Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio

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Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio
Tabloid
New
Ordine dei Giornalisti
della Lombardia
Anno XXXVIII N.1
Gennaio-Febbraio 2008
Direzione e redazione
Via A. da Recanate 1
20124 Milano
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abb. post. DIn: 353/2003
(conv.in L27/2/2004 n.46) art.1
(comma 2). Filiale di Milano
A sso c i a zi one “Walter Tobagi”- I stit u t o pe r la f orm a z ion e a l G ior n a lis m o “ Ca rlo D e M ar t i n o ”
Ddl Mastella
Intercettazioni
I cronisti
raccontano
Inchiesta
Le tv locali
audience e news
PRIMA DEL DIGITALE
Ordine
Il reportage
dall’ africa
DEI NOSTRI BORSISTI
Personaggio
Marzio Breda
ricorda
nascimbeni
Pronto...
chi ascolta
Sommario
Primo piano
New Tabloid n. 1 gennaio-febbraio 2008
3
editoriale
Il futuro è già qui
di Letizia Gonzales
4
inchiesta
Le televisioni locali nell’era del digitale
di Paolo Pozzi
12 iniziative dell’ordine
Nairobi, il reportage dei tre vincitori
della nostra Borsa di studio
di Tiziana Cauli, Guido Romeo,
e Giulio Maria Piantadosi
La mia Africa
di Massimo Alberizzi
20 Sulle orme di Sherlock Holmes:
un master di giornalismo investigativo
21 Nasce l’Osservatorio sul precariato
di Giuseppe Spatola
23 gli altri enti della categoria
Una Casagit 2 per i free lance
di Andrea Leone
24 la posta dei lettori
Quando la “nera” fa audience
26 La voce delle redazioni
Quei due proiettili reciclati e spuntati
di Roberto Galullo
28 Rcs Periodici, la vita dei collaboratori
in una ricerca del Cdr
30 “Vera” non rende? Via le giornaliste
di Paola Manzoni
New Tabloid - Periodico ufficiale
Consiglio Ordine giornalisti Lombardia
Poste Italiane Spa. Sped. Abb. Post.
Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004
n. 46) art. 1 (comma 2).
Filiale di Milano - Anno XXXVII
N. 1/gennaio-febbraio 2008
Direttore responsabile:
Letizia Gonzales
Redazione:
Paolo Pozzi (coordinamento)
Antonio Andreini
Progetto grafico e realizzazione:
Maria Luisa Celotti
Studio Grafica & Immagine
Crediti fotografici:
Photos, NewPress
2
31 La voce dei pubblicisti
I primi passi verso la professione
di Stefano Gallizzi
32 multimedialita’
Giornalisti ai tempi del Blog
di Luciano Paccagnella
34 L’osservatorio sull’estero
Usa, un’editoria da flop
a cura di Pino Rea (Lsdi)
36 l’angolo della legge
Tutti a lezione da Mastella
di Alessandro Galimberti
38 Se solo fossimo stati zitti
di Peter Gomez
39 Io, cronista in manette
di Paolo Colonnello
40 C’era una volta Mani Pulite
di Mario Consani
41 Per un’ecologia delle notizie
di Luigi Ferrarella
42 I colleghi in libreria
Che fine faranno le notizie
La TV (ri)vista da ...Norma
a cura di Antonio Andreini
45 testmonianze e ricordi
L’addio a Nascimbeni
signore della Terza pagina
di Marzio Breda
46 i numeri del mercato
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presso il Tribunale di Milano.
Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli
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della Lombardia:
Letizia Gonzales: presidente
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Mario Molinari: consigliere segretario
Alberto Comuzzi: consigliere tesoriere
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Mario Consani, Laura Hoesch,
Laura Mulassano, Paolo Pirovano
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Marco Ventimiglia, Angela Battaglia
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La tiratura di questo numero
è di 26.500 copie
Chiuso in redazione l’8 febbraio 2008
Stampa: Seregni Grafiche
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Tabloid 1 / 2008
Editoriale
Il futuro è già qui
Grazie! A tutti quelli che hanno scritto e apprezzato il nostro nuovo
New Tabloid. Mi incoraggiano a fare sempre meglio. Nonostante le poste,
che purtroppo hanno tempi di distribuzione biblici, in particolare a
Milano dove il giornale è arrivato dopo due mesi! Ma parliamo di questo
numero che spero arrivi almeno prima della fine di marzo, prima cioè
dell’assemblea generale che, con il Consiglio, abbiamo deciso di tenere
il 27 marzo, al Circolo della Stampa di Milano alle ore 15 (arriverà la
convocazione nei tempi tecnici previsti).
Una bella inchiesta sulle televisioni locali apre il nostro magazine, inchiesta che cerca di radiografare la vivace realtà della Lombardia. È un
impegno che ho anticipato nello scorso numero, un modo per dare voce al
prezioso lavoro di tanti colleghi in Lombardia autori dell’informazione sul
territorio, specchio della creatività, fantasia, impegno di tante realtà
altrimenti sconosciute. A seguire, il racconto dell’esperienza a Nairobi
dei tre giovani freelance che hanno partecipato, grazie alla nostre borse
di studio, ai lavori ed alle commissioni della conferenza sui conflitti
africani, ai primi di dicembre, poco prima delle elezioni in Kenia. Accanto
alle testimonianze dei nostri giovani inviati, quella di Massimo Alberizzi
storico corrispondente del Corriere della Sera in Africa, che spiega come si
vive in un Paese tormentato dai conflitti politici e tribali. Luciano Paccagnella, professore di Sociologia della comunicazione e delle reti telematiche a Torino, ci rassicura invece sul futuro del giornalista, nonostante
le nuove tecnologie, mentre Pino Rea fa il punto “critico” sull’industria
dei giornali negli Stati Uniti. Nella seconda parte del magazine dedichiamo
spazio alla testimonianza di un giornalista del Sole 24Ore minacciato dalla
‘ndrangheta, Roberto Galullo, che con passione e sacrificio, come altri
colleghi, scrive di malavita, cosche, cupole e affari malavitosi. Quello
di Galullo di Amadore e Abbate, soltanto per citarne alcuni è il coraggioso
esempio di un rinato giornalismo d’inchiesta, un po’ trascurato in questi
ultimi anni. Al disegno di legge Mastella dedichiamo, infine, sei pagine
con Alessandro Galimberti, consigliere nazionale dell’Unione cronisti che
fa il punto sulla questione (rinviata alla prossima legislatura) e spiega
i riflessi che potrebbe avere sulla completezza dell’informazione. Quattro
importanti cronisti di giudiziaria, Peter Gomez, Paolo Colonnello, Mario
Consani e Luigi Ferrarella provano a immaginare come sarebbero le notizie
se la legge fosse già entrata in vigore.
Il presidente
Letizia Gonzales
Tabloid 1 / 2008
3
L’inchiesta
l’informazione e il mercato delL’emittenza, alla vigilia dell’era digitale
Le televisioni locali
nonostante il satellite
Poco più di 400 milioni
gli investimenti pubblicitari
su 580 emittenti in
tutt’Italia, mentre 4,7
miliardi vanno ai network
nazionali. Sono 85 milioni
le sovvenzioni dallo Stato,
di cui quasi 12 alle 40 tv
della nostra regione
di Paolo Pozzi
Una palestra per tutti, per chi la fa e
per chi la vede. Così è fin dall’inizio.
Ma in epoca di forte esplosione della tv satellitare, le televisioni locali
stanno vivendo, oggi, una seconda,
terza giovinezza.
Anzi, una rinascita, dopo una parabola che sembrava ormai in discesa intorno all’anno 2000, quando i
grandi network facevano razzia di
frequenze, gli introiti pubblicitari
erano in calo e i costi di gestione
sempre più alti. E con una qualità
dei programmi che, spesso, è stata
la più varia, con alti e bassi, trasmissioni e palinsesti a volte un po’ artigianali, altre volte, invece, con vette
d’indiscussa professionalità.
Una nave-scuola, in ogni caso,
quella delle televisioni locali, che
ha consacrato innumerevoli per-
sonaggi ex esordienti e oggi ormai
vip. Molti attori, registi, presentatori,
giornalisti si sono fatti le ossa nelle
emittenti locali, e sono passati anche da tante tv della Lombardia. Il
giornalismo nelle tv locali, in ogni
caso, soprattutto dagli anni Novanta in poi, è davvero paragonabile,
per scuola e palestra, al ruolo che
ha avuto, per gli attori, l’avanspettacolo tra le due guerre.
Telebiella e Telealtomilanese
Lontani i tempi in cui Telebiella (nata
il 20 aprile 1971) di Peppo Sacchi sfidava la legge del vecchio Codice postale del 1936 trasmettendo via cavo
(dal 15 dicembre 1972), in barba a un
codicillo che oggi farebbe sorridere
i più sgamati azzeccagarbugli che
devono dipanare il bandolo della ma-
tassa di una ben più articolata Legge
Gasparri. La legge del ’36 proibiva
l’utilizzo di cavi per un elenco dettagliatissimo di trasmissioni (telefonia,
etc.) senza contemplare la televisione, all’epoca ancora sconosciuta.
Ergo l’utilizzo del cavo per la trasmissione tv era ammesso. Lapalissiano
a dirsi. Ma solo il pretore di Biella,
Giuliano Grizi, arrivò a sentenziare.
E fu così che il monopolio televisivo
della Rai cominciò a sgretolarsi sotto
il peso di quella valanga azzurra che,
prima ancora che sulle piste di neve,
viaggiava nell’etere di mezz’Italia.
Correva l’anno 1970 e ’71. Un vero
e proprio Far West dell’etere, da Telebiella in poi. E un centinaio le leggi,
decreti e regolamenti di rifereimento
(vedi box a fianco). Le prime a segui(continua a pag. 6)
Nel triangolo di terra tra Biella, Legnano e Busto Arsizio sono
nate le prime emittenti televisive che hanno rotto il monopolio Rai
4
Tabloid 1 / 2008
L’inchiesta
NELLA GIUNGLA DELLE LEGGI
Quei primi Tiggì di provincia, con i pionieri dell’etere
E’ del 6 agosto 1990, ed è siglata con il
numero 223, la legge che regolamenta il
sistema radiotelevisivo pubblico e privato
che va sotto il nome di Legge Mammì (dal
nome del ministro delle Poste all’epoca in
carica, Oscar Mammì). Ed è questa la legge
che istituisce i Telegiornali nelle televisioni.
L’articolo 20 delle legge 223/1990 recita
infatti: “I soggetti titolari di concessione
per la radiodiffusione in ambito nazionale
sono tenuti a trasmettere quotidianamente
telegiornali o giornali radio”. Tre anni dopo
è il primo comma dell’articolo 5 della
legge 27 ottobre 1993 n. 422 (già decreto
legge 27 agosto 1993, n. 232) a stabilire
l’obbligo di istituire il telegiornale anche per
le emittenti in ambito locale, a decorrere
dal 30 novembre 1993 (ma Telebiella
trasmetteva un Tg, dalle 19 alle 19,30, già
nel 1973). E al telegiornale – dice sempre
l’art. 5 della stessa legge – si applicano
Tabloid 6 / 2007
le norme sulla registrazione dei giornali
periodici contenute negli articoli 5 e 6 della
legge n.47 dell’8 febbraio 1948, cioè la
legge sulla stampa. Non solo. In riferimento
ai commi 5 e 7 dell’articolo 1 della legge
del 27 ottobre 1993 si stabilisce anche
che tra i requisiti essenziali per ottenere (e
mantenere) la concessioni a trasmettere da
parte del Ministero delle Poste c’è anche
l’esistenza di un rapporto continuativo di
lavoro subordinato in regola per almeno
tre dipendenti o tre soci lavoratori, senza il
quale viene ritirata la concessione.
Ma a dare il via libera alle televisioni locali,
si sa, è stata una sentenza della Corte
Costituzionale, la n.202 del 28 luglio
1976, che ha “superato” una legge storica
promulgata un anno prima, la n.103 del
14 aprile 1975, nota come Riforma della
Rai. Altra basilare legge per il sistema
radiotelevisivo è la n.172 del 6 giugno
1975, nota come legge sull’editoria, poi
aggiornata (n. 416 del 5 agosto 1981
e n.67 del 25 febbraio 1987) fino alla legge
n.66 del 30 giugno 2001. Completano
il quadro di riferimento le disposizioni
urgenti del 23 dicembre 1996, n.650, la
n. 488 del 1998 sulle misure di sostegno
all’emittenza locale (vedi tabella a pag. 10 e
11), l’istituzione dell’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni del 31 luglio 1997,
n.249 (nota come Legge Maccanico), i
diritti di trasmissione televisiva delle società
di calcio con la n.78 del 29 marzo 1999,
il Regolamento in mat aeria di pubblicità
radiotelevisiva e televendite con la delibera
Agcom n.538 del 26 luglio 2001, le norme
per le trasmissioni analogiche e digitali
del 20 marzo 2001, n.66. Fino alla Legge
Gasparri, la n.112 del 3 maggio 2004, oggi
ancora in vigore. In attesa di una nuova
legge Gentiloni. Che non c’è più.
5
L’inchiesta
(segue da pag. 4)
re le orme dei pionieri, Telealtomilanese di Busto Arsizio, Canale 21 di
Napoli e Gbr di Roma, nel 1974. E poi
ancora, nel 1976, Telemilanocavo di
Giacomo Properzj e Alceo Moretti, la
tv che due anni dopo sarà comprata
da un Silvio Berlusconi poco più che
esordiente. E che dire del 1977, anno
d’inizio trasmissioni, a Legnano, di
Antenna 3, emittente di proprietà di
Renzo Villa ed Enzo Tortora, proprio
mentre la Rai è tutta presa a lanciare
il colore. Roba quasi da preistoria, a
ben vedere.
Ma se la programmazione ha fatto
passi da gigante rispetto all’era dei
pionieri anni Settanta e l’audience
ha conquistato una valenza di tutto
rispetto sui singoli bacini di utenza,
sul territorio locale, gli investimenti
pubblicitari su queste tv non hanno
ancora sfondato il muro di Berlino. Il
90% sul totale dei 4,7 miliardi di in-
troiti pubblicitari sulla televisione registrati da Nielsen nel 2006 è andato,
infatti, ai network nazionali e solo una
cifra ancora inferiore ai 500 milioni
(fonte AgCom) è stata spartita dalle
televisioni locali, in tutt’Italia.
A 11 milioni e 692mila euro per il
2006 (decreto ministeriale del 31 luglio 2007, vedi tabella di pag. 10-11)
ammontano le sovvenzioni annue
che arrivano dallo Stato alle televisioni locali della Lombardia che fanno
informazione, su un totale nazionale
di 85 milioni e 814mila euro da riparti-
Le donne in TV
L’onda rosa nei Tg e i luoghi comuni dell’advertising
È saldamente nelle mani delle donne il timone
dell’informazione locale lombarda, anche se protagonisti
delle notizie continuano a essere gli uomini. Mentre le
televendite, e in generale la pubblicità, alimentano gli
stereotipi e “remano contro” l’eguaglianza dei sessi. È
quanto rivela una ricerca dell’Osservatorio di Pavia, svolta
su un campione di 14 emittenti regionali e provinciali, per
indagare l’immagine femminile nelle tv lombarde. Dove
le giornaliste rappresentano il 57% dei conduttori e il
50% dei corrispondenti. C’è poi una positiva presenza
delle donne (in misura superiore agli uomini) su tematiche
economico-politiche, tradizionalmente appannaggio dei
maschi, ma anche una loro maggiore concentrazione
sulla cronaca locale, piuttosto che sugli eventi nazionali o
internazionali, dove, al contrario, primeggia il sesso forte.
Cattive notizie arrivano, invece, dal fronte dei soggetti
dell’informazione: solo nel 18% dei casi presi in esame
le news parlano di donne, che sono protagoniste ancora
più raramente (7%). E, nel 21%, non è stato possibile
determinare la loro posizione sociale o lavorativa, anche
per la tendenza dei giornalisti a intervistare il gentil sesso
su tematiche di opinione popolare o di vissuto personale,
piuttosto che di competenza professionale, e a preferire
gli uomini come interlocutori “esperti”. Riguardo alle
televendite c’è un po’ più equilibrio, essendo per il 46%
6
declinate al femminile. La presenza delle donne è perlopiù
correlata alla messa in scena della dimensione privata.
Non a caso, prevale su quella maschile nei servizi di lotto
e cartomanzia e nella vendita di prodotti per il fitness e
dimagranti, ambiti nei quali è essenziale instaurare un
rapporto di complicità con lo spettatore. Più di un terzo
del campione analizzato (35,3%) è risultato portatore
di stereotipi di genere, quali la “casalinga di Voghera”
(tratteggiata dalle televendite di elettrodomestici per
la casa, ma anche di piccoli oggetti d’arredo e di vini
da tavola) e “la casalinga di Manhattan” (prodotti per il
fitness ed elettrodomestici). Le televendite mostrano, nel
complesso, un’ampia apertura nei confronti delle donne,
che rappresentano il 54% dei soggetti protagonisti, ma
compaiono soprattutto nel ruolo di modelle o testimoni,
a conferma della tendenza della tv a privilegiare, per
la donna, la dimensione dell’esperienza, contro quella
della competenza, che è prevalentemente maschile.
Infine, ricopre le diverse funzioni della conduzione solo
il 36% delle donne protagoniste di televendite, contro il
52% degli uomini. E alle donne è assegnato il ruolo più
personalizzato del presentatore (conduttore che mostra
l’uso del prodotto), piuttosto che quelli più impersonali del
conduttore “puro” o della voce fuori campo, a prevalenza
maschile.
Elena Rembado
Tabloid 16 / 2008
2007
L’inchiesta
re fra le 580 televisioni locali esistenti
sul territorio nazionale. Tante, infatti,
sono le emittenti che, alla scadenza
del 25 luglio 2005, avevano chiesto
al Ministero la proroga della concessione per il passaggio al digitale. Quaranta di queste hanno sede
e trasmettono in Lombardia, dando
occupazione a un migliaio di dipendenti, di cui circa 150 giornalisti.
I contributi arrivano in base a una
graduatoria stilata dal Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni, vedi box a pag. 9) con un criterio
di ripartizione che tiene conto del
fatturato, del numero di dipendenti e
di professionalità giornalistiche, che
dovrebbe garantire, sotto la supervisione dell’Authority, un minimo d’incentivo alle emittenti locali che hanno
notiziari e fanno informazione.
Passi da giganti, comunque, si diceva, nel campo del giornalismo televisivo locale, almeno rispetto a trent’anni fa. Con redazioni sufficientemente
strutturate, anche se piccole, in molti
casi. La tv locale che in Lombardia fa
più ascolti e che, sul piano nazionale, contende il primato a Telenorba di
Bari, è Telelombardia, con 1 milione e
200mila telespettatori.
I Tg e le redazioni
A bucare lo schermo sull’emittente
televisiva più seguita in Lombardia
(direttore Raffaele Besso, che può
sfoggiare tre prime serate di news e
va in onda tutte le sere in diretta) c’è
una nutrita redazione (coordinatore
Giuseppe Ciulla) formata, tra gli altri,
da Stefano Golfari, Laura Costa, Leandro Diana, Giliola Santin, Stefania
Sirtori, Cristina Zanetto. E da personaggi come Roberto Poletti che, dal
lunedì al venerdì, conduce “Buongiorno Lombardia”, o, per “Prima
serata” Stefania Cioce e David Parenzo (che conduce anche “Iceberg”)
sempre su Telelombardia e Antenna
3, ora tutt’e due televisioni di proprietà di Sandro Parenzo, uno dei pochi
che fa vita autonoma e indipendente,
slegata cioè sia da Frt sia da AerantiCorallo.
Legata al Gruppo editoriale San
Paolo (Famiglia Cristiana, Jesus, Il
Giornalino, etc.) è invece Telenova,
Tabloid 1 / 2008
I ragazzi in TV
La fascia protetta? Una chimera!
La fascia protetta delle emittenti
lombarde non è uno spazio per
bambini. Da un’indagine realizzata
dall’Osservatorio di Pavia per
il Corecom Lombardia, non
emergono segnali confortanti: la
programmazione specifica per
minori occupa soltanto il 3,7% (a
fronte del 9,4% nelle reti nazionali)
dei palinsesti pomeridiani (dalle
16 alle 19) e, nel 74% dei casi, si
trova all’interno di un programmacontenitore, che consente di aggirare
il divieto di interruzioni pubblicitarie
nei prodotti per minori di durata
inferiore ai 30 minuti. Una sola, tra
le reti analizzate, dedica oltre un
terzo della fascia protetta (38,5%)
all’infanzia. Si tratta di Antenna 3,
con il suo quotidiano collegamento
a K-2, ampia “striscia” di cartoni e
telefilm, a target 2-14 anni, a cura
di Jetix (Mondo Sky) e in onda in
contemporanea su 16 emittenti
locali. Un’altra rete, Bergamo Tv,
mostra una discreta attenzione
per gli spettatori più piccoli (9,4%),
proponendo quotidianamente,
escluso il weekend, Terraluna,
programma del canale Sat2000,
che alterna il bricolage e il racconto
di fiabe a momenti musicali e alla
trattazione di tematiche culturali,
educational e ambientali. Teletutto
e Telenova, che evidenziano
un’attenzione per il pubblico
infantile sporadica e assai ridotta in
termini quantitativi (pari o inferiore
al 2,5% del loro palinsesto),
trasmettono Creartù. Ma il format,
acquistato dalla Manticx, ha una
forte componente promozionale,
poiché guida i telespettatori nella
realizzazione di vari oggetti, con
strumenti in vendita presso i negozi
dello sponsor Cartolaio Amico.
Infine, un gruppo maggioritario di reti
evidenzia una totale disattenzione
per i minori in fascia protetta. E in
nessun caso si riscontra un impegno
autonomo di produzione della rete.
Poco interessata ai bambini,
la fascia protetta è diventata il
“regno” dell’advertising. Nella
settimana analizzata, le 14 reti
hanno trasmesso circa 174 ore di
televendite, corrispondenti al 60,4%
dell’intera programmazione, e 51
ore di spot tradizionali (17,6%), per
225 ore complessive di promozione
commerciale rivolta agli adulti.
Soprattutto nelle televendite,
l’Osservatorio ha riscontrato la
presenza di messaggi ingannevoli
e il ricorso a stereotipi diseducativi.
Il tempo dedicato, da tutte le reti, ai
notiziari e all’informazione ammonta
a quasi 8 ore, corrispondenti al 2,7%
della programmazione settimanale.
Tali spazi giornalistici non sono
specificamente dedicati ai minori,
ma non violano neppure la normativa
a loro tutela. L’intrattenimento
occupa il 14,5% della fascia
protetta (circa 42 ore), di cui solo
il 6,4% è rivolto ai bambini e agli
adolescenti. Anche in questo caso,
tuttavia, prevale un sostanziale
rispetto della loro sensibilità. La
fiction, che occupa una quota di
palinsesto assai ridotta, pari al 2,8%,
è invece il genere più interessato
dalla presenza di contenuti violenti,
anche se il fenomeno non assume
dimensioni preoccupanti. I cartoni
animati, infine, programmazione a
target kids per eccellenza, occupano
soltanto il 2,1% dei palinsesti
sottoposti ad analisi. La parte più
consistente è rappresentata dalla
fantascienza, seguita dai generi
comico/brillante, supereroi e sport.
In linea generale, i cartoon di tipo
aggressivo-competitivo sono
prevalenti rispetto a quelli umoristici
e affettivi. Mancano completamente,
nel campione, cartoni di produzione
italiana; la produzione europea copre
il 22,7%, mentre il resto del tempo è
occupato da creazioni statunitensi e
giapponesi.
Elena Rembado
7
L’inchiesta
Auditel
Share e audience:
ecco come e per chi
Auditel è una s.r.l.
nel cui CdA siedono
rappresentanti di
Rai, Mediaset e delle
loro concessionarie
di pubblicità, di
La7, delle aziende che investono in
pubblicità, delle agenzie di pubblicità
e dei centri media. E c’è anche la
Fieg (con l’1%), che non siede in
Consiglio ma nel Comitato tecnico.
La misurazione del consumo di
televisione, effettuata dalla AgbNielsen per conto di Auditel, si basa
su un panel di famiglie campione.
Le 5.103 famiglie rappresentano
le venti milioni di famiglie italiane
e le quattordici mila persone che
vivono nelle famiglie campione
rappresentano i 55,6 milioni di
italiani/e con età superore ai
quattro anni. Auditel distribuisce
dunque i dati di audience, share
ed altro, basandosi sulle scelte
del proprio panel. Si prende in
esame il consumo televisivo di
ogni singolo individuo e se ne
calcola il “fattore di espansione”,
il moltiplicatore assegnato a
quella persona. Il campione è
distribuito in 103 province italiane
e consente di coprire circa 2.090
degli 8.100 comuni italiani. Le
indagini campionarie tanto più
sono valide quanto più alto è il
numero dei partecipanti al panel e
ampio il valore di ciò che si misura.
E’ molto probabile che Auditel
riesca a monitorare con sufficiente
approssimazione i valori d’ascolto
delle reti generaliste nazionali; più
problematico è considerare affidabili
i dati Auditel riferiti a realtà locali.
Tanto più piccola è l’area geografica
cui i valori si riferiscono, o nella quale
un’emittente locale opera, tanto
più alta è “la forchetta” di errore
possibile.
Francesco Siliato
(Politecnico di Milano)
8
Auditel gennaio-ottobre 2007. gli ascolti medi
EmittentiGennaioFebbraioMarzoAprileM
TELELOMBARDIA
1.243.248
1.350.877
1.234.404
1.263.585
7 GOLD TELECITY (Lombardia) 1.139.525
1.177.029
1.162.736
1.170.781
ANTENNATRE
1.149.353
1.162.521
1.051.694
1.051.419
TELENOVA
721.692
789.863
724.056
711.113
TELEREPORTER 549.743
530.953
502.109
483.541
MILANO +
324.320fino a gennaio
da aprile
298.388
BERGAMO TV
248.403
251.926
266.894
241.413
PRIMA RETE
162.879
181.532
187.369
190.450
PIU’ BLU LOMBARDIA 196.043
183.530
180.830
187.536
TELETUTTO
182.471
200.392
180.678
168.803
CANALE 6
193.635
167.715
151.635
153.955
RETE 55
119.375
115.357
125.054
130.207
TELECAMPIONE
152.590
187.255
172.117
158.204
STUDIO TV 1
211.606
195.391
164.650
157.813
TELEUNICA
104.117
107.349
106.649
96.602
TELEBOARIO
102.426
100.087
99.555
95.223
TELECAMPIONE 2 107.675
91.460
86.774
85.584
PIU’ VALLI TV
87.828
88.935
88.392
70.623
ESPANSIONE TV
87.609
76.983
64.301
62.797
VIDEOSTAR
37.500
34.733
38.961
41.363
BRESCIA TELENORD
32.666
30.118
36.451
35.034
il cui Tg (diretto da Gianni Visnadi)
è condotto da Paolo Pirovano, Paola Blandi, Alberto Carreras e Paolo
Giarrusso. Su Telenova vanno poi in
onda programmi di approfondimento ormai noti come “Linea d’ombra”
condotto da Adriana Santacroce e
Pinuccio Delmenico, ma anche “NovaMattina”, con una rassegna stampa e ospiti nello spazio di Daniela
Sirtori e Fabio Pizzul.
Ma se Telenova è l’esempio più datato e storico (la sua nascita, per volere del Gruppo San Paolo Periodici,
è datata 1978) di abbinamento tra
emittenza e giornali, esiste, in realtà,
una consistente schiera di emittenti
locali che sono legate a gruppi editoriali della carta stampata.
A cominciare da Teletutto (nata nel
1977), il cui principale azionista, dal
1994, è l’Editoriale Bresciana, proprietaria del quotidiano Il Giornale di
Brescia. E direttore di Teletutto è Giacomo Scanzi, lo stesso del Giornale
di Brescia. Una dozzina i giornalisti
in organico, con corrispondenti dalla
Valle Camonica, Valle Trompia e Valle Sabbia. Stesso discorso vale per
Bergamo Tv, emittente legata al quotidiano L’Eco di Bergamo, il più diffuso quotidiano di provincia d’Italia.
Legata al Corriere di Como (dorso
locale del Corriere della Sera) è invece Espansione Tv di Como di proprietà di Maurizio Giunco, presidente
dell’associazione tv locali della Frt.
Espansione Tv (direttore Mario Rapisarda) condivide la redazione con il
quotidiano, ma ha volti noti (Giorgio
Bardaglio) e rubriche di approfondimento giornalistico seguite e conosciute sul territorio.
In un un’emittente televisiva locale
di Varese, Rete 55, ha mosso i suoi
primi passi, invece, Antonio Marano,
ex sottosegretario per le comunicazioni (uomo fidato di Umberto Bossi),
oggi direttore di rete di Raidue. Una
copertura capillare sulle informazioni
e le news che accadono tra Varese,
Gallarate, Busto Arsizio, Tradate e
dintorni è assicurata da un’agguerrita redazione di un pugno di giornali-
Tabloid 1/ 2008
L’inchiesta
Corecom
delle emittenti censite in lombardia
MaggioGiugnoLuglioAgosto
SettembreOttobre
1.183.335
1.078.122
1.107.388
1.046.226
1.293.269
1.298.744
1.088.514
978.595
889.456
820.147
975.529
1.026.942
1.017.777
982.131
884.362
876.958
980.099
994.624
708.006
672.606
660.931
590.091
741.460
765.629
486.679
493.861
468.086
441.806
483.363
474.725
299.902
307.229
302.610
303.706
323.389
276.504
271.086
249.477
253.394
202.214
225.880
230.981
183.215
188.171
191.654
180.258
188.758
178.669
196.955
219.914
190.069
183.363
169.419
178.038
187.644
174.508
176.557
162.619
176.753
174.330
167.305
150.655
156.536
134.333
148.312
161.613
139.676
163.239
153.091
148.956
141.240
143.747
147.133
139.055
149.696
125.338
141.787
124.702
175.824
162.191
149.298
149.893
137.336
121.478
95.468
93.348
94.537
82.718
93.922
98.740
101.422
91.859
85.984
75.407
70.932
87.553
83.214
89.928
102.489
83.558
98.836
86.329
86.018
72.255
74.072
64.537
63.919
77.938
74.558
81.636
62.034
76.933
70.234
75.468
45.005
35.002
30.921
33.390
33.791
41.184
37.002
46.111
40.164
39.369
41.947
37.772
sti guidati da Matteo Inzaghi e Chiara
Milani. Competitor locale è Telesettelaghi (direttore Monica Terzaghi),
che sfoggia una rubrica settimanale
d’opinione condotta da Robertino
Ghiringhelli, ordinario di Storia delle
dottrine politiche all’Università Cattolica di Milano.
Firme soprattutto sportive, della carta
stampata, sono poi contemporaneamente volti noti nelle televisioni locali.
Fra tutti Xavier Jacobelli (ex direttore
di Tuttosport e Corriere dello Sport e
poi del Quotidiano sportivo del gruppo Riffeser) che va in onda con Fuori
gioco e Telekomando, dagli studi
di Assago di Telecity sul circuito di
Italia 7 Gold. Numerosi, insomma,
i giornalisti sportivi che prestano la
loro opera sulle televisioni locali. Una
consistente fetta della torta pubblicitaria appannaggio delle tv locali è
infatti attirata dai programmi sportivi.
Particolarmente seguiti i servizi sportivi su Telelombardia dove il coordinatore della redazione sportiva, Fabio Ravezzani può contare su firme
e volti noti come Evaristo Beccalossi
o Gino Bacci. Una rampa di lancio
inaspettata, invece, le televisioni locali, sono anche per chi, sconosciuto
fino a prima di comparire in video, è
poi diventato, in men che non si dica,
personaggio noto in ambito locale.
È il caso di Camelia Liana Jumatate,
romena di Bucarest, oggi conduttrice del Tg a Tele Clusone, balzata
agli onori della cronaca e della noto-
Dei 4,7 miliardi d’investimenti pubblicitari
sulle televisioni, in Italia, solo poco più
di 400 milioni vanno alle emittenti locali
Tabloid 1 / 2008
Da qui passano
le sovvenzioni
Il Il Corecom
(Comitato
regionale per le
comunicazioni )
è un organo di
governo, garanzia e
controllo sul sistema
delle comunicazioni in ambito
regionale. È organo funzionale
dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni ed è organismo
di consulenza della Giunta e del
Consiglio regionale.
Svolge la sua attività in rapporto
con il pubblico, gli editori,
i gestori di tutti i mezzi di
comunicazione e le Istituzioni ed
è stato costituito in Lombardia
con la legge regionale 28 ottobre
2003, n.20, in attuazione della
legge 31 luglio 1997, n.249,
istitutiva dell’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni.
Il Corecom della Lombardia si
è insediato ufficialmente il 16
settembre 2004. Di norma si
riunisce due volte al mese, ma
può essere convocato ogni volta
che lo si ritenga necessario. Tra
le sue funzioni figura quella di
sostenere lo sviluppo del settore
radiotelevisivo attraverso la
predisposizione di graduatorie
delle emittenti televisive locali
alle quali attribuire i contributi
previsti dalla legge 448/1998 e
realizza uno studio annuale sul
sistema delle comunicazioni
in ambito regionale finalizzato
a presentare una relazione al
Consiglio iregionale e all’Authority.
Vigila in materia di tutela dei
minori nelle tv, diritto di rettifca e
nella pubblicazione dei sondaggi
e interviene nelle controversie
tra gestori del servizio in ambito
locale. Presidente è Maria Luisa
Sangiorgio (nella foto sopra),
i vice presidenti sono Maurizio
Gussoni e Piero Scaramucci.
9
L’inchiesta
Aeranti-Corallo
Una bandiera
per 313 locali
È l’associazione
di categoria che ha
il maggior numero
di televisioni locali
associate. Sono
infatti 313 le tv
locali iscritte ad AerantiCorallo,
che associa un totale di 1.048
imprese, tra cui 668 emittenti
radiofoniche locali, 6 agenzie
di informazione radiotelevisiva,
36 imprese radiotelevisive
via satellite, 10 imprese
radiotelevisive via Internet,
9 concessionarie di pubblicità
del settore radiotelevisivo e 6
syndication di emittenti locali
che effettuano trasmissioni in
contemporanea sul territorio
nazionale. Pur rappresentando
la gran parte delle televisioni
locali, però, solo 51 delle
associate AerantiCorallo
sono rilevate da Auditel con
7 milioni e 251.0566 ascolti
complessivi relativi al dato
netto giornaliero (dati 2005).
AerantiCorallo rappresenta,
invece, 81 delle 168 imprese
televisive locali (pari al 48,2%)
complessivamente ammesse
alle graduatorie regionali per le
misure di sostegno alle tv locali
previste dal D.M. 378/99 per
l’anno 2005.
Nata nel 1998, AerantiCorallo è
coordinata dall’avvocato Marco
Rossignoli (nella foto) e ha
sede nazionale ad Ancona. Le
imprese AerantiCorallo danno
complessivamente lavoro a oltre
6mila lavoratori dipendenti
e a oltre 10mila collaboratori.
Il 3 ottobre 2000 AerantiCorallo
ha stipulato con la Fnsi il primo
contratto collettivo nazionale
di lavoro per i giornalisti che
lavorano nelle tv locali. Il Ccnl
è poi stato prorogato, con
modifiche, il 19 dicembre 2005.
10
fatturati e occupazione
EmittentiMedia fatturato
’04/’06 in euro
Telelombardia
12.609.071
Antennatre
8.359.690
Telenova
8.144.666
Telereporter
5.514.230
Teleradio City
6.328.623
Telecampione
6.856.193
Bergamo TV
2.692.854
Teletutto
3.655.287
Telecolor
1.614.224
Rete 55
1.965.734
Teleunica
1.476.379
Espansione TV
1.409.587
ReteBrescia
1.444.758
Studio TV1
1.328.090
Teleboario
886.449
Telesettelaghi
794.657
Brescia Punto TV
567.668
Più Valli TV
478.588
Telemantova
283.996
Brescia Telenord
357.333
Videobergamo
569.582
Videostar
385.734
Tbne
136.960
Antenna 2
175.973
Primarete Lombardia
1.058.355
Videostar 2
643.827
SuperTv
382.104
La 6
681.959
Trs TV
467.573
Canale 11
54.731
Italia 8
642.701
Telesolregina
64.483
Telelibertà
124.983
Telestar
765.162
Televalassina
149.081
Canale Italia
174.133
Videoblu
28.860
Più Blu Lombardia
394.740
Tele NBC (Tv comunitaria)
0
Tele Stella (Tv comunitaria)
0
rietà, lei di origine extracomunicaria,
in quel delle Valli bergamasche, terra
leghista, per antonomasia. Un Telegionale multietnico va in onda, dal
lunedì a domenica, anche su ReteBrescia, dove Carlos Leonel e Ligeon Ciola (marito e moglie) hanno a
disposizione un pool di collaboratori
Giornalisti
Profess.
Pubb.Pratic.Tempo det.T
13,47
4,77
5,84
15,16
1,58
2,24
7
0
0
13,16
4,14
1,03
2,99
9,32
0
4
0
0
10
0
1
5,3
4,24
1,64
4
3,58
1
3,63
2,22
0,58
7,8
0,5
0
3,7
0,93
0
2,09
0
3,3
2,2
0,91
0,08
0
2,39
0
1
3,65
0
2,17
2
3
0
0
0
2,82
0
0
0
0
0
0
1
0
1,45
0,54
0
0
0
0
0
1,56
0
0
1
0
1
0
0
0
0
0
0
0,29
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0,63
0,21
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
che descrivono, con servizi e inchieste, la vita dei numerosi immigrati nel
Bresciano e nel mondo.
Non sono affatto rari, comunque,
casi di giornalismo d’inchiesta nelle
piccole televisioni locali. Ne è buon
esempio Telecolor di Cremona (direttore Pierluigi Baronio)v, che ha dovu-
Tabloid 1 / 2008
L’inchiesta
graduatoria per le sovvenzioni statali
Personale non giornalistico
Tepo indet..
Tempo det.
47
0,49
47,35
0
38,62
2,08
21,97
0,24
28,01
1,12
39,29
2,86
23,82
1,76
20,68
3,81
9,48
39,96
19,26
1
13,91
0,56
16
0
10,56
3,74
7,83
7,09
11,15
0
3,89
11,1
3,71
1
10,48
0,91
2,24
2,84
6,45
0
3,25
4,93
1,49
0
5,11
0
2,7
0
3
0,2
2,59
0,5
4
0
2,27
4,38
3,62
0
3,27
0
2,36
0,83
2,47
0
0,84
0,05
1,5
1,41
1,2
0
1
0
1,05
0
0,57
0
0
0
0
0
Punti
totali
2753,75
2614,5
1780,42
1763,68
1607,03
1604,81
1406,93
1255,41
960,35
938,56
934,88
767,22
517,84
472,97
456,71
420,46
376,89
327,71
258,48
199,17
181,27
162,82
155,63
153,99
153,04
150,95
126,06
118,41
116,24
99,25
86,24
75,19
74,74
65,62
38,36
32,76
32,24
23,48
0
0
to far fronte a non poche difficoltà a
seguire le partite del Cremona Calcio
per aver mandato in onda servizi e
inchieste sull’inquinamento ambientale da parte dell’azienda titolare della squadra di calcio locale.Ora, per
tutti, si apre un nuovo capitolo. La
tecnologia, infatti, consente, ormai
Tabloid 1 / 2008
Ecco come
si calcolano
i contributi
Le misure di sostegno
alle emittenti locali
(legge n.448 del 1998)
prevedono un fondo
statale che viene
ripartito attraverso
una graduatoria
redatta dal Corecom
sulla base della
media dei fatturati e
dell’occupazione, con
un premio particolare
alla quota di giornalisti
occupati. poco più di
11 milioni di euro in
Lombardia.
In percentuale i 4/5
del contributo sulla
base del 37% delle
emittenti in graduatoria
arrotondato all’unità
superiuore e 1/5 del
contributo diviso
fra tutte le emittenti
indistintamente.
In pratica le prime 15
tv locali si dividono
l’80% del contributo,
le altre le quote fisse
rimanenti. La forbice
del contributo varia
quindi, di fatto, da
circa 50mila euro per
chi prende di meno
a un paio di milioni
di euro ciascuna per
le prime in graduatoria.
anche alle emittenti locali di offrire
contenuti a pagamento. L’utilizzo del
pay per view, insomma, non è più
solo appannaggio dei network come
Mediaset o La7.
La sfida, oggi, anche per le tv locali, è
quella del 2012 sul digitale.
[email protected]
FRT
Ascolti e fatturati:
Non solo Mediaset
È l’associazione
che rappresenta
tutte le televisioni
nazionali e i
grandi network,
ma ha anche
una divisione dedicata alle
televisioni locali. Alla Frt
aderiscono infatti le tre reti
del Gruppo Mediaset (Canale
5, Italia 1, Rete 4), quelle
del gruppo Telecom Italia
Media (La7 e Mtv Italia) e Sky
Italia, oltre ad alcuni content
provider di canali satellitari
(tra cui Fox Channel). Ma in
Frt c’è anche un’articolazione
dell’associazione che raggruppa
135 emittenti televisive locali
(quasi tutte le più iomportanti
in termini di ascolti, fatturati
e di occupazione), 5 radio
nazionali (Rtl 102.5, Rms
Radio Monte Carlo, Radio
105 Network, Radio Kiss
Kiss Networke e Radio Italia
Solo Musica Italiana) e 180
radio locali. Le associate
Frt (contando i tre canali
Mediaset) rappresentano il 95%
dell’intero settore televisivo
privato (e il 60% del settore
radiofonico privato) e danno
lavoro (compreso l’indotto) a
cerca 20mila persone. La Frt (al
contrario di AerantiCorallo che,
per i giornalisti, ha firmato un
contrato di lavoro con la Fnsi)
è firmataria di un contratto con
i sindacati confederali Cgil,
Cisl e Uil. Costituita nel 1984,
la Frt è presieduta da Filippo
Rebecchini (nella foto),
ma l’articolazione delle
televisioni locali è presieduta da
Maurizio Giunco di Espansione
Tv di Como (vice presidenti
Piero Manera di Rete 7
Piemonte e Giorgio Tacchinoi
di TeleCity Piemonte).
11
Le iniziative
dell’Ordine
I nostri tre “inviati speciali” raccontano la conferenza di nairobi
Africa al bivio tra guerre
e nostalgia del futuro
I vincitori della Borsa di studio dell’Ordine della Lombardia hanno seguito i lavori sui
conflitti nel Continente nero. E descrivono la sfida più grande della sua storia:
far uscire dall’indigenza milioni di persone che vivono negli slums, nella povertà totale
Joseph Iwannia è uno fra i personaggi
più significativi che si possano incontrare, qui, alla Conferenza sui conflitti
africani. Delegato keniano di una missione cattolica, è arrivato a Nairobi per
assistere ai lavori, ma la preoccupazione per le sorti dei suoi connazionali lo
costringe a tornare a casa in anticipo.
La chiesa dove lavora, vicino al confine
con l’Uganda, ospita decine di rifugiati
etnici, bersaglio di una nuova ondata
di odio.
In Kenia, il processo di unificazione
nazionale ha prodotto risultati apprezzabili dopo l’indipendenza del 1963,
ma non ha abolito le recriminazioni dal
sapore etnico. Dice Maina Kiai, presidente della Kenya National Commission on Human Rights; “Lo stato ha
faticato per darci una storia comune
in modo da renderci più forti contro il
colonialismo. Come anche i sudafricani, i keniani vogliono essere fieri della
loro nazione, ma c’è ancora un grosso
sforzo di coscienza da compiere”.
Tiziana Cauli, a pag 16
12
C’è un’aria di fatalismo a Nairobi. Tutto
surreale. Mondi paralleli che viaggiano
senza incontrarsi mai. Da una parte gli
slums, le baraccopoli, con le loro contraddizioni, la fame e la disperazione
degli ultimi che sopravvivono a fatica.
Dall’altra il city center occidentale, con
i suoi grattacieli, il filo spinato e i guardiani a mantenere l’ordine. Immutabile,
radicato nel tempo e nelle gerarchie tra
le diverse etnie.
Ma, visti da vicino, anche tra gli slums
ci sono molte differenze. Kabiria o Satellite sono considerati “residenziali” rispetto all’inferno di posti come Kibera
o Korogocho.
Una schizofrenia che a volte colpisce
anche i ricchi, che ormai si considerano solamente “classe media”. Ed è
come se mancasse sempre qualche
tassello per capire fino in fondo le ragioni di queste contraddizioni. A meno
di non cercarle in quel mondo popolato di spiriti che noi occidentali bianchi
non riusciamo a vedere.
Giulio Maria Piantadosi, a pag 17
Terra di contrasti. Nella percezione comune l’Africa è terra di catastrofi umanitarie, emigrazione incontrollata e guerre
etniche, oppure è una paradisiaca destinazione turistica. Con la globalizzazione,
l’Africa nei prossimi decenni potrebbe far
emergere milioni di persone dall’indigenza. Ma il suo export dipende ancora molto da minerali e petrolio e, nonostante
gli aiuti internazionali, milioni di persone
ancora non hanno accesso a risorse primarie come l’acqua potabile. Ora in virtù
di quelle forze che spingono il boom di
Cina e India, anche Kenia, Marocco e
Uganda cominciano a raccogliere i frutti
della diversificazione dell’economia, il
Botswana ha tassi di corruzione di gran
lunga inferiori all’Italia, la Tanzania garantisce assistenza sanitaria di base al 90%
dei cittadini e Mauritius e Sudafrica sono
ormai esempi di successo. Raccontare
questi cambiamenti, le storie e le persone, significa raccontare la speranza
dell’Africa.
Per me, significa fare il giornalista.
Guido Romeo, a pag 18
Tabloid 1 / 2008
Le iniziative
dell’Ordine
come e dove lavorano i giornalisti africani
Media di frontiera
Zimbabwe, Guinea e Eritrea all’ultimo posto nella classifica
dei Paesi non liberi. I giornali keniani in “libertà vigilata”
di Tiziana Cauli e Guido Romeo
Isolati, privi di qualsiasi protezione contro i soprusi violenti di cui sono quotidianamente vittime e spesso costretti
all’esilio. La condizione dei giornalisti
in alcune zone dell’Africa è una conseguenza diretta del clima di conflitto e
violazione dei diritti umani in cui versano molti paesi del continente. Secondo
i dati dell’Ong Reporters sans Frontières, la Somalia è seconda nella classifica mondiale dei paesi più pericolosi per
i giornalisti, preceduta soltanto dall’Irak.
“Più di 50 fra i giornalisti più promettenti del paese sono fuggiti all’estero”,
spiega Omar Faruk Osman, segretario
generale del sindacato dei giornalisti
somali Nusoj. Osman ha presentato a
Nairobi un programma di formazione
per reporter somali in Kenia. Fino alla
crisi scatenata dalle ultime elezioni,
questo paese era considerato il faro
della democrazia in Africa orientale, oltre che il fulcro economico della regione. “Oggi uno dei temi più caldi è l’andamento della Borsa di Nairobi che è
diventato un punto di riferimento per le
economie della regione”, spiega Karinki
Waihenya, caporedattore del Business
Daily, gemello finanziario del principale
quotidiano keniano, il Daily Nation. Per
LE TESTATE in kenia
Quotidiani:
Daily Nation, East African
Standard, People’s Daily, Star
Daily, Business Daily, Kenianews,
Periodici:
Coast Week, Karen’gata
Chronicle, Weekly Review,
Talking Africa.
Stazioni televisive:
Kbc Kenia Broadcasting
Corporation, Ktn Kenya Television
Tabloid 1 / 2008
•Francis Owino e Victor Shamwata,
due reporter free lance cresciuti
negli slums di Nairobi, oggi dell’équipe
di Ndugu Undogo, tra i pochi in grado
di filmare nelle baraccopoli.
questo, un periodo di formazione nel
paese avrebbe potuto rappresentare
un’occasione unica, per 40 reporter
somali. Secondo Antony Wafula, un
giovane radio-giornalista keniano che
ha partecipato come insegnante a un
programma di formazione per colleghi
somali nella regione del Puntland, “Le
differenze fra gli standard del giornalismo somalo e quelli keniani sono enormi. Non esistono paragoni”.
Network, Metro Tv, Family Tv, East
African Television.
Stazioni radiofoniche:
Kiss Fm, Capital Fm. Nation Radio,
Metro Fm, East Fm
per saperne di più
www.nusoj.org
www.nationmedia.com
www.chinaview.cn/world/africa.htm
www.freedomhouse.org
www.rsf.org
Come nelle banlieues francesi
Secondo un’analisi applicata anche a
crisi politico-sociali occidentali, come
quella delle banlieues frances, i media
keniani e internazionali, sono stati accusati di aver fomentato la violenza,
assicurando uno spazio di tutto rilievo
a vandali e facinorosi. L’Ong Freedom
House assegna ai media keniani un
livello di libertà “parziale”, mentre Zimbabwe, Guinea Equatoriale ed Eritrea si
contendono l’ultimo posto nella classifica dei paesi non liberi. “La libertà di
stampa è un tema delicato nei paesi
africani”, spiega Muangi Chege, vice direttore del quotidiano keniano People’s
Daily, “ma è migliorata negli ultimi anni,
soprattutto avendo accesso a informazioni e documenti governativi”.
Cinesi imparziali
Il superamento dell’odio legato alle
divisioni etniche e il passaggio dalla censura alla libertà sono fra le
sfide principali che i media africani
si trovano ad affrontare nel processo di stabilizzazione democratica
dei loro paesi. Il Sudafrica, traino
dell’economia del continente, che
precede l’Italia nella classifica di Freedom House e può vantare una fra le
carte costituzionali più illuminate al
mondo, ha superato la segregazione
razziale senza guerre. I suoi media,
però, combattono ancora contro la
concentrazione bianca del capitale. Le dinamiche di simili processi
possono sfuggire alla comprensione
degli osservatori occidentali, abituati
a definire “libertà” e “censura” secondo i criteri delle democrazie europee, ma vanno seguite da vicino
perché in rapida evoluzione e hanno
visto recentemente l’arrivo di nuovi attori. Un’agenzia con crescente
peso mediatico nel continente è, ad
esempio, la cinese Xinhua che, oltre
a una radio in lingua inglese, propone servizi da sedi in tutta l’Africa e
guadagna seguito tra i professionisti locali. “Xinhua è percepita come
molto meno di parte rispetto ai media occidentali, forse perché non dà
giudizi politici sul paese - osserva
Chege. - Anche se negli anni ’90, le
pressioni europee hanno giocato un
ruolo fondamentale nella transizione
verso il sistema multipartitico”.
13
Le iniziative
dell’Ordine
Primo
piano
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE è PIU’ UN PROBLEMA CHE UNA RISORSA
Conflitti e compromessi
Fino a ieri mediatore del dialogo, un Kenia nel caos paralizzerebbe, oggi,
i commerci nell’intera area africana. Nell’ex Congo la più vasta e dispendiosa missione
di pace dell’Onu. Ma anche la guerra tra etnie fa strage di civili inermi
di Tiziana Cauli
Genocidio non
è più tabù?
Drammatico a
dirsi. Quando,
all’apice delle violenze che
hanno seguito
la controversa
ri-elezione del presidente keniano
Mwai Kibaki, i sostenitori del rivale
Raila Odinga sono stati accusati
dal governo di aver messo in atto
un vero e proprio “genocidio” contro i kikuyu, l’impiego di un termine così palesemente inappropriato
non ha stupito più di tanto gran
parte del pubblico internazionale.
Il paese è infatti circondato da stati
la cui autorità centrale è imposta
a stento alle popolazioni che convivono all’interno degli stessi confini e la guerriglia dei movimenti
ribelli uccide quotidianamente un
numero imprecisato di civili inermi.
Il Sudan e la Somalia, con la quale
il Kenia condivide mille chilometri del suo confine settentrionale,
sono gli esempi più significativi e
noti in questo senso. Più a ovest,
nella regione dei Grandi laghi, la
Repubblica democratica del Congo è sede della più vasta e dispendiosa missione di pace dell’Onu,
che non riesce a sedare la guerriglia a est del paese, mentre in
Burundi il fallimento dei negoziati
di pace con i ribelli ha dato inizio
a una nuova stagione di violenze.
La combinazione di “avidità” da
parte di gruppi, governi e attori
internazionali nello sfruttamento
delle risorse e le “recriminazioni”
delle popolazioni, etnie e persone
14
che restano escluse dallo sviluppo economico è individuata dagli
studiosi come causa dei conflitti
nell’intero continente. In questo
panorama di esplosiva instabilità, il
Kenia ha conquistato una meritata
reputazione di stabilità politica ed
economica nell’Africa Orientale e
ha rivestito un ruolo fondamentale
come base di mediazione e dialogo
con le aree di crisi adiacenti. Unione Africana, Onu, Usa e altri paesi
e organismi internazionali si sono
affrettati a inviare i loro mediatori
in loco per il raggiungimento di un
compromesso politico che ristabilisse la normalità. Un Kenia nel
caos paralizzerebbe, com’è accaduto nei primi giorni dei disordini,
il commercio internazionale con i
paesi vicini, in particolare l’Uganda, il Ruanda e il Burundi. Un quarto del Pil dei primi due e un terzo
di quello burundiano transitano
per il porto keniano di Mombasa
e, quando le violenze di alcune
settimane fa ne hanno bloccato
le attività, le loro economie hanno
subìto pesanti disagi. L’Uganda,
in particolare, ha dovuto sospendere i voli domestici a causa della
mancanza di carburante. In questo
contesto, anche il Fondo monetario internazionale ha espresso da
subito la propria preoccupazione
e volontà di sostenere il Kenia nel
suo sforzo per uscire dalla crisi.
L’attenzione dedicata al paese
contrasta con l’indifferenza riservata a crisi politiche e umanitarie ben più gravi in luoghi
meno strategici del continente.
Secondo Adekunle Amuwo, segretario esecutivo dell’African
Association of Political Science
“l’atteggiamento delle potenze e
delle organizzazioni internazionali
nell’Africa post-coloniale è stato
finora in gran parte ambivalente”,
al punto che “la comunità internazionale è più un problema che una
soluzione”.
• Sopra, la distribuzione del cibo tra
gli abitanti degli slums. A destra,
il quartiere-baraccopoli di Kibera, a Nairobi.
Tabloid 1 / 2008
Le iniziative
dell’Ordine
Primo
piano
tra i ragazzi di padre kizito che cercano il riscatto delle baraccopoli
All’inferno con il cellulare
Quasi un milione di persone, nelle periferie di Nairobi, paga l’affitto ai landlords
per vivere in scatole di lamiera sporche, senza luce elettrica e senza cibo. Un ambulatorio
e una piccola attività commerciale per dare un futuro a migliaia di bambini orfani
di Giulio Maria Piantadosi
Sono più di 200
gli slums che circondano Nairobi.
Ogni anno queste baraccopoli
diventano sempre più estese,
ingrossate da un
flusso inarrestabile di persone che
arrivano dalle aree rurali in cerca di
fortuna. Qui la gente paga un affitto ai landlords, i signori feudali che
controllano il territorio, per abitare
in scatole di lamiera sporche e senza luce elettrica. Disoccupazione,
droga, Aids sono l’unica scuola per
migliaia di ragazzini.
Eppure è proprio in questa miseria
che sta nascendo la speranza di un
Kenya diverso. Un bisogno di futuro che le violenze dei mesi scorsi
hanno messo a rischio, riaprendo
l’antica ostilità tra i kikuyu (la tribù
del presidente Kibaki, da sempre al
potere) e i luo (sostenitori dell’opposizione di Odinga).
Kibera è lo slum più grande dell’Africa Orientale. Si arrampica su una
collinetta da cui si vede un campo
da golf che sembra un miraggio.
La baraccopoli è tagliata a metà
dalla ferrovia e per le strade si trova
di tutto: immondizia, cibo, cellulari. Qui vivono quasi un milione di
persone che nonostante tutto non
si sentono sconfitte e che sono riuscite a tra sformare drammi privati
in questioni collettive. Come Judith
Omuinij, direttrice del Kibera Community Program.
«Siamo tutti sieropositivi in cura –
spiega – e per prendere le medicine dobbiamo mangiare, ma alcuni
di noi non hanno i soldi necessari
per fare un pasto tutti i giorni. Così,
con i finanziamenti del microcredito,
abbiamo iniziato una piccola attività
commerciale per sostenerci e dare
un futuro ai bambini rimasti orfani».
Il 10 dicembre scorso l’associazione
di Judith ha festeggiato un anno di
attività. Un giorno speciale, perché
• A sinistra, padre Kizito e, sopra,
un angolo dello slum di Kibera,
uno dei quartieri poveri di Nairobi.
Tabloid 1 / 2008
coincide con l’anniversario della
Carta dei Diritti dell’Uomo.
«I diritti vanno praticati, non possiamo aspettare che qualcuno ce li
conceda», spiega Padre Kizito, missionario comboniano da trent’anni
in Kenya.
A Kibera ha appena inaugurato un
altro centro della sua comunità,
Koinonia, che non si occupa solo
di dare un letto, un pasto e un po’
di istruzione ai bambini di strada.
«L’ambulatorio di fisioterapia – dice
Kizito davanti a una folla di persone – aprirà il mese prossimo. Ditelo
anche ai vostri vicini: chiunque ha in
casa una persona disabile può venire al centro gratuitamente». Assieme
a lui c’è Dan Omulo, 24 anni. Sarà
lui a occuparsi dell’organizzazione.
«Abbiamo bisogno di educazione e
informazione per vincere le discriminazioni, ma siamo sempre in fondo
alle priorità del governo. Lo sportello
handicap è al quarto piano di un palazzo in centro, come ci arrivamo?».
E sorridendo mostra le stampelle.
Su queste esperienze gli scontri
degli ultimi mesi hanno messo una
seria ipoteca. A Kibera la maggioranza di etnia ha votato in massa
per l’opposizione di Odinga, ma qui
vivono anche migliaia di kikuyu fedeli a Kabaki. Eppure non c’è stata la
caccia ll’uomo come nella Rift Valley.
La rete di comunità e associazioni
ha tenuto e le violenze, più che interetniche, sono state negli scontri di
polizia. Per ora la polveriera delle baraccopoli non è esplosa, ma ci vorrà
tempo prima che cessino i rancori e
la gente, divisa tra Odinga e Kibaki,
torni a lavorare insieme.
15
Le iniziative
dell’Ordine
L’economia cresce del 6%. sud africa, kenia, senegal e maghreb da traino
Piccoli imprenditori crescono
Telecomunicazioni e beni di consumo come l’alimentare stanno creando
nuove opportunità per l’economia. Grande attesa per la cablatura sulla costa vicina
a Mombasa. Piccole storie di successo per una nuova classe media emergente
di Guido Romeo
“E se invece
dell’Africa la
Francia aves se colonizzato
il Giappone?”,
chiedeva l’economista JeanLouis Gombeaud
per mostrare come il Giappone,
privo di risorse naturali e in ginocchio dopo la Seconda Guerra,
è oggi una delle economie più
avanzate del Pianeta. L’Africa invece, ricchissima di risorse, liberata dal colonialismo da più di
40 anni e sostenuta dagli aiuti
internazionali, solo oggi sembra
cominciare a trovare la strada di
uno sviluppo autonomo. L’Ocse
mostra una crescita del 5,5% per
l’economia africana nel 2006 e
stime superiori al 6% per il 2007 e
2008. Uno slancio non comparabile
al 9-11% annuo di India e Cina,
ma che si stacca nettamente dalla
media del 3,4% al livello globale.
Non è solo merito delle risorse
naturali – che pure hanno fatto la
fortuna del Botswana, – ma anche
della crescita interna dei Paesi più
avanzati come Sud Africa, Kenya,
Senegal e la fascia del Maghreb.
“Telecomunicazioni, ma anche beni di consumo come l’alimentare
stanno crescendo rapidamente
e credo che paesi come il Kenia
oggi siano veramente una nuova
terra di opportunità” – spiega Raju
Bid, 33 anni e manager della Jetlak
Foods Limited di Nairobi con un
fatturato di 2,6 milioni di dollari nel
2006 e un più 30% previsto per il
2007 e 2008.
16
Poliglotti e manageriali
Bid, indiano-keniota nato a Nairobi
ma che non ha mai visitato il subcontinente, parla correntemente
gujarati e swahili ed è diplomato in
management presso le Università di
Manchester e Westminster. È il perfetto rappresentante di una nuova
generazione di imprenditori africani
fiduciosi nello sviluppo dell’economia locale. I problemi tuttavia non
mancano. In Darfur e Somalia le
cirsi restano ancora irrisolte, Nigeria e Congo sono instabili e molti
Paesi dovrebbero aumentare di 35
milioni l’anno il numero di persone
con accesso all’acqua potabile per
rispettare i “Millennium development
goals” fissati per il 2015. “Anche in
Kenia il terreno di gioco non è uguale per tutte le imprese, a causa di
corruzione e lobby locali – osserva
Hansol P. Shah, direttore di SokoSweety, uno dei maggiori distributori
di dolciumi con 1,2 milioni di dollari di
fatturato nel 2006 .– Ma una classe
media sta emergendo”. Il Kenia, fino
a prima delle elezioni considerato
un esempio di buon governo, gode di un hub commerciale e
libero scambio con l’Egitto.
Molti guardano con grande
attesa alla cablatura sulla
costa vicino a Mombasa,
al suo sistema educativo
il lingua inglese, alle Tlc e
ai call center sull’esempio
della crescita indiana. Non
mancano storie di successo
come quella di Safari.com, il primo
gestore mobile keniota controllato
da Vodafone e destinato a quotarsi
quest’anno. “Oggi l’Africa è fatta
– osservava alla vigilia delle elezioni Maina Kiai, presidente delle
commissione keniota per i diritti
umani - ma bisogna fare gli africani,
dandogli identità, valori moderni
e leader all’altezza delle riforme
che devono affrontare”. I mesi di
violenze che hanno infiammato il
Paese in seguito alla contestata
rielezione di Kibaki, sono costate
centinaia di vite, ma per alcuni, non
sono solo l’effetto dell’odio etnico
che ha provocato tragedie come
quelle del Ruanda. “Venti anni fa
la rielezione del presidente uscente
con l’85% dei voti era considerata
di rigore – ha sottolineato sul Wall
Street Journal Andrea Bohnstedt –
oggi le regole sono più stringenti,
più kenioti conoscono i loro diritt,
i media digitali e la telefonia cellulare hanno accelerato la diffusione
delle notizie. Il Paese è cambiato e
rubare un’elezione non è più così
facile”.
•
Una scuola negli slums.
Ma tanti vanno a studiare
a Manchester.
Tabloid 1 / 2008
Le iniziative
dell’Ordine
la testimonianza dell’inviato del “corriere della sera”
La mia Africa
Vent’anni fa si lavorava con il telefax e mezzi di fortuna,
oggi ci sono i satellitari. Dall’albergo si può controllare tutto,
ma le notizie si trovano in strada e con una buona agenda
di Massimo A. Alberizzi*
Quando ho cominciato a viaggiare per
l’Africa, alla fine degli anni ‘80, portavo una piccola valigetta e la mitica
Olivetti Lettera 22. Per mandare gli
articoli la fatica era grande: dovevo
andare alla posta centrale delle varie
capitali o delle città più importanti,
consegnare il mio pezzo all’impiegato che si occupava dei telex il quale,
senza capire una parola, copiava ciò
che c’era scritto e lo inviava in via Solferino. Altro mezzo, più veloce, dettare
al telefono l’articolo. Già, ma allora le
linee erano pessime, e si rischiava di
aspettare ore.
In quegli anni mi aiutò in modo eccezionale la signora Turco e tutto lo
staff di Italcable, che gestiva i collegamenti tra Italia e resto del mondo.
Ero venuto in contatto con questa
deliziosa centralinista durante un
viaggio a Khartoum, in Sudan, dove
ero passato per entrare clandestino
in Etiopia con i guerriglieri di allora.
La signora Turco - era il 1987 - mi
agevolò alla grande durante la guerra
Libia-Ciad. L’esercito ciadiano portò
una trentina di giornalisti in visita nei
campi di battaglia nel nord del Paese. Alla partenza non ci dissero né
qual era la destinazione, né quanto
tempo sarebbe durato il viaggio.
Lasciammo tutti N’Djamena, senza
cibo, senza acqua e senza neppure
una camicia di ricambio. La sera prima
di abbandonare l’albergo chiesi alla
signora Turco: “Per favore mi telefoni
ogni sera alle 6 e alle 8”. Visitammo
le zone dove erano infuriati i combattimenti e tornammo nella capitale del
Ciad una domenica sera. Avevo scritto
il mio articolo la notte precedente, sulle
dune candide attorno a Faya Largeau,
Tabloid 1 / 2008
un’oasi spettacolare del Sahara. Ero
arrivato in albergo da qualche minuto e, puntuale come un orologio,
squilla il telefono. Dall’altra parte la
signora Turco. “Mi passi i dimafonisti prima che cada la linea”, le dissi.
Dettai concitato e fui l’unico. Gli altri
colleghi non riuscirono a mettersi in
contatto con i loro uffici. I loro pezzi furono pubblicati solo martedì. In
quel viaggio ero il solo italiano, ma i
miei concorrenti erano i colleghi delle grandi agenzie internazionali, che
l’Ansa avrebbe tradotto per l’Italia.
Dai dimafoni ai cellulari
Oggi tutto è cambiato. Al posto della
Lettera 22 c’è un piccolo computer,
un apparato satellitare per collegarsi
a Internet, un telefono satellitare che
negli anni è diventato sempre più piccolo e portatile, un mucchio di fili,
caricatori, antennine, due telefoni cellulari. Tutto può stare in una valigetta
abbastanza compatta.
La signora Turco (che non ho mai incontrato personalmente ma che ricordo sempre) e i suoi colleghi sono andati
in pensione e io posso controllare se
chi È
Massimo Alberizzi, professionista
dal 1978. Primo giornalista
occidentale a entrare nelle zone
della Cambogia controllate
dai Khmer rossi, ha seguito i
maggiori eventi bellici africani
(Ciad e Libia, Etiopia-Eritrea). Ha
raccontato i sanguinosi disordini
prima dal Kenia, quindi dal Ciad,
dove si trova attualmente.
c’è stato un colpo di stato a un paio
di chilometri dal mio albergo. Ma tutto questo è sufficiente per scrivere in
buon articolo o un reportage aderante
alle realtà? Credo di no. Purtroppo in
Italia i grandi media non si preoccupano della formazione degli inviati. Molti
addirittura non parlano inglese o la
loro padronanza è misera. Eppure vengono impiegati in lungo e in
largo in giro per il mondo. Ricordo
Howard French, corrispondente del
New York Times da Abidjan, in Costa
d’Avorio. Fu trasferito a Tokyo, ma
prima il suo giornale lo spedì sei mesi alla Hawaii per un corso intensivo
di giapponese! Stupefacente se si
pensa che in Italia si passa dall’Iraq
alla Germania o dall’omicidio di Cogne all’Afghanistan. Troppo pochi
gli inviati che restano! Colleghi del
Corriere della Sera, Repubblica, Rai,
Panorama, Avvenire, La Stampa....
Avrò scordato certamente qualcuno. Ma dove sono finiti i reporter del
Giornale, Resto del Carlino, Giorno,
Mattino di Napoli, Gazzettino di Venezia, Messaggero, TG5 ...? Con
grande dispiacere non li incontro
più. I loro giornali si sono sbarazzati
del difficile compito di informare i
lettori e hanno assunto sempre più
la fisionomia di organi il cui unico
interesse è partecipare alla lotta
politica. Un contesto desolante.
Occorre reagire con professionalità, competenze e specializzazioni.
Bisogna tornare a ricordare ai colleghi che il patrimonio più importante di un giornalista è l’agenda
telefonica. E va rimpolpata ogni
giorno.
*Inviato del Corriere della Sera
17
Le iniziative
dell’Ordine
Ecco un breve Portfolio
dei tre borsisti dell’Ordine
della Lombardia in Africa.
In centro pagina la sede
Rai nel cuore finanziario
di Nairobi. Nelle altre
immagini la vita quotidiana
nelle baraccopoli.
Il servizio fotografico
è di Guido Romeo e di
Giulio Maria Piantadosi
Foto da Nairobi
La nuova sede Rai
Il continente nero da Nairobi al Tg
La Tv pubblica italiana è tornata con le sue telecamere nel continente nero, aprendo una sede a Nairobi. E’ dal 1995, quando vennero uccisi Ilaria
Alpi, Marcello Palmisano e Miran Hrovatin, che i cronisti della nostra tv non
mettevano piede nel Paese. A raccontare l’Africa c’è Enzo Nucci (foto a
sinistra, l’operatore Antony Wafula, a destra), una vita nella cronaca nera
prima di Nairobi. Rai Africa è nata un anno fa grazie alla sua cocciutaggine.
Ha convinto viale Mazzini ad aprire una sede di corrispondenza a Nairobi
e poi ha superato gli ostacoli tecnici e la burocrazia africana. «Nairobi è un
18
Tabloid 1 / 2008
osservatorio privilegiato sul continente», spiega Nucci. «Da qui seguo le
vicende di 49 paesi: questo vuol dire dare più spazio ai reportage che alla
notizia di un minuto per il tiggì». A accompagnarlo nel suo lavoro c’è solo
Edwin. «L’occhio di un cameraman locale è un modo diverso di entrare in
questo mondo», aggiunge Nucci, che l’anno scorso - quando nessun giornalista riusciva a entrare a Mogadiscio - ha girato un documentario sulla
Somalia delle Corti Islamiche. Ora, nella sede Rai di Nairobi, c’è una targa
che ricorda Marcello Palmisano, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Hanno pagato
con la vita il coraggio di raccontare l’Africa. Bisogna non dimenticare.
Tabloid 1 / 2008
19
Le iniziative
dell’Ordine
L’ordine dei giornalisti della lombardia istituisce sei borse di studio
Seguendo le orme
di Sherlock Holmes
Una nuova opportunità per i free lance che vogliono
partecipare a un Master in analisi investigativa. Perché
giornalisti d’inchiesta si diventa, con coraggio e intelligenza,
ma anche con un’adeguata preparazione professionale
L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha istituito 6 Borse di studio
di 1.200 euro ciascuna per un Master di analisi delle fonti documentarie e giornalismo investigativo.
Possono partecipare alla selezione i
free lance che sono in possesso dei
seguenti requisiti:
1) iscrizione a uno degli Albi della
Lombardia
2) età compresa tra i 25 e i 40 anni
3) laureati o non laureati in possesso di ottimo curriculum professionale
4) conoscenza di almeno una lingua dell’Unione Europea, preferibilmente l’inglese.
L’assegnazione delle Borse di studio è a insindacabile giudizio del
Consiglio dell’Ordine della Lombardia, al quale vanno presentate,
entro il 23 marzo 2008, le domande di ammissione tramite posta
elettronica a [email protected] o a
[email protected] oppure tramite raccomandata con ricevuta di
ritorno in via Antonio da Recanate 1, 20124 Milano, all’attenzione
della presidenza dell’Ordine della
Lombardia. La Borsa di studio si
riferisce al corso di “Analisi investigativa” della durata di 90 ore (vedi
box con il dettaglio delle materie).
Da lungo tempo negli Stati Uniti e
negli altri Paesi in cui il giornalismo
investigativo si è sviluppato, è noto
che la qualità del lavoro giornalistico d’inchiesta non è solamente il
frutto del coraggio, del valore intellettuale e della capacità di analisi
del singolo giornalista, ma è direttamente correlato alla presenza di una ben definita “cassetta
degli attrezzi” e di una adeguata
competenza nell’individuazione,
nell’analisi e nella verifica delle fonti documentarie. Preziosi strumenti
che l’Ordine, con questa iniziati-
analisi investigativa: il programma del corso
Docente Insegnamento Ore
Roberta Bruzzone
Teoria e tecnica dell’investigazione
12
Massimiliano Boccardi
Teoria e tecnica dell’investigazione informatica
12
Fabio Mini
Sistemi criminali 1 (mafia-CO ) Scenari esteri
6
Enzo Ciconte
Sistemi criminali 1 (mafia-CO )
6
Leonida Reitano
Analisi delle fonti aperte su internet 6
Guido Salvini
Lorenzo Striul
Sistemi criminali 2
(terrorismo nazionale e internazionale )
18
Mauro Falesiedi
Economia dei sistemi criminali
22
Francesco Truglia
Workshop di Analisi georeferenziata
per il giornalismo di inchiesta
18
20
va, vuole mettere a disposizione
di chi ha da poco avuto accesso
alla professione, in risposta alla ritrovata passione per il giornalismo
d’inchiesta.
Il Master, che si terrà a Milano presso l’Istituto Don Bosco (via Tonale
19, zona Stazione Centrale), è patrocinato dall’Ordine dei giornalisti
della Lombardia, Istituto per i beni
archivistici e librari dell’Università
di Urbino, Diario della settimana,
Internazionale, Affari Italiani, Quaderni Radicali e McLuhan Program
University of Toronto.
Le altre lezioni del Master
Oltre a quello di “Analisi investigativa”, il Master prevede ulteriori
corsi di “Insegnamenti propedeutici”, “Metodi e strumenti per la
ricerca e l’analisi delle fonti documentarie”, “Giornalismo scritto e
online”, “Giornalismo televisivo”,
per la durata totale di 291 ore.
Chi, invece, è interessato alla frequenza totale del Master (coordinato e diretto da Nicoletta Napoleoni), che avrà inizio il prossimo 28
marzo, indipendentemente dalla
selezione e dall’avvenuta assegnazione di una delle Borse di studio,
potrà partecipare versando una
quota di iscrizione di 4.500 euro,
contattando il coordinatore Leonida Reitano, cell. 348.9155506,
oppure scrivendo una mail a info@
giornalismoinvestigativo.org o, ancora, consultando il sito www.giornalismoinvestigativo.org
Tabloid 1 / 2008
Gli enti
della categoria
PRECARIATO / ISTITUITO UN OSSERVATORIO NAZIONALE CON SEDE A MILANO
Quando la notizia
vale 1 kg d’insalata
Con Barzini e Montanelli abbiamo in comune la passione
per il nostro “mestiere”, ma il lavoro del giornalista
è sempre più insicuro, pagato quando capita e sommerso
di Giuseppe Spatola*
“Il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari
lunghi, anche notturni e festivi, ma
è sempre meglio che lavorare…”.
Chissà se oggi il pensiero di Luigi
Barzini, firma storica del giornalismo
italiano, sarebbe lo stesso. Sì, perché di questi tempi si fa presto a dire
giornalista, ma si fa prima a pensare
al precariato. Oggi fare il giornalista
non è certo meglio che lavorare, ma è
forse il modo più difficile per “lavorare
e guadagnare”.
Così, dimenticando l’idea dello storico
inviato del Corriere, nelle redazioni del
xxI secolo una notizia vale poco meno
di un chilo di insalata fresca comperata al mercato: 2 euro lordi... Insomma,
altro che “call center” e neolaureati
che fanno i camerieri – simbolo della
precarietà del nuovo millennio. I nuovi
giornalisti, che nulla hanno in comune
con i Barzini o i Montanelli se non la
passione per un mestiere diventato
per antonomasia “sempre più insicuro,
incostante e capriccioso” (citazione
da una delle ultime interviste a Enzo
Biagi), si riconoscono in quelli “pagati
quando (e se) capita da padroni che
non assumono mai”.
Per essere brutale, perché la schiettezza paga ancora anche in questo
mestiere, siamo diventati un esercito
di lavoratori in nero che ha superato il
punto del non ritorno. Basta leggere
con attenzione il libro bianco sul lavoro nero, pubblicato due anni fa dalla
Fnsi, per scoprire (se mai ce ne fosse
bisogno) storie di violazioni, soprusi
Tabloid 1 / 2008
nel mondo dell’informazione, e la dittatura dei pezzi pagati sempre meno o
dei contratti a tempo determinato che
diventano prassi in tutte le redazioni.
Purtroppo i numeri non mentono: sono
soltanto 12.500 i lavoratori dipendenti
delle redazioni italiane(dalla stampa a
Internet, dalla tv alla radio), a fronte di
circa 30 mila lavoratori precari. I primi
sono i dati ufficiali dell’Ordine dei giornalisti, i secondi vengono da una stima
sugli iscritti alla cosiddetta «gestione
separata» dell’Inpgi (Inpgi 2), l’istituto
di previdenza dove versano i contributi tutti i redattori parasubordinati e
collaboratori in diverse forme.
Gli iscitti alla cosiddetta «Inpgi 2» alla
fine del 2005 sono risultati 21.171, ma
tra questi la vera «fascia a rischio» è
composta da 10 mila lavoratori che
non raggiungono i 700 euro lordi di
compenso al mese. Inoltre, i soli dati
Inpgi non sono sufficienti a inquadrare
il fenomeno: ci sarebbero infatti altre
diverse migliaia di giornalisti che lavorano senza versare contributi di
A chi rivolgersi
Il gruppo di lavoro dell’Ordine
nazionale è formato da
Massimiliano Saggese
(coordinatore, massimiliano@
saggese.it, cell 339/71.75.304),
Nicoletta Morabito (segretario),
Pasquale Barranca, Filippo Poletti,
Giuseppe Spatola, Fabrizio Di
Benedetto.
alcun tipo perché inquadrati come
“collaboratori occasionali a regime di
ritenuta d’acconto”. Per non parlare
poi di quel mondo del lavoro nero e
del pagamento a pezzo, ancora più
sfruttato (se possibile) rispetto a chi
ha almeno un contratto da cococo o
cocopro. Bisogna infine aggiungere
2500 disoccupati che aspettano in
grazia una sostituzione o un contratto
a termine per poter riscoprire di essere
veri giornalisti professionisti.
Come poter condividere, quindi, Barzini
e il suo pensiero in un’epoca storica in
cui il lavoro è diventato una chimera, in
un mondo in cui i pubblicisti sono usati
come professionisti e i disoccupati valgono quanto la frutta venduta sui banchi
del mercato? Per questa ragione l’Ordine
Nazionale dei Giornalisti ha dato vita a un
gruppo di lavoro sui precari. Uno studio
che dovrà dare un volto, una forma e
soprattutto una vera identità al “precario
giornalista” per trovare soluzioni in grado
di risolvere, o quanto meno attenuare, i
malanni della professione. Il gruppo di
lavoro, che ha scelto Milano (capitale
indiscussa dell’editoria nazionale) e il
suo ordine come sede, è composto da
pubblicisti e professionisti. L’obiettivo? Fare luce sul sommerso e capire
come si è costretti a lavorare da giornalisti (pubblicisti o professionisti non
c’è differenza) non avendo garanzie né
contratti regolari. Come dire che fare il
giornalista è sempre meglio che lavorare… a cottimo e in nero.
*Consigliere nazionale
dell’Ordine dei giornalisti
21
Gli enti
della categoria
DA MAGGIO NUOVE NORME PER GLI ISCRITTI ALL’INPGI 2
Una Casagit 2
per i free lance
Novità anche per i figli, fino a 35 anni, con reddito proprio:
versando un contributo diretto godranno
di assistenza sanitaria completa come “soci aggregati”
di Andrea Leone*
Il Consiglio di amministrazione della
Casagit ha dato il via libera a due importanti provvedimenti, volti ad allargare la base degli iscritti: la Casagit 2
e l’estensione di alcuni servizi ai figli
di giornalisti. Il contenuto dettagliato delle novità è stato recentemente
illustrato all’assemblea dei delegati
della Cassa.
La prima misura è la riforma della Casagit 2, la linea di assistenza riservata
a coloro che non possono permettersi
di pagare il contributo pieno, che oggi
è di 2.544 euro l’anno.
I soci della nuova Casagit 2 potranno
scegliere se versare il 30% o il 60%
del contributo annuale, e in cambio
avranno il rimborso del 30% o del
60% di quanto previsto per i soci a
titolo pieno. In compenso potranno
accedere alle condizioni di maggior
favore previste dalle convenzioni che
Casagit ha stipulato con medici e
strutture sanitarie. Quando questi
soci avranno una capacità contributiva maggiore potranno decidere di
passare a Casagit 1. Con questa misura pensiamo di aver offerto a tutti
coloro che iniziano la professione
una corsia d’ingresso all’assistenza
sanitaria a costi ragionevoli, salvaguardando il loro diritto a passare
all’assistenza piena. Sinora, infatti,
il regolamento prevedeva che, trascorso un anno dalla propria iscrizione all’Ordine, il giornalista perdesse la facoltà di associarsi.
La nuova Casagit 2, riservata a tutti
coloro che sono iscritti alla gestione
Tabloid 1 / 2008
separata dell’Inpgi, verrà illustrata in
una serie di assemblee regionali che
si terranno nei primi mesi del 2008, ed
entrerà in vigore all’inizio del secondo quadrimestre. I soci della vecchia
Casagit 2, poco più di 140 giornalisti,
avranno la possibilità di scegliere se
iscriversi alla nuova assistenza ridotta
o passare a Casagit 1.
La seconda decisione, sempre volta ad allargare la platea degli iscritti,
riguarda i figli dei giornalisti. Oggi
la Cassa assiste i figli dei soci, se
a carico dei genitori, sino al compimento del ventiseiesimo anno di
età a titolo gratuito.
Fino a 35 anni, poi, se permane la
condizione di mancanza di reddito
proprio, i figli possono essere assistiti
con il pagamento di un contributo. In
futuro, invece, i figli di giornalisti che
cesseranno di essere a carico dei
genitori potranno iscriversi a titolo
proprio come soci aggregati, quindi
senza diritto di voto ma con diritto
all’assistenza completa in cambio
del pagamento della quota prevista
per i soci non contrattualizzati, con
le stesse regole. Si rimedia in questo
modo ad una ingiustizia, che prevedeva tale possibilità per i figli di soci
deceduti. Quali titolari di una pensio-
ne di reversibilità Inpgi infatti costoro
possono al termine del trattamento
di pensione scegliere di mantenere
l’assistenza con la formula del socio
aggregato. Perché non dare dunque
questa possibilità anche ai figli di
giornalisti viventi? Due misure volte
a salvaguardare i conti della Cassa
aumentando il numero dei soci ma
mantenendo quella caratteristica di
cassa di categoria che, attraverso
l’applicazione del principio di solidarietà mutualistica, ha consentito
sinora di tutelare efficacemente la
salute dei giornalisti.
Con il 2008 partirà anche il nuovo programma di prevenzione. Gli obiettivi
sono per il momento contenuti per
mancanza di risorse, ma c’è comunque una novità importante. Riguarderà
la prevenzione oncologica femminile e
maschile (utero, mammella e prostata)
secondo lo schema già sperimentato,
e in aggiunta cominceremo ad affrontare il tema delle malattie professionali
con la prevenzione oculistica, riservata ai giornalisti in attività, quindi solo
ai soci e non ai familiari. Sul sito www.
casagit.it trovate tutte le caratteristiche e le modalità del programma di
prevenzione.
* presidente Casagit
Anziché il contributo pieno, i collaboratori
potranno pagare il 30% o il 60%
e ricevere poi rimborsi equivalenti
23
La posta
dei lettori
Se la “nera” fa audience
Il martello del delitto di Cogne o la bicicletta dell’omicidio di Garlasco sono i veri
protagonisti di programmi televisivi come “Porta a porta” e “Matrix”
Emanuele Rossi
Dal ‘vaffa’ di Grillo
al ‘va a fare’ di Lena
C’è un Albo dei giornalisti
anche per Vespa e Mentana?
Sono stufo di vedere colleghi che gettano discredito
su tutta la categoria con programmi televisivi
che inseguono solamente l’audience, senza
alcun rispetto per l’informazione e, quel che è
peggio, senza nessun rispetto per la dignità delle
persone. Grazie a Dio guardo la televisione solo
occasionalmente, ma quel poco tempo che passo
davanti allo schermo basta a farmi inorridire. Mi
riferiscono (non ho visto con i miei occhi, per fortuna)
che Bruno Vespa in una puntata di Porta a Porta sul
delitto di Cogne ha esibito un corpo contundente
(credo un martello) ponendo la terrificante domanda:
sarà stato un oggetto come questo ad ammazzare il
povero bambino? Non pago di questa performance,
il geniale Vespa in una puntata sul delitto di Garlasco
ha portato in studio una bicicletta nera “come quella
dell’assassino”. Una sera mi è bastato dare uno
sguardo all’anteprima di Matrix per provare un vago
(ma neppure tanto vago) senso di nausea. Enrico
Mentana ha annunciato trionfalmente una puntata
sulla tragedia di Torino presentando la vedova di uno
degli operai scomparsi e un collega di lavoro con
tanto di ustioni in primo piano. Insomma, tutti pronti
a buttrasi sugli operai morti pur di alzare l’audience.
Insomma, vogliamo darci una mossa e dire una
volta per tutte che questi signori e i loro colleghi non
sono giornalisti, ma conduttori televisivi, e che se
continuano a fare programnmi che sono solo salotti
di vip o sedicenti tali, che non hanno nulla a che
vedere con l’informazione, non abbiamo motivo per
tenerli in un albo che non li rappresenta.
Riccardo Perrone
24
Caro presidente, propongo a Grillo un va, impegnativo
e positivo. Va a fare qualcosa di buono, va a
lavorare per il bene comune, va a impegnarti per
i più deboli, va a prenderti qualche responsabilità
per migliorare questa società. Va dentro la nostra
società: nelle associazioni di volontariato, dove si
può fare qualcosa di utile per gli ammalati, per gli
anziani non autosufficienti, handicappati, disabili, per
aiutarli nel soddisfare i loro bisogni, e per alleviare
le loro sofferenze. Va nelle comunità di ricupero dei
tossicodipendenti per essere di aiuto a tanti giovani e
meno giovani.
Va a dare un contributo per salvaguardare l’ambiente
e il territorio italiano. Va e partecipa al movimento
sindacale, dei lavoratori e dei pensionati, là dove ci si
può impegnare per avere più sicurezza per la salute
per la vita, più stabilità, più diritti per tutti i lavoratori
e per i pensionati. Va a impegnarti per risolvere i
problemi della povertà, della fame, e per combattere
le malattie e per la pace nel mondo. Va a dare il tuo
contributo a chi si impegna con grandi rischi, per
battere la malavita organizzata, la mafia, il mal affare.
Va nelle istituzioni da protagonista concreto, da quelle
locali, a quelle nazionali.
Va nei partiti per portare il tuo contributo d’idee,
di proposte, d’impegno. Va a prenderti qualche
responsabilità per costruire progetti che aiutino a
risolvere i tanti problemi della società, per contribuire a
migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini italiani,
e in particolare dei più deboli, dei più bisognosi.
Va nell’informazione e formazione, per fare crescere
la cultura dell’onestà, del rispetto delle leggi, della
trasparenza, della solidarietà, del rispetto della
persona. Va in ogni parte dell’Italia o del mondo per
prenderti carico dei problemi reali della gente, per far
si che la società diventi più giusta, migliore per tutti
i cittadini. Va a fare tutto questo perché la storia la
costruiamo noi. La storia siamo noi. La buona e bella
politica si fa con impegno concreto, con passione, con
intelligenza, con umiltà, con meno parolacce, con più
rispetto dell’altro. Chiedo rispetto anche per tantissime
persone che fanno politica con grande serietà, con
grande impegno, con grande onestà, con grande
trasparenza e che hanno a cuore il bene comune dei
cittadini. Anche del tuo.
Francesco Lena
Tabloid 1 / 2008
La posta
dei lettori
Non dimenticate
i free lance
La newletter “Orgoglio”, inviata a tutti
gli iscritti sottintende una autentica
voglia di cambiare. L’orgoglio di
avere sostenuto una buona causa,
inorgoglisce. Di buone cause
da sostenere però ce ne sono
davvero moltissime. Si potrebbe
vivere quasi di solo orgoglio. La
prima riguarda la nostra dignità di
giornalisti. Ma bisogna aprire gli
occhi sulla situazione disperata della
categoria, senza nascondersi dietro
la parola ‘giornalista’. Da dove cominciare allora?
Certamente interrogandosi sulle condizioni di lavoro
dei moltissimi free lance che scrivono ogni mese
per numerose testate, senza alcuna garanzia, ma
soprattutto senza che l’Ordine dei Giornalisti si sia
mai interessato alla loro condizione. Non mi sembra
più sostenibile immaginare una categoria così
frammentata e fragile. Facendo appello al nostro
orgoglio sarebbe bene pensare cosa fare. Sono
certa che una svolta all’interno della nostra rispettata
categoria, diventerebbe un monito per altri orgogliosi
cambiamenti. Di cui sentiamo fortemente il bisogno.
Riccarda Mandrini
Su questo numero parliamo diffusamente dei
freelance, che stanno a cuore non soltanto all’Ordine
ma a tutta la categoria dei giornalisti, tanto è vero che
gli scioperi di questi due anni per il mancato rinnovo
del contratto di lavoro sono stati indetti anche per
tutelare la dignità dei tanti collaboratori dei mezzi di
comunicazione. L’Ordine, per quello che è di sua
competenza (la difesa del contratto appartiene al
sindacato) ha cercato di sanare le posizioni illegittime
all’interno delle redazioni, riconoscendo il praticantato
d’ufficio a tutti quei colleghi con postazioni di lavoro,
incarichi redazionali, responsabilità di servizio. In questi
ultimi anni anche molti freelance con collaborazioni
continuative ed un tetto di guadagno annuo minimo
di 15.000 euro hanno potuto accedere all’esame di
stato e diventare professionisti. Ma essere giornalisti
professionisti non garantisce ahimé il posto fisso
di lavoro! Che fare dunque a favore dei tanti giovani
che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, che
vivono in famiglia perché non si possono permettere
un’autonomia di vita o costruire una famiglia e
navigano a vista fra contratti e contrattini? Soltanto
il rinnovo del contratto che prevede di valorizzare
l’attività dei collaboratori rispettando retribuzioni
decorose e tempi non eterni di pagamento può
incominciare a dare rilievo al contributo del libero
professionista. Per intanto, nel nostro piccolo, con i
colleghi consiglieri abbiamo messo a disposizione dei
freelance sei borse di studio, per frequentare un corso
Tabloid 1 / 2008
di 90 ore di giornalismo investigativo
ed abbiamo inviato tre freelance alla
conferenza internazionale di Nairobi
( i servizi dei nostri inviati su questo
numero). Non è molto, direte voi.
E’ vero. Ma è un modo per
incoraggiare e sostenere giovani di
talento attraverso iniziative “culturali”
che possono arricchire la loro
esperienza e dare modo di allargare
le loro relazioni. L’Ordine è già un
punto di riferimento in Lombardia
per tutti coloro che accedono alla
professione. Vogliamo diventare anche
un laboratorio di riflessione sui tanti problemi che
investono la nostra categoria. (L.G.)
Periodici free press
Ho letto con interesse l’articolo “La free press sveglia
l’editoria” e concordo con il suo contenuto. Mi
permetto di aggiungere che a Milano esistono anche
numerosi altri periodici di informazione gratuiti, a
diversa cadenza, mensile o quindicinale, dalle 5.000
alle 30.000 copie, e più orientati alla vita dei diversi
quartieri con attenzione alle situazioni del territorio, alle
attività dei Consigli di zona. Hanno la capacità di dare
voce ai disagi e alle esigenze reali dei cittadini, e fare
da amplificatore ai comitati spontanei che sorgono a
fronte di problemi di igiene, viabilità, ordine pubblico,
verde, ecc. Anche queste pubblicazioni esistono
grazie alla pubblicità e al contributo, poco più che
volontario, dei diversi collaboratori che vi partecipano.
Tra le numerose testate, mi piace citare quelle
pluridecennali, pubblicate da Bine editore e dirette
da Enzo de Bernardis, “La Zona Milano” che esce in
sette edizioni diverse, il quindicinale “la Piazza” e il
recentissimo “Il Mirino”, mensile di informazione della
zona 8 di Milano, nato lo scorso mese di dicembre.
Ugo Perugini
Non solo Milano
Sono contento dell’azione dell’Ordine.
Mi piacerebbe che l’attenzione venisse rivolta
non solo ai grandi Comuni, ma anche alle piccole
realtà, i piccoli Comuni, in cui la Legge 150 è
totalmente disapplicata e il lavoro del “giornalista”
non viene riconosciuto o viene svolto da chiunque,
a prescindere dal possesso dei requisiti previsti
dalla normativa. Io rientro in questa casistica, e
spero che prima o poi si affrontino anche le nostre
situazioni. Magari prima di andare il pensione (fra
20 anni). Un cordiale augurio per un anno carico di
ogni soddisfazione, personale e professionale.
Massimo Cornacchiari
Comune di Bagnolo Mella (Bs)
25
La voce
delle redazioni
L’intimidazione a un collega e al suo giornale
Quei due proiettili
riciclati e spuntati
La testimonianza dell’inviato speciale del “Sole 24 Ore”
che ha denunciato le attività “legali” della ‘ndrangheta nelle
società quotate sulle piazze finanziarie di Milano e Tokio
di Roberto Gallullo
Una busta, due proiettili, decine di
inchieste contro le mafie: questione di numeri che si sposano con un
grande giornale, come il Sole-24
Ore, che tutti i giorni cerca di spiegare cifre e dati (visibili e invisibili)
della finanza e dell’economia. Un
giornale che, da alcuni anni, spiega, con inchieste di validi colleghi,
dati e cifre della criminalità organizzata che – dalla Sicilia al Piemonte
– fa correre sui binari legali e illegali
dell’economia e della finanza risorse da capogiro accumulate alla luce
del sole o con la copertura di società e professionisti prestanome.
Questo velo ipocrita, ho contribuito negli anni – come caporedattore
prima e come inviato poi – a rompere con le inchieste in particolare
sulla ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale in Europa e
tra le più forti al mondo anche grazie all’asse con il cartello dei narcos
colombiani. Ogni anno le ‘ndrine
calabresi – sono 155 solo nella provincia di Reggio Calabria – hanno
la possibilità di investire circa 40
miliardi di euro. Il loro problema
non è investire, ma come investire.
Riciclaggio sì, ma anche migliaia di
attività legali in tutta Italia e migliaia
di azioni nelle società quotate nelle
piazze finanziarie di tutto il mondo:
da Milano a Tokio.
Due proiettili al direttore Ferruccio
de Bortoli – un grande giornalista al
quale va il mio ringraziamento per
26
il pieno sostegno che ha dato fin
dal 2005 alle mie inchieste – non
sono sufficienti a far arretrare lui e
il giornale. Due proiettili non bastano per fermare i servizi di un giornalista sgradito alle cosche. Due
proiettili, dieci o mille non fermano
la coscienza, il rigore morale e la
deontologia di un giornale e di un
cronista.
Per questo motivo – con il sostegno
della direzione e della redazione continuerò a trattare di economia
criminale e di criminalità economica che sta divorando parti sane di
questo Paese. Senza paure, anche
perché le peggiori intimidazioni non
sono contenute in una busta anonima ma nei silenzi o nelle parole
dei politici, degli imprenditori, della
classe dirigente o degli uomini della
strada.
Tante volte negli ultimi anni – non
solo in Calabria, ma anche in Sicilia, Campania e Puglia dove ho
svolto decine di inchieste sui traffici
sporchi della criminalità – è bastata
un’occhiata, un silenzio o un invito
diretto a lasciare perdere quei nomi
o quei dati, per farmi capire che le
mie domande non erano gradite. E
che, a maggior ragione, non lo sarebbero state le mie inchieste.
Figuriamoci se politici collusi, imprenditori sporchi, dirigenti o funzionari pubblici corrotti e liberi professionisti prestanome dei criminali
potranno gradire il fatto che da un
anno una voce libera va in onda anche su Radio 24 con due programmi
– “Un abuso al giorno”, trasmissione quotidiana alle 6.45 e “Guardie
o ladri”, il sabato alle 19.30, fortemente voluti da un giornalista libero
come Giancarlo Santalmassi – che
mettono a nudo il cancro della criminalità.
Ma niente paure - e mi rivolgo ai
giovani che stanno iniziando ora il
cammino in questa professione o
lo hanno iniziato da poco - perché,
senza accorgercene, noi giornalisti
indossiamo una divisa che è più
forte di una corazza o di un giubbotto antiproiettile, che neppure
una granata può scalfire: la fiducia
dei lettori. Senza quella, sì che siamo condannati a morte. La morte
dell’anima: la peggiore per la dignità di un uomo.
E di un Giornalista.
Chi è
Roberto Galullo, nato a Roma
il 10 aprile 1963, è laureato in
Giurisprudenza alla Sapienza e
inviato speciale del Sole-24 Ore
(dal 2001 al 2005 coordinatore
dei dorsi regionali e dal 2005
caporedattore). Ideatore e
conduttore a Radio 24 di
“Un abuso al giorno” e “Guardie
o ladri”. E’ utore di libri
per il Sole-24 Ore e Il Mulino.
Tabloid 1 / 2008
La voce
delle redazioni
la nostra categoria è sempre più in prima linea
Giornalisti
coraggiosi
Con i casi di Roberto Galullo e Nino Amadore del “Sole
24 Ore”, si allunga l’elenco dei colleghi presi di mira dalle
organizzazioni criminali. Da Graziella Proto a Lirio
Abbate: a tutti la solidarietà dell’Ordine della Lombardia
C’erano una volta Mauro De Mauro,
Mario Francese, Giancarlo Siani. Tre
giornalisti, tre vittime (tra tanti) della
mafia tra gli anni Settanta e Ottanta. Se è vero che oggi il giornalismo
d’inchiesta ha ritrovato la necessaria
grinta, è altrettanto vero che, agguerriti, lo sono anche i padrini dei clan,
che non esitano a mostrare segni di
fastidio (per usare un eufemismo) nei
confronti di giornalisti “impiccioni”.
Segni che arrivano, chiari e forti, sotto varie forme ai cronisti “chiacchieroni”: c’è chi è destinatario di lettere
dai messaggi (e spesso dai contenuti) inequivocabili, chi le minacce
le riceve via telefono, chi, ancora, è
vittima di atti intimidatori veri e propri. Sentirsi minacciare telefonicamente da voci ignote oppure veder
saltare in aria la propria automobile,
per alcuni colleghi è diventata quasi
una sgradevolissima routine. Tant’è.
Loro resistono. Seduti al computer o
fermi davanti a una telecamera, a seconda dei casi, continuano il lavoro
d’inchiesta. Il prezzo? Paura? Forse.
Di certo una gran rabbia e una forte voglia di ribellarsi ai poteri occulti,
con il sostegno dei lettori e la forza
della democrazia. La realtà è quella
di vivere una vita sotto scorta. Dalla
Campania alla Sicilia, dalla Lombardia alla Calabria per i giornalisti d’inchiesta poco cambia. Al massimo,
a cambiare, sono i rituali con i quali
mafia, camorra e ‘ndrangheta cercano di fermarli.
Tabloid 1 / 2008
Oltre ai recenti casi di Roberto Galullo (vedi pagina a fianco) e Nino Amadore del Sole 24 Ore, ecco, di seguito, chi sono i nuovi protagonisti di un
giornalismo… scomodo, per i quali
l’Ordine della Lombardia esprime la
propria solidarietà.
Salvatore Minieri: lavora alla Gazzetta di Caserta ed è l’ultimo, in ordine di
tempo, finito nel mirino della camorra.
Lo scorso 21 gennaio, ignoti hanno
esploso colpi di fucile contro la sua
abitazione a Pignataro Maggiore.
Lirio Abbate: cronista della sede
dell’Ansa a Palermo e corrispondente de La Stampa, 36 anni, vive sotto
scorta da diversi mesi, dopo le lettere
minatorie arrivate in seguito alla pubblicazione del suo libro I complici -Tutti
gli uomini di Bernardo Provenzano da
Corleone al Parlamento. Ad Abbate,
autore dello scoop sull’arresto del boss
Provenzano, nello scorso settembre
ignoti hanno cercato di far saltare in
aria l’automobile.
Carlo Pascarella: responsabile della
cronaca nera del Giornale di Caserta,
33 anni, vive sotto scorta dall’estate
2007 a causa di minacce e atti intimidatori rivolti a tutta la sua famiglia.
Enzo Palmesano: sempre del Giornale di Caserta, ha 49 anni e per i suoi
articoli poco graditi è destinatario da
anni di minacce.
Luigi Guido: giornalista di Calabria
Ora, a Cosenza. Ha 38 anni e nell’agosto scorso è stato destinatario di telefonate minatorie da parte di parenti di
mafiosi arrestati. Oltre a una anonima,
la più esplicita.
Federico Orlando: direttore della
Tv7 di Partitico (PA), 43 anni. Il 26 luglio 2007, a finire nel mirino, la sua
auto: devastata.
Vincenzo Brunelli: 37 anni, della
Gazzetta del Sud a Cosenza. Da
quando gli hanno incendiato l’auto,
la scorsa primavera, la sua casa è
sotto vigilanza.
Riccardo Orioles e Graziella Proto:
ex cronisti de I Siciliani, ora direttori del
mensile Casablanca di Catania. Vittime,
a marzo 2007, di un misterioso furto di
materiale editoriale in redazione.
Dino Paternostro: corrispondente
del quotidiano La Sicilia, ha 55 anni. Nel gennaio 2006, poco dopo
l’uscita del suo libro I corleonesi, gli
incendiarono l’auto.
Cosmo Di Carlo: corrispondente del
Giornale di Sicilia, ha 53 anni. Nel settembre 2002 gli hanno bruciato il portone di casa.
Ruggero Cristallo: giornalista della
Gazzetta del Mezzogiorno a Bari, ha 34
anni. A casa gli è stata recapitata una
testa di coniglio.
Arnaldo Capezzuto: ex giornalista
di Napolipiù, ora a Il Napoli, ha 36
anni ed è stato destinatario di una
lettera “illustrata”: un messaggio
scritto e due teste mozzate.
Pino Maniaci: giornalista di Telejato, a
Partitico (PA), ha collezionato 257 querele e un pestaggio per le sue inchieste sull’ambiente.
27
La voce
delle redazioni
rcs periodici / i risultati di un studio DEL CDr
Vita da free lance
tra luci e ombre
Si guadagna meno, ma si è più liberi. Si lavora di più,
ma con meno sicurezze. Pur con qualche pregio,
la condizione (precaria) dei collaboratori è davvero
una strada obbligata, nell’era selvaggia della flessibilità?
Flessibilità. Precarietà. Termini ormai
sempre più in uso nelle redazioni. Con
un fiorire di contratti atipici. Partendo
dal presupposto che la Lombardia è la
regione con il più elevato livello di questi contratti di parasubordinazione, tra
co.co.pro e collaborazioni coordinate
e continuative, il Comitato di Redazione della Rcs Periodici ha realizzato, tra
luglio e dicembre 2006, una ricerca
su collaboratori, free lance, lavoratori
autonomi per cercare di fotografare
la realtà nelle testate del gruppo. Una
ricerca che dà la misura del lavoro dei
free lance.
Al momento della ricerca, i collaboratori in Rcs Periodici erano circa 600,
su 250 colleghi regolarmente assunti. Il questionario è stato indirizzato al
50% dei collaboratori, ovvero ai 300
che avevano da almeno un anno un
rapporto di collaborazione strutturato
con una redazione. Si è arrivati a raccogliere 80 questionari non completi e
50 completi, che significa che il 16,6%
dei collaboratori ha… collaborato alla
ricerca. All’interno di questo, le donne rappresentano il 58%, in linea con
quanto avviene a livello generale soprattutto nel terziario. Il 31% ha un’età
compresa tra i 25 e i 35 anni, mentre i
maschi nella stessa fascia d’età sono
il 38%. Un altro 31% è tra i 35 e 45
anni (sempre il 38% per i maschi). Non
è una sorpresa: la fascia d’età che si
confronta più da vicino con il fenomeno della precarizzazione è quella dei
trenta/quarantenni (si scende al 20,6%
tra i 45-55 anni e al 10,3% dopo i 55
anni). Quanto al livello di istruzione,
il 62% delle donne ha una laurea e il
20,6% un titolo post laurea. Le percentuali si riducono drasticamente per
gli uomini, rispettivamente al 47% e al
14%, confermando il dato nazionale
di un più alto livello di istruzione delle
donne rispetto agli uomini.
L’86,5% del campione che presta la
sua opera più o meno occasionalmente per le testate Rcs ha mansioni di
scrivente, mentre gli stylist raggiungono un 7,6%, i grafici l’1,9%, stessa
percentuale dei fotografi. Dalla ricerca
emerge che l’80,9% dei colleghi free
lance della Periodici a luglio 2006 (momento in cui è fissata la raccolta dei
dati) è concentrato nell’area “autonomi”, ovvero coloro che lavorano con
partita Iva, chi offre collaborazioni spot,
chi è soggetto al diritto d’autore e i free
lance a borderò. Non solo: all’interno
retribuzione
media mensile
10%
18%
20%
22%
12%
18%
■ meno di 600 euro ■ 600/1200 euro
■ 1200/1800 euro ■ 1800/2500 euro
■ 2500/3000 euro ■ oltre 3000 euro
di questa si nota un prevalere della categoria free lance (36,5%). C’è, invece,
un 11,1% che si piazza nell’area “parasubordinati” (co.co.co; co.co.pro) e
un 7,9% di cosiddetti “subordina-ti”,
ovvero i contratti a termine e gli interinali. Perfettamente in linea con la tendenza generale: il lavoro atipi-co, lungi
dal rappresentare una congiuntura, un
episodio, un passaggio all’interno della vita lavorativa dell’individuo, si fa
strutturale. E si allarga, si approfondisce: la progressiva amplificazione del
numero delle figure flessibili ammesse
dalla legge consente oggi al datore di
lavoro una discrezionalità ancora più
ampia di quella presente anche solo
cinque anni fa.
Per quanto concerne il livello salariale,
il 22% del campione dichiarava di guadagnare tra i 600 e i 1.200 euro lordi al
mese. Al di sotto di questo dato, che
rappresenta la maggioran-za relativa
delle risposte, c’è una co-spicua fetta
di colleghi free lance che incassa meno
di 600 euro lordi al mese (18%), e appena al di sopra altrettanti (18%) arrivano
a uno stipendio mensile tra 1.200 e i
1.800 euro lordi. In fascia media il 12%
(1.800-2.500 euro lordi) e poi un 20% in
fascia più alta (2.500-3.000). Con un rapido calcolo si nota che tra meno di 600
e 1.800 euro lordi si concentra il 58%
delle risposte, confermando, anche tra
i colleghi che lavorano nei periodici e
all’interno di una grande casa editrice,
stipendi ben al di sotto del decoro. Vale
la pena, al riguardo, ricordare che in
Italia la soglia di povertà è stabilita dal
rapporto Istat 2005 in 542 euro netti al
mese per individuo.
Eppure le sorprese non mancano. E
la scomposizione dei dati sui salari
per genere lo conferma. Il 10,3% delle
donne del campione guadagna meno
di 600 euro lordi al mese, il 24,1% tra
600 e 1.200, il 20,6% tra 1.200 e 1.800.
Se osserviamo il campione maschile,
notiamo che la quota di uomini che
guadagnano meno di 600 euro sale al
28%. È probabile che il maggior guadagno relativo delle donne sia soprattutto imputabile al processo di degenerizzazione dell’attività giornalistica
nei periodici, in seguito alla maggior
presenza femminile. Se è vero, come
è vero, che contano i flussi di relazione
grafico 4
28
Tabloid 1 / 2008
La voce
delle redazioni
Distribuzione dei free-lance a seconda dei motivi di ...
Soddisfazione
Insoddisfazione
■ autonomia
7,1%
■ relazioni
37%
■ mancanza
14,8%
di monotonia
■ orari
3,7%
7,4%
14%
16%
■ assenza di
11,8%
■ precarietà
10,9%
■ tempi dei pagamenti
6,7%
■ poca considerazione
11,8%
rapporti gerarchici
17,6%
■ autonomia e superiori
■ orari e altro
■ mancanza
10,1%
■ dinamicità
12,6%
di fidelizzazione
■ ricattabilità
■ altro
e i canali di fidelizzazione, possiamo
dedurre che, forse, le giornaliste sono
più abili nel “tessere reti” rispetto agli
uomini. Questo dato dimostra come
il settore della carta stampata venga
oggi maggiormente percorso dalle
donne, ma potrebbe essere valutato,
al contrario, anche come un minor interesse degli uomini a presidiare aree
ritenute meno appetibili per retribuzione e/o considerazione sociale.
Il 37% degli intervistati individua nell’autonomia l’aspetto più positivo del
proprio status, il 16% sottolinea con
piacere la mancanza di monotonia, il
14% la possibilità di gestire i propri
orari, il 14,8% la dinamicità. Viceversa, preoccupa la labilità del rapporto
di lavoro (18,4%) e un 41% si dice
insoddisfatto dei guadagni, dei tempi
di pagamento e della scarsa conside-
■ guadagni inadeguati
18,5%
garanzia di una contemporanea maggior qualità, anzi. Il 42,8% delle intervistate ha già figli, mentre il 57,1% non
ne ha e, di queste, il 43,7% ritiene che
una condizione di lavoro non stabile
influisca tra abbastanza e molto in tale “mancanza”. Da sottolineare come
questo limite sembra essere ancora
più avvertito dagli uomini del campione, secondo i quali l’essere precari influisce “molto” sulle scelte riproduttive
nel 23% dei casi e “abbastanza” nel
53,8%. E se il 14,8% dei maschi si
trasformerebbe in un lavoratore dipendente, perché spinto dall’idea di più
ampi introiti economici, un 6,3% non
ci ha mai pensato.
È possibile che in futuro l’assenza di
fidelizzazione portata con sé dalla assenza di stabilità si trasformi in un vistoso limite per l’impresa stessa.
razione di cui si gode nei giornali. Chi
vive una condizione di precarietà da
almeno cinque-sette anni sottolinea
come siano progressivamente peggiorati gli stipendi (18,4%), il tempo
di lavoro aumentato (15,7%), la qualità scaduta (13,1%), la competizione
esplosa (10,5%). Il 38,7% di coloro
che vivono da meno tempo una condizione di lavoro atipica (1-3 anni)
mantiene salda la speranza di potersi
inserire in una redazione, il 22,5% ritiene che guadagnerà meglio, il 12,9%
che gli sarà consentito, se non altro,
di governare meglio il proprio tempo.
La ricerca svolta tra le lavoratrici free
lance della Rcs Periodici conferma un
percorso a cui hanno assistito anche
altri settori in precedenza: i media si
aprono vistosamente alle donne, ma
questa maggiore occupabilità non è
tipologia contrattuale
2006
7,9%
2005
2003
2001
2,1%
11,1%
■ Subordinati
■ Autonomi
19,1%
■ Parasubordinati ■ Altro
81%
12,8%
■ Subordinati
66%
14%
23,3%
10,5%
■ Subordinati
■ Autonomi
■ Parasubordinati ■ Altro
Tabloid 1 / 2008
75,5%
■ Autonomi
■ Parasubordinati ■ Altro
55,8%
■ Subordinati
20,9%
■ Autonomi
■ Parasubordinati ■ Altro
29
La voce
delle redazioni
Quadratum chiude lo storico femminile, a due anni e mezzo dall’acquisto
“Vera” non rende?
Via le giornaliste
Scarsa pubblicità e discutibili operazioni di marketing
per il mensile nato in Gruner und Jahr-Mondadori nel
1990. E per i dipendenti scatta la cassa integrazione
di Paola Manzoni*
tà… Tant’era: immediata partiva la
12 settembre 2007, ore 11: ci ritrorichiesta di cassa integrazione per
viamo tutte nell’ufficio del direttore
l’intera redazione: 13 persone, di
per una riunione di redazione. Oggetcui due segretarie, un direttore e tre
to: programmazione dei primi numeri
professionalità grafiche reintegrate
del 2008.
(non senza problemi) nelle altre testa12 settembre 2007, ore 16: di nuovo
te della Quadratum. Il sindacato (dal
tutte insieme, di nuovo nell’ufficio del
nostro Cdr alla Lombarda, alla FNSI)
direttore. Oggetto: comunicazione
da quel 12 settembre ci sostiene e ci
della chiusura del giornale. Vera Maappoggia, anche legalmente, senza
gazine, il nostro giornale, finisce qui.
tregua, con tanto di ordine del giorCosì, nel giro di poche ore, è camno all’ultimo Congresso della FNSI e
biata la nostra vita (professionale,
interpellanza parlamentare dell’onoma non solo…). Improvvisamente e
revole De Biasi. Ma, nonostante due
inaspettatamente (almeno per noi)
mesi infuocati di trattativa sindacale,
l’editore aveva deciso, a soli due
con la quale chiedevamo, sopra a
anni e mezzo dalla sua acquisizione
ogni altra cosa, garanzie scritte di
(l’editrice Quadratum acquistò Vera
reintegro per tutte, dal 26 novembre
Magazine, mensile nato nel 1990,
scorso la Quadratum ha messo noi
dalla Gruner und Jahr-Mondadori
giornaliste di Vera Magazine in cassa
nel marzo 2005, ndr), di chiudere un
integrazione, senza accordo sindafemminile storico, a causa, ufficialcale, unilateralmente, a zero ore, per
mente, di scarsi introiti pubblicitari
24 mesi. Siamo sette e siamo donne.
e di altrettanto scarsi introiti nella
Donne cariche di professionalità e
vendita con collaterali (i gadget, per
intenderci). Salta all’occhio, dalla tabella a fianMENSILI FEMMINILI Ads
co, il calo di diffusione
Testata
Diffusione Variazione
rispetto alla media moSilhouette
Donna
329.264
1,1
bile dell’anno precedente, quando Vera
Glamour
289.190
-1,9
era in edicola in abbinaCosmopolitan
230.029
-6,3
mento ad altre testate.
Elle
174.475
7,7
Nulla poi è stato fatto.
Neppure per cambiare.
Amica
171.929
-9,1
L’editore, al contrario,
Marie Claire
168.764
2,3
nulla aveva da ridire sui
Flair
166.267
0,1
contenuti del giornale,
Vera Magazine
57.937
-48,8
sul nostro lavoro, sulla
nostra professionaliFonte: Ads media mobile novembre 2006 - ottobre 2007
30
•L’ultimo numero di Vera Magazine
che è andato in edicola a fine 2007
ricche di umanità. Donne che credevano nel loro giornale, attraverso
il quale parlavano ad altre donne che
avevano voglia (e forse anche bisogno) di ascoltare. Donne che sapevano lavorare bene e in armonia con
altre donne. Donne che, dopo pianti e
urla (non sapete quanti!), si sono leccate le ferite, hanno rialzato la testa
e si sono rimesse in gioco. Donne,
però, che troppo spesso ai colloqui
di lavoro vedono messa in dubbio la
loro professionalità (e questa forse
è una prassi che non ha sesso) e,
in più, si sentono porre domande
sulla loro vita privata. Perché essere
donne piene di vita, nel pieno della
vita (come noi) viene vissuto come
un limite da chi può offrirti un lavoro.
Altro che pari opportunità.
Negli Stati Uniti, mi raccontava
un’amica che là ha lavorato, una
trentenne o over che a un colloquio
si dichiari single pare sia svantaggiata rispetto a una divorziata: come
dire che, se a una certa età nessuno
ancora ti si è pigliato, forse è perché
celi qualche problemino caratteriale.
Tutto il mondo è paese. Ma questo,
intendiamoci, non ci conforta affatto. Perché noi ex di Vera Magazine
siamo donne forti e vogliamo andare
avanti, senza però smettere di lottare
contro quella che sappiamo essere
stata un’ingiustizia.
(*) vice direttore di Vera Magazine
Tabloid 1 / 2008
La voce
dei pubblicisti
ECCO L’ELENCO DEI REQUISITI RICHIESTI PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO
Un primo passo
verso la professione
Ma l’Ordine dei giornalisti non può riconoscere il lavoro nelle redazioni
di editoria libraria e nelle riviste a carattere tecnico, professionale
o scientifico il cui direttore responsabile è iscritto all’elenco speciale
di Stefano Gallizzi
Quali sono i requisiti per diventare
pubblicista? È questa la domanda
che sempre più spesso viene rivolta
all’Ordine dalle tantissime persone
che aspirano a compiere questo primo passo ufficiale nel giornalismo.
Le regole sono pochissime.
Ecco, in sintesi, i requisiti richiesti:
1 Gli ultimi due anni di attività giornalistica continuativa, non occasionale,
e retribuita regolarmente.
La Finanziaria 2007 (legge 296/2006)
ha stabilito nuove tempistiche per
l’entrata in vigore dei limiti al di sotto
dei quali i compensi potranno ancora
essere incassati in contanti.
In particolare:
• Fino al 30.06.2008 il limite degli
incassi in contanti è fissato in 1.000
(mille) euro;
• Dal 01.07.2008 al 30.06.2009 viene
stabilito in 500 (cinquecento) euro;
• Dall’01.07.2009, non si potranno
incassare contanti per importi superiori a 100 euro.
2 La dichiarazione dei direttori responsabili (delle pubblicazioni) devono comprovare l’attività pubblicistica, regolarmente retribuita da
almeno due anni.
Per gli articoli non firmati, o firmati con pseudonimo, il direttore responsabile della testata deve porre
la controfirma.
3 La domanda deve essere corredata dai giornali e dai periodici che
riportano i servizi, gli articoli e le corrispondenze. Per numero, devono
essere almeno 65 nel biennio per i
Tabloid 1 / 2008
quotidiani e 40/50 per i periodici.
Le notizie brevi non possono essere
conteggiate.
Gli aspiranti pubblicisti, qualora guadagnino più di 5mila euro all’anno,
devono essere assicurati con la gestione separata dell’Inps. Non sono assicurati con l’Inps coloro che
hanno accordi scritti di data certa (e
con anticipo rispetto all’inizio delle
collaborazioni) con gli editori, accordi scritti che prevedono la cessione
dei diritti d’autore.
Va anche ribadito che il Consiglio
non accetta pagamenti unici al
termine del biennio di attività giornalistica. 4 Retribuzione adeguata: è giudicata tale, per ognuna delle previste
prestazioni giornalistiche, quando
almeno non sia inferiore al 25%
della somma prevista dal Tariffario
stabilito ogni anno per le prestazioni
professionali autonome dei giorna-
listi (così il Consiglio nazionale con
delibera 30 ottobre 1995).
Purtroppo, però, il proliferare di tante
piccole testate e la crisi dei giornali
fa sì che, sempre più spesso, i guadagni presentati dagli aspiranti pubblicisti siano davvero irrisori.
Quello dei compensi bassi è, comunque, un problema che può interessare anche le testate nazionali.
In questo senso l’Ordine, di fronte
a compensi indiscutibilmente bassissimi, cerca di andare incontro
alle attese degli aspiranti colleghi
che altrimenti, dopo essere sfruttati
dagli editori, subirebbero anche la
beffa di non vedersi riconosciuto il
lavoro svolto.
Infine una precisazione. Dal lavoro
giornalistico sono esclusi i libri e le
collaborazioni svolte presso pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o scientifico (dirette da iscritti
all’Elenco Speciale).
31
Multimedialità
nuovi attori e metodi della comunicazione
Il giornalista
ai tempi del blog
Con l’avvento delle nuove tecnologie la nostra professione
non perde, ma acquista importanza. Per verificare le fonti,
selezionare le notizie e raccontare la verità “non virtuale” dei fatti
di Luciano Paccagnella*
L’amore (per il giornalismo) ai tempi del colera (del blog). Per continuare
ad esercitare con l’indispensabile dedizione questa professione, ci vuole
oggi tutto l’amore, paziente e infinito, cantato da Gabriel Garcia Marquez
nel suo straordinario romanzo. Un amore incrollabile che, di fronte alle
continue, crescenti difficoltà non può arrendersi. Anzi, deve rinvigorire di
fronte agli attacchi sconsiderati, come quelli di chi ha definito i giornalisti
“vera casta” di pennivendoli. Sarà per il senso di onnipotenza che può
aver colto il comico Grillo dopo i V-Day; sarà che Internet in America,
dove nascono 175mila blog al giorno, è diventato, per certi versi, terra
di reclutamento dei crociati che pretenderebbero di combattere, loro,
contro i santuari della stampa e le commistioni tra notizie e pubblicità,
ma ora più che mai per il giornalismo è necessario non disarmare.
Viviamo in una società dell’informazione in cui, come afferma il professor Luciano Paccagnella (foto sopra) nell’articolo qui di seguito, “i blog
offrono filtri più o meno personali e autorevoli ai fatti che accadono nel
mondo”. Oltre ai blog, “altri intermediari si affiancano al giornalismo
tradizionale nella selezione e nella presentazione delle notizie al grande
pubblico. Ma questo non significa affatto che la figura del giornalista è
destinata a scomparire”, continua il professor Paccagnella. Che, anzi, nel
resto dell’articolo sottolinea come il ruolo del giornalista possa acquistare, proprio grazie ai new media, una rinnovata importanza. (A. A.)
La nuova professione
“Società dell’informazione”: significa che l’informazione diventa la
principale risorsa attorno alla quale
si accentrano interessi economici,
politici e culturali. Contrariamente
ad alcuni slogan molto diffusi in
anni recenti, il possesso di molte
informazioni non rappresenta di
per sé una nuova forma di potere.
Basti pensare a come oggi ogni
cittadino (almeno nei paesi industrializzati) abbia accesso a una
quantità enorme di informazioni, di
cui difficilmente può fare un utilizzo
32
reale: trasmissioni televisive digitali e via satellite, telefoni cellulari e
altri dispositivi di comunicazione
personale mobile, banche dati su
supporti fisici (CD-ROM, DVD) e on
line, stampa periodica tradizionale,
free press e molto altro, compresi
naturalmente i cosiddetti “nuovi
media”, Internet in primo luogo.
In uno scenario come questo, non è
tanto il reperimento o lo stoccaggio
delle informazioni ad assumere particolare rilevanza, quanto piuttosto
le competenze individuali necessarie per gestire ed elaborare in modo
critico questo oceano di dati e di
notizie.
Filtri necessari
È proprio la sovrabbondanza informativa ad aver fatto emergere in
questi ultimi anni nuove particolari
figure che potremmo definire di “intermediazione e filtraggio”, come
ad esempio i motori di ricerca sul
web, strumenti indispensabili per
districarsi su una ragnatela ormai
infinitamente complessa.
Oppure i blog, che nel loro complesso (in quella particolare dimensione
della rete chiamata “blogosfera”) offrono commenti, recensioni, filtri più
o meno personali e autorevoli ai fatti
che accadono nel mondo.
O ancora fenomeni come Wikipedia,
l’enciclopedia libera online a cui tutti possono partecipare scrivendo o
modificando le varie voci, in un gigantesco esperimento di gestione
collettiva della conoscenza.
Questi nuovi intermediari si affiancano al giornalismo tradizionale,
A volte, sui giornali, si spaccia per fresca
una notizia che è in rete da settimane.
Ma non sempre le news sul web sono vere
Tabloid 1 / 2008
Multimedialità
che per molti anni ha
goduto di una sorta
di monopolio nell’accesso, nella selezione
e nella presentazione
delle notizie al grande
pubblico. Questo non
significa affatto che la
figura del giornalista è
destinata a scomparire. Al contrario, essa
acquista una rinnovata
importanza, a patto di
non lasciarsi coinvolgere in fuorvianti “competizioni” con i nuovi intermediari
cui si è accennato sopra e a patto
di avere il coraggio di intraprendere
una poderosa opera di rinnovamento professionale.
Questo significa in primo luogo formazione: non è pensabile che un
professionista non sappia usare gli
strumenti del web 2.0 almeno altrettanto bene di quanto li sappiano
usare i suoi lettori. Il rischio è quello
di spacciare per fresca una notizia
già in circolo da settimane nei blog
specializzati.
Aggiornamento continuo
In secondo luogo, il giornalismo nel
suo complesso deve sapersi aprire all’esterno accettando le sfide
dei nuovi media con serenità. Non
è semplice, come ben sa chi, fino
a ieri, ha dovuto rovistare la cantina alla ricerca di una macchina per
scrivere con cui sostenere l’esame
di stato. Ma questo comporta anche, più in generale, sapersi fare
parte attiva nel dibattito pubblico e
nelle azioni legislative a proposito
di Internet e nuovi media, accantonando i corporativismi che talvolta
affiorano in alcune proposte (ha
senso chiedere, come periodicamente accade, l’obbligo di registrazioni varie per blog e siti web?).
Infine, il nuovo giornalista deve saper fare tesoro di ciò che la gente si
aspetta da lui: non tanto e non solo
la diffusione di notizie inedite, quanto
piuttosto l’offerta di chiavi di lettura
autorevoli, di sintesi critiche, di riflessioni non scontate. Non è un compito
facile, ma è proprio questo ciò che è
Tabloid 1 / 2008
• Alcuni siti di grande consultazione.
Spesso gli utenti possono intervenire
a modificare i contenuti. Ma le fonti
e le news vanno verificate. Da giornalisti.
raro trovare sui blog o sul web, perché
richiede professionalità specifiche.
Oggi qualunque professionista deve
fare i conti con lo studio, l’aggiornamento e la formazione continui.
Il giornalista, per il fatto di lavorare
con l’informazione all’interno di una
società che fa dell’informazione la
sua risorsa più importante, deve
rassegnarsi a studiare un po’ più
degli altri. (*) professore di Sociologia
della comunicazione e delle reti
telematiche all’università di Torino.
Per saperne di più
La guida fondamentale ai new media
Capire i new media: culture, comunicazione, innovazione
tecnologica e istituzioni sociali è il titolo dell’edizione
italiana dell’approfondito ed esauriente volume Handbook
of New Media, della Sage Publications di Londra. In esso,
a cura delle due ricercatrici Leah A. Lievrouw e Sonia
Livingstone, sono raccolti i saggi di una quindicina dei più
noti studiosi mondiali di new media.
Per affrontare appropriatamente la complessità e la specificità della
materia trattata, l’editore Hoepli ha, a sua volta, affidato la cura delle
parti in cui è suddivisa l’edizione italiana a tre specialisti nostrani: “New
media, comunicazione e cultura” alla professoressa Francesca Pasquali,
dell’università di Bergamo; “New media e innovazione tecnologica” al
professor Giovanni Boccia Artieri, dell’Università di Urbino; “New media
e istituzioni sociali” al professor Luciano Paccagnella, dell’università
di Torino. Nella sua presentazione della terza parte, quest’ultimo
scrive significativamente: “Sul piano delle loro relazioni con il sistema
istituzionale, i new media (e Internet in particolare) si presentano come
fortemente ambivalenti, sostenendo al tempo stesso libertà e controllo,
democrazia e fondamentalismi, dialoghi e monologhi. I contenuti digitali,
che da un lato si prestano a esperienze di costruzione dal basso e
di condivisione orizzontale (per esempio, attraverso gli strumenti del
cosiddetto web2.0: wiki, blog, reti peer to peer e così via), dall’altro lato
richiedono l’intervento di nuove figure di mediazione“.
Leah A. Lievrouw-Sonia Livingstone (a cura di): Capire i new
media: culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni
sociali, edizione italiana a cura di Giovanni Boccia Artieri, Luciano
Paccagnella, Francesca Pasquali, Ulrico Hoepli Editore, Milano,
2007, pagg. 415, 28,50 e
33
L’osservatorio
sull’estero
dati, analisi, anticipazioni e frammenti dal futuro
Usa, un’editoria da flop
In un anno l’industria dei giornali americani è calata del 26%, in tre anni (dal 2004 a
oggi) del 42%. La spesa pubblicitaria, nel suo complesso, crescerà del 4,2% nel 2008,
soprattutto grazie ai Giochi olimpici e al diluvio di dollari elettorali, ma non toccherà
i giornali: scende, infatti, dell’1% sui quotidiani e sale del 14,2% solo sulle testate online
a cura di Pino Rea per Lsdi*
In tre anni l’industria editoriale americana ha perso 11 miliardi di dollari
di capitalizzazione (uniche eccezioni
Washington Post e Dow Jones). La
pubblicità cala dell’1% sui quotidiani cartacei, mentre sale del 14,2%
sull’online.
Il valore dell’industria dei giornali negli Usa è calato del 42% dal 2004 a
oggi, per un ammontare di perdite
per complessivi di 11 miliardi di dollari. Rispetto all’anno scorso il calo
è stato del 26%.
Le stime sono di Alan Mutter, un
analista dei media e creatore di un
interessante blog, “Reflections of a
Newsosaur” (riflessioni di un newsosauro, ndr). Qualcuno parla di una
sorta di “debolezza ciclica” del settore, come rileva Henry Blodget su
Sylicon Valley Insider, ma la notizia
ha fatto parecchio rumore in questi giorni negli Stati Uniti, dove si è
sviluppata una fortissima sensibilità
per l’ andamento della stampa e in
particolare dei quotidiani.
Come mostra la tabella qui a fianco,
alcune aziende hanno perso in percentuali allarmanti.
La Journal Register Co., ad esempio,
ha perso il 91% con un ammontare
di 68.9 milioni di dollari. Il Sun-Times
Media Group ha registrato un calo
dell’86% (176.7 milioni di dollari) e
McClatchy è al -82% (1.03 miliardi di
dollari). Il declino va poi inquadrato,
secondo Henry Blodget, nell’ incremento generale della capitalizzazione di borsa negli ultimi 3 anni, pari
rispettivamente al 17% e al 15.6%
degli indici di Standard and Poor’s
e Dow Jones.
34
Internet conquista share
La spesa pubblicitaria negli Stati Uniti
crescerà del 4,2% nel 2008, grazie ai
Giochi Olimpici e al diluvio di dollari
elettorali, ma la crescita non toccherà
i giornali, che anzi perderanno quasi un punto in percentuale in termini
di ricavi pubblicitari. Lo prevedono
le nuove proiezioni della TNS Media Intelligence. Jon Swallen, senior
vice presidente del settore ricerche
alla TNS, spiega che la crescita sarà
mitigata dalla debolezza dell’economia che avrà degli effetti anche sul
settore pubblicitario. Gli investimenti,
secondo le anticipazioni, dovrebbero
crescere del 3,6% nel primo semestre
del 2008 e del 4,7% nella seconda
metà. Fra tutti i media analizzati da
TNS, i giornali dovrebbero registrare
un anno ruvido, con una diminuzione dei ricavi pubblicitari di circa lo
0,9% rispetto al 2007. La pubblicità
online invece dovrebbe crescere del
14.4%. “Internet continuerà a conquistare share, soprattutto a spese
dei giornali”, spiega Swallen. Nel
biennio 2007-2008 i giornali dovrebbero perdere una percentuale dello
share pubblicitario di circa il 18.2%
per il primo anno e di circa il 17.2%
per il secondo anno.
Wall Street weak
Percentuale del valore dei giornali dal 2004
•In 3 anni l’industria editoriale americana ha perso il 42% della capitalizzazione.
Uniche eccezioni Washington Post (+3%) e Dow Jones (+65%).
Tabloid 1 / 2008
L’osservatorio
sull’estero
UK, -19% di lettori in 15 anni
Il numero di adulti che in Gran Bretgna leggono quotidiani è crollato del
19% dal 1992 a oggi. È uno dei dati
di una ricerca - il National Readership
Survey - commissionata dalla Camera dei Lord. I dati, secondo Jessica
Hodgson, del Dow Jones Newswires,
sottolineano un lungo trend di declino
graduale, che continuerà a crescere se
si considera il numero dei più giovani
che hanno abbandonato i giornali. La
ricerca suggerisce anche, comunque,
che i giornali tabloid, tradizionalmente
associati con le fasce di lettori della
classe lavoratrice, stanno inaspettatamente riscuotendo l’interesse di
nuovi lettori, forse in base alla crescita
del numero di britannici che entrano
nelle classi professionali. Le categoria utilizzate dalla NRS sono basate
sulla professione, non sul reddito. Il
numero presunto di adulti che leggono uno o più giornali in una giornata
“media” (da lunedì a sabato) è calato
a 21,7 milioni, rispetto ai 27,7 milioni
del 1992, rileva la ricerca.
La proporzione sul totale della popolazione scende quindi al 45%, rispetto al 59% del 1992. Due quotidiani
nazionali, il Times - pubblicato da
News International, una sezione di
News Corporation (NWS) - e il Daily
Mail - edito dal Daily Mail & General Trust PLC (DMGT.LN) vanno in
controtendenza, registrando un aumento dei lettori.
La readership generale del Times è
aumentata del 69.4% in questo stesso periodo, mentre quella del Daily
Mail è cresciuta del 18.4%. Tutti gli
altri giornali hanno invece visto la loro
readership declinare.
Tre giornali della domenica - Sunday Times, Sunday Telegraph e Mail
on Sunday - hanno visto crescere I
lettori in questo periodo, mentre per
gli altri sono diminuiti. I dati del NRS
mostrano poi che il lettorato dei gior-
nali è diminuito in tutte le fasce di età
tranne in quella fra i 55 e i 64 anni. I
lettori nella fascia 25-34 anni hanno
registrato il calo più sensibile, intorno
al 40%, più intenso che fra i giovani
fra i 15 e i 24 anni.
Il declino di lungo periodo del numero
dei lettori è stato accompagnato negli
anni recenti da un declino ancora più
acuto nei ricavi pubblicitari. Comunque, rispetto al calo a due cifre per
alcuni giornali nel 2006, il 2007 ha
visto una tendenza al miglioramento
nei ricavi dalla pubblicità. Molti analisti
ritengono che questa tendenza cambierà nel 2008 in relazione al peggioramento delle condizioni economiche.
Il totale dei quotidiani venduti in UK
è calato del 2,7% nel 2007, contro il
3% di calo del 2006 (secondo stime
di Citigroup).
Come catturare giovani lettori
Secondo un recente rapporto della
World Association of Newspapers
dal titolo “Engaging young readers’’,
editori e direttori di giornali sarebbero ottimisti sulle possibilità di attirare
In Gran Bretagna solo due quotidiani
guadagnano lettori: il Times aumenta del
69,4%, il Daily Mail cresce del 18,4%
Tabloid 1 / 2008
e trattenere una nuova generazione
di lettori. Un sondaggio che riguarda 227 aziende editoriali. Gli editori
di giornali sono ottimisti sulla loro
capacità di catturare il tempo e gli
interessi di una nuova generazione
di lettori, secondo una ricerca della
World Association of Newspapers. Il
Report realizzato dal progetto SFN
(“Shaping the Future of the Newspaper”) esamina le abitudini mediatiche
delle giovani generazioni e offre una
serie di esempi di come i quotidiani
stiano usando strategie editoriali,
campagne di costruzione dei marchi e uso dei giornali nei programmi
educativi per attrarre e mantenere i
lettori giovani.
Il Rapporto, basato sull’analisi delle
politiche di 227 aziende editoriali di
tutto il mondo, rileva che gran parte
dei giornali sono ottimisti sulle possibilità di attrazione nei confronti
dei giovani lettori. Più di sei su dieci
esperti interpellati dicono che i bambini delle scuole primarie possono
essere attratti congiuntamente attraverso la piattaforma online e quella a stampa. Metà degli interpellati
ritengono che gli adolescenti usino
i cellulari come fonte primaria di informazione, offrendo nuove opportunità di distribuzione dei contenuti
dei giornali. *libertà di stampa
diritto all’informazione
35
L’angolo
della legge
CHE COSA SI NASCONDE DIETRO AL DDL CHE METTE TUTTI A TACERE
Mastella detta legge
come ai tempi delle veline
Ci provano da tempo. Mettere un bavaglio alla stampa, facendo credere che è per
il bene degli italiani. Per tutelarne la privacy. In realtà, secretando le indagini si va
a inceppare un delicato ingranaggio della democrazia: la trasparenza del processo
di Alessandro Galimberti *
Abbiamo provato a immaginare come
sarebbero i giornali se il disegno
di legge Mastella (qui spiegato
da Galimberti) fosse già in vigore.
Abbiamo chiesto, allora, ad alcuni
colleghi che hanno seguito importanti
cronache giudiziarie, come sarebbero
le notizie se la “legge bavaglio alla
stampa” fosse stata già in vigore,
vietando la pubblicazione delle
intercettazioni telefoniche. Così Peter
Gomez (a pag. 38) racconta quale
sarebbe, oggi, la mappa del potere
senza gli scoop su Ricucci-Corsera,
Consorte-Bnl, Fazio-Bankitalia.
Paolo Colonnello (pag. 39) ci scrive
una lettera (di fantasia, s’intende!)
dal carcere, per aver pubblicatoo
un articolo “vero”, Mario Consani
(pag. 40) “rilegge” Mani Pulite e
Luigi Ferrarella (pag. 41) fa alcune
proposte. Di buon senso.
36
Se tre governi in successione alternata lo pongono tra le priorità assolute, e se il Parlamento nell’unica
votazione espressa (alla Camera,
nella primavera del 2007) approva con una maggioranza altro che
bulgara (98%), sorge il dubbio di
trovarsi di fronte davvero a qualcosa di ineluttabilmente grande per le
sorti del Paese. Invece la revisione
del codice di procedura penale nascosta nel ddl Mastella - presentato
come limitativo delle intercettazioni
- è qualcosa di più e di peggio: è la
destrutturazione dell’indagine preliminare nella sua prerogativa costituzionale: la trasparenza.
Tutto, come si sa, inizia nel 2005 con
la pubblicazione dei primi verbali su
Bancopoli - i baci telefonici ricevuti
dall’ex governatore della cassaforte
d’Italia, - continua l’anno dopo con
la Vallettopoli di Potenza – tra re
mancati, politici viveur e ballerine,
- cui segue Calciopoli con i telefoni
di Moggi. E ogni volta la solita reazione della classe dirigente: basta
con l’intrusione nella privacy, stop
al voyeurismo nell’esistenza di stimate persone e di (qualche) estraneo all’indagine. Il tutto culmina
nell’iniziativa del ministro Clemente
Mastella, che a fine 2006 presenta
al Parlamento quel disegno di legge
promesso l’estate precedente, per
la verità come decreto urgentissimo,
dall’ex premier Berlusconi.
Per inquadrare la gravità della partita in atto, bisogna rimettere in ordine
alcuni valori che il dibattito politico/
giornalistico degli ultimi anni ha ribaltato, spesso in malafede. L’indagine preliminare, o istruttoria che dir
si voglia, è <trasparente> dal 1989
Tabloid 1 / 2008
L’angolo
della legge
in pillole
Cosa dice il ddl
e cosa si rischia
•La revisione del
codice di procedura
penale nascosta nel
Ddl dell’ex ministro
Clemente Mastella
(in foto) “censura”
la pubblicazione
delle intercettazioni
telefoniche.
(riforma del codice di procedura ) per
un semplice motivo: garantire i diritti dell’indagato, e permettere al <popolo italiano> nel cui nome la <giustizia è amministrata> (Costituzione)
di esercitare il controllo sull’attività
della magistratura (proprio così!),
attraverso la mediazione dell’attività
giornalistica. Tutto il codice è articolato su questo perno, stabilendo che
gli atti depositati (art. 114 cpp) non
sono più segreti e sono nella piena
disponibilità delle parti, che possono farne ciò che vogliono, compreso fornirli ai giornalisti come è prassi
consolidata. Di più: se il pubblico
ministero volesse prolungare il periodo del segreto, deve <chiederlo>
all’indagato e trovarvi adeguata motivazione (art 329). Chiara l’equazione? Processo segreto = pericolo per
l’indagato, altro che privacy e finto
garantismo alla rovescia. La Storia
ha insegnato che l’inquisizione è la
deriva più terribile del terzo potere,
quindi il Legislatore contemporaneo
ha agito di conseguenza, sgombrando il processo dall’ombra e dal
rischio delle zone buie.
Eppure il dibattito di questi anni vuole
far credere all’opinione pubblica che
il <segreto> è un valore inviolabile
dell’istruttoria e che la pubblicazione, pur legittima, di atti è una lesione
della privacy dell’indagato; quindi il
Governo ha fatto calare il sipario su
tutta l’attività del pm: divieto assoluto di pubblicare qualsiasi intercettazione, divieto di pubblicazione del
contenuto degli atti di indagine preliminare fino al II grado di processo
(quindi fino a 5/7 anni dopo i fatti!).
Piccolo inciso: tutto ciò che abbiamo letto e sentito in questi anni sulle
grandi inchieste non è mai stata una
<fuga di notizie> né tantomeno una
<violazione di segreto>: i giornalisti
hanno solo divulgato il contenuto di
atti depositati, non più segreti, nella
piena disponibilità degli indagati e
dei loro difensori. Anzi, quasi sempre atti emessi da un Giudice preliminare al termine di un’indagine.
Il peccato originale del ddl Mastella
è tutto qui: secretare l’indagine facendo credere che lo si fa per il bene
degli italiani. Invece è per nascondere le vergogne di qualche pezzo
grosso. Ma così si rischia davvero di
stravolgere l’ingranaggio più importante della democrazia: la trasparenza del processo.
*consigliere nazionale Unci con
delega all’informazione giudiziaria
Il Governo ha fatto calare il sipario
sull’attività del pm. Stabilendo divieti che,
sotto sotto, ledono la libertà di tutti
Tabloid 1/ 2008
• È vietata la pubblicazione,
anche parziale, degli atti di
indagine contenuti nel fascicolo
del pubblico minisgtero o delle
investigazioni difensive, anche
se non coperti dal segreto, fino
alla conclusione delle indagini
preliminari.
• È vietata la pubblicazione di
conversazioni telefoniche o flussi
di informazioni informatiche o
telematiche e dati riguardanti
il traffico telefonico, anche se
non coperti da segreto, fino
alla conclusione delle indagini
preliminari o fino al termine
dell’udienza preliminare.
• I documenti d’indagine
devono essere chiusi in
cassaforte e la carte e/o tracce
di conversazioni telefoniche o
telematiche acquisiti in modo
illecito non possono essere
utilizzati in nesun modo, tranne
che come corpo del reato.
• Il giudice dispone che
i nominativi o i riferimenti
indicativi dei soggetti estranei
alle indagini siano espunti dalle
trascrizioni delle registrazioni.
• Chiunque rivela notizie sugli
atti del procedimento coperti
da segreto o ne agevola la
conoscenza è punito con la
reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Se il fatto è commesso per colpa
o per agevolazione colposa, la
pena è della reclusione fino a
un anno. Reclusione da 1 a 3
anni, invece, per chi in modo
illecito viene a conoscenza del
procedimento penale coperti da
segreto.
• Per i giornalisti che
pubblicano atti del
procedimento o intercettazioni
telefoniche coperte da segreto
scatta l’ammenda da 10mila a
100mila euro, in alternativa alla
reclusione fino a 30 giorni.
37
L’angolo
della legge
ddl mastella 1 / come sarebbe Oggi la mappa del potere politico-economico
Se solo fossimo stati zitti
Stefano Ricucci sarebbe il padrone del “Corriere della Sera”, Giovanni Consorte della
Banca Nazionale del Lavoro, Giampiero Fiorani della Banca Antonveneta
e Antonio Fazio sarebbe ancora, tranquillamente, il governatore della Banca d’Italia
di Peter Gomez*
Stefano Ricucci e i suoi mandanti di
centrodestra padroni del Corriere della
Sera. Il manager rosso Giovanni Consorte alla testa della Banca Nazionale
del Lavoro per la gioia di Massimo
D’Alema e Piero Fassino, liberi di ripetere che in quella scalata loro avevano
fatto solo da spettatori. La Banca Antoveneta saldamente in mano a Giampiero Fiorani. Antonio Fazio tranquillo e
immarcescibile governatore di Bankitalia. E poi ancora: gli arbitri e i dirigenti
del calcio tutti al loro posto nonostante
che falsassero il campionato per volere
di Luciano Moggi.
Quel che sarebbe accaduto se la
“legge bavaglio alla stampa” fosse
già entrata in vigore qualche anno
fa spiega meglio di ogni altro esempio
perché alla Camera, il 17 aprile del
2007, tutti i partiti, con 447 sì e solo
9 astenuti, abbiano approvato le norme proposte dall’ex Guardasigilli, Clemente Mastella. Dopo essere riusciti a
azzoppare le inchieste penali, con la
promulgazione di una serie di norme
che nei fatti rendono quasi impossibile
le condanne per i colletti bianchi, buona parte del ceto politico è passato
alla fase due dell’operazione impunità duratura: ora vuole semplicemente
bloccare le inchieste giornalistiche. Il
ragionamento è semplice: visto che la
Casta, come la chiamano Stella e Rizzo, è malata e non pare intenzionata a
curarsi, si interviene sul termometro (la
38
stampa) che segnala la febbre. Come?
Eliminando il termometro. Da qui la
scelta di punire in nome di una privacy - che in qualche caso può forse
essere invocata dai semplici cittadini,
ma non certo da chi si sottopone al
giudizio degli elettori - la pubblicazione
non solo delle intercettazioni telefoniche non più coperte da segreto, ma
anche di tutta un’altra lunga serie di
atti processuali finora assolutamente pubblici. La nuova legge, che il
candidato premier in pectore Silvio
Berlusconi ha già annunciato di voler
promulgare subito dopo le eventuali
elezioni peggiorandola ulteriormente,
prevede per il cronista che la infrange multe pesantissime: da 10mila a
100mila euro (e oblazione a 50mila) o,
in alternativa, la reclusione fino a 30
giorni. E va letta in parallelo a quanto
sta accadendo nelle tv e nei giornali. Non a caso un servizio delle Iene
sul clan Mastella, che non conteneva
nulla di giudiziario, ma solo un gran
lavoro giornalistico, è stato censu-
•La sede del Corriere
della Sera e, a destra, il gran-patron
delle partite di calcio, Luciano Moggi.
rato dai vertici di Mediaset e il suo
autore, il bravo collega Alessandro
Sortino, per protesta si è deciso a
dare le dimissioni. Il problema, come
diceva Enzo Biagi, è la realtà, non lo
specchio che la riflette.
*chi è
Peter Gomez, cronista
giudiziario de L’Espresso e
collaboratore di Micromega.
Ha denunciato i rapporti tra
politica, alta finanza, corruzione
e mafia. Ha scritto: L’Intoccabile.
Berlusconi e Cosa Nostra (con
Leo Sisti), Mani Pulite e Mani
sporche (con Barbacetto e
Travaglio), La Repubblica
delle banane e Lo chiamavano
Impunità (con Travaglio).
Tabloid 1 / 2008
L’angolo
della legge
ddl mastella 2 / cosa succederebbe a un giornalista che rivelasse i nomi
Io, cronista in manette
Finta lettera di un collega finito dietro le sbarre per aver
scritto, sul suo giornale, un articolo “vero”. Omissis
dopo omissis, dalla sua cella scriverebbe una bella fiaba
di Paolo Colonnello* (dal carcere)
Cari colleghi,
vi ringrazio per aver ospitato questa mia
lettera. Una ventata di libertà, visto che
ormai da alcuni mesi mi trovo rinchiuso
qui. Purtroppo, quando la legge Mastella
è stata approvata a maggioranza assoluta, un mio pezzo era già in pagina e non
ho potuto bloccarlo.
Provo a riportarvelo anche se ho dovuto necessariamente riscriverlo dopo
una lunga trattativa con il maresciallo di
sezione. In sostanza spiegavo che, con il
famoso “bacio in fronte” di Giampiero …
omissis… all’ex governatore della Banca
d’Italia …omissis.., i magistrati avevano
scoperchiato una spartizione del potere
bancario in Italia, che avrebbe premiato
i soliti noti lasciando i cittadini nell’idea
che si sarebbe così salvata “l’italianità
delle banche” e non invece l’onorevole
della Lega (omissis…) e l’onorevole di
Forza Italia (omissis…) che nella banca
di …omissis…avevano ricevuto lauti fidi
senza presentare il becco di una garanzia
oppure minacciando di boicottare i progetti di illecite scalate bancarie. Avevo
poi proseguito illustrando la scalata Bnl
da parte dell’ex presidente di (omissis…)
ingegner (omissis…) che, secondo le accuse, aveva proceduto senza informare il
mercato ma telefonicamente gli onorevoli
diessini (omissis…) e (omissis) nonché il
senatore e braccio destro di (omissis…)
onorevole (omissis…).
In fondo, si trattava di carte che il gip
(anzi, l’ex gip) Clementina Forleo aveva
trasmesso alle Camere e che almeno un
centinaio di parlamentari nonché due o
trecento avvocati avevano potuto già
leggere. Inoltre, sapendo che una mia
vecchia zia stava acquistando con i risparmi di una vita una cospicua dose
di “bond spazzatura”, e non potendo
Tabloid 1 / 2008
quindi aspettare che alcuni processi di
cui mi stavo occupando terminassero
anche in Appello, ho spiegato come il
cav…omissis…ex titolare della Parmalat,
avesse perfino truccato delle carte bancarie con uno scanner per far risultare
fondi che non esistevano coprendo fino
all’ultimo quello che è stato definito il più
grosso crac della storia finanziaria italiana
e soprattutto dando tempo alle banche
di rientrare dalle loro gigantesche esposizioni. Una truffa degna di Totò e Peppino. Quindi mi sono gettato a capofitto
su alcuni verbali. Ho preso l’elenco delle
persone spiate dalla Security Telecom e
ho raccontato come migliaia di lavoratori,
di manager, di giornalisti, di imprenditori e
perfino di calciatori e soubrette, venissero
spiati in banca e sui terminali delle Finanze (caspita, c’era anche …omississ…)
nonché “dossierati” da gente dei servizi
di mezzo mondo per mai chiarite guerre
commerciali e di potere. Poi mi sono
ricordato degli archivi segreti del…omississ…dove un certo…omissis…raccoglieva informazioni riservate e illegali su
magistrati, giornalisti e politici (dell’opposizione soprattutto) per “disarticolarli”
insieme a un ex collega…omissis... che
veniva pagato per spiare dei giudici e
raccontare fandonie su governi sgraditi
e lotta al terrorismo. Infine ho dato uno
sguardo alla vicenda dei fondi neri …
omissis…per la compravendita dei diritti
televisivi e alla presunta corruzione di …
omissis…da parte del Cav….omissis…
Quando il mattino dopo Mastella lo ha
letto, ha avuto una crisi di pianto. Con
questa nuova legge i nuovi omissis,
omissis, omissis e …omissis…omissis… omissis, continueranno a rimanere
indisturbati ai loro posti, a rifilare bond
spazzatura o derivati farlocchi, ad ingras-
sare conti all’estero, a nominare direttori
sanitari, delle municipalità e dei ministeri
come e quando gli farà comodo. E con
la memoria corta di questo Paese, se
mai un giorno lo potrete scrivere, sarà
sempre troppo tardi. Per conto mio, qui
in carcere ho trovato grande umanità,
coltivo con passione alcune pianticelle e
Luigi Ferrarella, che sta nella cella accanto, si occupa d’innaffiare l’orto. Ho scritto
una lettera a una rivista di giardinaggio
chiedendo se quando uscirò tra 3 anni
e 4 mesi mi faranno un contratto di collaborazione. Ferrarella vorrebbe andare in
una rivista concorrente per darmi “buchi”
sulla vita segreta delle piante. Potete mica farci una raccomandazione?
Cordiali saluti
*chi è
Paolo Colonnello, nato a
Milano, 47 anni, è sposato con
Chiara e ha due figli. Ha iniziato
nelle radio private, poi a Il
Giorno si è occupato per 10 anni
di cronaca giudiziaria.
Oggi inviato de La Stampa,
si occupa sempre di problemi
di cronaca giudiziaria. E’ un
appassionato sassofonista e
cultore del tango argentino.
39
L’angolo
della legge
ddl mastella 3 / quando il segreto istruttorio era quasi sconosciuto
C’era una volta Mani Pulite
Domani non ci sarebbe più
Per la “madre” di tutte le indagini sulla corruzione e delle inchieste giornalistiche non
c’erano ancora le intercettazioni telefoniche. E non c’erano neppure i cellulari (o almeno
erano rarissimi). Ma, pur d’informare i cittadini, valeva (quasi) tutto. Forse troppo?
di Mario Consani*
In principio fu Mario Chiesa, l’ingegnere
socialista che dominava al Pio Albergo
Trivulzio, il “mariuolo” (parola di Craxi)
preso con le mani nel sacco dallo sconosciuto pm Antonio Di Pietro.
Era il 17 febbraio 1992 e cominciava
l’inchiesta Mani pulite, destinata a
scoperchiare Tangentopoli e a determinare nel bene e nel male le sorti della
Prima Repubblica. La “madre” di tutte
le indagini sulla corruzione non si fondò sulle intercettazioni, anche perché
i cellulari ce li avevano in pochissimi
allora e non c’era il rischio che imbarazzanti dialoghi telefonici potessero
finire sulle pagine dei giornali.
Eppure, a guardarla oggi che è passato
un secolo, certo per quell’inchiesta il
segreto investigativo fu quasi uno sconosciuto. Le parole degli indagati, le
confessioni degli arrestati, i racconti
dei testimoni, finivano in cronaca quasi
in tempo reale, al massimo entro un
giorno o due, in barba ai termini già
previsti dal Codice penale.
Volendo, ogni giornalista che si occupava di Mani pulite avrebbe potuto
collezionare una denuncia al giorno,
oblazionabile sì, però, con l’abbonamento…
Ma tutto era diverso, allora, nel clima di
Palazzo di giustizia e soprattutto fuori.
40
•Una foto passata ormai alla storia:
l’ex pm Antonio Di Pietro mentre
si toglie la toga, in aula, alla fine
del processo di Tangentopoli.
Direttori di giornali (oggi molto molto
garantisti) che, un giorno sì e l’altro
pure, invocavano punizioni esemplari
per i politici solo indagati; manager
arrestati da Di Pietro che in preda alla
sindrome di Stoccolma riapparivano
in tribunale con T-shirt inneggianti a
Mani pulite; l’attesa quasi messianica
da parte dell’opinione pubblica per le
gesta dei magistrati.
Tutto è cambiato oggi, per certi aspetti
fortunatamente, diremmo. Ma sarebbe stata possibile, Mani pulite, senza
quella forzatura mediatica dei tempi,
che garantì comunque all’inchiesta
l’unica chance di proseguire? Con il
silenzio dei giornali fino al termine delle
indagini preliminari - come si vorrebbe ora – si sarebbe potuto impedire il
“silenziamento” di quelle indagini tanto
scomode?
La rinuncia di fatto al formale rispetto della norma che tutela le indagini
preliminari garantì il diritto di cronaca:
fu un prezzo giusto da pagare? Una
cosa si può dire: anche le tivu’ di chi
oggi si erge a paladino tout court del
diritto alla privacy (e annuncia pene
detentive per chi lo violerà) allora non
si fecero particolari scrupoli. Resta alla
storia come il caso forse più clamoroso
di violazione del segreto di indagine,
quello di un collega del TG5 che, in
diretta, annunciò i nomi di alcuni manager Fininvest nei confronti dei quali
il giudice stava per firmare un ordine di
custodia cautelare.
Gli indagati (tra i quali Marcello Dell’Utri)
si precipitarono dal gip ed evitarono
l’arresto. Il collega, tra mille polemiche
indagato per favoreggiamento, venne
infine assolto: in fondo aveva fatto il
suo mestiere dando una notizia. Aveva
violato il segreto di indagine, è vero:
certo non da solo, però, visto che da
qualcuno doveva pur aver saputo quei
nomi. Se la cavò pagando – solo lui un’oblazione da 250 mila lire.
*chi è
Mario Consani è nato
ad Asolo, nel trevigiano, e
vive a Milano. Laureato in
giurisprudenza, lavora a Il
Giorno, dove si occupa di
cronaca giudiziaria.
Ha seguito i processi delle
stragi milanesi a cavallo degli
anni Settanta e ha scritto il
libro Foto di gruppo da Piazza
Fontana, per Melampo editore.
Tabloid 16 / 2008
2007
L’angolo
della legge
ddl mastella 4 / tra diritto di cronaca e diritto alla privacy
Ecologia delle notizie
o Far West nei Tribunali
La trasparenza non si risolve con leggi sempre più proibizioniste. Un accesso diretto e
regolato agli atti giudiziari può evitare che vinca, sempre e comunque, il più scorretto:
il magistrato più ambizioso, l’avvocato più disinvolto o il giornalista più spregiudicato
di Luigi Ferrarella*
Ai nuovi giri di vite che, per legge,
intendono somministrare sempre
maggiori dosi di segreto (ai cittadini)
e di sanzioni (ai giornalisti), non si può
rispondere con la difesa del Far West
della notizia; e neppure solo con il
pomposo proclama del “giornalistasacerdote” che, a prescindere da
qualunque altra valutazione dell’impatto su persone e procedimenti,
scrive tutto quello che viene a sapere
perché è suo diritto-dovere e basta!
Non si può per decenza, perché simili
proclami sono talvolta la maschera di
un’ipocrisia, un sipario strappato da
ben altre spinte (spietata concorrenza, strategie commerciali, collocazione politica e proprietà dei media).
E non si può anche per convenienza,
giacché la questione di una ecologia
giornalistica ormai non è un lusso,
ma una questione di sopravvivenza
rispetto a falsificatori, inventori e agli
Attila della notizia.
Ma il paradosso di leggi sempre più
proibizioniste è proprio il porre le
basi perché nel “processo mediatico” continui a vincere comunque e
sempre il più scorretto: il magistrato
più ambizioso, ma anche l’avvocato più aggressivo e disinvolto; l’imputato (se mi si passa l’errore) più
“eccellente”, e il politico più in mala
fede; l’inquirente meglio introdotto
nel circuito mediatico ai fini della sua
progressione in carriera o della sua
logica di cordata interna; e il giornalista più spregiudicato.
L’unica vera soluzione sarebbe una
Tabloid 1 / 2008
•Il dibattimento in un’aula giudiziaria:
momento delicato per i giornalisti.
legge che, al contrario, in occasione
delle scadenze temporali e procedurali che già oggi mettono a disposizione di tutte le parti processuali gli
atti delle varie tappe di una inchiesta,
ammetta i giornalisti a essere equiparati alle parti nell’accesso diretto,
trasparente e regolato agli atti.
“Sbiancando”, così, quella circolazione che già oggi avviene, ma in
maniera semiclandestina e quindi in
maniera pericolosamente incompleta e imprecisa, attraverso le insidie
del rapporto personale tra il giornalista “nobile accattone” e la moltitudine di fonti tutte per definizione non
disinteressate.
Così si spezzerebbero i tanto temuti
“rapporti incestuosi” fonte-giornalista;
si prosciugherebbe l’acqua nella quale nuotano gli inventori, punendoli “in
diretta” con la peggior sanzione per
un giornalista, cioè la lesione della
propria reputazione.
E si stroncherebbero anche le strumentali “campagne” pro o contro che
oggi si nutrono proprio della non conoscenza dei veri dati di fatto; e si ridurrebbero, nelle redazioni più deboli,
i margini di invadenza delle proprietà.
Questo sistema non getterebbe affatto nuova benzina sul fuoco della
cronaca giudiziaria, ma userebbe la
stessa benzina di oggi in una caldaia
però di sicurezza, trasparente, “garantita” (per così dire) anche nella
manutenzione delle regole.
Oggi, invece, il medesimo magma
ribolle in una stufa sprovvista di
qualunque valvola di sicurezza che
non sia la coscienza personale e lo
scrupolo professionale del singolo
giornalista.
*chi è
Luigi Ferrarella è inviato del
Corriere della Sera. Ex Ifg,
professionista dal 1987, si
occupa di cronaca giudiziaria dal
1991fino al 1999 per Il Giorno,
poi per il Corriere. Sulla storia di
Tangentopoli e Antonio Di Pietro
ha pubblicato L’intruso (Limina,
1997); con Pino Corrias e Renato
Pezzini ha realizzato l’inchiesta tv
“Mani pulite” in onda su RaiDue.
41
Colleghi
in libreria
AmARA RIFLESSIONE DI FURIO COLOMBO SUL GIORNALISMO ITALIANO
Che fine faranno le notizie
Il noto giornalista-scrittore disserta sulllo stato del “post giornalismo” nazionale,
troppo condizionato dalle interferenze politiche e dalle imprese editoriali,
sempre più coinvolte o spinte in progetti e interessi estranei all’informazione
a cura di Antonio Andreini
Che fine fanno le notizie? Quelle
vere, che contano. Se lo chiede Furio Colombo nel suo Post giornalismo. È un puntuale, amaro saggio,
in cui il noto giornalista ci dà “Notizie sulla fine delle notizie”, come
recita il sottotitolo. Scrive l’autore:
“Teconologie efficienti e straordinarie rendono il flusso [delle notizie]
più vasto ma non più sicuro, mescolano scorie e prodotto autentico… Ci confrontano con l’immensa
difficoltà della verifica e ci confortano con un senso di onniscienza,
di informazione totale”. Ma come
orientarsi in tanta confusione? Se
manca la possibilità della verifica,
anche il giornalista perde un suo
ruolo specifico, fondamentale: essere testimone diretto dei fatti e verificare l’attendibilità di quelli di cui
altri riferiscono. Nel mare magnum
delle notizie si potrebbe anche sostenere che dei giornalisti non c’è
più bisogno. E così si passa, si è
passati, al post giornalismo.
Sulla fine del buon giornalismo
Colombo non si limita a scrivere
un allarmante pamphlet, ma evidenzia una serie di problemi: 1) la
L’AUTORE
Furio Colombo, ex direttore
dell’Unità, già inviato della Rai e di
Espresso, La Stampa, Panorama,
la Repubblica, e professore di
giornalismo alla Columbia University
di New York e alla Luiss di Roma, ha
scritto Ultime notizie sul giornalismo
e il Manuale di giornalismo
42
cattiva informazione è il risultato di
una cattiva politica e di condizionamenti economico-finanziari, o
viceversa; 2) la notizia trattata come “prodotto” -risultato dell’organizzazione dell’informazione come
“magazine”, che tutto appiattisce
anche all’interno dei grandi quotidiani- è mistificatoria. Come può il
giornalista salvaguardare la propria
libertà di giudizio, il non coinvolgimento negli interessi dell’editore e
dei gruppi di potere economici e
politici, se oggi, “… le notizie non
nascono nei fatti. Nascono in zone
di potere, a volte definibili, a volte
del tutto sommerse…. Muoiono e
scompaiono o rimangono congelate per ragioni il più delle volte ignote, che coincidono con interessi
forti, potenti e non dichiarati” ?
Molto opportunamente la Costituzione italiana (Articolo 21) statuisce
il diritto della libertà di stampa. Non
per conferire ai giornalisti un potere
speciale, ma per difendere il diritto dei cittadini di essere informati.
Rivendicare tale libertà è allora un
impegno sacrosanto e un dovere
professionale per i giornalisti. E
quando essi difendono il proprio
lavoro non stanno rivendicando
l’autonomia di una corporazione,
ma difendono diritti che non devono essere violati.
Ma questa libertà di stampa che i
giornalisti devono difendere, ritenuta il cuore della democrazia, come si mantiene in Italia? I talk show
e i telegiornali, con un’overdose di
parole, di annunci, di falsi problemi, di mistificazioni che oscurano
i fatti, sono una delle grandi cause del distacco dei cittadini dalla
politica e hanno distolto la politica
stessa dalla responsabilità di interpretare e rappresentare e analizzare i veri problemi della società.
Il più arrogante dei privilegi, quello
dei politici di occupare quasi tutti
gli spazi dell’informazione, va dunque ridimensionato, rinegoziato,
e restituito all’opinione pubblica e
agli interpreti professionali dell’informazione.
Nel caos attuale non ci resta che
auspicare un nuovo impegno, “alcune grandi iniziative nel mondo
dell’informazione giornalistica che
si assumano …il compito di mettere ordine nelle sequenze, senza
toccare i fatti e la loro natura”.
Per impedire il dominio degli interessi politici ed economici.
Furio Colombo: Post giornalismo,
Rizzoli, Milano, 2007, pagg.142
Tabloid 1 / 2008
Colleghi
in libreria
Norma Rangeri:
Chi l’ha vista? –
Tutto il peggio della
TV da Berlusconi a
Prodi (o viceversa),
Rizzoli Editore,
Milano, 2007,
pagg. 315, 17€
La TV (ri)vista
dalla ...Norma
Norma Rangeri, critica televisiva,
per lavoro passa ore e ore, dalle
20 all’una tutte le sere, davanti
alla televisione. E poi anche di
più, perché vuole vedere che cosa
offrono di bello le trasmissioni
del mattino, quanti ammazzati
e squartati ci sono il pomeriggio,
quanti “amori” in diretta vanno
in onda quando c’è la De Filippi.
Rangeri è nota per la severità
con cui, dal 1992, tratta dei
programmi della televisione italiana
nella rubrica “Vespri”, scritta
quotidianamente per i lettori del
manifesto. Per tutti i telespettatori,
poi, Rangeri ha scritto un libro, Chi
l’ha vista? - Tutto il peggio della TV
da Berlusconi a Prodi (o viceversa).
È un racconto critico degli ultimi
15 anni di televisione, frutto
di un lungo viaggio nell’anomalia
tutta italiana con cui viene gestita.
Non il solito saggio di critica
televisiva, pieno di tabelle
e tabelline per specialisti, ma
una puntuale e pungente storia
dell’informazione televisiva, che
descrive come i governi, sia
di destra sia di sinistra, dal ’92 a
oggi, hanno perpetuato gli stessi
meccanismi di lottizzazione
e manipolazione. Un libro agile,
che incuriosisce, coinvolge e
trascina. Ma nello stesso tempo
contiene una critica inflessibile a
personaggi di tutti i livelli della
televisione. Nella terza parte,
tutta dedicata all’informazione,
racconta in particolarle le
diverse stagioni dei TG -da
Vespa a Riotta-, e ripercorre
la tumultuosa vicenda
politica che, da tangentopoli
Tabloid 1 / 2008
al berlusconismo, ai governi di
centrosinistra, ha segnato il Paese.
Si “sente” che Chi l’ha vista?
è scritto da una giornalista che
tratta di informazione televisiva
mettendosi nei panni dello
spettatore. E che, di suo, non
risparmia giudizi, spesso feroci,
a tanti personaggi, anche famosi.
Senza mai subire una querela,
perché Norma Rangeri scrive ciò
che vede e le sue valutazioni sono
sotto tutela della libertà di critica.
Testimonianze
di 34 cronisti
Trentaquattro cronisti, con diversi
anni di bagaglio giornalistico sulle
spalle, hanno raccolto l’invito
del Sindacato cronisti romani
di raccontare le loro esperienze
di cronaca vissuta, viste da dietro
le quinte e riviste con un occhio
al retrobottega del gran circo
mediatico. Con l’entusiasmo
e la passione di sempre per il
mestiere, essi hanno scavato negli
ultimi decenni: 1) ricostruendo
fatti e misfatti che hanno “fatto
epoca”; 2) narrando le tante
avventure della loro professione;
3) rievocando scoop e gesta
di protagonisti e comprimari
della ribalta di giornali e radiotv;
4) ridisegnando gli scenari
giornalistici dei tempi andati.
Ricordando piccole e grandi
storie, i 34 offrono un contributo/
testimonianza della cronaca
com’era e si faceva una volta
e com’è cambiata sotto gli effetti
della rivoluzione tecnologica.
(di Romano Bartoloni, presidente
del Sindacato Cronisti Romani)
I cronisti
raccontano
la cronaca… I segreti del mestiere,
Sindacato cronisti
romani Editore, Roma,
2007, pagg. 186, 15€
La nuova maffia
Tutti i soci
del boss
I
I complici - Tutti gli
uomini di Bernardo
Provenzano
da Corleone
al Parlamento,
è un reportage
di Lirio Abbate e Peter Gomez
su Provenzano, la nuova mafia
e i suoi rapporti con la politica
(Fazi Editore, Roma, 2007,
pagg. 356, 15€). Abbate,
giornalista dell’ANSA di Palermo,
è stato il primo a dare, quasi in
diretta, la notizia dell’arresto di
Provenzano. Gomez è uno dei
maggiori giornalisti d’inchiesta
italiani. In un saggio che si
legge, strabiliati e increduli, tutto
d’un fiato, essi ricostruiscono
la vita dell’ultimo “capo dei
capi”, rivelandone le tragiche
imprese e le impressionanti
alleanze, non solo politiche
ed economiche, che gli hanno
permesso di rendersi “latitante”,
quindi introvabile per la giustizia,
vivendo per oltre quarant’anni
a pochi chilometri dalla moglie
e dai due figli. Insieme con
quelli dei malavitosi, Abbate
e Gomez svelano tutti i nomi
degli esponenti della vita
sociale -economica, politica
e culturale; locale, regionale e
nazionale- più o meno complici
dell’organizzazione criminale.
Leggere per credere.
Dopo la pubblicazione del libro,
Lirio Abbate ha iniziato a subire
pesanti intimidazioni dalla mafia.
Dai colleghi giornalisti e da
una parte del mondo politico si
è levato un coro di voci solidali,
tra cui quella del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano:
Il Consiglio dell’Ordine della
Lombardia, su proposta della
presidente Letizia Gonzales, ha
promosso una raccolta di firme
di solidarietà a Lirio Abbate.
43
Colleghi
in libreria
Mariuccia
Teroni: Manuale
di redazione,
Apogeo Editore,
Milano, 2007,
pagg. 392+16, 35€
Visto si stampi
in digitale
L’avvento dell’informatica
nell’editoria non solo ha reso
obsolete le tecniche tradizionali
di preparazione e di stampa,
ma ha anche “costretto” tutti
gli operatori, a ogni livello -dai
responsabili della grafica a quelli
dei contenuti, dai grafici ai redattori
ordinari-, a un adeguamento alle
esigenze di un nuovo, sofisticato
strumento, il computer. Così,
redattori, o aspiranti tali, giornalisti,
scrittori, blogger, ricercatori,
docenti e studenti, per svolgere
al meglio ogni processo legato
all’attività redazionale, devono oggi
conoscere ogni aspetto del lavoro
di “redattore digitale”.
Chi ha la possibilità di frequentare
una scuola di giornalismo può
imparare qui tutto ciò che
gli servirà per operare nel mondo
dell’editoria, avendo comunque
bisogno di “testi” su cui studiare.
Chi già lavora, avrà comunque
bisogno di un “manuale”
per aggiornare le conoscenze
obsolete e impadronirsi di tutte
le novità operative. Per gli uni
e per gli altri, ecco uno strumento
prezioso, il Manuale di redazione
di Mariuccia Teroni, docente
di Laboratorio di editoria
multimediale presso l’Università
degli Studi di Milano.
Realizzato con una veste
tipografica gradevole e
invitante, ricco di schemi,
tabelle, disegni e illustrzioni, il
saggio offre, infatti,
una rassegna completa
e metodica di ogni aspetto
del lavoro di redazione,
trattato con chiarezza e
sistematicità. In un compendio
44
estremamente vario, esso offre
tutte le norme, le codifiche,
le procedure, le consuetudini
ormai standardizzate e
consolidate nel tempo e quelle
che appartengono al mestiere di
oggi, fortemente condizionato
dall’introduzione e diffusione delle
tecnologie digitali, per molti aspetti
ancora fluttuanti e mutevoli.
Da Gutenberg
a Internet
Considerando le infinite potenzialità
dei nuovi media, come Internet,
si può pensare a un continuo
miglioramento. O, al contrario, che
tutto è peggiorato. In particolare,
per Internet e le sue potenzialità
di “democratizzazione”, non
si può sostenere con certezza
che questa inesauribile fonte di
informazioni saprà effettivamente
svolgere tale ruolo grazie
all’ampliamento dell’accesso
e alla sua trasformazione “dal
basso”. E, comunque sia, non
sarà proprio Internet a decretare
la fine dei mezzi di comunicazione
tradizionale, cartacei e non? Con
la loro scomparsa, potrebbe dirsi
esaurito anche il ruolo informativo del
giornalismo. Non c’è già
chi sostiene che …in Internet
c’è tutto? Per capire come andrà
dipanandosi la matassa della
comunicazione, non c’è che
da seguire il metodo classico
della conoscenza del passato, per
interpretare il presente e intravvedere
il futuro. Così hanno fatto due
eminenti studiosi inglesi, Asa Briggs
e Peter Burke. Con la loro Storia
sociale dei media – Da Gutemberg
a Internet, essi ci offrono esaurienti
risposte a questi nostri interrogativi.
Asa Briggs-Peter
Burke: Storia sociale
dei media - Da
Gutenberg a Internet,
Il Mulino Editore,
Bologna, 2007,
pagg. 450, 25€
Arrivati in redazione
Andrea AccorsiDaniela Ferro:
Milano criminale,
Newton Compton
Editori, Roma, 2007,
pagg. 341, 14,90€
Misteri e pallottole all’ombra
della Madonnina, dal caso
classico di Alberto Olivo nel
1903 al delitto Ambrosioli, a ...
Armando Torno:
Il gioco di Dio,
Mondadori Editore,
Milano, 2007, pagg.
108, 15€
Dodici storie della
Bibbia, per dimostrare che il
gioco di Dio è un atto d’amore
che si perde nella storia,
ma che continua ogni giorno.
Camilla Ghedini:
Io cattiva? No, io
precaria, Edimond
Editore, Città
di Castello, 2007,
pagg. 46, 8€
Il viaggio di una lavoratrice
“flessibile” da una scrivania
all’altra per affrancarsi dalla
sua condizione di precarietà.
Franco
Tettamanti:
L’ultima nuvola a
sinistra, Macchione
Edit, Varese, 2007,
pagg. 146, 16€
Storie di uomini e donne,
protagonisti e comparse
in scena per sconfiggere
le intemperanze del destino.
Camillo
Albanese:
Le curiosità di Napoli,
Newton Compton
Editori, Roma,
2007, pagg. 328, 20€
Una Napoli riservata,
misteriosa, dischiude i suoi
segreti, come una donna
dalla seducente bellezza.
Tabloid 1 / 2008
Testimonianze
Primo
piano
e ricordi
la sua casa era il “corriere della sera”
L’addio a Nascimbeni
parón della Terza Pagina
Da Buzzati a Piovene, da Montale a Pasolini, gran parte della letteratura italiana
è passata dalle sue mani. Amava ripetere: “Il giornalista? È un intermediario”
Quando parlava della propria stagione al Corriere,
Giulio Nascimbeni evocava spesso l’amato Montale:
“Lì dentro ho vissuto anni corti come giorni”. Era
così che spiegava quanto fosse stata intensa
e carica di cambiamenti la sua lunga (e insieme,
appunto, cortissima, date le rivoluzioni professionali
attraversate) esperienza in via Solferino. Esperienza
durata quasi cinquant’anni. La metà dei quali spesi
a guidare la Terza Pagina, istituzione leggendaria di
quello che è, per antonomasia, il giornale istituzione.
Nascimbeni non era uno di quei colleghi malati di
ipertrofia dell’ego che citano di continuo la propria
storia, magari enfatizzandone certi passaggi o
rimpiangendo con frustrazione “i bei tempi andati”.
A trattenerlo c’era una sorta di disincanto applicato
a se stesso, oltre a una salda educazione alla
sobrietà. Ma se lo si interrogava senza riverenze,
semplicemente, allora superava ogni ritrosia e
consegnava all’interlocutore un prezioso spaccato
di mezzo secolo di giornalismo culturale. Infatti,
da Buzzati a Piovene, Moravia, Pasolini, Soldati,
Macchia, Calvino, Citati, Fortini, Sciascia,
Manganelli, Zanzotto, larga parte della letteratura
italiana (e non solo italiana, basti pensare a Burgess)
è “passata” ­­– letteralmente – nelle sue mani.
Con una discontinuità non troppo traumatica,
e dunque tale da non sconcertare i lettori, innovò
una sezione che appariva tra le più immutabili
e polverose del giornale. Reclutò sociologi, filosofi,
storici, scienziati, osservatori di costume, critici
più o meno borderline, e in questo lavoro da talent
scout ha cercato sempre una fusione tra cultura
e società. Impegnò le firme di cui disponeva su
fronti diversi dall’”ozioso elzevirismo” nel quale si
erano rifugiate fino ad allora. Il “Danubio” di Magris
nacque da un’inchiesta sul campo coordinata
da Giulio. Ma anche il “Sillabario” di Parise crebbe,
una riga dopo l’altra, dalle sue incitazioni.
Agli inviati e ai corrispondenti chiedeva rigore nel
raccogliere le notizie. E soprattutto un linguaggio
chiaro e non banale al momento di stendere
il reportage o l’intervista o l’analisi. Mettendo
al bando qualsiasi stucchevole neoconformismo
o cenno autoreferenziale perché – ripeteva, con
Tabloid 1 / 2008
chi era Nato a Sanguinetto,
in provincia di Verona, il 27 ottobre
1923. Su un tema delle elementari
scrisse come e perché, da grande,
avrebbe fatto il giornalista
del Corriere. Il suo primo elzeviro a 16 anni fu
per l’Arena di Verona. Professionista dal 1° ottobre
1959, iscritto prima all’Albo di Venezia, quindi
a quello di Milano quando, alla fine del 1960,
viene chiamato al Corriere d’Informazione guidato
da Gaetano Afeltra. È stato direttore di Storia
Illustrata nel 1967, direttore della Domenica
del Corriere nei primi anni Settanta, non ha mai
abbandonato il “suo” Corriere della Sera.
L’amore di Nascimbeni per i libri gli regalò,
ci regalò, anche un primato: dal 1967 al 1975
fu lui a condurre sulle reti Rai “Tuttilibri”, la prima
trasmissione televisiva dedicata alla letteratura.
l’aria di dare un consiglio da amico e mai salendo
in cattedra – “il giornalista non è un protagonista
ma un intermediario”.
Le stesse regole che imponeva a se stesso
quando si metteva davanti alla “Lettera 22”
e, con il conforto di una sigaretta, cominciava
a costruire i suoi pezzi, ancora oggi esemplari per
solidità d’impianto, densità di riferimenti, precisione
filologica e leggerezza di scrittura. Testi raccolti
in un volume, “Il calcolo dei dadi”, che resta un
manuale del buon giornalismo. Amava i classici di
ogni tempo, Giulio Nascimbeni. Quelli le cui opere
aveva insegnato negli anni in cui fu insegnante di
liceo e quelli novecenteschi, consacrati tali proprio
da lui, sulla Terza Pagina. Negli ultimi tempi si era
ritirato nella casa di famiglia, a Sanguinetto, nella
Bassa Veronese. Da dove continuava a seguire
con fresca curiosità il lavoro dei colleghi, ormai ex
giovani, che aveva “allevato” e che continuavano
a chiamarlo affettuosamente “paròn”. Là è morto,
a 84 anni, il 28 gennaio, carezzando con lo sguardo
i suoi libri d’infanzia.
Marzio Breda
45
I numeri
181
in quest’ultima pagina
la nostra realtà
“fotografata” in cifre
professionisti
praticanti
tirature e vendite quotidiani
medie giornaliere 1980-2007
Anno
Tiratura m.
%*
Vendita m.
%*
1980
7.427.213
5.341.970
1981
7.475.266
0,6
5.368.815
0,5
1982
7.571.807
1,3
5.409.975
0,8
1983
7.708.165
1,8
5.580.394
3,2
1984
8.135.157
5,5
5.860.691
5
1985
8.378.753
3
6.068.407
3,5
1986
8.992.407
7,3
6.365.661
4,9
1987
9.337.653
3,8
6.618.481
4
1988
9.562.563
2,4
6.721.098
1,5
1989
9.651.225
0,9
6.765.715
0,7
1990
9.763.197
1,1
6.808.501
0,6
1991
9.492.087
-2,8
6.505.426
-4,5
1992
9.429.250
-0,7
6.525.529
0,3
1993
9.245.797
-1,9
6.358.997
-2,6
1994
9.030.007
-2,3
6.208.188
-2,4
1995
8.599.394
-4,8
5.976.847
-3,7
1996
8.503.177
-1,1
5.881.350
-1,6
1997
8.143.897
-4,2
5.869.602
-0,2
1998
8.156.405
0,2
5.881.421
0,2
1999
8.204.477
0,6
5.913.514
0,5
2000
8.469.856
3,2
6.073.158
2,7
2001
8.310.582
-1,9
6.017.564
-0,9
2002
8.144.451
-2
5.830.523
-3,1
2003
8.062.838
-1
5.710.860
-2,1
2004
7.921.414
-1,8
5.617.620
-1,6
2005
7.831.730
-1,1
5.466.271
-2,7
2006
7.978.967
1,9
5.569.037
1,9
2007**
7.979.355
0,1
5.570.867
0,1
Fonte: Fieg su dati forniti dalle testate associate. * Percentuale di
variazione rispetto all’anno precedente. **Stima previsionale
46
182
617
pubblicisti
Sono le nuove iscrizioni
all’Ordine dei giornalisti
della Lombardia
dal 1/1/2007
al 31/12/2007
quotidiani di provincia
della Lombardia certificati Ads
Testata
Diffusione *Variazione
L’Eco di Bergamo
55.795
-1,1
Il Giornale di Brescia
49.796
-0,3
La Provincia di Como (Lc-So-Va) 45.079
Gazzetta di Mantova
34.275
2,6
-1,9
La Provincia di Cremona
23.157
0,5
La Provincia Pavese
22.656
1
Fonte: Ads (Accertamento diffusione stampa) media mobile novembre
2006-ottobre 2007. *Variazione percentuale rispetto alla media mobile
dei 12 mesi dell’anno precedente
8 miliardi
50 milioni
È il totale degli investimeni pubblicitari netti
nel periodo gennaio-novembre 2007 (+5,7%
rispetto al periodo omogeneo dell’anno
precedente) suddivisi tra:
televisione: 4,2 miliardi (+0,7%)
stampa: 2,8 miliardi (+3,1%) di cui 1,6 mld (+3,5%)
sui quotidiani e 1,2 mld (+2,7%) sui periodici
radio: 436,4 milioni (+7,8%)
Internet: 248,9 milioni (+43,4)
affissioni: 183,9 (+2%)
cinema 53,3 milioni (-9,3%)
Fonte: Nielsen Media Research
Tabloid 1 / 2008

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