Pubblicare Lolita a Tehran
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Pubblicare Lolita a Tehran
14 Attualità domenica 17 | agosto 2008 | Da quando c’è Ahmadinejad anche la censura di libri, spettacoli, performance è aumentata e teorizzata. Come fanno a sopravvivere scrittori ed editori? Si piegano o resistono Pubblicare Lolita a Tehran In alto, una donna cammina per strada a Tehran > Reuters/Raheb Homavandi > in basso, scuola serale per ragazze> Reuters/Sasa Kralj Giuliano Battiston Tehran Quel che sta facendo negli ultimi tempi il governo Ahmadinejad - la chiusura di decine di giornali considerati troppo poco concilianti con il suo operato - non è particolarmente nuovo: sin dalla rivoluzione del 1979, infatti, il regime dei mullah ha praticato la censura per consolidare il vulnerabile profilo ideologico di una Repubblica nata dal sollevamento di gruppi e movimenti assai eterogenei, la cui forza centrifuga avrebbe potuto mettere in pericolo l’egemonia appena conquistata dal clero. Da allora, tutti i governi che si sono alternati hanno approfittato della vaghezza della Costituzione, che garantisce la libertà di stampa a «condizione che non sia contro il fondamento dell’Islam o i diritti del popolo», per promuovere i propri interessi senza contraddire quelli dell’Islam. Ciò che invece è nuovo è l’atteggiamento del governo Ahmadinejad; pochi giorni fa, con un articolo pubblicato su uno dei più importanti giornali iraniani, l’attuale ministro della Cultura ha sostenuto che la censura sarebbe legalmente legittima, oltre che uno strumento necessario per «consolidare la sicurezza nazionale». Quello di Ahmadinejad è dunque il primo governo iraniano che ammette in modo così esplicito di usare la censura per mantenere lo status quo. Che lo faccia in questo periodo e per questioni di sicurezza nazionale non deve sorprendere: le politiche dell’amministrazione statunitense, formalmente volte a “installare” in Iran un governo che rispetti il pluralismo democratico, non fanno altro che inasprire i vincoli censori imposti dal regime iraniano, ottenendo il risultato opposto rispetto a quello desiderato (almeno a parole). «Ogni atto che il governo americano compie contro quello iraniano si riflette automaticamente contro il nostro popolo», sostiene conseguentemente Arash Hejazi, scrittore, traduttore letterario ed editore della casa editrice “Caravan”, principalmnte dedicata a narrativa, critica letteraria e mitologia, e che, proprio perché lontana dall’attivismo sociale di case editrici come la “Roshangaran” di Shahla Lahiji o la “Godfeglu” di Ziba Jalali Naini, rappresenta un ottimo osservatorio per comprendere ciò che accade nel mondo editoriale iraniano. «L’ultima volta che il Congresso americano ha destinano dei fondi per i gruppi di opposizione al governo - spiega Arash Hejazi, incontrato proprio nella sede della “Caravan” , qui a Tehran ci si accusava reciprocamente di essere i destinatari occulti di quei soldi, e la situazione è diventata ingestibile». Per questo, continua, «sarebbe meglio che l’occidente ci lasciasse un po’ in pace. Se così facesse, troveremmo più facilmente il modo di barcamenarci tra restri- zioni, divieti e imposizioni. L’idea che ci siano dei grandi “satana” sempre pronti ad annientarci non fa altro che legittimare la pressione che il governo esercita sulla gente». E sui libri. Con l’elezione di Ahmadinejad, e la nomina a ministro della Cultura di Mohammad-Hossein Saffar Harandi, già eminente membro della Guardia rivoluzionaria e direttore del quotidiano ultra-conservatore Kay- han, il settore editoriale - stampa inclusa - ha subìto una repentina battuta d’arresto, dopo la progressiva liberalizzazione avviata durante la prima presidenza di Khatami, in particolare quando ministro della Cultura era l’ayatollah Mohajerani. «Durante la presidenza di Khatami le autorizzazioni per pubblicare i libri ci venivano concesse con maggiore facilità ed erano vietati soltanto quegli argomenti che rappresentano veramente dei tabù per buona parte della società iraniana, come il sesso e la religione. Oggi invece - prosegue Arash Hejazi - le limitazioni riguardano qualunque campo». Tanto che si è costretti a procedere a un estenuante corpo a corpo con l’Ershad, il ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico che stabilisce cosa può e soprattutto cosa non deve essere pubblicato in Iran. «Non c’è una vera e propria negoziazione sostiene Hejazi - loro fanno il loro lavoro e noi il nostro, anche se diventa sempre più difficile farlo in modo serio». Il sistema censorio si articola infatti su livelli differenti, ed è impossibile sottrarsi alla sua longa manu, a meno che non si decida di ricorre alle vie illegali: «In primo luogo c’è un grande impiego di energie che non sappiamo se verranno ricompensate. L’Ershad esige che per l’approvazione i libri vengano consegnati nella forma definitiva. Così ne curiamo la veste grafica, l’editing, nel caso di opere straniere la traduzione, ma non possiamo mai essere sicuri che ne valga la pena». Il ministero, infatti, potrebbe non consentire la pubblicazione, e qualora la consentisse «potrebbe poi stabilire che l’opera non può essere distribuita. Potrebbe impedire che arrivi in libreria o confiscare le copie già stampate. Ci sono casi in cui, pur avendo concesso i permessi per la pubblicazione e la distribuzione, l’Ershad ha deciso di revocare l’approvazione, impedendo la ristampa del libro». Anche se riuscisse a superare questi ostacoli, difficilmente un libro potrebbe poi uscire integro dal vigile e impietoso controllo dell’anonimo censore armato di penna rossa: «Capita molto spesso che ci venga chiesto di sostituire o eliminare una parola piuttosto che un’altra. In quel caso ci viene semplicemente consegnato un foglio con le correzioni da apportare. Tempo fa abbiamo pro- Interni Attualità Esteri domenica 17 | agosto 2008 | posto la traduzione di lo stesso Vaghfipour ne un libro di Kurt Vonè un esempio. Con il negut - racconta Hejasuo primo romanzo, zi - e la prima volta ci Dah-i murde (I dieci hanno detto di tagliare morti), definito «il priun paio di frasi, menmo romanzo iraniano tre quando siamo torapertamente e consanati con il testo corretpevolmente postmoto ci hanno suggerito derno», Vaghfipour ha di eliminare un paradato vita infatti a grafo; tornando la ter«un’opera politica, in za volta ci hanno chiesenso personale e colsto di eliminare delle > Arash Hejazi, scrittore lettivo. E’ forse il pripagine intere! A quel ed editore della casa mo romanzo in cui punto abbiamo rinun- editrice “Caravan”, in l’autore, o il narratore, ciato a pubblicare il li- basso alcuni libri da lui si racconta senza pudibro in attesa di tempi pubblicati cizie, riconoscendo i migliori». propri desideri e racOltre che sulle case contando le proprie editrici, che dal punto esperienze sessuali, di vista finanziario sofl’uso di droga, l’omofrono le incongruenze sessualità. Insomma, di una politica culturaun libro che dal punto le volta a sostenere soldi vista governativo è tanto editori governasenz’altro pericoloso». tivi, la censura ovviaNonostante i temi afmente pesa anche sugli frontati Vaghfipour è scrittori. Finendo per riuscito a pubblicarlo: colpire persino i gran«Forse dipende dalla di padri della letteratutecnica narrativa usata, ra iraniana moderna piuttosto insolita, dalcome Sadegh Hedayat, l’adozione di un punto che pur essendo morto quasi sessandi vista narrativo plurale. Fatto sta t’anni fa sembra ancora intimorire i che dopo la prima pubblicazione ne custodi dell’ortodossia (tanto che le è stata vietata la seconda». Anche per sue opere sono state di nuovo bandiil suo secondo romanzo Vaghfipour te dal governo Ahmadinejad). Ma è stato fortunato: «Erano gli ultimi tocca anche a quanti si affacciano giorni del governo Khatami, e l’Erper la prima volta sulla scena letterashad rilasciava molto facilmente le ria: alcuni scrittori, nel licenze - spiega -. Moltentativo di ottenere ti ancora si meravigliaun difficile comprono che abbiano conmesso tra la creatività e cesso la pubblicazione il desiderio di vedere a un libro ancor più pubblicati i propri lipolitico del primo: anbri, sfornano opere di che qui ci sono dei rifedubbia qualità, aderimenti espliciti agli rendo preventivameneventi traumatici dello te alle linee suggerite recente storia iraniana, dal ministero della quegli eventi che non Cultura. «Sta proprio dovrebbero essere racqui, nell’autocensura, contati». Come la reuna delle ragioni propressione delle manifefonde della crisi della stazioni studentesche a nostra letteratura conTehran, e non solo, nel temporanea», conclu2001: «Nel libro mi ride con un pizzico di sconsolatezza ferisco ironicamente proprio a queArash Hejazi. gli eventi, a cui anch’io ho partecipaAnche Shahriar Vaghfipour, che è un to. Mi riferisco alla violenza del gogiovane romanziere, traduttore, giorverno, alla brutale repressione degli nalista e critico letterario, sembra esintellettuali, ma anche alla violenza sere piuttosto sconsolato: «Con l’elesociale di tutti i giorni, alla violenza zione di Ahmadinejad esercitata sulla nuda vila situazione è venuta ta, per dirla con Agampeggiorando di giorno ben» (di cui in Iran si in giorno - sostiene -. stanno traducendo diOgni settore culturale versi libri, oltre al già ha subito delle restritradotto Mezzi senza fizioni prima inedite, ne, N.d.R.). dalla filosofia al cineE’ da questa violenza, ma, dalla letteratura aldall’imposizione coatle arti. In un certo senta dei modi di vivere, so è come se fossimo dalla forzata sottomisfiniti in un mondo già sione a regole sociali morto, dove non potrà troppo vincolanti che i succedere più niente». giovani di Tehran cerPer questo, pur non cano di uscire. E l’arte avendone apprezzato è uno degli strumenti tutte le scelte politiche, rimpiange il privilegiati per farlo, almeno per chi governo Khatami: «Con lui c’è stata ha l’opportunità di accedervi. Come una sorta di rinascita collettiva; doquelli che a Tehran frequentano il po di lui le cose sono diventate molCaffè Godot, il locale aperto dal gioto più complicate». La censura è invane regista teatrale Homayun Ghafatti cresciuta sia nei confronti delle nizadeh, premiato per la migliore reriviste letterarie - come Karname, la gia al Fajr Festival di Tehran nel più importante rivista letteraria ira2007, che alcuni anni fa con la mesniana, animata da Negar Eskandarfar sa in scena di “Aspettando Godot” e di cui Vaghfipour è stato per anni ha ottenuto un grande successo di caporedattore, infine chiusa dal gopubblico e critica. Hamid Hosseineverno - che degli scrittori. A differenjad lavora qui, e anche lui sogna di za di Arash Hejazi, Vaghfipour non dedicarsi a tempo pieno al teatro, coritiene però che le restrizioni del gome critico. Sostiene però che per farverno abbiano sortito grandi effetti lo «occorre esserne veramente consugli scrittori: «Da sempre il governo vinti, e lavorare sodo. I limiti sono cerca di imporre la sua linea anche tanti, e gli spazi per fare del buon alla letteratura, e da sempre gli scritteatro sono pochi». Quando ci si rietori rifiutano di aderirvi. Molti, pur sce, però, le soddisfazioni arrivano. di non sottostare alle pressioni, pubLo dimostra proprio il lavoro di Hoblicano clandestinamente, all’estero mayun Ghanizadeh, che il prossimo oppure sul web. Nonostante il governovembre volerà a Londra, dove è no disponga di circoli culturali molstato invitato a presentare il suo nuoto influenti, oltre che del sistema vo spettacolo, “Dedalus and Icarus”. universitario completamente asserviSarà uno dei rappresentanti delle to, buona parte degli scrittori contitante energie creative che covano nua a sentirsi “all’opposizione”». E sotto il pesante manto dei mullah. 2 15 blogger e mediattivista afgano Iafghanlord.splinder.com Nasim Fekrat «A Kabul, poca libertà e la sicurezza peggiora» Mauro Biani Abbiamo incontrato Nasim Fekrat, un giovane blogger afgano (afghanlord.splinder.com), reporter e fotografo freelance, che vive e lavora a Kabul. La sua storia è simile a quella di tanti giovani afgani che non hanno mai conosciuto la pace ma solo sofferenza e morte. Per qualche tempo è stato anche costretto ad abbandonare l’Afghanistan per le minacce subite da chi non accettava una voce libera e irriducibile come la sua . Ed ha “solo” 25 anni. Ora uno dei sogni di Nasim è quello di portare avanti in Afghanistan, dove anche l’elettricità è un lusso, un progetto appena iniziato di blogging workshop, un laboratorio per insegnare a bloggare agli studenti, ai giovani giornalisti ed a tutti coloro che vogliano apprendere come scrivere e diffondere le proprie idee sul web. Chi è Nasim Fekrat? Un blogger, un reporter, un fotografo, uno scrittore, un ragazzo afghano come gli altri, qualcun altro o tutte queste cose insieme? Parlaci un po’ di te… E’molto difficile presentarmi. Ho sempre questo problema anche quando lo chiedo a me stesso. Ho fatto parecchie cose e, ad essere onesto, sono stato in grado di gestirle tutte. Io bloggo e nello stesso tempo faccio foto. Scrivo reportage per alcune riviste locali qui a Kabul come giornalista freelance. Ma soprattutto sono un ragazzo normale come gli altri, che ama, odia, si diverte. Fra le altre cose nel profilo del tuo blog tu scrivi: “Sono nato nella terra del dolore e dell’ingiustizia”. Tutti conoscono la grave situazione che vive l’Afghanistan ma cosa significano profondamente per te queste parole? Quando sono nato l’Unione Sovietica ha invaso il mio paese. L’anno in cui sono nato è stato l’anno in cui è iniziata la guerra. I miei genitori mi raccontano sempre che nell’anno della mia nascita la situazione era molto dura. Gli elicotteri sovietici andavano a caccia della gente nel villaggio così mia madre mi portava in braccio con sé in luoghi nascosti. In quel tempo ho sofferto non solo per la guerra ma anche per le discriminazioni. Questa terra è stata una terra piena di dolore per me, ma non solo per me, anche per tutti le generazioni che sono nate in tempo di guerra. Posso definirmi “figlio della guerra”. modo sono sicuro che potranno cambiare le loro vite. Quello che sta facendo la Comunità Internazionale per il tuo paese è abbastanza e soprattutto sta andando nella direzione giusta? Tutti hanno il proprio tornaconto e loro stanno facendo il loro lavoro nella maniera che ad essi interessa. Ma a dire il vero la Comunità Internazionale ha aiutato molto l’Afghanistan. Anche se ci sono molte critiche nei confronti dei loro aiuti per l’Afghanistan. Quanti blog hai e perchè hai scelto di aprirli? Ho due blog fotografici, un blog in farsi (mia lingua madre), uno in inglese (www.afghanlord.org) ed anche uno aperto di recente sulla piattaforma italiana “Splinder” (www.afghanlord.splinder.com ). Ho iniziato a bloggare perché la rivista di satira e fumetti che avevo era stata traverso questo abbiamo anche la possibilità di chiedere gli aiuti di cui abbiamo bisogno. Ogni blog è rappresentativo di una persona nel web. Se gli afghani iniziano ad interessarsi maggiormente a questo media digitale, possono anche migliorare le loro vite. In questo momento c’è libertà di espressione nei mezzi di comunicazione afghani? Ci sono opportunità di miglioramento, per i nuovi media digitali? Ad essere onesto noi non abbiamo libertà di espressione. Il Governo afgano parla sempre della libertà di espressione come un vero successo raggiunto. Ma noi non lo sentiamo. Ci sarebbero mille esempi di come la libertà di espressione stia diventando limitata. L’unica cosa che sto cercando di fare è sviluppare il blogging in Afghanistan. Così possiamo portare dei cambiamenti, migliorare i nostri media, digitalizzare la nostra stampa. L’intenzione è quella di rendere questi strumenti patrimonio comune. A nome dell’Associazione dei Bloggers Afghani (http://afghanpenlogen.blogspot.com), abbiamo già lanciato a Kabul e poche settimane fa a Bamyan due blogging workshops ai quali hanno partecipato molti studenti, scrittori e giornalisti freelance. Per farlo è stata prima organizzata una raccolta fondi alla quale hanno dato un prezioso contributo le donazioni arrivate dall’Italia. A questo proposito ringrazio in particolare i ragazzi della Casa del popolo di Mola di Bari che ci hanno sostenuto con grande affetto. Ma non è finita, perché abbiamo in programma di organizzare ancora parecchi workshops in diverse zone dell’Afghanistan, anche quelle “difficili”. > Un’immagine del “blogging workshop” in Afghanistan e dei giovani partecipanti Cosa pensi di poter fare per cambiare il tuo paese? Combattere, lottare contro tutte le discriminazioni, contro tutti i comportamenti sbagliati. Imparare dal passato, ricordare il passato ma perdonare. In questo modo noi possiamo cambiare e rendere la nostra una società unita. chiusa da fanatici fondamentalisti. Per un breve periodo ho smesso di scrivere ma presto ho capito che potevo scrivere su un blog. Così ho aperto il mio primo blog e adesso sono diventato “blogdipendente”. E di cosa avrebbe bisogno la gente afghana per migliorare le sue condizioni di vita? Sicurezza, cibo, lavoro e amore. La gente ha bisogno di sorridere e di evitare gli odi. Le persone hanno bisogno di educazione, attraverso l’educazione possono cambiare la loro vita. Hanno bisogno di scuole, ospedali ma anche di affetto e comprensione. In questo Pensi che la possibilità di bloggare possa essere un utile aiuto perchè gli afghani possano ottenere un miglioramento delle loro vite? Io credo fortemente che i blog possano aiutare i media afghani. Se digitalizziamo i nostri mezzi di informazione noi possiamo avere abbastanza fonti per il resto del mondo, quindi possiamo migliorare le nostre relazioni e at- Un’ultima domanda. Sei ottimista per il tuo futuro? A dire il vero, no. La situazione sta peggiorando e la sicurezza va deteriorandosi ogni giorno. La gente ha più preoccupazioni riguardo la propria sicurezza. Ti faccio un esempio: qualche tempo fa un gruppo di miliziani è entrato in una casa alla periferia di Kabul. Hanno avuto un duro scontro con la polizia in un area abitata da civili e molte persone sono rimaste uccise. Dopo sei anni dall’intervento delle forze internazionali, l’Afghanistan non è ancora sicuro. (traduzione M.Concetta Oronzio)