il naturalismo e zola: una teoria filosofica del

Transcript

il naturalismo e zola: una teoria filosofica del
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
*LXVHSSH3DQHOOD
1
IL NATURALISMO E ZOLA: UNA TEORIA
FILOSOFICA DEL ROMANZO.
LQWURGX]LRQHDOYROXPHe0,/(=2/$6&5,7725(63(5,0(17$/(3HUOD
ULFRVWUX]LRQHGLXQDSRHWLFDGHOODPRGHUQLWj
(C) 2008 Giuseppe Panella
1
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
Giuseppe Panella, introduzione “IL NATURALISMO E ZOLA: UNA TEORIA FILOSOFICA
DEL ROMANZO” in e0,/(=2/$6&5,7725(63(5,0(17$/(3HUODULFRVWUX]LRQHGLXQD
SRHWLFDGHOODPRGHUQLWj, ed. Solfanelli, 2008
2
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
«Il metodo moderno che io tento di seguire consiste nel considerare le opere umane in particolare
come fatti e prodotti di cui bisogna rilevare le caratteristiche e cercare le cause, e niente di più. Così
intesa, la scienza non proscrive né perdona: constata e spiega … Fa come la botanica, che studia
con ugual interesse sia l’arancio che l’abete, l’alloro come la betulla: essa stessa è una sorta di
botanica, applicata non alle piante ma alle opere dell’uomo»
[…]
«Ancora, nell’opera d’arte è necessario che i caratteri di cui abbiamo riconosciuto il valore
divengano quanto più possibile dominanti. E’ solo così che riceveranno il loro splendore e il loro
rilievo; solo in questo modo saranno più visibili che in natura. A tal fine, bisogna evidentemente che
tutte le parti dell’opera d’arte contribuiscano a manifestarli. Nessun elemento deve restare inattivo o
distogliere altrove l’attenzione: sarebbe una forza impiegata alla rovescia. In altri termini, in un
quadro, una statua, un poema, un edificio, una sinfonia, tutti gli effetti devono essere convergenti. Il
grado di questa convergenza segna il posto dell’opera, ed ecco allora una terza scala che s’innalza a
fianco delle prime due per misurare il valore delle opere d’arte»
(Hyppolite Taine, )LORVRILDGHOO¶DUWH)
3
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
8Q³JLXGLFHLVWUXWWRUH´GHOOD6WRULD
Nel 1880, quando è già ben noto per le polemiche suscitate con la pubblicazione di alcuni dei suoi
romanzi più famosi (nello stesso anno, ad esempio, uscirà 1DQD che avrà il compito di rinnovare lo
scandalo destato da /¶$VVRPRLU del 1876 e del quale dovrebbe essere la continuazione almeno
virtuale), Zola pubblica un libro che ambisce al rango di testo di poetica del “nuovo romanzo”
naturalista e che si chiamerà programmaticamente ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH.
Fin da questo titolo, l’opera vuole essere un omaggio all’opera di Claude Bernard, il grande medico
autore dell’,QWURGX]LRQHDOORVWXGLRGHOODPHGLFLQDVSHULPHQWDOH[1].
Ma, nonostante il tono sia quello di chi pubblica testi del passato anche remoto raccolti un po’ alla
rinfusa e messi insieme con un puro intento documentario [2] (il che peraltro non era certo
rispondente al vero), l’intento non è soltanto quello di divulgare e discutere la metodologia di
ricerca di Claude Bernard ma quello di giustificare, in chiave estetica e soprattutto in quella
“filosofica” il proprio impianto di pensiero alla base del gigantesco progetto narrativo del ciclo dei
Rougon-Macquart.
Nella sua Prefazione a /DIRUWXQDGHL5RXJRQ, pubblicato nel 1871 in volume subito dopo la
poderosa crisi politica della &RPXQH, Zola aveva scritto in tono praticamente perentorio e
rigorosamente descrittivo:
«Io voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo di persone, si comporta in una società,
sviluppandosi per dar vita a dieci, a venti individui che, a prima vista, sembrano profondamente
diversi, ma che, analizzati, si rivelano intimamente connessi gli uni agli altri. Come in fisica la
gravità, così l’eredità ha le sue leggi. Cercherò di scoprire e di seguire, tenendo conto della duplice
azione dei temperamenti individuali e degli ambienti sociali, il filo che conduce con certezza
matematica da un uomo a un altro uomo. E quando terrò in mano tutti i fili, quando avrò studiato a
fondo tutto un gruppo sociale, farò vedere questo gruppo in azione come forza motrice di un’epoca
storica, lo raffigurerò in tutta la complessità dei suoi sforzi, analizzerò, nello stesso tempo, la
somma delle volontà di ciascuno dei suoi membri e l’impulso generale dell’insieme. I RougonMacquart – il gruppo, la famiglia che mi propongo di studiare – ha, come tratto caratteristico,
l’eccesso degli appetiti, l’ampia tendenza ascensionale della nostra epoca che tende freneticamente
al piacere. Dal punto di vista fisiologico, si tratta del lento succedersi degli accidenti nervosi e
sanguigni che si rivelano in una stirpe, in conseguenza di un’originaria lesione organica, e che in
ciascuno degli individui di questa stirpe determinano, a seconda dei diversi ambienti, i sentimenti, i
desideri, le passioni, tutte le manifestazioni umane, naturali e istintive, i cui prodotti si sogliono
chiamare virtù e vizi. Dal punto di vista storico, questi individui partono dal popolo, s’irradiano in
tutta la società contemporanea, raggiungono tutte le posizioni, in seguito all’impulso essenzialmente
moderno che spinge le classi inferiori a salire entro la società, e costituiscono così la storia del
Secondo Impero come sintesi dei loro drammi individuali, dal tranello del colpo di stato fino al
tradimento di Sedan. […] Quest’opera, che comprenderà numerosi episodi, è dunque, nella mia
concezione la storia naturale e sociale d’una famiglia sotto il Secondo Impero. E’ il primo episodio,
/DIRUWXQDGHL5RXJRQ, deve avere il titolo scientifico /HRULJLQL» [3].
4
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
Tutti i venti romanzi successivi (da /D&XUpH, stampato HQIHXLOOHWRQ nello stesso 1871 in cui esce in
volume /DIRUWXQDGHL5RXJRQ fino al 'RFWHXU3DVFDO che chiude la serie nel 1893) seguiranno il
filo che conduce gli uomini verso il loro tragico destino sia personale che sociale.
L’intento di Zola è, dunque, quello dello studio e della ricostruzione di un progetto di tassonomia
sociale. Esso risulterà basato su uno schema di storia naturale delle specie individuato mediante
l’intrecciarsi e il palesarsi delle loro determinazioni ereditarie.
L’adesione al modello di scienza sperimentale propugnato da Claude Bernard non potrebbe
sembrare più totale. Da un’accertata lesione organica (come si vedrà successivamente nella
ricostruzione necessaria che seguirà in corso d’opera della nascita della stirpe dei Rougon poi
mescolatisi e intrecciatisi con i Macquart) deriveranno, LQPDQLHUDREEOLJDWDHGHWHUPLQDWD, proprio
in rapporto agli eventi con cui essi si troveranno in relazione più o meno diretta, più o meno
necessitata, le azioni, le passioni, i desideri e i gesti stessi dei protagonisti del dramma.
E’ O¶LQWLPD FRQQHVVLRQH accertata tra i protagonisti del gruppo familiare e sociale descritti nelle
diverse opere che compongono il ciclo dei Rougnon-Macquart a rendere la loro storia una storia
esemplare – anzi, la vera storia narrata del Secondo Impero bonapartista.
Per questo motivo, la teoria del “romanzo sperimentale” in Zola si sposa e si appoggia teoricamente
sulla ricerca della verità empirica sperimentata (e rivendicata con enfasi) nel campo delle scienze
naturali da Claude Bernard. Come lo scrittore francese ribadirà con forza nel suo manifesto
programmatico riguardo al romanzo e alla sua natura:
«Se il romanziere sperimentale cammina ancora a tentoni entro la scienza più oscura e più
complessa, ciò non toglie che questa scienza esista. E’ innegabile che il romanzo naturalista, quale
ora lo intendiamo, è un vero e proprio esperimento che il romanziere compie sull’uomo, con l’aiuto
dell’osservazione. D’altronde questa non è soltanto la mia opinione ma anche quella di Claude
Bernard il quale, ad un certo punto, scrive: “Nella pratica della vita gli uomini fanno continuamente
degli esperimenti gli uni sugli altri”. E, ciò è molto più decisivo, ecco l’intera teoria del romanzo
sperimentale: “ Quando si ragiona sulle proprie azioni abbiamo ancora nella coscienza una guida
sicura di quello che pensiamo e di quello che sentiamo. Ma se vogliamo giudicare le azioni di un
altro e sapere le cause che le producono, allora le cose cambiano. Certo noi abbiamo davanti agli
occhi i movimenti di questo uomo e possiamo vedere tutte le azioni di lui che sono senza dubbio le
manifestazioni della sua sensibilità e della sua volontà. In più sappiamo pure che vi deve essere un
rapporto fra quelle azioni e la loro causa; ma quale sarà questa causa? Noi non la sentiamo più in
noi stessi, non ne abbiamo più coscienza come quando si trattava di noi medesimi e siamo costretti
ad interpretarla e ad immaginarla a seconda dei movimenti che vediamo e delle parole che
ascoltiamo. Dovremo allora confrontare fra loro le azioni di questo uomo e dovremo esaminare
come egli agisce in questa o quella circostanza; in una parola dovremo ricorrere al metodo
sperimentale”. Tutto quanto ho precedentemente esposto è contenuto in questo brano che appartiene
a uno scienziato. Citerò ancora questa immagine di Claude Bernard che mi ha molto colpito: “Lo
sperimentatore è il giudice istruttore della natura”. Noi romanzieri siamo i giudici istruttori degli
uomini e delle loro passioni» [4].
Se il romanziere deve trovare la verità dei personaggi della storia che racconta all’interno di loro
stessi, il metodo che utilizzerà non potrà essere quello di “inventarli” a partire dalla propria capacità
immaginativa. Dovrà trovarla, invece, attraverso la conoscenza (e la successiva descrizione) dei
luoghi nei quali essi potrebbero vivere e intrecciare relazioni con altri esseri umani e, soprattutto,
attraverso la ricostruzione dei loro percorsi interiori fondati non tanto su idealità e sogni astratti di
passioni quanto sulle sollecitazioni materiali e i desideri corporei concreti che essi nutrono.
La base analitica del procedimento, dunque, sarà rigorosamente materiale anche se i risultati di esso
si ribalteranno nella verifica psicologica dell’effetto morale che le situazioni concrete e contingenti
potranno avere sui risultati delle loro azioni. Tra fisico e morale esisterà sempre un rapporto (per
5
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
dirla con il medico-filosofo LGpRORJXH Pierre Cabanis), un nesso che sarà possibile scandagliare con
lo strumento dell’analisi scientifica e della scienza delle passioni umane.
Tale nesso è costituito dall’ereditarietà e dalla trasmissione di tare fisiologiche e mentali che
finiscono con l’influenzare in maniera inevitabile le azioni e i sentimenti degli individui. E, infatti,
in questo modo si dichiara apertamente Zola:
«Un esperimento, anche il più semplice, è sempre basato su un’idea, nata da un’osservazione. Così
si esprime Claude Bernard : “L’idea sperimentale non è mai arbitraria fantastica, ma deve avere
sempre una base nella realtà obiettiva, cioè nella natura”. E’ su questa idea e sul dubbio che egli
basa interamente il metodo. “L’apparizione dell’idea sperimentale” – egli scrive più oltre – “è del
tutto spontanea e la natura di essa dipende dall’individuo che l’ha formulata. E’ un sentimento
particolare, un TXLG speciale, che caratterizza l’originalità, la fantasia, il genio del ricercatore”.
Inoltre egli fa del dubbio la leva principale della scienza: “Il vero scienziato è colui che dubita di se
stesso e delle proprie interpretazioni ma crede nella scienza e ammette che anche nelle scienze
sperimentali esistono un criterio o un principio scientifico assoluti. Questo principio è il
determinismo dei fenomeni; esso, come vedremo, ha valore assoluto sia nelle manifestazioni degli
organismi viventi che in quelle dei corpi bruti”. In tal modo dunque, lungi dal vincolare il
romanziere con stretti legami, il metodo sperimentale lo consegna interamente alla sua intelligenza
di pensatore ed al suo genio di creatore. Egli deve vedere, capire, inventare. L’osservazione di un
fatto gli deve far nascere l’idea dell’esperimento da preparare, del romanzo da scrivere, per
giungere alla conoscenza completa di una verità. Poi, quando ha discusso e fissato il piano di questo
esperimento, continuamente ne giudica i risultati con la libertà di pensiero di un uomo che accetta
solamente i fatti spiegabili in base al determinismo dei fenomeni. E’ partito dal dubbio per arrivare
alla conoscenza assoluta e non cessa di dubitare se non quando il meccanismo della passione, da lui
smontato e rimontato, funziona secondo le leggi stabilite dalla natura. Non vi è opera più grande né
più libera per la mente umana. Si vedono allora più lontane le miserie degli scolastici, dei
sistematici e dei teorici dell’ideale, accanto al trionfo degli scienziati sperimentali. Per riassumere
questa prima parte ripeterò che i romanzieri naturalisti osservano ed esperimentano e che il loro
lavoro nasce interamente dal dubbio in cui si pongono di fronte a verità non ben conosciute, a
fenomeni non spiegati, fino a quando, un giorno, un’ipotesi sperimentale ne stimola bruscamente
l’ingegno e li spinge ad impiantare un esperimento al fine di analizzare i fatti e diventarne padroni»
[5].
Un romanzo, dunque, è un esperimento in atto – la vicenda raccontata non deve essere soltanto il
frutto dell’inventiva dello scrittore ma il frutto dell’osservazione diuturna e accurata di ambienti,
situazioni, personalità, passioni, emergenze storiche e sociali. Ma come si esercita l’arte del dubbio
nella redazione e durante la costruzione di un romanzo? Attraverso la presenza diretta e continuata
sui luoghi da descrivere, ad esempio. Quando in ,OYHQWUHGL3DULJL del 1873, il grande romanzo
quasi intieramente ambientato alle Halles, gli allora Mercati Generali di Parigi, fu necessario
descrivere l’arrivo delle derrate alimentari dalla campagna alla Metropoli, Zola trascorse l’intera
notte sui luoghi per documentarsi sul modo in cui questo avveniva [6].
Allo stesso modo, la visita dei luoghi in cui saranno ambientati i suoi romanzi sarà decisiva per il
modo in cui i suoi personaggi saranno tratteggiati e per le reazioni che si verificheranno nel loro
passaggio in essi. Soprattutto è importante testimoniare come Zola sostenga di non voler
immaginare o inventare nulla ma descrivere con accuratezza (fino alla minuziosità nei particolari
forse più insignificanti) ciò che costituirà l’oggetto delle sue opere narrative. Soprattutto, niente
immaginazione, anche se non eccessivamente esibita (come accadeva ancora in certi capolavori
della letteratura realistica ad opera di Flaubert o dei fratelli Goncourt che ancora concedevano
parecchio alla dimensione romantica e psicologistica della storia che stavano raccontando) [7].
6
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
&RPHVLVFULYHXQURPDQ]RQDWXUDOLVWD
Nel capitolo dedicato a ,OVHQVRGHOUHDOH in ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH, infatti, Zola scrive con molta
decisione e senza perifrasi:
«Il più bell’elogio che un tempo si poteva fare ad un romanziere era dire: “E’ dotato di
immaginazione”. Oggi un simile elogio sarebbe quasi considerato una critica. Infatti tutte le
condizioni del romanzo sono mutate. L’immaginazione non è più la qualità principale del
romanziere. Alexandre Dumas, Eugène Sue avevano immaginazione. In 1RWUH'DPHGH3DULV,
Victor Hugo ha inventato dei personaggi ed una storia del più vivo interesse; in 0DXSUDW George
Sand ha saputo appassionare un’intera generazione con gli amori immaginari dei suoi eroi. Ma
nessuno ha pensato di attribuire immaginazione a Balzac e a Stendhal. Si è parlato delle loro
possenti capacità di osservazione e di analisi; essi sono grandi perché hanno descritto la loro epoca
e non perché hanno inventato delle storie. L’evoluzione in atto è stata preparata da loro e, a partire
dalle loro opere, l’immaginazione non ha più contato nel romanzo. Si pensi ai nostri grandi
romanzieri contemporanei, Gustave Flaubert, Edmond e Jules Goncourt, Alphonse Daudet: il loro
talento non nasce dall’immaginazione, ma dalla capacità di riprodurre la natura con intensità.
Insisto sul declino dell’immaginazione, perché mi sembra la caratteristica vera e propria del
romanzo moderno. […] Con il romanzo naturalista, romanzo di osservazione e di analisi, le
condizioni cambiano di colpo. Certo il romanziere ricorre ancora all’invenzione; inventa una trama,
un dramma; ma si tratta di un pezzetto di dramma, la prima storia che gli capita e che la vita
quotidiana gli offre continuamente. Poi nell’economia dell’opera, ciò ha un’importanza assai
esigua. I fatti vi compaiono solo come sviluppo logico dei personaggi. Il problema consiste nel
costruire creature vive che rappresentano davanti ai lettori la commedia umana con più naturalezza
possibile. Tutti gli sforzi dello scrittore tendono a nascondere l’immaginario sotto il reale. Sarebbe
uno studio interessante vedere come lavorano i nostri grandi romanzieri contemporanei» [8].
La genialità e l’abilità di un artista, dunque, se si seguono correttamente queste dichiarazioni di
Zola, non consistono nell’inventare eventi fantasiosi o mirabolanti (come si è visto dal testo
precedente) o nell’avere doti più cospicue di fantasia, ma nel rivelare quelle concatenazioni reali di
fatti “scientificamente” provati che spiegano la natura degli eventi narrati stessi (i legami ereditari
tra membri di una stessa famiglia, allargata però fino a comprendere anche discendenti più lontani
rispetto a nipoti e cugini, le malattie trasmesse e trasmissibili, l’influenza dell’ambiente degradato o
corrotto, le vicende storiche e il modo in cui i personaggi delle storie narrate ne approfittano o ne
vengono svantaggiati).
Ma soprattutto il compito più severo, e nello stesso tempo, più appagante dell’“autore naturalista” è
quello di osservare delle situazioni ben precise e creare le possibilità che esse evolvano
dinamicamente. Si tratta, di conseguenza, di descrivere dei luoghi e dei momenti topici della
Modernità nascente: dalle ferrovie ai teatri, per cominciare, o dalle prime all’Opéra agli DWHOLHU dei
pittori, dall’impetuoso sviluppo architettonico urbano alla nascita di un ceto medio aggressivo e
ambizioso. Oppure si potrebbe trattare dei luoghi in cui il mutamento sociale e politico si è fatto
7
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
sentire in maniera accentuata : le miniere descritte in *HUPLQDO ad esempio, il mare feroce e
immutabile al centro delle vicende di /DJLRLDGLYLYHUH o la campagna retriva e abbarbicata ai
propri pregiudizi delle storie ambientate a Plassans (la dimensione urbana che costituisce il punto di
partenza da cui tutto il ciclo dei Rougon-Macquart trae origine proprio con il primo dei suoi
romanzi e che è stata da lui modellata a partire dalla cittadina di Lorgues e dalla città più grande di
Aix-en-Provence dove Zola stesso trascorse una parte della sua giovinezza).
In questo modo nascono quelli che lo scrittore francese definisce (con un termine destinato a
durare) i “documenti umani”.
Nella loro redazione non c’è spazio per le romantiche avventure amorose care alle lettrici di George
Sand o per i duelli e le passioni sanguinarie e terribili che costellavano i romanzi dei cicli storici di
Alexandre Dumas père. E neppure, in certa misura, per le analisi delicate e impalpabili dei
sentimenti degli eroi di Stendhal (,OURVVRHLOQHUR;/D&HUWRVDGL3DUPD) o per le descrizioni tra il
fantastico e l’erudito onirico presenti nei romanzi più inquietanti di Flaubert (/D7HQWD]LRQHGL
6DQW¶$QWRQLR; 6DODPPE{). Al posto di storie complesse e di lunga durata negli anni da raccontare in
diversi volumi LQIROLR o degli intrecci ingarbugliati dei IHXLOOHWRQ, Zola propone delle vicende che si
limitano a ripercorrere degli episodi di vita colte nella loro esemplare quotidianità:
«Nello studio dedicato al bel romanzo di Huysmans, /HV6RHXUV9DWDUG, ho scritto questa frase: “Si
finirà per produrre semplici studi, senza avvenimenti imprevisti e relative soluzioni, l’analisi di un
anno di vita, la storia di una passione, la biografia di un personaggio, le annotazioni prese sulla vita
e disposte in ordine logico”. In verità non dubitavo affatto che questa frase avrebbe scandalizzato
molti miei colleghi. Alcuni si sono adirati, altri hanno fatto dell’ironia; tutti mi hanno accusato di
negare l’immaginazione, di uccidere l’invenzione, di fissare la regola che il romanzo deve essere
banale e volgare» [9].
Si trattava, ovviamente, di accuse infondate e a loro volta fuorvianti rispetto al metodo usato da
Zola e spesso condotte con una ripetitività che le rendeva banali. Ma è sicuramente vero che il
metodo di scrittura dei suoi romanzi Zola non lo riprendeva certo dalla letteratura di genere o dalla
tradizione narrativa francese dal Romanticismo in poi quanto dai propri taccuini di appunti e dalla
sua capacità di osservazione e di ripresa linguistica del reale quotidiano.
Basti pensare a come lo stesso suo autore ha raccontato a Edmondo De Amicis il modo in cui è
riuscito a venire a capo della trama narrativa di /¶$VVRPPRLU:
«/¶$VVRPPRLU …è stato la mia tortura. E’ quello che mi ha fatto pensare di più per mettere insieme
i pochissimi fatti su cui si regge. Avevo in mente di fare un romanzo sull’alcoolismo. Non sapevo
altro. Avevo preso un monte di note sugli effetti dell’abuso di liquori. Avevo fissato di far morire
un beone della morte di cui muore Coupeau. Non sapevo però chi sarebbe stato la vittima, e anche
prima di cercarla andai all’ospedale di Sant’Anna a studiare la malattia e la morte, come un medico.
Poi assegnai a Gervaise il mestiere di lavandaia, e pensai subito a quella descrizione del lavatoio
che misi nel romanzo; che è la descrizione di un lavatoio vero, in cui passai molte ore… Avevo già
studiato le mie bettole, l’Assommoir di père Colombe, le botteghe, l’Hôtel Boncoeur, ogni cosa,
Quando tutto il rimanente fu predisposto, cominciai ad occuparmi di quello che doveva accadere; e
feci questo ragionamento, scrivendolo. Gervaise viene a Parigi con Lantier, suo amante. Che cosa
seguirà? Lantier è un pessimo soggetto: la pianta. E poi ?...Dopo vari giorni feci un altro passo.
Gervaise è giovane; è naturale che si rimariti; si rimarita, sposa un operaio. Coupeau. Ecco quello
che morirà a Sant’Anna. Ma qui rimasi in asso da capo. Per mettere a posto i personaggi e le scene
che avevo in mente, per dare un’ossatura qualunque al romanzo, mi occorreva ancora un fatto, uno
solo, che facesse nodo coi due precedenti. Questi tre soli fatti mi bastavano; il rimanente era tutto
trovato, preparato, e come già scritto per disteso nella mia mente. Ma questo terzo fatto non riuscivo
a raccapezzarlo. Passai vari giorni agitato e scontento. Una mattina, improvvisamente, mi balena
un’idea. Lantier ritrova Gervaise, fa amicizia con Coupeau, s’installa in casa sua … HWDORUV
8
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
V¶pWDEOLWXQPpQDJHjWURLVFRPPHM¶HQDLYXSOXVLHXUV
; e ne segue la rovina. Respirai. Il romanzo
era fatto» [10].
In tal modo, la trama si rivela essere un esile filo conduttore tra le diverse e accurate descrizioni dei
luoghi in cui le vicende si svolgono e tra gli scontri e gli incontri tra i diversi personaggi che li
vivono e li costellano. L’interesse così rilevante mostrato da Zola per la ricostruzione (che avviene
anche sul piano linguistico e non solo topografico) del mondo in cui si dipanano le vicende dei suoi
personaggi lo ha fatto incappare nella precisa quanto sminuente accusa di essere esclusivamente un
“descrittore”. Principale sostenitore di questa accusa dal punto di vista del “realismo critico” è stato
soprattutto György Lukács. Nella sua ,QWURGX]LRQHai luoghi e alle vicende di /DIRUWXQDGHL
5RXJRQ, Sebastiano Timpanaro mette assai bene a fuoco questo punto:
«Già qui si vede quanto male a proposito la taccia di “descrittore” piatto e fotografico, incapace di
“narrare”, sia stata rivolta a Zola da Lukács (un critico e un pensatore che, in altri campi e ad altro
proposito, io continuo ad ammirare), e come l’eterno confronto Balzac-Zola, utilizzato già prima di
Lukács per sminuire Zola, abbia costituito un’esercitazione inutile e sviante (vien da pensare ad un
altro celeberrimo “paragone inutile”, tra l’Ariosto e il Tasso; si noti, d’altronde, che Zola fu sempre
un caldo ammiratore di Balzac e capì bene, prima di Lukács e di altri, l’atteggiamento di Balzac
verso la borghesia). Le descrizioni zoliane – della cittadina di Plassans e della campagna
circostante, del vecchio cimitero, dei singoli personaggi coi loro tratti fisiognomici – sono tutte
“connotative”, non meramente “denotative”. La Provenza è raffigurata con verità profonda, ma non
con pretese di esattezza geografica, tutt’altro. Il “verista” Zola si è compiaciuto (non per un futile
gioco, ma per ottenere maggiori sonorità ed espressività), di sostituire pressoché tutti i nomi di
cittadine, piccoli corsi d’acqua, rilievi montuosi del Mezzogiorno francese con altri, di toponimi
esistenti altrove o, più spesso, da lui inventati… » [11].
In realtà, quello che Zola riproduce non è certamente la Realtà (sia essa solo descritta oppure anche
analizzata criticamente – come avviene in /D&RPpGLH+XPDLQH di Balzac [12]) ma probabilmente
solo il suo “effetto di realtà” (come sostiene utilmente Roland Barthes in un suo saggio a partire
dalle descrizioni realistiche nei romanzi francesi dell’Ottocento):
«I residui irriducibili dell’analisi funzionale hanno in comune la denotazione di quello che va
comunemente sotto il nome di “reale concreto” (piccoli gesti, atteggiamenti momentanei, oggetti
insignificanti, discorsi ridondanti). La “rappresentazione” pura e semplice del “reale”, la nuda
relazione di “ciò che è” (o è stato) appare dunque una resistenza al senso; tale resistenza conferma
la grande contrapposizione mitica tra vissuto (vivente) e intelligibile; basti ricordare che,
nell’ideologia del nostro tempo, il riferimento ossessivo al “concreto” (in ciò che si chiede
retoricamente alle scienze umane, alla letteratura, ai comportamenti) è sempre armato come una
macchina da guerra contro il senso, come se, per un’esclusione di diritto, quel che vive non potesse
significare, e viceversa. La resistenza del “reale” (nella sua forma scritta, ovviamente) alla struttura
è molto limitata nel racconto di finzione, costruito per definizione su un modello che, per grandi
linee, ha come unici vincoli quelli dell’intelligibile; ma questo stesso “reale” diventa il riferimento
essenziale nel racconto storico, che ha il compito di riferire “ciò che è realmente accaduto”: poco
importa allora la non-funzionalità di un dettaglio, dal momento che esso denota “ciò che è
avvenuto”, il “reale concreto diventa la giustificazione sufficiente del dire» [13].
Nel romanzo “naturalista” allora il dettaglio del “reale concreto” è direttamente funzionale
all’”effetto di reale” che esso è capace di costruire – per questo essi non solo abbondano ma
sembrano invadere il campo stesso della materialità della costruzione letteraria. Questo potrebbe
dare (e spesso, infatti, dà ai lettori) il senso dell’artificiosità e della non-necessarietà connotativa.
Ma non si tratta di una concessione all’ DUWSRXUO¶DUW (come poteva sembrare, ad esempio, al
9
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
D’Annunzio autore di novelle “naturalistiche” [14]) o alla “finzione del poetico” per riscattare la
pesantezza dell’ambiente o della situazione descritti.
Si è, invece, di fronte a una scelta di poetica – di un presupposto essenziale di quel progetto di
scrittura che Zola considerava fondamentale per la riuscita del suo ciclo narrativo.
«Volevo giungere a questa conclusione: per definire il romanzo sperimentale non direi come Claude
Bernard che un’opera letteraria riposa interamente sul sentimento personale perché, a parer mio,
esso non è che il primo impulso. Poi la natura si impone, almeno quella parte della natura di cui la
scienza ci ha fornito il segreto e su cui quindi non si ha il diritto di mentire. Il romanziere
sperimentale è dunque quello che accoglie i fatti provati, mostrando nell’uomo e nella società il
meccanismo dei fenomeni di cui la scienza è padrona, e che fa intervenire il suo sentimento
personale unicamente nei fenomeni il cui determinismo non è ancora stabilito, sforzandosi di
controllare il più possibile il sentimento personale, l’idea a priori, con l’osservazione e
l’esperimento. Non posso intendere in altro modo la nostra letteratura naturalista. Non ho parlato
che del romanzo sperimentale, ma sono fermamente convinto che il metodo, dopo aver trionfato
nella storia e nella critica, trionferà ovunque, nel teatro e anche nella poesia. E’ un’evoluzione
inevitabile. La letteratura, per quanto se ne possa dire, non sta interamente nell’autore ma anche
nella descrizione della natura e nello studio dell’uomo. Ora se gli scienziati modificano la
conoscenza della natura, se trovano il vero meccanismo della vita, ci costringono a seguirli ed anche
ad oltrepassarli, per compiere il nostro ruolo nella formulazione di nuove ipotesi. L’uomo
metafisico è morto ed il nostro terreno si trasforma interamente nell’uomo fisiologico.
Indubbiamente l’ira di Achille, l’amore di Didone sono rappresentazioni eternamente belle, ma ora
dobbiamo analizzare l’ira e l’amore e vedere propriamente come funzionano queste passioni
nell’uomo. Il punto di vista è nuovo, ed è sperimentale invece che filosofico. In sostanza tutto si
riassume in questo grande fatto: il metodo sperimentale, nelle lettere come nelle scienze, si avvia a
determinare i fenomeni naturali, individuali e sociali, di cui la metafisica aveva dato fino a questo
punto solamente spiegazioni irrazionali e soprannaturali» [15].
Il rifiuto della metafisica nella determinazione dell’analisi delle situazioni e dei caratteri umani
presenti nei suoi romanzi comporterà per Zola anche il rifiuto del bello stile fine a se stesso.
Linguaggio e forma utilizzate nella loro realizzazione e contenuto delle sue opere finiranno (come si
vedrà in seguito) per coincidere e per convergere gli uni nell’altro.
Dal seguito di questa ricerca si vedrà che molte delle opere (romanzesche e non) di Zola sono
rimaste fuori dalla trattazione. Certo per motivi di spazio e di tempo ma anche e soprattutto perché
si è preferito privilegiare alcuni dei suoi testi più celebri in nome della possibilità di esplorarne più a
fondo la poetica, la modalità di scrittura, la cifra estetica e narrativa. Rimane fuori, infatti, se non
per accenni, lo Zola più direttamente “politico” e “sociologico”. Non è un male (direi) visto che
ormai non si parla più che di esso… Forse è meglio privilegiare oggi quello Zola “profetico” che,
nonostante tutto, piaceva a Céline (come si vedrà).
10
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
1RWH
[1] Ne esiste un’edizione italiana a cura di Francesco Ghiretti, Milano, Feltrinelli, 1973 dalla quale
saranno riprese le successive dichiarazioni di Claude Bernard sulla natura del metodo degli
esperimenti nelle scienze naturali.
[2] Nella 3UHID]LRQH al volume datata “Médan, settembre 1880”, Zola aveva scritto: “Cinque di
questi studi sono apparsi dapprima tradotti in russo sul “Messaggero dell’Europa”, una rivista di
San Pietroburgo. Gli altri due, 'HOURPDQ]R e 'HOODFULWLFD, non sono che raccolte di articoli
pubblicati su “Le Bien Public” e “Le Voltaire”. Mi sia permesso di testimoniare pubblicamente tutta
la mia gratitudine alla grande nazione che ha voluto accogliermi e adottarmi in un momento in cui a
Parigi nemmeno un giornale mi accettava e tollerava la mia battaglia letteraria. La Russia, in una
delle mie terribili ore di difficoltà e scoraggiamento, mi ha restituito tutta la fede, tutta la mia forza,
offrendomi una tribuna ed un pubblico, il più acculturato, il più appassionato pubblico. E’ così che
ha fatto di me, come critico, quello che sono ora. Non ne posso parlare senza emozione e serberò
per lei una eterna riconoscenza. Sono questi, dunque, articoli militanti, manifesti, se vogliamo,
scritti nella foga stessa dell’idea, senza nessuna raffinatezza retorica. Dovevano apparire come
traduzioni, il che mi sollevava da ogni preoccupazione formale. La mia prima idea era quella di
riscriverli prima di pubblicarli in Francia. Ma, rileggendoli, ho capito che dovevo lasciarli con le
loro negligenze, con l’immediatezza del loro stile da geometra per non sfigurarli. Eccoli dunque
così come li ho ritrovati, colmi di ripetizioni, spesso trascurati a causa della eccessiva semplicità del
tono e dell’eccessiva secchezza del ragionamento. Mi assalgono dubbi, forse lì sono le mie pagine
migliori, poiché sono pieno di vergogna quando penso all’enorme cumulo di retorica romantica che
ho già alle mie spalle” (Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH, trad. it. di Ida Zaffagnini,
Introduzione di Ennio Scolari, Parma, Pratiche, 19922, p. 47).
[3] Émile Zola, /DIRUWXQDGHL5RXJRQ, trad. it. e cura di Sebastiano Timpanaro, Milano, Garzanti,
1992, pp. 3-4.
[4] Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH, trad. it. di Ida Zaffagnini, Introduzione di Ennio Scolari,
Parma, Pratiche, 19922, pp. 57-58.
[5] Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH cit. , pp. 59-60.
[6] Scrive Paul Alexis, amico nonché segretario personale dello scrittore, al riguardo (in una pagina
assai nota del suo libro di ricordi e di testimonianze ePLOH=RODQRWHVG
XQDPL del 1882): “Penna
alla mano, Zola vi si recava con ogni tempo, con la pioggia, il sole, la nebbia, la neve, e ad ogni ora,
11
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
di mattina, di pomeriggio, la sera, per notare i diversi aspetti … una volta, vi trascorse l’intera notte,
per assistere al grande arrivo del nutrimento di Parigi…”.
[7] Si pensi, ad esempio, al coté malinconico e passionale presente soprattutto nella prima
(GXFD]LRQHVHQWLPHQWDOH di Flaubert (la sua prima redazione scritta negli anni tra il 1843 e il 1845)
o al mondo un po’ mitizzato e poeticamente stereotipo del circo descritto in ,IUDWHOOL=HPJDQQydel
1879 dal solo Edmond de Goncourt, nove anni dopo la morte del fratello Jules. L’autore, stendendo
una sua celebre prefazione a questo romanzo, scriverà parole poi divenute famose per il tentativo
che prova a mettere in atto di riscattare il naturalismo dall’accusa di essere motivato soltanto “dalla
gioia di puzzare” (come avrebbe poi scritto Nietzsche di Zola in un suo frammento postumo del
1883-1884). In particolare sono rilevanti queste affermazioni che riporto di seguito: “Possiamo
pubblicare degli $VVRPPRLU e dei *HUPLQLD/DFHUWHX[, e agitare e scuotere e appassionare una parte
del pubblico, sì, ma, per conto mio, i successi di questi libri sono appena delle brillanti scaramucce,
e la grande battaglia che deciderà la vittoria del realismo, del naturalismo, dello VWXGLRGDOYHUR in
letteratura, non verrà sferrata sul terreno scelto dagli autori di questi due romanzi. Il giorno in cui
l’analisi spietata che il mio amico Zola e forse anch’io abbiamo esercitata nella pittura della parte
bassa della società, sarà ripresa da uno scrittore d’ingegno e usata nel riprodurre gli uomini e le
donne altolocate, in ambienti educati e distinti, soltanto allora il classicismo ed il suo strascico
saranno eliminati. Scrivere questo romanzo realista del mondo elegante era stata un’ambizione di
mio fratello e mia. In verità il Realismo, per usare la parola banale e convenzionale, non ha la
missione unica di descrivere quel ch’è basso, ripugnante, puzzolente, ma è pure venuto al mondo
per definire in artistica scrittura quel ch’è elevato, grazioso, profumato, nonché per dar gli aspetti ed
i profili delle cose ricche: ma tutto ciò in uno studio attento, rigoroso e non convenzionale e non
d’immaginazione sulla bellezza, uno studio, insomma, simile a quello che la nuova scuola ha fatto,
in questi ultimi anni, sulla bruttezza. Ma perché, mi si dirà, non avete scritto questo romanzo?
perché non l’avete almeno tentato? Qui vi volevo! [..] E poi tutto, attorno a questo cittadino e a
questa cittadina, è lungo, difficile e diplomaticamente laborioso ad afferrarsi. Un osservatore si
porta via con una sola visita l’interno d’un operaio o d’una operaia; ma un salotto parigino, bisogna
consumar la seta delle sue poltrone per coglierne l’animo e far profonda confessione del suo
palissandro o dei suoi legni dorati. E dunque questi uomini, queste donne, e perfino gli ambienti in
cui essi vivono non possono rendersi che per mezzo d’immense provviste d’osservazioni,
d’innumerevoli note prese a colpi d’occhialino, di un’ammucchiata collezione di GRFXPHQWLXPDQL,
simile a quelle montagne di taccuini che rappresentano alla morte d’un pittore tutti gli schizzi della
sua vita. Poiché, diciamolo ben chiaro, solo i documenti umani fanno i buoni libri, i libri in cui
trovasi una vera umanità in carne e ossa“ (Edmond de Goncourt, ,IUDWHOOL=HPJDQQy, trad. it. di
Piero Bava, Milano. Rizzoli, 1960, pp. 5-6). Va detto, a onor del vero, che il giudizio di Zola su
questo romanzo sarà fin da subito assolutamente positivo. Ne fa fede la lunga recensione da lui
scritta al libro e poi ripubblicata nella raccolta del 1880 (cfr. Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH
cit., pp. 261-272).
[8] Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOHcit. , pp. 213-214..
[9] Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH cit. , p. 254.
[10] La citazione proviene da un HQWUHWLHQ con lo scrittore di Médan pubblicato da De Amicis nei
suoi 5LFRUGLGL3DULJL (Milano, Treves, 1879, pp. 241-290) e poi riportato anche in ,QWHUSUHWD]LRQL
GL=ROD, a cura di Renzo Paris, Roma, Savelli, 1975, pp. 86-104. Del metodo usato da Zola per
redarre i suoi romanzi più importanti si era già occupato Henri Massis in un suo saggio critico reso
famoso dal fatto di essere stato scritto dal suo autore a soli 19 anni (&RPPHQWePLOH=RODFRPSRVDLW
VHVURPDQV, Paris, Charpentier, 1906).
12
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
[11] Sebastiano Timpanaro, 3UHVHQWD]LRQHGL³/DIRUWXQDGHL5RXJRQ” in ePLOH=ROD/DIRUWXQD
cit. , p. XXXVII-XXXVIII. Sull’interesse specifico dimostrato dall’ultimo Timpanaro
per la narrativa naturalistica francese, ho già scritto in un saggio uscito nel numero monografico de
“Il Ponte” dedicato al grande studioso a un anno dalla sua scomparsa (“Dalla parte del
materialismo. Lo studioso della cultura francese”, in “Il Ponte”, (LVII), nn. 10-11, 2001, pp. 102113). In esso ricostruivo anche le posizioni lukácciane avverse al riconoscimento del valore critico
della scrittura di Zola (utilizzata, invece, come strumento esemplare di indagine sul reale da Sergeij
GHL5RXJRQ
0LFKDLORYLþ(M]HQãWHMQLQDOFXQHVXHOH]LRQLGLWHFQLFDHWHRULDFLQHPDWRJUDILFKHFRQWHQXWHLQ
/¶RWWDYDDUWH. 6FULWWL, trad. it. di Pia Negri Bernini, a cura di Edoardo G. Grossi, Pisa,
ETS, 1988, pp. 15-25 – il testo del grande regista russo cui faccio riferimento si intitola per
l'
appunto proprio “Zola e il cinema”).
[12] Sulla dimensione fortemente onirica presente in gran parte della scrittura balzacchiana e sulla
sua poetica del romanzo (assai diversa da quella di Zola) non posso che rimandare, per brevità, al
mio saggio “Forme del romanzo tra umorismo e irradiazioni del Sublime. La prospettiva di Honoré
de Balzac” (in ,O6XEOLPHHODSURVD1RYHSURSRVWHGLDQDOLVLOHWWHUDULD, Firenze, Clinamen, 2005,
pp. 107-121
[13] Roland Barthes, “L’effetto di reale”, in ,OEUXVLRGHOODOLQJXD, trad. it. di Bruno Bellotto,
Torino, Einaudi, 1988, p. 156.
[14] Caso emblematico in questo filone della sua produzione sono, infatti, /HQRYHOOHGHOOD3HVFDUD
(Milano, Mondadori, 1993) che mostrano un impianto spesso prevalentemente bozzettisticonaturalistico in senso forte se non volutamente virato verso effetti di sapore grandguignolesco.
[15] Émile Zola, ,OURPDQ]RVSHULPHQWDOH cit. , pp. 90-91.).
13
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
6DJJLSXEEOLFDWLVX5HWURJXDUGLD
1.
*LXVHSSH3DQHOOD
, (/2*,2'(//$/(17(==$3DXO9DOpU\HODIRUPDGHOODSRHVLD
2.
*LXVHSSH3DQHOOD '¶$1181=,2(/(,00$*,1,'(/68%/,0(/¶$OF\RQHOD
)HGUDHDOWUHDSSDUL]LRQL
3.
*LXVHSSH3DQHOOD',12&$03$1$/$32(7,&$'(//¶25),60275$
3,7785$(62*12
4.
*LXVHSSH3DQHOOD 5(*2/(3(56235$99,9(5(0RGHOOLGLDQDOLVLSHUXQDVWRULD
GHOODIDQWDVFLHQ]DLWDOLDQD
5.
*LXVHSSH3DQHOOD /(0(7$025)26,(,0,7,,QGDJLQHVX3LHWUR&LYLWDUHDOH
6.
*LXVHSSH3DQHOOD5,)/(66,21,68//$32(6,$3(5/(7725,8132¶
,
$112,$7,$5$*,21("
7.
*LXVHSSH3DQHOOD ,/68%/,0(5,9(1',&$72$'2512(/$9(5,7$
'(//$
%(//(==$
*LXVHSSH3DQHOOD
, 7(032'(//$5,92/7$(020(172'(/4827,',$12,O
UDFFRQWRGHJOLDQQLGLSLRPER
*LXVHSSH3DQHOOD/(,00$*,1,'(//$32(6,$'XHPRGHOOLGLGHVFUL]LRQHOLULFD
%DUWROR&DWWDILH0DULR%HQHGHWWL
*LXVHSSH3DQHOOD*$5$17,5(,/&2/3(92/(
. /RJLFDGHOO¶HUURUHJLXGL]LDULR.
(Postfazione al volume /
HUURUHJLXGL]LDULR/
DIIDLUH'UH\IXV=RODHODVWDPSDLWDOLDQD di
Massimo Sestili)
*LXVHSSH3DQHOOD,/1$785$/,602(=2/$81$7(25,$),/262),&$'(/
520$1=2
(introduzione al volume e0,/(=2/$6&5,7725(63(5,0(17$/(3HUOD
di Giuseppe Panella)
ULFRVWUX]LRQHGLXQDSRHWLFDGHOODPRGHUQLWj
14
5(752*8$5',$
TXDGHUQRHOHWWURQLFRGLFULWLFDOHWWHUDULDDFXUDGL)UDQFHVFR6DVVR
,QUHWH
Saggio pubblicato su 5HWURJXDUGLD (http://retroguardia2.wordpress.com/ ) e /DSRHVLDHORVSLULWR
(http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/).
Biobibliografia di Giuseppe Panella: http://retroguardia2.wordpress.com/biobibliografia-digiuseppe-panella/
Saggi letterari di Giuseppe Panella in formato PDF: http://retroguardia2.wordpress.com/saggiletterari-pdf/
Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0:
http://retroguardia2.wordpress.com/category/panella-giuseppe/
15