The Architectural Review 1980/1989

Transcript

The Architectural Review 1980/1989
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1980
R. Matthew, Johnson-Marshall,
University of Bath, Bath, UK
B. Myers & R. L. Wilkin, Citadel theatre, Edmonton, Canada,
1978
tratto dal numero di gennaio
tratto dal numero di maggio
O. Arup & Partners, Arts Faculty Extension, Universuty of
Bristol, UK
R. Schulr & U. Schuler-Witte,
International Congress Centre,
Berlino, Germania, 1970/79
tratto dal numero di gennaio
tratto dal numero digiugno
H. Hertzberger, Music Centre,
Utrecht, Olanda
A. Erickson Architects, Law
Courts and Provincial GoverQDPHQW2I¿FHV, Vancouver,
Canada, 1973
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di giugno
J. G. de Paredes, Manuel De
Falla Centre, Granada, Spagna
E. Asmussen, Study Centre,
Jarna, Svezia, 1968
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di luglio
N. Westwood, New Buildings
for London University, Bloomsbury, UK
H. Larsen’s Tegnestue, University of Trondheim, Norvegia,
1971
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di settembre
D. Lausdun & Partners, Planetarium, Stuttgart, Germania,
1977
M. Giurgola Thorp, Parlament
of Australia, Canberra, Australia, 1988
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di dicembre
W. Beck-Erlang, Cultural Centre, Juba, Sudan,
P. Portoghesi, Moschea e Islamic Cultrure Centre, Roma,
Italia, 1975
tratto dal numero di aprile
tratto dal numero di dicembre
L. Kahn, Parlamento, Dacca,
Bangladesh, 1962/83
Taniguchi & Takamiya Associates, Art Museum, Kakegawa,
Giappone, 1978
tratto dal numero di maggio
tratto dal numero di dicembre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1981
W. Kessler, Science Centre,
Detroit, Michigan, USA
R. Erskine, Student Centre,
University of Stoclholm, Sweden
tratto dal numero di maggio
tratto dal numero di ottobre
A. von Branca, Art gallery,
Munich, Germania, 1966
tratto dal numero di giugno
J. P. Kleihues, Museum Complex, Solingen, near Dusseldorf,
Germania
tratto dal numero di luglio
Maki & Associates, Museum,
Kyushu, Giappone,
tratto dal numero di luglio
R. Meier & Partners, Museum,
Frankfurt, Germania
tratto dal numero di luglio
G. Kidd & Coia, Robinson college, Cambridge, UK,
tratto dal numero di agosto
Kallamann, Mc Kinnell &
Wood, American accademy of
Arts and Sciences, Cambridge,
tratto dal numero di ottobre
Chamberlin Powell & Bon,
Barbican arts centre, London,
UK, 1981
tratto dal numero di ottobre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1982
J. Stirling, School of Architecture, Rice university, Houston,
Taxas, USA
Faulkner/Brown, Civic Centre,
Chester-le-street, Co Durham
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di agosto
W. Kessler, Recreation Centre,
Michigan, USA, 1976
H. K. Partridge & Amis, Community Centre, Deptford, London, UK
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di settembre
K. Schattner, University Library Eichstatt, Germania
Farrell Partnership, Gallery St.
James’ , London, UK
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di settembre
Behisch & Partner, Study Centre, Stuttgart-Birkach, Germania
M. Graves, Public Services Building, Portlenad, Oregon, USA
tratto dal numero di aprile
tratto dal numero di novembre
K. Humpert, Leisure Centre,
Badenweiler, Germania
H. Hollein, Museum Monchengladbach, Germania
tratto dal numero di aprile
tratto dal numero di dicembre
R. Meier & Partners, Seminary,
Hartford, Connecticut, USA
tratto dal numero di maggio
Helin & Siitonen, Conference
and Training Centre, Teisko,
Finlandia
tratto dal numero di maggio
Frii & Moltke, Conference
Centre, Princeston, New Jesey,
USA
tratto dal numero di agosto
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1983
H. Kjaerholm, Museum, Holstebro, Danimarca
E. Cullinan, M. Beedle, A.
Scìhort, Rebuioding of the C
urch of St. Mary, Barnes, London, UK
tratto dal numero di gennaio
tratto dal numero di settembre
J. Nuovel, Institute of Arab
World, Paris, France
tratto dal numero di febbraio
J. Stilring, Neue Stadtgallerie,
Stockholm, Sweden
tratto dal numero di marzo
Bawa, Parlament Building, Sri
Lanka
tratto dal numero di maggio
M. Botta, Culture Centre,
Chambery, Francia
tratto dal numero di maggio
F. Gehry, Amphitheatre Louisiana World Expo, New Orleans,
USA
tratto dal numero di giugno
Foster Associated, Renault Centre, Swindon, Wilts, USA
tratto dal numero di luglio
E. Cullinan, A. Peake, M. Beedle, A. Short, Training and Conference Centre, High Wycombe,
Bucks, UK
tratto dal numero di settembre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1984
R. Meier, High Museum, Atlanta, Georgia, USA
H. Obata & Kassabaum, Ridgway Centre, St Louis, Missouri,
USA
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di luglio
B. Gasson Architects, Burrell
Museum, Glasgow, UK
Deaf Persons’Cultural Centre
and Housing, Friedrichstrasse,
Berlin, Germania
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di
W. Kucker & W. Golling, Museum Aachen, Germania
J. Stirling, M. Wilford & Associates, Neue Staatsgarlerie,
Stuttgart, Germania
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di dicembre
P. Wilson, Museum of Modern
Art, Frankfurt, Germania
tratto dal numero di febbraio
G. Murcutt, Museum and TouriVW2I¿FH, Kempsey, New south
Wales, Australia
tratto dal numero di febbraio
J. Stirling, M. Wilford & Associates, Performing Arts Centre,
Cornell university Ithica, New
York State, USA
tratto dal numero di aprile
R. Howard Wood Levin Partnership, Derngate Centre,
Northamton, UK
tratto dal numero di aprile
McCormac Jamieson & Prichard, Faculty of Arts, Bristol
University, UK
tratto dal numero di maggio
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1985
A. van Eyck, New Amsterdam
School, Amsterdam, Olanda
R. Moneo, Museum Merida,
Spagna
tratto dal numero di gennaio
tratto dal numero di novembre
M. Bhigas & Mackay, Library
Conversions, Catalogna, Spagna
R. Meier, Crafts Museum, Frankfurt, Germania
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di novembre
Property Services Agency
Project Architects, National
Gallery of Modern Art, Edinburgh, UK
Colquhoun & Miller, Art Gallery Extension, Whitechapel,
London, UK
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di novembre
Esherick, Homsey, Dodge &
Davis, Aquarium and Museum,
Montery, California, USA
L. Nield, High School near
Canberra, Australia
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di dicembre
N. Foster, Mediatheque, Nimes,
Francia
tratto dal numero di maggio
H. Scharoun, Musical Research
Institute and Museum, Berlin,
Germania
tratto dal numero di giugno
E. Cullian Architects, Training
and Conference Centre, High
Wycombe, Bucks, UK
tratto dal numero di luglio
Martin, Richards, Calouste
Gulbenkian Cultural Centre,
Lisbona, Portogallo
tratto dal numero di settembre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1986
C. de Portzamparc, Musical
City, la Villette, Parigi, Francia
tratto dal numero di marzo
G. Bawa, University of Ruhunu,
Matara, Sri Lanka
tratto dal numero di novembre
A. Fainsilber, La Villette, Parigi, Francia
tratto dal numero di dicembre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1987
Architetti vari, AR Heuga Docklands Museum Competition,
Docklands, London, UK
J. Nouvel, Arab Cultural Centre, Paris, Francia
tratto dal numero di febbraio
tratto dal numero di ottobre
R. Piano, Art Museum Houston,
Texas, USA
Bach & Mora, Cultural Centre,
Madrid, Spagna
tratto dal numero di marzo
tratto dal numero di ottobre
R. Piano, Civic and Cultural
Centre, Rehabilitation of Basilica, Vicenza, Italia
tratto dal numero di marzo
J. Stirling, M. Wilford &
Associates, Science Centre,
Berlino,Germania
tratto dal numero di aprile
B. Johns, Advanced Technology Centre, Edmonton, Alberta,
Canada
tratto dal numero di maggio
C. St. John Wilson & Partners,
School Library Chelmsford,
Essex, UK
tratto dal numero di giugno
Stein, Doshi & Bhalla, Gandhi Institute of Labour Studies
Ahmedabad, India
tratto dal numero di settembre
Busmann & Haberer, Concert
Hall and Museum, Cologne,
Germania
tratto dal numero di ottobre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1988
E. Cullinan, R. Gooden, S.
Bhavan, Music School Harrow,
Middlesex, UK
tratto dal numero di febbraio
H. Scharoun, Chamber Music
Hall, Berlino, Germania
tratto dal numero di marzo
Arup Associates, Imperial War
Museum, Lambeth, London,
UK
tratto dal numero di aprile
G. Canali, Museum Pilotta,
Parma, Italia
tratto dal numero di aprile
OMA, Dance Theatre The Hague, Olanda
tratto dal numero di settembre
K. Kurokawa, Art museum Nagoya, Giappone
tratto dal numero di settembre
Edmond & Corrigan, Community Centre, Canberra, Australia
tratto dal numero di ottobre
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1989
N. Torp, Airline Headquarters,
Stoccolma, Svezia
tratto dal numero di marzo
Alvar Aalto, Opera Hause,
Essen, Germania,
tratto dal numero di giugno
J. Andrews International,
Convention Centre, Sydney,
Australia
tratto dal numero di giugno
a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini
Josè Garcia De Paredes, Manuel de Falla Centre, Granada, Spagana, 1962
Nel 1962, il consilio cittadino di Granada
comprò l’edificio vicino al quale Manuel de
Falla visse dal 1921 al 1939 per trasformarlo in un museo dedicato al compositore.
Questa casa però era troppo piccola per
ospitare tutto il materiale, fu quindi deciso
di costruire un centro e una sala concerti nelle vicinanze che, al tempo stesso,
avrebbero ospitato archivi, spazi espositivi,
una libreria e sale conferenza. L’area della
casa di de Falla e del centro resta isolata
rispetto al tipico giro turistico di Granada,
circa a metà del fianco della collina che
ospita l’Alhambra, dove per arrivarvi si passa attraverso i giardini “Metamoros” dove
si può udire solo il suono delle fontane.
Il complesso si divide in tre parti: l’esitente
abitazione di de Falla, un centro studi e un
auditorium. Il centro è progettato sia per la
musica che per le conferenze: l’auditorium
è equipaggiato sia per rappresentazioni
temporanee che per produzioni teatrali.
nella Philarmonie di Berlino, nell’Opera
House di Sidney e nel Concertgebouw di
Amsterdam.
1. 2. Aerofotogrammetrico dell’Alhambra
3. Planimetria
4. Sezione Longitudinale
5. Vista esterna
6. Vista interna del palco con i musicisti
7. Particolare del foyer con i pilastri
8. Sezione trasversale
9. Vista del complesso da lontano
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Josè Garcia De Paredes, Manuel de Falla Centre, Granada, Spagna, 1962
Vista la eccezionalità del sito (nessun edificio pubblico è stato costruito in quest’area
dal palazzo di Carlo V nel 1527) la prima
volontà dell’architetto è stata quella di fondere il centro con il paesaggio. L’edificio
è lungo e basso con un profilo a diverse
altezze che di poco si alzano rispetto all’altezza degli alberi. Una consistente parte
della costruzione infatti è interrata. I muri
sono ricoperti con mattoni colorati chiari,
il tetto con tegole chiare, entrambi danno
l’impressione di essere consumati dal tempo. Per questo progetto non è stato rimosso alcun albero e i muri di mattoni saranno
presto ricoperti da rampicanti.
L’auditorium può essere diviso in due parti
diseguali. Una passeggiata pubblica, che
inizia dal pPaseo de los Martires sovrastante, passa sopra la scena fino ad una
terrazza poligonale e piana che da una
vista panoramica della Vega e della Sierra
Nevada. Il teatro conta 1311 posti a sedere
e si divide in due hall da 897 e 414 sedute.
Questa soluzione che si sviluppa dietro
l’orchestra è già stata usata da Scharoun
1.2.3.4. Piante
5. Vista del teatro
6. Vista del teatro, affaccio
sul parco
bibliografia
The Architectural Review,
numero di marzo 1980
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Klaus Humper, Leisure Centre, Badenweiler, Germania, 1962-67
All’interno della tradizione architettonica
tedesca, con caratteristiche provenienti
dal lavoro organico ed espressionista di
Rudolf Steiner, Hugo Haring e Hans Scharoun, c’è un edificio eccezionale. Prende
l’umanesimo trovato nel lavoro contemporaneo di di Gutbrod e Bemisch portandolo
ad un livello più poetico di quanto loro
non siano mai arrivati. Questo edificio è
la Kurhaus di Badenweiler, progettato da
Klaus Humper tra il 1662 e 1967.
Nonostante la sua età è un edificio che
pochi al di fuori della Germania sembrano
conoscere, e questo è un peccato, per la
sua forma o per la sua apparente mancanza di forma, non ha catturato l’attenzione
di alcuni architetti, l’esperienza di stare
dentro o camminare intorno è senza alcun
dubbio esaltante. Costruito sulla pendenza più bassa della collina di un castello, ai
margini di una piccola città termale nel sud
della Germania, è un edificio notevolmente gioioso. Le funzioni (caffè, ristorante,
grande sala concerti, spazio esterno per la
banda e terrazzamenti) sono assemblati in
una pianta dalle forme libere che si dispone attorno ad un atrio su più livelli. I volumi sono determinati sia dalle esigenze di
progetto che dalla morfologia del terreno. I
percorsi si snodano tutt’intorno all’edificio
in un piacevole susseguirsi di vie. L’atrio
centrale di tre piani d’altezza, si innalza
sulla collina. La copertura è una lanterna
ricurva di vetro che proietta ombre e luci
dentro al cuore dell’edificio. La forma della pianta si mostra come un incontro tra il
lavoro di Aalto e di Scharoun con le terrazze che ricordano dormienti memorie della
Schminke House, Lobau 1933. Ma nonostante riferimenti ed origini siano facilmente riconoscibili, le innovazioni di Humper
hanno prodotto uno straordinario edificio
del tutto originale.
La modellazione di forme e figure è così
personale che non si può fare riferimento
a qualche opera del passato o concetto
precostituito. Di tutti gli edifici organici tedeschi questo è quello che più si avvicina
all’espressione di Hugo Haring “gli interni/ i
significati/ le sensazioni... oppure alle parole di Kahn:” il sole non ha mai conosciuto
la sua grandezza finchè non colpì il lato di
un edificio”.
1. Assonometria
2. Vista esterna dell’atrio
3. Viste interne teatro
4. Pianta livello inferiore
5. 6. Viste fotografiche
7. 8. Piante livelli superiori
bibliografia
The Architectural Review,
numero di aprile 1982
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Paolo Portoghesi e altri, Moschea di Roma, Roma, Italia, 1975
1. Pianta;
bibliografia
2. Aerofotogrammetrico;
3. Foto del plastico;
The Architectural Review,
4. Sezione della moschea;
numero di dicembre 1980
5. La moschea ;
6. Disegno dei pilastri;
7. Fotografia dei pilastri;
8. Vista interna alla moschea;
9. Vista interna alla moschea;
Tra i quattro finalisti di una concorso architettonico del 1975 per la Moschea e
il centro culturale islamico a Roma, vinseun’architetto islamico Mosauwi e secondi arrivarono Paolo Portoghesi con Vittorio
Gigliotti. Il progetto vincente fu giudicato il
più appropriato, ma gli assessori rimasero
impressionati dagli interni di Portoghesi,
quindi chiesero una collaborazione frai i tre
progettisti.
Su un’area ai piedi del monte Antenne,
una piccola collina coperta di pini sopra il
Tiber, gli elemnti principali sono disposti a
T, uno schema tradizionale sia per l’architettura sacra islamica che per quella romana. Il lato più corto della T è rivolto verso
la Mecca ed è costituito dalla Moschea e
dalla corte aperta destinata alla preghiera
davanti ad essa, nella quale i due assi si
incrociano. Tutti il basamento racciude il
centro culturale, sopra di esso dei porticati racchiudono la corte di preghiera e si
estendono come quattro braccia formando
un’H. Tra queste braccia ed intorno alla
Moschea sorgono i giardini con rigogliosa
vegetazione, fontane e vasche che creano
un’ordine sereno che simboleggia il paradiso. Attraverso la Moschea e le arcate vi
è una foresta di colonne in calcestruzzo
rinforzato, ognuna delle quali ha sezione
composta da quattro colonne a base quadrata che in cima si aprono come mani in
preghiera, dove sono strette da un’anello.
Nella struttura, colpiscono il mix tra pensiero moderno della struttura e linee curve
onnipresenti (la grande sala di preghiera
richiama indubbiamente una foresta - o
un’oasi, con le sue colonne a tre steli),
l’uso della luce per creare un clima meditativo, e l’utilizzo di materiali che generano
colori tipicamente romani, come il travertino e il cotto rosato. L’apparato decorativo,
assai discreto nell’ampiezza dello spazio
che lo contiene, è costituito da ceramiche
invetriate di colori delicati. Il tema coranico
ripetuto è Allah è luce.
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Norman Westwater, Centro Culturale, Juba, Sudan, 1975
Juba è una città del Sudan, capitale regionale del Sudan meridionale e capitale dello Stato sudanese dell’Equatoria
centrale. Nel 2005 la popolazione di Juba era di 163.442 abitanti. Era una città focale per il commercio nell’est dell’Africa
prima della guerra civile iniziata negli anni 70. é una città con una storia difficile come la maggior parte dei territori africani.
1. Inquadramento territoriale
del Sudan
2. Inquadramento territoriale
di Juba nel Sudan
3. Aerofotogrammetrico della
città
4. Pianta del centro
5. Vista fotografica
6. Vista fotografica
bibliografia
Disposto su di una collina a Juba, capitale di una regione del Sudan, si presenta
come un largo, lungo e basso tetto, al di
sotto del quale si trovano un anfiteatro per
mille persone, con un palco di terra battuta, e una serie di spazi secondari racciusi
da muri autoportanti. Il tetto permette di
proteggere le strutture dal sole, lasciando
che l’aria possa penetrare. Vi si trovano
aule per la musica e per le arti, uffici amministrativi e un rostorante-bar disposto
attorno ad un giardino e ad un’area pavimentata. Vi su trova inoltre una biblioteca,
un’aula proiezioni e due piani dove si trovano i camerini che sono disposti in maniera tale da formare sia la scena del teatro
che uno schermo per il cinema. Questa
semplice ma generosa struttura è un centro culturale donato da Adnan Kashoggi,
direttore del gruppo di finanziatori Triad.
L’architetto inglese Norman Westwater incontrò il problema di trovare una soluzione
che fosse in armonia con la cultura locale
e ovviasse alle dificoltà edilizie e di reperimento di materiali. La tradizionale danza
tribale e la musica si svolgono all’aperto:
predisporre un teatro chiuso e con un
sistema sofisticato di illuminaziione sarebbe stato in contrasto con la cultura locale
e impossibile da costruire e mantenere. Il
maggiore elemento strutturale è un portale
d’acciaio, incorniciato da un tetto isolante
prodotto in USA, trasportato a Monbasa in
nave e poi tramite trasporto via terra, attraverso Kenya e Uganda. Tutto ciò ha richiesto solamente l’assemblaggio in loco dei
blocchi di fondazione, e la natura del luogo
ha richesto per la cstruzione della platea
del teatro il minimo spostamento di terra.
Il tetto è bianco nella parte superiore, con
travi nere e fogli di plastica neri sottostanti.
I muri bassi sono bianchi e costruiti in canniccio tradizionale e aperti con moderne
porte e finestre d’acciaio. Questi muri sono
illuminati di notte da tubi fluorescenti.
The Architectural Review,
numero di marzo 1980
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Scharoun, Kultur Forum, Berlino, Germania, 1972
Dei suoi ultimi edifici, Hans Scharoun vide
completata solo la Filrmonica. La Filarmonica fu la prima di quegli edifici che dovevano formare il Culture Forum, costruito su
un’area devastata vicino al muro. Sarebbe
dovuto diventare punto focale della Berlino
riunita. La grande sala da concerti infatti
non era pensata da Scharoun come elemento isolato, venne invece accompagnata da numerose piante e planimetrie che
non sono stati resi pubblici prima. L’aggiunta di un Istituto per la Ricerca Musicale
e il Museo degli Strumenti Musicali suggerita nel 1968 fu accettata da Scharoun e
pianificata prima del 1972, anno della sua
morte. L’edificio fu eseguito dal suo partner, Edgar Wisniewski.
La Filarmonica oltre a questi edifici doveva
essere inserita in un contesto più ampio
in cui c’erano anche la Sala per la Musica
da Camera. La Filarmonica era il primo
pezzo della ricostruzione. Era impossibile
allora trovare delle imprese finanziatrici che
costruissero negozi, ristoranti... nell’area
vicino a Kemperplatz, e fu provvidenziale
che la Prussian Cultural Heritage Foundation suggerì di incorporare l’Istituto di Ricerca Musicale e il Museo degli Strumenti
Musicali alla Filarmonica. Scharoun inoltre
si occupò della parte est del sito anche
se l’intenzione originaria era quella di dare
un aspetto più unitario all’assetto planimetrico. La Filarmonica provvede a dare un
naturale fuoco per tutto il complesso che
è stato pianificato per includere non solo
l’Istituo e il Museo ma anche la Sala della
Musica da Camera del xxxx e L’Archivio
della Musica Tedesca e L’Audio Visual
Centre.
1. Vista esterna della Philarmonie
2. Vista esterna della Sala della Musica da Camera
3. Planimetria generale
4.5. Viste interne della Philarmonie
6. Prospetto dell’istituto di Ricerca
7.8. Viste dell’Istituto di Ricerca della Musica
9. Sezione dell’Istituto di Ricerca della Musica
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Scharoun, Kultur Forum, Berlino, Germania, 1972
L’obiettivo fu quello di un interazione creativa in modo da determinare gli assetti
internazionali della musica, anche solo per
l’importanza della Filarmonica. L’Istituto di
Ricerca della Musica è particolarmente importante per le ricerche accademiche che
possono dare nuovo impeto alla musica,
gli esperimenti nel laboratorio di elettronica
musicale all’interno dell’istituto dovrebbero
dare risalto alle performance del centro.
La continuità del museo con il foyer della
Filarmonie invita gli spettatori dei concerti alle visite. Gli strumenti della moderna
orchestra sinfonica possono essere paragonati con i suoi predecessori e faranno
ricordare ai visitatori i cambiamenti nel loro
suono. A parte la funzione educativa il museo è progettato per mostrare gli strumenti
nel loro contesto artistico, sociale e storico.
Questa organizzazione programmatica
riflette l’impegno di Scharoun con la vitale domanda di cambiare struttura nello
spazio e nel tempo , sempre suo punto di
partenza nel concepire un edificio o uno
spazio urbano. L’obiettivo non era quello di
dividere lo spazio in piccole e specializzate
aule per le esibizioni ma lasciarlo continuo
con un lungo e dominante volume centrale. La lunghezza e la centralità possono
sembrare due concetti contraddittori soprattutto perchè lo spazio è stretto.
L’assetto dell’istituto è ortogonale e simboleggia la forza della ragione, a parte la
libreria e un gruppo di spazi annessi alla
sala di lettura, le altre stanze dell’istituto
affacciano tutte sul cortile interno della
Filarmonica.
1. 2. 3. Viste interne dell’Istituto di Ricerca della Musica
e del Museo degli Sturmenti
Musicali
4. 5. 6. Piante dell’Istituto
di Ricerca della Musica e
del Museo degli Sturmenti
Musicali
bibliografia
The Architectural Review,
numero di giugno 1985
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Chamberlin, Powell e Bon, Barbican Centre, Londra, UK, 1981
Londra propone molti istituti artisticoculturali, divenuti nel tempo centri d’avanguardia della società britannica; tra questi
troviamo il più grande centro multi-artistico
di tutta Europa: il Barbican Centre. Uno
dei più importanti quotidiani al mondo,
The Guardian, definisce il centro come
“un luogo dove c’è sempre qualcosa di
ricco e strano che accade” e tutto questo
accade nel cuore e nel centro della città, a
portata di tutti. Nasce nel 1982, nel celebre
complesso architettonico conosciuto con
il nome di Barbican House Estate (situato
nella zona della City di Londra), progettato
negli anni sessanta dagli architetti Chamberlin, Powell e Bon. La sua struttura si
concentra nella Barbican Hall, una sala
concerti di quasi 2000 posti e residenza
stabile delle celebri orchestre londinesi
London Symphony Orchestra e BBC Symphony Orchestra, nel Teatro Barbican con
1166 posti, nell’Auditorium ‘The Pit’ di 200
posti, nella Galleria d’Arte Barbican, sede
di importanti eventi espositivi, nel Cinema
Barbican che comprende tre sale, per un
totale di circa 700 posti. Non finisce qui, al
Barbican luoghi d’arte informale diventano, all’occasione, luoghi adatti ad ospitare
piccole performance artistiche. Completano l’intrattenimento i diversi bar, ristoranti,
una terrazza all’aperto (Lakeside Terrace),
due spazi fiera, sette sale congressi, alcune librerie e un conservatorio, conosciuto
come il Roof-Top tropical conservatory. Il
Barbican House Estate, elencato nel 2001
tra gli edifici di Grade II listed building,
nasce come un edificio complesso, caratterizzato da un’intricata struttura architettonica:
1.2.3. Viste interne teatro
4. Sezione
5. Piante
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
James Stirling, Neue Staatsgalerie, Stoccarda, Germania, 1984
Museo a forte connotazione urbana
costruito per dare una più appropriata
collocazione alla sezione moderna e contemporanea (dalle avanguardie storiche
degli inizi del Novecento alle opere degli
artisti concettuali americani) delle collezioni
municipali. Viene realizzato in adiacenza
al nucleo originario del museo, un edificio
ottocentesco in stile neoclassico, a cui è
collegato mediante un ponte. Una delle
sollecitazioni esterne di cui gli architetti
devono tener conto è data dalla pendenza del lotto, risolta realizzando un sistema
di rampe che conducono dal piano della
strada al livello della terrazza dove si trova
il foyer d’ingresso. Questa organizzazione del versante collinare per piani inclinati
ricorda il sistema ipotattico di Praenestre,
dove una serie di rampe conduce al Tempio della Fortuna Primigenia. In questo
caso il percorso porta alla Rotonda, a cui
si riconosce la stessa centralità assegnata all’edificio sacro. Ma la differenza fra
l’impianto romano e questo stirlinghiano
sta nel fatto che malgrado l’impianto planimetrico abbia una struttura simmetrica,
in alzato ogni centralità è perduta a causa
di una composizione complessa e frammentaria dei vari volumi che costituiscono
l’insieme. Inoltre, a negare ogni assialità
concorre la collocazione fuori centro della
hall di ingresso, ospitata in un corpo vetrato dall’andamento sinuoso. La caratteristica dominante di questo museo è la sua
dimensione urbana. Quest’ultima non si
manifesta solo nella riproposizione a scala
architettonica della complessità tipica dello
scenario metropolitano.
1.2.3. Viste interne teatro
4. Sezione
5. Piante
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
James Stirling, Neue Staatsgalerie, Stoccarda, Germania, 1984
Osservando la planimetria si può notare
che il centro ideale del complesso museale, la Rotonda ipetrale, non si configura
come il cuore sacrale dell’itinerario espositivo, ma piuttosto come il nucleo centrale
da cui si irradiano tutti i volumi verso le
zone perimetrali, come se fossero soggetti a una forza centrifuga che sembra
voler suggerire il dissolvimento dei confini
museali nello spazio della città. Pertanto la Rotonda, nella tradizione tipologica
ottocentesca considerata il centro nevralgico dell’itinerario espositivo, qui sembra
ribaltarsi in un’assenza piuttosto che in una
presenza. Con questo “svuotamento” la
sacralità dell’opera d’arte invece che essere celebrata nel museo viene proiettata
nella città. Unitamente alla Rotonda, altri
ambiti esterni al museo subiscono una
connotazione tale da far sì che la socialità sia esterna allo spazio museale e non
preservata al suo interno. Percorsi sinuosi,
volumi stravaganti, coloratissimi dettagli
pop, sono tutti “ammiccamenti” collocati
all’esterno per attrarre una vivace vita sociale, che popola e anima questo luogo
anche senza accedervi al suo interno. Rispetto al carattere ludico e chiassoso degli
ambienti esterni, l’interno appare ordinato,
quasi ortodosso per il modo in cui qui si
trova riproposta, immodificata, la tradizionale tipologia a galleria.
1.2.3. Viste interne teatro
4. Sezione
5. Piante
bibliografia
The Architectural Review,
numero di marzo 1983
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Chamberlin, Powell e Bon, Barbican Centre, Londra, UK, 1981
numerose entrate d’accesso, lunghi corridoi multi-livello di difficile orientamento,
imponente uso del cemento; nel complesso, una struttura tipica dell’architettura
brutalista britannica. Nel corso degli anni,
in particolare negli anni novanta, il centro
subì diverse miglioramenti ‘cosmetici’ mentre recentemente, negli anni 2005-2006,
vennero introdotte alcune migliorie atte a
donare una maggiore praticità alla struttura
intera, soprattutto in relazione all’accesso
della circolazione pedonale. Come la leggendaria fenice, anche il Barbican risorse
dalle ceneri, in questo caso causate dai
bombardamenti avvenuti nella Seconda
Guerra Mondiale. Nel dopoguerra prese
corpo una sorta di rinnovamento artistico e l’idea di creare un centro adatto alla
esigenze artistiche dell’epoca. Il Barbican
Centre ospita le mostre d’arte più in voga
di tutta Europa, dai capolavori fotografici
di Sebastião Salgado al Museo Marziano
dell’Arte Terrestre, dalla musica soul africana ai concerti di musica classica della London Symphony Orchestra, a musical che
celebrano la nascita della musica reggae.
Non si dimentichi inoltre delle sale cinematografiche, sempre pronte ad accogliere i
numerosi film di circolazione internazionale, dai film d’autore del cinema francese,
italiano o asiatico, ai grossi film del cinema
hollywoodiano o bollywoodiano. In poche
parole, il Barbican rappresenta la storia
di Londra nel suo complesso, dall’antico
difficile cammino urbanistico e sociale, al
sacrificio e alla rigenerazione; il continuo risorgere della città, dei suoi quartieri e della
sua popolazione nella storia.
1. Piante
2.3.4. Viste interno
bibliografia
The Architectural Review,
numero di ottobre 1981
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Hans Hollein, Städtisches Museum Abteiberg , 1977-82
Lo Städtisches Museum Abteiberg di Mönchengladbach è il museo di arte moderna
e contemporanea della città di Mönchengladbach, realizzato tra il 1977 e il 1982.
Prende il nome dall’Abteiberg, la collina
su cui sorge l’antica abbazia benedettina,
oggi duomo. Il museo è situato sul fianco
della collina, nei pressi della chiesa. Architettura espositiva che propone la dispersione della soglia museale nello spazio della
città. Progettato dall’architetto austriaco
Hans Hollein e vincitore del famoso “Pritzker Award” nel 1985, l’Abteiberg Museum
di Mönchengladbach oltre ad offrire spazi
espositivi e attività di servizio funzionali alla
vita di un museo, delinea nuove aree urbane, una piazza e un crocevia che vanno
ad arricchire il sistema dei percorsi e degli
spazi di sosta della città.
Il contesto in cui Hollein è chiamato ad
intervenire risulta ricco di suggestioni che
affiorano tutte nel progetto. Si tratta del
ripido fianco di un colle su cui campeggiano un’abbazia benedettina trecentesca, un
monastero settecentesco e più in alto una
cattedrale gotica.
L’idea progettuale è quella di sviluppare il
complesso museale attraverso una serie
di elementi formalmente e funzionalmente
distinti, disseminati su quote differenti del
terreno. L’organizzazione volumetrica presenta pertanto una tripartizione: sulla parte
alta della collina l’architettura svetta come
forma turrita, nella parte mediana digrada
in elementi più bassi che si immergono
nella collina fino ad assumere la dimensione ipogea di architettura sottrattiva e infine,
nella parte più bassa, gli elementi costruiti
si dissolvono completamente nella natura.
1.Viste esterno
2. Pianta
3.4.5.6.7. Viste esterno
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Hans Hollein, Städtisches Museum Abteiberg , Mönchengladbach, 1982
Nel rispetto di questa logica di dissolvimento spaziale sottesa al progetto, Hollein
studia un sistema di accessi molto versatile che consente la percorribilità totale del
complesso e ripropone la stessa tortuosità
dei tracciati medievali tipici della città, nella
finalità di incoraggiare la fruizione dell’area
da parte di un pubblico allargato, che non
è tenuto ad accedere alle sale espositive, ma può anche sostare nella piazza
o nell’antico giardino, o semplicemente
percorrere questa promenade architectural
come fosse un attraversamento urbano.
Assecondando tale intento il nuovo museo
arricchisce il sistema di percorsi pedonali
del vicino centro storico, generando un
gioco di contaminazioni in cui se da un lato
il museo si insinua nella città, dall’altro la
città entra con le sue dinamiche a far parte
del museo.
La medesima varietà secondo la quale si
articolano i volumi esterni si ritrova internamente, dove ogni ambito è caratterizzato in
maniera specifica, al punto che ciascuna
delle sale espositive viene trasformata in
un avvenimento irripetibile. Lo spazio museale è plasmato come fosse esso stesso
un’opera d’arte, secondo un ideale di Gesamtkunstwerk, ovvero di artisticità totale
che lascia immaginare come l’esperienza
artistica condotta in questo genere di musei così autoreferenziali riesca benissimo a
prescindere dall’esistenza di una collezione d’arte. La collezione che ospita è molto
vasta. Spazia dall’espressionismo tedesco
all’arte contemporanea internazionale.
1.Viste esterno
2. Sezione e prospetto
3. Planivolumetria
4.5.6. Viste esterno
bibliografia
The Architectural Review,
numero di dicembre 1982
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Jean Nouvel, Istituto del Mondo Arabo, Parigi, 1980-1987
Nel dicembre del 1987 apre le porte a
Parigi l’Institut du Monde Arabe, situato
nel cuore della Parigi storica, nel V arrondissement, progettato da Jean Nouvel,
Pierre Soria, Gilbert Lezénés e Architecture
Studio, vincitori del concorso bandito dal
Comune di Parigi nel 1981 a cui parteciparono sette gruppi di architetti francesi.
La sfida di Nouvel era duplice: contenere
una grande complessità di elementi in una
forma semplice e unire in una sintesi la
cultura araba e quella cultura occidentale.
La costruzione di questo edificio, giustamente iscritto nella politica delle grandi
opere voluta da François Mitterrand, è
stata decisa sotto il settennato di Valéry Giscard d’Estaing nel 1973, con l’intenzione
di migliorare le relazioni diplomatiche tra
la Francia e i Paesi arabi. L’edificio dell’Institut è costituito sostanzialmente di due
grossi corpi uno rettangolare che affaccia
su una grande piazza e uno fortemente appuntito con un profilo rettilineo e uno curvo
verso la Senna.
In realtà l’IMA non è solo un’istituto di cultura araba: è un luogo dove si incontrano i
parigini, è un museo e una biblioteca, è un
incredibile belvedere ma è anche un caffè
dove conversare e rilassarsi, è un luogo di
studio e di confronto tra le due culture più
rappresentate a Parigi, quella occidentale
e quella islamica. Il sito in cui sorge l’edificio è molto ricco di suggestioni: siamo nel
cuore della città, sul lungosenna di fronte
al pont de Sully, che unisce la riva sinistra
all’île St-Louis. La pianta dell’IMA è quindi
legata al contesto: si tratta di una realizzazione molto urbana che tiene conto dello
sviluppo della zona che la ospita.
1. 2. 3. Inquadramento territoriale
4. Assonometria planimetrica
5. Assonometria dell’Istituto
6. 7. 8. 9. Piante
10. Pianta del piano terra
10. 11. Sezioni
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini
Jean Nouvel, Istituto del Mondo Arabo, Parigi, 1980-1987
1. Vista fotografica
2. Vista del modello
3. 4. Foto della facciata sud
dell’Istituto
5. 6. Foto del particolare del
meccanismo della facciata
chiuso e
7. Foto della facciata sud
dell’Istituto
Dalla terrazza superiore si ha una splendida vista sulla città: a Nord la Parigi medievale e Haussmaniana, (la facciata Nord,
completamente vetrata, riflette la cattedrale
di Notre Dame sull’île de la cité ), ad Est
c’è la Parigi del XX° secolo con l’imponente
Université de Jussieu, caratteristica architettura anni ’50-’60 in cemento e metallo
con un fronte su pilastri di oltre 400 metri
verso la Senna. La forte relazione con il
luogo è uno dei punti di partenza del lavoro di Nouvel - “ciò che mi interessa è la
pertinenza di una risposta rispetto ad un
contesto specifico” ha affermato il celebre
architetto – che non ama gli architetti che
adottano soluzioni formali sempre uguali in
ogni luogo di progetto.
Ma un buon progetto per Jean Nouvel
nasce non solo da un’attenta analisi del
luogo ma anche dall’uso di nuovi materiali e tecnologie. L’edificio di Jean Nouvel,
interamente in metallo e vetro, ha la sua
forza proprio nella coerenza data dal rigore geometrico e dall’armonia dei materiali
utilizzati.
Qui utilizza un dispositivo dichiaratamente “high tech” nel trattare il fronte verso
la piazza: le finestre infatti sono pensate
come diaframmi mobili di una macchina
fotografica. La luce filtra nell’edificio in
quantità inversamente proporzionale alla
sua intensità, grazie a speciali dispositivi che reagiscono al calore, modificando
di fatto l’immagine del prospetto esterno
durante tutto l’arco della giornata. Questo gli permette di rendere omaggio alla
cultura araba realizzando una facciata
che nella trama astratta e geometrica richiama in qualche modo gli “arabeschi”
e ottenendo un suggestivo spazio interno
in cui la luce non è diffusa né concentrata
in poche aperture ma entra negli ambienti
attraverso piccoli e numerosi fasci luminosi che conferiscono un carattere quasi
sacrale allo spazio. Il museo e disposto
su 3 piani e propone ai visitatori il mondo
arabo prima dell’Egira al 7° piano, il mondo
arabo-islamico al 5° piano mentre propone
l’espansione dell’Islàm -India, Iran, Turchiaal 4° piano. Le esposizioni temporanee
presentano al grande pubblico il patrimonio dei Paesi arabi, dalla preistoria ai nostri
giorni. una grande esposizione è inaugurata ogni anno in autunno e delle esposizioni
tematiche (arte contemporanea, attualità,
fotografia...) costellano l’anno culturale.
l’obiettivo della direzione è far conoscere la
cultura e la civiltà araba dal lato delle loro
realizzazioni artistiche.
bibliografia
The Architectural Review,
numero di febbraio 1983
a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini