UNIVERSITA`: Facoltà di Sociologia, che fare? Il Consiglio di Facoltà

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UNIVERSITA`: Facoltà di Sociologia, che fare? Il Consiglio di Facoltà
UNIVERSITA’: Facoltà di Sociologia, che fare?
Il Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche del 15 Aprile 2005 è stato molto dibattuto e
animato grazie alla proposta portata avanti da alcuni docenti di formazione sociologica
favorevoli alla creazione di una nuova Facoltà di Sociologia nell’ambito dell’Università del
Piemonte Orientale e, specificamente, nella sede di Alessandria.
La proposta avanzata da questi docenti ha sicuramente degli spunti e delle motivazioni
interessanti che vogliamo rapidamente elencare:
Innanzitutto un’eventuale Facoltà di Sociologia sarebbe la prima in assoluto nell’ambito
Piemontese-Ligure visto che le uniche due facoltà del nord Italia sono attualmente a Bologna e
Milano, si verrebbe quindi a creare un’offerta didattica per molti studenti che attualmente sono
costretti a lunghe migrazioni verso le più famose e storiche città universitarie. Una facoltà
nuova in Alessandria porterebbe sicuramente notevoli benefici alla comunità cittadina, avere un
più alto numeri di studenti, molti dei quali fuori sede, porterebbe alla città un incremento degli
introiti e ridarebbe un po’ di smalto a questa città che ormai è sempre più afflitta da
un’economia stagnante; certo bisognerebbe essere in grado di attrezzarsi affinché Alessandria
diventi realmente una città universitaria e non solo una città con l’Università come attualmente
è; ci spieghiamo meglio: la maggior parte degli studenti che affollano la nostra Università sono
studenti della zona che vivono in città e nella provincia, per questo motivo la città non si è mai
realmente accorta di avere all’interno una sua Università, la gente che la frequenta avrebbe
comunque continuato a vivere e spendere all’interno del nostro comune anche se questa non ci
fosse stata. Una città realmente universitaria deve avere le strutture e le attrazioni per
convincere studenti che magari abitano a centinaia di chilometri dalla sede a venire in
Alessandria e ad abitarci; questo aprirebbe nuovi mercati da quello degli affitti a quello dello
svago e del divertimento. Le città universitarie degne di questo nome hanno sempre ricevuto
notevoli “valori aggiunti” dagli studenti e dall’Università sia in termini economici che in
termini di prestigio, per questo noi riteniamo che questa proposta vada attentamente valutata.
Siccome, però, non c’è rosa senza spine bisogna dire, ad onor del vero, che le perplessità
avanzate contro questa proposta sono state più di una e tutte dotate di fondamento. Innanzitutto
è stato evidenziato come già all’interno della attuale Facoltà di Scienze Politiche siano già
presenti più corsi di taglio sociologico e che in molti casi i corsi proposti dai docenti per la
nuova facoltà di Sociologia andavano, almeno in parte, a sovrapporsi con quelli attuali di
Scienze Politiche. Vi è poi un problema riguardante i cosiddetti “requisiti minimi” che già
segheranno più di un corso nelle sedi distaccate per il prossimo anno e che potrebbero avere un
effetto devastante nei confronti di Scienze Politiche se i docenti di formazione sociologica
effettuassero una migrazione verso la nuova facoltà. In ultima istanza è venuta meno anche la
disponibilità del Rettore Garbarino che ha ritenuto questa opzione difficilmente percorribile
causa la mancanza di fondi sufficienti a realizzare il progetto.
Azione Universitaria ha mantenuto in quell’assise una posizione prudente perché, se da una
parte la proposta può avere risvolti affascinanti e positivi dall’altra bisogna fare conto con le
severe necessità della contingenza; in sostanza non vorremo venirci a trovare con una nuova
facoltà che per esistere lasci in una situazione precaria e disastrata quella “storica” di Scienze
Politiche.
A fine riunione si è lasciato spazio alle problematiche esposte dagli studenti: Azione
Universitaria ha espressamente chiesto e ottenuto una bacheca a disposizione dei rappresentanti
per creare uno spazio di comunicazione tra noi e voi che ci avete democraticamente eletto,
cercheremo di utilizzare questo spazio al meglio per far si che non si ripetano più gli
inconvenienti del passato dove nessuno era a conoscenza di quello che veniva deciso nel CdF e
delle posizioni assunte dalla rappresentanza studentesca.
Gli studenti di sinistra, invece, hanno preferito battere su temi più ideologici facendo due
precise richieste: la prima era quella di organizzare la raccolta differenziata dei rifiuti
all’interno dell’Ateneo mentre la seconda è stata quella di inserire nuove macchinette
distributrici di bibite e vivande provenienti dal circuito del “Mercato equo solidale”. Pur
mantenendo qualche perplessità sulla reale praticabilità della prima ipotesi non ci siamo in
alcun modo opposti, per quel che riguarda la seconda abbiamo ritenuto giusto non interferire a
patto che accanto alle macchinette del “mercato equo solidale” rimangano comunque quelle
classiche con i soliti prodotti che si sono sempre consumati (Coca Cola, Duplo, ecc.ecc. per
intenderci).
Alla sinistra è anche andata la nomina del rappresentante degli Studenti in seno al consiglio di
biblioteca, nomina di loro diritto in quanto loro maggioranza tra gli studenti in CdF (4 a 1 in
teoria anche se in pratica c’era uno studente per fazione politica).
ALTRA STORIA: L’11 Settembre cileno mai raccontato.
L'11 settembre 1973 il generale Augusto Pinochet Ugarte mosse contro il presidente che lo
aveva nominato a capo delle Forze Armate, il socialista Salvador AIlende. A proposito del
golpe cileno, la vulgata popolare vuole che AIlende e la coalizione di Unidad Popular stessero
realizzando, con il consenso della maggioranza dei cileni, un esperimento innovativo di
transizione ad un modello di socialismo democratico. E che gli Stati Uniti, per mano della
famigerata Cia, ordirono un golpe militare per riaffermare il loro ruolo imperialista e il loro
predominio economico in Sud America.
Peccato che le cose non siano andate così. E che i mille giorni di Salvador AIlende non
siano stati ne un esperimento innovativo, ne un modello di democrazia politica. Il socialista
AIlende diventa presidente del Cile, dopo due tentativi falliti in precedenza, nel 1970, con
appena il 36,2% dei voti, un consenso di poco superiore a quello dei due candidati di centro e
di destra. Il primo anno della sua presidenza fu di apparenti successi in economia. Assieme alla
nazionalizzazione delle miniere di rame, principale risorsa naturale del Paese, delle principali
industrie straniere, delle banche e delle grandi proprietà immobiliari, il governo Allende
assunse alcune misure di stampo keynesiano aumentando in modo generalizzato stipendi e
salari. Nel giro di pochi mesi il pil cresce dell'8,6%, la disoccupazione si dimezza e l'inflazione
scende dal 34 al 22%. Contemporaneamente la spesa pubblica cresce del 70%. Di questa
fiammata espansionistica godono il beneficio quasi tutti i cileni, ceto medio e ceto operaio. Ma
di fiammata si tratta. La nazionalizzazione dell'economia, che aveva toccato anche il settore
primario con una riforma agraria che ha sottratto la terra ai proprietari per passarla allo Stato, fa
crollare in pochi mesi gli investimenti stranieri (-71,3 %), la produzione agricola, il risparmio.
Nell'ultimo trimestre del 1970 lasciano il Cile quasi trentamila persone e con esse 87
milioni di dollari. Lo choc statalista inferto al mercato isola il Cile dagli scambi internazionali.
Le riserve valutarie, pompate a piene mani per mantenere artificiosamente alti i livelli di salari
e stipendi, crollano da 342 a 32 milioni di dollari, e già nel 1972 la domanda interna crolla,
il deficit pubblico cresce a valanga, gli scambi con l'estero si bloccano, gli investimenti
stranieri si azzerano, l'inflazione riprende a galoppare, facendo crollare il potere d'acquisto
della grande maggioranza dei cileni. Contemporaneamente, sul piano politico, il congresso
cileno vede il formarsi di un'alleanza tra il centro e la destra, fino ad allora divisi. Tutte le
iniziative del governo socialcomunista vengono bloccate. Di fronte alla paralisi istituzionale
Allende, invece di dimettersi e convocare nuove elezioni (che lo avrebbero portato alla
sconfitta, visto il crollo del consenso anche tra i lavoratori), cerca di aggirare l'ostacolo
stabilendo che alcuni provvedimenti, come gli espropri e le nazionalizzazioni, potessero
essere assunti per via amministrativa, esautorando così il Parlamento.
Questa decisione venne duramente censurata dalla Corte Suprema, che accusò il governo di
avere travalicato i limiti costituzionali. Ed in effetti quello che cerca di realizzare Allende,
rompendo la lunga tradizione democratica del Cile, è un "golpe governativo" che raggiunge il
suo apice con il rifiuto del governo di promulgare una riforma costituzionale, regolarmente
approvata dal congresso, con cui si pongono limiti precisi e rigorosi alla completa
nazionalizzazione e sovietizzazione dell'economia. Contemporaneamente alla paralisi
economica e istituzionale, nel 1973 il Cile affronta una fase di duro scontro sociale. Lavoratori,
ceti medi, commercianti dichiarano una serie infinita di scioperi e serrate, spinti dal crollo del
potere d'acquisto della moneta. L'inflazione è infatti al 500 per cento.
Di fronte al caos economico, istituzionale e civile, il Parlamento il 23 agosto 1973, diciotto
giorni prima del golpe, approva a larghissima maggioranza un durissimo documento in cui si
accusa Allende di ripetute e gravissime violazione della Costituzione: dall'usurpazione dei
poteri del Parlamento, alla violazione delle decisioni della Corte costituzionale; dall'abolizione
del diritto di proprietà privata, all'attentato alla libertà d'espressione con l'arresto arbitrario di
giornalisti dell'opposizione; dall'utilizzo della giustizia a fini politici contro gli oppositori, fino
al ricorso alla tortura, alla violazione dei diritti sindacali attraverso la repressione contro alcune
organizzazioni dei lavoratori. La mozione del 23 agosto meriterebbe di essere pubblicata
integralmente solo per l'elenco degli arbitrii, degli abusi e dei soprusi antidemocratici messi in
atto dall'ormai disperato presidente Salvador Allende. Ed è nella mozione del 23 agosto che il
Parlamento si appella ufficialmente alle Forze Armate perché intervengano a porre fine al
proseguimento del putsch governativo. Grazie alla norma costituzionale che richiede il voto dei
due terzi del Parlamento per destituire il presidente, nonostante l’ampia maggioranza
parlamentare a sostegno delle gravissime accuse nei confronti di Allende, il presidente resta in
carica e medita di uscire dalla grave crisi con l’indizione di un plebiscito popolare sulla sua
persona. Ma l’11 settembre, le Forze Armate guidate da Augusto Pinochet, generale nominato
dallo stesso Allende, prendono il potere. Quello che ne seguì fu un periodo sanguinoso, brutale
e violento. Ma le premesse per la parentesi antidemocratica di uno dei Paesi dell'America
Latina di più lunga tradizione costituzionale, furono poste dal tentativo avventurista di
realizzare il comunismo in Cile e dalla cecità di un'opposizione democratica che si svegliò
quando ormai era fuori gioco. Naturalmente gli Stati Uniti e la Cia fecero la loro parte, ma non
riteniamo sia corretto trascurare volutamente tutte le vicende che portarono al golpe. Questa è
la storia dell’altro 11 settembre". Una storia che regolarmente, ogni anno, nessuna televisione,
nessuna radio e nessun giornale raccontano.
IN LIBRERIA: Fascisti immaginari, ed.
Vallecchi, pp. 602, prezzo: € 25
Fascisti Immaginari è uno dei libri che
meglio racconta gli ambienti dell'universo neo e
post-fascista nell'Italia repubblicana, lo fa
elencando (in rigoroso ordine alfabetico) tutta
quella serie di miti, di icone, che hanno in
qualche modo influenzato la Comunità Politica
della Destra italiana.
Più di cento voci che spaziano da Adelphi a
Valle Giulia, dal Fight Club ai Paninari, da Corto
Maltese alle Sturmtruppen.
Un dizionario avvincente e ben riuscito che vuole fare un po' di chiarezza nel mondo del
neofascismo, nel mondo di un'identità politica negata per tutto il dopoguerra, e lo fa con l'arma
della dissacrazione e dell'ironia senza mai prendersi troppo su serio.
Il libro è stato curato da Luciano Lanna e Filippo Rossi, uno giornalista professionista l'altro
parlamentare, a loro vanno i nostri complimenti per il buon lavoro svolto.
IN VIDEOTECA: Paolo Borsellino, Regia di Gianluca Maria Lavarelli con Giorgio
Tirabassi e Ennio Fantastichini, Produzione Taodue film, in DVD noleggio e vendita.
E’ uscito in videoteca il film dedicato a Paolo Borsellino personaggio a noi molto vicino in
quanto esponente, a suo tempo, del FUAN Fanalino
di Palermo.
“Paolo Borsellino” racconta 15 anni di lotta alla
mafia ed allo stesso tempo della storia d’Italia,
mettendo in luce la “normalità” del giudice nella sua
vita in famiglia. E’ un uomo che fin da ragazzo nutre
una grande passione per la giustizia ed entra in
magistratura con l’idea di diventare un civilista. Poi,
nel 1980, la svolta: un suo collaboratore ed amico,
viene freddato per la strada dopo aver consegnato un
dossier su delle attività criminali mafiose. Il
consigliere Rocco Chinnici incarica Borsellino di
portare avanti le indagini del dossier. Il giudice
decide di istituire una squadra, che diventerà il
famoso pool antimafia, insieme all’amico e collega
Giovanni Falcone.
Il film ripercorre la storia del magistrato che, con
determinazione e coraggio, è riuscito a mettere in
ginocchio il cuore della mafia.
NON CONFORME, MUSICA COME NOI. Compagnia dell’Anello e Amici del
Vento.
Il 2004 ci ha regalato due uscite-evento per la musica alternativa: un doppio dvd sul grande
Concerto del ventennale, con lo spettacolo offerto da due gruppi storici, Amici del Vento e
Compagnia dell’Anello, edito da Lorien, e la riedizione del secondo album della Compagnia, In
rotta per Bisanzio. L’associazione Lorien, con la pubblicazione di questo doppio dvd, segue a
ruota la prima musicale in dvd sulla musica “identitaria, quella del Concerto del Vittoriale, con
Marconi, Skoll e Costantinescu, curata dall’associazione bresciana Laboratorio Area 27. Con il
Concerto del ventennale sono garantite tre ore di grande musica e spettacolo, 42 canzoni di cui
7 tuttora inedite, a soli 25 euro. Si può acquistare ciccando su www.lorien.it/prodotti.asp
(sconto del 20% per acquisti superiori ai 5 pezzi). Sullo stesso sito della Lorien, gli interessati
possono chiedere l’iscrizione, che dà diritto all’utilizzo completo in web del più grande
archivio storico della musica alternativa (testi, foto, mp3 e altro ancora). Credeteci: ne vale la
pena.
La Compagnia dell’Anello, invece, dopo la riedizione in cd del primo 33 giri Terra di
Thule, ripropone ai cultori della musica alternativa In rotta per Bisanzio, secondo album della
band uscito nel 1990. All’epoca, sottolinea Mario Bortoluzzi, voce storica del gruppo e
coautore dei testi, «con l’apporto fattivo di tanti amici musicisti cercammo, ancora una volta, di
migliorare la qualità di ogni singolo brano; oltre alla canzone che dà il titolo all’album, vennero
composti brani come La nave, Giornate di settembre, Anni di porfido e Gahel, e introdotti
strumenti come la cornamusa scozzese e la conchiglia rituale tibetana, quest’ultima usata nel
brano strumentale Lhasa».
La seconda tappa di un viaggio non solo musicale ma anche spirituale, o almeno vissuto
come tale nell’immaginario di chi vede nel canto un fortissimo momento di aggregazione e un
potente veicolo di idee. In questo cd non mancano le icone tipiche delle canzoni della
Compagnia: la nave come metafora della vita, interpretata attraverso le rime di Dino Campana,
bionde dame e cavalieri erranti e la militanza vissuta con lo stato d’animo spensierato dei
ribelli di ogni età. Ricordi che si ritrovano in Anni di porfido (titolo utilizzato anche in un
romanzo sugli anni di piombo di Ferdinando Monconi) e Giornate di settembre. Anni “dentro
al ghetto”, anni di “barricate erette con purezza”. Anni che è giusto ricordare e celebrare nelle
canzoni per restituire il gusto dei sogni della nostra “meglio gioventù”.
Infine, sono stati realizzati 500 cofanetti numerati dal titolo Trilogia, contenenti i tre cd
della Compagnia (Terra di Thule, In rotta per Bisanzio, Di là dall’acqua) e destinati ai soci
dell’associazione Compagnia dell’Anello. I cofanetti sono disponibili con un contributo di 41
euro (spese postali incluse) da versare all’associazione.
Info: www.compagniadellanello.net
MITI E SIMBOLI: Europa Nazione
"Europa / nazione / rivoluzione", avevano scandito per tutti gli anni '60 i ragazzi della
Giovane Italia. "Europa / fascismo / rivoluzione", urlavano intorno al '68 i più "radicali".
Quell'espressione - Europa nazione - era stata coniata nel 1951 da Filippo Anfuso, un uomo
politico catanese dalla biografia tipicamente novecentesca: giornalista e inviato speciale,
legionario fiumano, sottosegretario di Mussolini, ambasciatore a Berlino della Repubblica di
Salò e, nel dopoguerra, deputato del Msi. All'Europa Anfuso aveva dedicato, appunto, "Europa
nazione", la sua rivista: "Questo titolo - si legge nell'editoriale di presentazione – non nasconde
intenzioni dialettiche: Europa nazione vuol dire Europa libera e unita". Anfuso faceva un
esplicito riferimento all'esperienza dei combattenti della seconda guerra mondiale: "Vinti e
vincitori non hanno fatto che accelerare il processo fatale dell'unità europea. La differenza tra
le due parti è che i vinti attendono ancora ansiosamente una parola di riconoscimento che il
loro sacrificio non è stato vano. Quanti giovani europei non sono morti appresso a un sogno di
grandezza? E che cos'era questo sogno se non la grande Europa?". Se la rivista ebbe vita breve
- due soli numeri - il nome della testata diventò un'espressione potente e definitiva, destinata a
una vita lunga e ad entrare nell'immaginario della destra italiana con una fortuna durata oltre
cinquant'anni. "Lo slogan "Europa / nazione / rivoluzione" - ha ammesso Adriano Cerquetti,
uno dei più attivi esponenti della Giovane Italia negli anni '50 e '60 - era un riferimento
costante. Il concetto di Europa nazione fu vissuto da intere generazioni studentesche con
passione e convinzione". Ancora nel 2002, in occasione del dibattito a Montecitorio sulle linee
di politica estera ed europea del governo Berlusconi, Ignazio La Russa, da capogruppo di An,
faceva esplicito riferimento al "deputato che lasciò la vita seduto proprio in questi banchi,
Filippo Anfuso, che per primo parlò di Europa nazione". E tre mesi dopo, nel corso del
congresso nazionale di An a Bologna, Gianni Alemanno, ricordando la sua militanza giovanile
nel Fronte della gioventù, affermava: "Sono cresciuto cantando "Europa nazione" e non lo
dimentico". D'altra parte, proprio in un congresso del Msi, quello svoltosi a L'Aquila nel 1952,
Filippo Anfuso aveva precisato la sua idea di Europa: "Fate sì - intimava ai missini che in quei
giorni si dividevano sull'adesione alla Nato - che si chiuda questa stupida rissa e non si parli più
di atlantismo in seno a un partito politico che è vittima dell'atlantismo e dell'antiatlantismo".
Una visione dell'Europa come idea forza: l'idea di un'Europa unita e libera, l'idea di un'Europa
innalzata a mito.
E al mito dell'Europa "unita spiritualmente e materialmente" si richiameranno tante altre
esperienze politiche e culturali.Dalla rivista "Europa Combattente" all'organizzazione giovanile
Europa civiltà di Loris Facchinetti (nota per il simbolo della croce ricrociata, cara ai clan
scozzesi e ai cristiani copti), sino a "Nazione Europea", rivista italiana della Giovane Europa, il
movimento transnazionale, terzoforzista e antimperialista, fondato nei primi anni '60 dal belga
Jean Thiriart (autore del libro Europa: un impero di quattrocento milioni di uomini). Una certa
idea di europeismo si affermerà trai giovani proprio attraverso i tanti slogan della Jeune
Europe: "Da Narvik ad Atene / da Brest a Bucarest"; oppure "Nulla ci appartiene nell'Europa di
oggi / Tutto ci apparterrà in quella di domani".
L'evocazione dell'Europa nazione sarà il cuore del testamento spirituale di Adriano Romualdi.
Poco prima di morire in un tragico incidente automobilistico nel 1973, il giovane intellettuale
diede alle stampe La destra e la crisi del nazionalismo dove scriveva: "II nazionalismo può
ritrovare la sua legittimità storica se saprà adeguarsi alle proporzioni del mondo moderno. Potrà
avere ancora un avvenire nella misura in cui saprà diventare nazionalismo europeo". E di fronte
alla evidente crisi di una destra veteronazionalista, lanciava una sorta di monito: "L'unica
concreta prospettiva storica del nostro tempo è l'Europa nazione". E concludeva con i versi del
coro della tragedia Le Chef di Pierre Drieu La Rochelle: "Noi siamo uomini d'oggi / Siamo soli
/ Non abbiamo più dèi / Non abbiamo più idee / Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx /
Bisogna che immediatamente / subito / in questo stesso attimo / costruiamo la torre / della
nostra disperazione e del nostro orgoglio / Con il sudore e il sangue di tutte le classi / dobbiamo
costruire una patria / come non si è mai vista / compatta come un blocco d'acciaio / Come una
calamità / tutta la limatura d'Europa vi si aggregherà".
CULTURA. Adriano Romualdi: Perché non esiste una cultura di Destra.
Scopriamo, attraverso uno dei suoi scritti più noti e significativi, la figura di Adriano
Romualdi (a cui abbiamo intitolato il nostro circolo) allievo prediletto di Julius Evola che
tanto avrebbe potuto dare alla cultura di Destra se non fosse scomparso prematuramente nel
1973 a soli 33 anni. Pur essendo datato l’articolo di Romualdi presenta ancora notevoli spunti
di discussione per un ambiente politico che ancora troppo spesso si arrabatta nel
qualunquismo piccolo borghese e nell’anticomunismo ormai anacronistico.
Uno dei motivi che più ricorrono sulla nostra stampa e nelle conversazioni del nostro
ambiente è la condanna del massiccio allineamento a sinistra della cultura italiana. Questa
condanna viene formulata in tono un po' addolorato, un po' sorpreso, quasi fosse innaturale che
la cultura si trovi ormai schierata da quella parte mentre a destra si incontra un vuoto quasi
completo. Di solito si cerca di rendersi ragione di questo stato di cose con spiegazioni a buon
mercato, quel tipo di spiegazioni che servono a tranquillizzare sé stessi e permettono di restare
alla superficie delle cose. Si dice - ad esempio - che la cultura è a sinistra perché là si trova la
maggior quantità di danaro, di case editrici, di mezzi di propaganda. Si dice anche che
basterebbe che il vento cambiasse perché molti "impegnati a sinistra" rivedessero il loro
engagément.
In tutto questo c'è del vero. Una cultura, o meglio, la base di lancio di cui una cultura ha
bisogno, è anche organizzazione, danaro, propaganda. È indubbio che lo schiacciante
predominio delle edizioni d'indirizzo marxista, del cinema socialcomunista, invita
all'engagément anche molti che - in clima diverso - sarebbero rimasti neutrali. Ma ciò non deve
farci dimenticare la vera causa del predominio dell'egemonia ideologica della Sinistra. Esso
risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria
della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e
della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo,
neoilluminismo e scientismo a sfondo psicoanalizzante, marxismo militante e cristianesimo
positivo d'estrazione "sociale". Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione unitaria
dell'uomo, dei fini della storia e della società. Da questa comune concezione trae origine una
massiccia produzione saggistica, storica, letteraria che può essere meschina e scadente, ma ha
una sua logica, una sua intima coerenza. Questa logica, questa coerenza esercitano un fascino
sempre crescente sulle persone colte. Non è un mistero per nessuno il fatto che un gran numero
di docenti medii ed universitari è comunistizzato, e che la comunistizzazione del corpo
insegnante dilaga con impressionante rapidità. E, tra i giovani che hanno l'abitudine di leggere,
gli orientamenti di sinistra guadagnano terreno a vista d'occhio.
Dalla parte della Destra nulla di questo. Ci si aggira in un'atmosfera deprimente fatta di
conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che la
cultura tenga maggior conto dei "valori patriottici", della "morale" il tutto in una pittoresca
confusione delle idee e dei linguaggi. A sinistra si sa bene quel che si vuole. Sia che si parli
della nazionalizzazione dell'energia elettrica o dell'urbanistica, della storia d'Italia o della
psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato, alla diffusione di una certa mentalità, di
una certa concezione della vita. A destra si brancola nell'incertezza, nell'imprecisione
ideologica. Si è "patriottico-risorgimentali" e si ignorano i foschi aspetti democratici e
massonici che coesistettero nel Risorgimento con l'idea unitaria. Oppure si è per un
"liberalismo nazionale" e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario
hanno contribuito potentemente a distruggere l'ordine europeo. O, ancora, si parla di "Stato
nazionale del lavoro" e si dimentica che una repubblica italiana fondata sul lavoro l'abbiamo
già - purtroppo - e che ridurre in questi termini la nostra alternativa significa soltanto abbassarsi
al rango di socialdemocratici di complemento. Forse gli uomini colti non sono meno numerosi
a destra che a sinistra. Se si considera che la maggior parte dell'elettorato di destra è borghese,
se ne deve dedurre che vi abbondano quelli che han fatto gli studi superiori e dovrebbero aver
contratto una certa "abitudine a leggere". Ma, mentre l'uomo di sinistra ha anche degli elementi
di cultura di sinistra, e orecchia Marx, Freud, Salvemini, l'uomo di destra difficilmente
possiede una coscienza culturale di destra. Egli non sospetta l'importanza di un Nietzsche nella
critica della civiltà, non ha mai letto un romanzo di Jünger o di Drieu La Rochelle, ignora il
Tramonto dell'occidente né dubita che la rivoluzione francese sia stata una grande pagina nella
storia del progresso umano. Fin che si rimane nella cultura egli è un bravo liberale, magari un
po' nazionalista e patriota. È solo quando incomincia a parlare di politica che si differenzia:
trova che Mussolini era un brav'uomo e non voleva la guerra, e che i films di Pasolini sono
"sporchi". Basta poco ad accorgersi che se a destra non c'è una cultura ciò accade perché manca
una vera idea della Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica,
antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe
oleografie politiche.
“Essere di Destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei
movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia o il
socialismo. Essere di Destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti
razionalistici, progressistici, materialistici che preparano l’avvento della civiltà plebea, il
regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose. Essere di Destra significa
in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica dove i valori politici predominano
sulle strutture economiche e dove il detto “a ciascuno il suo” non significa uguaglianza, ma
equa disuguaglianza qualitativa. Infine, essere di Destra significa accettare come propria
quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà
europea, e – in nome di questa spiritualità e dei suoi valori – accettare la lotta contro la
decadenza dell’Europa”
Adriano Romualdi