ROCCA CANI PASTORE - Accademia della Montagna
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ROCCA CANI PASTORE - Accademia della Montagna
il Racconto l'Adige LA STORIA Padroni del gregge Sui pascoli del Passo di Crocedomini, al confine fra Trentino e Lombardia, si svolge il campionato dei cani da pastore, conduttori di mandrie lunedì 12 settembre 2011 La meravigliosa sfida dei cani dell’alpe Negli avamposti disperati di sperdute pasture che toccano il cielo, i pastori esistono e resistono ancora. Aggrappati a un destino di precaria certezza GIANLUIGI ROCCA (segue dalla prima pagina) È questa una festa di uomini soli che hanno come compagni, i cani fedeli delle solitudini verdi diventati leggenda e storia di un mondo che non si può cancellare L a sfida è in un pascolo che sta a mezzogiorno sotto le pale silenziose del Crocedomini. Il passo a cavallo fra terra Lombarda e Trentino. A uno sparo di carabina di quella che fu una guerra impossibile, strappata alle rocce. Dietro, l’unghia grigia del corno Blumone s’innalza sinistra sulla dolcezza rotonda di mammelle di verde. Lassù ai 1.800 metri di Malga Cadino della Banca da molti anni ogni estate il sedici agosto si radunano pastori e malgari per una gara che assegna onori e sconfitte di quelli che sono gli ultimi cani conduttori di mandrie. I cani meticci con gli occhi diversi che hanno celeste il colore e disegnate sul fondo passaggi di nuvole tatuate di fiamme al tramonto. Esseri straordinari, eredi di una tradizione ancestrale che gli trova da sempre presenze essenziali al fianco dell’uomo dei pascoli. Nel silenzio e nella solitudine. Sotto il diluvio e la grandine, sul cammino-calvario di una millenaria epopea che oggi s’incontra soltanto al ricordo di una sbiadita e ormai dimenticata Civiltà Alpestre. Cani che non tradiscono, che fiutano e ascoltano al vento i campani sperduti, che hanno lampi di sguardi sempre dritti alla mandria e sul tempo che passa. Che amano l’uomo che gli ha scelti per primi e lo seguono ovunque e non l’abbandonano mai. Dai silenzi delle loro solitudini lunghe i pastori ricambiano, che sono uomini soli e le parole gliele devi cercare per sapere qualcosa. Ma per i cani cambiano faccia e diventano altro, perché sanno che senza di loro sarebbe la fine. Innamorati e sospesi sul filo di una burbera e delicata dolcezza che sta dietro la scorza di pelle che non lascia fessure, ma profuma di orgoglio e di minuscoli vuoti di felicità. E si stanno vicini gli uomini e i cani, e i pastori accarezzano sguardi che solo la complicità riconosce. Attenti e stupiti a ogni minimo scarto o sobbalzo di quei loro tesori di pelo arruffato che non han prezzo nemmeno a comprarli, e gli parlano sottovoce e hanno occhi soltanto per loro. Come certi uomini all’incanto di una sposa che si porta all’altare, che sembra caduta dal paradiso. E si resta storditi per tanto riguardo. Non c’è un filo di vento che solca questa calura di agosto e il vecchio con la barba allungata fino all’orlo del cuore racconta di troppe stagioni vissute nelle pasture. Alla soglia dei suoi ottant’anni, quest’uomo che di nome fa Stefano Ducoli, è un patriarca dell’alpe. Uno che ascolta e dall’umiltà della sua antica saggezza, ti lascia qualcosa. Da ventotto anni sta quassù con suo figlio. Il Giacomo, che al lavoro è una furia ma poi fuma l’ennesima Marlboro, che lo calma e sorride. Sono loro che con la forte passione hanno messo a disposizione la malga e la mandria di vacche. Poi c’è il Cantoni Giovanni. Un altro grande appassionato di cani. Quel «Nino» che si scervella e si sbatte tutti i giorni dell’anno per mettere in scena la gara. Lui e altri pochi appassionati hanno fondato un’associazione per fare le cose per bene. Dice che ormai è un vecchio che è stanco. Ma anche quest’anno è presente. E si sente. È lui che sceglie i membri della giuria che adesso ci passa in rassegna davanti. Sono invalicabili volti, cuciti al silenzio. Nella vertigine che piega l’attesa c’è un colore di febbre stampato sugli sguardi di quegli uomini scuri bruciati dal sole. A lla testa della commissione c’è un uomo di età, che di cani ne ha visti un oceano. Giovanni Botticchio detto «Pastorin». Alla televisione che è venuta quassù sopra i pascoli, spiega il percorso del cane e del comportamento che deve adottare. Cita, un torrente di sponsor, ma non dimentica gli Alpini che hanno aggiunto una mano importante. Poi c’è Bruno, col suo nero cappello, che è salito dalle pianure della Bergamasca. È stato pastore insieme a suo padre, e la passione dei cani ce l’ha dentro il sangue. Dicono sia un giudice serio. Insieme ci sono anche Stefano «Bardò», Bruno Salvetti e Matteo Scarlatti che da giovani sono stati pastori e malgari. Gente che se ne intende. Così nel pomeriggio marchiato dal sole battente di Ferragosto, inizia la sfida. Si chiamano i pastori con l’altoparlante. Vengono dalla Valle Camonica, dalla Brembana e Seriana. Qualcuno è salito coi cani da Bagolino, il paese del formaggio «Bagoss» che raccontano sia migliore del Parmigiano. Ognuno ha un numero e aspetta in disparte il suo turno. Appoggiati ai bastoni che qui, su queste montagne fabbricano sapientemente con legno di orniello e castagno. Viene fatta salire la mandria. Una cinquantina di vacche da latte che si sistemano in cima al pendio. A cento passi da dove avrà inizio la gara. La gente si accalca. Poi il fischio. Si parte, perché c’è solo un minuto di tempo a disposizione. Il primo segnale è un «passa avanti» che è come attizzare la miccia per un’esplosione. I cani che sanno il mestiere salgono sicuri e veloci. Puntano all’ultima vacca del gruppo, abbaiano, aggirano e toccano con piccoli morsi al garretto per far spostare la mandria. Poi sul richiamo del fischio ridiscendono in fretta accanto al bastone. Alcuni conducono in modo esemplare. Altri non perfettamente addestrati hanno quasi paura e alla vacca che si ostina a tornare e si gira con le corna abbassate preferiscono la rinuncia e il ritorno. Altri si fermano sull’odore di femmine che hanno urinato e non c’è modo di farli partire. Viene anche da ridere. Si va avanti per molto perché i cani sono oltre sessanta. Poi tutti si arrendono alla stanchezza e a una sera che ci cade con l’ombra sul collo senza farsi sentire. La giuria si ritira perché c’è il conteggio da fare. Si riuniscono tutti. Alla voce dell’uomo che parla con il microfono ormai da tre ore, e che decide il migliore, c’è un tripudio di applausi verso lo stormo dei cani, e ai pastori che stanno con l’ansia in attesa. Dall’ultimo al primo c’è qualcosa per tutti. I premi sono di lusso. Campanacci di bronzo decorati al collare e poi ombrelli, bastoni e camicie che fanno gola ai pastori. L a vittoria è per Lampo, un meticcio di nove anni suonati, che di pascoli ne ha percorsi una vita. Il suo conduttore è un ragazzo che sta nelle malghe. Si chiama Maurizio Scalvini. Sono venuti da Gianluigi Rocca (nella foto piccola), autore di questo articolo sul campionato dei cani da pastore, è pittore, poeta, pastore e docente all’Accademia di belle Arti di Brera Bagolino con poche pretese e adesso si ritrovano qui sul trono più alto. Più indietro ma solo per poco c’è Stelvio di Luigi Peracchi. Uno che di cani ne ha tanti e alle gare arriva sempre tra i primi. Sul terzo gradino c’è Franz. Quattro anni di pelo e di serietà. È il cane del figlio del «Nino». E poi Tobi, Ringo, Moro, Selva, Luna, Rapi e tutti gli altri incollati alle gambe dei loro padroni. Si va verso la fine. Come le ombre, anche la gente che era salita a vedere si allunga verso la propria automobile. Si chiudono i teli dei camion che sono venuti a vendere gli arnesi e la mercanzia che si usa nei giorni di alpeggio. È questa una festa di uomini soli che hanno come compagni, i cani fedeli delle solitudini verdi. Sulle panche della malga indaffarata al lavoro di mungitura, qualcuno si siede a mangiare. Si spengono le voci ormai stanche di qualche punto rubato alla morra, davanti all’ultima birra. E poi via si riparte. Hanno ore di strada i pastori per tornare alle malghe da dove sono partiti. Sui fuoristrada scolpiti di ruggine e polvere si sistemano i cani, e una lunga colonna riparte alla volta del passo, verso altri monti. Il sole è scomparso da tempo al rovescio di creste. Forse qui, tra le ombre, nella nostalgia di un ritaglio di vita che sopravvive a fatica rimane qualcosa di vero. Un sussulto di orgoglio. Negli avamposti disperati di sperdute pasture che toccano il cielo, i pastori esistono e resistono ancora. Aggrappati a un destino di precaria certezza, e con loro quei cani che sono diventati leggenda e storia di un mondo che con le sue straordinarie passioni, i sacrifici, e le molte rinunce non si può cancellare. I cani e i pastori non dimenticano mai la strada da dove sono venuti, e credono sempre a un ritorno. 47