IL VENTO DEL ROMANTICISMO Il tardo Settecento

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IL VENTO DEL ROMANTICISMO Il tardo Settecento
Arte e territorio
Anno scolastico 2013.2014
Dario D’Antoni
Il vento del romanticismo
Il tardo Settecento
La continua esaltazione dei maestri del passato, favorita dalle accademie,
rendeva propensi i mecenati e i collezionisti ad acquistare piuttosto opere di
maestri antichi che non a ordinare quadri di contemporanei. Come rimedio le
accademie, prima a Parigi e poi a Londra, cominciarono con l’allestire esposizioni
annuali dei loro membri. Tali esposizioni erano veri avvenimenti sociali al centro
delle cronache, e potevano consacrare o sconsacrare una fama.
E mutarono rapidamente il concetto di produzione artistica: gli artisti
dovevano cercare il successo in mostre dove c’era sempre il pericolo che le
opere spettacolari e pretenziose mettessero in ombra quelle semplici e sincere. Si
cercavano così soggetti melodrammatici e si tentava di far leva sugli effetti di
colore e sulle dimensioni. Perciò non stupisce che molti pittori e scultori genuini
disprezzassero l’arte ufficiale delle accademie e che si generò un contrasto
lacerante tra artisti.
L’effetto più immediato di questa crisi profonda nella divulgazione dell’arte
fu che ovunque cominciarono a cercarsi soggetti nuovi. Nel passato regnava sui
temi da rappresentare una sorta di tacito accordo, per cui spesso scopriamo che
molti dipinti presentano soggetti identici, tratti dalla Bibbia o leggende di santi. Nei
quadri profani si scorgono anche storie mitologiche greche con amori e contrasti
fra gli dei, racconti eroici con esempi di valore e sacrificio, soggetti allegorici e
simbolici. All’improvviso, all’indomani della Rivoluzione francese, gli artisti
sembrarono liberarsi da imposizioni precostituite, cominciarono a spaziare da
scene shakespeariane a fatti di cronaca, tutto ciò insomma che era in grado di
suscitare interesse. Nacque un condiviso disinteresse verso i tradizionali soggetti
dell’arte.
Fra gli artisti che rifiutarono i vecchi soggetti troviamo il
FRANCISCO GOYA
Portrait of Ferdinand VII, 1814
Oil on canvas, 207 x 144 cm
Museo del Prado, Madrid
grande
pittore
spagnolo
Goya
(1746-1828).
Egli
Francisco
conosceva
benissimo la miglior tradizione pittorica
spagnola, che aveva prodotto autori
come El Greco e Velázquez, e in virtù di
tale maestria divenne pittore di corte dei
re di Spagna. Nonostante la sua posizione
invidiabile, Goya sembra non conoscere
pietà. Egli ritrae i potenti senza adularli, anzi
nei suoi tratti mostra tutta la loro vanità e
bruttezza, la cupidigia e la vanità.
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Nessun pittore di corte prima o dopo di lui ha lasciato simili testimonianze dei
propri mecenati.
Egli ha lasciato molte incisioni ad acquaforte
ed acquatinta, che gli permettevano di
tracciare linee grafiche ma anche di
tracciare ampie zone d’ombra. Il fatto più
importante è che le incisioni di Goya non
sono illustrazione di celebri fatti biblici, storici o
di genere. Spesso si tratta di visioni fantastiche
di streghe e di misteriose apparizioni, che non
di rado vorrebbero essere accuse contro la
stoltezza e la reazione, contro la crudeltà
umana e l’oppressione che Goya aveva
sperimentato in Spagna, ma talvolta
sembrano soltanto dare forma ai suoi incubi. Il
gigante qui accanto rappresenta uno dei suoi
sogni più ossessionanti: la figura di un colosso
seduto sull’orlo della terra. Possiamo misurare
le dimensioni colossali dal microscopico
FRANCISCO GOYA
The Giant, 1818
paesaggio in primo piano, in cui case e
Aquatint with burnishing, 292 x 210 mm
castelli sono ridotti a puntolini. Possiamo
Metropolitan Museum of Art, New York
lasciare la nostra fantasia di giocare attorno a questa
tremenda apparizione, disegnata con la nitidezza di linea di uno studio dal vero.
Come un incubo maligno il mostro siede sul paesaggio rischiarato dalla luna.
Pensava Goya al destino della sua patria oppressa dalle guerre e dall’umana
follia? O creò semplicemente un’immagine come si crea una poesia? Ecco
l’effetto più notevole dello spezzarsi della tradizione: gli artisti erano liberi di
trasporre sulla carta le loro visioni più intime come
fino ad allora solo i poeti avevano fatto.
Esempio più notevole di questo nuovo
orientamento artistico fu quello del poeta,
illustratore e mistico inglese William Blake
(1757-1827), di undici anni più giovane di Goya.
Blake era un uomo tutto chiuso in un suo mondo di
profonda religiosità. Disprezzava l’arte ufficiale
delle accademie e ne rifiutava i canoni. Alcuni lo
ritenevano completamente pazzo, altri un innocuo
lunatico: solo pochi dei suoi contemporanei
credettero alla sua arte, salvandolo dalla miseria.
Viveva facendo acqueforti, a volte per altri, a
volte per illustrare le proprie poesie.
WILLIAM BLAKE
IL VENTO DEL ROMANTICISMO
The Ancient of Days, 1793
Etching, pen, ink, watercolour on paper
Stapleton Historical Collection, London
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Nella pagina precedente c’è una delle illustrazioni del suo poema Europe, a
Prophecy. Si dice che Blake avesse visto questa enigmatica figura di vecchio,
curvo a misurare il globo con un compasso, in una visione che gli apparve in cima
a una scalinata. C’è qualcosa dell’immagine michelangiolesca del Padre Eterno
in questa immagine della Creazione, e Blake ammirava Michelangelo. Ma nelle
sue mani la figura è diventata fantastica, di sogno. Blake si era creato una sua
mitologia e la figura della visione non è il Signore, ma un essere nato dalla sua
immaginazione che egli chiamava Urizen. Per quanto Blake concepisse Urizen
come creatore del mondo, essendo persuaso che il mondo fosse malvagio
riteneva malvagio anche il suo creatore. Da qui il carattere da incubo della
visione, in cui il compasso sembra il bagliore del fulmine in una notte scura e
tempestosa.
Blake era a tal punto immerso nelle sue visioni che rifiutava di disegnare dal
vero e si basava interamente sul suo occhio interiore. Sarebbe facile rilevare le sue
pecche di disegno ma, se lo facessimo, rischieremmo di perdere il meglio della
sua arte. Come gli artisti medievali, egli non si curava della rappresentazione
accurata perché il significato di
tutte le figure dei suoi sogni era
così essenziale e travolgente
che le questioni di esattezza gli
sembravano trascurabili. Fu il
primo
artista,
dopo
il
Rinascimento,
a
ribellarsi
consapevolmente
ai
criteri
tradizionali, e non possiamo
criticare i suoi contemporanei
che ne furono urtati. C’è voluto
quasi un secolo prima che Blake
WILLIAM BLAKE
venisse
generalmente
Isaac Newton, 1795
riconosciuto come uno dei
Copper engraving with pen and ink and watercolour, 460 x 600 mm
Tate Gallery, London
maestri più importanti dell’arte inglese.
Ci fu un genere pittorico che beneficiò largamente della nuova libertà dell’artista
nella scelta del soggetto: il paesaggio, fino ad allora considerato un genere minore.
Quei pittori che si erano guadagnati da vivere dipingendo vedute di case di
campagna, parchi o scene pittoresche, non venivano presi sul serio come artisti.
Questo atteggiamento mutò alquanto per influsso dello spirito romantico del tardo
Settecento, e grandi artisti considerarono loro preciso compito elevare a nuova
dignità questo tipo di pittura. È interessante vedere come si siano comportati
diversamente due paesaggisti inglesi della stessa generazione.
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L’uno era Joseph Mallord William Turner (1775-1851), l’altro John
Constable (1776-1837).
Nel loro contrasto si può leggere la contrapposizione ottocentesca tra
classico e romantico, tra “sublime” e “pittoresco”.
Turner era artista di immenso successo, e i suoi quadri destavano profonda
impressione alle esposizioni della Royal Academy. Egli aveva visoni di un mondo
fantastico, ricco di luce e splendente di bellezza, ma non era un mondo calmo
bensì
dinamico,
non
di
armoniosa sobrietà bensì di
fasto
abbagliante.
Egli
sommava nei suoi quadri ogni
effetto atto ad accentuare la
sorpresa e la drammaticità, e
questo desiderio di far colpo sul
pubblico
avrebbe
potuto
avere effetti disastrosi se Turner
non fosse stato l’artista che era.
Ma era un regista così grande
e lavorava con tale perizia e
gusto che riuscì nell’intento: i
suoi quadri ci offrono una
J. M. WILLIAM TURNER
Snow Storm: Steam-Boat off a Harbour's Mouth,1842
visione della natura colta nei
Oil on canvas, 91 x 122 cm
suoi aspetti più romantici e sublimi. La Tate Gallery, London
figura accanto mostra una delle più ardite pitture di Turner, una nave col mare in
piena burrasca. In questa vorticosa composizione nessuno potrebbe ricostruire la
presenza di un battello ottocentesco. Egli si limita a darci l’impressione dello scafo
scuro, della bandiera che sventola sul pennone, di una battaglia con il mare
infuriato tra raffiche minacciose.
Quasi ci sembra di sentire l’imperversare del vento e l’impeto delle ondate. Non
abbiamo il tempo di cerare i particolari, inghiottiti dalla luce folgorante e dalle
ombre oscure della nuvola tempestosa. Io non so se una tempesta in mare abbia
davvero questo aspetto. Ma per certo leggendo un poema romantico o
ascoltando certa musica romantica ci immaginiamo una tempesta travolgente e
terribile come questa. In Turner la natura riflette sempre le emozioni dell’uomo. Ci
sentiamo piccoli e sopraffatti dinanzi alle potenze che sfuggono al nostro
controllo, e siamo costretti ad ammirare l’artista che sa tenere in pugno le forze
della natura.
John Constable aveva idee assai diverse. Per lui la tradizione che Turner si
proponeva di emulare e sorpassare non era che un intralcio. Ammirava i grandi
maestri che lo avevano preceduto ma voleva dipingere quel che vedeva con i
suoi occhi, non con quelli di Raffaello, di Giorgione o di chiunque altro.
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A Constable non interessava guardare la natura come un piacevole sfondo per
scene idilliache,
egli non voleva altro che la verità. Secondo il grande
pittore inglese, i paesaggisti alla moda escogitavano un gran numero di facili
espedienti per far piacere i propri quadri e grazie ai quali qualsiasi dilettante
poteva comporre un quadro piacevole ed efficace. Ad esempio, un albero
maestoso in primo piano poteva mettere in risalto il panorama retrostante, i toni
caldi dovevano stare in primo piano, lo sfondo doveva sfumare in tinte azzurro
pallido, c’erano trucchi per imitare la corteccia di una quercia nodosa. Constable
disprezzava tutti questi espedienti, voleva solo restare fedele alla propria visione. Il
dipinto sottostante rese celebre Constable quando fu esposto a Parigi nel 1824.
JOHN CONSTABLE
The Hay-Wain,1821
Oil on canvas, 130 x 185 cm
National Gallery, London
Rappresenta una semplice scena rustica, un carro di
fieno che attraversa un fiume. Dobbiamo perderci nel
quadro, osservare le macchie di sole sui prati dello sfondo e contemplare le
nuvole vaganti. Dobbiamo seguire il corso del fiume e indugiare accanto al
mulino, reso in modo tanto dimesso e semplice per potere apprezzare l’assoluta
sincerità dell’artista, il suo rifiuto nel calcare troppo la mano per cercare l’effetto
speciale e attrarre la benevolenza del pubblico, la totale assenza di posa e di
pretese.
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Lo spezzarsi della tradizione aveva posto gli artisti di fronte a due possibilità,
impersonate da Turner e Constable: diventare poeti della pittura, cercando effetti
mossi e drammatici, o decidersi a restare fedeli a un tema scelto, esplorandolo
con tutto lo scrupolo e la tenacia possibili.
Ci furono certamente grandi artisti tra i pittori romantici d’Europa, uomini come
Caspar David Friedrich (1774-1840), le cui pitture di paesaggi riflettono lo
stato d’animo della lirica romantica del tempo, a noi familiare soprattutto
attraverso i Lieder1 di Schubert. Il quadro sottostante, che rappresenta un tetro
scenario montano, cela un contenuto allegorico di natura religiosa: il primo piano
e la valle simboleggiano l’esistenza terrena minacciata dalla morte – gli alberi
secchi – e dall’ignoto futuro – la nebbia -, le rocce alludono alla Fede, i monti a
Dio.
Ma benché grande e
meritato sia stato il
successo che alcuni di
questi pittori romantici
ebbero in vita, oggi
riteniamo
che
si
guadagnarono
una
fama più duratura
coloro che, seguendo
le orme di Constable,
invece di evocare
stati d’animo poetici
tentarono di esplorare
il mondo visibile.
CASPAR DAVID FRIEDRICH
Riesengebirge Landscape with Rising Fog,1819-20
Oil on canvas, 55 x 70 cm
Neue Pinakothek, Munich
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Pablo Echaurren Controstoria dell’arte (Roma 2011)
1
Lied (plurale Lieder) è una parola tedesca, che significa letteralmente "canzone" (o romanza). Tipicamente
i Lieder sono composizioni per voce solista e pianoforte. Talvolta più Lieder sono uniti in Liederkreise, o
"cicli", ossia una serie di canzoni (generalmente tre o più) legate da un singolo tema narrativo. I compositori
Franz Peter Schubert e Robert Schumann sono spesso strettamente associati a questo genere musicale.
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