cronache dal foro parmense - Fondazione avvocatura parmense

Transcript

cronache dal foro parmense - Fondazione avvocatura parmense
CRONACHE
DAL FORO PARMENSE
Anno XXIV numero 3 – ottobre 2015
Periodico quadrimestrale a cura dell’Ordine degli Avvocati di Parma.
Autorizzazione del Tribunale di Parma n.14 del 10 giugno 1992.
Spedizione in abbonamento postale
art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Parma
Direttore responsabile: avv. Giuseppe Negri
pag. 3
Serafino Famà,
un avvocato
pag. 7
L’avvocato giudice
pag. 11
L’URCOFER
pag. 14
Precari scuola
pag. 20
La particolare tenuità del
fatto
pag. 24
Il condominio parziale
pag. 26
Memorie
pag. 27
Segnali di fumo
pag. 32
Giurisprudenza
disciplinare
supplemento
Speciale
Cassaforense
Adorazione dei pastori
inv.: Francesco Mazzola detto il Parmigianino (1503 – 1540)
dis.: Antonio Maria Zanetti
inc.: Giovanni Antonio Faldoni (1735)
Brescia – Musei civici di arte e storia – Pinacoteca Tosio Martinengo
(un bel lavoro di squadra, come vogliono essere le nostre CRONACHE)
Con gli AUGURI dell’Editore e della Redazione
SOMMARIO
pag.
pag.
pag. pag.
pag. pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
3
7
13
12
12
11
14
20
24
26
27
32
Serafino Famà, un avvocato
L’avvocato giudice
Aggiornamento albi
Attività del Consiglio
Variazioni
L’Unione Regionale dei Consigli degli Ordini Forensi
dell’Emilia – Romagna (URCOFER)
Precari scuola: primi orientamenti dopo la sentenza
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
del 26 novembre 2014 e sviluppi della questione
ad un anno di distanza
La particolare tenuità del fatto
Il condominio parziale: questo sconosciuto
Memorie
Segnali di fumo
Giurisprudenza disciplinare
Nel supplemento
speciale CASSAFORENSE
chiuso in redazione il 18 novembre 2015
Comitato di redazione:
avv. Nicola Bianchi, avv. Angelica Cocconi,
avv. Emanuela De Roma, avv. Valentina
Gastaldo, avv. Alessandra Mezzadri, avv.
Giovanni Nouvenne, avv. Lucia Silvagna
Hanno collaborato a questo numero:
avv. prof. Luigi Angiello
avv. Franco Baldessarelli
avv. Giuseppe Boselli
avv. Sandro Callegaro
avv. Daniele Carra
avv. Renato Del Chicca
avv. Santi Gioacchino Geraci
avv. Nunzio Luciano
avv. Carmelo Passanisi
avv. Roberto Uzzau
avv. Giacomo Voltattorni
avv. Paolo Zucchi
2
pag. pag. pag. pag. pag. 2
4
7
11
14 Cassa Forense, oggi
Stanziati 64 milioni per l’assistenza degli avvocati
Le convenzioni di Cassa Forense
Lo sportello previdenziale:
problematiche ricorrenti
Regolamento per l’erogazione
dell’assistenza
Serafino Famà, un avvocato
Per ricordare Serafino Famà, a venti anni dalla sua morte, sento due doveri.
Il primo. Far capire, a chi è arrivato dopo, cosa significò per noi quell’omicidio. Come reagimmo.
Cosa capimmo.
Il secondo. Una riflessione su cos’era essere avvocati allora, per leggere in trasparenza, se possibile, cos’è esserlo ora.
1. Sono passati vent’anni da quel giovedì 9 novembre del 1995.
Molti di noi quella sera appresero della morte di Serafino dalla televisione.
Vi era in onda un programma di Michele Santoro, credo si chiamasse “Tempi moderni”. Si parlava di mafia e vi era ospite un magistrato catanese.
Quando si parla di mafia è difficile che ci sia ospite un avvocato.
Improvvisa giunse la notizia: “Un avvocato catanese è stato ucciso. Serafino Famà”.
Serafino era un avvocato impegnato in tutti i più importanti processi di mafia catanesi. Era difensore
di molti imputati in quei processi. Eppure nessuno osò strumentalizzare quell’assassinio. Non noi, che lo
conoscevamo. Ma neppure i giornalisti, che a Catania, per quel fatto, accorsero numerosi.
Fu una notte che non passava mai, quella notte. Molti di noi si ritrovarono nel luogo dell’omicidio e poi
sotto la Questura. Tutti stretti fra di noi, per consolarci e per consolare chi quella tragedia aveva vissuto in
primissima persona, perché era insieme a lui in quel tragico momento.
L’indomani fu spontaneo riunirci tutti in assemblea. Eravamo tutti in toga, quella toga della quale in quel
momento comprendevamo tutta la forza e insieme tutta la debolezza. Non c’erano più posti in quell’aula.
Né seduti, né in piedi. Una sola poltrona, tenuta impegnata da una toga e da una rosa, per chi non avrebbe
mai più potuto occuparla.
Fu il momento del dolore e dello strazio e anche della paura. Ma anche tempo in cui le decisioni si pre-
3
sero senza chiedere permesso a nessuno.
La Camera penale si sarebbe chiamata “Serafino Famà”.
I nostri studi sarebbero rimasti chiusi per avere il tempo di riflettere e capire e, soprattutto, per vegliare
insieme il nostro Serafino nel suo tribunale.
E così fu.
In quell’androne grande e freddo, Serafino non fu mai solo. Tanta gente, di giorno e di notte e, intorno a
lui e ai suoi familiari.
S’era deciso che sempre almeno quattro persone in toga sarebbero state presenti a rendergli onore e
testimonianza. Lo si era deciso con qualche titubanza, pensando al numero di persone che sarebbero state
necessarie e col dubbio di averle. Invece in pochi minuti le prenotazioni per quel picchetto s’erano esaurite
e i giovani colleghi che se ne occupavano furono costretti a portarlo dapprima a sei, poi a otto persone.
Passò gente d’ogni tipo in quel giorno e in quella notte a rendergli un saluto, a portargli un fiore. Autorità (il Sindaco, il Presidente della Provincia, il Procuratore Antimafia Siclari) e gente semplice.
Ricordo un soldato di quelli di guardia al Palazzo in quei tempi per l’operazione chiamata “Vespri Siciliani”. Finito il suo turno entrò con ancora il fucile in mano. Si tolse l’elmetto e rimase un lungo momento
a capo chino.
Ricordo rendere onore a Serafino, in piena notte, per un’ora, insieme, il Presidente e i vicepresidenti
dell’Unione Camere Penali e il direttivo dell’ANM catanese.
Anche chi aveva dimenticato, preso da altre cose, che anche un avvocato va onorato, dimentico della sua
altissima carica ritenne opportuno poi chiedere scusa. Parlo del Presidente Scalfaro, il quale si scusò mandando un biglietto al nostro presidente Trantino e poi anche con me, in occasione d’una visita al Quirinale
fatta dalla Giunta dell’Unione della quale allora facevo parte.
Poi i funerali con la partecipazione di migliaia di persone e in essi, fra le altre, le parole strazianti del
giovane figlio Fabrizio, per un solo giorno avvocato anch’egli, con sulle spalle la toga del padre.
E poi la lunghissima assemblea del lunedì, che durò un giorno intero e in cui ognuno di noi cercò ancora
di capire, urlò, si confrontò, lo pianse ancora.
E poi la ripresa del maxiprocesso “Orsa Maggiore”. Le parole degli avvocati, quelle dei magistrati, quelle per certi versi inattese degli imputati.
Emozioni che non si cancellano in chi le visse e che rendono il ricordo di quei giorni forte come tutte le
cose che si conservano nel cuore. Altri, che in passato l’ha commemorato prima di me, ha sottolineato che
non nel cuore avremmo voluto tenere Serafino, ma vicino a noi, in Tribunale, nelle battaglie quotidiane.
Ma il conservarlo nel cuore, che è il luogo, etimologicamente, ove la memoria vive e cresce, ci consente di
meglio comprendere chi fu e cosa fu.
Emozioni che ho voluto raccontare perché Serafino non sia, per chi non lo conobbe, soltanto il nome di
una Camera penale, il nome di un’aula di giustizia, il nome su una lapide in un androne.
Perché egli sia per tutti una figura concreta di uomo. Un uomo che ebbe, fra gli altri, un privilegio.
D’aver ricevuto e continuare a ricevere un’attestazione d’amore grande, che ognuno di noi, in cuor suo,
desidera ricevere.
2. Il secondo dovere è, per me, quello di riflettere.
Per riflettere su chi fu Serafino Famà, avvocato siciliano e catanese, voglio partire da una constatazione.
4
In questa nostra città l’unico omicidio “eccellente” che ha riguardato il mondo della giustizia è stato
quello di un avvocato penalista. Eppure Catania è nella stessa regione nella quale è anche Palermo, per
dirne una. Una città che ha visto cadere, anch’essi per mano mafiosa, numerosi magistrati, e uomini delle
istituzioni e delle forze di polizia.
Perché a Catania no? Perché a Catania ci si accanì contro un avvocato?
Perché?
C’era un modo di essere avvocati, e avvocati penalisti, e avvocati penalisti impegnati quali difensori nei
cosiddetti processi di mafia che non avesse nulla a che vedere con la condivisione della cultura mafiosa?
Che non avesse nulla a che spartire con l’ammiccamento con l’assistito?
Che fosse affermazione di una delle cose che fanno grande la nostra professione? Essa ci accosta al peggio delle debolezze e delle brutture umane e non ce le fa condividere, ma ci fa rivendicare, per quel peggio,
il rispetto dei diritti.
Facile essere integri e per bene frequentando la buona società.
E’ frequentando il peggio che bisogna dare prova di essere uomini liberi, capaci di dimostrare che anche
al mostro vanno riconosciuti i diritti inviolabili di uomo.
Dare prova che quella toga con la quale ci rivestiamo è il vestito con cui assumiamo la dignità di rappresentanti del diritto di difesa, chiamato “inviolabile” dall’articolo 24 della Costituzione.
C’era un modo per fare ed essere tutto questo e Serafino Famà era quel modo, era tutto questo.
“Il più puro di noi”, come qualcuno lo definì in quei giorni. Il più puro nell’essere pienamente e consapevolmente avvocato.
Per quelli come me, più giovani di lui, era l’avvocato intransigente, fermo, coraggioso, che nel rappresentare i diritti del proprio assistito non defletteva, forte soltanto della sua preparazione e della sua coscienza limpida.
Non immaginatelo, lo dico a quelli che non l’hanno conosciuto, come un accomodante baciapile pronto
al compromesso con la scusa della salvaguardia di non si sa bene quale interesse del proprio assistito.
Ma non immaginatelo neanche come un gratuito attaccabrighe.
Pochi i magistrati che non si scontrarono con la sua veemenza e con la sua intransigenza. Pochissimi
quelli che, ciò nonostante, non l’apprezzarono.
E di quei pochissimi non tiene conto occuparsi, perché il problema fu loro.
Serafino Famà era un uomo rispettoso delle forme, perché in esse vedeva la salvaguardia del diritto e
della libertà da ogni forma di dispotismo, anche quello delle maggioranze. Come ricorda quella frase di
Benjamin Constant riportata nella lapide che lo ricorda nell’androne del Palazzo di Giustizia e che egli trascriveva su tutti i propri codici e su quelli di tutti i suoi collaboratori:
“Per quanto imperfette siano le forme, hanno sempre il potere di proteggere. Sono esse le nemiche giurate della
tirannnide popolare o di altro genere”.
Per noi che lo vedevamo lavorare, che dividevamo con lui l’impegno nella camera penale, Serafino era
uno che non accarezzava il pelo al pensiero corrente. E quando, come usava allora, ci disse che potevamo
dargli del tu fu un’emozione.
Solo un uomo, un avvocato, come lui poteva essere capace di affrontare il disagio d’uno scontro con un
pubblico ministero o un presidente di corte e, insieme, essere rispettosissimo di ciò che essi rappresentavano. L’ho sentito personalmente richiamare colleghi più giovani per il loro incaponirsi irrispettoso contro
un provvedimento che dava loro torto: “Ora c’è un provvedimento e lo rispetti e rispetti chi lo ha emesso. Poi lo
impugnerai”.
5
Così come l’ho sentito redarguire durissimo un cliente che pensava che quel suo strenuo e bravo difensore potesse essere un sodale del suo mal compreso senso del vivere civile!
C’era, fra Serafino e qualunque cliente, qualunque fosse il colore suo colletto di esso, uno spazio. C’era,
come si diceva una volta, la scrivania.
Per questo, quando egli cadde per mano mafiosa, nessuno poté dire che era morto un “avvocato dei mafiosi”, ma che era morto un avvocato.
Un avvocato intransigente, l’ho definito. Ma in cui l’intransigenza si stemperava nella comprensione,
nella misericordia, mi viene da dire. Mi viene in mente il Vangelo secondo Matteo: “Ero in carcere e mi avete
visitato…”. Nella cella di un colpevole o di un innocente? Nel Vangelo non si fa differenza.
Una volta egli ebbe uno scontro pesante col presidente d’una Corte, che aveva interrotto un suo controesame d’un collaboratore di giustizia, usando frasi che egli ritenne, e lo erano, offensive. Serafino preparò
un esposto chiaro, preciso, inequivocabile contro quel magistrato. Lo lesse a tanti di noi che lo incontravamo alle riunioni del direttivo di Camera penale e tutti lo condividemmo. Era pronto. Eppure, all’ultimo
momento, decise di non presentarlo. Non lo fece per paura; ne sono, insieme ad altri, testimone. Lo fece
per considerazione per l’umana debolezza e fragilità di quel presidente. Di quell’uomo. Anche in questo
avvocato vero!
Egli fu un avvocato “consapevole” del suo ruolo. Perché la vera distinzione, nel nostro come negli altri
campi, non è tanto quella fra chi è bravo e chi non lo è, fra chi è onesto e chi non lo è. Ma è quella fra chi è
consapevole di quali principi sottendono al suo ruolo e chi esercita la nostra professione come solo il freddo,
meccanico, esercizio di applicazione di norme. E dalla vera consapevolezza scaturiscono bravura e onestà.
Perché morì Serafino Famà; perché fu ucciso dalla mafia?
Abbiamo un processo e delle sentenze definitive a dircelo: “Le risultanze processuali […] hanno dimostrato
che il movente dell’omicidio va individuato esclusivamente nel corretto esercizio dell’attività professionale espletata
dall’avvocato Famà”.
Quest’uomo straordinariamente coraggioso morì perché fu un eroe?
Mi piace di più dire che morì perché fu un eroe “normale”. Fu integralmente avvocato fino alla fine.
Perché seppe dire di no a chi, con ogni forma di pressione, voleva estorcergli la testimonianza di una sua
assistita, che egli, invece, pensava controproducente per essa.
Pagò con la vita aver fatto prevalere contro ogni cosa quello che egli riteneva un diritto di chi si era rivolto a lui, a lui si era affidato.
Pensate sia un motivo banale?
Io non lo penso. A me pare che questa “normalità” proietti la morte di Serafino nel presente e nel futuro
rendendolo esempio vero di come si deve essere avvocati.
A me, pare, inoltre, specie in quest’epoca di finte audacie, il massimo degli eroismi.
L’eroismo di chi sa incarnare coraggiosamente e consapevolmente il proprio ruolo.
Di chi ha consapevolezza che il contributo al benessere collettivo al quale siamo tutti chiamati a collaborare sta ne fare il proprio dovere nel posto nel quale la vita ci ha collocati.
L’eroismo di chi, come Serafino, ha saputo rendere vero quel pensiero di Bertolt Brecht: “Sventurato quel
paese che ha bisogno di eroi”.
Carmelo Passanisi
la foto dell’avv. Famà alla pagina 3 è di Matteo Brogi (l’Editore è a disposizione degli aventi diritto)
6
L’avvocato giudice
“Il ‘desio dell’avventura’ (come lo chiamava il poeta Aleardi)
sospinge ancora noi tutti, se non proprio nella vita reale, in
quella dell’immaginazione, e ci rende graditi i racconti di quella
sorta, anche se non sono sempre autobiografie edificanti”.
(B. Croce, Un paradiso abitato da diavoli, a cura di G. Galasso,
Adelphi, IV ediz., 2013, p. 49)
Quel mattino l’avvocato Bonfiglio stava percorrendo i corridoi
del Tribunale, doveva recarsi all’udienza del ‘giudice del lavoro’.
Nonostante l’età avanzata, addirittura senile con i suoi 68 anni,
resi palesi pure dall’incanutire dei
capelli e l’incurvarsi della schiena, egli era ad una delle sue prime
esperienze professionali, di avvocato.
A fronte degli altri avvocati,
disinvolti e sprizzanti fra loro familiarità e spirito di colleganza,
l’avvocato Bonfiglio procedeva
con atteggiamento riservato, impacciato, come di chi si trovi in un
ambiente a lui estraneo, rasentando ancor più il muro allorchè si
sentiva fatto oggetto, dai recenti
colleghi, di saluti impropri, inadeguati alla nuova veste professionale assunta: “buon giorno dottore!....
dottore!...buon giorno!” o addirittura scandalosi, considerati i luoghi
e le circostanze, quali “buon giorno signor giudice!...signor giudice!...
buon giorno!” e perfino, con voce
stentorea e sorriso vagamente ironico da parte di avvocati anziani,
memori di un non recente passato:
“buon giorno presidente!...presiden-
te!...buon giorno!”, al che l’avvocato Bonfiglio si guardava attorno
smarrito, come fosse stato sorpreso in flagrante reato.
Sì!...perchè l’avvocato Bonfiglio
era un giudice!..., meglio, era stato (e si sentiva ancora) un giudice e, tempo addietro, lo era stato
anche in quel Tribunale, ove adesso, dopo decenni di giurisdizione
svolta in altre sedi, esercitava il
ruolo opposto, di avvocato.
Pervenuto ai vertici della magistratura, dopo averne percorso
i vari gradi, fu preso dall’angoscia
di essere giunto al termine non
solo della carriera, ma pure della
stessa esistenza; attendere il pensionamento ‘per raggiunti limiti
di età’, allora coincidente con il 72°
anno, significava, ammesso che ci
si arrivasse, smarrire ogni residuo
vitalismo, perdere definitivamente
la capacità di fare nuove esperienze professionali. Quanti colleghi
pensionati, quando lo incontravano, invocavano sconsolati l’attività
perduta: “Ah Bonfiglio!...il lavoro!...
il lavoro!”.
Si sovvenne allora della passione coltivata, a studi universitari
conclusi, per la professione fo-
rense, della pratica svolta presso
uno studio legale nella città di sua
provenienza, della frequentazione
dei Tribunali come praticante procuratore, dell’assunzione diretta
di difese presso le Preture mandamentali (allora consentita anche ai
praticanti procuratori), dell’esame
di procuratore legale brillantemente superato presso la Corte di
appello di Brescia, dell’incipiente
esercizio della professione fino al
superamento del concorso di magistratura.
Certamente non pensava che
l’avvocatura fosse una sorta di
“isola felice” (1), tutt’altro, era ben
consapevole, anche per l’esperienza acquisita in magistratura, di tutte le difficoltà in cui si dibattevano
gli avvocati, in particolar modo
all’inizio della professione, nondimeno era preso dall’assillo di intraprendere e sperimentare questo
nuovo ruolo, consapevole che era
l’ultima occasione di rinnovamento che gli era riservata ed era d’altronde l’unica che gli consentisse
di mettere in qualche modo a profitto, se possibile a tempo pieno, la
sua propria esperienza professionale maturata in magistratura. La
pratica giurisprudenziale presso
le varie magistrature, anche superiori, di legittimità, riteneva gli valesse un certo credito pure nell’esercizio della libera professione…
in definitiva, optò per la ‘pensione
di anzianità’ e decise di iscriversi
all’albo degli avvocati. Anche la
7
sua domanda di ammissione al
patrocinio presso le magistrature
superiori aveva trovato l’entusiastico e stimolante accoglimento
che gli era stato comunicato con
telegramma dal Consiglio nazionale forense: “Comunico la sua avvenuta iscrizione albo speciale avvocati cassazionisti. Cordialità”.
Il suggerimento che gli era subito venuto dai nuovi colleghi anziani di “fare l’avvocato di nicchia”,
in un primo momento gli aveva
fatto balenare l’esperienza professionale di suoi pregressi colleghi
delle Corti Supreme che, parimenti passati all’avvocatura, come per
preservare ruolo e prestigio raggiunti nella magistratura, avevano
impresso sulla porta di ingresso al
loro Studio, a severo monito di chi
vi accedesse, a caratteri cubitali:
“SOLO MAGISTRATURE SUPERIORI”, ma ben presto si accorse
che con quel suggerimento, “fare
l’avvocato di nicchia”, si intendeva
ben altro: non avere rapporti diretti con i ‘clienti’, non comparire
personalmente in giudizio, non assumere in proprio l’impegno della
difesa, ma bensì rimanere celati
in un angolo dello studio altrui,
in una “nicchia” appunto, a predisporre atti, comparse, difese di cui
altri si assumesse la paternità…in
definitiva, fare l’avvocato ‘comparsista’.
La prospettiva non era certo lusinghiera, significava rinunciare al
‘sale’, al vitalismo della professione di avvocato, restare ai margini
della stessa; d’altronde l’avvocato
Bonfiglio, che aveva intrapreso
l’attività in ‘provincia’, non poteva
certo fregiarsi della riserva delle
“magistrature superiori”, come i colleghi che avevano il privilegio di
esercitare nella capitale e di essere,
quanto meno, domiciliatari di va-
8
rie cause presso le Corti Supreme;
peraltro, subito si accorse della fatica e del costo dell’apertura e organizzazione di uno studio legale
e, ben presto, quanto tempo, quale
impegno, quali attitudini occorressero all’avvocato per procurarsi
una clientela. Un avvocato anziano lo aveva ammonito: “aprire uno
studio di questi tempi…bisogna essere
un incosciente!” ed un altro, un latinista: “Deus amentat quos perdere
vult”…in definitiva, “fare l’avvocato di nicchia”, il “comparsista”, poteva essere l’unica risorsa di cui l’avvocato Bonfiglio poteva disporre,
considerata la sua età e le sue attitudini…magari confidando, per
rendere più viva e interessante la
professione, nell’occasionale sopravvenienza di qualche ‘cliente’.
Di questa occasione l’avvocato Bonfiglio beneficiava appunto
quel mattino.
Chiamata la ‘sua’ causa, rivolgendosi al giudice, egli esordì:
“Signor giudice!...”, ma subito gli
parve di avvertire un sorriso lievemente ironico sulle labbra del giudice, rimase perplesso, si confuse,
finchè il giudice stesso lo trasse
d’impaccio: “Dica!...dica avvocato!”.
Allora comprese che la vera,
basilare difficoltà, era inserirsi
nell’ambiente, vestire propriamente la parte scelta, assumere
come una nuova personalità, ridefinire la propria identità, così
da esercitare il nuovo ruolo con
appropriatezza di modi, di portamento, con pertinente ‘saper fare’,
non solo con i clienti, ma anche nei
rapporti con i ‘colleghi’ e, soprattutto, con i giudici…appropriatezza, ancor prima, di terminologia, di linguaggio, di approccio…
se n’era accorto pure quando gli
era capitata l’occasione (cui aveva
aspirato ardentemente) di svolgere una difesa avanti la Corte Suprema. Estremamente gratificato,
ma altrettanto preoccupato ed
emozionato, non sapendo come
esordire avanti i Giudici Supremi,
aveva ben pensato di rifarsi al linguaggio, alla terminologia degli
avvocati resi disinvolti dalla lunga
pratica del Foro Supremo, avvertita allorchè egli era stato magistrato in quella sede, linguaggio che
non doveva trascurare il ricorso
al termine “Eccellenze”, ogni volta che si invocava direttamente la
Corte…e così egli aveva senz’altro
esordito: “Eccellenze!...come le loro
Eccellenze ci hanno insegnato, anche
nei loro motivati dissensi da precedenti indirizzi giurisprudenziali consolidati, pure questa difesa ritiene di poter
prospettare argomentazioni di livello
tale da giustificare un ripensamento
rispetto a conclusioni già da tempo
assunte…”, lasciando stupiti i Giudici Supremi e ponendo sé stesso
in difficoltà a uscir dalle quali e
terminare dignitosamente la difesa impiegò non poca fatica.
In altra occasione, una ‘collega’
che egli, quand’era dall’altra parte,
aveva richiamato a maggiore brevità nella discussione, vedendolo
estremamente preoccupato e titubante nell’attesa di un’udienza
di discussione avanti il Tribunale
amministrativo (magistratura a lui
insolita), gli aveva impartito una
lezione di buona avvocatura: “noi
non dobbiamo avere timore di parlare
davanti ai giudici, non dobbiamo avere paura di fare brutta figura perché
noi siamo chiamati a difendere i diritti
della povera gente”.
In realtà, l’avvocato Bonfiglio
avvertiva di non riuscire a completamente identificarsi nel nuovo
‘modello’ assunto, di cui faceva
faticosamente esperienza fra in-
cessanti contraddizioni; sentiva
dentro di sé la tensione perenne
fra due ‘valori’, due ruoli difficili,
impossibili da conciliare. Troppo
a lungo il modello, l’identità del
giudice, erano stati da lui posseduti, in un intero progetto di vita,
in un’esistenza professionalmente
appagante, per essere senz’altro
rinunciati, cancellati dentro di sé
da una nuova scelta, un nuovo
modello, inconciliabili con i precedenti. Tuttora emergevano, pure
nei sogni notturni, i coinvolgenti
dibattiti delle camere di consiglio,
l’impegnativo argomentare di
complesse motivazioni di sentenze, l’impaziente attesa dell’esito
degli esami e delle decisioni del
C.S.M. per la progressione in carriera…e, al contempo, come in una
sorta di contrappasso, la faticosa
stesura di comparse conclusionali,
la macchinosa discussione di cause in udienza, la trepidante attesa
del deposito delle sentenze…
“Devi farti pagare!...devi farti pagare!...” insisteva nel dirgli
l’avvocato anziano, ma l’avvocato Bonfiglio si sentiva ancora
giudice e “farsi pagare”, anche nei
minimi della tariffa professionale,
rappresentava per lui un’estrema
difficoltà, che lo metteva in crisi.
D’altronde, consapevole di tempi,
costi e incertezze dei giudizi, era
profondamente restio a promuovere cause, a portare in giudizio
le persone che si rivolgevano a
lui, consigliando, piuttosto, ogni
tentativo di conciliazione, in ciò
rifacendosi alla pratica seguita da
giudice, che lo portava a disporre
costantemente il tentativo di conciliazione, con ordinanza emessa
all’inizio della trattazione della
causa, sostanzialmente del seguente tenore: “Il giudice, letti gli
atti, dispone la comparizione persona-
le delle parti per interrogatorio libero
sui fatti di causa e per contestuale tentativo di conciliazione, fissa per l’incombente l’udienza…”.
In definitiva, l’avvocato Bonfiglio non riusciva a ridefinire la
propria identità e si trovava a vivere con due personalità inconciliabili: giudice / avvocato? Si era
ridotto ad essere un autentico ossimoro vivente che gli era capitato di
assumere, di portare sulla sua persona, per scelta sua, ma in parte
anche per caso, nell’ansia di esplorare e fare esperienza delle principali contraddizioni della propria
esistenza.
Ad essere un ossimoro vivente
per le contrade della città, lui avvocato, sia pure “avvocato di nicchia”, fatto oggetto dei lazzi dei
‘colleghi’ con quei richiami, quei
saluti impropri, ironici “signor giudice!...buon giorno signor giudice!...
presidente!...buon giorno presidente!”, ebbene, a questo si era in un
certo modo adattato, stava al gioco
rispondendo con brevi cenni di saluto, e quando capitava che qualche collega lo salutasse in modo
appropriato “avvocato…buon giorno avvocato!”, gli si avvicinava rinfrancato e grato, pure ringraziando “grazie!...grazie collega!”…ma
quando e dove entrava in crisi, era
proprio allorchè si inoltrava nelle aule dei Tribunali e compariva
davanti ai giudici: vederli reggere
e dirigere con speditezza i procedimenti, deciderli con il potere di
attribuire efficacia al loro giudizio
con sentenze correttamente motivate, allora avvertiva l’importanza e il valore insiti nella autonomia
del potere giudiziario, cui egli stesso
era appartenuto, che consente di
“svolgere una funzione di garanzia
dei diritti individuali, se del caso in
contrasto con le pretese del potere ese-
cutivo e in alcune circostanze, come
quando viene in discussione la legittimità costituzionale di una legge, anche con il legislatore” (2) … era allora che l’avvocato Bonfiglio sentiva
emergere tutta la contraddizione
della propria esistenza e avvertiva
impellente il dovere di prendere
posizione, definire la propria identità, chiarire e risolvere una volta
per tutte l’ossimoro che in lui si
era incarnato “giudice-avvocato /
avvocato-giudice”.
Alla fine, l’avvocato Bonfiglio
avvertì che era venuto il momento, ormai ineludibile, della propria ‘reidentificazione’; al contempo
però comprese che l’assunzione
del nuovo modello, una volta pervenuto alla pensione, era stata
come determinata da una profonda e inconscia esigenza di “mettersi sul mercato”, non per profitto
(fortunatamente non ne aveva bisogno…e neppure capacità), ma
per “ritrovare un proprio valore”,
sfuggire a quella “morte civile” che,
anche comunemente, si identifica
con il “pensionamento”; assumere
un’identità nuova aveva quindi significato rendersi ancora “disponibile sul mercato della vita”, sottrarsi
alla pena dell’esclusione, all’essere
snobbato, ignorato, ad incappare
nell’equivalente sociale del bidone
dei rifiuti; comprese che quella sua
ambizione di ridefinirsi come avvocato, pur con tutta la sua sprovvedutezza, l’ansia e la tensione
che gli procurava, era però pregna
delle contraddizioni proprie della “esistenza”, era un continuare a
esplorare e fare scelte, “esperienze
di vita”. Comprese infine, non senza amarezza, che rinunciare al modello che da ultimo si era assunto
significava al contempo perdere la
capacità di “ridefinirsi”, rinunciare ad avere altre “scelte possibili”,
9
altri modelli di vita interessanti, significava, in sostanza, “definire la
propria identità”, in negativo, una
volta per tutte, rinunciando ad
esplorare nuove esperienze.
L’avvocato Bonfiglio alla fine si
arrese.
Pur fra tante tensioni e contraddizioni lo scorrere degli anni era
incessante ed era ormai trascorso
più di un decennio da quando si
era iscritto all’albo degli avvocati;
dieci anni durante i quali era passato attraverso la nicchia di quattro
studi legali, senza migliore fortuna, ed ora non era certo un giovane che potesse aspirare a nuovi
progetti professionali, d’altronde,
aveva ormai perso ogni ambizione
di assumere nuovi, diversi modelli di vita. Anche per superare la
tensione perenne fra due valori,
l’ossimoro doveva essere risolto,
occorreva ritornare sui propri passi e la scelta non poteva che essere
riduttiva, di rinuncia, a perdere:
o rinunciare, anche formalmente
con la cancellazione dall’albo, al
modello e al ruolo di avvocato,
oppure ridursi interamente e definitivamente a “fare l’avvocato di
nicchia”, come gli era stato suggerito agli inizi, ritirandosi a fare il
“comparsista” in un angolo recondito di uno studio legale, che lo
accettasse infine per tale mansione. Ma quest’ultima soluzione, per
lui che proveniva dal ruolo delle
magistrature superiori e aveva
poi scelto il modello dell’avvocato confidando in un impegno
professionale completo e stimolante, che gli valesse sperimentare
l’esercizio della giurisdizione da
un osservatorio diverso, opposto
a quello sperimentato da giudice,
finire i suoi giorni come “avvocato
di nicchia”, come “comparsista”, gli
parve veramente umiliante, insop-
10
portabile.
L’avvocato Bonfiglio, infine,
si ridusse ad optare per la prima
soluzione e si cancellò dall’albo
degli avvocati, con l’unica consolazione che uno scopo l’aveva pur
raggiunto, si era frattanto portato
sotto l’ottantina ed era sfuggito,
per tutti quegli anni, dall’essere cristallizzato in una statua di
sale…anche se, in realtà, altra consolazione, pur sempre marginale
(all’avvocato di nicchia, al comparsista, non è concesso vanto di ‘vittoria di cause’, anche se la vittoria è
spesso merito dell’opera di nicchia)
gli sarebbe potuto derivare, se non
l’avesse tenuta in nessun conto,
dall’avere promosso corsi di informatica del diritto (3) e, a latere, con
la collaborazione di valida collega,
la raccolta e diffusione, con il medesimo sistema informatico, delle
sentenze di maggior rilievo del
locale Tribunale, iniziative che in
seguito ebbero, con miglior veste,
migliore fortuna…
Chi avesse, ancor oggi, modo
di rammentarsi dell’avvocato, o
del giudice, Bonfiglio, lo potrebbe
notare, nei lunghi meriggi estivi,
seduto all’ombra sugli spalti della rocca destinata a parco pubblico mentre sonnecchia al cicaleccio dello stormo dei pensionati
ivi convenuti, oppure lo potrebbe
sorprendere a corrispondere con
pari cordialità e benevolenza agli
ambigui saluti che gli vengono
rivolti per le contrade della città
“signor giudice!...buon giorno signor
giudice!”, e, un attimo dopo, “avvocato!...buon giorno avvocato!”, non
senza trascurare, di frequente, di
ricorrere, nel corrispondere ai saluti, lui che aveva definitivamente
dismesso la toga di entrambi i ruoli, alle parole di don Andrea Gaggero, sacerdote genovese ridotto
allo stato laicale e definitivamente
spogliato dell’abito talare: “Vestio
da omo!...vestio da omo!” (4).
P.S.: La ‘novella’ è di pura fantasia,
anche se,
fra le varie “avventure che sospingono
noi tutti”, questa, qual essa sia,
potrebbe essere una delle tante.
Giuseppe Boselli
1) Cfr. U. Salvini, Il nuovo Consiglio dell’Ordine,
in Cronache dal Foro Parmense, 2015, pp. 3 e ss.
2) Così, in termini quanto mai attuali, l’allora
Presidente della Corte di Cassazione A. Brancaccio, in Legalità e Giustizia, 1989, p. 364.
3) Cfr. V. Franceschelli, Computer, in Digesto delle
discipline privatistiche, p. 145.
4) Andrea Gaggero, Vestio da omo, Giunti, Firenze, 1991.
L’Unione Regionale dei Consigli degli Ordini Forensi
dell’Emilia – Romagna (URCOFER)
L’Unione Regionale dei Consigli degli Ordini Forensi dell’Emilia Romagna
(URCOFER) fu costituita nel luglio
1972, dall’avv. Piero Valenza, allora Presidente dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Bologna, il quale si era reso
conto dell’utilità che, in relazione al nuovo assetto amministrativo regionale ed
alle incalzanti moltiplicantesi esigenze
dell’attività giudiziaria, avrebbe potuto
avere una istituzione destinata ad assicurare regolare collegamento fra i Consigli degli Ordini forensi della regione.
Detto ente, pur nel più scrupoloso
rispetto dell’autonomia dei singoli Consigli, avrebbe consentito un continuo
scambio di informazioni e di pareri, una
proficua discussione sui numerosi problemi che via via si prospettano, un coordinamento ed una eventuale armonizzazione dell’operato; ed avrebbe garantito
all’avvocatura regionale una più viva
incidenza ed un maggior risalto nei congressi e convegni nazionali e interregionali, ogni qualvolta fosse stata raggiunta
un’intesa di vedute e di opinioni.”
Così si espresse l’Avv. Argo Venturoli in una delle prime pubblicazioni curate dall’Unione nel 1978
(U.R.C.O.F.E.R - Avvocatura Emiliano Romagnola n. 1 ott.dic. 1978 ).
La nostra Unione nacque, dunque, spontaneamente nel 1972, 43
anni fa. Ora con la nova legge professionale trova un espresso e importane riconoscimento all’art.29 lettera
p) che annovera, tra i compiti e le
prerogative del consiglio dell’ordine,
quello di “costituire o aderire ad unioni
regionali o interregionali tra ordini, nel
rispetto dell’autonomia e delle competenze istituzionali dei singoli consigli. Le
unioni possono avere, se previsto nello
statuto, funzioni di interlocuzione con le
regioni, con gli enti locali e con le università, provvedono alla consultazione
fra i consigli che ne fanno parte, possono
assumere deliberazioni nelle materie di
comune interesse e promuovere o par-
tecipare ad attività di formazione professionale. Ciascuna unione approva il
proprio statuto e lo comunica al CNF”.
Previsioni che aprono nuovi scenari
e rendendo possibili nuove occasioni
nell’interesse dell’avvocatura distrettuale.
Alla fine del 2014 l’Unione ha voluto rinnovare le norme statutarie
adeguandole alla legge professionale
e introducendo alcune innovazioni,
fra le quali la possibilità di nominare come presidente un avvocato che
non rivestisse la gravosa funzione di
presidente di uno dei nove ordini che
la compongono. Dopo le elezioni forensi, nel corso del corrente anno la
scelta è ricaduta sulla mia persona.
Di ciò sono grato e onorato.
Non farò mancare il mio impegno
anche in questa nuova avventura e
cercherò di fare quanto sarà possibile
perché l’Unione sia ancor più coesa e
degnamente rappresentata in ambito
nazionale, mantenendo quel prestigio di cui gode già per l’impegno, la
serietà e professionalità che l’ha sempre contraddistinta sin dal suo nascere, operando in armonia con il CNF
e la altre nostre istituzioni nazionali,
pur non facendo mancare quegli stimoli costruttivi che la nostra Unione
ha sempre offerto.
Sono stati poi eletti come Vice
Presidente dell’Unione l’Avv. Giovanna Ollà Presidente del Consiglio
dell’Ordine di Rimini, Segretario
il Presidente dell’Ordine di Parma
Avv. Ugo Salvini e Tesoriere l’Avv.
Daniela Dondi Presidente del Consiglio dell’Ordine di Modena.
Le riunioni si sono succedute con
cadenza mensile e sono state costituite sette commissioni di lavoro, alcune delle quali hanno già iniziato ad
operare:
1) Coordinamento fondazioni forensi – formazione e aggiornamento (22/06/2015);
2) Coordinamento scuole forensi
(22/06/2015);
3) Contributi e mozioni Congresso Nazionale Forense 2016
(22/06/2015);
4) Stampa forense distrettuale
(22/06/2015);
5) Commissione pareri
(23/07/2015);
6) Coordinamento Comitati pari
opportunità;
7) Integrazione e modifiche statutarie (23/07/2015).
Le sfide che ci attendono non
sono di poco conto e gli argomenti
posti all’ordine del giorno sono davvero tanti. Le priorità comunque non
possono essere dimenticate. Siamo
in un momento politicamente, economicamente e democraticamente
difficile del nostro Paese. E’ necessario riacquistare la stima e la fiducia che la società aveva nella nostra
professione. Ritrovare quell’unità
della nostra avvocatura che muove dalla consapevolezza che nelle
nostre mani hanno affidato i valori
fondamentali e insopprimibili validi
per tutte le democrazie che a ragione
si possano chiamare tali, quali quelli
della tutela dei diritti delle persone,
soprattutto di quelle più deboli e
bisognose. Non è una questione di
formule, credo sia una questione di
ritrovare tutti insieme quello spirito
di entusiasmo originario, di rispetto
reciproco e di consapevolezza del
nostro ruolo sociale.
La nuova legge professionale
deve essere occasione per migliorarci
e ritrovare tutto questo, per ritrovare
tutto ciò che ci unisce e non ciò che
ci divide.
Il Presidente
Avv. Sandro Callegaro
11
Variazioni
avv. FRANCESCO LOISE: Parma,
borgo Giacomo Tommasini 20, tel.
e telefax 0521/712049, invariati
cell., e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. DANIELA MANICI: telefax
0521/508285;
avv. LUIGI DE GIORGI: telefax
0521/224294 disattivato;
avv. BEATRICE MENZANI: telefax 0521/230724;
avv. VALENTINA PONTARI:
Parma, strada Felice Cavallotti
10, tel. 0521/1640600, telefax
0521/1880251, invariate e-mail e
posta elettronica certificata;
avv. AMERIGO GHIRARDI: telefax 0521/224294 disattivato;
avv. SILVIA PARONI: Soragna (Pr), via L.Einaudi 1/B,
tel. e telefax 0524/597498, cell.
349/4678584, e-mail [email protected]; posta elettronica
certificata [email protected];
avv. VALENTINA CIURLEO:
Parma, via Venezia 75, cell.
328/5889187, telefax 0521/272947,
e-mail valentinaciurleo@hotmail.
it;
avv. GIORGIO MUTTI: Collecchio (Pr), via Scodoncello 24, tel.
0521/806419, telefax 0521/805369,
invariate e-mail e posta elettronica
certificata;
dott. PIETRO NEGRI: e-mail
[email protected], posta
elettronica certificata pierto.
[email protected];
avv. RAFFAELLA AZZALI:
Parma via XXII luglio 58, tel.
0521/239529, telefax 0521/285265,
e-mail avv_raf_azzali@hotmail.
com, posta elettronica certificata
[email protected];
avv. MARIA FRANCESCA ALBERTINI: Parma, via XXII luglio
58, invariati tel., telefax, e-mail e
posta elettronica certificata;
avv. MANUELA FRIGGERI: Parma, via XXII luglio 58, invariati
tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;
avv. MONICA CALLAI: Parma, via Cavour 33, invariati
tel., e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. DOMENICO DE MICHELE:
e-mail [email protected];
avv. FABIO MEZZADRI: Parma,
strada Massimo D’Azeglio 23, invariati tel., telefax, e-mail e posta
elettronica certificata;
avv. STEFANIA AIBINO: Parma,
Galleria Polidoro 8, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. FAUSTO DEL FANTE: e-mail
[email protected];
avv. MARCELLINA DALL’ASTA:
Fidenza (Pr), piazza Garibaldi
31, invariati tel., telefax, e-mail e
posta elettronica certificata;
avv. MATTEO PATRIOLI: e-mail
[email protected];
avv. ELISABETTA PANOZZO:
posta elettronica certificata avv.
[email protected];
avv. DANIELE DE BELVIS:
secondo studio, Reggio Emilia, via
Roma 55, tel. 0522/437756, telefax
0522/1503019;
avv. MANUELA CARUSO: posta
elettronica certificata manuela.
[email protected];
avv. CARLO CONFORTI: secondo
studio, Parma, p.le Santafiora 1,
tel. e telefax 0521/237486;
avv. MATTEO MORUZZI: posta
elettronica certificata avv.matteo.
[email protected];
avv. VINCENZO ZICCARDI: tel.
0521/508737 – 467822;
avv. SABRINA MARINA SPAGNOLI: Parma, p.le Cervi 5, tel.
e telefax 0521/287406, invariati
e-mail e posta elettronica certificata;
avv. MARIA CRISTINA ALFIERI:
Parma, via XXII luglio 58, invariati tel., telefax, e-mail e posta
elettronica certificata;
avv. CLAUDIA ANNA RITA
QUINTO: cell. 333/9807176;
12
dott.ssa CLAUDIA BONARDI:
Parma, via Rapallo 2/D, tel.
0521/989468, telefax 0521/989331,
e-mail [email protected] e posta elettronica certificata
[email protected].
it;
avv. LORENZO BELTRAME:
Parma, p.le Santafiora 1, tel.
0521/508377 - 207832, telefax
0521/204271, e-mail [email protected] e posta elettronica
certificata
[email protected];
ATTIVITA’ DEL CONSIGLIO
Dal 15 luglio al 18 novembre 2015 il Consiglio si è
riunito 15 volte.
Elenco delle presenze dei Consiglieri alle adunanze:
avv. Ugo Salvini
n. 15
avv. Elisa Gandini
n. 15
avv. Enrico Maggiorelli
n. 14
avv. Simona Brianti n. 11
avv. Giuseppe Bruno n. 15
avv. Vittorio Cagna n. 12
avv. Francesco Giuseppe Coruzzi n. 14
avv. Paola De Angelis
n. 14
avv. Matteo de Sensi n. 14
avv. Daniela Francalanci
n. 15
avv. Matteo Martelli n. 14
avv. Alessandra Mezzadri n. 13
avv. Alberto Montanarini
n. 13
avv. prof. Lucia Silvagna
n. 9
avv. Marcello Ziveri n. 8
OPINAMENTO PARCELLE
Dal 15 luglio al 18 novembre 2015 l’apposita commissione consiliare (ovvero il Consiglio) ha opinato
n. 36 parcelle e ha espresso n. 70 pareri di congruità.
Tentativi di conciliazione ai sensi dell’art. 13 L.
247/2012:
Pervenuti n. 4
Tenuti n. 1 con esito positivo.
ESPOSTI
Dal registro dei reclami nei confronti degli iscritti
dal 15 luglio al 18 novembre 2015:
Pervenuti n. 14, tutti trasmessi al CDD di Bologna
RICHIESTE DI AMMISSIONE AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO
dal 15 luglio al 18 novembre 2015
Pervenute n. 147
delle quali:
ammesse n. 122
non ammesse n. 4
ammesse con riserva n. 1
in sospeso n. 20
avv. LAURA FLORA: Fidenza
(Pr), piazza Garibaldi 31, tel.
0524/528407, telefax 0524/99816
- 680232, invariate e-mail e posta
elettronica certificata;
avv. LINO VICINI: Parma, strada
Pomponio Torelli 39, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. FRANCESCA ILLICA MAGRINI: Parma, via dei Farnese
4, tel. 0521/1513800, telefax
0524/581589, cell. 389/7950069,
e-mail [email protected],
posta elettronica certificata [email protected], casella
UNEP n. 54;
avv. MARA NEGRI: Parma, strada
Cavour 33, tel. 0521/236033, telefax 0521/289171, invariate e-mail
e posta elettronica certificata;
avv. LUCA BALDI: Parma,
strada Cavour 15, tel. e telefax
0521/711949, invariate e-mail e
posta elettronica certificata;
avv. ANTONIO DIMICHELE:
Parma, via Pecchioni 10;
avv. SERENA DIMICHELE: Parma, via Pecchioni 10;
avv. PAOLA MARINO: Parma, via
Pecchioni 10;
avv. LUCA FANFONI: Fidenza
(Pr), piazza Garibaldi 31, invariati
tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;
avv. AFRO AMBANELLI: Parma,
strada Pomponio Torelli 39, invariati tel., telefax, e-mail e posta
elettronica certificata;
avv. NAZARIO MALANDRINO:
Parma, strada Pomponio Torelli
39, invariati tel., telefax, e-mail e
posta elettronica certificata;
studio legale: “STUDIO LEGALE
AMBANELLI – MALANDRINO
AVVOCATI ASSOCIATI”, Parma,
strada Pomponio Torelli 39, invariati tel., telefax, e-mail e posta
elettronica certificata;
avv. ALBERTO SCOTTI: Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. GIUSEPPE SCOTTI: Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. ANDREA MONTI: Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. CECILIA NEVI: Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. NICOLA GUERRA: Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
studio legale: “STUDIO LEGALE
ASSOCIATO SCOTTI”, Parma,
borgo Felino 29, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. DAVIDE PAVESI: Parma, via
Goito 9, tel. e telefax 0521/233975,
cell. 3475262602, e-mail avv.
[email protected], posta
elettronica certificata [email protected];
avv. MATTEO MARTELLI: Parma, via Cantelli 11, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. NICOLA PALUMBO: Parma, via Faustino Tanara 13, tel.
e telefax 0521/245205, invariate
e-mail e posta elettronica certificata;
avv. FRANCESCA TINELLI:
Parma, via Gramsci 5/B, tel. e
telefax 0521/942594, e-mail avv.
[email protected], posta
elettronica certificata [email protected];
avv. LUISELLA SAVI: Parma,
p.le della Macina 3, invariati tel.,
telefax, e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. ENRICA COSCELLI: Parma,
borgo Collegio Maria Luigia
22, tel. e telefax 0521/252995,
invariete e-mail e posta elettronica
certificata;
avv. CARLO ALBERTO SARTORIO: e-mail [email protected];
avv. EMANUELE BASTONI:
e-mail [email protected];
avv. PAOLA FIACCADORI:
e-mail segreteria@studiobonati.
net;
avv. MARIO BONATI: e-mail
[email protected];
avv. STEFANO DELSIGNORE:
e-mail segreteria@studiobonati.
net;
AGGIORNAMENTO ALBI
ALBO AVVOCATI
ISCRIZIONI
1.
2.
3.
4.
5.
MATTEO PATRIOLI (29/7/2015)
MILENA ORLANDELLI (22/9/2015)
GIOVANNI CORRADI (13/10/2015)
SANDRA PAONE (13/10/2015)
ALESSANDRO PITRONACI (13/10/2015)
PASSAGGI
1. ILLUECA MARGARITA BERTO’, passaggio dalla sezione avvocati comunitari U.E. stabiliti all’albo ordinario (8/9/2015);
2. RENZO ROSSOLINI, passaggio
dall’albo ordinario all’elenco speciale professori universitari, delibera
20/10/2015 decorrenza 1/11/2015
CANCELLAZIONI
1. ROBERTO ROSSI, per decesso (21/7/2015)
2. GIULIA BENEDETTI (29/7/2015)
3. ALBERTO RIZZI, per trasferimento all’Ordine di Reggio Emilia (29/7/2015)
4. FRANCO CAVALLI, per decesso (4/9/2015)
5. LUIGI CAPELLI (8/9/2015)
6. MARILENA ROBUSCHI (22/9/2015)
7. ERIKA IVALU’PAMPALONE, per
trasferimento all’Ordine di Palermo (22/9/2015)
8. MASSIMO ALBERTELLI, per decesso (6/10/2015)
9. EMANUELA ROGATO (13/10/2015)
10. DANIELA MARRAZZO (3/11/2015)
Alla data del 18 novembre 2015 gli iscritti
all’albo erano milleduecentoventisei
PRATICANTI AVVOCATI
Iscritti Cancellati
n. 17
n. 31
PATROCINATORI LEGALI
Iscritti Cancellati
n. 6
n. 6
13
PRECARI SCUOLA: PRIMI ORIENTAMENTI DOPO
LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
DELL’ UNIONE EUROPEA (TERZA SEZIONE) DEL 26
NOVEMBRE 2014 E SVILUPPI DELLA QUESTIONE
AD UN ANNO DI DISTANZA.
sommario:
I) il problema dei precari
della scuola;
II) la sentenza della Corte di
Giustizia della U.E.;
III) il comunicato stampa n.
161 / 14 del 26 novembre 2014;
IV) gli effetti della sentenza
della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento;
V) le prime pronunce di merito successive alla sentenza
della Corte di Giustizia;
iniziano tutto daccapo nel successivo settembre, e così via. Le
Graduatorie, invece, attualmente sono: le GAE (Graduatorie ad
esaurimento) e le Graduatorie
di Istituto. Le supplenze, infine,
secondo una distinzione frutto
di normative che si sono avvicendate ed accavallate nel corso
dei decenni e che pur tuttavia
restano ancora di attualità in
parte anche quale retaggio del
passato, si distinguono in tre categorie direi “canoniche”:
a) supplenze annuali sull’
VI) l’attuale indirizzo politi- organico “di diritto” per posti
co - economico del Governo sui vacanti e disponibili in quanto
privi di titolare,
precari della scuola;
b) supplenze temporanee
(anche annuali) sull’ organico
“di fatto” per posti non vacanti
I) I Precari della scuola pos- ma comunque disponibili,
sono essere suddivisi, secondo
c) supplenze brevi o tempouna distinzione lessicale e non
ranee per particolari esigenze.
giuridica, in “Precari” e “Precari
Il “distinguo” non è puraStorici”. Sono tutti Precari, ma i
“Precari Storici” sono quelli che mente formale ma (è) sostanhanno “collezionato” anni ed ziale in quanto discendono dal
anni di servizio: talvolta anche tipo di supplenza conferita all’
decine. I Precari storici in manie- Insegnante conseguenze comra ripetuta e costante nel tempo pletamente diverse. Va nel coniniziano a prestare servizio in tempo detto però che il sudconcomitanza con la data di ini- detto ”inquadramento” nell’una
zio dell’anno scolastico (intorno o nell’altra categoria / tipo di
ai primi di settembre) e cessano supplenza è spesso ignoto al
di prestare detto servizio al 31 Docente, sia al momento della
giugno dell’anno successivo. Ri- nomina da parte del Provveditore, sia in corso di rapporto di
VII) abstract.
14
lavoro. Tale circostanza, infatti,
può eventualmente venire a conoscenza dell’interpellato solo
in un momento successivo alla
scelta (e poi nomina), poiché
al momento delle chiamate da
parte del Provveditore, questo
non riferisce e non comunica il
“tipo” di supplenza (se su “organico di diritto” o su “organico di
fatto”) lasciando al docente interpellato solo la possibilità di
“prendere o lasciare”. Questo elemento “tipo” rimane quindi un
atto interno all’ Amministrazione: “di gestione” del personale,
potremmo dire. Né la scadenza
del contratto al 31 agosto anziché al 30 giugno è elemento certo dell’incarico di supplenza su
“organico di diritto” anziché su
“organico di fatto”, poiché, pur
essendo la data un indicatore
dell’una o dell’altra supplenza,
non sono mancati casi di incarichi di supplenza su “organico di
fatto” con scadenza contrattuale
–comunque- al 31 agosto.
Il Precario, infine, e va detto, non si trova nemmeno nella
condizione di poter “fare il difficile”. Tra le più importanti –e attuali- conseguenze di tale distinguo, ovverosia tra conferimento
di supplenza per la copertura
di posto “vacante e disponibile”
(o su “organico di diritto”) e conferimento di supplenza per la
copertura di posto “non vacante
ma disponibile” (o su “organico di
fatto”) una parte della dottrina e
della giurisprudenza fa discendere l’operatività della immissione in ruolo (in presenza degli
altri requisiti ovviamente: 36
mesi di servizio effettivo, continuativo, nella stessa sede e con
orario pieno di 18 ore) o meno. In altre parole questa dottrina e questa giurisprudenza
ravvisano tale possibilità solo
per la prima categoria di supplenze escludendola per le altre,
benchè protratte per tantissimi anni. Si è così sostenuto che
solo un excursus del precario di
copertura di posti “vacanti e disponibili” (o su “organico di diritto”) –eventualmente- potrebbe portare alla immissione nei
ruoli stabili scolastici, mentre si
è esclusa–comunque e categoricamente- la possibilità della
immissione in ruolo per quei
precari che hanno un curriculum
scolastico “solo” su posti c.d. “di
organico di fatto”.
fatto se il precario va a coprire
un posto privo del titolare o un
posto ove il titolare per quell’
anno scolastico sia assente per
motivi suoi. Il problema, in altre
parole, non è cosa il precario va a
coprire ma per quanto tempo lo va
a coprire. Questa interpretazione
-più in linea peraltro con una coerente individuazione degli effetti giuridici in presenza di una
sequenza contrattuale- spiegherebbe altresì il riferimento / collegamento a quell’ “espletamento
delle procedure concorsuali” più
E all’uopo è stato riportato
il relativo passaggio della Sentenza della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea (Terza Sezione) del 26 novembre 2014 (di
cui infra il commento) che –a
dire di tale orientamento– sosterrebbe ciò, laddove parla di volte richiamato in detta Sen“posti vacanti e disponibili”.
tenza.
Senonchè chi scrive ritiene –
E spiego in che senso. Nel caso
per i motivi di cui al prosieguo- dei docenti della Graduatoria
che la locuzione “posti vacanti e ad Esaurimento ex permanente
disponibili” riportata nella Sen- mai ci sarà una procedura contenza della Corte di Giustizia corsuale perchè la “stabilizzaziodell’Unione Europea sopra ri- ne” può avvenire solo con l’imchiamata (cui la lingua proces- missione in ruolo “d’ ufficio”. In
suale è l’italiano) debba essere altre parole nel caso dei precari
intesa latu sensu come “posti libe- inseriti nelle c.d. “graduatorie ad
ri punto”, senza ulteriori distin- esaurimento (ex permanente)” di
zioni.
appartenenza la stabilizzazione
Il problema infatti non ri- del rapporto lavorativo non preguarda la circostanza relativa al suppone un concorso pubblico,
ma opera periodicamente mediante la c.d. “immissione in ruolo” attingendo dalle graduatorie
in base al punteggio posseduto
dall’ insegnante e dalla posizione dello stesso nella graduatoria
di appartenenza. Mai quindi -in
questi casi - ci potranno essere
dei “concorsi” per “stabilizzare”
il rapporto di lavoro in questione, con la conseguenza che l’immissione in ruolo determinata
dall’ avanzamento in graduatoria del docente teoricamente potrebbe non avvenire mai !
La stabilizzazione di questi
Precari, quindi, non può che avvenire che con la immissione in
ruolo allorquando si perviene
alla loro posizione nella graduatoria, oppure con la conversione
del loro rapporto da “determinato” in “indeterminato”. Il richiamo alle procedure concorsuali
operato dalla Sentenza C.G.U.E.
rimarrebbe quindi privo di senso e di riscontro pratico.
Insomma, l’esigenza della
copertura di posti “vacanti e di-
15
sponibili” e la precisazione “in
attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione
del personale di ruolo delle scuole
statali” riportata più volte nella
Sentenza della Corte di Giustizia Europea, laddove si dovesse
optare per una interpretazione
restrittiva, sarebbero concetti
contraddittori ed incompatibili
tra loro: per dirla in termini matematici sarebbero due concetti
paralleli che non si intersecheranno mai. Il richiamo al pubblico concorso della Sentenza della
C.G.U.E., quindi, non calza e
non si addice al caso de quo, e la
sua applicabilità andrà ricercata
altrove.
vacante e disponibile” espresso
dalla Corte non può quindi essere relegato in scatole chiuse
ma è necessariamente più ampio vista la ratio giuridica più elevata, più sottile , più profonda e
più nobile dei principi di diritto espressi a fondamento della
conversione di un rapporto /
contratto da tempo determinato in un rapporto / contratto a
tempo indeterminato.
Poniamo infatti un precario
con 18-20 anni di servizio: che
senso avrebbe l’eccepire un tipo
di supplenza sempre e comunque annuale anzichè un altro
(tipo di supplenza -come supra
già detto- peraltro ignota il più
Tornando al punto in que- delle volte all’insegnante stesstione. Se quindi si esclude dal- so)? La ratio della conversione
la stabilizzazione il docente “su va pertanto ravvisata altrove.
organico di fatto” (perché, ahimè
Ed allora. Il Precario (sopratper lui, non “su organico di di- tutto quello “storico”) svolge una
ritto”) per conversione dei suoi vita lavorativa priva delle elecontratti da tempo determinato mentari e necessarie tutele quali
in contratto a tempo indeter- una certa sicurezza del posto di
minato, e si esclude, altresì, che lavoro. Non riesce a progettare
venga stabilizzato per concorso un minimo di crescita professio-impossibile per lui come sopra nale vivendo col costante penspiegato- si avrebbe una sorta di siero di non conoscere il pro“eterno precario”, cioè un preca- prio futuro lavorativo e quindi
rio a vita. Ma con una incognita senza possibilità di elaborare
in più oggi.
un giudizio prognostico sulla
Il DDL Scuola ha stabilito infatti che a partire dal 1 settembre 2016 i contratti di lavoro a
tempo determinato stipulati con
il personale docente non potranno superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non
continuativi. Ma allora, a questo
punto viene da chiedersi: quod
futurum per questi precari laddove non dovessero venire stabilizzati (leggi immessi in ruolo)
prima? La preoccupazione è che
si passi da “precario” ad una sorta di “precario-esodato”.
sua “stabilizzazione” e di conseguenza senza poter pianificare
un minimo la sua vita futura. A
ciò si aggiunga -particolare non
da poco- il grave pregiudizio
economico derivante dal mancato riconoscimento degli scatti
stipendiali o, come si chiamano
ora, delle indennità relative alla
progressione stipendiale, cioè di
quelle differenze retributive che
maturano con l’avanzamento,
con l’ anzianità.
struzione della carriera”. Insomma al lavoratore precario manca quella stabilità che deriva
dalla certezza dello stipendio
e quella legittima tranquillità
connessa con una soddisfacente
posizione assicurativa pensionistica. Tale situazione porta spesso l’insegnante precario ad una
precarietà pure esistenziale, ad
un approccio alla vita professionale del tipo “navighiamo a vista”
ovverosia: “il prossimo anno si vedrà”. Una visione pessimistica e
quasi rassegnata del proprio futuro lavorativo che spesso stride
con la generosa disponibilità di
moltissimi professori che svolgono con passione e dedizione
questo importantissimo mestiere. Alcuni addirittura che lo vivono come una missione.
Ebbene queste sono, a parere
dello scrivente, le considerazioni che devono essere poste alla
base ed a supporto di un corretto approccio della vicenda, non
il “tipo” di supplenza conferita
ma il “tempus” di servizio svolto.
II) Con la Sentenza del 26 novembre 2014 la Corte di Giustizia della Unione Europea (Terza
Sezione) ha definitivamente risolto la questione relativa alla incompatibilità / al contrasto della normativa italiana con quella
della Unione Europea in tema
di successione (reiterazione) nel
tempo di rapporti (contratti) di
lavoro a tempo determinato. La
sentenza della Corte di Giustizia offre lo spunto, quindi, per
alcune riflessioni, peraltro tutte
favorevoli al lavoratore. Preliminarmente si riporteranno i
passi più significativi della suddetta Sentenza.
Il Precario ricomincia sempre
daccapo: anche come stipenCiò detto – a parere dello dio. Per non parlare –poi- della
Come noto, tutto prende avscrivente- il concetto di “posto sempre più lontana- c.d. “rico- vio dall’ Accordo Quadro del 18
16
marzo 1999 che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE
del Consiglio del 28 giugno 1999
relativa all’accordo quadro CES,
UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Alla Clausola 5 dell’Accordo
Quadro intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, si può leggere:
«1. Per prevenire gli abusi
derivanti dall› utilizzo di
una successione di contratti
o rapporti di lavoro a tempo
determinato, gli Stati membri,
previa consultazione delle parti
sociali a norma delle leggi, dei
contratti collettivi e della prassi
nazionali, e/o le parti sociali stesse,
dovranno introdurre, in assenza di
norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in modo che tenga
conto delle esigenze di settori e/o
categorie specifici di lavoratori, una
o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti
contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le
parti sociali stesse dovranno, se del
caso , stabilire a quali condizioni
i contratti e i rapporti di lavoro a
tempo determinato:
di lavoro a tempo determinato
nel settore della scuola è contraria al diritto dell’Unione e
che il rinnovo illimitato di tali
contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle
scuole statali non è giustificato.
Si rende necessario, quindi, riportare qualche breve stralcio
della lunga sentenza C.G.U.E.
(richiamando il numero del corrispondente paragrafo per facilitarne il riscontro), rinviando i
lettori per la consultazione del
testo integrale e per il relativo
PQM al link: http://www.curia.
europa.eu.
in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni
di tutela minima tese ad evitare la
precarizzazione della situazione dei
lavoratori dipendenti.
69 Ne consegue che l’accordo
quadro non esclude nessun settore
particolare dalla sua sfera d’applicazione e che, pertanto, è applicabile al personale assunto nel settore
dell’insegnamento.
se emerge che, come peraltro ammesso dallo stesso governo italiano,
il termine di immissione in ruolo
dei docenti nell’ambito di tale sistema è tanto variabile quanto incerto.
79 Da ciò discende che, quando
si è verificato un ricorso abusivo
a una successione di contratti o
di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare
una misura che presenti garanzie
effettive ed equivalenti di tutela
dei lavoratori al fine di sanzionare
debitamente tale abuso e cancellare
le conseguenze della violazione del
diritto dell’Unione.
-Sull’ esistenza di misure di
E dunque, dalla Sentenza ci- prevenzione del ricorso abusivo
tata trascriviamo testualmente a una successione di contratti di
alcuni passaggi a nostro parere lavoro a tempo determinato.
tra i più importanti.
100 Orbene, come la Corte ha già
“-Sull’ambito di applicazio- dichiarato in numerose occasioni, il
ne dell’accordo quadro.
rinnovo di contratti o di rapporti di
67 ...la definizione della nozione lavoro a tempo determinato al fine
di «lavoratore a tempo determina- di soddisfare esigenze che, di fatto,
to» ai sensi dell’accordo Quadro, hanno un carattere non già provvienunciata alla clausola 3, punto 1 sorio, ma, al contrario, permanente
di quest’ ultimo, include tutti i la- e durevole, non è giustificato ai senvoratori, senza operare distinzioni si della clausola 5, punto 1, lettera
basate sulla natura pubblica o pri- a), dell’accordo quadro.
vata del loro datore di lavoro e a
105 Orbene, a tale riguardo..si
prescindere dalla qualificazione del deve constatare che dagli elementi
loro contratto in diritto interno.
forniti alla Corte nelle presenti cau-
- Sull’esistenza di misure
-Sull’interpretazione della sanzionatorie del ricorso abusia) devono essere considerati clausola 5, punto 1 dell’Accordo vo a una successione di contrat“successivi”;
Quadro.
ti di lavoro a tempo determinab) devono essere ritenuti con72 Occorre ricordare che la clau- to.
tratti o rapporti a tempo indetermi- sola 5, punto 1, dell’accordo quadro
114 ......la normativa nazionanato».
mira ad attuare uno degli obiettivi le di cui trattasi nei procedimenEbbene, la Corte di Giustizia perseguiti dallo stesso, vale a dire ti principali esclude qualsivoglia
Europea adita ha dato piena- limitare il ricorso a una successio- diritto al risarcimento del danno
mente ragione a quelle ricorren- ne di contratti o rapporti di lavoro subito a causa del ricorso abusivo
ti italiane, riconoscendo che la a tempo determinato, considerato a una successione di contratti di
normativa italiana sui contratti come una potenziale fonte di abuso lavoro a tempo determinato nel set-
17
tore dell’insegnamento....
115 Peraltro ... è altresì incontroverso che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti
principali non consenta neanche la
trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratto o rapporto di lavoro
a tempo indetermia..
na non preveda alcuna misura diretta a prevenire il ricorso
abusivo a una successione di
contratti di lavoro a tempo determinato, nè contenga sanzioni
per le violazioni in siffatti casi,
ma anzi escluda la trasformazione di tali contratti in contratti
a tempo indeterminato, nonché
il risarcimento del danno subito a causa del ricorso abusivo a
una successione di contratti di
lavoro a tempo determinato nel
settore dell’insegnamento.
119 Si deve, pertanto, ritenere
che dagli elementi forniti alla Corte
nell’ambito delle presenti cause si
evince che una normativa nazionale.. non risulta conforme ai requisiti
che emergono dalla giurisprudenza
ricordata ai punti da 77 a 80 della
IV) Quanto agli effetti della
presente sentenza.
Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’
Ordinamento del nostro Paese,
III) Esplicativo è il Comuni- sappiamo che la Corte non ricato Stampa n. 161 / 14 del 26 solve la controversia nazionale
novembre 2014-Stampa e In- e che spetta al giudice nazioformazione - Corte di Giustizia nale risolvere la causa confordell’Unione Europea - dal titolo: memente alla decisione della
“La normativa italiana sui contrat- Corte. Sappiamo anche però che
ti di lavoro a tempo determinato nel la decisione della Corte vincosettore della scuola è contraria al la egualmente gli altri giudici
diritto dell’Unione” e dal sottoti- nazionali ai quali venga sottotolo: “Il rinnovo illimitato di tali posto un problema simile. Nelcontratti per soddisfare esigenze la Sentenza resa dalla Corte, al
permanenti e durevoli delle scuo- paragrafo 83, si può leggere “..la
le statali non è giustificato” (c.f.r. Corte, nel pronunciarsi su un rinin
http://curia.europa.eu/jcms/ vio pregiudiziale, può fornire, ove
jcms/P_1 51795).
necessario, precisazioni dirette a
Tale Comunicato chiarisce guidare il giudice nazionale nella
come la Corte ritenga prelimi- sua valutazione”.
narmente che l’accordo Quadro
Il Comunicato stampa ridebba essere applicato a tutti i portato sopra (c.f.r., ancora,
lavoratori, sia del settore pub- in http://curia. europa.eu/jcms/
blico , sia del settore privato, jcms/P_151795) ribadisce il consenza distinzione di sorta.
cetto e conclude con la seguente
Poi rileva come la normati- importante precisazione: “Il rinva italiana non preveda alcuna vio pregiudiziale consente ai giudimisura che limiti la durata mas- ci degli Stati membri, nell’ambito
sima totale di tali contratti o il di una controversia della quale sono
numero dei loro rinnovi nel set- investiti, di interpellare la Corte in
tore dell’insegnamento, nè pre- merito all’ interpretazione del diveda delle valide ragioni obiet- ritto dell’Unione o alla validità di
tive che possano giustificare tale un atto dell’Unione. La Corte non
sequenza. Infine il Comunicato risolve la controversia nazionale.
rileva come la normativa italia- Spetta al giudice nazionale risol-
18
vere la causa conformemente alla
decisione della Corte. Tale decisione
vincola egualmente gli altri giudici
nazionali ai quali venga sottoposto
un problema simile.”1.
V) Dopo la Sentenza della
Corte di Giustizia, alcuni Tribunali si sono pronunciati nel
corso del corrente anno 2015 sui
ricorsi promossi dai precari della scuola .
Il Tribunale di Napoli è stato
tra i primi a pronunciarsi con la
Sentenza n. 528 del 21.01.2015
(in www.dirittoscolastico.it) dichiarando che tra l’istante ed il
Ministero convenuto sussiste
un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato. Il Giudice Partenopeo ha –quindi- definito la
vertenza con la stabilizzazione del lavoratore con più di 36
mesi di servizio, ovverosia con
la conversione dei suoi contatti
a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. Lo
scrivente non è a conoscenza
però se avverso tale Sentenza il
MIUR abbia o meno proposto
Appello.
Altri Giudici si sono pronunciati diversamente. Hanno
rigettato la richiesta di stabilizzazione formulata da parte ricorrente, ma hanno riconosciuto
comunque il risarcimento del
danno e/o i c.d. “scatti di anzianità” (ora, secondo alcuni,
indennità relative alla progressione stipendiale.
Il Tribunale di Roma con le
sentenze n. 16/2015 e 17/2015
(in www.dirittoscolastico.it) ha
1 Sul punto c.f.r. pure sul web Elisa Baroncini, Università di Bologna: “L’ efficacia delle sentenze della Corte
di Giustizia Europea”, soprattutto a pag. 6 dove si può
leggere, con riferimento agli effetti extraprocessuali
delle sentenze della UE, che: “l’interpretazione della
Corte dispiega i suoi effetti al di là dell’ ambito del litigio principale . Pertanto le sentenze producono effetti
erga omnes per effetto della portata vincolante delle
stesse disposizioni interpretate.”
riconosciuto al personale supplente reiterato un risarcimento pari 15 mensilità; la Corte d’
Appello di Roma con la sentenza n. 2488 del 18.03.2015 (c.f.r.
sempre in www.dirittoscolastico.
it) ha riconosciuto a favore di
un docente precario gli scatti di
anzianità maturati in base agli
anni di servizio a tempo determinato svolti, condannando il
MIUR alla corresponsione delle
differenze retributive.
Ma anche altri Tribunali si
sono pronunciati: c.f.r. Tribunale di Latina 30/06/2015, n. 691;
Tribunale di Foggia 19.05.2015,
n. 5125; Tribunale di Lecco
21.01.2015; Tribunale di Locri
20.05.2015, n. 1015 e Tribunale
di Locri 15.04.2015, n. 808 (che
pongono l’accento sulla “costituzione” del rapporto e non sulla sua “conversione”) (Tutte in
www.dirittoscolastico.it). In primavera 2015, infatti,
v’era chi riteneva che, con riferimento all’ inizio dell’Anno Scolastico 2015/ 2016, anche con la
legge a giugno i tempi sarebbero stretti2), e addirittura chi, il 17
giugno 2015, titolava l’articolo
di Gabriele Rizzardi: “Renzi : <
Niente assunzioni nella scuola> . Il
Premier minaccia : < Troppi emendamenti, tre giorni per il via libera…….> (così sull’ “Alto Adige”
del 17.06.2015 , pag. 5).
In tempi più ravvicinati va
segnalato, infine, chi ha già tratto le sue conclusioni: “Il piano di
assunzioni della riforma è fallito :
quando saranno portate a termine
anche le 55mila assunzioni della
Fase C (potenziamento), il Ministero dell’ Istruzione avrà immesso in
ruolo circa 80mila precari rispetto
alle 103mila assunzioni previste e
alle 150mila iniziali ….” , ed ancora : “…… il precariato doveva
scomparire , ci ha detto per un anno
il Governo . Invece rimarrà vivo e
VI) Va infine rilevato come vegeto: nelle GaE rimarranno ben
oramai anche l’orientamento 70mila precari e nelle graduatorie
del Governo sia indirizzato nel di istituto altri 100mila abilitati”3
senso di ridurre al minimo i rapAd onor del vero va detto
porti di lavoro precari o “a termine”. Sono di pregnante attua- 2 Gianna Fregonara e Orsola Riva, “Precari, ricomincia
lità le notizie relative ai decreti l’attesa infinita. Tempi stretti anche con la legge a giugno”,
in “Corriere della Sera”, 5 marzo 2015, pag. 23
attuativi del Jobs Act che fissano
3 così Marcello Pacifico, presidente ANIEF , nel corso
a 36 mesi il massimo della dura- del primo seminario sugli effetti della riforma organizzato dal sindacato a Roma il 3 settembre 2015, in
ta dei contratti a termine.
“www.anief.org/”
Sul punto dei Precari della
scuola –poi- come noto, il Governo si è impegnato per l’assunzione con contratto a tempo
indeterminato (leggi immissione in ruolo) di almeno 100.000
insegnanti inseriti nelle c.d.
Graduatorie ad Esaurimento
(GAE ex Graduatorie Permanenti) ed ha elaborato a tal fine
un Piano Assunzioni distribuito
su quatto Fasi (Fase Zero , Fase
A , Fase B , Fase C) preceduto da
momenti –direi- congestionati. però che il fenomeno del precariato nella scuola viene da molto
lontano e sarebbe stato impossibile per chiunque eliminarlo in
un solo anno.
VII) L’ interpretazione data
in questa Sede è quindi in linea
anche con l’attuale orientamento giuridico non solo giurisprudenziale e dottrinale, ma anche
di indirizzo politico– economico
più recente del Governo.
In ordine, poi, allo svuotamento delle graduatorie ad
esaurimento conseguente alla
effettiva stabilizzazione dei precari della scuola ivi inseriti, vedremo cosa ci porterà l’oramai
iniziato Anno Scolastico 2015/
2016 e quello e/o quelli successivo/i .
Franco Baldessarelli
P.S. Nelle more della pubblicazione, dopo un intervento del
Governo non proprio condivisibile e cioè quello del 26 settembre
2015 relativo alla corresponsione del bonus di 500 euro per
l’autoformazione corrisposto ai soli professori di ruolo ed
escludendo quindi i precari, il Miur ha rispettato l’impegno preso e
alle ore 16 del 10 novembre 2015 ha inviato ad altri 48.794 insegnanti
precari una mail contenete la proposta di assunzione a tempo
indeterminato da accettare entro 10 giorni. Trattasi della fase C che porta a 87.099 il numero dei precari
“stabilizzati”.
Se il buongiorno si vede dal mattino viene da dire che forse questa è
la volta buona.
19
LA PARTICOLARE
TENUITA’ DEL FATTO
1. IL NUOVO ART. 131 BIS C.P.
Con il Decreto Legislativo n.
28 del 16 marzo 2015, entrato in
vigore il 02.04.2015, è stato introdotto nel nostro codice penale,
all’art. 131 bis, il nuovo istituto
della esclusione della punibilità
per particolare tenuità del fatto.
La figura di cui trattasi non
rappresenta una novità assoluta,
essendo già conosciuta dall’ordinamento penale in quanto già
prevista nel rito minorile (art. 27
DPR n. 448/1988) ed in quello davanti al giudice di pace (art. 34 d.
lgs. n. 274/2000).
L’art. 131-bis c.p. esclude la
punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o
con pene detentive non superiori
nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità
dell’offesa e la non abitualità del
comportamento.
2. NATURA GIURIDICA
DELL’ISTITUTO DELLA PARTICOLARE TENUITA’ DEL
FATTO.
Il nuovo istituto è stato collocato nel Titolo V, Capo I, del Libro I
del codice penale, con contestuale
modifica delle originarie denominazioni sia del Titolo V “Della non
punibilità per particolare tenuità del
fatto”, sia del Capo I “Della modificazione, applicazione ed esecuzione
della pena”.
Un importante elemento di
riflessione è costituito dall’indi-
20
viduazione della natura giuridica della particolare tenuità del
fatto e, precisamente, della sua
riconducibilità all’area del diritto
penale sostanziale o nell’ambito
della procedura penale.
In realtà, l’inquadramento della nuova fattispecie quale causa
di non punibilità – e quindi istituto di natura sostanziale - sembra
una soluzione confortata da due
argomenti: innanzitutto, l’utilizzazione da parte del Legislatore
della locuzione “punibilità”, anzichè “procedibilità”; inoltre, il
decreto legislativo 28/15 è stato
emanato in esecuzione dell’art.
1 della legge delega n. 67/2014,
norma a suo tempo rubricata
come “delega al Governo in materia
di pene detentive non carcerarie”. La
natura sostanziale del nuovo istituto risulta, del resto, già affermata dalla Corte di Cassazione attraverso la sentenza n. 15449 dell’8
aprile 20151.
Non convince la difforme opinione di Palazzo, che ha presieduto la Commissione ministeriale
di studio per l’elaborazione delle
proposte per dare attuazione alla
legge delega n. 67/2014, secondo
il quale, nel momento in cui il legislatore ha imposto al governo di
allestire una disciplina processuale dell’istituto “…adeguando la relativa normativa processuale penale”,
sembra abbia aperto ad un’utilizzazione processuale dell’istituto
anche come causa di improcedi1 Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2015, dep. 15 aprile
2015, n. 15449, Mazzarotto, in CED Cass..
bilità e, dunque, di archiviazione:
in effetti, se l’irrilevanza avesse
dovuto funzionare esclusivamente quale causa di non punibilità
sostanziale, nessun bisogno vi
sarebbe stato di “adeguare la relativa normativa processuale”, essendo più che sufficiente il disposto
dell’art. 129 c.p.p.2.
Invero, la necessità di considerare l’irrilevanza per particolare tenuità quale causa di non
punibilità discende dalla considerazione che l’istituto in esame
presuppone una condotta tipica,
connotata dall’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie ed
offensiva dell’interesse tutelato;
tuttavia, par scelta del Legislatore, tale condotta viene ritenuta
non punibile3.
La particolare tenuità del fatto costituisce, in definitiva, una
causa di non punibilità analoga
a quelle già presenti nel nostro
ordinamento; pertanto, la stessa
troverà applicazione retroattivamente in virtù del principio di
retroattività della legge più favorevole sancito dall’art. 2, comma
4, c.p..
2 PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (A proposito della legge n. 67/2014), In Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale n. 4/2014,
Giuffrè Editore, pag. 1707.
3 Si esprime in tal senso la Relazione allo schema
presentato alle Camere per il parere previsto dalla legge delega.
3. PRESUPPOSTI PER L’APPLICABILITA’ DELLA IRRILEVANZA DEL FATTO.
I presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità
della particolare tenuità del fatto
sono due: il primo è rappresentato dal limite edittale di pena previsto dalle singole fattispecie di
reato; mentre il secondo si articola, a sua volta, in due elementi: la
particolare tenuità dell’offesa e la
non abitualità del comportamento.
non solo nel fatto che il legislatore
ha inteso eliminare quel margine
di discrezionalità che si presenta
tutte le volte in cui, concorrendo
circostanze eterogenee, il giudice
deve procedere al bilanciamento,
ma anche nel timore che il giudice stesso possa “forzare la mano”
nel ritenere sussistente un concorso eterogeneo di circostanze al
solo fine di utilizzare, in termini
del tutto strumentali, il giudizio
di bilanciamento4.
L’ultimo comma dell’art. 131bis c.p. completa l’individuazione
dell’ambito applicativo della fattispecie precisando che “la disposizione del primo comma si applica
anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”. Il
significato di questa disposizione
risulta evidente, ove si consideri
che dell’attenuante comune prevista dall’articolo 62, numero 4,
c.p. non potrebbe tenersi conto
ai fini della determinazione della pena ex art. 131-bis, comma 1,
c.p. Tuttavia, non v’è dubbio che
proprio la configurabilità di tale
attenuante di fatto – rappresentata dalla speciale tenuità del danno
patrimoniale subito dalla persona
offesa da reati contro il patrimonio - costituisca elemento importante per articolare il giudizio su
quella esiguità dell’offesa che,
unitamente all’apprezzamento
delle modalità della condotta ed
alla non abitualità del comportamento incriminato, potrebbe portare alla applicazione della causa
di esclusione della punibilità in
disamina.
3.1 L’individuazione della cornice edittale.
Per quanto attiene l’ambito di
applicazione della causa di non
punibilità di cui trattasi, l’art. 131bis c.p. stabilisce che essa può
trovare applicazione soltanto per
i reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a
cinque anni, ovvero con la pena
pecuniaria, sola o congiunta alla
predetta pena detentiva.
Per la determinazione della
pena detentiva, analogamente a
quanto previsto dagli artt. 4, 278 e
379 del codice di rito, non si tiene
conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie
diversa da quella ordinaria prevista per il reato non circostanziato
e di quelle ad effetto speciale, con
la precisazione che, in tale ultimo
caso, ai fini del computo della
pena, non si deve tenere conto del
giudizio di bilanciamento delle
circostanze ex art. 69 c.p. Ciò significa che qualora una di tali
circostanze aggravanti ad effetto
3.2 Requisiti di applicabilità.
speciale concorra con una circoUna volta verificato che il restanza attenuante, il giudizio di
ato
rientri nella cornice edittale
bilanciamento non operi e quindi
non trovi applicazione l’istituto sopra descritta, occorre verificare
della particolare tenuità.
L’esclusione della punibilità per particoLa ratio di tale disciplina sta 4lareBARTOLI,
tenuità del fatto, in Rivista di Diritto Penale e Processo, n. 6/2015, Ipsoa, pag. 665.
la presenza dei presupposti della
particolare tenuità del fatto normativamente previsti e che debbono ricorrere congiuntamente.
Si tratta della particolare tenuità
dell’offesa e della non abitualità
del comportamento.
3.2.1 La particolare tenuità
dell’offesa.
La particolare tenuità dell’offesa si desume attraverso due
elementi che debbono essere oggetto di rigoroso accertamento:
la modalità della condotta tenuta
dall’agente e l’esiguità del danno
o del pericolo dallo stesso provocati.
La valutazione dei due menzionati requisiti deve essere compiuta ai sensi dell’art. 133, comma
1, c.p., vale a dire tenendo conto
degli indici fattuali ivi indicati,
con la conseguenza che per la valutazione della gravità del reato il
giudice dovrà tenere conto anche
dell’intensità dell’elemento soggettivo che ha caratterizzato l’azione del reo5.
Per quanto concerne la modalità della condotta, assumono
importanza particolare la natura,
i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione.
Con riferimento, invece, al parametro dell’esiguità del danno o
del pericolo, essa va riferita alla
offensività in concreto ed al disvalore penale del fatto, senza che
detto parametro possa ritenersi
coincidente con il solo danno patrimoniale subito dalla persona
offesa.
Il comma 2 dell’art. 131-bis c.p.
5 Nel testo originario proposto al parere delle Camere, mancava un esplicito riferimento proprio al grado di colpevolezza, giacché non era espressamente
menzionato l’art. 133 c.p. e si limitava letteralmente
la valutazione del giudice alla considerazione della
modalità della condotta. Nel testo definitivo si è provveduto a specificare, al comma 1 dell’art. 131-bis c.p.,
che le modalità della condotta e l’esiguità del danno devono essere valutate “ai sensi dell’articolo 133,
comma 1, c.p.” con la conseguenza che, per la valutazione della gravità del reato, si deve tenere conto
anche dell’elemento soggettivo della condotta.
21
prevede una esplicita enunciazione di casi in cui l’offesa non può
ritenersi di particolare tenuità.
Ciò accade quando “l’autore ha
agito per motivi abietti o futili, o con
crudeltà, anche in danno di animali,
o abbia adoperato sevizie o, ancora, ha
approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa
sono derivate quale conseguenze non
volute la morte o le lesioni gravissime
di una persona”.
3.2.2 La non abitualità del
comportamento.
La seconda condizione per
l’applicazione della causa di non
punibilità impone che il comportamento risulti “non abituale”.
Il disposto dell’art. 131-bis,
comma 3, c.p. si preoccupa, al
riguardo, di specificare quando
il comportamento debba considerarsi come abituale (ovvero le
ipotesi di autore dichiarato delinquente abituale, professionale o
per tendenza; i casi in cui l’autore
abbia commesso più reati della
stessa indole - anche se ciascun
fatto, isolatamente considerato,
sia di particolare tenuità - oppure
reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate).
L’espressa enunciazione normativa tende ad evitare una eccessiva discrezionalità giudiziale.
Il richiamo alla pluralità di reati
della stessa indole chiarisce sino
a che punto rilevi l’omogeneità
delle infrazioni commesse quando non si sia in presenza di delinquenti abituali, professionali
o per tendenza; il riferimento ai
reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate
tende ad ampliare l’ambito delle
preclusioni all’applicabilità della causa di non punibilità sino a
comprendere i singoli reati realizzati con pluralità di distinte con-
22
dotte.
Si può ipotizzare che il concetto di non abitualità implichi che
un precedente giudiziario non sia
di per sé ostativo al riconoscimento della particolare tenuità del
fatto, mentre l’abitualità ostativa
sembrerebbe riferirsi ai casi in cui
il reato o la condotta si inseriscano “in un rapporto di seriazione con
uno o più altri episodi criminosi”6.
4. PROFILI PROCESSUALI.
Il profilo sostanziale della non
punibilità per particolare tenuità del fatto consente di escludere
dall’area della penalmente rilevante i fatti che appaiono immeritevoli di punizione.
Sotto il profilo processuale
tale non punibilità contribuisce a
soddisfare l’esigenza di alleggerire il carico giudiziario, esigenza
che tanto più risulterà soddisfatta quanto più la definizione del
procedimento riuscirà a collocarsi
nelle sue prime fasi.
Alla declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità
del fatto può procedersi sia nel
corso delle indagini preliminari,
sia successivamente all’esercizio
dell’azione penale.
Nel primo caso provvederà il
giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 411, commi
1 e 1 bis, c.p.p..
Nel secondo caso ci penserà il
giudice, prima del dibattimento nella ricorrenza dei presupposti
di cui all’art. 469 c.p.p. -, oppure
all’esito dell’udienza preliminare
o del dibattimento.
6 GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Rivista di Diritto Penale e Processo, n.
5/2015, Ipsoa, pag. 519.
4.1 Indagini preliminari.
La particolare tenuità del fatto è stata inserita nell’art. 411,
comma 1, c.p.p. come ipotesi di
archiviazione. La novità dell’istituto ha imposto l’introduzione
di un nuovo comma (il n. 1 bis)
all’art. 411 c.p.p., recante la previsione che, in caso di richiesta
di archiviazione per particolare
tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla
persona sottoposta alle indagini
ed alla persona offesa, precisando
che, nel termine di dieci giorni,
entrambi possono prendere visione degli atti e presentare opposizione indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso
rispetto alla richiesta.
Della richiesta di archiviazione per particolare tenuità del
fatto deve essere sempre avvisata
la persona offesa, anche quando questa non abbia dichiarato
di voler essere informata ai sensi
dell’articolo 408, comma 2, c.p.p..
Sulla richiesta di archiviazione,
in caso di mancata opposizione o
di inammissibilità della stessa, il
G.I.P. non fissa l’udienza camerale e pronuncia decreto motivato
di archiviazione, ove ritenga di
accogliere la richiesta del P.M.
In caso di opposizione ammissibile – proposta dall’indagato,
dalla persona offesa o da entrambi – il G.I.P., ove accolga la richiesta del P.M., pronuncia ordinanza
di archiviazione.
In entrambi i casi, se il G.I.P.
non condivide la richiesta del
P.M. restituisce gli atti a quest’ultimo eventualmente ordinando
nuove indagini o l’imputazione
coatta.
Alla persona offesa non è stato riconosciuto un diritto di veto
avverso la declaratoria di non
punibilità del fatto per irrilevanza dello stesso, e ciò perché una
previsione siffatta avrebbe con-
4.4. Dibattimento.
La causa di non punibilità può
essere pronunciata anche all’esito
del dibattimento, con sentenza ex
art. 529 c.p.p..
In tal caso, ai sensi dell’art. 651
bis, comma 1, c.p.p. “la sentenza
penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità
del fatto in seguito a dibattimento ha
efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto,
della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso,
nel giudizio civile o amministrativo
per le restituzioni e il risarcimento
del danno promosso nei confronti del
condannato e del responsabile civile
4.2 Udienza preliminare.
che sia stato citato ovvero sia interveNei procedimenti che preve- nuto nel processo penale”.
dono l’udienza preliminare, nei
casi in cui il pubblico ministero
non ha ritenuto il fatto di particolare tenuità oppure nei casi in cui 5. CASELLARIO GIUDIZIALE.
il Gip ha rigettato la richiesta, il
La decisione con cui è stata apG.U.P. può emettere sentenza di plicata la causa di non punibilità,
non luogo a procedere, ex art. 425, anche in sede di archiviazione,
comma 1, c.p.p. per particolare te- deve essere iscritta nel casellario
nuità del fatto. Il contraddittorio giudiziale. Tale iscrizione assume
è assicurato dalla citazione per rilievo ai fini dell’apprezzamento
l’udienza preliminare anche della del presupposto dell’abitualità
persona offesa, messa in condi- del comportamento che, in futuzione di interloquire.
ro, potrà escludere il nuovo accesIn mancanza di espresse dispo- so al beneficio.
sizioni – al contrario previste con
riferimento alla sentenza dibattimentale – deve ritenersi che la
decisione non abbia alcun effetto 6. PARTICOLARE TENUITA’
nei giudizi civili o amministrativi. DEL FATTO IN GRADO DI APPELLO E NEL GIUDIZIO DI
LEGITTIMITA’.
4.3 Declaratoria di improcediPer i giudizi pendenti al mobilità predibattimentale.
mento dell’entrata in vigore
La modifica dell’art. 469, dell’art. 131 bis c.p. pacifica è la
comma 1 bis, c.p.p. consente la applicabilità dell’istituto in esame
declaratoria di improcedibilità anche in grado di appello.
predibattimentale anche quando
A norma dell’art. 609, comma
ricorre la causa di non punibilità
2, c.p.p., nell’ipotesi in cui non
in esame, previa audizione in casia stato possibile chiedere in apmera di consiglio anche della perpello l’esclusione della punibilità
sona offesa, se compare.
per particolare tenuità del fatto, è
ciò potrà essere fatto per la prima
volta davanti alla Corte di Cassatraddetto lo scopo deflazionistico perseguito con l’introduzione
dell’istituto in esame.
Il diritto di opposizione è stato riconosciuto anche all’indagato che si ritenga estraneo al fatto
contestatogli.
Il provvedimento di archiviazione può essere impugnato solo
per ragioni procedurali, ovvero
nei casi di nullità previsti dall’art.
127, comma 5, c.p.p., cioè quando
non sia stato instaurato correttamente il contraddittorio. È esclusa una impugnazione nel merito
dell’archiviazione.
zione.
La terza sezione della Suprema Corte, con l’ordinanza n.
21014/15, ha precisato che un
intervento d’ufficio del giudice
di legittimità è possibile tutte le
volte che -“posto di fronte a casi di
effettiva irrilevanza del fatto anche
sulla base di quanto emerga dal testo
della sentenza impugnata, dopo aver
verificato l’astratta applicabilità della
norma di favore in relazione ai vari
presupposti e/o condizioni richieste
dalla norma medesima”- decida di
darvi attuazione attraverso una
pronuncia di annullamento con
rinvio.
Con la predetta ordinanza la
Cassazione ha analizzato modi
e limiti del controllo della sussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p.
La stessa Corte di Cassazione
con un recentissimo arresto ha
chiarito che: “Qualora sussistono
i presupposti per l’applicazione
della causa di esclusione della
punibilità per la particolare tenuità del fatto, la Corte di Cassazione
deve annullare con rinvio la sentenza impugnata per consentire
al giudice di merito la valutazione conseguente. Nel caso in cui,
invece, la Corte di Cassazione
ritenga, sulla scorta della sentenza impugnata, che il giudice del
merito abbia anche solo implicitamente escluso la sussistenza
dei presupposti enunciati dall’art.
131-bis c.p., la relativa questione
deve essere rigettata, non essendo
necessario un controllo di fatto”7.
Daniele Carra
7 (Cass. pen., Sez. II, 16 ottobre 2015, n. 41742). CISTERNA, Particolare Tenuità del fatto: sentenza da
annullare con rinvio solo se ricorrono le condizioni, in
Quotidiano Giuridico on line, Wolters Kluwer, mercoledì 28 ottobre 2015.
23
IL CONDOMINIO PARZIALE:
QUESTO SCONOSCIUTO
(almeno da due recenti pronunce della Corte Suprema di Cassazione)
Infatti la recente ordinanza
Cass. civ. sez. VI 5 dicembre 2012.
n. 21866, pubblicata sul numero
4/2013 di Archivio delle locazioni
e del condominio contiene il principio secondo cui “le scale, essendo
elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale
e mezzo indispensabile per accedere al
tetto e al terrazzo di copertura, conservano la qualità di parti comuni,
così come indicato nell’art. 1117 cod.
civ., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi con accesso
dalla strada, in assenza di titolo contrario, poichè anche tali condomini ne
fruiscono quanto meno in ordine alla
conservazione e manutenzione della
copertura dell’edificio.“
A conferma di questo principio
viene ricordata la sentenza Cass.
civ., sez. II 10/07/2007 n. 15444
che in effetti contiene la medesima asserzione.
La nota di commento alla predetta ordinanza, a firma di Maurizio de Tilla, condivide l’assunto.
Se, però, il Collegio della VI
sezione della Cassazione avesse
estesa la propria ricerca un po’ più
indietro rispetto all’anno 2007 si
sarebbe imbattuto in altre pronunce della Corte di legittimità che gli
avrebbero, a mio modesto avviso,
fatto enunciare il principio opposto a quello espresso.
Infatti questo confligge inesorabilmente con quello sostenuto
dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 7449 del
7/07/1993.
In questa pronuncia si può leggere che nelle decisioni della Corte
24
in cui si è ritenuto che “la destinazione particolare vince la presunzione
legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario“, benchè
si sia richiamato erroneamente il
concetto di presunzione, del tutto
estraneo alla norma dell’art. 1117
civ., s’è però, enunciato anche il
principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può
proprio rientrare nel novero di
quelle comuni se serva per le sue
caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una
parte dell’immobile oggetto di un
autonomo diritto di proprietà.“...
in quanto la destinazione particolare
esclude già all’origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni,
e che ad esso possa quindi riferirsi la
norma dell’art. 1117 del codice civile. Come esempio chiarificatore può
considerarsi l’ipotesi di una scala che
serva per accedere a un solo appartamento dell’edificio condominiale. Non
può dubitarsi che essa sia di proprietà
esclusiva del titolare di questa unità
immobiliare, ma non perchè la sua
destinazione particolare superi la presunzione legale di comunione, bensì in
quanto in tale caso la scala per le sue
caratteristiche strutturali non rientra
proprio nell’ambito delle cose comuni
di cui all’art. 1117 del codice civile. “
Questo principio è confermato, e l’argomento in questione
viene trattato in maniera pregevole ed assolutamente esaustiva,
dalla sentenza Cass. civ., sez. II
27/09/1994 n. 7885 della quale è
stato relatore il Dott. Rafaele Corona.
Vi si può infatti leggere:
“Il “ condominio parziale “ raffigura una categoria radicata nell’esperienza e riconosciuta dalla giuri-
sprudenza la quale, piuttosto che della
definizione del principio, si occupa
della decisone dei casi di specie. ...
Indipendentemente dal titolo - consistente nell’assetto predisposto dalla
autonomia privata- nell’ambito della
più vasta contitolarità si ammette la
costituzione per legge dei cosiddetti
condomini parziali sul fondamento
del collegamento strumentale tra i
beni: vale a dire, sulla base della necessità per l’esistenza o per l’uso,
ovvero della destinazione all’uso o al
servizio di determinate cose, servizi ed
impianti limitatamente a vantaggio di
talune unità immobiliari. Per la verità l’asserto che la proprietà comune
appartenga necessariamente a tutti i
partecipanti e non si frazioni, neppure
in casi eccezionali, se non in virtù del
titolo, non è più condiviso e, in effetti, non regge alla critica, fondata sulla
ricognizione non aprioristica dei dati
positivi.
I presupposti per la attribuzione
della proprietà comune a vantaggio
di tutti i partecipanti vengono meno
se le cose, i servizi e gli impianti di
uso comune, per oggettivi caratteri
materiali e funzionali, sono necessari
per l’esistenza o per l’uso, ovvero sono
destinati all’uso o al servizio non di
tutto l’edificio, ma di una sola parte
(o di alcune parti) di esso. Pertanto,
del diritto soggettivo di condominio
formano oggetto soltanto i servizi e
gli impianti, effettivamente uniti alle
unità abitative dal collegamento strumentale: vale a dire, le sole parti di uso
comune, che siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate all’uso
o al sevizio di determinati piani o porzioni di piano.
La disposizione, da cui risulta con
certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso comune dell’edificio non
appartengono necessariamente a tutti i partecipanti, si rinviene nell’art.
1123 comma 3 cod. civ. Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione
grava soltanto sui condomini, ai quali
appartiene la proprietà comune.”
Se i proprietari delle unità im-
mobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in
virtù del criterio dell’utilità statuito dall’art. 1123 comma 2 cod. civ,
il disposto dell’art. 1123 comma 3
sarebbe del tutto identico a quello fissato nel comma precedente e
configurerebbe un duplicato inutile.
In realtà, l’art. 1123 cod. civ.
(e forse non è un caso che questo
articolo sia stato lasciato del tutto
inalterato dalla riforma 2012 del
condominio) nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti.
Mentre al comma 2 regola solo
ed esclusivamente la ripartizione
delle spese per l’uso, al comma 3
disciplina la suddivisione delle
spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è
che le cose, i servizi e gli impianti,
essendo collegati materialmente
e per la destinazione soltanto con
alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai
proprietari di queste. La disposizione, cioè, contempla l’ipotesi del
condominio parziale.
Sul piano funzionale, i termini
dell’utilità e dell’interesse in concreto sono definiti dalla relazione
di accessorietà e oltre i confini di
questa l’utilità e l’interesse non
sussistono e la attribuzione del
diritto non si giustifica. ... La relazione di accessorio a principale,
perciò, definisce ad un tempo i termini dell’interesse e dell’oggetto
del diritto, nel senso che individua
le cose, i servizi e gli impianti, i
quali costituiscono il punto obbiettivo di incidenza del nesso quod
inter est e rappresenta la ragione
della attribuzione del condominio. In favore dei singoli partecipanti,
la attribuzione del diritto dipende
dalla configurazione in concreto
della relazione di accessorietà tra
le parti comuni ed i singoli piani
o le porzioni di piano in proprietà
solitaria: relazione che giustifica
l’interesse effettivo e ne delimita i
confini. Laddove la relazione non
corre, l’interesse non sussiste il diritto non viene attribuito.
Tenuto conto della configurazione del condominio, quale risulta dalle norme e dall’esperienza,
non è esatto che tutti i condomini
siano titolari di tutte le parti comuni, qualunque sia la conformazione del fabbricato: in altre parole, qualunque sia il numero dei
portoni d’ingresso, delle scale, del
tetto o dei lastrici solari; sussista o
no la destinazione dell’ascensore
a servire o no tutti i piani; esista o
meno la possibilità per gli immobili, che si affacciano sulla strada (
i magazzini ed i negozi ), di utilizzare la scala, il portone. ...
Numerose ed evidenti sono le
conseguenze operative del condominio parziale. Relativamente alle
cose, ai (ser)vizi ed agli impianti,
dei quali non hanno la titolarità,
per i partecipanti al gruppo non si
pongono questioni di gestione e di
obbligatorietà di contribuire alle
spese. In particolare, non sussiste
il diritto di partecipare all’assemblea, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla
titolarità delle parti comuni, che
della delibera formano oggetto e
non sorge l’obbligazione di contribuire alle spese.”
Nella successiva sentenza Cass.
civ., sez. II 13 luglio 1996, n. 6359 si
enuncia il seguente principio di diritto: “in tema di condominio di edifici, il criterio di ripartizione delle spese
per la conservazione ed il godimento
delle parti comuni previsto dal primo
comma dell’art. 1123 cod. civ. non si
applica quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura
diversa, per le quali, a meno che non
vi sia un diverso accordo delle parti, il
criterio è, invece, quello della proporzionalità tra spese ed uso stabilito dal
secondo comma del medesimo articolo
o quando si tratta di cose che, benchè
comuni, sono destinate a servire solo
una parte dell’intero fabbricato, per
le quali il criterio è, invece, quello del
terzo comma, che pone le spese solo
a carico dei condomini che traggono
utilità dalla cosa. “
Nello stesso senso si esprime
la sentenza Cass. civ., sez. II, 28
aprile 2004, n. 8136 che pure parla
ancora impropriamente di presunzione legale.
“Ciò premesso, la decisone della corte d’appello, che ha dichiarato
la proprietà comune del corridoio ai
sensi dell’art. 1117 c. civ., può essere
condivisa ove si ammetta, come è ormai acquisito, sia in dottrina che nella
giurisprudenza di legittimità (v. sent.
5224/93; 7885/94), la costituzione ex
lege del cosiddetto “condominio parziale“, istituto che si configura quando servendo un bene, per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali,
in modo esclusivo al godimento di una
sola parte dell’edificio in condominio,
(parte)oggetto di un autonomo diritto
di proprietà viene meno il presupposto
per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini
su quel bene (v. sent. 9089/91). In
tal caso, infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte, la destinazione
particolare del bene, vince la presunzione legale di contitolarità di tutti i
condomini alla stessa stregua di un
titolo contrario. “
Per completezza dell’argomento ricordo che hanno applicato
questo principio le seguenti sentenze di merito: Tribunale Milano,
4 maggio 2000, Tribunale Piacenza,
22 maggio 2001, Tribunale Roma,
sez. V, 2 luglio 2009, n. 14530, Tribunale Trieste, 23 febbraio 2010, n,
177:
In conclusione non posso condividere l’assunto dell’ordinanza
2013 e della sentenza 2007 e rilevo,
con una certa meraviglia, che, in
particolare, il problema delle spese relative alla manutenzione delle scale, come si è visto, era stato
bene affrontato da tutte le pronunce che ho ricordato.
Renato Del Chicca
25
memorie
Gli insegnamenti del prof.
Cessari si rivelano sempre più
preziosi e vivi, pur con il trascorrere di tanti anni da quando
abbiamo avuto l’onore e la fortuna di riceverli.Con l’auspicio
che possiate condividere la nostra affettuosa gratitudine nel
ricordarli, riteniamo opportuno
iniziarne la pubblicazione (per
continuarla nei prossimi numeri); quantomeno per taluni,
documentati da uno scambio di
corrispondenza, fino ad ora gelosamente custodita quale impareggiabile patrimonio intellettuale di cui abbiamo potuto
alimentarci.
Luigi Angiello
Lucia Silvagna
8/9/72
Cara Lucia,ha visto gli scherzi
del latino? In quella lingua uno dei
verbi più usati era resistere; però,
nella latinità classica da resistere non era ancora stato ricavato
il sostantivo resistentia, sebbene
fosse d’uso frequentissimo la frase
nullo resistente (o nullo obsistente)
per la nostra espressione “non resistente” e, naturalmente, la parola resistente, per il nostro resistente. Per la resistenza (sostantivo) s’usava invece pugna, certamen, defensio. Morale: nel parere sullo sciopero ho dovuto usare
l’espressione jus defensionis. Non
rende al 100% il mio pensiero; ma
bisogna accontentarsi. Dall’episodio si ricava comunque una conferma: bisogna dubitare sempre, di
tutto, Solo chi dubita fa vera scienza. Gli altri … fanno i dogmatici.
Dio li abbia in gloria. Io, no.
Cordialmente - Aldo Cessari
26
segnali di fumo
il diritto preso sul serio
&
il diritto preso sul ridere
“Nelle camere di consiglio tutti
si chiamano per nome.
L’atmosfera è a metà tra convento e collegio di studenti.
Avevano ragione Woodward e
Armstrong, nel 1979,
nell’intitolare il loro libro sulla
Corte suprema americana “The
Brethren” (i confratelli)”.
(Sabino Cassese).
Nei meandri della Consulta.
Sabino Cassese “Dentro la Corte
– diario di un giudice costituzionale” Il Mulino Ed., pagg. 319”.
E’ un’opera originale ed unica
per il nostro Paese, ove mai, a differenza da altri Stati, come quelli
anglosassoni, alcun giudice si era
peritato, tanto meno della Corte
Costituzionale, di pubblicare
un diario ove si narra dall’interno del Palazzo, in capitoletti, di
sedute, contrasti, sentenze coraggiose o compiacenti verso la
politica, di dotte considerazioni
sul diritto, che deve imbrigliare
l’enorme complessità del reale,
dalla fin di vita alla fecondazione eterologica, dagli immigrati
al lodo Alfano e al legittimo impedimento, dalla Legge Cirielli
al Porcellum (ove è chiaro che
l’A. avrebbe voluto che, con più
coraggio, si fosse ripristinata la
legge Mattarella), dal conflitto di
attribuzioni tra il Presidente della Repubblica e la Procura di Palermo fino …. alla vaccinazione
del bestiame.
Gli appunti, ovviamente episodici, per argomenti spesso ripresi e rimeditati, si snodano in
tutta la durata del cursus di giudice costituzionale, ma a tale dispersione rimedia egregiamente
una nutrita appendice in cui l’A.
sintetizza in forma rigorosa e con
la chiarezza del docente le tesi
espresse nelle pagine diaristiche.
Il lettore attento non la tralasci.
Soprattuto l’elogio della dissenting – opinion, cioè della utilità
di rendere pubbliche le voci e le
espressioni di voto dei giudici
andati in minoranza.
Si può persino dire che proprio con questa pubblicazione
Sabino Cassese ha inteso sciogliersi, con le dovute limitazioni,
dai vincoli della secretazione.
Ed infatti non si fanno nomi,
ma i colleghi e i giudici remittenti si riconosceranno, e i terzi più
informati sapranno individuarli.
Non farà certo piacere sentir
raccontare che tra i suoi “com-
pagni di viaggio” c’è chi si appisola durante le udienze, chi studia tanto, ma la sua presenza fa
scadere il livello delle sentenze,
chi è attento e preparato, ma non
ha capito quale sia il ruolo della
Corte Costituzionale.
Ma se è vero, come scrive Carlo M. Cipolla, che in ogni categoria di individui, bidelli o professori universitari che siano, la
percentuale di stupidi è la stessa,
non susciterà troppo risentimento la definizione del Pugliatti di
“alluvionati mentali” applicata
ad una quota dei giudici della
Corte. La stupidità dei politici
è significativamente esplicitata
dall’idea a suo tempo coltivata –
in odio alla Corte – di richiedere
il quorum sinodale dei due terzi per le decisioni di legittimità
onde rendere le leggi ancora più
blindate, a presidio del Governo
e della maggioranza. Senonché
i politici non si erano resi conto
che lo Stato si sarebbe disarmato
da solo nei conflitti costituzionali
aventi ad oggetto le impugnazioni di leggi regionali.
Il favor per la dissenting opinion
pervade tutto il testo, ritenendo
l’autore che la conoscenza dell’opinione di minoranza sia di sti-
27
molo per il legislatore e per spostare i termini di eventuali nuove
eccezioni di illegittimità costituzionale.
Ricorda Cassese che la secretazione della decisione risale al
Re monarca assoluto, a cui i consiglieri di corte davano pareri
senza apparire.
Si parva licet il nostro collega previdenzialista nella favola
da lui pubblicata (Paolo Boer “I
due pappagalli del re”)1 narra
che il Re di Curlandia avendo
due pappagaletti per consulenti,
faceva un particolare uso della
dissenting opinion: sposava la tesi
del secondo pappagaletto che,
pronunciandosi dopo il primo,
invariabilmente decideva in senso opposto. Entrambe le opinioni erano secretate, e tuttavia era
rispettato, in modo improprio, il
principio del contraddittorio.
Ovviamente si leggono con
particolare curiosità i riferimenti alle sentenze cd. “storiche”,
come quelle a cui abbiamo inizialmente accennato. In particolare la pagina di paradossale
amenità ove si racconta (a pag.
265) del contrasto tra Ciampi e
Berlusconi sulla nomina di tre
giudici costituzionali. Il Presidente della Repubblica rivendicò
la sua prerogativa esclusiva sulla
firma dell’atto a cui il Capo del
Governo fermamente si opponeva, ma poi si affrettò a controfirmare in giornata, non appena
Ciampi minacciò di sollevare il
conflitto di attribuzione.
Ma si ricava dal testo che anche in presenza di sentenze con
forti risonanze politiche ed istituzionali, precedute e seguite da
polemiche – mediatiche anche
aspre, nelle discussioni in seno
alla Corte prevalse un sereno distacco.
Tra le righe si coglie nell’autore, pur appassoniatamente
1 In Segnali di fumo di Cronache del giugno 2007.
28
rispettoso verso una sentinella
irrinunciabile della nostra vita repubblicana, una velata delusione
per la sua esperienza. E’ quando
il diario si apre con un accenno a
Moby Dick e si chiude sulle note
di Winterreise di Shubert: “Sono
giunto da straniero, - da straniero me ne vo” (scritto in tedesco).
Così esprime il suo rammarico
per non essere riuscito a vincere
la prassi che voleva la elezione
del Presidente più anziano in carica, con la nefasta conseguenza
di aver presidenti in carica per
pochi anni, e nocumento della
attività della Corte. Rifiutò coerentemente di essere eletto Presidente e non divenne emerito.
Per l’adagiarsi dei giudici in
una sorte di non liquet con ordinanze di inammisibilità ogni volta che il giudice remittente aveva
maldestramente posto la questione di legittimità, magari solo
errando nella indicazione della
legge violata. Ovvero quando,
spogliandosi dei propri poteri,
rimandano al giudice ordinario
l’individuazione dell’interpretazione costituzionalmente orientata della legge censurata.
Rincrescimento perché non
era riuscito nel dar miglior funzionalità alla istituzione e ad arrestare la prassi della Consulta
che mentre, ben predicando ribadiva nelle sue decisioni la necessità del rispetto del principio del
concorso per l’accesso ai pubblici
uffici, così escludendo stabilizzazioni, immissioni in ruolo politiche e progressioni senza valutazioni comparative, a riguardo
del proprio personale agisce in
senso opposto.
Si può perciò dichiarare sconsolatamente di essere stato un
Don Chisciotte e di aver lasciato infruttuosamente gli studi e i
propri studenti?
Sembra al contrario che l’A.
ne abbia acquisito esperienze importanti, da insegnare a studiosi
e non. Come quando nelle ultime
pagine si compiace del dialogo e
della “coralità” tra le corti internazionali e di altri Stati, a cui egli
ha molto contribuito pur nella
difficoltà degli intrecci tra la nostra Costituzione e le altre Corti.
Esemplare la sentenza n. 12 del
2012 che ai sensi dell’art. 117 I°
comma c.c. ha definito le norme della Cedu come integrative
(interposte) del nostro diritto costituzionale, sempre nel rispetto
dello stesso.
D’altra parte la pluralità di
Corti Costituzionali, le cui funzioni parzialmente si sovrappongono, consente ai cittadini di
trovare una tutela dei loro diritti
anche in altre sedi, diverse dalla Corte Costiuzioonale, così la
Cedu in via sussidiaria.
Ma queste Corti non sono i tutori esclusivi dei diritti garantiti
nelle rispettive carte costituzionali. “Infatti, i trattati, gli accordi,
i patti, le carte che garantiscono
diritti e libertà, sono anche parte dei diritti nazionali. Quindi,
i giudici nazionali divengono
tutori dei diritti e delle libertà
garantiti dalle carte sovrannazionali e stabiliscono rapporti con le
corti sovrannazionali, aggirando
i giudici costituzionali nazionali
e quindi marginalizzandoli”.
E conclude che in questo
quadro “le Corti Costituzionali vedono erosi i propri compiti
dall’alto e dal basso e limitati i
propri poteri dalla necessità di
tener conto, in vari modi, della
giurisprudenza di Corti che operano in un ambito più vasto. Se
perdono in parte la possibilità di
dire l’ultima parola, se debbono
ascoltare anche l’opinione di altre Corti, esse tuttavia diventano
Il collega relatore è persona
Il caso contemplava la correorganismi meno solitari, acquisiscono una nuova funzione, quel- ben degna di fede ed è stato testi- zione di elaborati alla media di
3 minuti ciascuno, e tale tempo
la di interloquire con ordini giu- mone dei fatti.
non era stato ritenuto congruo al
ridici sovranazionali”.
fine di far presumere una meditata attività di lettura e apprezzamento collegiale del valore dei
Avviso ai praticanti alla vigi- temi svolti, tenuto conto soprattutto della complessità della maScostumatezze giudiziarie: lia dell’esame di abilitazione.
natura e ambiente.
In “Segnali di fumo” del pre- teria.
Del resto il criterio della raL’ultimo numero di Cronache, cedente numero di “Cronache”
con i Segnali di fumo in gran par- mi riferivo ad una clamorosa gionevolezza, insito nel nostro
te dedicati alle scostumatezze esclusione dagli orali di un can- ordinamento, non può che far
balneari, così come trattate nel didato agli esami di abilitazione presumere che non si dice la
tempo dalla giurisprudenza, è di avvocato a seguito di una cor- correzione, ma la stessa lettura
rimbalzato sulla scrivania di un rezione alla media di due minuti dell’elaborato è impossibile in
collega, che frequenta abitual- per elaborato (attività delegata due minuti. Né nel caso risultano
mente il Tar Lazio.
ad una Corte del Sud). E mi di- strafalcioni o grosse lacune che
Mi chiede se conosco scostu- chiaravo fiducioso nel ricorso al dispensino dalla prosecuzione
della lettura.
matezze a cui si dedicano le av- Tar.
Da qui la ricorrenza dell’ecIn realtà non vi è nulla di sconvocatesse nelle aule di giustizia.
cesso
di potere.
Penso si tratti delle colleghe tato per il ricorrente.
Non so se questa svolta giuche d’estate sgambettano nei TriDifatti la magistratura ammirisprudenziale
abbia avuto un
bunali in minigonna. Non pro- nistrativa, specie avanti al Conprio di questo si tratta, l’evento è siglio di Stato, ha ripetutamente seguito. Se ne occupino almeno
respinto tali ricorsi argomentan- quelli che all’orale porteranno
episodico e monotematico.
Quando avanti al Tar Lazio do che non poteva avere alcuna diritto amministrativo.
Collegata a tale problemativengono discusse questioni che rilevanza il riferimento ad un
ca
quella sulla sufficienza della
attengono alla difesa dell’am- astratto criterio matematico per
biente, le avvocatesse del Coda- stabilire la congruità delle ope- sola espressione del giudizio atcons si posizionano nell’ultima razioni di correzione degli ela- traverso il voto numerico, senpanca in modo da essere ben borati. Né esiste uno standard di za giudizio valutativo. Anche
scrutinate dai giudici che avanti, minutaggio stabilito per legge, la dottrina appare perplessa.
dall’alto del bancone, godono di regolamento o circolare ministe- Sabino Cassese: “Il voto in un
concorso (n.d.r. si noti la lieve
ampia visuale.
riale.
Si siedono in un frenetico
Tuttavia con decisione Cons. differenza dall’esame di abilitasventolio di centimetri di gonne Stato Sez. IV° 22.05.2000 n. 2915 zione) deve essere motivato? Il
e, in un vedere e non vedere, con- (in Guida al Diritto 2000, 24, 88 problema è aperto da tempo. La
sentono la vista dell’indumento ss.) si affermava: “una volta veri- questione riguarda un principio
più intimo. L’iniziativa è discuti- ficati, sulla base delle attestazioni sostanziale e uno processuale:
bile e nemmeno decifrabile nelle contenute nei verbali dei lavori della spiegare la decisione e consentire
sue finalità. Ma concordiamo be- commissione giudicatrice di un pub- di impugnarla. Ma il voto numenevolmente che si voglia far in- blico concorso, i tempi medi utiliz- rico stesso è un ordine. Una gratendere che quella è la Natura, e zati per la correzione e valutazione duatoria. Accollare alla ammininon va violata.
dei singoli elaborati, qualora il tem- strazioni il compito di spiegare
Chiedo se davanti al Consi- po impiegato risulti talmente esiguo perché è stato dato un voto non
glio di Stato avvenga lo stesso da far dubitare che sia stato mate- vuol dire richiedere troppo? E la
quando si trattano le medesime rialmente impossibile l’adeguato motivazione sarà poi data mecquestioni. Sì, ma è successo una assolvimento dei prescritti adempi- canicamente, in forme stereotisola volta. Sarà perché i giudi- menti e della espressione ponderata pe? In tal caso (molto probabile)
ci del C.d.S. sono più anziani e dei giudizi sulla valenza delle prove, sarà vera motivazione?”.
E qui si torna al medesimo
l’impatto risulta meno vigoroso. l’operato dell’organo di esame va ripunto
della motivazione appatenuto illegittimo”.
29
rente.
Molto di recente, però, Tar Lazio 14.07.2015 n. 9366, dopo aver
precisato che in caso di valutazione insufficiente della prova
del candidato non basta il solo
voto alfanumerico ma è necessario che la commissione esaminatrice proceda ad un giudizio
sintetico, il solo idoneo ad esprimere compiutamente l’iter logico
seguito dalla stessa commissione
(il caso da me segnalato ne mancava), annullava il giudizio di
non ammissione alle prove orali,
ravvisando l’illegittimità dell’operato della commissione esaminatrice non avendo quest’ultima
posto alcun segno o breve nota
a margine dell’elaborato ritenuto insufficiente, rendendo così
impossibile verificare le ragioni
dell’apprezzamento negativo.
Se questo è lo stato, per lo
meno incerto, della giurisprudenza, la scelta del candidato
non può che essere quella di evitare gli oneri del ricorso, e “tornare a dicembre”, confidando in
una commissione meno frettolosa.
E che dire di disporre una candide camera, munita di moviola,
nella sala ove avvengono le correzioni?
Credo che i meno preparati
si presentaranno confidando, al
contrario, in una commissione
altrettanto sbrigativa.
Mediazione: vecchie e nuove
frontiere.
Si è appena concluso il convegno promosso dall’Organismo di
mediazione Aequitas sulle nuove
aperture relative all’istituto della
mediazione civile e commerciale
(D.Lgs n. 28/2010 mod.), in parte in via di sperimentazione per
stessa statuizione legislativa.
30
Tra i relatori due giudici, il
Dott. Massimo Moriconi del Tribunale di Roma e il Dott. Enrico
Vernizzi del Tribunale di Parma.
Segno della attenzione che i giudici prestano a questo istituto,
forse più degli avvocati.
Le prospettive espresse e discusse sono state di rilevante
interesse. Peccato fossero assenti voci affezionate alle vecchie
frontiere.
E’ doveroso dare atto che prima della ordinanza Dott. Chiari 13.03.2015 in sede cautelare,
la giurisprudenza delle “nuove
frontiere” alla quale il nostro giudice si è ispirato è rimasto ignota
o sopita anche nelle sedi qualificate della nostra avvocatura.
Secondo quanto ex adverso
scritto, se fosse vero che la mancata (e ingiustificata) presentazione
personale della parte chiamata fa
venir meno, in pregiudizio del ricorrente, la condizione di procedibilità, la nuova tesi non avrebbe alcun senso. Non va tuttavia
pretermessa quella regoletta –
broccardo di carattere generale
– inveratasi nell’art. 157 III° comma c.p.c., e riecheggiante nell’art.
1175 c.c. – secondo cui non può
essere accolta l’eccezione di nullità sollevata da chi vi abbia dato
causa con il proprio comportamento consapevole.
nave Giulio Cesare - 1934
Per l’appunto riferendosi a
questo principio, sembra doversi
discostare dall’ordinanza collegiale Trib. Parma 11.05.2015, che
ha ritenuto di annullare parzialmente l’ordinanza impugnata
per nullità della consulenza prodotta in sede di mediazione senza il rispetto del contraddittorio.
Atteso che esso era stato offerto
a controparte dal mediatore per
ogni fase del procedimento, e
tuttavia la stessa aveva rifiutato
di partecipare, non sembra motivato correttamente il provvedimento collegiale, pur senza con
ciò voler processualizzare la mediazione e impedire al giudice di
sindacare gli atti formatisi nella
medesima in conformità a legge
(art. 8 IV° comma). E’ quindi da ritenere che altra
avrebbe dovuto essere l’impugnazione del reclamante: contestare specificatamente i punti
controversi della perizia, ai sensi
dell’art. 115 I° c.p.c., non chiederne un rifacimento integrale (pur
nella diversità delle due consulenze). E in tal senso il collegio
avrebbe dovuto pronunciarsi.
Per chiudere: la mediazione è
obbligatoria come condizione di
procedibilità, la partecipazione è
un onere, quindi il confronto da
altri proposto con l’obbligo di testimoniare è un fuor d’opera.
Letture natalizie: emigrazioni di ieri e di oggi.
“Lei non è del Castello, lei non è
del paese, lei non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente,
è uno straniero, uno che è sempre di
troppo”.
(F. Kafka “Il castello”).
“Questa settimana, da una sola
nave sono sbarcati duemila disperati,
distrutti nello spirito, deboli nel fisico, che hanno però superato l’ispezione. Non c’è niente di simile nella
storia. Siamo testimoni di un esperimento razziale che rivaleggia con
gli esperimenti di Burbank sulla vita
delle piante. Mai ci potrà essere una
simile opportunità per la stirpicoltura umana. Eppure l’immigrazione è
amara e tediosa anche per quelli che
si meravigliarono degli incredibili risultati di Burbank con le piante – per
quanto noi potremmo, se volessimo,
selezionare il tipo di persona che un
americano sarà o dovrebbe essere.
Grandi mutamenti stanno infatti
avvenendo. Da quando viaggiare
è diventato più semplice e più
economico, non vengono in
cerca di libertà o di pace, ma per
motivi mercenari. Così noi non
abbiamo accolto persone che ci sono
affini, persone che capiamo e da cui
siamo capiti. Abbiamo preso fra noi
gente di sangue, lingua, religione e
costumi estranei. Abbiamo sviluppato distinzioni di classe e razza e
odi finora sconsciuti. Ci ritroviamo
crimini non – americani e criminali
con nomi stranieri”.
(Prescott F. Hall “Immigration”)
lista dei passeggeri stranieri, nave Vincenzo Florio - New York, 15 novembre 1904
“Mare nostro che non sei nei
cieli
E abbracci i confini dell’isola e del
mondo
Sia benedetto il tuo sale
Sia benedetto il tuo fondale
Accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde,
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature
Massimo Sestini, mare di Lampedusa, 7
che tornano al mattino con la pegiugno 20142
sca dei naufraghi salvati.
Mare nostro che non sei nei cieli
All’alba sei colore del frumento
Al tramonto dell’uva di vendemPer finire con un sorriso:
mia
….il colmo della integrazione:
Ti abbiamo seminato di annegati
un nero che fa l’imbianchino.
più di qualunque età delle tempeste.
Mare nostro che non sei nei cieli
AUGURI !
Tu sei più giusto della terraferma
Pure quando sollevi onde a muGiacomo Voltattorni
raglia e poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale.
Fai da autunno per loro, da carezza, da abbraccio, bacio in fronte
Di madre e padre prima di partire”.
(Erri De Luca)
2 da “La Repubblica”
31
Il Consiglio Nazionale Forense, nella sua composizione rinnovata ai sensi della nuova legge
professionale, sta affrontando –
tra l’altro- l’applicazione concreta
del nuovo Codice Deontologico
Forense.
Rilevantissima è la sentenza
sotto proposta, sulla tipizzazione,
“per quanto possibile” della condotta disciplinarmente rilevante:
un tema delicato, già rilevato da
Maurizio Donelli nell’ultimo numero di CRONACHE.
Di seguito ne è pubblicata la
massima (tratta dal sito http://
www.codicedeontologico-cnf.it)
e quindi la motivazione in diritto,
che indica la sorte delle condotte illecite pur non espressamente
“tipizzate”.
GIURISPRUDENZA
DISCIPLINARE
L’illecito disciplinare “atipico”
32
Il nuovo Codice Deontologico
Forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, “per quanto
possibile” (art. 3 c. 3 L. 247/2012),
poiché la variegata e potenzialmente
illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata)
costituenti illecito disciplinare non
ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente
esemplificativa. Conseguentemente,
ove l’illecito non sia stato espressamente previsto (rectius, tipizzato) dalla fonte regolamentare, deve
quindi essere ricostruito sulla base
della legge (art. 3 c. 3 cit.) e del Codice Deontologico, a mente del quale
l’avvocato “deve essere di condotta
irreprensibile” (art. 17 c. 1 lett. h).
Nel caso di illecito atipico, per la
determinazione della relativa pena
dovrà farsi riferimento ai principi
generali ed al tipo di sanzione applicabile in ipotesi che presentino,
seppur parzialmente, analogie con
il caso specifico (Nel caso di specie,
nell’ambito dell’attività professionale e
con una strumentalizzazione del ruolo
di avvocato, il professionista era stato
condannato per il reato di traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, condotta -questa- non espressamente
tipizzata dal Codice Deontologico, che
tuttavia prevede la responsabilità disciplinare dell’avvocato “cui sia imputabile un comportamento non colposo che
abbia violato la legge penale” (art. 4 c.
2°). In applicazione del principio di cui
in massima, il CNF ha pertanto ritenuto
congrua la sanzione della sospensione
dall’esercizio professionale per la durata
di anni tre).
Consiglio Nazionale Forense
(pres. Mascherin, rel. Picchioni), sentenza del 18 settembre 2015, n. 137
DIRITTO
Il ricorso peraltro è, … , parzialmente fondato e deve essere accolto
per quanto di ragione procedendosi
ad una rideterminazione della pena
anche alla luce dell’entrata in vigore
della L. n. 247/2012, dei principi nella stessa enunciati e del nuovo diritto disciplinare.
E’ da premettere che, in tale
contesto, non può ritenersi venuto
meno, ed anzi a maggior ragione
risulta cogente, il principio costantemente affermato secondo il quale il giudicato penale non preclude
una rinnovata valutazione in sede
disciplinare dei fatti accertati penalmente, essendo diversi i presupposti
delle rispettive responsabilità e dovendo rimanere fermo il solo limite
dell’immutabilità dell’accertamento
dei fatti, nella loro materialità, operato dall’autorità giudiziaria. E’ infatti inibito al giudice della deontologia di ricostruire l’episodio posto
a fondamento dell’incolpazione in
modo diverso da quello risultante
dalla sentenza penale passata in giudicato ma sussiste, tuttavia, la piena
libertà di valutare i medesimi accadimenti nella diversa ottica dell’illecito disciplinare, con la conseguenza
che il C.O.A. (ed ora il C.D.D.) non è
vincolato alle valutazioni contenute
nella sentenza penale laddove esse
esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte da
quelle del controllo deontologico.
A sensi dell’art. 3 c. 3° L. 247/2012
il nuovo Codice Deontologico, approvato dal C.N.F. il 31/1/2014,
pubblicato sulla G.U. n. 241 del
16/10/2014 ed entrato in vigore il
16/12/2014, avrebbe dovuto “……
espressamente individuare tra le
norme in esso contenute quelle che,
rispondendo alla tipologia di un interesse pubblico al corretto esercizio
della professione hanno rilevanza
disciplinare. Tali norme, per quanto
possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio
della tipizzazione della condotta e
contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile”.
Il Codice Deontologico vigente è
stato quindi strutturato attribuendo
ad ogni singola previsione una rilevanza disciplinare (con l’indicazione della relativa sanzione) pur nella
consapevolezza di non potere arrivare ad una completa tipizzazione
(impossibilità riconosciuta, peraltro,
dalla stessa legge n. 247/2012 laddove, all’art. 3 c. 3°, utilizza l’inciso
“per quanto possibile”) perché la
variegata, e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti
costituenti illecito disciplinare non
può consentire in alcun modo di
individuarli a priori catalogandoli
secondo un’elencazione dettagliata,
tassativa e non meramente esemplificativa sino ad esaurire la gamma
delle ipotesi possibili. La casistica
disciplinare degli illeciti, che è legata
allo status anche privato dell’avvocato, è infatti vastissima e non a caso,
sottolineando l’atipicità sostanziale
che continuava a caratterizzarlo, il
previgente Codice Deontologico si
chiudeva con l’enunciazione, all’art.
60, della natura meramente ricognitiva delle previsioni specifiche che
non limitavano l’ambito di applicazione dei principi generali.
Non sarebbe stato, d’altronde,
compatibile con il ruolo peculiare
dell’avvocato un diritto disciplinare
il quale potesse consentire che comportamenti non corretti fossero, tuttavia, irrilevanti deontologicamente
per mancanza di una specifica previsione edittale.
Nel nuovo sistema deontologico l’illecito ove non espressamente
previsto, rectius tipizzato, dalla fonte regolamentare deve quindi essere
ricostruito sulla base sia della legge
che del Codice Deontologico onde
vengono in rilievo, quanto alla fonte primaria della L. n. 247/2012, sia
l’art. 3 c. 3, già richiamato, sia l’art.
51 c. 1° a mente del quale “….le in-
frazioni ai doveri ed alle regole di
condotta della legge e della deontologia sono sottoposte al giudizio….“
sia l’art. 17 c. 1° lett. h il quale prevede che l’avvocato “….deve essere
di condotta irreprensibile secondo i
canoni previsti dal vigente Codice
Deontologico Forense”.
Le suesposte norme della legge
professionale devono poi essere raccordate con quelle del Codice Deontologico che pongono criteri idonei
ad individuare ed a regolamentare
le condotte di rilevanza disciplinare che già non siano state espressamente tipizzate nel corpo del codice
stesso:
l’art. 4 c. 2° : “L’avvocato, cui sia
imputabile un comportamento non
colposo che abbia violato la legge
penale, è sottoposto a procedimento disciplinare, salva in questa sede
ogni autonoma valutazione sul fatto
commesso”;
l’art. 20 “ la violazione dei doveri
di cui ai precedenti articoli costituisce illecito perseguibile nelle ipotesi
previste nei titoli…..”;
l’art. 21 che, riaffermando la potestà disciplinare, detta i criteri per
la valutazione dei comportamenti e
la graduazione delle sanzioni: “La
sanzione deve essere commisurata
alla gravità del fatto, al grado della
colpa….. avuto riguardo alla circostanze, oggettive e soggettive, ……
nel cui contesto......”.
Va ulteriormente ricordato come
la Relazione Illustrativa del Nuovo
Codice Deontologico già avesse affermato:
“Risponde a questi fini (di tipizzazione solo parziale) la inserzione,
nell’ambito dei principi generali e
precisamente all’art. 9, della “norma
di chiusura” di cui all’art. 3 comma
2 della legge 247/2012; il raccordo
che l’art.20 opera poi con le previsioni specifiche e tipizzate della parte
speciale del codice (identificanti da
tempo ed indubbiamente le situazioni più ricorrenti delle patologie
comportamentali in ambito forense)
conferisce coerenza e compiutezza al
sistema, rispettandone il criterio di
fondo oggi ispiratore ma senza, con
questo, indulgere ad una casistica
esasperata e pur sempre deficitaria
rispetto all’universo delle variabili
comportamentali, talvolta neppure
ipotizzabili”.
Il sistema misto, non tipico ma
improntato solo tendenzialmente
alla tipicità e viene governato dall’insieme delle sopra richiamate norme,
primarie e secondarie, che dettano
principi utili per circoscrivere il perimetro ordinamentale all’interno
del quale deve essere ricostruito l’illecito disciplinare non tipizzato definendo la sua configurazione, la sua
portata e le conseguenze che ne derivano pur in assenza dell’espressa
previsione della condotta e dell’indicazione della relativa sanzione
edittale.
Le fonti normative e regolamentari sono idonee, in altre parole, a
consentire la coesistenza nell’ambito disciplinare della matrice tipica
con quella atipica dando certezza di
criteri precisi, non derogabili, non
aleatori e non discrezionali che permettono di avere in ogni caso piena
contezza dell’incolpazione e delle
sue conseguenze e che, senza necessità di operare alcuna trasmigrazione di norme penali, assicurano
nell’ambito disciplinare quella garanzia che altrove è data dalla tipicità penalistica.
L’approccio del nuovo Codice
Deontologico al problema dell’individuazione della sanzione ha quindi
dovuto essere coerente con tale impostazione riservando al garantismo
un’attenzione che non avrebbe potuto, comunque, prescindere dall’ineludibile apporto della copiosa e
consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito formatasi negli
anni. Essa infatti, nella sua positività, non avrebbe consentito di indulgere a facili enunciazioni di quei
principi etici che, pur del tutto condivisibili in astratto, sarebbero stati
di fatto inutili, per indeterminatezza dell’oggetto, a fondare un diritto
positivo deontologico che, distante
dalla fattispecie concreta e quindi
privo di una precisa riferibilità ad un
evento percepibile, non avrebbe potuto avere cittadinanza in un sistema
connotato da afflittività come quello
disciplinare.
In attesa del Testo Unico da adottarsi ex art. 64 L. n. 247/2012 che
contenga le norme legislative e re-
33
golamentari vigenti (non escluse
quelle del “vecchio ordinamento”
che resteranno in vigore ancorché
non comprese nel T.U.) deve ulteriormente osservarsi come già il
sistema delineato dalla legge professionale confermi uno stretto collegamento, pur nella loro autonomia
ex art. 54 1° c. L. n. 247/2012, tra il
processo penale ed il procedimento
disciplinare posto che i fatti rilevanti nel primo devono essere oggetto
di verifica anche nel secondo determinandone l’apertura. La legge n.
247/2012, a mero titolo esemplificativo, prevede (art. 51 c. 3° lett. b)
che sia data comunicazione da parte
dell’Autorità Giudiziaria al C.O.A.
competente quando sia esercitata
l’azione penale o che (art. 54 c. 2°) il
procedimento disciplinare possa essere sospeso per acquisire atti e notizie dal processo penale, ed ancora
(art. 56 c. 2°) dispone la riapertura
del procedimento disciplinare conclusosi con proscioglimento quando,
per il medesimo fatto, sia intervenuta condanna penale per un reato non
colposo.
Le norme suesposte confermano,
unitamente, per vero, ad altre che
non è questa la sede per richiamare,
come sussista una precisa connessione tra processo penale e procedimento disciplinare e, quindi, tra fatti
costituenti reato e fatti costituenti illecito deontologico e come, di conseguenza, l’ordinamento professionale
debba essere necessariamente dotato di autonomi criteri indispensabili per valutare la diversa incidenza
nell’ambito disciplinare di una fattispecie non tipizzata ab origine.
Va sottolineato, in buona sostanza, che il nuovo Codice Deontologico non è ispirato al rigore del sistema
sanzionatorio penale ma piuttosto, e
tuttora, al principio affermato dalle
S.S.U.U. (n. 9057/2005) secondo il
quale “in tema di illeciti disciplinari,
stante la stretta affinità delle situazioni, deve valere il principio affermato in tema di norme penali incriminatrici a forma libera, per le quali
la predeterminazione e il criterio
dell’incolpazione viene validamente
affidato a concetti diffusi e generalmente compresi nella collettività in
cui il giudice disciplinare opera”.
34
La gravità del fatto penale, intendendosi per tale la statuizione sulla
pena contenuta in sentenza, deve
comunque costituire uno dei criteri che, unitamente alla valutazione
dell’evento ed agli altri parametri di
cui all’art. 21 del Codice Deontologico, concorrono a determinare la misura della sanzione disciplinare che
ha natura diversa rispetto a quella
penale in ragione del diverso disvalore attribuito alla condotta, delle diverse finalità delle sanzioni dei due
ordinamenti, dei diversi meccanismi
di valutazione previsti per giungere
sia all’accertamento della responsabilità che all’irrogazione della pena
disciplinare.
I concetti diffusi evocati dalle
S.S.U.U. (id est principi, criteri …..)
fanno quindi parte del diritto disciplinare e devono essere utilizzati per
classificare – stabilizzare – sanzionare quei comportamenti illeciti non
espressamente previsti dal Codice
Deontologico.
Nello specifico l’avv. F. D.S. è
stato condannato per il reato di cui
all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 (traffico e detenzione illecita di sostanze
stupefacenti) e quindi per una condotta che, del tutto ovviamente, non
ha costituito oggetto di tipizzazione
nel Codice Deontologico onde per
determinare la pena dovrà farsi riferimento ai principi più volte enunciati tenendo conto anche del tipo di
sanzione applicabile in ipotesi che
presentino, seppur parzialmente,
analogie con il caso specifico.
Il caso concreto può ricondursi anche alla fattispecie prevista
al comma 6 dall’art. 23 del Codice
Deontologico laddove si prevede
che “L’avvocato non deve suggerire
comportamenti, atti o negozi nulli,
illeciti o fraudolenti” per la cui violazione è prevista la sanzione edittale
della sospensione da uno a tre anni.
La definitività della condanna
per il reato di cui all’art. 73 D.P.R.
309/1990, e quindi il fatto storico,
ricomprende peraltro anche la fattispecie tipizzata dalla norma deontologica richiamata che deve essere
valutata nel più ampio contesto del
comportamento complessivo che ha
dato luogo alla condotta criminosa
rilevante anche ex art. 4 del Codice
Deontologico.
Nel caso di specie è da sottolinearsi che la condotta censurata è
stata tenuta nell’ambito dell’attività
professionale con una strumentalizzazione del ruolo di avvocato che è
stato utilizzato per pianificare e gestire l’operazione illecita.
I fatti accertati penalmente sono
quindi inequivocabili e, in coerenza
con i principi enunciati, deve operarsi una valutazione della fattispecie tenendo conto della giovane età
professionale dell’incolpato, del suo
particolare stato di salute e dell’evidenza della circostanza che egli fosse stato coinvolto in un gioco troppo
grande (e pericoloso) per lui operando in un contesto nel quale non
era facilissimo discernere, anche se
sarebbe stato doveroso, l’artificiosità
di un’operazione nella quale erano
intervenuti componenti delle Forze dell’Ordine non tutti, evidentemente, in adempimento del proprio
mandato istituzionale.
La sentenza penale n. 77/09 in
data 6/4/2009 del Tribunale di Torino a carico del maresciallo G.L. A.
evidenzia, d’altronde, una serie di
risultanze testimoniali delle quali
può tenersi conto in questa sede.
Sanzione congrua risulta quindi essere quella della sospensione
dell’esercizio dell’attività professionale per il periodo di tre anni, risultando opportuno (in applicazione
dell’art. 21 del nuovo Codice Deontologico vigente) valutare a favore
del ricorrente le circostanze oggettive e soggettive ed il contesto sopra
delineato.
Anche il breve arco temporale
nel quale l’illecito è stato consumato
può, in via prognostica, far presumere che l’avv. F.D.S. non abbia definitivamente assunto un habitus di
totale dispregio dei principi fondamentali che presiedono all’esercizio
della professione forense onde, non
parendo sussistere motivi di gravità
tale da rendere doverosa l’interdizione definitiva a far parte dell’Avvocatura, risulta equo non impedire
all’avvocato di poter dar prova in
futuro del proprio ravvedimento.
Ricorrono quindi i presupposti
per la sostituzione della pena disciplinare definitivamente ablativa con
altra più attenuata, pur ablativa ma
limitata nel tempo, così da consentire all’avv. F. D.S. di recuperare una linearità di comportamento che possa
legittimare il suo reinserimento nella
categoria professionale forense.
Sanzione disciplinare congrua
risulta essere quindi la sospensione
dell’esercizio della professione per il
periodo di anni tre ex artt. 52 e 53 L.
n. 247/2012.
L’oggetto del divieto di produrre
la corrispondenza scambiata con il
collega
Il dovere di difesa non deroga
al divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega
La ratio del divieto di produrre
la corrispondenza scambiata con il
collega
Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante il professionista che produca in giudizio
una lettera inviatagli dal collega di
controparte e contenente una proposta transattiva (art. 48 ncdf, già art.
28 c.d.f.). La riservatezza, infatti, colpisce non solo tutte le comunicazioni
espressamente dichiarate riservate,
ma anche le comunicazioni scambiate tra avvocati nel corso del giudizio,
e quelle anteriori allo stesso, quando
le stesse contengano espressioni di
fatti, illustrazioni di ragioni e proposte a carattere transattivo, ancorché
non dichiarate espressamente “riservate”.
La produzione in giudizio di una
lettera contenente proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica
di cui all’art. 28 c.d. (ora, 48 ncdf),
precetto che non soffre eccezione
alcuna, men che meno in vista del
pur commendevole scopo di offrire
il massimo della tutela nell’interesse
del proprio cliente.
La norma di cui all’art. 28 c.d.
(ora, 48 ncdf) mira a salvaguardare
il corretto svolgimento dell’attività
professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi
possano dar luogo a conseguenze
negative nello svolgimento della
funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte
transattive. Ciò al fine di evitare la
mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla
base dell’attività legale. Il divieto di
produrre in giudizio la corrispondenza tra professionisti contenente
proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di
affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente
dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma
mira a tutelare la riservatezza del
mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando
scrive ad un collega di un proposito
transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto
del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del
suo cliente, mentre il secondo deve
essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che
rappresenta la base del patrimonio
di ogni avvocato.
Consiglio Nazionale Forense
(pres. f.f. Salazar, rel. Sica), sentenza
del 10 giugno 2014, n. 92
La rilevanza deontologica della
vita privata del professionista
L’illecito disciplinare prescinde dalla natura personale o privata
del comportamento posto in essere
dall’avvocato qualora assuma rilevanza esterna e possa incidere negativamente sul prestigio, la dignità
e il decoro della classe forense: tale
principio mira infatti a tutelare l’immagine dell’avvocato che in quanto
collaboratore della giustizia deve
improntare la sua condotta a criteri
di correttezza e dignità anche se il
suo comportamento non ha alcuna
relazione con l’attività professionale.
Consiglio Nazionale Forense
(pres. f.f. Salazar, rel. Broccardo),
sentenza del 17 luglio 2014, n. 94
Non costituisce illecito disciplinare ex se il comportamento dell’avvocato che, per strategia, non si presenta all’udienza penale
La mancata partecipazione del
difensore di fiducia all’udienza
comporta, ex art. 484 c.p.p., la nomina di un difensore di ufficio, secondo le formalità previste dall’art.
97, comma 4, c.p.p., il quale opera in
sostituzione di quello di fiducia. La
valutazione della condotta processuale tenuta dal difensore, dettata
dalle più svariate ragioni, in assenza di precise disposizioni di legge,
non compete all’autorità giudiziaria
in generale e men che meno al giudice del dibattimento il cui compito
in materia è solo quello di garantire
all’imputato un’adeguata assistenza, mediante l’applicazione dell’istituto della nomina del difensore
di ufficio. Ne consegue che il non
presentarsi all’udienza da parte del
difensore non integra in sé violazione del mandato. Quindi, al di là ed
a prescindere dalle postume giustificazioni (rinuncia al mandato, dichiarazione del suo cliente), il ricorrente
non può essere sanzionato per tale
condotta, in quanto essa non integra
la violazione dei doveri di correttezza e diligenza.
Consiglio Nazionale Forense
(pres. f.f. Salazar, rel. Sica), sentenza
del 10 giugno 2014, n. 93
L’efficacia, in sede disciplinare,
della sentenza di patteggiamento
Ancorché il procedimento disciplinare sia autonomo rispetto al procedimento penale aperto per lo stesso fatto, a norma dell’art. 653 c.p.p.
la sentenza penale di applicazione di
pena su richiesta delle parti è equiparata alla sentenza di condanna.
Ne consegue che essa esplica funzione di giudicato nel procedimento
disciplinare quanto all’accertamento
del fatto, alla sua illiceità penale e
alla responsabilità dell’incolpato.
Consiglio Nazionale Forense
(pres. Alpa, rel. Piacci), sentenza del
17 luglio 2014, n. 99
35
Anno XXIV numero tre (settantunesimo della serie) ottobre 2015
Questo numero usa il font Palatino Linotype
In tipografia, Palatino è un tipo di carattere con grazie creato daHermann Zapf
nel 1948. È ammirato da molti per la sua grazia e potenza. È stato adattato
praticamente a tutte le tecnologie tipografiche, ed è probabilmente uno dei più
usati e copiati tipi di caratteri esistenti. Chiamato così in onore di Giambattista
Palatino, un maestro della calligrafia italiano del sedicesimo secolo, il Palatino
è basato sui tipi di carattere del Rinascimento italiano, che imitano la scrittura
calligrafica. Ma mentre i tipi rinascimentali tendenzialmente usavano lettere più
piccole con linee verticali più lunghe (ascendenti e discendenti) con tratti più fini,
Palatino ha proporzioni più ampie, ed è considerato molto più facile da leggere.
plt
(fonte Wikipedia.it)
La foto in copertina è di Caterina Orzi.
Vive a Parma Dal 1990 partecipa a mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati.
Tra le più recenti esposizioni
2012 - “Cronaca” mostra fotografica promossa dalla Provincia di Parma
e patrocinata dalla Regione Emilia - Romagna
2013 - Collettiva “Paesaggi ideali” Fotografia Europea
2013 - “ Amori senza” nella sede della Regione Emilia-Romagna
2014 - Collettiva “ Donne allo specchio” Fotografia Europea
2014 - “Amori dalla Cenere” Biblioteca della Camera dei deputati Con l’Alto Patronato
del Presidente Della Repubblica il Patrocinio della Regione Emilia-Romagna
e del Comune di Lampedusa e Linosa.
http://issuu.com/caterinaorzi.
mail: [email protected]
progetto grafico di Alessandro Riccomini - stampa Cabiria