Omelia nella Commemorazione dei Defunti

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Omelia nella Commemorazione dei Defunti
Omelia nella Commemorazione dei Defunti
Lodi, Cattedrale, 2 novembre 2008
Dopo aver celebrato ieri la Solennità di tutti i santi, la liturgia della Chiesa ci invita oggi a
commemorare tutti i nostri defunti. Tra le due ricorrenze liturgiche esiste uno stretto
rapporto: entrambe sono la proclamazione di una fede che travalica i confini visibili e che
unisce i credenti in Dio attualmente viventi, con i santi e con tutti coloro che hanno già
terminato il corso terreno della loro esistenza.
Cari fratelli e sorelle, il 2 novembre è il giorno della preghiera per i defunti: non solo per
i nostri cari morti, ma per tutti i fedeli defunti. E’ giorno di nostalgia, ma anche di
consolazione. Giorno di gioia discreta, ma attenta alla grande sofferenza di chi piange e
soffre le lacerazioni imposte dalla morte. Giorno di invocazione perché chi ha sofferto
trovi riposo, e chi ancora quaggiù è nel dolore veda le sue ferite lenite dalla dolcezza del
Dio della speranza e della vita.
“Chi spera in te, Signore, non resta deluso”
Il ritornello del salmo responsoriale che abbiamo ripetuto insieme ci invita a guardare
all’enigma umano della morte con atteggiamento di speranza. Secondo la sacra Scrittura,
infatti, essa più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il
quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza
terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio. Scrive un autore vissuto nei primi
secoli della Chiesa, Cipriano di Cartagine: “Non dobbiamo rattristarci perchè il Signore
ha chiamato i nostri fratelli liberandoli da questo mondo; sappiamo infatti che non sono
perduti, ma che ci hanno preceduto come usano fare quelli che partono in viaggio per
terra o per mare. Dobbiamo provarne nostalgia, non piangere né vestirci con abiti neri
dal momento che quelli che sono morti già hanno ricevuto vesti bianche........La morte
non è la conclusione, ma un passaggio, un cammino temporaneo verso le realtà
esterne....”.
Oltre che sulla realtà della morte, il Vangelo che abbiamo poc’anzi ascoltato ci invita a
riflettere sul tema del giudizio finale di Dio, un tema che costituisce da sempre un
elemento centrale della fede cristiana.
San Matteo nella pagina evangelica ci presenta Gesù quale re e giudice escatologico che
separa pecore e capri, buoni e cattivi, che opera il giudizio su ogni uomo basandosi sulla
concreta prassi di carità. Tutti gli uomini saranno giudicati sull’amore. La salvezza, cioè
il vivere in comunione con il Signore per l'eternità, dipende dall'essere stato in
comunione con Lui in questa vita, non solo attraverso delle pratiche religiose, ma
attraverso
l'esercizio
della
carità.
Che il giudizio finale sia un elemento centrale della nostra fede ce lo ha ricordato con
forza Papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Spe salvi”. In questo momento vorrei
rileggere con voi alcuni passaggi di questa enciclica dove appunto il Santo Padre, con
parole illuminanti, ci parla del giudizio di Dio come luogo di apprendimento e di
esercizio della speranza cristiana.
“La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella
loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo
alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in
Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l'alto, ma sempre anche in
avanti
verso
l'ora
della
giustizia
che
il
Signore
aveva
ripetutamente
preannunciato.......................
Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L'immagine del
Giudizio finale è in primo luogo non un'immagine terrificante, ma un'immagine di
speranza; per noi forse addirittura l'immagine decisiva della speranza. Ma non è forse
anche un'immagine di spavento? Io direi: è un'immagine che chiama in causa la
responsabilità......... Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la
nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo
volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia –
devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la
giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che
quanto s'è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore. .... I malvagi alla
fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime,
come se nulla fosse stato......... Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia
perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio
resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per
noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere
alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L'incarnazione di Dio in Cristo ha collegato
talmente l'uno con l'altra – giudizio e grazia – che la giustizia viene stabilita con
fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza « con timore e tremore » (Fil 2,12).
Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia
incontro al Giudice che conosciamo come nostro « avvocato »”.
Il senso cristiano della morte, la verità di fede del giudizio finale: due temi su cui la
Parola di Dio ci invita a rifflettere e che, insieme alla preghiera di suffragio,
caratterizzano questa giornata dedicata al ricordo di tutti i defunti, per i quali dunque
possiamo pregare e dei quali possiamo seguire l’esempio.
Cari fratelli e sorelle,
al termine di questa celebrazione mi recherò, con i rev.di canonici, alle tombe dove
riposano i Vescovi lodigiani defunti. Vi invito a unirvi alla nostra preghiera affinchè
coloro i quali furono pastori della Chiesa di Lodi possano sentire rivolte a loro le parole
del Signore Gesù ascoltate nel Vangelo: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in
eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”.