Il caso della rivoluzione copernicana

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Il caso della rivoluzione copernicana
Il caso della rivoluzione copernicana
Avremmo potuto classificare la spiegazione del ritardo della studentessa (presentata
nel primo paragrafo) come “scientifica”, perché controllabile, anche se solo
indirettamente, ma se la spiegazione fosse stata: “Dio ha voluto che io arrivassi in
ritardo, e Dio è onnipotente”, non avremmo ritenuto scientifica quella spiegazione
(benché, in linea di principio, il ritardo sia deducibile da questa spiegazione), perché
nessun’altra proposizione controllabile direttamente lo è, e di conseguenza la
spiegazione, non essendo controllabile nemmeno indirettamente (telefoniamo a Dio,
magari con l’aiuto di una medium o di un oracolo?), non è scientifica. Ma qual è il
motivo per cui, nel campo della scienza, scegliamo un’ipotesi piuttosto che un’altra?
Potremmo sostenere che la risposta vada ricercata nella maggiore “semplicità” di una
teoria nei confronti di un’altra. Ma questo motivo non è sempre determinante. Per
esempio, è vero, oggi, ma non alle origini della moderna cosmologia, che il sistema
eliocentrico copernicano (matematizzato attraverso le leggi di Keplero) è più
semplice: non ha infatti bisogno di ipotizzare gli epicicli (come faceva il sistema
geocentrico aristotelico-tolemaico) per spiegare il moto retrogrado di Marte e degli
altri pianeti, in quanto il fatto che la terra abbia un suo proprio moto ellittico (più
rapido di quello di Marte) determina un cambiamento del punto di prospettiva e, di
conseguenza, il movimento apparente di Marte.
Cerchiamo di essere più precisi. Di fronte a Copernico si trovava un problema:
occorreva trovare una “regola” (o “legge” o “teoria”, ma in definitiva nient’altro che
un’ipotesi) che spiegasse tale problema come un “caso” di quella regola. I moti dei
cieli, secondo il sistema aristotelico-tolemaico dovevano essere: circolari (il cerchio
essendo figura perfettissima rendeva perfetto anche il moto dei cieli), regolari
(dovevano avere lo stesso verso, non cambiare direzione) e uniformi (cioè mantenere
costante la velocità). Presentavano invece tre tipi diversi di moto apparente:
• (1) un moto giornaliero da Est verso Ovest, secondo il quale i pianeti
sorgono e tramontano come tutti gli altri corpi celesti;
• (2) un moto da Ovest verso Est fra le stelle, analogo a quello annuo del
Sole;
• (3) nel corso di quest’ultimo moto, periodicamente i pianeti rallentano
(la loro velocità non è perciò uniforme), si arrestano (nelle cosidette
stazioni), invertono la loro marcia (fenomeno definito
retrogradazione), cambiano di luminosità, come se si avvicinassero
alla Terra (quindi l’orbita non è perfettamente circolare).
Chiaramente questo terzo tipo di moto sembrava assolutamente irregolare, sia agli
astronomi antichi che ai moderni. Possiamo rappresentarlo come segue. La linea
tratteggiata rappresenta l’eclittica (traiettoria descritta apparentemente dal Sole sulla
sfera celeste nel suo corso annuale), quella continua l’orbita del pianeta, in questo
caso Marte (Kuhn 2000: 63).
Come era possibile spiegare questa apparente irregolarità? Gli astronomi antichi
avevano elaborato diverse ipotesi (Kuhn 2000: 78).
• La prima era quella del modello a sfere omocentriche (con uno stesso centro
rappresentato dalla Terra), i cui assi sono variamente inclinati e i cui moti,
con direzioni diverse e diversi periodi di rivoluzione, determinano i
complessi fenomeni celesti. Così si spiegherebbero le stazioni e le
retrogradazioni, ma non i cambiamenti di luminosità (il pianeta, collocato
su sfere concentriche alla Terra, non si avvicinerebbe o allontanerebbe mai
rispetto a essa).
• La seconda era quella del modello epiciclo-deferente, sviluppato da
Tolomeo, per il quale il pianeta è collocato su di un cerchio (epiciclo =
sopra il cerchio) ruotante intorno a un punto di un altro cerchio (deferente),
a sua volta in rivoluzione nello stesso verso ma con periodo minore intorno
alla Terra. Il moto risultante descrive una sorta di orbita intrecciata (figura
a). Il modello (figura b) rende conto di stazioni, retrogradazioni e
cambiamenti di luminosità. Con ciò si sarebbe trovata l’ipotesi atta a
spiegare la stranezza (il risultato) come un caso di una regola.
Nel medioevo entrambe le ipotesi vennero accettate, in quanto risolvevano problemi
opposti, uno di natura fisica (quello omocentrico), l’altro di natura matematica (quello
tolemaico). Chiaramente non si aveva una soluzione a un altro problema: se
l’universo non è strutturato secondo il modello tolemaico come mai questo modello lo
descrive così bene? Di qui partì la ricerca rinascimentale e moderna.
Quando Copernico criticò la teoria geocentrica non aveva in mente nuove
osservazioni o fenomeni prima ignorati (essi vennero scoperti più tardi sulla base del
modello copernicano). Gli stessi fatti venivano guardati però da un nuovo punto di
vista, che possiamo sintetizzare come segue (come si noterà vi sono diverse
affermazioni oggi considerate erronee):
•l’universo nella sua totalità ha forma sferica, è finito, anche se immensamente
grande;
•al suo centro è collocato il Sole;
•intorno al sole ruotano le sfere di tutti gli altri pianeti, inclusa la Terra;
•il centro della Terra non è il centro dell’universo, ma solo quello della Luna e
della gravità (è il punto verso cui tendono nella loro caduta i corpi pesanti
terrestri;
•la Terra compie in un moto diurno un’intera rotazione intorno ai suoi poli,
mentre il firmamento resta immobile: qualsiasi movimento appaia comune a
tutto il cielo non appartiene a esso ma alla Terra; è a causa della rotazione
terrestre, cioè, che noi vediamo il Sole, la Luna, i pianeti sorgere e
tramontare e le stelle ruotare intorno al polo terrestre;
•il moto annuo del Sole sul piano dell’eclittica è apparente e dovuto al
movimento di rivoluzione della Terra;
•le irregolarità del corso dei pianeti dipendono dal moto terrestre.
Questo era sufficiente per risolvere il problema del moto dei pianeti.
•
Al centro dell’universo è collocato il sole (S) immobile, intorno a cui
ruotano la Terra (T), che sulla propria orbita occupa successivamente le
posizioni T1, T2 ecc., e un pianeta superiore (per esempio Marte), con
velocità minore di quella della terra, che occupa le successive posizioni P1,
P2 ecc. L’osservatore vede il pianeta proiettato sulla volta celeste. I punti (1,
2, ... 7 ecc.) in cui il pianeta ci appare proiettato sono individuati dalla retta
congiungente la Terra – l’osservatore – e il pianeta. Ora, allorché la Terra
raggiunge e supera il pianeta, il che avviene necessariamente per la
differente velocità, esso ci appare fermarsi e arretrare nel firmamento,
nonché farsi più luminoso e vicino. In realtà stazioni e retrogradazioni sono
solo apparenti. Due semplici moti circolari (quello della Terra e quello del
pianeta) spiegano questi fenomeni senza le complicazioni degli epicicli e dei
deferenti (Kuhn 2000: 213).
Se cerchiamo di valutare le spiegazioni scientifiche, delle quali abbiamo avuto un
esempio classico, possiamo adottare i seguenti criteri (cfr. Copi & Cohen 1999: 534
segg.): a) rilevanza; b) controllabilità; c) compatibilità con le ipotesi
precedentemente confermate; d) potere di previsione o spiegazione; e) semplicità.