte di prova: verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose.
Provvedimenti richiesti: nessuno
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Attività compiuta ed elementi raccolti: In data ..... alle ore ..., in normale servizio di polizia commerciale, personale del Corpo di polizia municipale di ........
ha effettuato un’ispezione nel l’area destinata alla manifestazione denominata “.....”......” sito a ....... in via ............... n. .......... Al momento dell’ispezione si accertava la viola­zione di cui all’art. 681 del codice penale in relazione
all’art. 80 e 9 T.u.l.p.s. in quanto nel locale si stava svolgendo manifestazione senza la prescritta validazione del piano di assistenza sanitaria approvato
dal servizio Emergenza del 118.
Al momento del sopralluogo alla cassa vi era la sig.ra ........................ e l’attività di disc-jokey era svolta dal sig. .................... entrambi sopra meglio generalizzati. All’interno dell’area si trovavano circa 700 persone di cui molte
inten­te a ballare sulla pista posta al centro del locale.
Si dà atto che l’organizzatore dell’evento, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura.
Sussistendo problemi legati alla sicurezza pubblica si propone il sequestro preventivo dei locali e delle attrezzature in quanto il titolare del locale ha espresso con azione e fatti precisi l’intenzione di riaprire lo stesso locale l’indomani.
Attività ed indagini a cura di: ................................................................
.................................................................................................................
Allegati:
– verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose
– verbale di identificazione e di dichiarazione o di elezione di domicilio
– copia verbale della seduta della commissione tecnica provinciale
– copia comunicazione diniego per rilascio licenza
– nota informativa al Sindaco
V.to
Il Comandante
.......................................
Uff. di P.G.
.......................................
.......................................
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NOTA INFORMATIVA AL SINDACO
COMUNE DI ............................
CORPO POLIZIA MUNICIPALE
Via ............................... n. .......
Prot. n. .....................................
del ............................................
OGGETTO: Nota informativa in merito a manifestazione/evento realizzato
senza la prescritta comunicazione e validazione del piano di assistenza sanitaria validato dal servizio di emergenze 118 competente in quanto negata attivata da: sig. .......................................................... nato a ............................
....... il .................... residente a ...............................via ............
Al sig. Sindaco di sede ....................
L’anno .......... il giorno ........ del mese di .................. alle ore .... noi sottoscritti .................................... in merito a quanto indicato in oggetto riferiamo quanto segue: in data ......... alle ore ....., in normale servizio di polizia
commercia­le, abbiamo effettuato un’ispezione nel locale da ballo denominato “...........” sito a ......... in via ........ n. ..... .
Al momento dell’ispezione nel locale si stava svolgendo un evento/manifestazione senza che gli organizzatori avessero comunicato ed ottenuto la validazione del piano di assistenza ed emergenza da parte del servizio 118 competente.
All’interno dell’area si trovavano circa 700 persone di cui molte intente a ballare sulla pista posta al centro dell’area stessa.
Si dà atto che l’organizzatore dell’evento, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura.
Avendo accertato il reato di cui all’art. 681 del codice penale in relazione
all’art. 80 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 si è proceduto a notiziare la Procura
della Repubblica per l’art. 681 c.p.
Di quanto sopra si dà atto per doverosa conoscenza e per quanto di competenza ed al fine dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10 T.u.l.p.s..
Gli accertatori
.............................
.............................
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Disciplina comunitariaa cura di Emanuela Caneponi
È stata pubblicata, sulla G.U. n. 251 del 28 ottobre 2014, la legge 7 ottobre
2014, n. 154, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – legge di delegazione europea 2013 –secondo semestre”.
Si tratta, in particolare, della seconda legge di delegazione europea relativa
al 2013 (secondo semestre) – in vigore dal 12 novembre 2014 – la quale contiene principi e criteri direttivi per il recepimento di 19 direttive, di cui 2 inserite
nell’Allegato A e 17 nell’Allegato B.
Si cita, nello specifico, l’art. 8 che contiene i criteri per il recepimento della direttiva n. 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento CE n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE.
Ricordiamo che la Legge n. 234/2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”, prevedeva espressamente la possibilità per il Governo di presentare, nel secondo semestre dell’anno, un nuovo disegno di legge
di delegazione europea, nonché la possibilità dell’adozione di appositi disegni
di legge per l’attuazione di singoli atti normativi dell’Unione europea, in casi di
particolare importanza politica, economica e sociale.
Il Governo, in proposito, ha presentato, un altro disegno di legge europea (Legge europea 2013-bis), al fine di porre rimedio alla parte ancora residua di precontenzioso e contenzioso per poter presiedere il semestre europeo nel 2014
con il minor numero di infrazioni possibili a carico dell’Italia.
La Camera, lo scorso 23 ottobre, ha dato il via libera al disegno di Legge europea 2013-bis, ed è stata emanata la Legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis”.pubblicata, sulla G.U. n. 261
del 10 novembre 2014 – Supplemento Ordinario n. 84.
Il provvedimento contiene disposizioni di natura eterogenea, volte ad adeguare l’ordinamento giuridico italiano all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.
Tra le procedure risolte si segnalano le modifiche al regime fiscale applicabile
ai contribuenti che, pur essendo fiscalmente residenti in un altro Stato membro
dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo, producono o ricavano
la maggior parte del loro reddito in Italia (cfr. sentenza Schumacker).
Per questi soggetti l’imposta dovuta sarà determinata sulla base delle regole
IRPEF “a condizione che il reddito prodotto dal soggetto nel territorio dello Stato italiano sia pari almeno al 75% del reddito complessivo”.
Il provvedimento, inoltre, interviene su numerose materie, fra cui, nello specifico:
- l’art. 6 integra il decreto legislativo n. 59/2010 di attuazione della Direttiva
2006/123 sui servizi nel mercato interno (Direttiva Bolkestein), rafforzando il
regime di tutela dei destinatari dei servizi per assicurare il rispetto del divieto di
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Disciplina comunitaria
discriminazioni basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza.
Sempre riguardo al decreto legislativo n. 59/2010, il suddetto articolo 6 specifica che la notifica obbligatoria alla Commissione europea dei progetti di disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative, contenenti restrizioni
all’accesso o all’esercizio delle attività di servizi, sono effettuate tramite il sistema
telematico IMI (Internal Market Information) istituito dalla Commissione europea.
- L’art.23 supera i rilievi formulati dalla Commissione europea nel caso EU Pilot 4734/13/MARK in relazione alla disciplina delle stazioni di distribuzione dei
carburanti ubicate nelle aree urbane.
Si rammenta che, l’articolo 28 del d.l. n. 98/2011 – convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011, successivamente modificato dal d.l. n. 1/2012, convertito dalla l. n. 27/2012 – aveva previsto il divieto di porre vincoli o limitazioni
all’utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per il rifornimento di carburante senza servizio con pagamento anticipato (ossia in modalità “self service”), limitando però questo divieto agli impianti posti fuori dai
centri abitati.
Con l’articolo 23 della legge europea-bis 2013 la portata del divieto di porre
limiti al self service viene estesa a tutti gli impianti.
Con questo intervento vengono così escluse le limitazioni all’utilizzo continuativo delle apparecchiature self-service, anche senza assistenza, agli impianti di distribuzione ovunque ubicati e non più solo per questi posti fuori dai centri abitati.
- L’art. 24 contiene modifiche al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, relativo ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, come modificato dal d.lgs. 6 novembre 2012, n. 192, che ha recepito la direttiva 2011/7/UE.
In particolare, viene modificato l’articolo 4, comma 4, relativo alla possibilità
nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione,
prevedendo che le parti possano derogare, purché in modo espresso, ai termini
di pagamento ordinari solo quando “ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche”.
• Libera circolazione dei lavoratori
Una nuova Direttiva, la 2014/54/UE, volta a garantire una migliore applicazione a livello nazionale del diritto dei cittadini dell’UE di lavorare in un altro Stato
membro è stata emanata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, lo scorso aprile.
Le nuove norme, proposte dalla Commissione, intendono colmare il divario
esistente tra diritti e realtà lavorative e aiuteranno i cittadini che lavorano o cercano un lavoro in un altro paese a esercitare concretamente i loro diritti.
La Direttiva ha come obiettivo di eliminare gli ostacoli esistenti alla libera circolazione dei lavoratori, tra cui la scarsa consapevolezza delle norme UE da parte dei datori di lavoro, sia pubblici che privati, e le difficoltà incontrate dai cittadini mobili nell’ottenere informazioni e assistenza negli Stati membri ospitanti.
Per superare questi ostacoli e prevenire ogni forma di discriminazione la Direttiva imporrà agli Stati membri di garantire:
202
Disciplina comunitaria
• che uno o più organismi a livello nazionale forniscano un sostegno e assistenza giuridica ai lavoratori migranti dell’UE per quanto riguarda l’applicazione dei loro diritti;
• una tutela giuridica efficace dei diritti (tra cui, ad esempio, la protezione
dalla vittimizzazione per i lavoratori migranti dell’UE che vogliono far valere i loro diritti);
• informazioni facilmente accessibili in più di una lingua dell’UE sui diritti
di cui godono i lavoratori migranti dell’UE e le persone in cerca di lavoro.
Tali norme andranno a vantaggio non solo dei lavoratori mobili ma anche dei
datori di lavoro, che saranno meglio informati quando assumeranno persone provenienti da un altro paese dell’UE.
Gli Stati membri dovranno mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente Direttiva entro il 21 maggio 2016.
• Valutazione di impatto ambientale (VIA)
Lo scorso 15 maggio è entrata in vigore la Direttiva 2014/52/UE del Parlamento e del Consiglio del 16 aprile 2014 che apporta modifiche alla direttiva
2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA) di determinati progetti pubblici e privati.
La precedente Direttiva 2011/92/EU, risulta essere applicata ad una vasta gamma di progetti pubblici e privati e sin dalla primissima entrata in vigore, che risale a circa venticinque anni fa, è stata già sottoposta a tre emendamenti, (in proposito, si ricorda che la direttiva 2011/92/UE è ancora in fase di recepimento da
parte del Governo, che ha ricevuto apposita delega dal Parlamento con l’art. 23
della legge n. 97/2013 – legge di delegazione europea 2013).
Con le ultime modifiche si intende concentrare maggiormente l’attenzione sui
rischi e le sfide emerse nel corso degli ultimi anni, come l’efficienza delle risorse, i cambiamenti climatici e la prevenzione dei disastri.
L’attuale Direttiva – com’è precisato nelle considerazioni preliminari che precedono l’esposizione degli articoli – oltre ad assicurare una migliore protezione
ambientale, semplificherà di molto le regole amministrative già esistenti, in linea con l’orientamento verso una smart regulation della Commissione Europea
e rafforzerà la coerenza e le sinergie con altre normative e politiche dell’Unione.
Tra le principali novità introdotte: obbligo degli Stati membri di semplificare le varie procedure di valutazione ambientale; definizione di diversi termini
di tempo a seconda dei differenti stadi di valutazione ambientale; semplificazione della procedura d’esame per stabilire la necessità o meno di una valutazione d’impatto ambientale; rapporti più chiari e comprensibili per il pubblico;
obbligo da parte degli sviluppatori di intraprendere i passi necessari per evitare,
prevenire o ridurre gli effetti negativi laddove i progetti comportino delle conseguenze importanti sull’ambiente.
Gli Stati membri dovranno recepire le nuove regole, al più tardi, entro il 2017
203
Disciplina comunitaria
e dovranno anche comunicare alla Commissione la legislazione nazionale adottata per ottemperare alla nuova Direttiva.
• Tutela dei viaggiatori
Da un’azione di controllo concertata dalla Commissione europea risulta che
buona parte dei siti web che vendono viaggi online nell’Ue ancora non tutelano
completamente i diritti dei consumatori.
Tali ispezioni, eseguite dalle autorità nazionali ad intervalli regolari, mirano
ad individuare le violazioni delle norme a tutela dei consumatori e a far ripristinare il rispetto delle norme.
Nel 2013 sono stati controllati 552 siti web di società che vendono viaggi aerei
e sistemazioni in albergo, di operatori e intermediari del settore. Ne sono emersi 382 che non rispettavano il diritto europeo in tema di tutela dei consumatori.
I siti web sono stati controllati per verificare se:
-le informazioni sulle caratteristiche principali dei servizi erano facilmente
accessibili;
-il prezzo era indicato tempestivamente ed era comprensivo dei supplementi opzionali;
- erano indicati gli indirizzi di posta elettronica ai quali rivolgersi per domande
e reclami;
- erano consultabili i termini e le condizioni prima dell’acquisto;
- erano scritti in modo semplice e chiaro.
I principali problemi riscontrati sono stati: mancanza di informazioni obbligatorie relative all’identità dell’operatore, in particolare l’indirizzo di posta elettronica, che privava i consumatori di un efficace canale di comunicazione: 162
siti (il 30% del totale dei siti esaminati) non fornivano tali informazioni; mancanza di istruzioni chiare su come presentare un reclamo: 157 siti (28%) ne erano privi; alcuni supplementi opzionali al pagamento, come le commissioni sui
bagagli, i premi assicurativi o l’imbarco prioritario, non erano facoltativi: è stato
riscontrato in 133 casi (24%); il prezzo totale del servizio non era indicato immediatamente quando venivano visualizzati gli elementi principali della prenotazione: 112 siti (20%) erano privi di tale indicazione.
Alcune pratiche del settore dei viaggi, sono ancora sotto esame, si vuole verificare, infatti, che i consumatori dispongano di tutte le informazioni pertinenti
e che possano quindi effettuare scelte informate.
• Abusi di mercato
Sono state pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 12 giugno 2014 le nuove disposizioni europee in materia di market abuse, in particolare:
- il Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (Regolamento sugli abusi di mercato) che abroga la Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione;
204
Disciplina comunitaria
- la Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (Direttiva abusi di mercato).
Il nuovo Regolamento sugli abusi di mercato istituisce un quadro normativo
comune in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato (abusi di mercato),
nonché misure per prevenire gli abusi di mercato, onde garantire l’integrità dei
mercati finanziari dell’Unione e accrescere la tutela degli investitori e la fiducia in tali mercati.
La Direttiva abusi di mercato, invece, stabilisce le norme minime per le sanzioni penali applicabili all’abuso di informazioni privilegiate, alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, al fine
di assicurare l’integrità dei mercati finanziari all’interno dell’Unione e di rafforzare la protezione degli investitori e la fiducia in tali mercati.
Il Regolamento, fatte salve le eccezioni previste dall’art. 39, si applica dal 3
luglio 2016. Entro lo stesso termine dovrà essere recepita a livello nazionale la
Direttiva.
• Tutela dei consumatori
Dallo scorso 13 giugno sono diventate operative le nuove regole per il commercio elettronico dettate dal Decreto Legislativo 21 febbraio 2014, n. 21 con
cui è stata recepita la Direttiva europea 2011/83 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori.
Il Decreto modifica il Capo I del Titolo III del Decreto legislativo 6 Settembre n. 206 (Codice del Consumo) riguardante i contratti a distanza, (le vendite
on-line o con qualsiasi mezzo di comunicazione che prevede la presenza fisica
e simultanea delle parti) e quelli negoziati al di fuori dei locali commerciali (le
vendite porta a porta o a domicilio, cioè in luogo diverso dai locali del professionista, ma alla presenza fisica e simultanea delle parti).
Si ricorda che, il recepimento introduce importanti novità sugli obblighi informativi precontrattuali che dovranno essere più dettagliati; sui requisiti formali
nella gestione del contratto di vendita on-line e sul diritto di recesso del consumatore, esteso dagli attuali 10 giorni fino a 14.
Nel caso poi che il consumatore non sia stato informato di questa modifica,
si avrà diritto ad un periodo ancora più lungo: esattamente tre mesi di tempo.
Anche per i contratti conclusi telefonicamente, ci sono novità. Non avrà più
valore il solo consenso, il consumatore sarà vincolato solo dopo aver firmato l’offerta e aver dato la conferma scritta.
Un altro cambiamento importante degli acquisti on-line, è la maggiore trasparenza delle spese. Il negoziante è obbligato a dichiarare i costi che il consumatore dovrà sostenere in caso di restituzione della merce. E se le spese non
sono state palesate in anticipo, allora i costi di restituzione saranno a carico
del negoziante.
205
Disciplina comunitaria
• Protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti non agricoli
Il 24 ottobre si è conclusa la consultazione pubblica avviata dalla Commissione sulla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti non agricoli.
Dal 15 luglio 2014, infatti la Commissione europea aveva avviato una consultazione pubblica su un “Libro verde” che analizza l’opportunità di estendere la
protezione delle indicazioni geografiche ai prodotti non agricoli.
Il “Libro verde” è composto di due parti. La prima parte comprende domande sugli attuali mezzi di protezione a livello nazionale e dell’UE e sui potenziali vantaggi economici, sociali e culturali che potrebbero derivare da una migliore protezione delle IG nell’UE.
La seconda parte contiene domande più tecniche volte a raccogliere i pareri
delle parti interessate sulle possibili opzioni per la protezione delle IG a livello
dell’UE per i prodotti non agricoli.
Attualmente, mentre i prodotti agricoli (ad es. formaggi, vini, carni, frutta e
verdura, ecc.) di una specifica origine geografica, che presentano determinate
caratteristiche o sono prodotti secondo metodi tradizionali, possono beneficiare di una protezione a livello europeo della IG (ad es.: il formaggio parmigiano), i prodotti non agricoli (ad es.: la ceramica, il marmo, la posateria, le calzature, la tappezzeria, gli strumenti musicali, ecc.) non godono di un’analoga
protezione unitaria della IG a livello della UE, bensì solo di una protezione derivante da leggi nazionali.
Per tali prodotti, il quadro giuridico di protezione è molto frammentato: alcuni Stati membri ricorrono alla normativa in materia di concorrenza o di tutela
dei consumatori o a marchi collettivi o di certificazione; solo un terzo degli Stati ha una legislazione specifica.
Al momento attuale, quindi, i produttori non agricoli che desiderano proteggere un’indicazione geografica nell’UE devono presentare una domanda per ottenere la protezione in ciascuno Stato membro in cui esiste questa possibilità
(14 Stati) o ricorrere alla tutela giurisdizionale o amministrativa in caso di abuso.
Si attendono ora i risultati della consultazione per valutare l’opportunità di
adottare ulteriori misure a livello dell’UE.
• Small business act
Di che cosa hanno bisogno le piccole e medie imprese dalla futura politica
dell’UE? È questa la domanda al centro di una consultazione avviata l’8 settembre 2014 dalla Commissione, allo scopo di contribuire a migliorare lo Small Business Act (SBA).
Lo SBA – che consiste in un’ampia gamma di misure volte a semplificare la
vita delle piccole imprese – si è già rivelato una valida base per la politica in materia di PMI. Basato com’è sullo scambio di migliori pratiche, sul sostegno all’internazionalizzazione e all’imprenditorialità nonché sull’accesso ai finanziamenti, lo SBA stimola i paesi dell’UE ad adottare soluzioni rivelatesi efficaci altrove
e a trovare essi stessi idee altrettanto valide.
206
Disciplina comunitaria
Obiettivo della consultazione è ricevere ulteriori contributi da tutte le parti
interessate, comprese le organizzazioni di imprenditori e di imprese, per aiutare la Commissione europea a garantire che lo SBA sia in grado di far fronte alle
problematiche future.
La consultazione rimarrà aperta per 12 settimane e si chiuderà il 15 dicembre 2014; subito dopo, la Commissione europea analizzerà le risposte ricevute
e pubblicherà un report riassuntivo.
L’Esecutivo comunitario farà poi una proposta per un nuovo SBA che dovrebbe essere adottato nella prima metà del 2015.
Lo SBA mira a porre le piccole e medie imprese al centro dell’azione dell’UE
e a rafforzare la loro capacità di competere sia nel mercato unico sia sui mercati globali, nonché a migliorare l’approccio globale all’imprenditoria e a promuovere la crescita delle PMI, aiutandole ad affrontare i problemi irrisolti che
ne ostacolano lo sviluppo.
Nella futura revisione verranno mantenuti i quattro pilastri su cui si sono basate le azioni e le strategie racchiuse nello SBA:
1)Accesso ai finanziamento;
2)Accesso ai mercati;
3)Imprenditorialità;
4)Migliore regolamentazione.
Al fine di ovviare alla carenza di competenze che si è verificata in molte economia europee, la Commissione ha deciso di aggiungere un quinto pilastro, al
fine di dare ancora maggiore stabilità alla politica dell’UE in materia di PMI:
5)Formazione e competenze degli imprenditori e del personale.
Il questionario per la consultazione è accompagnato da un documento che
illustra tutte le misure già in corso di attuazione e una serie di proposte di possibili azioni che la Commissione potrebbe intraprendere in futuro nell’ambito
dei 5 pilastri sopracitati.
• Registrazione marchi comunitari
È possibile escludere, sulla base del diritto dell’Unione europea, la registrazione come marchio comunitario di un segno costituito esclusivamente dalla forma
di un prodotto che presenti una o più caratteristiche di utilizzo essenziali e inerenti alla funzione o alle funzioni generiche di tale prodotto, che il consumatore può eventualmente ricercare nei prodotti dei concorrenti.
Il giudice olandese ha proposto una questione pregiudiziale relativa alla domanda di annullamento del diritto alla registrazione del marchio tridimensionale che rappresenta la sedia per bambini “Tripp Trapp”.
La questione riguarda la problematica dei marchi consistenti nella riproduzione del prodotto stesso, laddove la differenza tra il marchio e l’oggetto tende
a scomparire.
Da ciò, il rischio che l’esclusività risultante dalla registrazione del marchio
possa essere estesa ad alcune caratteristiche del prodotto espresse attraverso la
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Disciplina comunitaria
sua forma, portando dalla limitazione della possibilità di lanciare sul mercato
prodotti concorrenti.
Per tale motivo, il diritto dell’Ue ha una disposizione speciale – l’art. 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 89/104 – che riguarda proprio i marchi che rappresentano la forma del prodotto.
La Corte Ue per la prima volta ha offerto la sua interpretazione della portata
di due impedimenti alla registrazione formulati da tale disposizione che, rispettivamente, vieta la registrazione del segno costituito esclusivamente dalla forma
“imposta dalla natura stessa del prodotto” (primo trattino di tale disposizione) o
dalla forma “che dà un valore sostanziale al prodotto” (terzo trattino).
Secondo la Corte Ue, in questi due casi la registrazione come marchio può essere esclusa: se tali forme fossero riservate a beneficio di un solo operatore economico si creerebbe un monopolio sulle caratteristiche essenziali dei prodotti,
con la compromissione dell’obiettivo della tutela dei marchi.
La percezione della forma del prodotto da parte del pubblico di riferimento
costituisce solo uno degli elementi di valutazione per determinare l’applicabilità dell’impedimento stesso.
Ad ogni modo gli impedimenti alla registrazione di cui al primo e al terzo
trattino della citata disposizione non possono applicarsi in maniera combinata.
• Etichettatura prodotti agroalimentari
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha comunicato che
è stata aperta il 7 novembre 2014 una consultazione pubblica on line tra i cittadini sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari.
I consumatori, i produttori e gli operatori potranno indicare quali sono le informazioni che vorrebbero trovare sui prodotti, rispondendo a un questionario
con 11 domande sull’importanza dell’origine e della tracciabilità dei cibi.
I risultati saranno poi utilizzati come supporto e rafforzamento delle scelte nazionali che l’Italia farà sul tema dell’etichettatura, che verranno presentate a Bruxelles, in attuazione del nuovo Regolamento sull’etichettatura, (Regolamento (UE)
n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011), che entrerà in vigore il 13 dicembre 2014.
Tale normativa ha armonizzato le numerose regole esistenti nell’area europea, al fine di razionalizzare e aggiornare la disciplina in materia di etichettatura, onde evitare l’utilizzo di informazioni che possano indurre in errore il consumatore e tutelare la sicurezza e la qualità alimentare di quest’ultimo.
Le modalità di applicazione di tale regolamento sono state dettate dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013.
L’iniziativa, si ricorda, fa parte delle misure di “Campolibero” previste dalla
Legge n. 116/2014, di conversione del D.L. n. 91/2014 (c.d. “Decreto Competitività”) e ha l’obiettivo di coinvolgere la collettività su una questione decisiva
come la trasparenza delle informazioni sugli alimenti.
Un ulteriore effetto della consultazione è allinearsi ai principi generali dell’Unione europea, dove la condivisione dei contenuti delle decisioni pubbliche costituisce da tempo una prassi consolidata.
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