Nuove guerre, guerre interstatali, guerra globale
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Nuove guerre, guerre interstatali, guerra globale
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Essi configurano una tendenza, un processo di trasformazione rispetto al quadro precedente della guerra fredda, sulle cui caratteristiche il dibattito tra gli studiosi è aperto. Vale forse la pena di coinvolgere gli studenti in una riflessione, per offrire loro – per afferrare con loro – chiavi e strumenti di lettura di questo lato del nostro presente: in modo aperto, problematico, provvisorio, esattamente come il dibattito in corso. Un percorso che assumesse a suo oggetto di interesse il tema dei conflitti dopo la guerra fredda dovrebbe perseguire, a nostro parere, competenze cognitive e competenze sociali: far acquisire agli studenti chiavi di lettura degli eventi internazionali più recenti, ma anche sperimentare con gli studenti stessi possibilità di partecipazione alle vicende di quello spazio pubblico e condiviso che è il mondo, contribuendo a creare una percezione della storia come costruzione collettiva, come insieme di eventi e processi al cui svolgimento contribuiscono le scelte e le azioni di ogni individuo. Vi è consapevolezza da parte di chi scrive che queste finalità non si possano costruire solamente attraverso la proposizione di contenuti e apparati concettuali. Diventa cruciale l’approccio didattico – educativo, e da questo punto di vista la scelta più idonea ci appare quella della didattica laboratoriale da un lato – didattica della ricerca, dell’interrogazione, del dubbio, in grado di rendere consapevoli gli studenti della complessità dei problemi; della didattica della partecipazione dall’altro lato, capace di prevedere occasioni di spendibilità pubblica delle compeStrumentiCres ● Febbraio 2006 tenze/conoscenze acquisite. In questo articolo, tuttavia, rinunciamo a parlare di opzioni metodologiche. Non discutiamo nemmeno le obiezioni possibili alla proposta di un percorso su eventi così recenti (la eccessiva attualità dei fatti, i vincoli contenutistico – temporali del programma, ecc.) limitandoci a ribadire semplicemente la sua fattibilità e utilità formativa. Proponiamo, invece, concetti chiave e modelli di interpretazione dei conflitti degli ultimi quindici anni a nostro giudizio didatticamente utilizzabili, presi a prestito dalla ormai abbondante letteratura sull’argomento. Le “nuove guerre” Per denominare e distinguere la specificità dei conflitti del dopo guerra fredda, alcuni analisti propongono il concetto di “nuove guerre”. Le “nuove guerre” sono quelle che si sottraggono al modello clausewitziano: guerra come prosecuzione della politica di potenza dello Stato con altri mezzi, come espressione di un calcolo razionale dello Stato impegnato a perseguire i suoi interessi, come attività monopolizzata dallo Stato. Le “nuove guerre” “non sono più appannaggio esclusivo o prevalente degli attori statuali …e non vengono più combattute tra eserciti regolari, ma tra di essi e le milizie originate dai popoli, o direttamente tra questi ultimi”. Non sono, in genere, conflitti tra stati fatti allo scopo di estendere la propria potenza, ma “conflitti interni, variamente configurabili come guerre civili, guerre tribali, etniche o religiose, o guerre economiche scatenate da bande criminali per il controllo di risorse disputate (Coralluzzo, 2003). Herfried Münkler, professore di scienza della politica alla Humboldt-Universität di Berlino, suggerisce che la costellazione nella quale si inscrivono le nuove guerre, espressione della crisi dello Stato-nazione, presenta molti paralleli con le guerre che hanno accompagnato il processo di formazione della statualità europea. In particolare, il parallelo è con la guerra dei Trent’Anni. Non solo perché nella guerra combattuta tra il 1618 e il 1648 la violenza fu scatenata anche nei confronti della popolazione civile, ma soprattutto per la ragione che in essa il processo di statalizzazione non era ancora compiuto, cosicché gli attori del conflitto non erano solo gli Stati, ma anche entità statali e private. Così come avviene in 3 molte delle più recenti guerre. Due condizioni sarebbero all’origine di questo tipo di conflitti: a la crisi di sovranità dello Stato – nazione, cioè a dire l’indebolimento degli apparati statuali, sempre più incapaci di mantenere il controllo del territorio e il monopolio sulla forza armata; processo, questo, a cui non è estraneo quel complesso di fenomeni che va sotto il nome di globalizzazione. b L’abbassamento della soglia di accesso al possesso di armi anche sofisticate, provocato dalla dispersione di conoscenze, tecnologie, risorse finanziarie; ciò fa sì che possano diventare soggetti dei conflitti “gruppi privati…, bande criminali, organizzazioni non governative e networks transnazionali (come Al Qaeda), specializzati nell’uso della violenza e annidati là dove il sistema internazionale sprigiona le più forti tensioni politiche, economiche, sociali, culturali, etniche, religiose e demografiche” (Coralluzzo, 2003). Molte delle “nuove guerre”, specie quelle interne, vengono fatte discendere da alcuni studiosi (Desiderio, 2003; Lellouche, 1992) dalla conclusione della Guerra Fredda e del suo rigido bipolarismo, che aveva paralizzato qualsiasi Stato e costretto a mantenere inalterato il suo assetto; fiaccatasi questa forza, sarebbe venuto meno il vincolo che tratteneva Stati artificiosamente compattati che, di conseguenza, sono esplosi (v. la ex Iugoslavia). “In breve: all’ordine – che era anche un elemento semplificatore – costituito dal duplice spartiacque ideologico e nucleare del mondo di ieri succede il caos delle nazioni, quel caos che ormai nessuna forza, nessuno stato pare riuscire da solo a ricondurre all’ordine ” (Lellouche). Mary Kaldor (1999) sottolinea che la motivazione fondamentale alla base di queste guerre interne non più compresse dall’ordine bipolare è la “politica dell’identità”, sostenuta spesso da gruppi settoriali animati da obiettivi particolaristici, capaci di mettere in crisi, con la loro azione violenta, gli stessi meccanismi di legittimazione degli stati. Sarebbe questo il caso soprattutto dei conflitti nell’Europa balcanica, nell’ex Urss, nell’Africa centrale, dove peraltro non sembrano essere assenti ragioni anche di natura più specificamente economica. Klare (2001) insiste proprio su questo aspetto, cioè sul fatto che molti conflitti discendono dallo scopo di accedere in modo privilegiato a risorse giudicate strategiche (dal petrolio all’acqua al legname pregiato ai diamanti). Vicino a questa posizione ci sembra essere anche il gruppo di studiosi che fa capo alla rivista “Le monde diplomatique”. All’obiettivo di controllare le risorse economiche chiave andrebbero ricondotte alcune delle guerre civili e tra stati di questi ultimi anni: Sierra Leone, ex Zaire, Israele - Paesi arabi. Mary Kaldor sottolinea i diversi modi in cui le nuove guerre vengono combattute rispetto al passato. Ad agire sono molto spesso gruppi paramilitari, eserciti irregolari, signori della guerra che adottano, più che la tattica dello scontro frontale, le strategie della guerriglia, puntando al controllo del territorio e della popolazione anche attraverso metodi terroristici 4 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ come le deportazioni, le uccisioni di massa, ecc. In queste guerre, l’economia viene devastata, lo stato perde la sua legittimazione, si ha lo scontro tra bande. Il monopolio statale della violenza viene eroso da un processo di privatizzazione della guerra, dalla guerra reciproca tra gruppi particolaristici. La crisi della centralità dello Stato nelle forme contemporanee di conflittualità determina il progressivo venir meno delle distinzioni tradizionali tra guerre civili e guerre tra stati, e tra la guerra stessa e altre forme di violenza organizzata, quali il terrorismo internazionale. Quest’ultimo viene ormai percepito come uno dei soggetti che con maggiore virulenza agisce sulla scena delle relazioni internazionali, come protagonista e come obiettivo di “guerre del terrore” e “guerre contro il terrore” che si svolgono su scala planetaria. Anche il terrorismo sembra aver cambiato natura: soprattutto il terrorismo religioso tenderebbe a colpire non più obiettivi limitati e circoscritti (come il terrorismo di matrice politica), ma ad impiegare una violenza globale e illimitata, dati i suoi scopi generali, ideologici, “metafisici”. E ad ingaggiare una vera e propria “guerra universale”, come è dimostrato dai drammatici attentati dell’11 settembre 2001 (Heisbourg, Laqueur). I conflitti interstatali Le “nuove guerre” non sono le uniche; ad esse si intrecciano i conflitti di cui sono protagonisti gli Stati, con i loro apparati organizzativi e le loro risorse tecnologiche e finanziarie: conflitti forse più tradizionali nel senso dei soggetti, ma non delle caratteristiche e delle motivazioni, tanto che anche ad esse potremmo dare la denominazione di “nuove guerre”, utile a marcarne la differenza con le guerre “tradizionali” del periodo precedente l’89. Anche le guerre interstatali vengono ricondotte alla particolare situazione creatasi alla fine della guerra fredda, una situazione di vuoto di potere politico a livello internazionale, a cui segue il tentativo, da parte della superpotenza vincitrice, gli Usa, di riformulare il suo ruolo internazionale in quello di “guardiano del mondo”. Sarebbe questa la ragione di alcuni conflitti degli ultimi anni, come l’intervento Nato (in gran parte statunitense) in Kossovo e nella prima guerra del Golfo. Qui la chiave di lettura politica si intreccia con quella economica, che insiste sul nesso tra guerra e processo di globalizzazione: alcune guerre verrebbero combattute dagli Stati che vogliono acquisire un qualche vantaggio o una collocazione privilegiata nel contesto della competizione economica internazionale. Soprattutto gli Usa si distinguerebbero in questo senso, mediante il ricorso al loro enorme dispositivo militare. Dinucci (2003) spiega ad esempio lo spostamento di risorse militari effettuato dagli Usa verso l’area asiatica con la necessità che gli americani hanno di tenere sotto controllo le ampie risorse energetiche del Mar Caspio, seguendo nel contempo da vicino la situazione della potenza economica emergente cinese. Una possibile chiave di analisi per questo tipo di conflitti è quella, ormai famosa, proposta da S. StrumentiCres ● Febbraio 2006 Huntington, dello scontro di civiltà, secondo la quale alle vecchie contrapposizioni ideologiche si sarebbero sostituite le contrapposizioni tra un certo numero di macroregioni enutesi a delineare sulla base di elementi di omogeneità culturali (la religione, prima di tutto), guidate da alcuni stati forti destinati a diventare i principali protagonisti del conflitti del periodo post- guerra fredda. Le nuove guerre sopra descritte e il terrorismo globale mostrerebbero come gli Stati non siano più i protagonisti esclusivi delle relazioni internazionali. Alcuni osservatori (Marcelli) non mancano tuttavia di sottolineare come la privatizzazione della guerra e la perdita del monopolio della violenza da parte dello IL MODELLO DI GUERRA MODERNA Nato a Westfalia (1848). Si fonda sul riconoscimento del pluralismo politico e giuridico degli stati nazionali, territoriali e sovrani. Questi sono i soggetti riconosciuti dei conflitti. Si contrappone all’universalismo politico-spirituale della Chiesa e dell’Impero. Abbandona l’idea di “guerra giusta”, o la pretesa di stabilire chi tra due contendenti sia nel giusto o nel torto; riconosce che ogni contendente è in grado di sostenere la legittimità della propria guerra. E’ una guerra spazializzata: si combatte per la conquista di aree territoriali. Si concentra sulla definizione di regole e di procedure formali per la disciplina delle condotte belliche (dichiarazione della guerra, pattuizione della pace) tenta di intervenire sugli effetti più distruttivi dei conflitti tra gli stati (convenzione di Ginevra, difesa delle vittime di guerra, trattati sul bando di armi particolari…). Disegna un sistema pattizio di sicurezza collettiva che, pur non rinunciando all’uso della forza a garanzia dell’ordine internazionale, mette al bando la guerra, intesa come ricorso “privato” all’uso delle armi da parte di un singolo stato (Società delle Nazioni, Onu). StrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Stato siano processi che riguardano le entità statali più deboli. Mentre per quelle più forti, si conferma e si rafforza il legame tra guerra e stato (e globalizzazione): la guerra sembra essere uno degli strumenti in mano agli stati più forti per garantirsi un ruolo di direzione nel sistema mondiale delle relazioni politico - economiche, un modo per promuovere e plasmare a proprio vantaggio i processi di transnazionalizzazione che avanzano a livello tecnologico, economico, demografico (S. Sassen). La conferma più eclatante di questa analisi verrebbe dai conflitti in Iraq, Kossovo, Afghanistan, conflitti caratterizzati da un massiccio dispiegamento di uomini, armi, tecnologie (i cosiddetti “missili intelli- IL MODELLO DI GUERRA GLOBALE Affermatosi con la guerra del Golfo, la duplice guerra dei Balcani, la guerra in Afghanistan, la guerra contro l’Iraq. Consiste in quattro determinazioni concettuali: 1 - E’ condotta all’insegna di una strategia che il suo attore principale – gli USA - orienta verso obiettivi universali come la sicurezza globale e l’ordine mondiale, e non verso la conquista di spazi territoriali da occupare stabilmente. L’interesse che viene perseguito con la forza delle armi è la stabilità dell’ordine mondiale in un quadro di accresciuta interdipendenza dei fattori internazionali. Si tratta di garantire agli Usa e alle altre potenze industriali il libero e regolare accesso alle fonti energetiche e alle materie prime, la sicurezza dei traffici e la stabilità dei mercati mondiali. Si tratta insomma di garantire lo sviluppo dei processi di globalizzazione economica in un quadro di elevata e crescente asimmetria delle relazioni internazionali (aspetto geopolitico). 2 - E’ combattuta per decidere chi assumerà la funzione di leadership entro il sistema mondiale delle relazioni internazionali, chi imporrà le regole sistemiche, chi avrà il potere di modellare i processi di allocazione delle risorse di ricchezza e di potere, e chi potrà far prevalere la propria visione del mondo (aspetto sistemico). 3 - E’ una guerra sovrana e illimitata perché sottratta sia al divieto dell’uso privato della forza da parte degli Stati, stabilito dalla Carta dell’Onu, sia alle norme del diritto bellico sviluppate dall’ordinamento internazionale moderno. E’ una guerra decisa da un’autorità che si ritiene fonte sovrana di un nuovo Nomos della terra in una situazione – la minaccia del terrorismo globale – do eccezione globale permanente (aspetto normativo). 4 - E’ combattuta mediante il richiamo a valori universali da parte delle potenze (occidentali) che la promuovono: esse giustificano la guerra in nome non di interessi di parte, ma di un punto di vista superiore e imparziale e di valori che si ritengono condivisi o condivisibili dall’umanità intera. E’ la guerra unilaterale delle “forze del bene” contro le “forze del male”. E’ la “guerra umanitaria” contro i nemici dell’umanità che negano l’universalità di valori come la libertà, la democrazia, i diritti umani, il mercato. Questa ideologia giustifica l’abbandono del vecchio principio vestfaliano della non interferenza negli affari interni degli altri Stati e la proclamazione di un principio opposto: il dovere degli Usa di intervenire con la forza per porre fine alla violazione di diritti fondamentali all’interno di uno stato. E’ il monoteismo neoimperiale della “guerra umanitaria” (aspetto assiologico). 5 genti”, i proiettili a uranio impoverito, i bombardieri stealth, invisibili ai radar) che solo Stati sovrani ricchi di risorse finanziarie, tecnologico-industriali e organizzative (nella fattispecie, gli Usa e i Paesi Nato) hanno potuto mettere in campo. La guerra globale La “guerra globale” è il concetto che alcuni analisti (Zolo, Galli) adottano per indicare le nuove caratteristiche delle relazioni interstatuali e della guerra nell’epoca del monopolarismo statunitense. La “guerra globale”è soprattutto quella condotta dagli Usa, i principali responsabili e protagonisti delle tensioni internazionali degli anni post guerra fredda. Essa è un nuovo modello di conflitto (che i fatti dell’11 settembre 2001 hanno accelerato) che sta prendendo il posto della guerra moderna, nata a Westfalia nel 1648 e combattuta sostanzialmente fino al compimento della guerra fredda. BIBLIOGRAFIA Coralluzzo V. , Nuovi nomi per nuove guerre. Capire i conflitti del XXI secolo, in “Guerre Globali”, A. D’Orsi (a ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ cura di), Carocci, Roma, 2003. Desiderio Alfonso, Atlante geopolitico, Editori Riuniti, Roma, 2003 Dinucci Manlio, Il potere nucleare, Fazi ed., Roma, 2003 Galli Carlo, La guerra globale, Roma – Bari, Laterza, 2002 Heisbourg F., Iperterrorismo. La nuova guerra, Meltemi, Roma, 2002 Huntington Samuel, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, Milano, 2000 Kaldor Mary, Le nuove guerre, Carocci, Roma, 1999 Klare Michael, La guerra delle materie prime, in Lettera Internazionale n° 69, 2001 Laqueur W., Il nuovo terrorismo, Corbaccio, Milano, 2002 Lellouche Pierre, Il nuovo mondo. Dall’ordine di Yalta al disordine delle nazioni (1992) Il Mulino, Bologna, 1994. Le Monde Diplomatique/Il Manifesto, Atlante, edizioni di Le Monde dip./Il Manifesto, Roma, 2003 Marcelli Fabio, La crisi del diritto internazionale e il ruolo dell’ONU, in Giano n° 44, 2003 Sassen Saskia, Globalizzati e scontenti. Il destino delle minoranze nel nuovo ordine Mondiale, Milano, Il Saggiatore, 2002 Zolo Danilo, Globalizzazione, Roma – Bari, Laterza, 2004 Uno strumento per porsi domande Proponiamo qui di seguito una cronologia ragionata comprendente dodici schede di conflitti verificatisi dalla fine della guerra fredda al 2003, selezionati per la loro emblematicità rispetto allo stato delle relazioni internazionali venutosi a creare negli ultimi quindici anni. Può essere uno strumento utile per far partire una ricerca, ponendosi domande circa la natura dei conflitti, le loro cause, i soggetti e i progetti che li hanno alimentati, ecc.2 1991 GUERRA DEL GOLFO Nel gennaio del 2001 una coalizione militare internazionale sotto il comando statunitense e con l’egida dell’ONU muove guerra all’Iraq di Saddam Hussein. La motivazione ufficiale è la liberazione del Kuwait, annesso l’anno prima dall’Iraq con un atto di forza, e il ripristino della legalità internazionale. Molti osservatori spiegano l’intervento armato con l’interesse delle potenze occidentali per il controllo dell’area mediorientale, ricca di petrolio. Alla coalizione internazionale parteciparono anche numerosi paesi arabi. La guerra durò un mese e fu caratterizzata da massicci bombardamenti aerei e attacchi via terra. Si concluse con la disfatta dell’esercito iracheno e il suo ritiro dal Kuwait. All’Iraq fu imposto un durissimo embargo, che durò fino al 2003. 1991 GUERRA CIVILE NELLA EX IUGOSLAVIA Nel settembre 1991 esplode la guerra tra la Serbia e la Croazia, due delle sei repubbliche autonome che avevano fino ad allora costituito la repubblica federale iugoslava, nata all’indomani della seconda guerra mondiale, che era stata fino ad allora uno Stato multietnico assai variegato, tenuto insieme dall’autorità del suo presidente, Tito, e da un quadro internazionale rigido, caratterizzato dalla guerra fredda. La morte di Tito prima, poi la fine della guerra fredda, unita all’esplosione di una grave crisi economica scatenano i conflitti etni- 6 co – religiosi. Le repubbliche più ricche – Slovenia e Croazia – non vogliono accollarsi il peso economico delle repubbliche più povere. La Serbia, la repubblica più forte militarmente, punta alla conservazione dell’unità dello stato sotto la sua egemonia. Di fronte alla dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia e alla conseguente dissoluzione della Federazione, la Serbia risponde con l’intervento militare, motivato anche con la necessità di proteggere la minoranza serba residente in Croazia. Appare in questa fase la brutale pratica della “pulizia etnica”, l’eliminazione anche fisica da un territorio delle minorananze non appartenenti al gruppo etnico, religioso, linguistico maggioritario. Nel marzo del 1992 è coinvolta nella guerra anche la Bosnia, dichiaratasi a sua volta indipendente, fino ad allora terra di convivenza tra musulmani, croati, serbi. Segue un bagno di sangue con circa 200.000 morti. La comunità degli stati europei non riesce a intervenire per evitare una guerra civile nel cuore dell’Europa. Anzi, alcuni atteggiamenti – come il frettoloso riconoscimento dell’indipendenza di Croazia e Slovenia da parte di Germania e Vaticano – alimentano il conflitto. Gli Usa, prima restii ad ogni intervento politicomilitare, mutano poi atteggiamento intervenendo militarmente contro i serbi che assediano Sarajevo e promuovendo, nel 1995, gli accordi di Dayton tra musulmani, serbi e croati, per por fine alla guerra. La StrumentiCres ● Febbraio 2006 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212 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economico – derivante dal fallimento dei progetti di modernizzazione – favorisce la crisi dei gruppi dirigenti di matrice laica e militare e il rafforzamento dei gruppi islamisti radicali. Nel gennaio del 1992, le prime elezioni libere vedono la vittoria di un partito integralista islamico. L’esercito annulla le elezioni, scatenando la reazione degli integralisti e la repressione dell’esercito: è l’inizio di una sanguinosa guerra civile ancora oggi non del tutto conclusa, che ha fatto finora più di duecentomila morti. 1994 GUERRA IN CECENIA la dissoluzione dell’URSS provoca lo scatenamento di guerre a sfondo etnico in molte regioni del vecchio impero sovietico. Particolarmente cruente quelle che scoppiano nella regione del Caucaso: tra azeri e armeni, in Georgia, in Cecenia. La rivolta della Cecenia esplode nell’autunno del 1991. L’ex generale dell’Armata Rossa Giokhar Dudayev proclama l’indipendenza di quella che è una repubblica autonoma interna alla Federazione russa, simile a una regione italiana a statuto speciale. Una decisione che Mosca - dopo aver offerto invano uno status di autonomia - tenterà di cancellare nel 1994 con l’invio dei carri armati. La prima fase della guerra si conclude nel settembre del 1996 con la firma di una tregua che però non soddisfa i ceceni, il cui obiettivo era la piena indipendenza da Mosca. Nell’estate del 1999 gli scontri però riprendono con maggiore virulenza accompagnati da sanguinosi attentati a Mosca. Dopo mesi di combattimenti la bandiera russa nel febbraio 2000 torna a sventolare sulla capitale Grozny, ridotta ad un cumulo di macerie. La guerra però continua, e fa migliaia di morti ogni anno, sia fra i ribelli che fra i militari russi. ComStrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ plessivamente, dal 1994 i morti in Cecenia sono stati circa 100.000 (stando alle stime più pessimistiche), i profughi più di 200 mila. Nella regione, intanto, le forze islamiche allargano la loro influenza. Gruppi wahabiti infatti hanno conquistato alcune aree e imposto la legge islamica. Le ragioni possibili dell’intervento russo in Cecenia possono essere le seguenti: - ragioni elettorali (la popolazione russa chiede provvedimenti decisi dopo gli attentati); - ragioni geostrategiche: evitare la perdita del Daghestan, forse punto di passaggio obbligato dei gasdotti dal Mar Caspio verso la Russia (la Cecenia sta fra la Russia e il Daghestan), riaffermare il controllo russo sulla regione caucasica giacché la secessione delle repubbliche di quest’area taglierebbe fuori la Russia dalle vie di esportazione del petrolio del Caspio; - ragioni politiche: assestare un duro colpo al fondamentalismo islamico armato che ormai estende la sua influenza dal Tagikistan al Kirgizistan. Salvo formali reazioni verbali, la Comunità internazionale sta a guardare, intimorita dall’importanza economica e militare della Russia. 1994 GUERRA CIVILE IN RUANDA Tra il 1994 e il 1996 il piccolo stato del Ruanda, uno dei più poveri del continente africano, diventa teatro di una sanguinosa guerra tra le due etnie dei tutsi e degli hutu che provoca la morte di centinaia di migliaia di persone e che dà luogo a un gigantesco flusso di profughi verso i paesi vicini. La posta in palio è il controllo delle leve del potere e il regolamento di conti tra le due etnie in contrasto da tempo. Viene criticato l’atteggiamento dell’ONU, o meglio, delle potenze che determinano la politica dell’ONU, Usa in testa: contingenti di caschi blu assistono inerti al massacro senza ricevere l’ordine di intervenire. 1996 GUERRA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO Con la caduta di Mobutu e la salita al potere di Kabila (1996), la Repubblica democratica del Congo ha vissuto una lunghissima guerra civile scatenata da gruppi ribelli sostenuti dagli Stati vicini, soprattutto Uganda e Ruanda. Intere zone del paese sono passate sotto il controllo dei ribelli e il “dialogo intercongolese” organizzato in Sudafrica non ha finora portato a risultati significativi. Lo stallo politico permanente, il persistere di interventi militari di paesi stranieri, la frammentazione crescente del territorio sono dovuti principalmente alle bramosie per le ricchezze minerarie del paese, che sono in realtà la posta in palio di questa guerra: lo Zimbabwe finanzia il suo impegno militare con contratti sul legname e i diamanti, mentre nelle province dell’est il boom del coltan sostiene l’impegno bellico ruandese e gli ugandesi si arricchiscono con l’oro e i diamanti, oltre che con l’abbattimento della foresta tropicale, tramite vari signori della guerra. Una guerra complessa che è stata definita la prima “Guerra Mondiale Africana”. 1996 IL CONFLITTO DEL KOSOVO A partire dal 1996 si avvia in Kosovo, provincia serba a maggioranza albanese, una guerriglia indipendentista contro il governo di Milosevic, che aveva privato quel territorio della sua precedente autonomia. Alla guerriglia segue una feroce repressione dell’esercito serbo, diretta anche contro la popolazione civile albanese, che raggiunge il culmine nel 1998. Unione Europea e ONU, divise ognuna al loro interno, 7 si mostrano incapaci a intervenire. Immediato, invece, l’intervento militare degli Usa e della Nato, motivato con le ragioni di una guerra “umanitaria” a favore della popolazione albanese. Tra marzo e giugno 1999 Kosovo e Serbia sono furiosamente bombardati, finché i serbi ritirano le loro truppe dal Kosovo, rimasto da allora sotto il controllo delle forze Nato in attesa di una decisione definitiva circa il suo status. 1999 IL CONFLITTO TRA INDIA E PAKISTAN PER IL CONTROLLO DEL KASHMIR Da anni gruppi islamisti secessionisti operano nella regione indiana del Kashmir, a forte presenza musulmana. Sostenuti militarmente dal confinante Pakistan, fanno ricorso ad attentati terroristici, a cui fa regolarmente seguito la repressione delle forze armate indiane. I morti sono ormai migliaia. Nel 1999, un anno dopo i test nucleari effettuati da entrambi i paesi, la guerra di Kargil, alla frontiera tra il Kashmir indiano e quello pakistano, ha sottolineato una volta di più il rischio nucleare. Nel primo semestre 2002 si è rischiata una nuova guerra. Sotto pressione statunitense, il Pakistan ha poi annunciato la sua decisione di non sostenere più il terrorismo islamico in Kashmir. Rimane tuttavia aperta la richiesta di una soluzione politica del conflitto. 2000 LA SECONDA INTIFADA E L’INTENSIFICAZIONE DEL CONFLITTOISRAELO-PALESTINESE Nel settembre del 2000 scoppia la seconda Intifada (“rivolta” in arabo), dopo la provocatoria visita di Sharon, capo della destra israeliana e futuro capo del governo, sulla spianata delle Moschee, luogo sacro dei musulmani palestinesi. La nuova rivolta palestinese vanifica l’accordo del 1993 per la nascita di uno stato palestinese a fianco di quello israeliano già esistente. L’Intifada vuole l’indipendenza dei territori palestinesi occupati da Israele trent’anni prima. Al suo interno le posizioni fondamentaliste rifiutano di riconoscere l’esistenza di uno Stato ebraico in Palestina: esse praticano la strategia degli attentati suicidi, seminando la morte tra i civili israeliani. La repressione israeliana è durissima. A fine 2002, il bilancio è di 2000 morti palestinesi e di 672 vittime israeliane. I militari israeliani occupano le città, distruggono le infrastrutture, favoriscono nuovi insediamenti di coloni. Il governo israeliano procede alla costruzione di un muro che implica l’annessione di nuove terre, le cui popolazioni saranno trasferite. Gli organismi internazionali non riescono a fermare la spirale di occupazione, attentati, repressione. Gli Usa, da sempre schierati con Israele, appaiono agli occhi dell’intero mondo arabo i difensori dell’arrogante politica coloniale del governo Sharon. 11 SETTEMBRE 2001 ATTACCO TERRORISTICO ALLE TORRI GEMELLE DI NEW YORK L’11 settembre del 2001 quattro aerei di linea vengono dirottati simultaneamente e lanciati contro una serie di obiettivi statunitensi: le Twin Towers di New York, il Pentagono, la Casa Bianca (verso cui era probabilmente diretto il quarto aereo caduto in Pennsylvania). Gli attentati provocano circa tremila morti. Essi vengono attribuiti alla rete terroristica globale Al Qaeda, di matrice integralista islamica, diretta dallo sceicco saudita Osama Bin Laden che si pone lo scopo esplicito di ridimensionare la presenza degli “infedeli” (gli occidentali e, specificamente, gli Usa) nei luoghi santi dell’Islam, in Arabia Saudita e, più in ge- 8 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ nerale, nel mondo arabo. Per perseguire questo scopo, adotta una strategia terroristica globale di cui l’11 settembre costituisce l’atto più grave e distruttivo. L’atto terroristico viene interpretato da alcuni come la conferma della tesi sullo “scontro di civiltà” o sulla “nuova anarchia internazionale”, da altri come l’inizio di una strisciante terza guerra mondiale, da combattersi nelle forme della “guerra asimmetrica” e della “guerra senza limiti” e con le nuove armi di distruzione di massa ormai a disposizione, secondo l’intelligence statunitense, di svariati gruppi terroristici operanti a livello globale. Da allora si è modificato profondamente l’atteggiamento e le dottrine strategiche degli Usa, con rilevanti conseguenze sul sistema delle relazioni internazionali nel suo complesso. Il suo effetto più immediato è l’accentuarsi dell’unilateralismo Usa, che non esita a scatenare “guerre preventive” giustificate in nome della “guerra al terrore” e della difesa degli interessi e della sicurezza nazionale. OTTOBRE 2001 INTERVENTO USA IN AFGHANISTAN Il primo esempio del nuovo corso statunitense è l’intervento militare degli Usa in Afghanistan contro il regime integralista dei talebani, accusati di ospitare e sostenere capi e basi logistiche dell’organizzazione terroristica Al Qaeda. L’intervento statunitense riceve l’appoggio della comunità internazionale e si conclude con l’abbattimento del regime talebano, ma senza che i capi di Al Qaeda vengano catturati. Conclusa la guerra, si avvia nel Paese una transizione verso nuovi equilibri politici molto incerta, contrastata da ripetuti attentati terroristici ai danni del contingente multinazionale ancora installato nel Paese. 2003 INTERVENTO USA IN IRAQ E CADUTA DEL REGIME DI SADDAM HUSSEIN Nel marzo 2003 gli Usa attaccano l’Iraq di Saddam Hussein, accusato di possedere armi di distruzione di massa e di essere colluso con le forze del terrorismo internazionale, in funzione anti statunitense. La Gran Bretagna sostiene gli USA, mentre contro si schiera gran parte della comunità internazionale (la Francia, la Germania e gran parte dell’Europa, la Russia), che non ritiene fondate le accuse. L’Onu non fornisce il suo appoggio all’iniziativa militare Usa che, in base al principio della guerra preventiva, decidono di intervenire in modo unilaterale. Nel giro di poche settimane, il regime di Saddam viene travolto. Come per l’Afghanistan, anche per l’Iraq, sottoposto ad un’amministrazione anglo - statunitense, la guerra ha messo fine a un regime tirannico, dando però avvio a una transizione politica incerta e drammatica, caratterizzata dalla presenza di una forte guerriglia, da ripetuti e sanguinosi attentati terroristici, dal rischio reale di una guerra civile capace di disgregare l’unità territoriale del paese. 1 Il presente contributo è parte di un lavoro più ampio su “Le relazioni internazionali dalla fine della guerra fredda ad oggi (1991-2003): l’affermazione dell’“impero americano””, lavoro che si può trovare sul sito dell’associazione IRIS (www. storieinrete.org oppure http://digilander.iol.it/scoba/storia/index.html ), curato dagli insegnanti – ricercatori Elisabetta Assorbi, Dino Barra, Maurizio Gusso, Daniela Invernizzi, Sandra Morini, Mariangela Peghetti, Nicola Scognamiglio. 2 Riferimenti bibliografici: Atlante di Le Monde Diplomatique, 2003; Alfonso Desiderio, Atlante geopolitico, Editori Riuniti, 2003 StrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ESPERIENZE EDUCATIVE Migranti siamo noi Parole, canti, immagini di italiani oltre frontiera Barbara Pincardini, Giovanna Stanganello* Il progetto Intercultura dell’Itsos Marie Curie di Cernusco sul Naviglio ha proposto ai ragazzi del biennio un viaggio all’incontrario: dai viaggi dei migranti di oggi, sulle bagnarole che solcano il Mediterraneo, ai viaggi degli Italiani che dall’ottocento in poi , per molti decenni, andarono a cercare ricchezze sognate in America, in Australia, in Germania, nel nord Italia. Andata e ritorno, in realtà per molti viaggio di solo andata. Il ritorno c’è nei sogni, in un futuro che non arriva mai come quello che era stato sognato. Facciamo un po’ di soldi e poi torniamo. Poi non si torna. I figli crescono i nipoti arrivano e si rimane sospesi, così, né qui né là. E sono stati proprio i ragazzi che più temono gli immigrati a essere stupiti di ritrovarsi a propria volta figli di migranti. E’ proprio passando dal proprio vissuto che si comprende, che ci si apre all’altro, riconoscendo imprevedibilmente stati d’animo e desideri di fuga dalla povertà avvilente, di vita e, perché no, di avventura, di scoperta. Il nostro percorso ha utilizzato molteplici fonti (narrativa, poesia, film, canzone) ed ha avuto come epilogo la raccolta diretta di testimonianze da parte degli studenti. Nel prossimo numero della rivista pubblicheremo le interviste che hanno fatto ai propri genitori e nonni. L’immagine iniziale del percorso, che si intitola “Migranti siamo noi”, prende il via dal film di Gianni Amelio Lamerica. L’America, questa volta è l’Italia, dove approdano, alla fine degli anni novanta, gli albanesi dopo lo sgretolamento dei paesi dell’Est europeo. Il percorso potrebbe anche iniziare con l’ultimo film di Giordana, Quando sei nato non puoi più nasconderti che consente allo spettatore di salire sopra uno dei tanti barconi carichi di migranti che non hanno più niente da perdere. Lo sguardo è quello di un ricco bambino bresciano che, in vacanza sulla meravigliosa barca a vela del papà, cade in acqua, di notte; tutti dormono, nessuno si accorge di quanto è accaduto. Mare buio, Mediterraneo spaventoso. Il bambino si salva proprio grazie a uno di quei barconi e così saliamo a bordo, con lui. E con lui arriveremo a Lampedusa, poi a Milano, a Brescia. Una storia di formazione per il bambino, che non sarà più quello di prima, ma anche per i giovani spettatori che StrumentiCres ● Febbraio 2006 sicuramente dopo la visione di questo film avranno con i migranti un rapporto diverso. Un film che riesce a scalfire cliché, consuetudini, che apre a nuove prospettive e insegna a porsi domande. Numerosi sono, in realtà, i film su migranti vecchi e nuovi. Solo per citarne due che si muovono dalla prospettiva degli italiani all’estero, ricordiamo Rocco e I suoi fratelli di Luchino Visconti, e Big Night di Stanley Tucci. Il primo segue il viaggio da sud a nord degli italiani negli anni del boom economico e il mutamento convulso di quegli anni, con il disorientamento del passaggio di un’epoca dall’Italia contadina del dopoguerra alla società dei consumi del successivo decennio. Il film di Tucci racconta l’emigrazione in America, negli stessi anni, di un piccolo nucleo familiare costituito da due fratelli cuochi che, stralunati e sradicati, cercano di trapiantare la loro tradizione di gusto in un paese dove l’esperienza del cibo è già fortemente standardizzata: il contrasto tra due mondi è focalizzato nella poesia di sapori perduti: il timballo1 dei due fratelli abruzzesi è un atto “resistenziale”: bisogna metterci “tutte le cose cchiù bbon de lu monn2 ”. La prima coppia di film vede un movimento in entrata nelle coste italiane, gli altri due seguono la migrazione degli italiani all’estero, lavorano entrambi sul difficile incontro con l’altro, incrociando la diffidenza verso il diverso che sconfina nel razzismo – in questo caso l’emblematica vicenda di Sacco e Vanzetti, nelle diverse trasposizioni cinematografica o nei canti popolari, sono un esempio da esplorare con i codici diversi del racconto per immagini o in musica. Tuttavia, tenendo presente la fascia d’età cui è indirizzata la proposta, il film di Giordana è quello che per linguaggio e per attualità è più prossimo alla recezione degli adolescenti delle nostre scuole. Il percorso narrativo, quello dei canti e quello delle interviste sono le altre tappe del nostro lavoro. Li sintetizziamo in rapida successione, riportando di seguito alcune interviste e brevi analisi di canti. Il percorso narrativo è molto articolato e prima di arrivare alle interviste dei ragazzi ci si imbarca. Prima di tutto leggiamo, da “Appunti di viaggio” (Edisco Editrice 2003) un testo di De Amicis, a dire il vero non molto conosciuto , tratto dalla raccolta di racconti “Sull’oceano”. Il racconto è ambientato a Genova, una sera del 1871. Il Galileo sta imbarcando emigranti e miseria, verso Montevideo tra nostalgie e sogni. Un De Amicis notevole, osservatore acuto ed emozionato. 9 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678 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In La notte della cometa, Sebastiano Vassalli, ripercorrendo con documenti, lettere, testimonianze, la vita del poeta, dedica due capitoli al viaggio che il giovane intraprende nel 1907 verso l’Argentina, e anche questa volta si parla di piroscafi affollati di poveri, sognatori, avventurieri, nostalgie, speranze, come si può leggere nella stessa poesia Viaggio a Montevideo I racconti possono essere letti insieme a Il lungo viaggio di Sciascia tratto da “Il mare color del vino”, dove contadini siciliani, ingannati da personaggi molto simili agli scaltri scafisti di oggi, dopo aver venduto tutto quello che avevano da vendere, per pagarsi la nave, e dopo undici giorni di viaggio immaginando l’America, si ritrovano sbarcati di nuovo in Sicilia.. Molto interessanti si rivelano anche i racconti di un figlio di emigranti abruzzesi John Fante, che nasce in Colorado nel 1909, dove sono ambientato, tra i muratori immigrati, i racconto della raccolta Dago Red: il primo che abbiamo letto è Odissea di un wop, nomignolo con cui venivano chiamati gli italiani da quelle parti, intraducibile, parente di vù cumprà o marocchino. Il secondo racconto, Muratore nella neve, vede le piccole ossessioni del padre disoccupato, dispotico e tenero, attraverso la lente dell’ironia dei figli, emigranti di seconda generazione. Per quanto riguarda i canti dell’emigrazione, essi sono stati già ampiamente oggetto di indagine da parte di studiosi autorevoli: l’attenzione di Pasolini, Fortini, Roversi, Savona e Straniero, sono esempio in tal senso. Tra gli ultimi apporti il saggio di Emilio Franzina,3 . Nel campo della didattica sono invece episodiche le proposte didattiche che entrano 10 nei documenti non solo trattandoli come fonte storica, ma anche come elementi riconoscibili nella specifica struttura di testo e melodia nati in concrete situazioni della vita associata. Abbiamo sviluppato pertanto l’analisi ritmico-testuale di alcuni canti ed una trattazione sintetica di altri, cercando di calibrare il metodo con le esigenze dei gruppi di studenti che vi hanno lavorato. I materiali sono divisi tra canti della tradizione popolare e canzoni d’autore sul tema delle migrazioni, che avvicinano ad una sensibilità contemporanea, attraverso mutati stilemi espressivi, il patrimonio della nostra memoria storica. Non è difficile ricostruire un pezzo della nostra storia se solo qualcuno di noi, nato al sud o da genitori immigrati, segue la corrispondenza tra i parenti che sono partiti nei diversi decenni del novecento. Dai più lontani continenti (Australia, America settentrionale e meridionale), ai paesi europei di più rapida industrializzazione, fino al nostro nord Italia in cui le migrazioni interne hanno raccolto negli anni milioni di lavoratori e di famiglie che hanno mantenuto stretto il legame con i paesi d’origine o lo hanno affievolito nel corso del tempo. Le vicende dei familiari, attraverso le testimonianze dei genitori, dei nonni, ricostruisce nella microstoria di lettere che varcano l’Oceano o confini più prossimi, la grande storia. Altre fonti di conoscenza in tal senso sono i canti popolari di cui abbiamo analizzato i testi selezionati e raccolti in un’audiocassetta, insieme a composizioni più recenti di cantautori che hanno rivisitato il tema della partenza, la fatica degli addii e delle radici divelte alla ricerca di un futuro meno duro. Questo lavoro ci aiuta a leggere il presente, lente rovesciata di nuove partenze: quelle di cittadini del mondo che abbandonano a loro volta le pesanti situazioni di esistenza cui sono sottoposti. Partenze e arrivi sono accomunati da un filo rosso: uomini donne e bambini StrumentiCres ● Febbraio 2006 alla ricerca di una possibilità. Giovanna Marini e Francesco De Gregori hanno raccolto, nell’album uscito per la Caravan, canti popolari della tradizione italiana attingendo anche al patrimonio che l’Istituto De Martino e il Circolo Gianni Bosio hanno consentito di conservare ed archiviare in un prezioso lavoro di ricerca della musica popolare che risulterebbe altrimenti “disperso e dimenticato”. […] Appartenenti al filone dei canti della migrazione e della lontananza; i canti popolari, insieme a testi poetici di autori noti, mostrano come non sia solo la voce della tradizione lirica colta a comporre il quadro delle partenze e dei naufragi di non ritorno, ma sono le ballate popolari con la specificità dei loro contenuti e delle forme espressive che vi corrispondono, a mostrare una fotografia di momenti diversi della storia. Tra i testi analizzati riportiamo qui un tema che si presenta drammaticamente attuale: quello del naufragio. Il tragico naufragio della Nave Sirio, quello del Titanic, accanto al non meglio definito affondamento del bastimento della notissima Mamma mia dammi cento lire assumono un valore emblematico di un futuro finito tra i flutti. Abbiamo analizzato i due canti popolari e la versione attuale del Titanic di De Gregori. Il tragico naufragio della Nave Sirio è una ballata riprodotta nello stile dei cantastorie della pianura padana, il ritmo prolungato della voce narrante alterna le note canore al parlato, come se si riportasse la notizia del naufragio ad un pubblico vivo. Il ruolo del narratore è a metà tra quella del cantastorie e quella del giornalista che fotografa un quadro drammatico, corredato dall’immagine un po’ straniata del vescovo. Immaginiamo l’antica relazione orale tra il cantastorie e il pubblico popolare quasi sempre non alfabetizzato, che ascoltava i resoconti narrati. Le prime due strofe raccontano un esodo di dimensioni bibliche a cui corrisponde un canto epico; la terza e quarta strofa sono la cronaca del disastro in cui emergono la disperazione dei naufraghi, la forza del mare, gli abbracci annegati. Tutto è essiccato in un’essenzialità senza ritorno, dove il lessico stringato, le forme dialettali sono rafforzate dalla sintassi popolare. La forma epico-narrativa del popolo migrante cerca nel contempo espressioni aluliche come nell’iterazione di quel “varcare /varcare i confini” e nell’inversione del: “cantar si sentivano”. Un canto del non ritorno sancito nell’immagine finale del vescovo benedicente. In Mamma mia dammi cento lire il naufragio, paventato dalla madre, avviene ineluttabile nonostante la ricompensa promessa affinché la figlia abbandoni il suo progetto di cambiamento. L’epilogo tragico viene stemperato dalla popolare melodia. L’abbigliamento di un fuochista è una moderna trasposizione della vicenda del Titanic, dato come inaffondabile meraviglia tecnologica e simbolo di fiducia nella modernità. Siamo nell’aprile del 1912 durante il viaggio inaugurale. A bordo, oltre alla ricca borghesia dell’epoca, passeggeri di seconda e terza classe, molti emigranti e, ultimi fra gli ultimi, coloro che si pagavano il passaggio lavorando. La storia del Titanic colpì fortemente l’immaginario colletStrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ tivo: la rivisitazione cinematografica ha ricostruito, attraverso storie personali, i drammi di chi non riemerse dalle acque di una notte gelata. De Gregori racconta una storia minore e affondata nelle caldaie sotto al livello del mare: il figlio parte in quella nera nera nave che hanno dichiarato inaffondabile, senza assicurare scialuppe sufficienti al salvataggio Il principio su cui si riempiranno le scialuppe stesse saranno dettate dal panico, dal genere di appartenenza: bambini, donne, uomini…ma il criterio gerarchico di classe avrà un peso significativo. Quale speranza di salvarsi per chi sta alimentando le caldaie per pagarsi il viaggio verso quell’America della speranza e del miraggio? La canzone presenta una costruzione […] e una linea melodica non cronologicamente narrativa, spuria rispetto alla regolare divisione in strofe della ballata dei cantastorie o dei canti di lavoro. Il dialogo a distanza tra madre e figlio è un contrappunto alternato. I particolari del ragazzo e del suo abbigliamento sono dilatati, come ad imprimersi in una memoria definitiva; gli occhi guardano e la pena si accresce. La distanza annebbierà la presenza viva e confonderà i tratti individuali con quella di estranei americani; rispetto ad essi la donna nutre una diffidenza profonda che si concentra nell’incomprensione linguistica dell’inglese come estrema distanza. Il giovane chiude il dialogo parlando proprio di una lingua che non sa, figlio minore di un paese a tasso altissimo di analfabetismo che non sa pronunciare l’italiano, “non conosce la geografia” e non sa difendersi nei suoi diritti. Il ritmo lieve che fa pensare alle musiche suonate per dilettare i passeggeri è caratterizzato per antitesi con la vicenda e con lo stato d’animo dei personaggi. Il presagio nero della madre è esorcizzato dal ritmo stesso in una sorta di straniamento. La meta dell’America – del nord e del sud - è ricorrente (Merica Merica, Italia bella mostrati gentile a titolo esemplificativo per i canti popolari, la già citata L’abbigliamento di un fuochista, Amerigo per la canzone d’autore). In Partono gli emigranti, invece, la destinazione è più vicina ma non meno lacerante: si avverte l’accoglienza ostile e sospettosa attorno ai lavoratori che passano il confine “sotto lo sguardo della polizia”. Ancora un’Europa traumatizzante nell’esperienza della miniera si ripropone in Marcinelle dove numerosi lavoratori furono travolti nel crollo sotterraneo. Tantissimi erano del sud Italia. Un incidente sul lavoro viene raccontato anche in Pablo, da un altrove non così ben definito. La linea melodica e le parole del testo mutano radicalmente rispetto al genere popolare e corale finora trattato. Si evidenzia in Pablo il linguaggio di De Gregori: il personaggio è caratterizzato per tratti solo allusivi; persa la linearità narrativa, emergono i particolari espressivi, i dettagli in movimento: il treno, lo spago sulla valigia… Così pure nell’abbigliamento di un fuochista gli zoom dilatano gli oggetti (i soldi chiusi dentro la cintura …).. L’emigrazione, però, non ha come destinazione solo luoghi lontani, ma anche il nostro territorio nazionale: la canzone di Luigi Tenco attesta proprio questo itinerario. Con Ciao amore ciao entriamo nei testi dei cantautori, su una linea melodica meno 11 cadenzata e corale, con movenze malinconiche o con i ritmi della ballata, o nell’eleganza compositiva dei testi di Fossati… Lo smarrimento profondo per un cambiamento repentino negli anni del “boom economico” rendono traumatico il trapianto dai luoghi noti delle cittadine di provincia, dai cortili, ai grandi spazi urbani, dove “in un mondo di luci” si ha l’impressione di “sentirsi nessuno”. Con pochi emblematici versi il cantautore genovese definisce lo sradicamento e il mutamento dei modi di vivere che anche la letteratura registrerà con inquietudine nei temi dell’omologazione della società dei consumi e in quello che Pasolini definirà il mutamento “antropologica degli italiani. “Saltare cent’anni in un giorno solo […] Dire addio al cortile, andarsene sognando: Il sogno però si spezza nello smarrimento metropolitano: “dai carri nei campi agli uccelli nel cielo” e la sensazione acuta è quella della perdita di un baricentro. La prospettiva si rovescia nei testi di Ivano Fossati che canta Mio fratello che guarda il mondo, mentre il mondo non lo guarda. In Pane e coraggio la somiglianza con i personaggi italiani che abbiamo incontrato nelle altre canzoni è tale che ci chiediamo se a partire siamo ancora noi o gli altri. Un cenno all’ultima produzione di un cantante, Davide Van De Sfros, che con ironia ma anche con partecipazione ci parla del viaggio in uscita e lo fa, ricollegandosi quasi circolarmente al nostro percorso, con l’adozione del dialetto; l’elemento ci riporta ai canti popolari da cui eravamo partiti. Così termina questo breve viaggio musicale. Bibliografia sui canti P.P. Pasolini, Canzoniere italiano, Guanda, Parma, 1975. A.V. Savona - M.L. Straniero, Canti dell’emigrazione, Garzanti, Milano, 1976 V. Savona (a cura di), Le canzoni degli emigranti, II, I dischi dello Zodiaco, 1971, VPA 8182 Savona-Straniero, a cura di, (antologia) Canti popolari, ballate di cantastorie, canzoni d’autore, poesie e documenti, !976 Emilio Franzina, Le canzoni dell’emigrazione, in: AA.VV., Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli, Roma, 2001, vol. II: Partenze. F. Liperi, Storia della canzone italiana , RAI Radiotelevisione Italiana, 1999. G. Borgna - L. Serianni (a cura di), La lingua cantata. L’italiano nella canzone dagli anni Trenta a oggi, Garamond, Roma, 1994. L. Coveri, parole in musica , Lingua e poesia nella canzone d’autore italiana, Interlinea, Novara, 1996. U. Fiori, Scrivere con la voce. Canzone, Rock e Poesia, Unicopli, Milano, 2003 R. Middleton Richard, Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano,1994 Stepherd, La musica come sapere sociale, Ricordi, Unicopli, Milano, 1988 N. Ruwet, linguaggio, musica, poesia, Einaudi, Torino,1983 P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, Bologna, 1984 12 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 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Fabbri, Il suono in cui viviamo, Feltrinelli, Milano, 1996 E. Berselli, Canzoni, Il Mulino, Bologna, 1999. R. Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino, 1985 F. De André, Come un’anomalia. Tutte le canzoni, Einaudi, Torino, 1999 B.Pianta, Vendere le parole. Marginali e mondo ambulante nella cultura popolare, in Della Peruta, Leydi, Stella (a cura di), 1985, II. G.F. Rosoli, Il canto degli emigranti Canti anarchici, I, I Dischi del Sole, 1963, 6, DS, 40.3826.12 R. Petrilli, Canti d’amore delle genti d’Abruzzo, in “Rivista abruzzese di Scienze, Lettere e Arti, annate 1907-1911, L’Aquila E. Renna, S. Scarpa, Carmina Cilenti. Il canto popolare cilentano nella tradizione orale: una proposta etno-musicale, opuscolo con musicassetta, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1995. 1 Piatto tipico abruzzese, estremamente elaborato e complesso nella preparazione; ne esistono diverse versioni a seconda della zona di preparazione. 2 Tutte le cose più buone del mondo. 3 Le canzoni dell’emigrazione, in AA:VV:, Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli, Roma, 2001, vol. II: Partenze. StrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Un racconto d’insieme L’autobiografia come strumento di partecipazione A cura dell’Associazione Interculturale Oltre il Mediterraneo e di Daniela Invernizzi Ci presentiamo Siamo un gruppo accomunato dal fatto di vivere e/o operare in Valpolcevera, un’area della periferia ex industriale genovese oggetto in questi ultimi anni di una tumultuosa trasformazione con pesanti riflessi sulla qualità del vivere. Da zona operaia, la V.P. è stata portata a divenire un grande mercato, uno spazio in cui i centri commerciali rappresentano i pochi luoghi di “incontro”. Nel 2004, il gruppo nasce da un corso di formazione rivolto a insegnanti ma aperto a educatori e alla cittadinanza sui temi dell’ascolto come mezzo di trasformazione della convivenza: nei seminari condotti da Daniela Invernizzi si sono sperimentate in prima persona alcune metodologie “partecipative”1 con lo scopo di dar vita ad un “Centro di documentazione e iniziativa sui temi dell’educazione alla pace e alla mondialità” operante tra scuole e territorio della V.P. …oggi ho passato proprio un bel pomeriggio. Con venticinque donne, di varia età, che vogliono aprire un centro,nella nostra vallata. L’incontro di oggi serviva per stabilirne le caratteristiche, le finalità che ciascuno aveva in testa, se si può lavorare tra persone che non si conoscono. Non le solite facce. E tra i luoghi della memoria, la pace, la mondialità, l’accoglienza, l’informazione alternativa, la banca etica, la formazione di coscienze critiche si coagulavano idee di resistenza. Idee già esistenti, prima, dentro ognuna di noi…(Laura). Nel 2005, i soci fondatori dell’associazione interculturale “Oltre il Mediterraneo” danno vita al primo percorso formativo del “Centro”, denominandolo ”Gruppo di lettura partecipato su pace e guerra” ancora con la guida di D. Invernizzi. In questo ambito, il metodo autobiografico è stato sperimentato come strumento di auto/formazione e attorno alla proposta si è aggregato un gruppo con una composizione fortemente eterogenea rispetto a: età anagrafica, interessi e lavoro, genere e nazionalità ma con alcune comunanze importanti: un legame significativo con la V.P, l’interesse per i temi e le metodologie proposte. Le ricadute ipotizzate? L’acquisizione di competenze trasformative dei comportamenti, (capacità di gestione dei conflitti dal personale al sociale), trasferibili nel “Centro”, nelle scuole e/o in gruppi giovanili e oltre, sul nostro territorio. Le attività di formazione sono state finanziate dal Comune di Genova e dal CRES Mani Tese. Il nostro percorso Tra febbraio e dicembre 2005 vengono realizzati 6 incontri nel quartiere di Bolzaneto, negli spazi aperti di un centro ricreativo partecipato per adolescenti, nato StrumentiCres ● Febbraio 2006 su impulso della Legge Turco 285/97. La scansione concordata degli incontri è di un sabato ogni cinque, per l’intera giornata. In ogni incontro la conduttrice dà uno o più stimoli e propone momenti di approfondimento e di riflessione. Nel primo incontro, la condivisione nel gruppo di testi, canzoni, poesie e oggetti significativi della propria storia personale in relazione ad una riflessione, sviluppata individualmente in previsione dell’incontro, sui temi della guerra, della pace e della gestione dei conflitti. Ciascuno ha donato liberamente qualcosa di sé… L’ultimo giorno i fili di una canzone antica che parlava di nuvole e di vento lo strinsero alla gola. Il mostro cominciò a piangere e a tremare gemendo piano fuggì per sempre oltre le colline. (Marina O) In seguito, in sottogruppi si è cercata una definizione di autobiografia, potendo utilizzare alcune parole chiave proposte dalla conduttrice. Le definizioni emerse vengono confrontate nell’intergruppo intendendole come “convenzioni temporanee”. L’autobiografia è…un viaggio di esplorazione legata ai sé ed a una rilettura creativa della propria storia. Serve a…alla riscoperta e alla ridefinizione di sé e degli eventi. E’ utile a…all’incontro …verso un orizzonte di pace. Il finale (“verso un orizzonte di pace”) è condiviso solo da una parte del gruppo. A questo punto la conduttrice fornisce suggerimenti sulle modalità della scrittura autobiografica, invita a prendere familiarità con questa particolare scrittura, libera e creativa, e suggerisce di inviarle testi su “La mia storia di pace e guerra” con riflessioni su aspetti di vita quotidiana, conflitti dentro di sé o interpersonali o nel sociale. Dalle produzioni del gruppo prenderà avvio l’incontro successivo. Ecco alcuni “prodotti” significativi di marzo: …Ho ripensato al “mostro allontanato” e al mostro “rielaborato” del primo incontro e ho pensato a un mostro mio. Ne ho trovato uno gigante che ha attraversato la mia vita: il potere.…Il potere è un meccanismo che va tenuto d’occhio, anche quando espresso dalla “parte giusta”…se non ascolta quel che proviene da luoghi esterni ad esso degenera e opprime, soprattutto chi è debole, lontano dalle stanze dei bottoni. La crisi della politica poi e lo spostamento di poteri forti in luoghi non controllati e non controllabili, mi lascia intravedere mostri ancora peggiori…(Luciana). Si è parlato di bambini come portatori di istanze e diritti legittimi; nel mentre mi tornavano alla mente i giorni di supplenza che feci tempo fa in una scuola. …Ad un certo punto (una insegnante) disse: “State zitti, respirate solo col naso, così non c’è pericolo che parliate!” Un bimbo pensava di poter giocare in silenzio facendo l’aeroplanino con temperino e matita. Ad un tratto l’insegnante si alzò con rabbia dalla sua 13 “postazione” (la cattedra), si pose davanti al banco e scaraventò per terra tutto quello che c’era sul tavolino, dicendo: “Ora te lo raccogli”. (Graziella). E sull’ input: “Ricordi, sensazioni, emozioni di pace e di guerra, di conflitti aperti o risolti, di eventi accaduti nel privato o nel sociale e dei loro eventuali intrecci.”: ...E’ la storia della mia vita: per ora molta guerra e poca pace. Il pensiero è una vastità di immagini e domande alle quali rispondere. Possiamo controllare le sensazioni che proviamo aiutandoci evitando di rimanere soli e cercando di non fare azioni negative anche se ci vengono spontanee; possiamo pensare di più a come fa la natura: la pioggia cade quando deve cadere, il sole splende quando deve splendere; così in armonia con il tempo che scorre sono le nostre giornate che trascorrono nei nostri sentimenti. (Massimo). A giugno, il gruppo viene invitato a produzione scritta individuale attorno a parole chiave emerse ripetutamente negli incontri precedenti: Costituzione, Resistenze, Diritti. …Allora bisogna Resistere, ma resistere a che cosa? A tutto ciò che ci rende omologati, spenti, manipolabili, consumisti, violenti, soli…La Resistenza diventa un metodo applicabile da tutte le persone che si sentono schiacciate. Vorrei che la mia storia, molto piccola, potesse incrociare le storie degli altri (Loredana). Daniela si sofferma su alcune caratteristiche positive del gruppo:”…In questo gruppo, composto in grande prevalenza da donne di età anche molto diverse, ci sono alcune condizioni significative a partire dalle quali possiamo esplorare un nuovo modello di lavoro, che sconfina continuamente tra il personale e il politico; lo scambio di idee, sensazioni, emozioni tra generazioni, la voglia di narrarsi e ascoltare sono risorse preziose e rare”. A settembre, Daniela ci tira le orecchie: “Scrivere su se stessi, accettare di leggere la propria scrittura fa parte del metodo autobiografico e non si può “aggirare” con lo scambio orale. La scrittura costituisce uno spazio e un tempo che ciascuno regala a se stesso, un luogo per far rivivere la memoria in un contesto libero e accettato come significativo da chi partecipa”. Da questo incontro, la scrittura diventa un passaggio “obbligato” una scelta meditata per chi partecipa. Il tema, per riprendere i contatti e ricreare l’atmosfera dopo la pausa estiva, è “il tappeto volante2 ”. Lo sviluppiamo in fasi successive (metodo ricorrente nei vari incontri). Prima fase - Immagina di essere su un tappeto volante e di dare uno sguardo di insieme alla tua estate. Che cosa vedi/senti…. il tappeto corre veloce…. Scrivi di getto alcune brevi e sintetiche osservazioni. Seconda fase - Prova ad approfondire il testo o un particolare tema/aspetto pensando a: quali immagini, quali ricordi, quali persone, quali luoghi, quali oggetti, quali episodi nel privato e nel sociale con eventuali intrecci, quali eventi “hanno lasciato il segno” in positivo e/o in negativo. Terza fase - Rileggi il tuo racconto Quarta fase - Condividi la tua narrazione con gli altri membri del gruppo. - E ascolta le altre narrazioni …L’estate è forse il momento che aspetto per ritrovare un tempo per me, per riflettere, per ascoltare e 14 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 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meritato dopo un anno di corsa per arrivare da tutte le parti, per risolvere tutti i problemi. Ma anche l’estate è una stagione come le altre, forse con i ritmi un po’ rallentati, con le giornate più lunghe ma con le bombe sempre pronte ad esplodere sia in famiglia sia sulla metropolitana… La rabbia e la paura incontrollata di un bambino o la rabbia di un kamikaze che si fa esplodere o di un soldato americano. La rabbia e la paura che gli altri possano essere più forti, migliori di noi, possano annientarci…(Sandra) La conduttrice ripropone alcune condizioni indispensabili che diventano, gradualmente più vissute e interiorizzate dai partecipanti nell’evolversi dell’esperienza: la qualità dell’ascolto (disponibilità reciproca, sospensione del giudizio, attenzione di ciascuno per ogni reazione suscitata dentro di sé dalla narrazione altrui, scoperta di qualcosa di sé nella narrazione altrui, domande per capire, per conoscere) e il carattere “sociale” delle conversazioni che si sviluppano attorno alle narrazioni condivise (decentramento del proprio punto di vista, uno spazio per sé/noi, il gruppo che diventa risorsa, la gestione delle emozioni, il rispetto dei silenzi). Tema successivo(in ottobre) “Essere persona nel mondo”. Suggestioni date dalla conduttrice. “La memoria è il fondamento di ogni identità, individuale e collettiva, che si basa sulla libera conoscenza di noi stessi, anche delle proprie contraddizioni e carenze, e non sulla rimozione che crea paura e aggressività. Custode e testimone il ricordo è pura garanzia di libertà (…), ha l’autentico valore e significato di esprimere la presa di coscienza di una intera comunità nazionale e statale”.3 “…..con la consapevolezza che tutto ciò che un sinStrumentiCres ● Febbraio 2006 golo può fare per il progresso dell’Umanità è come una goccia d’acqua nell’oceano, ma con la convinzione che è proprio l’agire in questa direzione che dà un senso a ciascuno di noi” 4 Lettera ai bambini “E’ difficile fare le cose difficili: parlare al sordo mostrare la rosa al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”5 ..sono qui perché ho voglia di confrontarmi,perché sto cercando una strada per uscire dall’isolamento culturale e personale ,a cui è così facile lasciarsi andare in QUESTO MONDO. (Alessandra ). …divisa a metà, mi sento una frattura vivente...più che persona nel mondo mi sento “figlia spezzata” del mondo (Maddalena). Mi capita di parlare con gruppi di ragazzi di quel che succede nel mondo: poco ne sanno ma sono assetati di sapere (Monica). …Per un anno sono stata “vedova bianca”:mi son fatta forza, ho bussato a mille porte per risolvere la mia situazione. Adesso quando incontro persone di altri paesi vorrei fare qualcosa ma so dare soltanto la mia solidarietà, e qualche contributo. E’ difficile fare le cose difficili…da qualunque parte stai! (Maria) ...Può sembrare strano ma io la percezione di essere un abitante del pianeta terra ce l’ho spesso sugli autobus, quando siamo tutti stipati l’uno contro l’altro, con le nostre puzze varie,i colori e le fogge dei nostri abiti diversi. (Marina G.) A novembre, divisi in sottogruppi, i partecipanti cominciano la scrittura collettiva di un testo(questo testo) che ripercorra le tappe fondamentali del percorso realizzato e condiviso e rifletta sulle condizioni di trasferibilità del metodo nelle scuole e sul territorio. Questa attività di rielaborazione e sintesi ha permesso al gruppo non solo di riflettere sul cammino comune ma anche di cominciare a pensare a un futuro comune. Scuole Una parte consistente del gruppo è costituita da donne che lavorano nella scuola. Dall’autobiografia è emerso soprattutto un sentimento che le accomuna: il sentimento del disagio che pervade da qualche anno il mondo della scuola: …La scuola, con i suoi impegni fagocitanti, è talmente invasiva da penetrare persino nel mio vissuto onirico sotto forma di incubo incarnato nella Dirigente Scolastica (Matilde, insegnante di Scuola Primaria). Ancora pochi anni fa, osserva Federica (Scuola d’Infanzia), si lavorava con maggior partecipazione e condivisione sia all’interno dello staff, sia tra adulti in genere. Anche fra noi e i genitori c’erano relazioni interpersonali che riflettevano una prospettiva comune. La responsabilità personale aveva più importanza e l’insegnante poteva assumere iniziative, aprirsi alla sperimentazione, adottare strategie innovative. Oggi, con l’introduzione di regole rigide e deresponsabilizzanti, nella pretesa finalità di salvaguardare gli alunni, si limita di fatto la possibilità di ascolto, sia verso gli alunni che verso gli insegnanti: c’è, in definitiva, meno libertà. In effetti, non è solo la scuola, ma il mondo tutto in cui viviamo che, ogni giorno di più, ci priva di libertà: …sono le notizie di tutti i giorni, piccole, scivolate inosservate, nelle quali StrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ si sente, si percepisce la libertà sbriciolata, la democrazia calpestata, l’intelligenza insultata, il rispetto dimenticato. Nemmeno la consapevolezza politica sembra più essere uno scudo sufficiente: Ho 37 anni (Lalla - Scuola Primaria) e gli eventi degli ultimi anni mi hanno portato ad estraniarmi, a non curarmi di quanto succede intorno a me. Non è stato sempre così. …C’è stato un momento in cui veramente mi sentivo nelle mani la possibilità di trasformare il mondo … Mi sono però scontrata con la difficoltà di mettere in pratica le teorie e quella che forse era mania di onnipotenza si è ridimensionata gradualmente fino a diventare disincanto. Ho abbandonato la politica, gli ideali e le grandi lotte…Però è anche accaduto che ho cominciato a fare un lavoro, quello di insegnante, nel quale ho capito di poter dare qualcosa non solo sul piano cognitivo, ma soprattutto sul piano umano …penso che la cosa migliore per essere persone in questo mondo sia imparare a rispettare gli altri e, per quanto possibile in un mondo così individualista, io provo a farlo…. Purtroppo ben presto Lalla si è accorta che anche nella scuola la teoria è una cosa, la pratica un’altra. In teoria, stando al testo della Riforma Moratti, il bambino dovrebbe essere al centro dell’azione educativa, come è giusto che sia. In realtà, per effetto della parcellizzazione dell’ orario e dell’organizzazione didattica introdotte nella scuola primaria dalla stessa riforma, l’insegnante ha meno tempo da dedicare ai bambini, al loro ascolto. Così, in un contesto generale che spinge gli adulti a vivere con tempi sempre più incalzanti, ai bambini viene meno anche a scuola ciò di cui hanno più bisogno: essere ascoltati. Ed essi lo denunciano con chiarezza già in terza elementare - afferma Matilde - sono consapevoli che si tratta di un diritto non rispettato. I genitori non hanno tempo né per ascoltare i loro figli, né per incontrarsi fra genitori e con gli insegnanti. Spesso ne scaturisce una contrapposizione che la Riforma, in qualche modo, sembra fomentare, rischiando di fare dei genitori, e specialmente dei loro rappresentanti negli organi collegiali, i controllori della realizzazione del “successo” dei bambini piuttosto che porli in un atteggiamento di disponibilità e collaborazione con gli educatori dei loro figli. Occorre superare questa impostazione, - dice Matilde - recuperando non appena possibile spazio e tempo per i bambini, ma anche per i genitori, facilitandone l’incontro ed il dialogo, mirando a ricostruire legami preziosi per la scuola. Inoltre, … bisogna ritrovare il modo della condivisione, anche fra colleghe- dice Maria, docente di scuola primaria, sulla soglia della pensione.- Adesso che siamo 7 maestre su 4 classi la condivisione, che sarebbe indispensabile, è diventata più difficile: la burocrazia ha invaso gli spazi del buon senso, lo spazio vitale viene a mancare. Non va meglio nella scuola secondaria. “E’ vero: è cresciuto l’isolamento. Anche nella scuola media, con l’istituzione dei laboratori pomeridiani facoltativi, ci si trova a lavorare da soli con un numero crescente di alunni di classi diverse, dei quali non si sa quasi nulla, che si vedono per poche ore alla settimana, per i quali manca il confronto con i docenti che li hanno in classe al mattino, a meno che non lo si vada a cercare per propria iniziativa. Si restringono i tempi della qualità: per sopperire alle carenze occorrono troppe energie individuali che finiscono col disperdersi. Il risultato generale è di crescente dequalificazione (Gianna, insegnante di scuola Secondaria Inferiore). Il metodo autobiografico a queste insegnanti serve per 15 imparare ad aprirsi verso l’esterno, accrescere la loro consapevolezza ed avere più forza nel rapporto con gli altri. Mentre si scrive, si ascolta se stessi. Mentre si legge agli altri, si esercita il diritto all’ascolto. La narrazione che vi si pratica è autentica, rispettosa, piena di dignità, densa di valore comunicativo, ben distante da tutte quelle pseudo-narrazioni che propinano i vari reality e talk -show televisivi e dalle varie “mode” falsamente autobiografiche Territorio Il gruppo inizialmente ha sottolineato pari dignità di professionalità simili: operatori sociali, educatori, insegnanti, riconoscendo pertanto la validità del metodo autobiografico usato in un contesto fortemente connotato dal punto di vista educativo e sociale. Successivamente però il gruppo ha ampliato i propri orizzonti, privilegiando spazi di relazione e mappe mentali per cogliere un denominatore comune: il riconoscimento del territorio come “luogo” di appartenenza per nascita, per lavoro o per voglia di sperimentare nuovi modi di far circolare idee e cultura. L’esperienza fin qui vissuta ci suggerisce alcune riflessioni: le premesse dell’approccio autobiografico, fondate sulla sospensione del giudizio che ha permesso ai componenti del gruppo di esprimere anche momenti emotivamente forti, è in aperto conflitto con le modalità comunicative dominanti. Oggi viviamo attraverso i media un apparente denudamento delle persone, un’esposizione di sé che comprende anche i fatti più intimi, ma che in realtà è un’enorme finzione, in cui quello che si espone non è la realtà intima, ma un suo simulacro. Colpisce la pochezza nella vita quotidiana della trasmissione tra le persone di pensieri limpidi e di emozioni. Il gruppo ha vissuto alcune giornate particolari in cui tutti sapevamo di poter portare liberamente qualcosa di personale vissuto scoprendo persone nuove e conoscendo meglio altre. Nel gruppo, con i suoi riti conviviali, si è creata un’atmosfera quasi sospesa, la sensazione un po’ di essere in una bolla trasparente e fluttuante. Trasparente come la possibilità di esprimere parti di noi che si volevano condividere e fluttuante perché, grazie al racconto di altri, abbiamo provato la sensazione di cogliere particolari mai visti o forse particolari visti attraverso occhi diversi dai propri. Quindi il contrario del mettersi a nudo senza il rispetto di sé e degli altri. Molte di noi pensano che in questa esperienza ci sia stata anche una componente “terapeutica”. Forse c’è stata solo nel fatto che ogni cosa che ci fa star bene ci “cura”. Tuttavia può servire riflettere sul perché, al di là di ogni impegno connesso ad un percorso di aggiornamento professionale, ci trovassimo lì, magari tralasciando ogni altro impegno e magari prendendosi cura del gruppo portando una torta, un thermos di caffè. (Nora) Il gruppo ha valorizzato molto l’aspetto della relazione interculturale e dell’ascolto attivo, praticando l’arte di ascoltare, partendo da uno spazio individuale, soggettivo, per arrivare poi ad uno spazio più partecipato e collettivo. Abbiamo accettato di sperimentare attraverso la conduzione di Daniela il passaggio dall’essere “Io” all’essere “Noi” attraverso la contestualizzazione di processi formativi e culturali, all’interno dei quali i partecipanti si sentissero stimolati a sviluppare insieme apprendimenti collettivi, saperi condivisi, legami sociali segnati dalla reciprocità. Il gruppo, che ha fatto questo percorso, ha in larga parte un forte legame con la Valpolcevera, molte persone hanno o hanno avuto esperienze “politiche” in 16 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ questo territorio. Alcune persone del gruppo hanno un difficile rapporto oggi con la politica, anche con i “luoghi” della politica che per tradizione dovrebbero essere spazi di conoscenza, confronto, comunicazione, scambio. Oggi ci sentiamo un po’ smarrite, prigioniere di una politica che spesso sembra lontana dalla pratica della democrazia, incapace spesso di un ascolto attento e attivo e di praticare il principio della partecipazione diretta delle persone nelle scelte politiche. Detto questo ci chiediamo se sia pensabile che un gruppo di persone possa, attraverso la pratica dell’autobiografia, sperimentata individualmente e in gruppo, collocarsi in ambito sociale più ampio, più aperto, ricostruire la storia di questa nostra valle restituendo oggi le emozioni, le speranze che ci suscita, visto che qui siamo, alcuni ci siamo nati, altri siamo arrivati per caso e per scelta. Quali sono i nodi sul territorio che ci coinvolgono più profondamente come persone e come gruppo? Quale il contesto all’interno del quale collocare la prosecuzione del nostro lavoro? Uno dei nodi che più ci appartiene, forse lo abbiamo individuato: come vivono in Valpolcevera gli adolescenti oggi e quali strade possiamo intraprendere per un loro reale protagonismo. Il nostro lavoro continua con l’approfondimento di questa tematica. Bibliografia a cura di Daniela Invernizzi D.Fabbri D., Formenti L., Carte d’identità, Franco Angeli, Milano 1991 Kaniza S., Che ne pensi?, la Nuova Italia, Firenze, 1993 Ricoeur P., Tempo e racconto, Jaca Book, 1993 Demetrio D., Raccontarsi L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano, 1996 Hillman J., Il codice dell’anima, Adelphi, Milano 1996 Demetrio D., Il gioco della vita, kit autobiografico, Guerrini associati, Milano, 1997 Formenti L., Gamelli I., Quella volta che ho imparato, Cortina, Milano 1998 AA.VV. L’educatore auto(bio)grafico, Unicopli, Milano 1999 Oddi Baglioni L., Scrivere la propria vita, SEAM, Roma 2000 Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo, Laterza, Bari, 2002 Gamelli I., Bibliografie ragionate Auto(bio)grafia, ed. Unicopli, scienze umane, Milano, 2004 Savater F., Autobiografia di una ragione appassionata, Laterza, Bari 2005 1 L’idea di fondo:sperimentare la nascita di un nuovo soggetto come processo partecipato che si sviluppa in progress, condividendo le fasi più significative a partire dall’individuazione delle problematiche del territorio, e degli obiettivi prioritari conseguenti. 2 Daniela Invernizzi ha tratto questa attività con modifiche da R.Dynes, Scrittura creativa in gruppo, Erikson, 1996. 3 Claudio Magris, “La memoria senza ossessione”, in Corriere della Sera, 10.02.05. 4 dal testamento spirituale di Eistein, e altri premi Nobel 5 Gianni Rodari, Parole per giudicare”, 1979. StrumentiCres ● Febbraio 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier dossier Letteratura della migrazione scrittori migranti - narrativa nascente letteratura italofona... on line L etteratura della migrazione, scrittori migranti, narrativa nascente, letteratura italofona, etichette diverse che si riferiscono allo stesso fenomeno: opere (testi) letterarie scritte da immigrati arrivati in Italia da tutti gli angoli del mondo, per motivazioni diverse, che a un certo punto hanno adottato la lingua Dante perabbiamo esprimersi. el dossier pubblicato nel n.di28/2001 tentato di metSappiamo tutti che negli ultimi quindici anni il nostrodell’area paese è linguidiventere a fuoco alcuni temi legati alle problematiche tato luogo di transito oppure meta di sempre crescenti flussi migratori. stico-letteraria e, inper particolare, una didattica Dopo essere stato quasi un a secolo un paeseinterculturale di emigranti, della negli letteratura. ultimi decenni l’Italia si è trovata a confrontarsi con il fenomeno inverLasiricerca si di è fronte poi spostata sudiipotesi percorsi didattici sul so, è trovata a migliaia personediche hanno scelto proprio questodello postosconfinamento, come casa, rifugio, scommessa. tema dell’attraversamento. I percorsi, sugContrariamente ad altri paesi europei, in Italia queste scrittugeriti in questo dossier, nascono con l’intento di farnuove riflettere gli re non hanno ricevuto l’attenzione che avrebbero meritato. studenti sulle stratificazioni della nostra cultura, a partireSpesso dallo l’interesse nei confronti degli scrittori “altri” è stato più di tipo antropospazio mediterraneo, pernon capire chi siamo, rintracciare le nostre logico, sociologico (quando folkloristico) piuttosto che strettamenradici meticce, e proseguire il cammino lungo le orme di chi ha te letterario. Scarsa attenzione da parte delle grandi case editrici, da attraversato i confini, est a da ovest, nord a esud. parte della stampa e deida media, partedadei critici dell’accademia, salvo alcuneproposti lodevoli eccezioni. I percorsi sono preceduti da un intervento di Armando In compenso sono venute a crearsi alcune riviste che, in tra modii Gnisci, docente di Letteratura comparata, che on fa line da ponte diversi, si occupano di questa nuova fase della letteratura italiana e di due dossier, evidenziando come la letteratura comparata sia una letteratura più in generale. disciplina, via, un metodo che pone i suoiinpartecipanti in una Abbiamo una pensato di dar loro voce e spazio questo Dossier per rete di reciprocità paritaria. Le letture selezionate nei percorsi offrire agli insegnanti interessati l’opportunità non solo di conoscerle, didattici olanomateriali gli studenti colloquiare ma anchestimFirenze di poter attingere per il aloro lavoro. con tutti i N mondi. a cura di Anna Di Sapio e Donatella Calati StrumentiCres ● Marzo 2006 17 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Nuove voci della letteratura italiana Anna Di Sapio Due viaggi caratterizzano le due grandi storie – i due grandi racconti – che sono all’origine della nostra cultura: il viaggio di Ulisse nella cultura greca, quello di Abramo in quella ebraica. Due miti, due percorsi di un’unica metafora: il viaggio come metafora della vita umana, sempre e dovunque. Nascita e morte, incontri e scontri, avventure, andate e ritorni. (…). Filippo Gentiloni1 “La terra gira e non esiste né nord, né sud e noi sospesi nel nulla. Tutti siamo migranti ed esuli sulla terra e dobbiamo insegnare a tutti ad essere migranti, esuli e stranieri nello spazio e nel tempo sulle orme di Ulisse e di Abramo, se vogliamo costruire una Europa giusta, pacifica, senza muri, prospera e tollerante . (…) Gezim Hajdari2 L’immigrazione nel nostro paese, ultimo tra quelli europei ad essere interessato da questo fenomeno, è in atto già da diversi anni eppure nel nostro immaginario collettivo la figura dell’immigrato è percepita ancora come portatrice di bisogni e di problemi, (a causa di politiche ostili all’accoglienza e anche di una cattiva informazione che reitera immagini e cliché stereotipati che creano pregiudizi e ostilità) invece di essere riconosciuta come una risorsa, come portatrice di cultura. Non si migra solo per necessità economica o per motivi politici, si emigra anche per necessità di lavoro, per desiderio di cambiamento, e tra coloro che si spostano ci sono anche artisti. Il fenomeno migratorio ha comportato l’arrivo nel nostro paese di scrittori provenienti da tutti i mondi che hanno adottato la lingua italiana come lingua di espressione letteraria. Altri paesi europei hanno conosciuto importanti flussi migratori ben prima dell’Italia. In Francia e Gran Bretagna, ad esempio, a partire dalla fine del colonialismo vi è stato un arrivo massiccio di immigrati provenienti dalla ex-colonie di Caraibi, Africa, Asia. Questi immigrati conoscono già la lingua e la cultura del paese di arrivo 18 (retaggio del colonialismo) e sono quindi in grado di comunicare con gli abitanti del paese e con altri immigrati, ma spesso hanno un rapporto ambiguo, contraddittorio, un rapporto di odio-amore con la lingua coloniale. La storia coloniale italiana è stata breve e limitata territorialmente per cui in Italia non c’è la predominanza di un gruppo etnico su altri (come per i maghrebini in Francia, gli indiani o i pakistani in Gran Bretagna), gli immigrati arrivano da ogni angolo del pianeta, tutte le culture sono rappresentate; da quelle mediorientali a quelle dell’Africa subsahariana, da quelle asiatiche a quelle dei paesi dell’est europeo. I migranti che approdano in Italia al loro arrivo non sono in possesso della lingua italiana, la imparano direttamente qui, e diventa anche lingua franca per poter comunicare non solo con gli italiani ma anche con altri immigrati. Diverso è quindi il rapporto che gli immigrati in Italia hanno con la lingua d’adozione perché, a parte coloro (pochi) che provengono da ex colonie italiane, la lingua italiana viene scelta, si presenta come “neutra” rispetto all’inglese, francese, portoghese, lingue dei colonizzatori. “ Intorno agli anni Novanta nasce in Italia (paese che per circa un secolo è stato connotato da una forte emigrazione) una letteratura intorno a questa nuova realtà rappresentata dal fenomeno dell’immigrazione. Una letteratura prodotta in Italia da non italiani. Questo fenomeno è stato designato con una serie di etichette: letteratura della migrazione, narrativa nascente, letteratura italofona, letteratura postcoloniale, letteratura emergente, letteratura interculturale, letteratura di ibridazione, minore, periferica, nessuna delle quali riesce a dar conto della complessità del reale. Etichette generiche all’interno delle quali vengono inclusi scrittori molto diversi tra loro, la maggioranza dei quali hanno in comune il fatto di aver scelto la lingua italiana come lingua di espressione letteraria. Non tutti però riescono ad abbandonare la lingua madre, questa è sempre una decisione sofferta perché vuol dire un taglio con il proprio passato, la propria storia personale, il proprio paese, alcuni continuano ad usare la lingua madre come lingua di espressione letteraria. Sono arrivati in Italia per i motivi più disparati, si va da Gezim Haidari, esule politico, grande poeta albanese, che ha vinto il “Premio Montale”, al siriano Yousef Wakkas 3 che lascia il proprio paese perché non “voleva vivere una sola volta”; dal giovane congolese Jadelin Mabiala Gangbo, che vive in Italia fin dalla primissima infanzia, che ha sempre parlato l’italiano, lingua in cui ha compiuto tutti gli studi, al brasiliano Julio Cesar Monteiro già docente in università nordamericane, tra i fondatori del movimento ambientalista in Brasile, e ora docente all’università di Pisa, che al suo attivo ha pubblicazioni sia in portoghese che in italiano; dalla slovacca Jarmila Ockayova giunta giovanissima in Italia dove si è laureata, alla brasiliana Christiana de Caldas Brito e alla statunitense Alice Oxman arrivate in Italia per matrimonio. E si potrebbe continuare. Alcuni hanno iniziato a scrivere e pubblicare nel loro paese d’origine, altri hanno scoperta la vocazione letteraria in seguito all’esperienza migratoria. La prima fase di questa letteratura è stata caratterizzata da temi spesso connessi all’autobiografia, alla difficoltà dell’integrazione. Nel giro di una quindicina di anni la situazione è molto cambiata, oggi si può parlare di letteratura tout court nel senso che gli scrittori affrontano temi molto vari, storie ambientate in Italia ma anche in altri paesi (non necessariamente quello di provenienza dell’autore), c’è un’attenzione alla storia e alle vicende italiane, insomma questa letteratura testimonia l’incontro tra le varie culture presenti sul nostro territorio e la cultura italiana. Gli scrittori stranieri sono ormai giunti a una maturazione significativa tanto sul piano dell’autonomia linguistica che sul piano dei contenuti e della forma e sfidano le nostre categorie, mettendo in discussione un elemento canonico dell’estetica occidentale come quello dell’autonomia dell’arte. Gli scrittori provenienti dall’AmeStrumentiCres StrumentiCres●● Marzo 2006 In pochi anni intorno a questo fenomeno è fiorito un vero e proprio movimento con le sue analisi, diatribe, contraddizioni. Un movimento che non ha grande visibilità e lavora un po’ carsicamente, ma scrittori e poeti migranti stanno riconfigurando la struttura piuttosto monolitica della nostra letteratura nazionale con un apporto straordinario di temi, sentimenti, suoni. Sarebbe auspicabile, a questo punto, un confronto, una collaborazione, StrumentiCres ● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ rica Latina, dall’Africa, dall’Asia provengono da una tradizione in cui lo scrittore è soprattutto una sorta di coscienza della società, sente di avere un ruolo sociale. Eppure questi scrittori stentano ancora a raggiungere il grande pubblico. Superficiale l’interesse dimostrato dai media e dalle grandi case editrici nonché dai critici e dal sistema letterario ufficiale, mentre questi fenomeni risultano più indagati all’estero. Si arriva così al paradosso che nelle università straniere, europee e nordamericane, questi autori vengano studiati come rappresentanti della letteratura italiana contemporanea quando in patria i loro scritti sono affrontati spesso solo da un punto di vista sociologico. Molti di questi scrittori sono pubblicati da piccole case editrici che incontrano difficoltà di distribuzione e non hanno molta visibilità nelle librerie, vengono invitati a parlare in convegni o serate dedicati a questa letteratura ma rimangono pur sempre momenti isolati che non coinvolgono il grande pubblico. Non si può negare che piccoli passi avanti siano stati compiuti e che, nonostante le difficoltà, questa letteratura riesca a ritagliarsi alcuni spazi, ma la strada resta ancora in salita. per scalfire il disinteresse generale che l’editoria e i media nutrono nei confronti di una letteratura ritenuta di seconda categoria. D’altronde la grande editoria è interessata a fare cultura o solo a vendere? In chi si occupa di questa letteratura si è fatta strada la consapevolezza non solo della crescente qualità delle opere (che in pochi anni hanno superato la dimensione dell’autobiografia romanzata per divenire vera e propria narrativa di invenzione), ma la consapevolezza della produzione di opere in sintonia e all’altezza delle profonde trasformazioni della società contemporanea, facendo di questo paese un nuovo microcosmo della diversità culturale. “L’Italia di oggi può contare sui libri e sulle riflessioni di questi nuovi italiani arrivati da lontano, con le loro storie, la loro determinazione, il loro talento fabulatorio”. 4 dossier un’interazione fra scrittori migranti e scrittori autoctoni, una collaborazione artistica aperta alla contaminazione e all’eterogeneità, per un arricchimento e riconoscimento reciproco. Un’occasione, per dirla con Mia Lecomte, “per ‘sprovincializzare’ la letteratura italiana e rivitalizzarne la lingua, riscoprendola attraverso la voce dell’altro, per liberarla da stereotipi, barocchismi e sperimentalismi posticci, (…) perché il problema non è più quello di definire questa letteratura, ma di ridefinire la letteratura italiana in modo che possa accoglierla. In modo che, per esempio, all’interno della poesia, un Hajdari, uno Stanisic, possano convivere con un Magrelli, o un Cucchi. (…) questi due universi non possono più viaggiare separatamente. Non solo per il rischio di ghettizzazione (…) ma per non impoverire entrambi gli universi letterari.5 Internet si rivela un formidabile mezzo per la promozione di questa letteratura quasi totalmente ignorato dai mass-media, da qui l’idea di presentare in un Dossier riviste on-line come El Ghibli, Kuma, Sagarana . Al di là delle loro diversità e specificità che ben emergono nelle pagine seguenti, ci sembra che queste tre riviste vadano Sono uomo di frontiera ferito nella ferita innamorato del Nulla e dell’origine del freddo sono uomo che vive di poche cose condannato alle frontiere dalle frontiere i miei occhi: sguardi incrociati fra quelli che giungono ed altri che partono dentro di me sono un po’ nessuno e un po’ tutti ubriaco di mondi proprio nella direzione cui si accennava prima, quella cioè di far dialogare le culture, di far interagire gli scrittori migranti e quelli autoctoni e tutto questo non potrà che dare frutti positivi non solo per la letteratura ma per la cultura italiana più in generale. A queste tre riviste abbiamo pensato di aggiungere il sito di Eks&tra (un’associazione interculturale che nel 1995 ha avuto l’idea di creare un premio letterario per gli scrittori migranti per farli conoscere al pubblico italiano e per favorire l’integrazione fra espressioni e tradizioni diverse) perché offre un considerevole archivio di racconti e poesie, tutti scaricabili; e un intervento di Raffaele Taddeo dell’Associazione “La Tenda” tra i primi a promuovere in incontri pubblici gli scrittori migranti. “Attraverso la nostra letteratura dice il poeta Gezim Hajdari - noi cerchiamo di avvicinare sponde diverse, popoli diversi, culture diverse, combattendo il nazionalismo sciovinista moderno che spesso diventa patetico, violento e pericoloso”. 6 Ed è proprio con alcuni versi di Hajdari che vogliamo concludere questa introduzione augurando ai nostri lettori “buona navigazione”! Ogni giorno cerco una nuova patria In cui muoio e rinasco Una patria senza mappe né bandiere Celebrata dai tuoi occhi profondi Che mi inseguono per tutto il tempo nel viaggio verso cieli fragili In tutte le terre io dormo innamorato In tutte le dimore mi sveglio bambino La mia chiave può aprire ogni confine E le porte di ogni prigione nera Ritorni e partenze eterne il mio essere Da fuoco a fuoco da acqua a acqua L’inno delle mie patrie il canto del merlo Che io canto in ogni stagione di luna calante Sorta dalla tua fronte di buio e di stelle Con la volontà eterna del sole. G‘zim Hajdari, Stigmate/Vrag‘. Poesie, Besa editrice, Nardò 2002 1 Filippo Gentiloni, Il viaggio fra mito e religione: Abramo contro Ulisse, in “. A.V., Il viaggio, a cura di G. Gasparini, EL, Roma, 2000” 2 Gezim Hajdari, La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana in www.eksetra.net 3 v. “Strumenti” n. 38,pp. 40-42 4 1° Seminario degli scrittori migranti in www.sagarana.net 5 2° Convegno Nazionale “Culture della migrazione, scrittori, poeti, e artisti migranti” Ferrara, 10,11,12 aprile 2003 6 Gezim Hajdari, La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana in www.eksetra.net 19 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Una tenda per una narrativa nascente RaffaeleTaddeo* Il Centro Culturale Multietnico La Tenda, nacque all’inizio degli anni ’90 come associazione che vedeva nella immigrazione degli stranieri un fenomeno insolito e totalmente nuovo, che avrebbe portato cambiamenti notevoli nelle abitudini degli italiani con reali pericoli di imbarbarimento e di rimozione di ogni valore di accoglienza ed ospitalità. Verso la metà degli anni ’90 ci si rese conto che il “culturale” presente nel nome del Centro La Tenda non poteva vertere solo sui corsi di italiano che avevamo incominciato ad organizzare, né tanto meno sulle serate di intrattenimento culinario o musicale. Bisognava trovare uno specifico che ponesse al centro dell’attività dell’associazione un confronto, un dialogo, una conoscenza degli stranieri a partire dalla produzione di qualcosa che fosse attinente all’attività culturale, anche se ci si rendeva conto che si giocava su fatti che non erano connessi a bisogni essenziali, come lavoro, casa, che allora, come ancora adesso, erano di fondamentale importanza. E tuttavia bisognava guardare lo straniero non solo come oggetto del nostro desiderio di azione caritatevole o filantropica, ma come l’altro che aveva le nostre stesse esigenze, i nostri stessi bisogni, aspirasse a fruire e produrre arte e bellezza, proprio come noi. Fummo colpiti proprio dal fatto che incominciavano ad apparire scritti, a quattro mani, ma alcuni già autonomi sul piano linguistico, di stranieri di recente immigrazione. Sorse subito spontanea l’idea di far conoscere agli italiani non tanto gli scritti, che avrebbero potuto comprare facilmente da qualsiasi libreria, quanto gli autori e quindi facilitare un incontro di conoscenza fra italiani e stranieri a partire da uno strumento culturale. 20 “ L’iniziativa riscosse un successo insperato. Ricordo la prima sera di programmazione. Avevamo previsto una sala con capienza di 100 persone. Ne arrivarono oltre 150 in una zona periferica e in una biblioteca ai margini Nord della città di Milano. Quando iniziammo non era ancora stato lanciato il concorso Eks&Tra e avvertimmo di essere in una vera fase pionieristica. Tentammo però di caratterizzare la nostra iniziativa attraverso una modalità operativa che rispettasse il più possibile la persona-scrittore straniera e lasciasse poco spazio e adito a conoscenza folklorica che avrebbe prodotto solo un accendere l’interesse degli italiani, un cogliere l’esotico degli stranieri e un dare spazio alla nascita di pregiudizi. Se non avessimo dato un’impronta particolare agli incontri si sarebbe fatta un’operazione diseducativa e tutt’altro che culturale. Affiancammo da subito all’autore un critico letterario (cioè uno studioso che avesse dimestichezza con il genere del romanzo e sapesse rilevarne caratteristiche e significati). Lo studioso Remo Cacciatori si rese disponibile all’approccio che volevamo dare al nostro lavoro. Oltre al critico affiancammo poi un lettore che avrebbe letto alcune pagine fra le più significative degli scritti che si presentavano al pubblico. L’attore-regista Giancarlo Monticelli ci aiutò in questa prima fase. Anche la denominazione da assegnare all’iniziativa ci impegnò non poco e dopo diverse riflessioni ci sembrò che il termine “Narrativa Nascente”, una allitterazione che poteva essere di richiamo, esprimeva anche la vera novità del fenomeno letterario che si ave- va davanti. La presenza del critico letterario aveva la funzione di organizzare gli incontri proprio a partire dal letterario e non dal folklorico. Eravamo spietati sotto questo punto di vista perché quando il pubblico presente tentava di scivolare su curiosità del paese d’origine dell’autore, delle usanze e costumi, il moderatore riportava inflessibilmente il dibattito su piani letterari e sul valore di quello che gli autori avevano prodotto e scritto. Ricordo la meraviglia e la gratitudine degli scrittori che arrivavano e che assistevano finalmente a un dibattito sulla loro opera. Essi avevano scritto non per far conoscere quello che si mangiava o quale fosse la condizione della donna al loro paese (temi forti di alimentazione di pregiudizi ), ma perché pensavano di incominciare a fare opera letteraria. Avvertivano che avevamo nei loro confronti un rispetto e che non si strumentalizzava loro per l’arena della curiosità degli autoctoni. Diamo qualche numero. Abbiamo, in oltre 10 anni, nei primi sei anni quasi a scadenza mensile, poi sempre più raramente, organizzato oltre 60 incontri presentando narrativa edita ed inedita, testi di poesie editi ed inediti, qualche saggio. La Narrativa Nascente è diventata Letteratura Nascente, forse perdendo come denominazione il suo fascino, perché accanto alla narrativa si scoprì che vi era anche una poesia prodotta dagli stranieri. Calcolando una media di presenze di 60 persone per incontro nei dieci anni di sviluppo dell’iniziativa si può dire che abbiamo avuto oltre 3500 presenze con un forte significato culturale. Il numero di 60 presenze ad incontro è un numero sottostimato perchè nei primi anni la media è stata sempre superiore alle centinaia e solo negli ultimi incontri si è attestata sulla quarantina. Il pubblico presente non è sempre stato solo di affezionati, ma è cambiato con una certa frequenza, con continui ritorni. Inoltre ha sempre dimostrato una maturità elevata rispondendo positivamente agli stimoli culturali che la forStrumentiCres StrumentiCres●● Marzo 2006 StrumentiCres ● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ mula proponeva senza incorrere in facili e semplici curiosità. Gli argomenti di discussione vertevano molto spesso sulla lingua, sulla possibilità che una produzione narrativa o poetica in una lingua non materna potesse avere reale valore letterario. Ciò che Kundera va sottolineando nel suo ultimo saggio (Il sipario) sul fatto che l’opera d’arte del romanzo è quasi completamente sganciata dal riferimento nazionale o dalla lingua materna, era argomento dibattuto con passione nelle serate della Narrativa Nascente. Gli incontri che abbiamo fatto con così alta frequenza ci hanno fatto capire quali erano e sono i pericoli sottesi da parte di un cittadino del paese ospitante, cioè di un italiano, nell’avvicinarsi ad uno straniero. Egli incomincia ad aggirarlo. Si dice curioso della sua cultura d’origine e in questo modo, vuole conoscere perché è qua in Italia, ed intanto non entra mai in contatto reale con lui. Sì, questo straniero può anche produrre qualcosa di culturale, ma è ininfluente – pensa l’autoctono - prima di tutto perché la sua produzione non sarà mai una produzione artistica, di elevata qualità (tanto non conosce a fondo la lingua e non conoscendo la lingua non è possibile alcun prodotto di alta qualità); poi attraverso la curiosa conoscenza della cultura d’origine si rafforza nell’idea (da cui si salvano a malapena solo poche persone) della enorme distanza di civiltà fra gli usi e costumi del proprio paese e quello d’origine dello straniero. L’autoctono vede lo straniero in maniera statica, con una fissità culturale e non riesce nemmeno a comprendere che questi in Italia non ha più la cultura del suo paese d’origine, né ha quella del paese ospitante. E’ in una posizione di continuo cambiamento e la produzione letteraria da lui fatta è testimonianza del tentativo di porsi in contatto con la società ospitante da una parte e dall’altra di poter controllare continuamente il proprio cambiamento. Lo straniero cioè è in una situazione di estrema mobilità intellettuale non tanto e non solamente subita, ma spesso voluta e ricercata. Solo i più avvertiti fra gli autoctoni, in un atteggiamento di dialogo, comprendono l’importanza di rimettersi in gioco e capiscono che la vita è un continuo viaggio di ricerca culturale e di verità, e spesso solo l’incontro autentico con uno straniero dà la possibilità di intraprenderlo. Se questo è vero, allora, per poter stabilire un cammino di reale dossier 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 dialogo è necessario capire quanto sta avvenendo negli stranieri presenti o che tendono a stabilizzarsi in Italia e questo è possibile in maniera privilegiata con la conoscenza dei loro prodotti culturali, perché essi ci dicono in maniera riflessa, ma certa e più reale, quale sia il cambiamento in corso. Gli incontri che abbiamo fatto ci hanno fatto capire quanto fosse difficile porsi nell’atteggiamento di un reale confronto pari, consci cioè che la cultura dell’altro fosse della stessa qualità, se non superiore alla cultura nostra. Ricordo un convegno di qualche anno fa a Genova promosso dall’Associazione “Mediterraneo” che si proponeva di metter a confronto scrittori italiani e scrittori dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo (marocchini, algerini, tunisini, israeliani ecc.). Ad un certo punto si sentirono offesi e si ribellarono quando da parte di uno scrittore italiano si chiese quale fosse la loro idea sulla donna e sulla condizione della donna araba, come se questo potesse essere di pregiudizio rispetto alla loro opera di letterati. Essi chiesero a viva voce che fossero considerati e giudicati non per il grado di contestazione o di consapevolezza dei problemi sociali nei loro paesi quanto per la loro produzione letteraria. Negli ultimi anni la formula adoperata da La Tenda per diffondere la letteratura della migrazione, almeno nell’area milanese si sta consolidando. Il Centro La Tenda sta collaborando anche con altre associazioni, CRIC, ARCI, che stanno riproponendo in altre zone, altri comuni della cerchia milanese, l’esperienza accumulata. Certo un lungo cammino è stato percorso dal lontano 1991 quando venne fuori il primo testo a quattro mani di Pap Kouma e Oreste Pivetta, cammino che ha visto dapprima una lenta emancipazione per la conquista dell’autonomia linguistica. Ma pure significativo è stato l’affrancamento rispetto alle tematiche. Gli scrittori stranieri, ad un certo punto non hanno più parlato solo della loro esperienza, del loro vissuto di immigrati o di migrati, ma hanno incominciato a creare delle vere fiction, hanno incominciato a creare delle storie emancipandosi anche rispetto ai contenuti, e incominciando a proporre schemi formali innovativi. E’ ormai possibile vedere nella produzione letteraria degli scrittori stranieri una evoluzione tematica e formale che ne fa una letteratura vivace, creativa e che inciderà significativamente sulla letteratura italiana quando questa incomincerà ad accorgersi della sua esistenza, come ha già incominciato ad accorgersi. Lo scrittore Pap Kouma, autore del primo scritto a quattro mani, ha voluto affermare la sua emancipazione linguistica e la sua totale autonomia culturale pubblicando di recente il suo secondo romanzo “Nonno Dio e gli spiriti danzanti”. Si sta assistendo al fenomeno della emergenza di scrittori nati in Italia con genitori stranieri o arrivati in Italia quando erano piccolissimi, fatto per cui sentono di appartenere totalmente alla cultura italiana. Sarà opportuno chiamarli ancora appartenenti alla Letteratura Nascente o alla “letteratura della migrazione”, come ormai è chiamata generalmente la produzione letteraria di questi stranieri che scrivono in italiano? E’ un problema aperto e dibattuto. Stanno emergendo anche scrittrici di origine straniera; anzi se si dovesse fare una statistica, forse si noterebbe che fra gli appartenenti a questa nuova letteratura la percentuale delle scrittrici rispetto agli scrittori sempre di origine straniera è maggiore che non fra scrittrici e scrittori italiani. Questa la dice lunga di una femminilità poco emancipata fuori dal mondo occidentale. L’esperienza, la correttezza dei rapporti de La Tenda con il mondo degli scrittori stranieri ha permesso che nel momento in cui alcuni di loro hanno deciso di dar vita a una rivista (elghibli), ci si rivolgesse a La Tenda come associazione di tutela formale e come interlocutore privilegiato. 21 El Ghibli Rivista trimestrale di letteratura della migrazione a cura della Redazione El-Ghibli Nata nel giugno 2003, “El-Ghibli” www.el-ghibli.provincia.bologna.it, la rivista del vento (prende infatti il nome da un vento che soffia dal deserto del Sahara) è la prima la cui redazione è composta in maggio- ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier ranza da scrittori migranti. “El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E’ il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa. È la parola della scrittura che attraversa quella di altre scritture, vi si deposita e la riveste della polvere del proprio viaggio all’insegna dell’uomo e del suo incessante cammino nell’esistenza.” (dal nostro Manifesto) Un progetto letterario che, muovendo dalla migranza, riconsideri consapevolmente la parola scritta dell’uomo che viaggia, diffondendo le parole di scrittori in ‘transito’, che difficilmente trovano spazio nel panorama editoriale italiano. El Ghibli vuole essere uno spazio virtuale aperto all’incontro: spazio linguistico ibrido-creolo per la parola contaminata e condivisa L’idea della rivista è nata e legata al fenomeno migratorio e alla sua produzione letteraria. L’Italia negli ultimi dieci - quindici anni si vede costretta a confrontarsi con un fenomeno migratorio al quale era ed è del tutto impreparata. Da terra di emigranti, è diventata per via della sua posizione e struttura geografica, luogo di transito e d’approdo. L’Italia svegliandosi dal suo torpore etnocentrico, si scopre ora paese a crescente fisionomia multiculturale e multietnica. In quell’incontro-scontro di culture in una civiltà che stenta a declinarsi al plurale, è interessante assistere alla nascita di una nuova espressione: quella di una letteratura scritta in italiano da parte di noi immigrati. Il fenomeno della letteratura migrante, diasporica, postcoloniale o transnazionale è ben noto da anni e profondamente radicato e affermato nelle aree linguistiche dominanti e in particolare in quelle francese ed inglese. La peculiarità della produzione editoriale migrante in Italia è di non essere legata al tema del colonialismo in quanto la lingua e la cultura del paese ospitante non sono per la maggioranza degli scrittori una eredità del colonialismo. Gli autori, sono argentini, brasiliani, uruguayani, peruviani e dominicani, cos“ come albanesi, polacchi, sloveni, rumeni e bosniaci, iraniani, egiziani e siriani, algerini, tunisini, somali, eritrei, etiopici, 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 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Qui la lingua italiana è una scelta, anche se il suo uso è dettato da un imperativo di comunicazione, e si presenta come “neutra” rispetto all’inglese, il francese, lo spagnolo o il portoghese che sono state lingue dei colonizzatori. Da un punto di vista tematico, l’esperienza della migrazione è naturalmente l’argomento privilegiato delle prime balbuzie di questa nuova letteratura. Da letteratura autobiografica, nostalgica e “testimoniale”, essa sta evolvendosi ormai in “solista” verso la creatività in uno spazio d’identità trasversa a cavallo di più culture, più lingue e linguaggi in una sintesi di molteplicità identitaria. Il suo linguaggio ibrido, la sua verve talvolta dissacrante e trasgressiva arricchirà la lingua italiana rivisitata, rielaborata, rifecondata e contaminata, perché distillata in significati diversi tramite vissute sensibilità venute d’altrove. Nonostante questa maturazione significativa sia per l’autonomia linguistica- che ci può far annoverare a pieno titolo fra gli scrittori tout court - sia per le innovazioni sul piano dei contenuti e della forma, questa letteratura è ancora marginalizzata. Ora come ora la letteratura della migrazione in Italia attrae solo l’antropologia culturale, la sociologia e la pedagogia interculturale. L’attenzione riservataci dal mondo della cultura, dell’editoria e della stampa è minima e, nonostante questa produzione letteraria possa ritenersi in espansione, sono ancora pochi gli italiani che hanno letto le nostre opere. Per uscire dal “nascondiglio”, dalla semi-clandestinità e manifestarsi, abbiamo deciso di utilizzare anche gli strumenti tecnologici più innovativi. Da qui nasce l’idea della rivista on-line “El Ghibli”. Nel suo genere, è la prima rivista telematica italiana. Non esistono altre riviste di questo tipo gestite da scrittori stranieri che scrivono in italiano. Nasce nel 2003, inizialmente con l’appoggio della Provincia di Bologna (editore), dell’Associazione La Tenda (proprietaria), della Provincia di Ferrara e d’un finanziamento della Regione Emilia Romagna. L’idea della rivista è nata dal desiderio di un gruppo di scrittori stranieri di creare non soltanto un ulteriore spazio per la pubblicazione letteraria degli ormai tanti scrittori di migrazione che vivono in Italia, ma anche di costruire un rapporto (vedi la rubrica stanza degli ospiti) con gli scrittori italiani non di migrazione, con lo scopo dossier di sostenere, tramite questo genere di letteratura, centrata sulla migrazione, sull’identità multipla e la diversità, la reciproca conoscenza fra vecchi e nuovi cittadini favorendo la creolizzazione culturale. Avendo come struttura portante l’idea dell’ incontro , la rivista ha un’impostazione centrata sul tema del viaggio inteso in senso lato, come movimento che crea trasformazione dentro di sé, come movimento che incontra l’altro, come conoscenza del nuovo e del diverso dentro e fuori di sé, ma anche come viaggio in senso proprio e in primo luogo il viaggio della migrazione. Il comitato editoriale è composto da scrittori che hanno già avuto riconoscimenti vari: Mia Lecomte, Candelaria Romero, Raffaele Taddeo, Gabriella Ghermandi, Ubax Cristina Ali Fara, Kossi Komla-Ebri, Pap Khouma, Sonia Trincanato. Direttore responsabile: Pap Khouma. Webmaster: Alberto Maurizio con la consulenza di Andrea Gianduglia El Ghibli ha una cadenza trimestrale (dicembre-marzo-giugno-settembre) e si struttura in quattro sezioni principali arricchita dal 2005 da una sezione Internazionale avviata col contributo della Provincia di Milano, la cui presentazione si è avvalsa di un testimonial d’eccezione: il Premio Nobel Dario Fo. 1) Racconti e poesie - per gli scrittori migranti in Italia che usano l’italiano come lingua d’espressione letteraria; 2) La stanza degli ospiti - pubblica le opere di scrittori stanziali di ogni nazionalità, nella loro lingua di origine, con la traduzione in italiano a fianco; 3) Parole dal mondo - dedicata agli scrittori migranti in altre parti del mondo; 4) Generazione che sale - ospita gli scritti di bambini e ragazzi, italiani e migranti delle scuole (elementari, medie inferiori e superiori) sui temi della rivista; 5) Interviste. 6) Supplemento: Approfondimenti e analisi storiche della produzione di autori stranieri residenti in Italia 7) Sezione internazionale presenta testi scelti pubblicati in arabo, inglese, francese e spagnolo. La creazione di questa sezione con implementazione delle traduzioni è scaturita dal fatto che la nostra vuole essere una rivista internazionale con possibilità di scambio a doppio senso e inoltre gli stessi scrittori “in altre lingue” lamentavano di non poter leggere nulla di “nostro”, perciò abbiamo pensato di iniziare a tradurre testi scritti in italiano verso altre lingue. Questo ha dato piena realizzazione al progetto come era stato pensato in origine, un progetto che abbia come punto centrale la comunicazione e il dialogo con la realtà italiana, ma anche con le altre realtà “multietniche” europee. Va segnalata inoltre la presenza di: - Recensioni - Archivio: numeri precedenti della rivista - Notizie: con informazioni utili agli operatori del settore (concorsi, articoli, manifestazioni che coinvolgano scrittori, artisti e/o cittadini migranti), - Links a siti web consigliati La composizione di ogni numero parte dai testi (max 1800 caratteri; circa 60 battute per 30 righe in formato txt o compatibile con Microsoft Word (.doc) versione 97) che ci giungono in segreteria editoriale ([email protected]) e vengono valutati da tutti i membri del comitato con una votazione da 0 a 5 su ogni testo con eventuale commento. Le opere che superano la media di 3 vengono classificati come pubblicabili (gli autori ne vengono informati) e si parte con la composizione collegiale del numero tenendo conto delle valutazioni, dell’equilibrio fra le varie sezioni, fra poesie e racconti, autori già pubblicati e nuovi. Gli scritti che superano la media e non scelti per il prossimo numero vengono archiviati per i numeri successivi. Il gruppo “Editing” esegue una prima verifica grammaticale ed ortografica dei testi che vengono poi affidati al gruppo “Trattamento dei testi” con successivo inserimento sul sito virtuale a cui segue una seconda verifica di lettura da parte del gruppo “Editing”. Gli autori vengono invitati a controllare dal sito virtuale la corretta trascrizione dei loro testi. Solo dopo la loro approvazione il numero è lanciato online. Fondamentale la concezione tecnica del nostro sito non solo per il lavoro di gruppo a distanza. Per il sito di “El-Ghibli” sono state fatte scelte di stile che, unitamente a scelte tecniche, ne fanno un sito particolarmente rispondente alle specifiche di accessibilità. La scelta stilistica è quella di rendere la navigazione il più possibile leggera e di unire le caratteristiche di un sito web (ipertesto/ navigabilità) a quelle di una rivista cartacea. La tecnologia adottata è basata sugli standard del “W3C” relativi a XHTML, con caratteristiche “tableless” e CSS. In questo modo il contenuto è 23 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier completamente separato dalle specitato, possano continuare a svolgere “evocamondi” un festival di narratori fiche di rappresentazione e questo e letteratura orale. gratuitamente un lavoro cos“ impegnapermette a browser non standard Nei progetti per il futuro tivo. (p.es, browser vocali per non vedenti, 1) La creazione di una nuova sezioAttualmente abbiamo anche alcuni browser di solo testo adatti alla navine “tradizione ed innovazione”, una seproblemi con il nostro server (che ci gazione con hardware “povero”) di legzione che abbia dei brevi filmati su narera stato donato da un rivenditore di gere le pagine in modo strutturalmente razioni orali e interviste a scrittori e Pc) che sta dando segni di cedimento. corretto. artisti Nonostante tutto ciò il desiderio di La completa separazione rende po2) una ulteriore innovazione del sito andare avanti di tutti noi è molto fortenzialmente semplice la creazione di per poter dare la possibilità, a chi non te, anche rinforzato dai continui ricouna rivista “cartacea” che potrebbe esha facile accesso ad internet, di salvanoscimenti che ci arrivano, solo per sere realizzata, per esempio, “onre ogni numero della rivista su un cd fare alcuni esempi: ci giungono rego123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 demand”. larmente richieste di consu123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 L’altra scelta fondamen- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 lenza, contatti o di materiale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 tale, almeno da un punto 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 da parte di studenti per le 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 di vista “politico” è stata 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 loro tesi di laurea; alcuni 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 quella di adottare software 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 rappresentanti della rivista 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 rigorosamente “libero” 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sono stati invitati a Vienna 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 (www. gnu.org). Si è rite- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 a presentare il lavoro di El 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 nuto particolarmente im- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 Ghibli; una delle emittente 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 portante investire su que- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 radiofoniche nazionali del123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sto aspetto in quanto esso 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 l’Australia, ci ha fatto una 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 è aderente alla filosofia 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 lunga intervista telefonica 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 della rivista, che attraver- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 per presentare il nostro la123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 so il “viaggio” vuole favori- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 voro in una delle trasmis123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 re il libero incontro. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sioni in italiano per migran123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 Un software libero per- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 ti e appassionati e nel mese 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 mette il libero scambio del- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 di ottobre 2005 siamo stati 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 le idee, libere da vincoli. Lo 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 invitati a Lugano nel qua123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sviluppo stesso del 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 dro della manifestazione 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 software libero è inoltre un 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 “Trasguardi” ad illustrare il 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 esempio “funzionante” di 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 nostro sito. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sviluppo, in antitesi con le 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 Di sicuro El-Ghibli andrà 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 regole dominanti. Si tratta 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 avanti finché ci giungerà del 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 materiale da pubblicare e infatti di uno sviluppo 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 collaborativo in 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 mezzi economici per realiz123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 contrapposizione allo svi- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 zarlo. Per la parte economi123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 ca confidiamo sempre nelle luppo competitivo al quale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 siamo abituati. E per sua istituzioni che finora ci han(come fosse un semplice file) per natura lo sviluppo collaborativo non ha no sostenuti e speriamo in contributi l’eventuale stampa. Questo preparefrontiere e ogni giorno un’infinità di da parte di sponsor privati. rebbe anche l’eventuale futura stambyte viaggia attraverso la rete unenInvitiamo gli artigiani della parola pa su carta per una edizione cartacea do persone agli angoli opposti del piamigranti e non- ad inviarci i loro testi. magari come inserto ad una rivista neta. La rubrica “Generazione che sale” riculturale o letteraria nazionale. Nel 2005 i contatti al sito sono stati veste per noi una importanza partico3) qualche viaggio di incontro in alpiù di 135.000. con una media di 400 lare, e quindi riteniamo indispensabicune città europee dove esistono alvisite al giorno da ogni parte del monle ed auspicabile il sostegno e la collacune associazioni di scrittori migranti do (Paesi europei, Nord America, Rusborazione di insegnanti sensibili al con le quali siamo in contatto sia, Malaysia, India, Australia, tema della interculturalità, sia attratelematico, per approfondire la reciMexico…) verso la pubblicizzazione della rivista proca conoscenza e creare una rete Giunto al suo decimo numero, con nelle scuola che attraverso eventuali per futuri progetti. un lavoro faticoso basato in gran parprogetti comuni di percorsi 4) cercare di creare (con il supporto te sul volontariato (solo con l’avvio interculturali di realtà del mondo della scuola con della sezione internazionale i tradutDal nostro Manifesto: “Generazione cui collaboriamo) una redazione di “ratori vengono remunerati), il progetto che sale” vuole essere una sintesi di gazzi” per la sezione “generazione che si sta espandendo in maniera sempre tutte le altre sezioni, una scommessa sale”. più pervasiva. Il passaparola, unito alla in un futuro in cui tutto questo sarà Fino ad oggi la rivista ha vissuto prericerca della qualità nei testi seleziofinalmente ovvio: l’importanza valentemente grazie al contributo granati e pubblicati in una elegante veste sovranazionale della nostra necessità tuito dei componenti del comitato edigrafica, ne hanno fatto un prodotto che di comunicazione orale e scritta, l’ortoriale, delle persone che lavorano per raccoglie consensi ad ampio raggio. dinaria transumanza del nostro destila segreteria, degli studiosi che ci manOltre ad incontri di presentazione delno di artefici di parole, la sacralità delle dano le loro riflessioni, dei giornalisti la rivista in varie città italiane e giorparole sempre più contaminate e bache hanno fatto interviste, di coloro nate di “accompagnamento” alla costarde che ci sopravviveranno, di quelche manualmente fanno i trattamenti noscenza e valorizzazione delle diffele “reliquie - come le definisce lo scritper poter pubblicare ogni volta la rivirenze attraverso la scrittura nelle scuotore ungherese Deszo Kosztolànyi sta sul web. Ma non pensiamo che, sole, in luglio 2004 e 2005 la rivista ha santificate dalla sofferenza e sfiguraprattutto le persone esterne al comiorganizzato nel bolognese te dalla passione”. 24 StrumentiCres StrumentiCres●● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 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Il fenomeno della migrazione, che ha investito negli ultimi decenni molte nazioni europee, è in Italia recentissimo, tanto recente da poter essere definito, più correttamente, in fieri. A differenza quindi di altri paesi europei, che all’arrivo della prima ondata migratoria hanno assistito prima di noi, e della cui importanza e portata culturale non sempre si sono accorti per tempo, noi Italiani abbiamo l’enorme privilegio di veder compiersi questo fe- StrumentiCres ● Marzo 2006 nomeno proprio sotto i nostri occhi, e di parteciparvi. La Grande Migrazione, ovvero il riversarsi nelle nazioni dell’Occidente europeo di milioni di persone provenienti dai quattro angoli del globo terrestre (o, per essere più precisi, da quell’asse migratorio che va dal SudEst al Nord-Ovest del mondo), ha sollevato però alcuni problemi che rimangono ancora aperti: primo fra tutti, come - e se - sia possibile “passare dalla situazione della multiculturalità alla pratica dell’interculturalità, cioè ad una società aperta e davvero paritaria”1 , in cui l’integrazione non venga inquinata dal vecchio “vizio” europeo dell’assimilazione. L’importanza della letteratura In questo passaggio, difficile e insieme necessario, fondamentale è il ruolo rivestito dalla letteratura: “primo e più forte veicolo della Voce dei 1 Franca Sinopoli, “Letteratura e Migrazione in Italia. La banca dati online BASILI sugli scrittori immigrati e sulle loro opere in lingua italiana”, in Atti del Convegno Italiano e italiani nel mondo. Italiani all’estero e stranieri in Italia. Identità linguistiche e culturali, Perugia 13-15 dicembre 2001, Roma, Bulzoni, 2004, volume 2, p. 213 popoli”, secondo una definizione Gnisci, essa ci permette di conoscere voci altrimenti inascoltate, e soprattutto è in grado di introdurre nel nostro panorama culturale, in cui tutto viene fagocitato e digerito per essere restituito come rassicurante banalità, una dirompente carica innovativa. Gli scrittori migranti (definizione più corretta e meno ghettizzante di quella, più diffusa, che li vuole “scrittori immigrati”), sono i portavoce di questo cambiamento culturale, i veri detonatori d’innovazione delle nostre purissime e immobili lingue, culture e letterature nazionali. Scuola e interculturalità È interessante osservare, in questo senso, che l’unica realtà in cui una reale integrazione sta avendo luogo è quella scolastica – almeno in Italia; essa rappresenta quindi il luogo ideale nel quale può avvenire l’incontro fertile tra diverse culture. Proprio per il pubblico delle scuole, ma non solo, è stata pensata la prima antologia ragionata delle letterature migranti provenienti da tutte le parti del mondo, scritte in italiano. Il Nuovo Planetario italiano. Guida alla letteratura della migrazione, a cura di Armando Gnisci, sarà strutturato come 25 un vero e proprio planetario letterario mondiale, volto a ridefinire ed ampliare i confini della mappa letteraria italiana attraverso il contributo, non più trascurabile, degli scrittori migranti. (Il Nuovo Planetario italiano verrà pubblicato a settembre dalle edizioni Città aperta.) La banca dati BASILI L’importanza del fenomeno migratorio e della produzione letteraria ad esso collegata è stata colta, fin dal suo primo presentarsi, dal professor Armando Gnisci, docente di Letterature comparate all’Università la Sapienza di Roma, grazie al quale, nel 1997, è nata, con un primo finanziamento del CNR, poi riconfermato su un progetto di ricerca presentato nel 2000 dalla dottoressa Franca Sinopoli, finanziato anch’esso dal CNR, la banca dati on line BASILI. È ad oggi la prima ed unica banca dati degli scrittori “immigrati” in Italia che scrivono e pubblicano in lingua italiana e degli studi dedicati alle loro opere (tesi di laurea comprese). Attraverso i dati raccolti in questi anni è stato possibile osservare il complesso quadro della letteratura della migrazione in Italia definendo con precisione i generi letterari nei quali si sono cimentati gli scrittori (poesie, in raccolte o come singoli testi; romanzi, lunghi e brevi; racconti, in antologie collettive o di un singolo autore; e ancora pamphlet politici, testi autobiografici, fiabe, articoli di cultura…); gettare uno sguardo ai continenti di provenienza degli autori/autrici. (Da notare e sottolineare la compresenza quasi paritaria a livello numerico di scrittori e scrittrici). È stato possibile considerare come, nella fase “sorgiva” – la definizione è di Franca Sinopoli - della letteratura della migrazione si siano intrecciate due figure: quella dello scrittore già formato che emigra in Italia, e quella di chi nasce come scrittore dopo l’arrivo nel nostro paese, proprio a partire dall’esperienza migratoria; si è potuto infine constatare come tutti i testi testimonino dell’incontro delle varie culture della migrazione: non solo quindi della cultura del migrante con quella del paese d’accoglienza: ma anche delle varie culture migranti tra loro2 . Tecnicamente, il sito della banca dati BASILI (http://www.disp.let.uniroma1 .it/basili2001) è accessibile e di facile 2 Riguardo la banca dati BASILI, vedi: Franca Sinopoli, op. cit. 26 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier utilizzo. Dalla home page, è possibile prima di tutto scegliere il primo fattore di ricerca: - Scrittori (e opere letterarie) - Critici (e opere di critica) - Tesi Dopodichè è possibile inserire, nella griglia ottenuta, i dati di cui si è a disposizione riguardo l’opera o l’autore da cercare. È possibile effettuare la ricerca sia riempiendo tutti i campi, se si hanno le informazioni necessarie (ad esempio Nome, Cognome, Continente di provenienza, Nazione, Lingua madre, Lingua coloniale per gli scrittori), o inserendo solo i dati di cui si è a conoscenza (esempio: Nazione: Senegal, lasciando tutti i rimanenti campi vuoti); la ricerca all’interno della banca dati richiede in entrambi i casi solo pochi secondi, e permette di ottenere tutte le informazioni rintracciabili sull’autore o sull’opera, date e luoghi di pubblicazione compresi. È evidente quindi l’importanza di questo strumento, e come esso non sia solo, come a prima vista potrebbe forse sembrare, un punto d’osservazione privilegiato e distaccato; prova ne sia che, nel 2001, alla banca dati si è affiancata una rivista, anch’essa ospitata nel sito dell’Università la Sapienza di Roma, dedicata alle varie forme di cultura prodotte dalla migrazione e dalla creolizzazione dell’Europa. Kúmá Perché “Kúmá. Creolizzare l’Europa.” Kúmá è un termine della lingua bambara, dell’Africa occidentale, che significa “parola”. La rivista che porta questo nome nasce dalla precisa volontà del suo fondatore e dei suoi collaboratori di presentare narrazioni e saggi, poesie e ricerche di tutti i mondi, affinché la parola originaria, filtrata attraverso l’esperienza della migrazione e della creolizzazione, diventi parola dell’incontro. Di un incontro nel senso letterale del termine, “possibilmente felice” e spregiudicato; attraverso il quale stabilire reti di relazioni, progettare un cammino da compiere insieme, dare ascolto a chi non ha voce e dargli voce, e, soprattutto, combattere il rifiuto di chi non accoglie perché non vuole farlo. Non a caso questo semestrale, unico nel panorama italiano (è la prima rivista accademica di arte e letteratura creola) presenta esplicitamente, fin dal sottotitolo, il suo intento: Creolizzare l’Europa, in tutti i modi dell’interculturalità. Facendo suo il senso di quella “creolizzazione planetaria” di cui parla Edouard Glissant, cioè il fenomeno dell’incrociarsi e del meticciarsi di lingue, popoli, culture, con in più il valore dell’imprevisto, Kúmá vuole essere uno strumento attraverso cui, dando voce alle opere degli scrittori migranti e di chi con loro ha intrapreso un cammino di interculturalità non degradante, “inquinare” e rinnovare la nostra tradizione culturale e letteraria. È in questo senso che la letteratura della migrazione può essere riconosciuta come avanguardia di quella letteratura dei mondi che rappresenta una nuova poetica, rivoluzionaria e sperimentale. Gli scrittori migranti ci “impensieriscono”: elaborando una produzione letteraria nella nostra lingua, essi fanno un passo verso di noi, e ci invitano a riflettere, a metterci in discussione, ad accogliere un punto di vista nuovo attraverso cui ri-guardare noi stessi e la nostra società. Ci invitano ad accogliere l’imprevedibile e il diverso, a considerarlo – finalmente – una ricchezza; a diventare consapevoli che proprio nella pluralità, nel colloquio, nell’esperienza dell’ospitalità, sono rintracciabili i semi identitari del nuovo intellettuale Europeo. Da un punto di vista tecnico, il sito di Kúmá, che è attualmente accessibile all’indirizzo http://www.disp.let. uniroma1.it/kuma/kuma.html pur essendo in fase di ristrutturazione e miglioramento, è organizzato in modo da poter essere considerato un archivio ragionato in costante aggiornamento. Senza nulla togliere all’agilità del sito stesso, l’utente che consulta la home page può, scegliendo tra le varie sezioni proposte, accedere all’intero archivio della sezione in questione, dal primo al decimo numero. La struttura del sito prevede inoltre due menù principali grazie ai quali impostare la propria ricerca: - uno, SEZIONI, permette di accedere agli archivi di: Narrativa; Teatro/Cinema; Musica; Poesia;Critica Poetica; all’interno dei quali cercare testi inediti di poesia o narrativa, brevi saggi critici, interviste. - il secondo, RUBRICHE, comprende invece le seguenti voci:Novità Editoriali; Decolonizziamoci; Intercultura; Iniziative; Strumenti; I link. E permette di essere costantemente aggiornati sulle nuove pubblicazioni, i siti, le iniziative culturali e anche le opportunità di formazione e di ocStrumentiCres●●Ottobre Marzo 2006 StrumentiCres 2002 La redazione, i collaboratori La redazione di Kúmá è composta, fin dal suo primo formarsi, da collaboratori, allievi e amici del suo fondatore Armando Gnisci. C’è una particolarità che riguarda la redazione di Kúmá, che apparve evidente fin dalla sua nascita: essa è composta, per la maggior parte, da studenti — o ex-studenti — del professor Gnisci. (Si tratta delle caporedattrici Flavia Caporuscio e Rossella Rafele, e poi Pierangela Di Lucchio, Marta Pongetti, Aurora Portesio, Barbara Ronca, Gianluca Iaconis, Annamaria Pompili e Valentina Fanfarillo.) La maggior parte ha quindi (quasi) meno di trent’anni; sono persone che si sono appassionate, nel corso dei loro studi, alle tematiche della letteratura della migrazione, degli studi post-coloniali, intesi nella direzione in cui il professore li ha affrontati in questi anni. Ne sia prova che molti di loro hanno collaborato con altre riviste specialistiche, hanno pubblicato saggi o articoli di cultura, hanno – a volte, assieme a dei coetanei – fondato essi stessi periodici o siti che si occupano di queste tematiche. Oltre a loro, fanno parte della redazione docenti, scrittori, saggisti (dovremmo piuttosto dire scrittrici e saggiste, visto che si tratta di tre donne): Mia Lecomte, poetessa, già collaboratrice di Sagarana e El Ghibli, che da anni svolge attività critica nell’ambito della comparatistica; Maria Cristina Mauceri, dell’Università di Sydney, che, pur occupandosi già di scrittori migranti, di recente si è dedicata soprattutto alle voci femminili della migrazione in Italia; infine, Grazia Negro, dell’Università di Salisburgo. Oltre ad avvalersi della collaborazione continuativa di alcuni tra i migliori scrittori italiani della migrazione, Kúmá ha accolto negli anni anche interventi occasionali, poesie, interviste, riflessioni, di molti autori che comunque le riconoscono un ruolo centrale nel discorso della letteratura migrante in Italia. Da Julio Monteiro Martins a Jarmila Ockayova, da Christiana de Caldas Brito a Gezim Hajdari, chiunque sia intervenuto sulle nostre pagine l’ha fatto con la convinzione di condividere un intento, di costruire insieme uno strumento critico e “politico” Marzo 2006 StrumentiCres ● Ottobre 2002 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ cupazione (dai master universitari ai corsi promossi dalle istituzioni pubbliche). dossier Tre domande sul futuro, con le risposte di Armando Gnisci In cosa può essere individuata la specificità di Kúmá, soprattutto a confronto con le altre riviste cui abbiamo fatto riferimento poche righe fa? Direi in un progetto politico-culturale più largo ed impegnativo: quello della creolizzazione e della decolonizzazione europea, come compiti della cultura mutua che si va formando in Europa. Il fatto di essere una pubblicazione accademica ha influenzato in qualche modo l’esistenza e il lavoro della rivista? Soprattutto: la letteratura della migrazione in Italia, a fronte del dispendio di energie di chi lavora per Kúmá e BASILI, che pure sono, come abbiamo accennato, entrambi ospitati all’interno del sito di Italianistica della Sapienza, ha guadagnato qualche spazio all’interno dell’Università o è ancora ignorata dall’accademia e dai critici? Il cammino è lungo e in salita, ma cresce avanti a sé e sa che il futuro è suo. Infine, una riflessione che nasce proprio dal confronto con le altre realtà citate: El Ghibli ha un’intera sezione dedicata alla pubblicazioni di opere scritte da bambini e ragazzi; cos“ pure il concorso Eksetra, e la redazione di Kúmá è giovanissima. Parlare di letteratura della migrazione sembrerebbe, comunque, scommettere sul futuro. Ma quale futuro, secondo lei? La mia risposta è scontata. Il futuro della creolizzazione e della decolonizzazione degli europei “coloni dentro”, come diceva Sartre. Dove portano queste pratiche? Alla possibilità di “incontri felici”. comune ma soprattutto necessario. Infine, molta importanza riveste nel nostro lavoro il rapporto con altre pubblicazioni a noi affini per intenti e obbiettivi (penso in particolare alle riviste on line Sagarana , di Julio Monteiro Martins, El Ghibli, diretta da Pap Khouma, e il quadrimestrale cartaceo Rivista Paginazero, di Mauro Daltin, pubblicato a Trieste), con le quali da anni Kúmá ha l’opportunità di dibattere e confrontarsi; il che ha permesso di creare nuove reti di dialogo e amicizia che portiamo avanti con entusiasmo e interesse, e che ci aiutano a crescere. Infine Pensare insieme, lavorare insieme: questa è la vera sfida che attende l’Europa nel millennio appena iniziato, una sfida che si accetta solo, come sostiene Armando Gnisci, cominciando a ribellarsi. Ma ribellarsi a chi, a cosa? All’indifferenza e al rifiuto, forse, che l’euroccidente ricco e seduto riserva a chi recide legami, abbandona affetti, cambia pelle, lingua e vita per avventurarsi verso l’altrove, come dice Ron Kubati. Se la migrazione è la condizione primordiale della nostra specie, ne ha cioè determinato un progresso in termini evolutivi, avventurarsi verso altri luoghi e altre vite significa sapere, e insegnare a chi è disposto ad ascoltarci, che oltre i nostri confini, siano essi geografici o mentali, c’è il futuro. Quella di Kúmá/BASILI non è quindi un’esperienza puramente accademica: si potrebbe definire, piuttosto, un’avventura. Nel senso – questo s“, accademico, perché etimologico – del termine: avventura, ci ricorda ancora Gnisci 3 , “viene dal nostro latino ad ventura: “andare incontro alle cose che ci vengono incontro dal futuro.” Andare, tutti insieme, finalmente liberi dalle distinzioni tra noi e loro, incontro al nostro futuro: è quello che cerchiamo di fare attraverso il lavoro di Kúmá. 3 Armando Gnisci, “Lettere migranti” in Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma 2003, p. 176 27 La rivista Sagarana Julio Monteiro Martins* Il progetto della Sagarana – scuola e rivista – si evolve a partire dalla fine degli anni ’70, quando tenevo negli U.S.A. il mio primo corso di scrittura, e ho scoperto nei progressi della scrittura degli allievi, ma anche nella mia, il potere incomparabile dell’esempio, dell’emulazione. Oltre ai concetti teorici indispensabili di narratologia, legati alla creazione del personaggio o all’utilizzo dei punti di vista narrativi, e agli esercizi proposti ed eseguiti, c’è questa terza gamba del tavolino, l’esposizione diretta dell’allievo alla letteratura di più alta qualità, allo stile trasparente e coinvolgente, all’efficacia del testo ben costruito, all’emozione e alla bellezza insomma. La rivista on-line è nata per soddisfare questa esigenza. Ho creato la rivista Sagarana – consultabile all’indirizzo www.sagarana.net – per affiancarla alla scuola come una sorta di grande vetrina, in continua crescita e rinnovamento. È il luogo dove è presentato, in una concertazione di autori dei più svariati generi, culture, epoche e stili, quello che ritengo il livello di eccellenza nel pensare e nel raccontare il nostro tempo. E così i nostri allievi, ma anche i lettori che scrivono, avranno una sorta di stella del Nord che guiderà il loro sviluppo nella direzione che considero più giusta. Le scelte sono fatte da me, e anche certe traduzioni e certe ricerche di materiale inedito di qualità in ambito internazionale, attraverso rapporti di amicizia costruiti lungo una vita. Ma la rivista può contare anche su una validissima equipe di collaboratori e di traduttori, oltre ai miei allievi dell’università di Pisa, con i quali svolgo durante tutto l’anno dei lavori di traduzione letteraria che poi sono in parte riprodotti nella rivista. È uno sforzo collettivo di una cinquantina di persone, tutti volontari e amanti della migliore letteratura. Ma alla fine, non c’è dubbio che il risultato riflette una mia idea personale, maturata negli anni, di quali siano le modalità di scrittura da emulare, che devono servire da parametro d’eccellenza, quelle che 28 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier garantiscono, in aggiunta, il piacere della lettura, un piacere che scaturisce allo stesso tempo dal riconoscimento e dalla scoperta. Ma la rivista, si capisce, è un progetto in continua evoluzione. Per esempio, la sessione dedicata alle opere dei nuovi scrittori italiani, Vento nuovo, cresce sempre di più e diventa una specie di rivista nella rivista. Lo stesso si può dire della sezione Ibridazioni, dove si presentano e si discutono questioni legate alla letteratura “migrante” e del Sud del mondo, e abbiamo anche la traduzione in italiano della rivista tedesca di avanguardia Gegner (l’Avversario), con un’esistenza autonoma. “ La sessione Vento nuovo è senz’altro di grande importanza, perché chiude il cerchio e lo completa: prima l’allievo legge, impara, si perfeziona, si allena, e alla fine, raggiunto un certo livello, comincia a pubblicare nella stessa Sagarana, per un pubblico numeroso e interessato, che oggi la segue con una media di 300 visite al giorno. È già un bel punto di partenza per un futuro scrittore, no? E questa sessione è aperta a chiunque voglia inviarci testi inediti, i quali, al contrario di quel che accade abitualmente, vengono tutti letti con attenzione, e i loro autori ricevono un parere e una risposta sull’eventuale pubblicazione. Sulla mia esperienza brasiliana negli anni successivi al mio ritorno dagli U.S.A. ho scritto un testo, Uova di cigno, uova di tartaruga, che è presente sul sito della Sagarana, nella sezione Il Direttore. Quanto all’esperienza in Italia, quando ci sono arrivato, nel 1995, ho trovato un panorama desolante riguardo alla scrittura creativa, un insieme di ignoranza, derisione e diffidenza. Sembrava che l’ambiente letterario italiano fosse fermo agli anni quaranta, con una forte, incredibile eredità dei vecchi miti romantici lega- ti alla scrittura e alla creatività in generale. Anche scrittori di prestigio usavano insistentemente sulla stampa espressioni come “dono”, “ispirazione”, “scintilla”, “privilegio”, “genio”, “presenza delle muse”, ecc. Sembravano i discorsi di certi opuscoli autocelebrativi della prima metà dell’ottocento, ancor prima dei primi esperimenti di creative writing di William James e di E.M.Forster. E questi erano gli argomenti pubblicati dalle pagine culturali dei grandi periodici italiani, che allora ignoravano proposte più moderne. Credo che il primo vero “sfidante” di questo insieme anacronistico di pregiudizi è stato Pietro Pedace, che poi è diventato mio amico, fino alla sua morte a soli 37 anni. Pedace, che aveva studiato negli USA e conosceva come nessun altro italiano di allora gli esperimenti e la tradizione dei laboratori di scrittura in quel paese, ha iniziato una vera e propria campagna attraverso la stampa per dissipare l’ignoranza e spiegare il potenziale di questa attività. A quel tempo non trovava eco da nessuna parte. Ma il seme era stato lanciato. Oltre ai suoi articoli, Pedace ha aiutato a creare a Roma la scuola di scrittura Omero, e ha collaborato con me nella creazione dell’evento Scrivere oltre le mura, nel 1997, che ha preparato il terreno per l’avvento della scuola Sagarana. Pedace è stato un pioniere, uno spirito coraggioso e moderno, che oggi merita il nostro riconoscimento. Più tardi, a partire dalla fine degli anni ’90, la situazione si è lentamente sbloccata, si è formata una costellazione di corsi e di scuole di scrittura in Italia, di qualità molto svariata, dall’ottimo al pessimo, e sono nati anche importanti siti e pubblicazioni cartacee dedicate all’argomento. Ci troviamo oggi nel mezzo di un intenso processo di sviluppo che sono sicuro porterà alla letteratura italiana dei prossimi anni un’inedita crescita e una sorprendente qualità e varietà. E Pedace deve essere ritenuto uno dei responsabili di questo sviluppo positivo. Dopo la sua morte, nel discorso inaugurale di Scrivere oltre le mura che ho dedicato a lui, ho riportato una citazione di Isaiah Berlin, sul suo ruolo nella nuova letteratura italiana: “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Pietro Pedace, il mio primo amico in questo paese, ne sapeva una grande. Tornando alla rivista, la Sagarana on-line offre una stimolante miscela di saggistica (sia letteraria sia di attualità), narrativa e poesia, proponendo testi inediti in Italia o già editi ma ormai introvabili. Gli accostamenti sono intriganti, ad esempio il numero StrumentiCres StrumentiCres●● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 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di Morin, Chomsky, Buzzati, la poesia di Saramago e di Dario Bellezza e persino autori “nuovi” e insoliti in questa veste come Tom Waits. Questi pezzi vengono scelti da me, ma suggerimenti interessanti mi arrivano in continuazione. La scelta finale è il risultato di una scrematura di un universo di possibilità almeno cinque volte più ampio. Gli accostamenti a volte possono sembrare insoliti, ovvero “eclettici” - una parola a mio parere molto positiva, ma che in certi ambienti della critica italiana più conservatrice ha preso una connotazione stranamente negativa. Ma alla fine tutto questo rispecchia la mia visione della letteratura come un unico, vasto e complesso “sistema”, nel quale etica ed estetica, saggi e poesia, forma e contenuto, tradizione e sperimentazione, ragione e passione, sono strettamente collegati e indissociabili. È l’insieme di questi elementi, appartenenti a territori diversi dello scrivere, orchestrati all’interno di una pubblicazione (o della linea editoriale di una casa editrice), che concentrano la forza per creare la sinergia necessaria all’emergere di un movimento letterario, un movimento magari in grado di rinnovare il panorama preesistente, il cui modello presenta StrumentiCres ● Marzo 2006 ormai chiari segni di esaurimento e di impotenza nel sedurre l’universo dei nuovi (ma anche degli antichi) lettori. C’è urgente bisogno in Italia di ricomporre le priorità, di ripensare il “canone” letterario, e di dare o restituire il prestigio a coloro che davvero meritano, e non solo ai cosiddetti “divi televisivi”, o a quelli che i media decidono di incensare, spesso motivati dagli interessi economici delle case editrici meglio inserite nel mercato. Se questa distorsione va avanti per lungo tempo, senza una coraggiosa correzione di rotta, tutta la vita letteraria, comprese la lettura e la creazione, si atrofizza e declina. Questo spacciare ottone per oro è una delle malattie della modernità che ha più severamente colpito il nostro campo di attività. L’ambiente letterario è inquinato da una montagna di prodotti simili ma diversi dalla vera letteratura. Bisogna trovare gli antidoti e applicare le terapie giuste. La Sagarana nel suo piccolo è stata creata anche a tal scopo: per contribuire a correggere queste distorsioni create dal mercato. Tornando alla questione degli accostamenti insoliti nella rivista. Come nel campo della bio-diversità, cos“ intensa e abbondante nel mio paese di origine, il Brasile, la presenza di un albero è misteriosamente indispensabile alla salute e alla soprav- vivenza degli alberi contigui di specie diversa, così anche in letteratura, la presenza di un genere letterario accostato ad altri generi diversi, o di testi di una generazione accostati a quelli di un’altra, produce una salutare simbiosi, un effetto di potenziamento generale, un rialzo della qualità di ciascuno di essi. Per questo i movimenti artistici nella storia della cultura non sorgono mai limitati ad un unico genere, ad un unico campo, bens“ abbracciano tutto l’universo creativo, è l’”ethos” e la visione-del-mondo collettiva a cambiare, e in tal modo cambia tutto il resto e si produce la nuova sinergia a cui si faceva riferimento. In Italia siamo oggi agli inizi di una svolta epocale di questo tipo, alla quale mi sento fortunato di poter partecipare. Ho scelto di creare una rivista esclusivamente on-line, ma in verità la questione è sempre meno di scelta tra una rivista cartacea o on-line. La scelta all’atto pratico fra poco secondo me non ci sarà più. È già praticamente impossibile realizzare una rivista di carta, una rivista culturale di qualità, che sia in grado di sormontare le difficoltà derivanti dai costi di produzione, dalla distribuzione inesistente o ristretta a una mezza dozzina di librerie in tutto il paese, dalla nuova abitudine dei lettori di consumare arte e cultura attra- 29 verso la rete. La comunicazione via Internet, oltre ad essere gratis, democratica e istantanea, arriva dappertutto, in un cantone della Svizzera e a Lampedusa nello stesso momento, e permette inoltre l’intervento e la partecipazione diretta del lettore. Non ci sono più dubbi che il futuro nell’ambito culturale – e forse già il presente stesso – si basa su questa forma più aperta di comunicazione. È vero che c’è ancora un “rispetto” più grande per le pubblicazioni in forma cartacea, ma si capirà presto che si tratta soltanto di una semplice questione di forma, e ciò che davvero importa nel caso concreto è la qualità del contenuto. Il fatto è che un testo brutto non migliora perché è stampato su carta, né un capolavoro cessa di esserlo per aver esordito on-line. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier C’è sempre il problema della lettura sullo schermo, che dopo un certo periodo di tempo diventa scomoda. Ma proprio per rimediare a questo inconveniente ho aggiunto ad ogni titolo dei testi presenti sulla rivista una breve traccia, due righe scelte dal testo, in modo che il lettore, dopo averlo saggiato, possa decidere se stamparlo per leggerlo più comodamente. E così anche il lettore ha parte attiva nelle scelte della rivista, si fa una sua “rivista personale” a partire dalla rivista più ampia. Ogni nuova edizione della rivista Sagarana è letta in tutto il mondo. Lo so dall’analisi delle informazioni sui server da dove provengono le visite, ma anche dai messaggi che mi arrivano tutti i giorni. Studiosi di letteratura italiana, soprattutto dagli USA, dall’Au- stralia e dall’Argentina, ci seguono con interesse, e ci sono numerosi lettori che spesso si collegano alla Sagarana dalla Svizzera, dall’Albania, dalla Macedonia, dal Brasile, dall’Inghilterra, dalla Serbia, dal Giappone, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Arabia Saudita, i paesi stranieri con più presenze. Solo Internet è in grado di offrire una tale ampiezza di comunicazione. E tutto questo senza alcuna perdita di informazione. Ho calcolato che ogni numero della rivista Sagarana, se fosse stampato su carta, avrebbe più di 250 pagine (senza contare l’archivio di tutti i numeri precedenti, che sono sempre accessibili), una pubblicazione di notevole consistenza, che conta oggi 1100 visite in media al giorno, ossia più di 10 mila contatti giornalieri. Il sito www.eksetra.net Strumento di studio per le scuole: alcune riflessioni Corrado Giamboni e Roberta Sangiorgi Premio Eks&Tra: dodici edizioni, oltre 600 autori migranti, più di 1800 tra racconti e poesie. Sono cifre che testimoniano la realtà della letteratura della migrazione attraverso la “memoria” raccolta dall’associazione Eks&Tra, consolidata dall’appoggio organizzativo e solidale dell’assessorato immigrazione Comune di Mantova, grazie a cui sarà possibile a tutti fruire dell’archivio delle parole migranti nel sito internet www.eksetra.net. Nel ’95, quando si è svolta la prima edizione del premio Eks&Tra, la letteratura della migrazione era agli esordi. Agli inizi degli Anni ’90 erano stati pubblicati i primi libri autobiografici sulla vita dei migranti scritti a quattro mani, con l’aiuto cioè di un giornalista che trasferiva in lingua italiana le esperienze degli immigrati. Si potrebbe in- 30 dividuare proprio nel ’95 l’anno di svolta, perché gli scrittori migranti cominciano a scrivere indipendentemente da rapporti di collaborazione con esperti linguistici. A questo sviluppo ha contribuito anche il concorso Eks&Tra. “ Dal 1995 ad oggi sono trascorsi 12 anni che, tradotti in cifre, significano 500 autori e più di 1800 testi letterari presentati, di cui, dopo le necessarie selezioni, più di 200 testi occupano oggi le pagine delle dieci antologie pubblicate: un centinaio di poesie e quasi altrettanti racconti. A cui si aggiungono una raccolta di poesie (“Versi randagi” di Milton Fernandez, Gedit editore) pubblicata grazie al finanziamento del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna e una raccolta di racconti (“Il maestro di tango e altri racconti” di Miguel Angel Garcia) pubblicata da Eks&Tra edizioni. Gli autori, un buon centinaio fra poeti e prosatori, provengono da una quarantina di paesi diversi che si potrebbero distribuire in quattro blocchi: l’Africa occupa il primo posto con una quindicina di paesi diversi, fra cui emergono soprattutto l’Algeria, il Marocco, la Tunisia, il Senegal e il Togo; poi vengono, ognuna con una decina di paesi rappresentati, l’America Latina con l’Argentina, il Brasile, e il Messico, l’Asia con la Siria e l’India e l’Europa dell’Est con l’Albania, la Romania1 . “Poiché l’insieme dei testi pubblicati è disponibile anche tramite internet, sul sito di Eks&Tra, l’associazione può vantare giustamente di aver realizzato il primo archivio in Italia della memoria della letteratura della migrazione, disponibile on line.2 ” 1 Serge Vanvolsem, Dieci anni fra Eks e Tra. Nuove vie per la lingua e la letteratura italiana, Atti IV Forum internazionale sulla letteratura della migrazione (Mantova 3/4/04 in pubblicazione) 2 S. Vanvolsem ibidem. L’indirizzo è www.eksetra.net A Roma, nel Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza”, esiste anche una banca dati sugli scrittori immigrati in lingua italiana, che ha repertoriato fra i 100 e i 150 nomi, ma essa non contiene i testi stessi, solo i riferimenti bibliografici. StrumentiCres StrumentiCres●● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345 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motivi di studio (ovviamente non per motivi commerciali) proprio perché vogliamo che le parole dei migranti giungano a più persone possibili. Inoltre sono presenti i dibattiti più attuali sulla letteratura della migrazione inseriti nella sezione Forum, dove è possibile leggere le relazioni di accademici italiani e stranieri e di scrittori migranti. Caratteristica comune alla gran parte delle opere inviate al concorso Eks&Tra è stata la scelta di scrivere in lingua italiana, nonostante nel bando di partecipazione fosse anche specificata la possibilità di poter scrivere nella lingua del paese d’origine. Perché questa scelta? Molti scrittori hanno risposto che vivono la lingua italiana come lingua dell’ospitalità. Non una lingua imposta da un regime coloniale, ma una lingua scelta per comunicare ed ancora di più per esprimere emozioni. La letteratura di migrazione nelle scuole costituisce una proposta relativamente nuova alla quale gli insegnanti sembrano aderire timidamente ma in misura crescente. C’è da premettere che la letteratura di migrazione, per quanto riguarda l’approccio al testo non si differenzia StrumentiCres ● Marzo 2006 in nulla dalla letteratura “ufficiale”, poiché i testi giungono al lettore in italiano, dunque già filtrati attraverso il suo sistema linguistico e già pronti per essere fruiti, analizzati, studiati, vivisezionati, a seconda dell’insegnante e del metodo. Questa particolarità, di una letteratura che si designa italofona così come ne esiste già una francofona e una anglofona, costituisce la condizione necessaria e sufficiente per svolgere un lavoro sicuro sul testo. Di ostacoli linguistici non ve ne sono dunque, mentre sicuramente maneggiando questa letteratura ci si può imbattere in interessanti novità, per chi fosse disposto a cercarle, di carattere inedito nel panorama culturale italiano. Prima di tutto perché la letteratura italiana non ha mai avuto una così vasta produzione italofona, da parte di scrittori non-italiani nè di madrelingua italiana, non potendo l’Italia vantare un passato coloniale importante - se vanto ci può essere - che abbia lasciato semi linguistici in giro per il mondo. Per questo motivo la lingua italiana si presenta spesso per lo straniero che la usa, come lingua “neutra”, se non addirittura lingua amica, laddove le lingue forti del colonialismo non sono mai neutre, connotandosi automaticamente come “codici imperiali” con i quali bisogna fare i conti. La riflessione è di Tahar Lamri, uno degli “scrittori di Eks&Tra”. Ma vediamo quali sono i caratteri di questa produzione letteraria. La possibilità di un punto di vista nuovo, innanzitutto. Spiegato con il nostro linguaggio. Si tratta di un grande regalo: la possibilità del confronto con sensibilità nuove, con altri approcci culturali, ci viene offerta senza che noi dobbiamo muoverci verso di esse. Questi scrittori poi ci raccontano dal loro punto di vista e con altre priorità, e il “rivederci” con occhi diversi può essere molto utile. Certo, questo richiede una certa disponibilità a mettersi in discussione: operazione impegnativa e dall’esito incerto, anche se lo straniero che scrive in italiano ha già fatto lui il primo passo verso di noi. Se noi lo accogliamo, lo ascoltiamo, non potremmo dare un esempio che possa stimolare i paesi più chiusi e refrattari al confronto a comportarsi allo stesso modo? Non potrebbero essere, gli scrittori migranti, dei ponti culturali per avvicinare il nostro mondo e i suoi valori al loro mondo e ai valori delle loro culture originarie? E’ un’ipotesi. Poi, una diversa carica innovativa e creativa applicata al nostro vocabolario e al nostro modo di esprimerci e di 31 pensare se è vero che esiste un collegamento fra parola e pensiero. Perché certe invenzioni non sono possibili se non a chi viene da un mondo linguisticamente diverso, e porta il suo bagaglio di affetti e tradizioni, di sapere, i suoi suoni e le sue musiche. Diversamente, per chi sperimenta solo “da casa sua” sono possibili altri esiti. Poi, incontri umani, oltre al testo. Con persone di cultura, dove la cultura passa dal sangue e dalla carne piuttosto che dalla sola carta. Raramente ci si limita alla disputa accademica o stilistica, le priorità sono sicuramente altre per questa scrittura, chi viene a ricordarcelo ha pagato talvolta un prezzo alto. Non sempre è necessariamente un migrante, d’accordo, a presentarci una scrittura con questi caratteri, ma spesso oggi capita che lo sia. Un migrante laureato magari, che sa le lingue e che fa un lavoro da ultimo degli italiani. Oppure, tanto per rompere il controstereotipo dell’“extracomunitario buono”, un migrante che si trova in carcere perché ha spacciato e rubato e per questo motivo non può; mai venire a ritirare i premi che vince, come il siriano Yousef Wakkas, una persona che attraverso l’esercizio non facile della scrittura in una lingua non sua ha trovato un modo per sopravvivere al carcere e per iniziare un viaggio dentro a se stesso che lo ha portato a capire il male commesso. Yousef Wakkas tiene una corrispondenza con la terza classe dell’Istituto d’Arte “Giulio Romano” di Mantova. Gli stereotipi... I migranti sono o buoni o cattivi, di solito sono portatori di grane e sporchi, e comunque è meglio che se ne stiano a casa loro. Il discorso sugli immigrati non conosce mezze misure. La conoscenza serve, per approssimazioni, a cambiare uno stereotipo in uno meno parziale del precedente, e quindi a riconsiderare le facili generalizzazioni. La letteratura dei migranti è senz’altro un’occasione di conoscenza reciproca. Sono discorsi difficili da fare, oggi che siamo in guerra e che le cose sono state rese più difficili, se mai ce ne fosse stato bisogno. Ma è proprio per questo che occasioni di questo tipo rappresentano uno spiraglio d’aria da non soffocare. E da portare nelle scuole. Ostiglia, Buscoldo, Guidizzolo, Porto mantovano, Mantova: nel mantovano abbiamo iniziato da qui un lavoro grazie ad una rete di insegnanti motivati che, come si dice, “ci credono” e che sono diventati i nostri referenti per un lavoro continuativo, per una presenza viva, anche se forse non così eviden- 32 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier te, non così “massmediaticamente” visibile sul territorio. Magari i frutti si vedranno più avanti; con i giovani talvolta è così. Un grazie a questi insegnanti che lavorano già da alcuni anni con noi, e a coloro che sembrano affacciarsi ora all’argomento. Un grazie anche a Monica Perugini, assessore all’Immigrazione del Comune di Mantova, che continua a “crederci”. Per informazioni: Associazione Eks&Tra, associazione di promozione sociale senza fine di lucro, via Zenerigolo 17, 40017 San Giovanni in Persiceto (Bo), tel. e fax. 051.6810350 mail [email protected] sito: www.eksetra.net Bibliografia del Concorso Eks&Tra - Voci dell’Arcobaleno, AA. VV., Fara editore (I premio Eks&Tra) - Mosaici d’inchiostro, AA. VV. Fara editore (II premio Eks&Tra) - Memorie in valigia, AA. VV., Fara editore (III premio Eks&Tra) - Destini sospesi di volti in cammino, AA. VV., Fara editore (IV premio Eks&Tra) - Parole oltre i confini, AA. VV., Fara editore (V premio Eks&Tra) - Anime in viaggio, AA. VV., Adn Kronos Libri (VI premio Eks&Tra) - Il doppio sguardo, AA. VV., Adn Kronos Libri (VII premio Eks&Tra) - Pace in parole migranti, AA. VV., Besa editore (VIII premio Eks&Tra) - Impronte, AA. VV., Besa editore (IX premio Eks&Tra) - La seconda pelle, AA. VV., Eks&Tra editore (X premio Eks&Tra) - Il maestro di tango e altri Racconti, Miguel Angel Garcia, Eks&Tra edizioni (XI premio Eks&Tra) - Fogli sbarrati, Yousef Wakkas, Eks&Tra edizioni - Migranti, AA. VV., (Atti del III Forum sulla letteratura della migrazione Mantova 2003) Eks&Tra edizioni - Bellezza Remota, Amoà Fatuiva, (Poesie) Eks&Tra edizioni - Desejo, Rosana Crispim Da Costa, (Poesie) Eks&Tra edizioni I libri possono essere ordinati dal sito www.eksetra.net oppure tel. e fax 051.6810350 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 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○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ RUBRICHE dossier L’interpretazione della storia La narrazione del passato e la sua attualizzazione nel presente G. Dal Fiume “Un’altra storia è possibile” Bollati Boringhieri, Torino, 2005 P. Linebaugh, M Rediker “I ribelli dell’Atlantico” Feltrinelli, Milano, 2004 M. Davis “Olocausti tardovittoriani” Feltrinelli, Milano, 2002 a cura di Michele Crudo G. Dal Fiume, docente di Storia comparata e intercultura presso l’Università di Bologna, già dal titolo dichiara l’intenzione comunicativa contenuta nel suo libro: decostruire e ricostruire i fatti storici, utilizzando le informazioni occultate o deformate dalla corrente storiografica che tende a narrare gli eventi inquadrandoli nello schema interpretativo dello scontro fra civiltà. Richiamandosi alla lezione di L. Febvre, che in “Problemi del metodo storico” aveva precisato che ricordare il passato è un’operazione intellettuale mirante a legittimare il presente, egli sostiene che la narrazione del passato è una forma di appropriazione ideologica utilizzata nell’attualità per accreditare una surrettizia appartenenza identitaria e un’arbitraria rappresentazione sia dei fenomeni economici sia dei processi sociali. E’ ciò che si è verificato a partire dal 1996, anno della pubblicazione del libro di S. P. Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, con il quale l’autore, docente presso la Harvard University e direttore del J. T. Olin Institute for Strategic Studies, si è affermato come il teorico della inconciliabile separatezza delle civiltà, della irrimediabile incomunicabilità fra la cultura orientale e quella occidentale, nonché dell’incolmabile abisso che dividerebbe il mondo arabomusulmano da quello cristiano. Coerente con la sua tesi, dopo aver attribuito all’Occidente peculiarità quali “il cristianesimo, il pluralismo, l’individualismo e lo Stato di diritto”, che hanno creato le condizioni per “inventare la modernità, espandersi in tutto il mondo e suscitare l’invidia di altre soStrumentiCres ● Marzo 2006 cietà”, egli riconosce ai leader occidentali la “responsabilità di preservare, proteggere e rinnovare le qualità peculiari della civiltà occidentale”. Di conseguenza, “essendo il più potente tra i paesi occidentali, questa responsabilità ricade in grandissima parte sugli Stati Uniti d’America” (1). Assegnata agli USA una missione, lo studioso statunitense ne configura gli obiettivi, tra cui, oltre “all’allineamento dei Paesi latinoamericani all’Occidente” e al “rallentamento della politica di avvicinamento del Giappone alla Cina”, spicca la finalità strategica di “mantenere la superiorità militare e tecnologica occidentale sulle altre civiltà” (2). Il pensiero di Huntigton, formulato con i dovuti distinguo e una mole di dati apparentemente asettici, è stato nella sua essenzialità assunto come nucleo concettuale dai neoconservatori che, dopo l’attentato alle Twin Towers di New York, avevano bisogno di una giu(1) S. P. Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” Garzanti, Milano, 2002 (pag. 464) (2) Ibidem (pag. 465) stificazione teorica per sferrare l’offensiva bellica contro l’Afghanistan e l’Iraq. Una sintesi esemplificativa delle idee neoconservatrici è racchiusa nel discorso tenuto da Berlusconi nel settembre del 2001 durante la sua visita ufficiale in Germania. Le sue parti salienti, riportate da Dal Fiume a pagina 78, danno l’idea della funzione palesemente propagandistica di una visione spregiudicatamente distorta della storia. Nel suo pronunciamento davanti alla stampa internazionale Berlusconi dichiarò infatti che “noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civilizzazione, un sistema che ha garantito benessere, rispetto dei diritti umani e, a differenza di quanto accade nei Paesi islamici, rispetto per i diritti religiosi e politici. L’Occidente continuerà a conquistare consenso anche se ciò significherà uno scontro con un’altra civiltà, l’islam, rigorosamente radicata negli stessi costumi di 1400 anni fa”. Una visione così banalmente semplicistica, espressa con enfasi accusatoria da Oriana Fallaci nell’articolo pubblicato sul Corriere della sera del 29/9/ 01, rispecchia un pregiudizio diffuso che, avvalorato con preoccupante frequenza dai mezzi di comunicazione di massa, tende a identificare un sentimento e una pratica religiosa di un miliardo e duecento milioni di persone nella versione tragicamente assolutizzante di alcuni gruppi terroristici. Si ignora dunque volutamente la presenza di forme di pensiero e di istituzioni organizzate in quasi sessanta Stati e governi, che testimoniano la molteplicità di apporti dipendenti da variegate specificità locali. L’islam è un contenitore talmente vasto e composito da comprendere al suo interno la modernizzazione perseguita dai turchi e la statica ortodossia dei sauditi, la secolare resistenza delle donne berbere ad acquisire l’uso del velo e l’integrale copertura del corpo da parte delle afghane anche dopo la cacciata dei talebani. Basterebbe inoltre visitare la Siria, uno dei Paesi inseriti da Bush nella lista degli “Stati canaglia”, per rendersi conto dell’unilateralismo eurocentrico e constatare quanto sia tuttora persistente il tollerante pluralismo praticato dai musulmani nel corso di oltre un millennio. In quella terra, incrocio di etnie, lingue e religioni, convivono cristiani, musulmani e una piccola parte della comunità ebraica che ha continuato a vivere a Damasco dopo lo scoppio del 33 34 la prima rivoluzione industriale. Lo studio è compiuto su documenti poco conosciuti, in quanto scarsamente esplorati dalla storiografia ufficiale, dai quali affiora la pervicace determinazione dei mercanti europei nel perseguire il massimo profitto a scapito degli strati più poveri della popolazione. A farne le spese furono in particolare gli irlandesi, sottomessi con feroce violenza fin dall’occupazione dell’esercito di Cromwell. Si trattava di nullatenenti, ubriacati nelle cantine e trasportati a loro insaputa sulle navi in partenza per il Nuovo mondo; di galeotti ai quali veniva prospettato un futuro radioso in colonie dove nel XVII secolo oltre la metà dei nuovi arrivati moriva a causa di malattie sconosciute; di poveri contadini espropriati, con la forzata recinzione delle terre, degli appezzamenti demaniali una volta concessi dalla comunità del villaggio. Il conseguimento dei propri interessi ad ogni costo non fermò i mercanti neanche di fronte all’indegno sfruttamento degli orfani: la prima delibera per l’imbarco dei bambini senza genitori fu approvata dal Consiglio comunale di Londra nella primavera del 1619. Una seconda spedizione di circa 1500 bambini in Virginia fu organizzata nel 1627. Nel 1653, del trasferimento coatto nel New England facevano parte 400 bambini irlandesi. Si calcola che nel XVII secolo, con il sequestro di bambini e adulti, i mercanti spedirono verso le coste americane non meno di 200.000 lavoratori. Tutte queste operazioni furono concretamente sostenute dallo Stato britannico. La Royal Navy, che raggruppava gli imprenditori più importanti, nel XVIII secolo diventò infatti il maggiore datore di lavoro dell’Inghilterra, il suo massimo consumatore di materiali e la sua principale impresa industriale. Essa prosperò incessantemente e, per fronteggiare l’agguerrita concorrenza della marina spagnola, olandese e francese, si avvalse del sostegno della flotta reale, passata da 50 navi e 9.500 marinai del 1633 a 173 navi e 45.000 marinai del 1688. Per imporre il proprio dominio nell’Oceano Atlantico gli inglesi non esitarono a reprimere qualsiasi tentativo di ribellione finalizzato all’instaurazione di un modo di vivere comunitario ispirato ai principi di uguaglianza e giustizia sociale. A essere perseguitati furono gli utopisti, levellers e diggers (zappatori) della rivoluzione antimonarchica della metà del XVII secolo; gli schiavi africani deportati nelle piantagioni americane; gli operai e gli artigiani delle città portuali delle nuove colonie. Non furono risparmiati dall’intervento repressivo gli equipaggi delle navi corsare, che un tempo ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ conflitto fra israeliani e palestinesi. Inoltre ad Aleppo, seconda città siriana, circa il 40% della popolazione è composto da cristiani, soprattutto armeni, che si suddividono in cattolici, ortodossi e ciò che resta dei discendenti del cristianesimo nestoriano. Ma tutto questo, e molto altro ancora, è colpevolmente taciuto, perché incrinerebbe la monolitica concezione condivisa in Occidente di un mondo musulmano retrogrado, cocciutamente attaccato alla tradizione, impermeabilmente chiuso alle innovazioni. Per contrasto, emerge di conseguenza la superiorità dei Paesi occidentali la cui opinione pubblica, convinta dell’immutabilità dell’islam, ignora l’apporto determinante dato dall’Oriente all’Europa nei cruciali secoli che prepararono l’avvento della modernità. Dal Fiume, nella parte centrale del suo libro, ripercorre le tappe fondamentali attraverso cui un continuo flusso di merci, tecniche e conoscenze furono trasferite dall’Oriente all’Europa mediterranea grazie all’opera intermediatrice degli arabi. Il travaso fu massiccio e a senso unico da un mondo che contava città commercialmente ricche, tecnologicamente avanzate, culturalmente caratterizzate dalla confluenza di tre civiltà: la bizantina, l’indiana e la cinese. Nel XIII secolo Cordoba, in Andalusia, aveva una biblioteca che conteneva 400.000 volumi (fatti bruciare da Isabella e Ferdinando di Castiglia nel 1494), mentre la biblioteca del Vaticano, capitale della cristianità, ne possedeva soltanto 988. A Cordoba visse il filosofo Averroè (Ibn Rushd), che, con il medico Avicenna (Ibn Sina) di Bukhara e il matematico al Biruni di Islamabad, fu tra gli studiosi che contribuirono ad alimentare il potenziale intellettuale della cristianità. La loro influenza è riscontrabile nelle opere filosofiche di Tommaso d’Aquino e nella Divina Commedia di Dante, nonché nell’aritmetica di Fibonacci e nella geometria di Luca Pacioli. La riscrittura delle relazioni fra Oriente e Occidente, seppure solamente tratteggiata, impegna l’autore per circa cento pagine, nelle quali egli dimostra che un’altra storia, autentica e non viziata da preconcetti, è realmente possibile. La dimostrazione che la storia va rivisitata, attraverso una pluralistica interpretazione delle epoche, dei contesti e dei soggetti, è fornita dal libro di Linebaugh, professore presso l’Università dell’Ohio, e Rediker, professore a Pittsburgh, “I ribelli dell’Atlantico” dove viene delineato il percorso compiuto dalle potenze europee nella formazione di quel vasto impero che consentì successivamente alla borghesia del Vecchio continente di decollare con erano serviti alla regina Elisabetta I per saccheggiare le navi spagnole dirette da Cuba a Siviglia. Gli ultimi pirati, colpevoli di essersi sganciati dalla spietata logica della “ragion di Stato” e rei di praticare la equa distribuzione dei beni sottratti alle ricche navi commerciali, furono impiccati nelle piazze di Londra nei primi decenni del XVIII secolo. Idealmente legato alla reinterpretazione degli eventi storici è il lavoro di M. Davis, uno dei più famosi studiosi di teoria delle aree urbane, che nel suo libro “Olocausti tardovittoriani” si riallaccia, quasi a prolungarne cronologicamente il discorso, all’analisi dei fattori che causarono la vittoriosa espansione dell’impero britannico. L’attenzione dell’autore si sposta però in Oriente, dove gli inglesi attuarono una sistematica politica di spoliazione che impoverì inesorabilmente l’India e la Cina. Infatti, nel 1850 i due grandi Paesi asiatici producevano l’equivalente del 65% del Prodotto Interno Lordo mondiale, mentre nel 1900 si ridusse al 38%. Come fu possibile che due entità statali ben organizzate, economicamente floride e culturalmente solide regredissero fino a perdere l’indipendenza nazionale? La risposta di Davis è interessante perché, oltre alla supremazia tecnologica che favorì la penetrazione delle potenze europee, uno dei fattori viene individuato nelle oscillazioni meteorologiche che portarono siccità, carestia e denutrizione nelle aree già flagellate dallo sfruttamento coloniale. Il fenomeno si ripropose in due ondate: la prima si verificò tra il 1876-79 e la seconda tra il 1896-1902. Gli effetti furono devastanti perché il peggioramento delle condizioni di vita degli indiani permise agli inglesi di utilizzarli come manodopera a basso costo nelle colonie africane e del Sud-Est-asiatico. Negli anni della prima crisi, solo da Madras partirono circa 480.000 persone per Ceylon, Mauritius, Guyana e il Natal. Altre decine di milioni morirono, fiaccando la resistenza all’imperialismo britannico. I decessi erano principalmente dovuti alla scarsità produttiva delle campagne, ma il prezzo del grano, mantenuto cinicamente alto dall’amministrazione britannica, ampliò sicuramente le proporzioni del disastro. Il coinvolgimento degli inglesi nell’indebolimento del potere statale cinese fu più subdolo, perché l’introduzione dell’oppio indiano in Cina sottrasse le risorse necessarie alla manutenzione delle dighe e dei canali d’irrigazione in concomitanza delle calamità naturali. Già nel 1850 l’importazione di oppio prosciugò il 15% della liquidità cinese e il 13% dei depositi di argento. Quando la popolazione cinese, spinta dall’orgoStrumentiCres ● Marzo 2006 riportati da Dal Fiume, esperto conoscitore del mercato mondiale in quanto presidente del Consorzio Ctm per il commercio equo e solidale, sono illuminanti. E’ sufficiente tener presente che tra il 1980 e il 2000 il prezzo delle banane è sceso del 4,5%, quello del tè del 7,5%, l’olio di arachide del 30,9%, l’olio di cocco del 44,3%, il cotone del 47,6%, il cacao del 71%. Per di più i sussidi concessi dagli organismi dell’ONU non bastano per bilanciare un’asimmetria che è resa strutturalmente endemica da secoli di scambio ineguale. Nel 2001, per esempio, il Mali ha ricevuto 37 milioni di dollari dagli aiuti internazionali, ma nello stesso anno ne ha persi 43 per la diminuzione del prezzo del cotone. Questa insostenibile situazione, irresponsabilmente perpetrata dall’Organizzazione del commercio mondiale (WTO), non prolunga solo l’abissale divario tra i Paesi ricchi del Nord del ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ glio nazionalista del governo imperiale, reagì era ormai troppo tardi: l’esercito britannico teneva saldamente in mano il porto strategico di Hong Kong e le altre potenze europee avevano installato le proprie rappresentanze commerciali a Shanghai, tenuta sotto il tiro delle cannoniere. Davis conclude la sua dettagliata ricerca sostenendo che le monoculture, soprattutto del cotone e dell’indaco destinato alle fabbriche di Manchester, la massima transizione di droga nella storia mondiale (87.000 casse solo nel 1879), la pauperizzazione di estese aree geografiche causata dalla coltivazione di oppio al posto di piante alimentari, insieme alle avversità atmosferiche condannarono l’India e la Cina alla sudditanza e assicurarono a Londra la prosperità per l’intera durata dell’epoca vittoriana. Le conseguenze di quello squilibrio persistono fino ai nostri giorni e i dati L’antenna e il baobab I dannati del villaggio globale. a cura di Elisabetta Assorbi L’introduzione al testo, che nei saggi è sempre valido strumento esplicativo, questa volta dà al lettore la vera idea del titolo: sul pianeta i dannati abitano nel Sud, che da noi è osservato come in un acquario: “immobile, come sospeso in una condizione sempre uguale, sempre comunque diversa dalla nostra; boccheggiante ma muto, senza possibilità di comunicare con l’esterno” (pag. VII). Se l’ONU nel Rapporto 2003 sullo sviluppo umano avvertiva che alla fine del secolo scorso ben 21 Paesi han registrato una diminuzione complessiva di sviluppo, la denuncia va fatta contro l’incoerenza delle politiche nazionali, che riducendo di fatto gli introiti della cooperazione, liberalizzano sì il commercio, ma sempre a scapito dei Paesi più svantaggiati. E, nella definizione di identità e differenza, sono proprio i media a creare la distorta visione corrente dell’opinione pubblica sul concetto di civiltà, nel Nord come nel Sud. Partendo dallo squilibrio tra fonti d’informazione e accesso agli strumenti della comunicazione, l’Autore analizza anzitutto il ruolo della cooperazione e gli effetti sulla logica degli aiuti internazionali, scaturiti dai problemi di comunicazione. Il primo capitolo, infatti, si occupa del StrumentiCres ● Marzo 2006 di Massimo Ghirelli Editrice SEI, 2005 rapporto ineguale tra Paesi, dal punto di vista dell’influenza e del possesso dei mezzi di comunicazione e lo fa egregiamente, mostrando l’impossibilità di parlare di pluralismo delle fonti d’informazione, che sono esclusivamente in mano dei Paesi Industrializzati. Inoltre la tabella del drammatico stato dell’istruzione nei Paesi a basso e medio reddito, rende il quadro ancor più evidente, chiarendo anche perché il medium più diffuso al mondo sia proprio la radio. L’A. spiega anche la storia della Commissione MacBride per lo studio dei problemi della comunicazione, istituita nel 1976, che sbandierava l’importanza dell’uguaglianza dei diritti nel nuovo (allora) ordine mondiale, mostrando proprio come il pro- mondo e quelli poveri del Sud, ma supporta ideologicamente la convinzione dell’insanabile frattura tra un Primo mondo fideisticamente proiettato verso il futuro e un Terzo mondo zavorrato da pretese piaghe culturali. Come dice infatti Dal Fiume a pagina 60, “… la globalizzazione in atto non è soltanto un irresistibile meccanismo economico e politico che tende a porre in relazione le differenze e le pluralità (per poi ridurle a una), ma è anche un potente apparato teorico e concettuale che opera (in modo complesso e non sempre omogeneo) come un poderoso sistema educativo di massa”. Perciò ben vengano libri come quelli appena recensiti, perché aprono uno squarcio nella cortina propagandistica di un’autocentrata concezione del mondo, offrendoci orizzonti storiografici meno asfittici e chiavi di lettura meno subordinate al narcisismo della cultura occidentale. blema sia il controllo dell’informazione. Il paragrafo su “aiuti e cultura della cooperazione” osserva che i fondi dei Paesi industrializzati per l’informazione, ammontano a non più dello 0,4%, comprese le infrastrutture telefoniche: infatti, seppur l’Occidente sia convinto che lo sviluppo democratico non può prescindere dalla partecipazione, spesso nel caso dello sviluppo “degli altri” questo principio non vale… Proprio i documenti ufficiali – il Rapporto MacBride del 1980, la Convenzione di Lomè del 1979, la legge italiana n. 49 sulla cooperazione - e perfino l’UNESCO raccomandano l’indipendenza e il pluralismo dei media come componente essenziale dello sviluppo democratico, ma essi restano frequentemente solo principi disattesi. I progetti internazionali di cooperazione prevedono normalmente un “appoggio informativo”, ma in fase esecutiva l’informazione non è più un interesse per gli interlocutori, né per i donatori, che desiderano evitare critiche soprattutto sulla vera natura degli aiuti, né per i governi del Sud, che vogliono evitare ogni tipo di sorpresa e mantenere controllabile la situazione. Un po’ diversa sembra invece l’azione delle Organizzazioni Non Governative, perché hanno un approccio migliore alla comunicazione, dato che tendono a valorizzare le esperienze dei mezzi di comunicazione tradizionali, nonostante questi dimostrino ancora grandi difficoltà e metodi approssimativi. L’A. afferma che la situazione non ha scampo quando riguarda il pregiudizio che l’europeo nutre nei confronti dell’immagine del Sud del mondo (capi- 35 tolo 3): “il rapporto ineguale nelle fonti, nella gestione, nella circolazione delle informazioni, si traduce come nelle mappe delle tradizionali proiezioni geografiche, in una falsificazione dell’immagine” (pag. 23). Ciò avviene attraverso un meccanismo che presenta il riduzionismo della realtà dei Paesi africani, asiatici, latinoamericani; una personalizzazione delle notizie, cioè il riferimento solo a figure di spicco, che riducono la notizia a sensazionalismo o, peggio, a catastrofismo, che non approfondisce cause e responsabilità degli avvenimenti, che sono presentati superficialmente, sempre attraverso la lente deformata dell’emergenza. L’immagine proposta più frequentemente dai media occidentali sul Sud è perciò la guerra: rivolte, tribali e non, golpe, rivoluzioni sono in primo piano; inoltre si “usa” l’argomento fame perché fa spettacolo, ma ingenera anche nel pubblico il senso dell’impotenza, con il conseguente meccanismo della rimozione, dando luogo ad immagini di un sud che non può far altro che chiedere. Molto interessante è l’analisi del linguaggio, sviluppata per dimostrare le caratteristiche del Sud preconfezionate dai media. Ne risulta un’immagine positiva solo se suscita curiosità o gusto folkloristico. Il terreno privilegiato di questo “terzo mondo – spettacolo” è senz’altro quello pubblicitario, laddove il nostro etnocentrismo non è mai messo in discussione: è come se i Paesi industrializzati volessero una rassicurazione sulla propria identità e, mantenendo una certa immagine del resto del mondo, si potessero lasciare le cose come stanno, con la scusa che “la miseria è naturale”!! 36 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 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La seconda parte del lavoro prende in considerazione esempi concreti di informazione/ comunicazione nei Paesi del Sud, ma anche il fenomeno dell’immagine del sud riproposta al sud, attraverso i loro stessi mezzi di comunicazione, ma offerta (quindi acquistata) dai Paesi industrializzati, con la solita ottica deformata: “è così che, per l’ennesima contraddizione, strumenti di conoscenza e consapevolezza si trasformano in fattori di autostereotipizzazione…” (pag. 45) Nel capitolo dedicato allo scontro tra modelli culturali, l’A. mette in evidenza soprattutto la frequente sordità fra culture, che consiste nell’aperta volontà di ignorare le differenze e fa l’esempio delle due guerre irachene: in queste occasioni, il Paese islamico, proprio in modo strumentale e speculare alla crociata occidentale, ha accentuato le proprie caratteristiche e i motivi economico-politici si sono intrecciati alle incomprensioni delle mentalità, dei valori, dei significati… Tornando all’informazione: essa è davvero oggetto di attrazione e di repressione al tempo stesso: il fascino irresistibile del benessere economico suscita interesse sempre crescente nel Sud e l’emancipazione è vissuta come adeguamento al modello occidentale fornito da pubblicità, films, soap operas. Dall’altra parte, però, l’opposizione ai Paesi occidentali ha portato molti popoli a riscoprire il valore della propria differenza. Ghirelli propone a questo punto un ampio ventaglio di esempi dei media dei Paesi a basso sviluppo, analizzando come sono usati nei vari continenti: è una miniera di dati interessanti, che spazia dall’Asia all’Oceania, dal mondo Latino americano, a quello arabo e africano. La terza parte, invece, si occupa della comunicazione nel mondo multiculturale e mette in rilievo gli aspetti dell’identità migrante, attraverso concetti forse noti, ma qui rivisitati; la parete, cioè il muro dell’incomunicabilità; il confine, concetto che si è rinnovato con la globalizzazione; lo specchio, che riflettendo la nostra stessa identità, la confronta. Anche in Italia l’immigrazione ha avuto diverse fasi e, dal punto di vista dei media, è passata da una fase di latenza, in cui non è stata quasi avvertita, a una richiesta di regolarizzazione nel 1990 con la cosiddetta legge Martelli, fino alla fase della sindrome dell’invasione, a partire dal ’91 con l’arrivo massiccio dall’Albania, fatto divenuto immediatamente mediatico. Oggi, la presenza dell’immigrato nell’informazione appare proprio terribilmente parziale: i giornalisti se ne occupano “ etnicizzando” le notizie, o caratterizzando in senso religioso eventi e persone, per potervi applicare la categoria dell’integralismo (pag. 96 ). Al contrario, i media organizzati dagli immigrati, presentati come tentativi di organizzare periodici delle varie comunità, sono a livello europeo una realtà vivace, che ha dato luogo ad un “Manifesto Europeo dei Media Multiculturali”: presentato nel 2004, intende valorizzare questa ricchezza come servizio pubblico fondamentale per le comunità, capace secondo l’Autore di realizzare veramente politiche d’integrazione (pag. 103). L’ultima parte, dedicata a comunicazione e globalizzazione, elenca il triste bilancio dei giornalisti uccisi nel mondo, a partire dal 1992, per realizzare bene il loro lavoro ed affermare la libertà di stampa in regimi dittatoriali, durante guerre e nonostante le censure politiche. Se, “dopotutto è la comunicazione che ha creato la globalizzazione, e se i mass media fanno il gioco del pensiero unico”, l’A. si chiede come si faccia a proporre una comunicazione efficace, nel contesto della globalizzazione, e conclude dicendo che l’informazione deve dare conto senza semplificazioni proprio della complessità, per “non rassegnarsi ad uno scontro di civiltà, ma costruire le condizioni per un incontro” (pag. 127). StrumentiCres ● Marzo 2006 Identità, Diversità, Pluralità ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ La città multiculturale. di Khaled Fouad Allam, Marco Martiniello, Aluisi Tosolini 2004, EMI, Bologna a cura di Laura Morini La presenza di cittadini immigrati, in crescita accelerata in Italia negli ultimi anni, rende via via più evidente la dimensione plurale delle nostre città; alla migrazione verso i grandi centri urbani, che sono spesso meta anche di immigrati “irregolari”, la cui presenza è percepita da molti come pericolo sociale e come segno di incapacità istituzionale nel controllo del territorio, si accompagna un più vasto fenomeno di radicamento dei migranti in piccoli e medi centri in cui il fenomeno migratorio è ormai iscritto in una dimensione di normalità. Attraverso l’incontro quotidiano con lo “straniero” nel luogo di lavoro, nell’ambito familiare, negli spazi collettivi, anche chi vive in piccoli paesi o nelle città di provincia sperimenta la globalizzazione come scenario economica e spazio-temporale in cui ri-collocare il proprio vissuto, ricontestualizzare esperienze e conoscenze, ripensare progetti individuali e collettivi volti a vivere bene nello spazio che da sempre conosce e gli è familiare. I tempi sono dunque maturi perché, anche in Italia, il tema della società plurale e dell’interculturalità esca dall’astrattezza e il dibattito si addensi intorno alla questione dei diritti di cittadinanza e delle pratiche sociali. Nel momento in cui la legalità viene talvolta impugnata come una clava per imporre un ordine “ad excludendum”, non è solo l’appello alla solidarietà che può temperarne il rigore, è indispensabile la riflessione sul concetto di cittadinanza come sintesi di diritti, virtù civili e pratiche di convivenza. In questa direzione offre un interessante contributo il saggio “La città multiculturale” che raccoglie gli interventi di Khaled Fouad Allam, Marco Martiniello e Aluisi Tosolinj, svolti in occasione di Free International Airport, iniziativa voluta dai Comuni di Cremona, Modena e Reggio Emilia “per farsi guardare da occhi altri” allo scopo di “conoscere meglio e più consapevolmente sé stessi, le proprie pratiche, i percorsi attuati e le ipotesi di fondo che li animano”. Il saggio prende avvio dalla constaStrumentiCres ● Marzo 2006 tazione che la città è divenuta strutturalmente multiculturale ma “le mappe di cui disponiamo segnalano la presenza del mutamento e non la sua direzione [...] occorre dunque ripartire dalla città e dalla cittadinanza per cercare di trovare il bandolo dell’intricata matassa che si dipana nel gioco globalelocale…”1 A. Tosolini, in un denso capitolo dedicato a “Lo spazio della cittadinanza” precisa come questa si sia definita nel tempo in relazione a tre spazi diversi: la polis, lo stato, il mondo. Non si tratta di differenze di scala, ma di differenze qualitative nelle relazioni reciproche tra cittadini che tali diversi contesti comportano. Se nella polis nasce l’antico concetto di cittadino, declinato solo al maschile e legato al diritto di nascita, nello stato moderno l’uomo (ancora solo lui) diventa cittadino per contratto. “Contratto hobbsianamente basato sul primato del diritto di ognuno e sul rispetto del diritto altrui, patto garantito dalla legge e sanzionato dalla forza.”2 La terza figura di cittadinanza si profila nella dimensione cosmopolita dell’essere cittadini del mondo, posizione utopica fino a pochi anni fa, che si presenta oggi come un’urgente necessità, avvertita in ambito sociologico e politico (ricordiamo l’educazione alla citta1 dinanza planetaria promossa da Edgard Morin) ma non ancora compiutamente definita in termini giuridici. Nel processo di crisi dello Stato Nazione, determinato dalla globalizzazione, il vecchio concetto di cittadinanza (civile, politica, sociale) è messo radicalmente in discussione; nella società fluida, nel capitalismo cognitivo sostiene Rifkin: “inclusione e accesso sono gli indici più importanti della libertà dell’individuo”. Inclusione e accesso, dunque, per vagliare la realtà in cui operiamo e farne emergere le contraddizioni: oltre l’80% della popolazione mondiale è esclusa dai diritti dell’accesso; le differenti culture con difficoltà resistono all’omologazione del capitalismo postmoderno. Tosolini individua una sfida con cui misurarsi nella dimensione “glocale”: “come conciliare, all’interno di ogni città e società, le esigenze democratiche tradizionalmente legate (?) allo stato nazionale e le diversità culturali e identitarie che abitano le nostre città?”3 In sintesi: è possibile una cittadinanza multiculturale? Dopo aver descritto 5 diversi modelli di interazione applicati da Canada, Stati Uniti e vari paesi europei che prima di noi si sono misurati su questo terreno, Tosolini analizza il modello italiano, per come emerge dalla riflessione della Commissione ministeriale per le politiche sull’immigrazione guidata da Giovanni Zincone. Il concetto chiave è costituito dall’idea di “integrazione ragionevole” definita come “integrità della persona e buona vita; interazione positiva, pacifica convivenza”(cfr. legge 40 / 1998).Risulta evidente come tale concetto di integrazione sia del tutto disatteso nella pratica e sostanzialmente mutato con l’introduzione della legge Bossi Fini (N°189 /30 luglio 2002). Lo studioso ne deduce che “la società italiana pare vivere un moto pendolare tra diverse posizioni ... si continua a parlare di immigrazione in termini emergenziali, quasi si trattasse di una novità imprevista e straordinaria..”4. Le buone pratiche tuttavia esistono, a livello locale: Modena e Reggio Emilia costituiscono esempi positivi; le rispettive amministrazioni comunali sono interessate, proprio per questo, ad analizzare le iniziative intraprese anche alla luce di un dibattito teorico che ne indirizzi lo sviluppo futuro. Per rifondare il patto di cittadinanza occorre ripartire dai principi chiave della democrazia occidentale sintetizzati nel motto “libertà uguaglianza fraternità”; U.Galimberti osserva come “delle tre parole inaugurate dalla Rivoluzione francese, le prime due han4 Ibidem p. 29 37 5 U.Galimberti,Politica senza identità, in La Repubblica, 10/04/01 6. J. Habermas, Morale diritto, politica, Einaudi, p. 22 38 progetti nelle scuole imperniati su alfabetizzazione e socializzazione degli studenti stranieri e formazione degli immigrati adulti.Sono stati promossi progetti culturali: rassegne cinematografiche, concerti, rappresentazioni teatrali. Ma, seguendo il filone che qui ci interessa, si pone oggi come prioritaria la redazione di una Carta di cittadinanza degli immigrati, come documento fondante delle politiche di integrazione. Nel Comune di Reggio Emilia, oltre alle iniziative volte alla tutela dei diritti individuali sul lavoro, alle pratiche per migliorare l’accesso ai servizi ospedalieri e scolastici, si è inaugurato nel 2002 il Centro per lo sviluppo delle relazioni interculturali Mondoinsieme, spazio aperto a tutti i cittadini, laboratorio sociale per promuovere aggregazione, inclusione, comprensione del pluralismo culturale anche da parte degli immigrati. In questo contesto si è mossa anche La Gazzetta di Reggio, creando una pagina dedicata al mondo della migrazione, realizzata da un gruppo di ragazze immigrate della II generazione. L’impegno del Comune di R.E. è oggi quello di mettere in rete i diversi servizi, collocando le iniziative connesse all’immigrazione in un ventaglio coordinato di azioni politiche volte ad armonizzare e contemperare ecologicamente lo sviluppo della società nel suo territorio. E’ questo l’aspetto che “l’osservatore esterno” Khaled Fouad Allam chiamato a pronunciarsi sulla realtà locale, invita a poten○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ no avuto successo perché, essendo compatibili con la natura quantitativa della democrazia, hanno generato rispettivamente la liberaldemocrazia e la socialdemocrazia, mentre si è trascurata la fraternità. La ragione occidentale e la politica che la esprime faticano a riconoscere le differenze qualitative, quindi le identità specifiche, le appartenenze, a cui invece risponde la nozione di fraternità che garantisce il riconoscimento della comunità e, attraverso la comunità, dell’individuo che alla comunità appartiene... Ma il futuro è in quest’incontro dove il diritto di appartenenza (fratellanza) possa conciliarsi con i diritti di uguaglianza e di libertà”.5 Come fare? strade diverse sono indicate dai comunitaristi (Taylor) e da chi, come Habermas, pone l’accento sul “diritto positivo quale strumento valido a conciliare diritti universali e principi particolari delle identità: solo i diritti di partecipazione fondano per davvero la posizione giuridica riflessiva del cittadino, cioè quella posizione che è capace di avere effetti retroattivi su sé stessa...”. 6 Dunque la “nuova cittadinanza” deve attingere alle radici dell’universalismo senza dimenticare la solidarietà, principio che richiama ad una “fraternità” più ampia (e forse più debole) di quella condivisa nella comunità di appartenenza, ma sola garanzia di inclusione sociale. Le cronache di ogni giorno attestano come soprattutto i giovani che si trovano ai margini, che si sentono privi di prospettive sviluppano culture identitarie talvolta autodistruttive, basate sulla contrapposizione alla società che li esclude.Tutto si gioca molto concretamente nelle vie, nelle piazze, nei quartieri delle città. Bauman evidenzia in questo scenario lo spazio dell’agorà come luogo della politica, capace di ridefinire la libertà individuale a partire dall’impegno collettivo e dalla socialità. Ritorniamo dunque alle nostre città, a quelle poleis postmoderne che devono trovare immaginazione politica ed “empatia cosmopolitica” per indirizzare opzioni e scelte quotidiane. A Modena l’Amministrazione comunale ha avviato una serie di iniziative in sinergia con le associazioni di volontariato; si è istituita la Consulta stranieri (1993), dal 1996 è insediata la Consulta comunale per gli stranieri residenti, organo consultivo del Consiglio e della Giunta comunale. Nel contempo si sono moltiplicati i ziare, per evitare la frammentazione sia degli enti preposti che del mondo associativo. Ciò che conta è trasformare l’interculturalità in un metodo trasversale a tutte le competenze.Non creare servizi separati per gli stranieri, ma realizzare un equilibrio, che a Reggio e Modena appare già ben delineato, fra associazioni ed enti locali, intrecciando ad esempio “pianificazione urbana e pianificazione sociale”. Nel processo di cambiamento della città sono in atto movimenti di contaminazione culturale e, nel contempo, prendono corpo delle resistenze, ciò che deve essere evitato è l’incomunicabilità fra comunità che si sfiorano, ma non si conoscono. A questo scopo le proposte di K. F. Allam investono significativamente le politiche culturali e il mondo della scuola. La scuola è il primo “laboratorio della cittadinanza”, aspetto questo ben noto agli insegnanti che sono quotidianamente chiamati a misurarsi con i problemi dell’integrazione, a ridefinire programmi e metodologie, ad ampliare la comunicazione fra scuola ed extrascuola coinvolgendo studenti e famiglie. Molte altre sono le idee, i progetti proposti nel volume, tutti stimolanti per chi desideri abbinare un approfondimento teorico sul tema della cittadinanza multiculturale all’esame di progetti sociali che si articolano sul territorio indicando possibili percorsi per realizzare una effettiva “convivenza civile” nelle nostre città. NARRATIVA Nonno Dio... e gli spiriti danzanti di Pap Khouma - Baldini, Castoldi, Dalai Ed. 2005 a cura di Elisabetta Assorbi L’autore, alla sua seconda prova di scrittore, dopo l’esordio di “Io, venditore di elefanti” , scritto con Oreste Pivetta, continua la vena autobiografica, seppur mitigata nel personaggio di un giovane che torna nel natìo paese africano, dopo una lunga assenza dovuta alla sua emigrazione in Europa. Come spesso capita, (già lo scrisse in poesia anche Ungaretti), chi torna dopo lo sradicamento, non si ritrova più: così accade al protagonista, giovane inferStrumentiCres ● Marzo 2006 gliero e dell’africano misterioso, che quando ritorna dall’Europa lo fa perché, intrattenendo loschi affari con i bianchi, deve trarne vantaggi in patria. Inoltre: l’accusa tremenda, ma falsa, che rimbalza sul giovane dall’Italia e che gli farà passare molto tempo in prigione; i riti della tradizione oggi rinnovati, a cui egli non sa più credere, ma che attirano una giovane coppia di bianchi, la cui storia s’incrocia con quella del protagonista. Sullo sfondo dapprima, poi sempre più evidente nello svolgersi del racconto, la guerriglia dei ribelli libanesi fa la sua parte, tra legionari francesi e truppe regolari. E, inaspettatamente, sorge la rivolta femminile, coalizione di donne troppo ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ miere in ferie, che nell’Africa saheliana aveva lasciato la madre, vera mater familias, la moglie quasi dimenticata (e tradita in Italia ), il figlio mai conosciuto e perciò subito ostile, gli antichi amici e tutta la memoria della vita precedente, descritta con l’abilità del griot attento all’eredità spirituale degli antenati, ora al ritorno, però, non più frequentata, forse non più capita. E poi, ecco raccontate le marachelle infantili, le passioni amorose giovanili narrate attraverso la rivisitazione dei luoghi; la presenza quasi palpabile degli spiriti e quella dei loro mediatori terreni, veri o falsi; la caratterizzazione degli abitanti del villaggio e le storie intrecciate del fratello del protagonista finito in prigione, dell’amico ex guerri- Vogliamo vivere qui tutt’e due Capire il problema Palestina-Israele. a cura di Dunia Martinoli Due ragazze, nate entrambe a Gerusalemme nel 1984, ma una palestinese e l’altra israeliana, hanno l’occasione di partecipare nell’estate del 2000 a un viaggio in Svizzera organizzato da “Peace Child Israel”, con l’obiettivo di favorire i rapporti e la conoscenza fra i giovani appartenenti ai due popoli, coinvolti in una così aspra guerra che si protrae da troppo tempo. All’inizio i contatti fra i due gruppi di studenti sono difficili, poiché non si conoscono e soprattutto molti ragazzi ebrei non conoscono niente delle usanze e dei divieti religiosi (es.: bere alcolici) per i ragazzi palestinesi e anche per questo nascono problemi. Amal e Odelia cominciano a parlarsi, a conoscersi, a trovarsi simpatiche e si instaura un primo contatto, ma poi, tornate a casa, dopo pochissimo tempo (settembre 2000) scoppia la seconda Intifada e i contatti si interrompono. Qualche tempo dopo una giornalista tedesca le rimette in contatto ed entrambe sono felici di poter riprendere la reciproca conoscenza. Molte cose le separano, non solo l’appartenenza a due popoli in lotta per la stessa terra, ma anche tradizioni culturali differenti. Ad esempio a Odelia sembra assurdo che una ragazza si sposi a 18 anni, ma Amal le spiega i motivi di tali scelte, normali per le ragazze palestinesi : Odelia appartiene invece a una cultura assimilabile a quella dei giovani europei e quindi lontanissima dalla StrumentiCres ● Marzo 2006 Ed. TEA, 2003 cultura tradizionale palestinese. Per altro Amal non riesce a immaginare la sua amica che a 18-19 anni si arruolerà nell’esercito israeliano, che per lei rappresenta il nemico. Svariati e molto interessanti sono gli argomenti di cui le due ragazze diciottenni discutono, della loro storia personale e familiare, del perché sia importante per entrambe continuare a vivere in quel paese martoriato, di come vedano in modo diverso la storia del proprio paese, ma anche di come si trovino spesso d’accordo nel deplorare certi atteggiamenti e certe situazioni insostenibili. Alla fine entrambe notano che il fatto di aver continuato a scriversi e a comunicare allo scopo di scrivere questo libro le abbia portate a riflettere sulle proprie ragioni, ma anche a comprendere, almeno in parte, quelle dell’altra. Ritengo che sia un testo adatto ad un stanche dell’immobilità, forti ed orgogliose, ma facilmente manovrabili dal potere politico, tra fantomatici generali e colonnelli… Meccanismi imprescrutabili mettono in funzione la nascita di un nuovo Paese, fantasioso, ma forse non molto diverso da uno reale. Tutto è narrato in una prosa semplice ma efficace, tra dialoghi essenziali e osservazioni taglienti. Un “che” di misterioso permea la narrazione, dalle invocazioni a nonno Dio che si moltiplicano, agli accenni ai traffici d’armi e di rifiuti tossici, fino alla situazione surreale in cui si troverà il giovane OgDawuda: forse è proprio questa dimensione “strana”, straniera ma realistica, che rende piacevole la lettura. utilizzo nell’ambito della didattica per la sua freschezza e spontaneità, ma nello stesso tempo per la maggiore chiarezza che può essere fatta riguardo alla comprensione delle motivazioni che hanno portato al crearsi di una situazione così complessa in questo angolo di mondo. Odelia :”Credo che l’unica cosa da fare sia accettare che esisteranno sempre versioni diverse della stessa storia. E che esistono due popoli che devono imparare ad andare d’accordo. Altrimenti non ci resta altro che ammazzarci a vicenda, e questa non può essere una soluzione.”(pag.159) Amal: ”In Svizzera diverse persone mi hanno chiesto da dove venivo. Quando rispondevo ‘dalla Palestina’ non mi capivano e allora dovevo correggermi e dire ‘da Israele’. La cosa mi ha ferito, perché io non sono israeliana. Un giorno vorrei poter mostrare il mio passaporto palestinese a una frontiera e rispondere semplicemente a chi mi chiede da dove vengo :’Dalla Palestina’.” Ci sono state anche in Italia numerose iniziative che avevano l’obbiettivo di far meglio conoscere e quindi avvicinare giovani palestinesi e israeliani per arrivare, anche tramite queste esperienze, ad una possibile pace. A Roma ad es. nel 2004 è stato organizzato dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma, un incontro di due gruppi di adolescenti (8 israeliani e 8 palestinesi), con la partecipazione dei sindaci di Raanana (città israeliana), di Qalqilia (città palestinese) e di Roma stessa. L’obiettivo di tale incontro era la realizzazione di un cartone animato sul tema della pace. Nell’arco di una settimana nasce l’idea del cartone, che verrà poi elaborato da operatori italiani ed è stato in 39 spettive bandiere e li fa volare sulla sua groppa. Quando vedono scene di guerra o di violenza, il cammello lancia uno “sputo magico” sul carro armato, sull’aereo che lancia missili, sul terrorista che sta per farsi saltare ecc. e tutto si trasforma in azioni di pace. CINEMA E TEATRO Private a cura di Dunia Martinoli “Private”, film uscito nelle sale italiane nel gennaio 2005, ora reperibile in videocassetta, è diretto da Saverio Costanzo (regista italiano), girato in Calabria (per evitare le insormontabili difficoltà che si sarebbero incontrate a girare nei luoghi dove realmente è ambientato il racconto e cioè i Territori Palestinesi Occupati da Israele), ma gli attori che lo interpretano sono palestinesi e israeliani, le lingue utilizzate nella versione originale sono l’arabo, l’inglese e l’ebraico, la scena è sempre e soltanto quella di una casa isolata, abitata da una famiglia palestinese. Il film narra una vicenda, come realmente ne sono successe in Palestina, di occupazione, requisizione di una casa palestinese da parte dei soldati israeliani per utilizzarla come posto d’osservazione. La requisizione avviene di notte, moltissime scene in questo film sono girate al buio, con singoli, violenti, espressionistici sprazzi di luce, una luce quasi “caravaggesca” ad illuminare un viso, un’arma, un oggetto. Da questo momento in poi la casa sarà così suddivisa: -zona A: il salone a piano-terra dove si dovrà svolgere la vita diurna dei componenti della famiglia (genitori e 5 figli), che alla sera dovranno trasferirsi nella “stanza-prigione” da cui non si può uscire neanche per andare in bagno; -zona B: dove potranno andare solo col permesso dei soldati; -zona C: di sopra, riservata ai soldati, dove è tassativamente vietato salire. E già queste denominazioni ci ricordano le frammentazioni del territorio palestinese,con tutte le assurde regole che lo governano. 40 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ seguito trasmesso da RAI 3, alcuni mesi fa. Il protagonista, il supereroe, è un cammello volante che si chiama POP (Pace of peace). Il cammello fa amicizia con due bambini, uno israeliano e uno palestinese, vestiti con le loro ri- Regia di Saverio Costanzo Questo film ci lancia un messaggio di non violenza, ma anche di resistenza dura, paziente, appassionata: vediamo il contrasto tra la madre e alcuni dei figli che hanno paura dei soldati e vorrebbero lasciare la casa e la posizione del padre e della figlia maggiore che assolutamente non vogliono abbandonarla dando partita vinta all’arroganza dei soldati. Dice il padre: “Se oggi cerchi di scappare, sarai costretto a farlo per sempre; non voglio che i nostri figli pensino che abbiamo paura” …..”Non voglio essere un rifugiato, essere un rifugiato vuol dire ‘non essere’ “…. e ancora: “Restare qua significa combattere, non si combatte solo con le armi e la forza. I codardi sono quelli che capiscono solo la lingua della forza”. Al di là del messaggio lanciato da tale cartone e dell’obiettivo raggiunto di conoscenza reciproca dei ragazzi, il prodotto stesso, elaborato da “Castelli Animati”, è risultato estremamente piacevole e ha vinto il premio “Cinema e cultura del dialogo” a Venezia nel 2004. E quando uno dei figli dice al padre: ”Se ci ributtano giù un’altra volta la serra, glie la faccio pagare!” il padre risponde: ”Se la ributtano giù la ricostruiremo e se la buttano giù di nuovo la ricostruiremo un’altra volta, finche non si stancheranno”. E questo la dice lunga sull’ostinazione, sulla resistenza tenace dei palestinesi, che hanno deciso di non lasciare la loro terra, le loro case, i loro ulivi. E poi vediamo i soldati israeliani: il responsabile, il più duro, impegnato a far rispettare la disciplina; gli altri soldati, giovani, ragazzi che vorrebbero guardare la partita alla TV, suonare il flauto, avere una vita normale e probabilmente si chiedono perché debbano portare avanti una guerra così assurda. Alla fine arriva l’ordine di lasciare la casa per trasferirsi in un altro posto: andranno ad occupare un’altra casa, così come altri soldati dovranno eseguire l’ordine di distruggere altre case, sradicare altri ulivi, mettere altri chekpoint. Ma il protagonista del film ci ha ricordato che i palestinesi vinceranno se saranno più caparbi degli israeliani, se continueranno a ricostruire ciò che loro distruggono, a ripiantare gli ulivi, a rimanere attaccati alla loro terra. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 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In realtà fu la prima lezione che mi diedero, i ragazzi, la prima occasione per confrontarmi con loro. Fu così che dopo aver interrotto a metà lo spettacolo e dopo essermi barricata in bagno a piangere, che iniziai a lavorare su Hijos seguendo ciò che i ragazzi mi avevano fatto notare, ovvero, imparare a raccontare favole ai ragazzi. Ricordo la confusione durante lo spettacolo quella mattina; carte di caramelle che volavano attraversando il grande auditorium di un ITC nella provincia milanese. Squillavano telefonini, musichette di videogiochi e messaggi SMS s’incrociavano con le mie parole. Sembrava che nessuno mi ascoltasse, proprio come nei peggiori degli incubi. Poi, all’improvviso una forza, un sussulto di rabbia dentro di me, un impeto di orgoglio mi fece alzare dalla sedia dove recitavo. Mi avvicinai al proscenio. Silenzio. Duecento ragazzi mi guardavano all’improvviso in silenzio. Vidi per la prima volta i loro sguardo. Una ragazza seduta in prima fila abbassandosi nella sedia disse: “Oh, merda”. Tutti sapevano che avevo interrotto lo spettacolo. Con voce decisa ma tranquilla iniziai a parlare loro. Ricordo di aver detto qualcosa come la verità del carcere, dei viaggi, dell’esilio, delle torture che cercavo di raccontare a loro. Dicevo che tutto ciò ci era davvero capitato. A me, alla mia famiglia. A molte persone. Che era molto difficile raccontare questo, ma lo si faceva perché c’era bisogno di far sapere a tutti ciò che era successo. Perché succedeva ancora. Ricordo che mi scusai e me ne andai. A piangere, appunto. Alcune studentesse arrivarono poi per scusarsi. Una professoressa mi salutò. Un mio amico che era venuto da Bergamo per vedere lo spettacolo era sconvolto. Io, scappata dal palco chiamai subito il mio compagno e tra singhiozzi raccontai la mia tragedia. Smontammo tutto e ce ne andammo. Io e il tecnico. Durante il viaggio di ritorno il tecnico (Alex) mi disse; “Pensaci a quello che è successo oggi nell’auditorium. Ti sarà utile per rivedere lo spettacolo”. StrumentiCres ● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Hijos (figli) un viaggio dentro il viaggio 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 Lui, il tecnico, aveva sempre ribadito che non si doveva raccontare le favole e nemmeno recitare con l’enfasi di chi racconta favole in modo tradizionale. Si doveva raccontare come se si avesse davanti dei bambini piccoli. Bisognava essere diretti, puliti. Sinceri. Iniziò per me un nuovo capitolo. Nel teatro cerco da allora la pulizia e la trasparenza che quella mattina, ora- Candelaria Romero è nata nel 1973 in Argentina. E’ fuggita dal suo paese nel 1976 a causa della dittatura e ha ricevuto asilo politico in Svezia, dove ha studiato e iniziato la sua formazione teatrale. Dal 1992 risiede e lavora a Bergamo. Dal 1995, collabora con la Cooperativa Sociale Amandla, Bottega del Commercio Equo e Solidale, e con altre associazioni promuovendo nella scuola dell’obbligo incontri sull’intercultura, sulla cooperazione internazionale e sui diritti umani. Con Amnesty International sta portando in giro per l’Italia lo spettacolo Hijos sui diritti umani. Fa parte del comitato editoriale di el Ghibli. Per richiedere informazioni sullo spettacolo scrivere a: [email protected] o telefonare allo 035-571648. mai lontana, riuscii ad ottenere, nel panico, nell’urgenza, nell’emergenza. Ebbi successivamente molte occasioni per provare lo spettacolo davanti a diversi tipi di platee; classi elementari (Treno delle Culture – Bergamo), classi medie (Sacchi di Sabbia – Pisa), licei (Bologna), studenti universitari (Facoltà di Architettura di Genova) e tante altre realtà scolastiche e non, nella bergamasca, terra di residenza, ed in altre regioni dell’Italia. Sono passati sei anni dalla fatidica mattina all’ITC milanese. La favola è sempre la stessa, quella di una famiglia di rifugiati in giro per il mondo. La storia che porto è dedicata a tutti i rifugiati, ai viaggiatori forzati. Il testo è scritto come una favola, con metafore, senza dare nome né posizione geografica ai posti e alle persone. “Hijos” racconta infine un fenomeno universale e purtroppo sempre attuale. Per questo va sempre raccontata, a tutti ed ovunque. Finito lo spettacolo le domande del pubblico giovane sono molte, spesso preconfezionate, essendo prima state scritte in aula e preparate assieme ai professori. Sono domande socio-politiche, sulla dittatura, sulla tortura, sui rifugiati. Ma le domande più commoventi sono sempre quelle del pubblico di cittadini non italiani. Ragazze e ragazzi stranieri che si rivedono nella storia appena ascoltata e chiedono a me come me la sono cavata. A fare cosa? A sopravvivere come straniera in un mondo straniero. A sentirsi soli nel mondo della scuola. A imparare le lingue nuove. A inserirsi. A non dimenticare la propria lingua, la propria storia. A essere lontani dai cari, dalla terra nativa. Come è stato a farcela? Come hai fatto tu? Dimmelo tu che io non ci sto riuscendo. Il loro sguardo mi ricorda il mio di allora. I nostri, di noi ragazzi, allora. Stranieri. In quel momento, quei ragazzi, parlano della loro fatica, del loro dolore e della loro rabbia di essere stranieri, di sentirsi stranieri. Parlano di fronte a tutti. Lo spettacolo piace sempre. Il silenzio è assoluto. L’applauso sentito. Io ringrazio. Ringrazio loro, i giovani. Quelli che a questa storia appartengono e che si sentono meno soli dopo averla sentita. Insieme condividiamo la sofferenza e ci sentiamo meno soli. Ringrazio anche quelli per i quali questa realtà è lontana, li ringrazio per averla ascoltata. Ringrazio i giovani per essere sempre presenti, a modo loro. Per esserci con i loro sguardi critici verso la vita e verso il mondo. Sempre. 41 Gabriella Ghermandi Ho iniziato la mia attività di scrittrice nel 1999, ma è stato successivamente, nel corso del tempo, che ho sentito la necessità di recuperare l’arte dell’oralità tanto cara al mio continente, l’Africa, e diventare anche narratrice.. La spinta al recupero dell’oralità è sorta da una esigenza che ha radice nel mio retroscena culturale etiope, dove si è abituati a vivere e condividere tutto con la comunità. La riflessione che mi ha condotto alla narrazione è, se vogliamo, alquanto banale, la forma scritta è una forma di espressione per una fruizione individualistica: l’autore scrive, chiuso nella sua stanza, il lettore legge, chiuso nella sua stanza. Ognuno mette la propria immaginazione e interpreta lo scritto a modo suo. Nella oralità si ha una fruizione collettivistica. Il narratore e gli ascoltatori creano un unico cuore che pulsa suonando, ogni volta, una musica diversa. Ognuno coglie del racconto ciò che vuole, anche qui, ma una particolare emozione li coinvolge e li lega e li unisce facendoli pulsare all’unisono. Oltre a questo bisogno di ritornare alla forma collettiva e orale del racconto un altro fatto mi ha spinto a recuperare tale forma tradizionale: capita spesso a noi scrittori di essere invitati ad incontri. A volte incontri su temi particolarmente importanti, altre volte semplicemente per un incontro con i lettori. In questo secondo caso ho avuto spesso la sensazione, estremamente personale, di “citarmi adosso” per usare una espressione di Woody Allen. Parlare di se stessi, diventare quasi un personaggio di se stessi. Per una persona come me, nata e cresciuta in un paese dove i Re, i Ras, i vari Deggiac avevano dei cantori che cantavano le loro lodi, perché non c’era atto più basso del lodare se stessi, dove gli eremiti, quando consigliano i loro figli spirituali, danno come primo insegnamento quello di non parlare troppo di se, tali incontri erano pungenti come una selva di ortiche. La somma delle due riflessioni, delle due spinte, mi ha portato ad affiancare al lavoro scritto quello orale, rispondendo il tal modo alla mia duplice appartenenza: all’occidente e all’Africa. Nel mio paese di provenienza, l’Etiopia, esiste una antica tradizione di for- 42 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Dal racconto in forma scritta al racconto orale ma scritta, per lo più usata per gli antichi testi sacri, e ciò la contraddistingue da molti altri paesi africani, ma al fianco della forma scritta esiste una altrettanto antica forma orale, che come un filo rosso la lega al resto del continente. Sia nella letteratura scritta che orale la metafora ha una estrema importanza. Esistono anche dei trattati sull’antica forma poetica metaforica chiamata “Qene – sem inna work” e cioè “Qene – cera e oro” alludendo con ciò allo stampo “significato esterno e grezzo” di cera nel quale si cola l’oro il “significato prezioso dalla forma sottile”. Oltre ai Qene, ci sono “teret inna messale” “Storie ed esempi” e cioè aneddoti allusivi che si usano per l’educazione dei bambini e dei ragazzi e varie altre forme orali. Ababa Tesfaye Salo, un vecchio narratore che da sempre conduce un programma di storie per bambini alla tv etiope, durante una intervista mi disse “Io sono cresciuto con le storie allusive. Sono state il fondamento della mia educazione. Quando combinavo qualche guaio mia madre mi mandava da mio nonno che mi faceva sedere al suo fianco e mi raccontava una storia. Se io perseveravo nell’errore, mio nonno riprovava per qualche volta a raccontarmi la stessa storia e poi chiamava mia madre e le diceva – dulla chenne teret, si adg i gheboal – aggiungi il bastone alla storia, quando cresce capirà – e così è sempre stato, le storie che non comprendevo fino in fondo le ho poi comprese da adulto.” Con questo intento, di comunicare attraverso la metafora e le allusioni, ho scritto i due racconti che attualmente porto in giro come performances: “All’ombra dei rami sfacciati carichi di fiori rosso vermiglio” e “Un canto per Mamma Heaven”. “All’ombra dei rami sfacciati carichi di fiori rosso vermiglio” nasce da una constatazione fatta al mio arrivo in Italia, negli anni 80, quando notavo con incredulità come qui la vita fosse ritenuta “programmabile” (cioè scelta della scuola, conseguente lavoro, famiglia, casa, e via dritti sul binario stabilito fino alla pensione) e a parte la “organizzazione” del proprio futuro e l’impegno in ciò non fosse necessario prendere alcuna posizione verso l’esterno cioè la società civile etc…, si lasciava fare agli “al- tri”, ai partiti che ci rappresentavano e ai governanti che erano stati votati e ai quali si delegava tutto. A parte “piccole sacche” della società, alcune associazioni e forme ancora sul sorgere di volontariato, notavo come la maggior parte degli italiani conducesse la vita come se essa fosse in corso parallelo rispetto alla “Storia” con la quale non si intersecava minimamente, sia con quella nazionale e soprattutto con quella internazionale. Per me che venivo da un mondo dove all’improvviso ogni volta c’era un golpe e poi un cambio dei golpisti e ancora modifiche che ribaltavano qualsiasi “programmazione personale” tale modo di affrontare la vita senza tenere conto dei possibili mutamenti storici era quasi da incoscienti e ancora di più lo era il fatto di lasciare agli altri la responsabilità della direzione e organizzazione della società senza ritenere indispensabile prendere una posizione e impegnarsi nella costruzione della stessa, a parte apporre la crocetta sulla scheda elettorale. Da qui l’epigrafe di apertura del racconto “Siamo storie di storia nella storia. Angoli o centri di trama e ordito del tessuto del mondo. Nicchie ricavate in intrecci di eventi. Noi siamo nella storia, noi siamo la storia.” Certo, le cose non sono più come allora. Dopo l’11 settembre 2001 la storia ha bussato alle porte di tutti e ha costretto gli Italiani a riversare le acque tranquille della propria vita in un più ampio fiume “mondiale”, ma ancora la maggior parte degli italiani si fa condurre... e da qui il quadro di apertura e di chiusura del racconto, che narrano della tv etiope prima e dopo il golpe. Tali quadri, usando la forma della metafora particolarmente cara alla tradizione culturale etiope, vogliono indurre alla riflessione sull’attuale situazione italiana, allo svuotamento culturale dei media, specie la tv, e al perché di tale svuotamento... . La parte centrale del racconto, è una storia dalle sfumature femminili che racconta con voluta ironia, umorismo e leggerezza di una bambina in uno spaccato di vita segnato dai cambiamenti politici in Etiopia, dal suo rapporto con la sua famiglia e dal desiderio di scoperta tipico della sua età. Questa parte centrale è un omaggio alla vita che riesce a scorrere anche nelle situazioni più tremende portando inaspettate gioie e sorrisi. StrumentiCres ● Marzo 2006 “Un canto per Mamma Heaven” nasce prevalentemente per denunciare l’assurda guerra che si disputa tra Etiopia ed Eritrea, denunciare la difficoltà che molti Habescià (così si chiama nella lingua Tigrigna e Amarigna, l’una lingua ufficiale dell’Etiopia e l’altra dell’Eritrea, il popolo etiope e eritreo) vivono nel doversi schierare da una parte o dall’altra pur provenendo da famiglie miste. Un Canto per Mamma Heaven vuole essere l’urlo di una madre che nella metafora rappresenta l’anima del popolo e della terra su cui esso vive, una madre che decide di andarsene per non dover più soffrire. Oltre a ciò il racconto vuole essere sottolineare la situazione di doppia assenza che molti migranti vivono: non più accettati nella loro terra, perché ormai fuori dal cerchio, e non considerati come persone, con tutti i “naturali diritti” che ne dovrebbero conseguire, nei paesi in cui approdano. A differenza del racconto scritto, nella performance lo spettacolo inizia con una parte legata alla storia del colonialismo italiano, alla legge sul madamismo, legge che serviva per mantenere la purezza della razza italiana, che divise la mia famiglia e causò dolore a quattro successive generazioni. Gabriella Ghermandi, italoetiope, è nata ad Addis Abeba nel 1965, e si è trasferita in Italia nel 1979. Da parecchi anni vive a Bologna, città originaria del padre. Nel 1999 ha vinto il 1° Premio del concorso per scrittori migranti dell’associazione Eks&Tra, scrive e interpreta spettacoli di narrazione. Fa parte del comitato editoriale di el Ghibli. StrumentiCres ● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 1234567890123456789012345678901212345678901234567 NOVITÀ CRESCENDO Uno, nessuno, centomila ir/responsabili Itinerari didattici progettati e realizzati sull’Educazione alla cittadinanza. EMI, Collana Crescendo a cura di Gianluca Bocchinfuso Per l’Editrice Emi è appena uscito il Quaderno didattico Uno, nessuno, centomila ir/responsabili, una raccolta di itinerari didattici sull’Educazione alla cittadinanza, curato da Michele Crudo, docente di Storia e geografia presso l’Istituto sperimentale “Rinascita-Livi” di Milano e formatore del Cres. Crudo si propone di dimostrare come l’Educazione alla cittadinanza, anche e soprattutto in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propina, può diventare realmente una pratica didattica quotidiana. Per fare questo, l’autore, in tre articolati capitoli (L’Educazione alla cittadinanza tra modelli sociali e urgenza formativa; L’Educazione alla cittadinanza dalle dichiarazioni d’intenti a un’articolata pratica didattica; L’Educazione alla cittadinanza come nucleo programmatico dell’esperienza formativa), riflettendo sull’insieme costituito da società, scuola, famiglia, spiega che un’attenta programmazione didattica - che contempli l’educazione alla cittadinanza, allo sviluppo, alla mondialità, ai diritti e alla pace - determina un nuovo processo di apprendimento. Tale cammino didattico ridisegna profondamente anche il ruolo dello studente e quello dell’insegnante. I modelli di pratica didattica su questi temi, Crudo li ricava dalla sua esperienza personale all’Istituto sperimentale “Rinascita”: un riferimento che ritorna sempre, anche in relazione al nuovo Progetto di sperimentazione che lega la scuola milanese con la “Don Milani” di Genova e la “Pestalozzi” di Firenze. Infatti, nel presentare i progetti realizzati con le proprie classi, l’autore sottolinea il fatto che negli ultimi decenni si sono susseguite indicazioni programmatiche e circolari ministeriali sull’Educazione civica, stradale, ambientale, molte delle quali svincolate dalla realtà scolastica, perchè non tengono in adeguato conto il “come” tenere le lezioni, il “come” programmarle, i criteri di valutazione. La parte centrale del Quaderno delinea, sempre con riferimenti professionali personali, alcune esplorazioni didattiche svolte negli ultimi cinque anni insieme ad altri colleghi, con diverse classi di terza media: “la loro descrizione, tappa per tappa delle componenti essenziali, ne dimostra la fattibilità e proietta una loro eventuale trasferibilità in contesti in cui operano insegnanti che credono nella funzione educativa della scuola” (pag. 36). Il primo percorso didattico ha riguardato il Rapporto tra l’uomo e la scienza, il secondo Il piccolo grande mondo dei lillipuziani, il terzo Davide e Golia. Di tutti i percorsi è fornito l’intero Progetto e le modalità di lavoro che hanno coinvolto il gruppo classe. Al centro di queste metodologie, l’uso del film, ritenuto strumento didattico validissimo, a detta dell’autore, ancora non pienamente esplorato. Crudo, nelle riflessioni, sottolinea che tali lavori - oltre a stimolare nei ragazzi punti di vista da “cittadini del mondo” e non più da semplici “cittadini italiani” - permettono risultati positivi e partecipazione concreta, anche per quei ragazzi sprovvisti di abilità cognitive, che hanno la possibilità di riflettere personalmente e collegialmente su filoni tematici altrimenti sconosciuti. Facciamo un passo indietro. Il primo capitolo dimostra come i modelli sociali più diffusi determinano comportamenti specifici dei ragazzi in classe, sui quali l’insegnante deve intervenire, nel modo migliore possibile e pedagogicamente corretto. Non è una questione semplice: l’insegnante, quotidianamente, si scontra con i miti che si reggono sui falsi idoli e su fenomeni che lasciano il segno e cambiano intere generazione. Un complesso di modelli sociali che produce anche il linguaggio veloce e superfiale tipico dei giovani: quel “linguaggio da sms” che non permette un 43 44 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012 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Con questa realtà dell’immagine la scuola deve confrontarsi. L’insegnante non può tacere: deve aiutare lo studente a fare i conti con un mondo sempre cangiante, che non produce momenti di riflessioni duraturi. L’insegnante può deve - costruire piani formativi che permettano allo studente di capire l’universo degli adulti e di mediare tra gli opposti, per arrivare ad un proprio punto di vista sul mondo e sulle cose, in un’ottica di mondialità. Un processo difficilissimo, anche perché dalle notizie che quotidianamente appaiono su giornali e televisioni viene fuori una realtà sempre più lontana da un senso civico condiviso. Nello stesso tempo, Crudo sottolinea che le risposte degli insegnanti non possono essere vincolate all’orizzonte volontaristico “circondato da diffidenze” , ma devono derivare da “un’unica strada possibile, che consiste nello stanziare le risorse economiche e fornire i mezzi materiali perché i docenti possano ritrovare lo slancio ideale e lo spirito innovatore per abbinare alla trasmissione delle conoscenze: la trattazione sia di temi di attualità sia di problemi con implicazioni valoriali che abbracciano le scelte individuali e collettive dei protagonisti del nostro tempo; l’acquisizione di concetti la cui scomposizione e comprensione investe, oltre alla costruzione del pensiero, la formazione di una morale non angustamente particolaristica” (pag. 18). Su queste basi, le istituzioni scolastiche devono programmare e lavorare per garantire la piena comprensione del mondo, in un’ottica che inglobi la dimensione micro della sfera individuale con quella macro delle identità collettive, che si lega ai problemi della globalizzazione. L’insegnante non deve avere il timore di fare riflettere gli studenti sulle dinamiche che caratterizzano il mondo oggi: guerre, fame, problemi ambientali, politiche sui diritti. Non deve pensare che esistano argomenti “preclusi all’intelligenza dei ragazzi” (pag. 28): la scuola è una palestra di vita in cui lo studente deve essere abituato a riflettere, a parlare, a confrontarsi con gli altri; “la scuola non si può trincerare dietro il pretesto che la scuola deve restare un ambiente neutrale “dove non si fa politica”, politica intesa nella sua accezione etimologica di “interesse e impegno civile per il benessere della città-stato”, permea ogni manifestazione della nostra vita di membri della collettività” (pag. 28). Con tale approccio didattico, gli studenti acquistano consapevolezza delle loro idee; riflettono, oltre l’immediatezza, su ciò che ve- dono e sentono; sono capaci di mettersi in discussione e di richiamare l’attenzione dell’adulto con le loro proposte. Pratiche di apprendimento quotidiano che, come abbiamo detto sopra, diventano anche progetti da sperimentare, in un’ottica interculturale che supera, con i fatti, le parole d’ordine spesso vincolate nello spazio e nel tempo di uno slogan. Un nuovo rapporto insegnamentoapprendimento, a fronte di temi educativi interculturali passa inevitabilmente - nella riflessione di Crudo - da una riorganizzazione delle risorse. Il suo riferimento pratico è quello a lui più vicino: la scuola media sperimentale “Rinascita”. La cornice generale tiene conto “dell’elaborazione di un patrimonio pedagogico-didattico che dopo le Riforme Berlinguer-De Mauro e Moratti potesse essere condiviso e praticato dal Collegio dei docenti” (pag. 74); della programmazione curriculare di storia e geografia e delle ore interdisciplinari, anche con l’introduzione stabile dello strumento filmico; delle riflessioni personali dell’autore legate specificamente alle trasformazioni determinate dalla “Riforma Moratti”. Pilastro del ragionamento di Crudo è il fatto che la scuola non può esaurire le energie didattiche solo nella preparazione delle lezioni e nella trasmissione delle conoscenze, ma deve spostare il fuoco sull’acquisizione e l’applicazione, misurabile e certificabile, delle com- petenze con una maggiore attenzione ai concetti comunicativi - “la rilevazione preliminare, la motivazione all’esplorazione, la negoziazione iniziale e in itinere, la sperimentazione e la scoperta, la messa a punto del prodotto finale, la preparazione della comunicazione sull’esperienza formativa, la riflessione svolta sul percorso formativo” (pag. 79) - che si fondano sulla Didattica per progetti. Inoltre, la scuola deve sapere coniugare la dimensione cognitiva (cioè, i saperi) con la dimensione socio-affettiva (cioè, gli atteggiamenti e i comportamenti), in un quadro di riferimento contenente i concetti/valori di Educazione alla cittadinanza, “intesa come aggregato delle finalità educative da raggiungere in vista della spendibilità sociale degli allievi” (pag. 86). In quest’ottica sta, ferma e documentata, la condanna della Riforma Moratti, che manifesta esplicitamente una svolta aziendalistica della scuola, con un disordine educativo strettamente legato alla società contorta in cui viviamo. Filo conduttore del ragionamento complessivo di Crudo è il ruolo dell’insegnamene e il suo rapporto con gli studenti: un ruolo difficile ma ancora valido, soprattutto in una società che mangia se stessa e in una scuola riformata che diventa sempre più elitaria, ignorando pratiche di educazione alla cittadinanza e di interculturalità. StrumentiCres ● Marzo 2006 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ AIUTARE L’INTEGRAZIONE FEMMINILE Mani Tese al fianco delle donne indiane della provincia di Cremona Il contesto Nella provincia di Cremona la comunità indiana è la più numerosa, mentre è solo al tredicesimo posto sull’intero territorio nazionale. Gli indiani di Cremona in gran parte lavorano in modo stabile nelle stalle o nei campi. Prevalentemente impiegati come mungitori, addetti alla cura di maiali e polli o dediti ad attività agricole, vivono con le famiglie nelle cascine, costretti a turni di lavoro che li vedono impegnati per buona parte della giornata e della notte. Ciò ha una pesante ricaduta anche sulle donne, che vivono isolate nelle cascine con poche opportunità di incontrare altra gente e di apprendere la lingua e la cultura italiana. Nella realtà italiana alla donna indiana è vietato qualsiasi tipo di autonomia finanziaria, ella è costretta in a dipendere in ogni azione dal marito. Non le è consentito seguire l’educazione dei figli proprio perché non conosce, nonostante i molti anni di permanenza, la lingua italiana. Non ha amicizie ed in questo contesto diventa difficile ogni forma di integrazione nel tessuto sociale. Le donne indiane parlano Mani Tese, che è presente in zona con il Gruppo di Persico Domino, si è attivata per conoscere meglio la comunità femminile indiana attraverso una indagine conoscitiva che ha coinvolto con interviste 183 famiglie di otto comuni. Le donne indiane, superando le barriere culturali e il proprio carattere schivo, pian piano si sono aperte, rivelando inquietanti scenari di isolamento e solitudine, e di difficoltà ad impadronirsi dei meccanismi per accedere ai servizi sociali. Hanno accennato, a volte con vergogna e in modo non esplicito ai problemi di abuso di super alcolici che esistono tra gli uomini e hanno una ricaduta nefasta su donne e bambini. Hanno parlato di violenze fisiche e le hanno denunciate alle autorità competenti dimostrando di non essere più disposte a subire questi tipi di abusi e a nasconderli nell’ambito familiare. Nella quasi totalità delle interviste emerge anche la difficoltà di capire il nostro sistema scolastico, che ha poco a vedere con quello indiano, modellato sul sistema inglese. Molte mamme hanStrumentiCres ● Marzo 2006 Progetto n. 2040 Località Località: Quistro, comune di Persico Dosimo (Cremona) Importo Importo: 33.000 Euro Responsabile Responsabile: Ester Olivieri e Gruppo Mani Tese di Persico Dosimo Conto Corrente Postale n° 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9 – 20146 Milano Bonifico Bancario c/c n° 40 c/o Banca Popolare Etica, filiale di Padova, ABI 05018, CAB 12100, CIN X. no difficoltà a dialogare con gli insegnanti mentre i bambini lamentano emarginazione da parte di alcuni insegnanti, ma più spesso da parte dei loro stessi compagni di scuola. Nascono ulteriori problemi con le figlie adolescenti che, dopo esser cresciute in Italia, si trovano combattute tra due modelli culturali e non accettano di tornare in India per sposare il giovane scelto per loro dai genitori o dai parenti rimasti là. Il progetto Shanti A sostegno delle donne indiane è nato il progetto di Mani Tese “Shanti”, che in sanscrito significa pace, con i seguenti obbiettivi: - toglierle dall’isolamento attraverso corsi di alfabetizzazione, - iniziare attività di aggregazione per stimolare e facilitare il dialogo, - facilitare l’integrazione culturale con attività da svolgere in collaborazione con enti locali, parrocchie e associazioni del territorio. Benvenuti a tutti nella casa della pace, che è stata inaugurata in ottobre nella ex canonica di Quistro, concessa in comodato gratuito dalla Curia di Cremona. I lavori di ristrutturazione, resi possibili grazie anche dal consistente contributo della Fondazione comunitaria della Provincia di Cremona e del Comune di Pescarolo, sono stati molto impegnativi; fino ad ora hanno interessato la copertura, l’impianto di smaltimento acque reflue e il piano terreno ma andranno estesi al primo piano. Ma molto altro resta ancora da fare. Innanzi tutto occorrerà, con la collaborazione della Provincia, dei comuni interessati e delle parrocchie: - avviare corsi di alfabetizzazione per gli adulti; - facilitare l’integrazine culturale con scambi ed incontri; - informare sui serviziofferti dalle istituzioni; - prevenire, attraverso ncontri e formazione, la violenza su donne e bambini; - avviare piccole attività di reddito (cucito, artigianato, ecc.) per garantire un minimo di autonomia alle donne; - iniziare corsi di sostegno scolastico per i bambini. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345 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Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura – Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg 256 - euro 12,00 Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il testo. 2. All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00 I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata da un apparato didattico per un’educazione interculturale. 3. Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00 Nel 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva all’unanimità la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC). Ê un testo innovativo rispetto ai precedenti documenti internazionali: cambia l’approccio globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e muta la considerazione del minore. Il testo è un manuale teorico-pratico che, descrivendo lo scenario culturale generale, propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni. COLLANA CRESCENDO- Ed. Lavoro OFFERTA SPECIALE ● ● L’INTERA COLLANA al prezzo complessivo di 55 euro Il volume fuori collana NOCI DI COLA, VINO DI PALMA. Letteratura dell’Africa sub-sahariana a 15 euro (18 euro con il quaderno “Letterature d’Africa - percorsi di lettura”) Nei prezzi sono incluse le spese di spedizione 1) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini pagg.158 - euro 6,20 Strumento metodologico per chi intende affrontare il tema delle migrazioni in chiave interculturale: elementi di conoscenza sul tema e suggerimenti per l’impostazione di percorsi disciplinari, esperienze didattiche. 2) Percorsi interculturali e modelli di riferimento Michele Crudo - pagg.53 - euro 5,16 Un esempio di modello storiografico e un modello tassonomico, base per strutturare i programmi di storia e geografia secondo un’ottica di educazione interculturale. 46 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ 3) Educare al cambiamento a cura di M. Santerini, P. Scarduelli, P. Inghilleri, D. Demetrio, G. Favaro, M. Crudo pagg. 76 - euro 5,16 Viene affrontato il problema della funzione della scuola dal punto di vista della rielaborazione culturale e pedagogica della nozione di cambiamento e della valorizzazione della diversità. 4) Mediterraneo: il mare della complessità a cura di L. Alberti, G. Carlini, A. Brusa, M. Gusso, C. Grazioli, D. Barra, M. Bocca, M. Crudo, M. Peghetti - pagg. 114 - euro 6,20 Il quaderno propone una lettura trasversale delle problematiche dell’area del Mediterraneo ed è completato da un’analisi comparativa di 8 carte geostoriche e due percorsi didattici. 5) La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio Michele Crudo - pagg. 73 - euro 5,16 Due unità didattiche sulle dinamiche che regolano i rapporti interpersonali e le relazioni tra comunità culturalmente diverse partendo da parole chiave come stereotipo, pregiudizio, etnocentrismo, xenofobia. 6) Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - pagg. 158 - euro 7,75 Percorsi di lettura che si muovono alla scoperta dei modi diversi di essere della figura dello straniero tra reale e immaginario, tra mondo classico e attualità. 7) Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi pagg. 87 - euro 6,20 I percorsi di lettura suggeriti si rivolgono tanto agli alunni quanto ai docenti per sottolineare l’importanza di far conoscere e valorizzare la narrativa dell’Africa Subsahariana. 8) Penelope è partita Michele Crudo - pagg. 92 - euro 6,71 Il Quaderno propone, attraverso riflessioni teoriche e un percorso didattico, di affrontare il tema del rapporto uomo/ donna, aspetto generalmente trascurato di relazione con l’altro. 9) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano - pagg. 220 - euro 12,91 Il volume, frutto della collaborazione interistituzionale tra scuola e extrascuola, offre elementi di conoscenza, suggerimenti metodologici e esperienze didattiche utili a costruire atteggiamenti capaci di cogliere e utilizzare la ricchezza culturale di una società multietnica. 10) La gatta di maggio Rabia Abdessemed, apparato didattico a cura del Cres - pagg. 214 - euro 12,91 I racconti della scrittrice algerina Rabia Abdessemed ci offrono uno spaccato dei complessi problemi sociali, di identità, di democrazia politica del Paese e sono il punto di partenza per una riflessione interdisciplinare e per la realizzazione di percorsi di educazione ai diritti. 11) La sfida della complessità Marina Medi - pagg.114 euro 8 Un’ampia indagine sull’educazione allo sviluppo nella scuola italiana, prendendo in esame le indicazioni ministeriali, i libri di testo e la pratica didattica degli insegnanti. Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana a cura di L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi - pagg. 484 - euro 23,24 La letteratura come strumento di conoscenza e di incontro tra culture diverse per superare una visione stereotipata dell’Africa e arrivare a percepirne tutta la complessità. Una Panoramica delle letterature africane (a partire dalla tradizione orale) e una serie di schede su autori e romanzi tradotti in italiano, suddivise per aree linguistiche e per paese. StrumentiCres ● Marzo 2006 CIALE TA SPE OFFER ssivi comple 25 euro 4 volumi per i ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ TESTI SCOLASTICI Fame e squilibri internazionali. Introduzione alle problematiche dei rapporti Nord/Sud Wilma Beretta Podini - pagg.160. euro 7,40 (edizione completamente rivista e aggiornata) Il testo, a carattere interdisciplinare, favorisce un primo approccio alle problematiche sulla fame nel mondo, alle sue conseguenze e alle principali cause che la determinano. Corredato da carte tematiche, grafici e dati statistici, il testo si chiude con un glossario e una sezione di esercizi. Foreste tropicali. Quale futuro? D. Calati Boccazzi - pagg. 166. euro 7,15 Elementi oggettivi di conoscenza della foresta tropicale per affrontare il complesso problema della deforestazione attraverso l’analisi di fattori ecologici, economici, sociali, politici e proposte di lavoro interdisciplinare. Brasile. La terra degli altri D. Calati Boccazzi - pagg. 112+32. euro 9,00 Il testo, corredato da note metodologiche ed esercizi, individua nella terra il nodo cruciale per affrontare gli squilibri e le contraddizioni della situazione socio-economica brasiliana. Rifiuti ieri Risorse domani Pietro Danise, Consolato Danise pagg. 110. euro 7,95 Dalla fotografia della situazione dei consumi, dei rifiuti e dei sistemi di smaltimento agli spunti di lavoro didattico utili per passare da un modello di sviluppo insostenibile a uno sostenibile. VIDEO E CD ROM Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attorno all’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta di contrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’analisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno. Nongtaaba In motorino tra i progetti di Mani Tese in MATERIALI SUL LAVORO INFANTILE Burkina Faso - VHS 22' Mani Tese - euro 10 Il video presenta lo stretto legame tra processo di sviluppo e salvaguardia dell’ambiente, il ruolo della donna in questo processo e la filosofia di Mani Tese sulla cooperazione con i paesi del Sud del mondo, partendo dalla situazione concreta di alcuni villaggi nella fascia saheliana del BurkinaFaso. JATARI Alternative di sviluppo nelle popolazioni indigene in Ecuador – VHS 30’ Mani Tese – euro 10 Il video ripercorre il lavoro ventennale di Mani Tese in Ecuador per consolidare processi di sviluppo nelle zone rurali del paese e mostra l’autonomia raggiunta dalle organizzazioni contadine e i miglioramenti ottenuti nelle condizioni di vita della popolazione grazie al lavoro collettivo. Tembè e Coloni La nostra casa è l’Amazzonia ‘ VHS 30’ Mani Tese euro 10 Gli indigeni Tembè e i coloni arrivati negli anni 70 cercano di vivere in armonia con la foresta amazzonica nel Nordest del Parà in Brasile. In questo contesto Mani Tese sostiene da una decina d’anni l’azione dell’Associazione Lamparina per un nuovo modello di sviluppo agro-ecologico fondato sull’uso di nuove tecnologie, la diversificazione dei prodotti, la protezione del suolo, l’uso appropriato delle risorse naturali, il lavoro con i giovani per indurli a non abbandonare le terre. RIVISTA Strumenticres LAVORARE PER PROGETTI LAVORARE SUI PROGETTI 1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto di sviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utilizzando la metodologia della “didattica per progetti”. 2 “Brasile” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere la vivacità culturale di questo Paese Emergente, comprendere le cause delle sue stridenti contraddizioni, condividere l’impegno dei gruppi più attivi e di Mani Tese al loro fianco per un futuro più giusto. MATERIALI SUL LAVORO MINORILE YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didattico Mani Tese-CRES – euro 5 Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratori raccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambini al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cambiare è possibile) autonomi ma ricchi di rimandi incrociati. Ciascun fascicolo contiene materiali di lavoro e suggerimenti didattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossier Dallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna stampa La violazione dei diritti dei bambini. Dallo sfruttamento all’istruzione Dossier Mani Tese-CRES euro 2,50 Il dossier descrive in modo aggiornato e approfondito i problemi legati allo sfruttamento del lavoro minorile e l’impegno di Mani Tese per i diritti dell’infanzia. YATRA Dallo sfruttamento all’istruzione VHS 30’ Mani Tese euro 8 Il nuovo video contro lo sfruttamento del lavoro minorile presenta la drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile, India e Romania ma anche alcune proposte concrete per contrastare il fenomeno: i progetti di sviluppo di Mani Tese e la Global March. Mostra fotografica in 8 pannelli 70 x 100 – euro 5 Un numero e 3 - abbonamento annuale (3 numeri) e 8 Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo della pubblicazione che si desidera. Aggiungere e 3 per spese postali. Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo. StrumentiCres ● Marzo 2006 47