Capitolo 1 Un insolito incontro

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Capitolo 1 Un insolito incontro
Capitolo 1
Un insolito incontro
La luna e le stelle sono le uniche testimoni di un amore nato alla fioca luce
dell’argenteo riverbero della luna sull’acqua. Quetzal passava di lì quella
notte, in volo sopra quel luogo incantato, nella lussureggiante foresta, cornice di un dolce lago cristallino. Nell’ombra della notte era disegnata una
figura… nera e lucente. Era lì, assorta nei suoi pensieri, in contemplazione
del paesaggio stregato. Quetzal rimase affascinato da quella sagoma che
si muoveva sinuosamente nel buio. Ne fu attratto e planò, con fare elegante, sulla riva del lago a pochi metri da Nimyr. Era bellissima, aveva la
notte nel manto e la luce negli occhi. Lei lo osservò incuriosita. Era come
se, con le sue ali e la sua grazia, avesse portato il colore nella notte. Anche
il lago lo salutò con un’onda leggera che arrivò a cingergli le zampe. La
fresca brezza dell’acqua lo destò dallo stupore e lo spinse ad avvicinarsi,
con un inchino, alla splendida pantera. Non ci fu bisogno di comunicare a
parole, bastarono lunghi sguardi persi ognuno negli occhi dell’altro e tante
pause smarrite nella vastità del panorama notturno. Fu così che per molte
notti quello fu il loro luogo d’incontro. Per molte notti si scambiarono pensieri riguardo al mondo della terra e quello del cielo. Nimyr imparò a leggere le stelle, a respirare i venti e a riconoscere le stagioni del cielo,
immaginò prospettive molto più ampie e paesi lontani. Quetzal imparò a
sentire la terra sotto le zampe, ad osservare ogni dettaglio da vicino, si
meravigliò nello scoprire quante cose potessero esserci in uno spazio così,
a suo avviso, limitato. Imparò a conoscere le piante, la vegetazione, i profumi dei fiori che solo di notte si sprigionano. Quanto possono essere diversi due mondi così vicini, il cielo e la terra. Questo susseguirsi di
incontri, però, attendeva ormai il giro di clessidra. Quetzal doveva proseguire il suo percorso. Era un viaggiatore, esplorare faceva parte della sua
natura, non poteva fermarsi in un solo luogo, anche se accanto a sé aveva
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una compagna meravigliosa. Sapevano che i loro ritrovi non sarebbero potuti durare ed erano, forse, anche per questo motivo, così intriganti e magici. Ogni istante era vissuto nel profondo, ogni sensazione veniva
impressa nella memoria più intima, ed il momento presente, attimo dopo
attimo era l’unico pensiero. Non esisteva un passato e nemmeno un futuro.
Erano lì, persi nei racconti, ognuno trasmettendo le immagini all’altro così
vividamente come se stessero vedendo il film delle loro vite, dei loro sentimenti, delle loro esperienze. Era come se le lucciole, le fate e i folletti si
mettessero a disposizione per rappresentare i personaggi e disegnare, nella
notte, la trama delle loro rispettive vite. E così, sera dopo sera, ognuno conosceva tutto del compagno e l’amore aumentava e si colorava e risplendeva sempre più. Finché, l’ultima sera prima della partenza, non fu loro
possibile resistere alla passione. Al chiarore lieve della luna, Nimyr e
Quetzal si lasciarono condurre da una danza sensuale accompagnata dalle
melodiche voci delle fate, dalle vibranti luci delle lucciole e dall’inebriante
profumo dei fiori di mezzanotte. Era un vortice di colori, di sensazioni…
da far girar la testa. Erano un tutt’uno, il manto nero morbido e setoso si
perdeva nelle splendide piume variopinte. Il tempo non aveva più nessuna
regola e per tutta la notte lasciò spazio solo all’amore. Con il nascere del
sole e i primi raggi portati dal carro splendente, purtroppo anche il tempo
riprese il suo moto e ricordò a Quetzal la sua partenza. Così, piano piano,
per non disturbare il sonno di Nimyr, Quetzal lasciò una sua piuma, la più
bella e colorata che avesse sul suo manto, e partì in volo. Le lacrime che
perse appena partito, si unirono al lago, divenendo degli splendidi cristalli
color turchese, adagiati sul suo fondo. Al bianco rumore delle gocce sull’acqua, Nimyr aprì gli occhi e, come risvegliata da uno splendido sogno,
continuò a coccolarsi nel ricordo piacevole di quella notte. Poco dopo,
nello stato di dolce dormiveglia, irruppe un baccano tremendo di zampilli
d’acqua e urla di divertimento provenienti dal lago. Erano i suoi fratelli
che, come ogni giorno di primavera, di prima mattina, adoravano giocare
e rincorrersi facendo a gara a chi riusciva a bagnare di più l’altro. Nimyr
era tornata alla realtà vera, alla vita del giorno, ai colori della vegetazione
che con il sole diventavano quasi prepotenti. C’era stato il passaggio dalla
magia della luna alla chiarezza del sole. Allora si alzò, buttando un’ultima
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occhiata al cielo e si diresse verso quel gruppo di giovani pantere che ora
non avevano altro per la testa se non di divertirsi. Si accorse però della
piuma che, alzandosi, era caduta accanto a lei, un ricordo di quelle fantastiche notti, lasciato da Quetzal. Era così splendente alla luce del sole! Voleva portarla con se, mettersela al collo, oppure dietro all’orecchio, oppure
appesa alla coda, ma gli altri non avrebbero capito e magari gliela avrebbero portata via, ignari del significato profondo che avesse per lei. Allora
la nascose in un luogo protetto che sarebbe stato il posto in cui appartarsi
per ricordare e rivivere le magiche emozioni.
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Capitolo 2
Venuta al mondo
I giorni trascorsero regolarmente e, dopo tre mesi, nacque una piccola pantera… colorata. Nimyr era una pantera strana, non le piaceva unirsi al branco
e fare le cose che fanno tutti, ma era nera… invece la sua cucciola era colorata! E nessuno dei giovani felini del gruppo era stato con lei negli ultimi
mesi. Fu così che dopo un momento di sconcerto generale, tutti la accolsero
come un segno del destino. Una pantera colorata non si era mai vista. E non
erano semplici colori, erano delle tinte che si mescolavano alla luce e ne riflettevano la luminosità, e cambiavano a seconda del movimento. Era una
magia. Era la magia dell’arcobaleno che di solito sta in cielo ma che ora era
sulla terra ed era una parte di loro. Fecero una battuta di caccia importante
per portare a Nimyr la carne migliore per poter allattare la piccola nata. Si
celebrò una festa grandiosa per il benvenuto al mondo di questa piccola creatura. Ma mancava ancora il nome, erano stati talmente occupati dalle faccende e dalla bellezza del suo manto da non aver pensato a come chiamarla!
E, così, tutti fecero a gara per trovare il nome più originale da darle. Finché,
poche ore prima della festa, sulla testa della piccola spuntò una piuma colorata, esattamente come quella lasciata da Quetzal prima della sua partenza… e per Nimyr fu chiaro il nome: Piuma.
Piuma era una panterina dolce, una sognatrice. Insieme agli altri cuccioli
amava giocare, correre e andare alla scoperta della giungla. S’inventavano
giochi, rincorrendosi e rotolando nella terra, imparavano le arti della caccia
e del mimetismo giocando a nascondino e saltando fuori al momento opportuno, come in un vero agguato. Poi, però, mentre gli altri continuavano
in giochi di ruolo sempre più forti, Piuma si lasciava attrarre dal volo delle
farfalle, dal loro volteggiare in aria, di fiore in fiore. La incuriosiva questo
loro particolare senso del tempo e della distanza, penetrava in lei l’assoluto
e ne dedicava la sua totale attenzione. Le seguiva nelle distese aperte, dove
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gli alberi non coprivano il cielo e le nuvole segnavano disegni in continuo
mutamento sullo sfondo azzurro. Si lasciava rapire da questo continuo movimento, dal venticello che le accarezzava il morbido pelo e le portava nuovi
odori da registrare. Essendo tutta colorata, Piuma stava bene tra i fiori, era
lì il luogo in cui il suo mimetismo poteva esprimersi al meglio. Così, anche
quando il tempo trascorso era molto e le altre pantere iniziavano a cercarla,
spesso non la trovavano perché era assorta e immersa in questo suo mondo
variopinto. Solo quando le voci e i ruggiti si facevano vicini, Piuma si svegliava da questo suo sogno lucido e tornava verso di loro. Le giornate continuavano tranquille e anche un po’ solitarie. Piuma stava volentieri in
compagnia dei suoi fratelli felini, ma allo stesso tempo si sentiva anche
molto diversa. Era come se loro non si accorgessero di nulla intorno. Erano
talmente presi dai loro giochi sempre più violenti e ripetitivi da non accorgersi dei fiori, delle farfalle e degli altri piccoli animali della giungla. Non
si fermavano mai a guardarsi intorno, semplicemente si rincorrevano a vicenda fino allo sfinimento, dopodiché crollavano a terra per un sonno profondo prima di ricominciare da capo con le battaglie. Con il tempo, Piuma
stava sempre più in compagnia dei piccoli abitanti della vegetazione e le
sembrava di riuscire a sentirne le voci, poteva percepire cosa volessero comunicarle, anche se era impossibile alle pantere capire le farfalle oppure le
coccinelle, oppure, addirittura, le fate della foresta… eppure si capivano,
eccome! Ed erano tanti i dialoghi che ne nascevano. Le farfalle le raccontavano del gusto dei fiori, di come potessero avere delle fragranze diverse nonostante un’apparente forma uguale, del loro volo e di come fosse un rituale
di corteggiamento che facessero ai fiori per chiederne il consenso di appoggiarvisi. Nulla è come sembra, anche il gesto più insignificante e banale ha
un senso ben preciso e sta tutto nella ritualità e nella grazia della natura, perché per loro la vita dura un giorno. La curiosità di Piuma iniziava ad aumentare. Perché non si divertiva a giocare con gli altri cuccioli? Perché
aveva un colore diverso dagli altri? E, soprattutto, perché da qualche giorno
iniziavano a spuntarle delle “cose” sulle spalle? Gli altri non le avevano. E
perché era così attratta dal cielo?
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Capitolo 3
Tutto ha un senso
Piuma poteva camminare, correre, nascondersi e imparare a cacciare, per
cibarsi e portare nutrimento al branco, sarebbe stato questo il suo compito
da adulta. Avrebbe trovato subito anche un bell’esemplare di pantera maschio con cui accoppiarsi e creare una famiglia, perché era talmente bella
che tutti avrebbero fatto a gara per stare con lei, quando ne fosse arrivato
il momento. Ma a Piuma non interessava. Non le importava proprio. Sentiva che c’era qualcos’altro oltre la vita e la sopravvivenza. Percepiva che
avrebbe potuto sapere molto di più di quanto chiunque della sua specie
sapesse. Se era così diversa un senso doveva esserci, la sua amica farfalla
lo aveva detto “tutto ha un senso, anche il gesto più banale” e il suo colore, tutto era, fuorché banale. Chiaramente tutti questi suoi pensieri la allontanavano sempre più, e per maggior tempo, dalla sua famiglia felina.
L’unica pantera con la quale poteva ogni tanto parlare era la madre, ma
non era nemmeno sicura che lei la capisse completamente. Nonostante
tutto, anche Nimyr era nera. Nessuno del branco aveva mai saputo chi
fosse il padre di Piuma e con il tempo non se l’erano nemmeno più chiesto.
Così nessuno si spiegava la grande differenza che si stava creando tra loro.
Piuma non voleva che le altre pantere capissero quello che le stava succedendo e teneva dentro di sé tutte le domande difficili e strane. Non le poneva nemmeno alla madre che, quindi, non poteva sapere cosa provasse,
veramente, la figlia.
Intanto Nimyr diventava sempre più triste. Continuava a pensare alle notti
trascorse con Quetzal che, con i mesi, divennero sempre più lontane ed il
ricordo iniziava a perdere forza e intensità. Di Quetzal rimaneva solo la
piuma e… Piuma. Era tanto orgogliosa della sua cucciola. La pensava così
forte e indipendente da non avere bisogno di nessuno. Stava crescendo dividendosi tra i giochi con i compagni e le passeggiate in solitaria per en-
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trare nell’anima della giungla, per viverla e sentirla in sintonia. Una buona
pantera deve conoscere il luogo in cui vive, deve farne parte, deve prevedere qualsiasi mossa, sia della preda che del nemico. E lei sembrava proprio avercela fatta. Pareva essersi integrata nella natura muovendocisi con
grande dimestichezza. Aveva imparato l’arte del mimetismo e aveva la pazienza necessaria per aspettare in un luogo per ore ed ore, nell’attesa della
preda. Però non attendeva la preda, non le importava cacciare. Lei restava
immobile nell’erba alta e fitta per parlare con le sue amiche farfalle, che
erano ogni giorno nuove e diverse e ogni giorno avevano un messaggio
da portarle. Non era sua intenzione mimetizzarsi nell’erba e tra i fiori, era
l’unico luogo in cui trovava una pace profonda!
Nimyr non voleva svelare alla figlia la sua storia con il suo papà per non
far nascere in lei una sofferenza apparentemente inesistente e, Piuma, non
osava porre tutte le sue domande alla madre per paura che non potesse capirla… per molto tempo questo malinteso tenne lontane dalla verità
mamma e figlia. Finché una notte, durante la solita visita di Nimyr al luogo
di custodia della piuma lasciata da Quetzal, venne seguita da Piuma, ormai
curiosa di sapere dove andasse la mamma ogni notte senza dire nulla a
nessuno. La seguì per alcune notti, stando in silenzio ad osservare la
mamma che sussurrava parole con lo sguardo rivolto al cielo e tenendo
tra le zampe una piuma… esattamente come quella che lei aveva sulla
testa. Pensò che prima di lei, ne avesse avuta una anche la mamma e, una
volta persa, l’avesse conservata in questo luogo per recitare le sue preghiere. Così si spiegava il perché ne avesse una anche lei, a differenza di
tutte le altre pantere. Si sentì piano piano più tranquilla, come se un senso
di appartenenza si facesse strada dal profondo. Però non si spiegava il colore… e non conosceva quelle “cose” che ormai crescevano sulle sue
spalle e che stavano prendendo tutte le sembianze di ali. Lei cercava di
nasconderle. Le teneva, strette strette, lungo il suo corpo e i colori iridescenti del suo manto la aiutavano a nasconderle. Ma un giorno o l’altro
qualcuno se ne sarebbe accorto, e allora? Cosa sarebbe accaduto?
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Capitolo 4
Spazio sacro
Tutti questi pensieri occupavano la mente di Piuma e le fecero perdere il
senso del tempo e del luogo, trascinandola in un turbine di emozioni difficili da gestire. Così, muovendosi poco delicatamente, calpestò un ramo
che era lì a terra e, nella notte, quel rumore riecheggiò come un tuono. Un
brivido di paura e di stupore prese Nimyr che subito si alzò in piedi, all’erta, per vedere chi fosse così vicino al suo luogo segreto. Con gioia e
sorpresa si accorse che era la piccola Piuma la quale, con altrettanta meraviglia, avvertì di essere stata scoperta dalla madre, che finalmente l’accolse nel suo spazio sacro. Quella notte si coccolarono e si aprirono a
discorsi, da tanto tempo attesi e soffocati. Le ore sembrarono non passare,
ancora una volta il tempo si fece da parte per favorire l’amore, quello così
intenso che si può provare soltanto attraverso un legame profondo. Nimyr
raccontò a Piuma di suo padre, della magia che aveva saputo portare nella
sua vita, sebbene si fossero frequentati alla luce della luna per poche indimenticabili sere. Gli raccontò quello che lei stessa aveva imparato del
firmamento, dei viaggi, dell’emozione di vedere il mondo dall’alto, l’ebbrezza del librarsi in volo e lasciarsi guidare dai venti. Lei poteva solo riportare quello che le aveva, a sua volta, raccontato Quetzal. Purtroppo,
però, non avrebbe mai potuto volare, ma le piaceva chiudere gli occhi ed
immaginarsi le sensazioni. Aveva tanto sognato di poter seguire il suo
amato alato, ma il suo posto era a contatto con la madre terra e lei aveva
quattro zampe forti e veloci al posto di un paio di ali leggere e flessibili.
E poi era nata lei, la sua adorata cucciola, che le aveva riportato i colori e
la gioia di vivere. Attraverso Piuma, ogni giorno poteva sentire vicino
l’amore, quello universale, poiché doveva essere estremamente grande per
poter raggiungere Quetzal, ovunque egli fosse. Trascorsero le ore a parlare
dei viaggi e della meraviglia del volo. Solo allora Piuma, tra le zampe
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della madre, prese il coraggio e condivise con lei il suo grande segreto.
Anche lei aveva un paio d’ali, non ancora completamente sviluppate e, sicuramente, non ancora pronte, ma si stavano formando e rafforzando e…
tra poco sarebbero state abbastanza robuste da permettergli di tuffarsi nel
cielo. La sorpresa di Nimyr fu immensa. Non poteva credere a ciò che
stava vedendo. La sua piccola Piuma non solo era splendida, colorata e
saggia, ma aveva anche il dono del volo. Adesso sì che Piuma capiva il
senso di quelle “cose”, erano ali ed erano il dono più grande che le avesse
lasciato il padre, il re degli uccelli colorati. Fu una notte ricca di emozioni;
risero, piansero, si persero in mille carezze e si sentirono intensamente
unite. All’alba si addormentarono, finalmente, acciambellate l’una nell’altra con un silenzioso patto di segretezza, nulla di quanto raccontato quella
notte sarebbe mai stato condiviso con nessun loro fratello felino, solo la
luna poteva esserne testimone. Fu così che ebbe inizio la ricerca di Piuma,
che non si era mai sentita veramente una pantera e, tantomeno, un uccello.
Chi era in realtà? Non sentiva di appartenere ormai più alla famiglia dei
felini, non si sentiva una di loro, non condivideva i loro giochi sciocchi e
ripetitivi, voleva saperne di più. Però non aveva mai vissuto con un uccello
e possedere le ali non serviva a nulla se non era in grado di utilizzarle.
Nessun uccello, mai, si sarebbe avvicinato a lei, che era un predatore tanto
temuto. Piuma era quindi sempre più confusa e incerta, sarebbe stato tutto
più semplice se non si fosse mai posta tante domande, ma le ali non poteva
rinnegarle, quelle c’erano ed erano lì a ricordarle la sua unicità. La sua natura la chiamava e di notte urlava la sua eccezionalità. Quindi, spinta da
quel tormento profondo, la notte successiva, e le seguenti ancora, decise
di andare dalla madre, nel suo spazio sacro, per continuare a condividere
con lei tutte le perplessità e le paure, ma anche la grande meraviglia nei
confronti della vita.
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Capitolo 5
Il talento
“Mamma, perché mi sento tanto diversa?” Chiese Piuma con voce sconsolata,
“Amore mio” rispose con grande dolcezza Nimyr “cosa vuol dire essere diversi? Ognuno ha un suo talento ed ognuno ha una sua unicità. Con questa
consapevolezza è normale essere diversi. Volersi uniformare a regole ed insegnamenti dettati da altri non è naturale. Non esiste la normalità e non esiste
la stranezza. Se ognuno di noi riuscisse a seguire il proprio progetto di vita, il
fuoco che abbiamo dentro verrebbe alimentato e, da esso, ne scaturirebbe tanta
passione e tanta entusiasmo. È un’energia, quella che portiamo dentro, che
deve potersi esprimere, nel modo giusto. Tutto sarebbe più bello e spontaneo
se riuscissimo ad accettarci e a farci riconoscere per quello che siamo, senza
il bisogno di capire come dovremmo essere per piacere agli altri. È così fuorviante obbligarci ad essere in un determinato modo per soddisfare questo
grande bisogno di accettazione. Sarebbe tutto così semplice se non esistesse il
giudizio. Ognuno ha una vocina in fondo all’anima che lo spinge a fare qualcosa di speciale. Non deve essere per forza una missione grandiosa, un progetto ambizioso. Molti hanno talenti semplici, ma mai banali. Il talento è quella
cosa che, più di tutte, ti rende felice, ti riesce bene e senza fatica. Il talento è
semplicemente quella cosa che più ti piace fare. Per alcune pantere potrebbe
essere l’andare a caccia, trascorrere le ore nella savana con lo sguardo attento
e vigile, con il naso puntato verso qualsiasi fonte d’informazione aerea, con le
orecchie tese all’ascolto della natura. Per queste pantere la caccia è meditazione, sono lì in quel momento e non vorrebbero essere da nessun’altra parte.
Perché il talento ti aiuta a vivere il presente. Il talento sa cogliere l’attimo. Il
talento di altre pantere è quello di fare le mamme. Vivono per i loro cuccioli,
li seguono e li addestrano ai giochi. Se guardi quelle pantere hanno l’amore
negli occhi quando guardano i loro piccoli. Possono sembrare dei talenti banali, ma non lo sono. Poi vi sono i grandi talenti, quelli che spingono alla ri-
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cerca di qualcosa di straordinario, e danno il via ad uno studio che li accompagnerà per tutta la vita. È grazie alla curiosità di poche anime che sono state
scoperte così tante meraviglie e si hanno oggi altrettante conoscenze. Qualsiasi
vero talento riempie di gioia e d’amore e risponde alla domanda del perché
siamo su questa terra. Se ti ascolti e lasci che la tua vera natura si svegli e ti
parli attraverso un ruggito potente, sentirai un brivido, dapprima dolce, poi
sempre più prepotente che ti penetrerà e darà nutrimento ad ogni tua cellula,
ad ogni tuo organo, alla tua mente e alla tua anima. È una scossa di vita. Piccola mia, tu ti senti diversa perché hai il manto colorato, il più bello che ogni
pantera abbia mai immaginato di avere, porti con te i colori dell’arcobaleno.
Ma non sarebbe così bello e luminoso se tu non fossi pura. Si stanno manifestando, piano piano, un paio d’ali sulle tue spalle, ma nessun felino è stato mai
alato. Le ali possono permetterti di volare, di viaggiare e andare lontano a visitare nuove savane, pianure o foreste. Ti possono permettere di vedere ogni
cosa da un’altra prospettiva, persino la vita! Puoi avvicinarti alle stelle e alla
luna, puoi comunicare più silenziosamente con loro perché la vicinanza non
ne distorce il dialogo. Figlia mia sei diversa sì, ma hai un grande dono, quello
della libertà. Hai uno straordinario talento: viaggiare. Però potresti anche decidere di rinnegare questa dote perché l’unicità ti può spaventare e, l’apprendimento del volo, risultarti difficile e impegnativa. Potresti sentirti sempre più
sola perché non saresti né una pantera né un uccello. Potresti decidere, per
paura o per comodità, di uniformarti alle altre pantere. Se non utilizzerai le
ali, queste cesserebbero di formarsi e sarebbe facile nasconderle agli altri tuoi
fratelli felini. Rimarresti comunque una creatura unica nel suo genere, porteresti vivacità e colore nelle nostre vite, senza però compiere completamente la
tua missione. Vedi, mia cara, noi possiamo sempre scegliere come vivere la
nostra vita e, in base alle nostre decisioni, possiamo essere più o meno felici.”
Allora, Piuma, con la spontaneità della giovinezza, chiese alla mamma: “Ma
se siamo tutti diversi, con compiti straordinari, perché esistono leggi così rigide? Perché qualcuno ha dovuto decidere per tutti?” Nimyr rispose: “Abbiamo creato sempre più regole da seguire per sentirci protetti dal non scegliere
e dal non assumerci responsabilità. Però, ci siamo imprigionati in ragnatele
dalle quali facciamo fatica ora a districarci. Forse è più facile seguire quello
che ci viene detto. È ormai normale adeguarsi alle aspettative della società e
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di chi ci sta vicino. È così che perdiamo il contatto con noi, con la nostra natura
e iniziamo a seguire le regole. Ma la nostra voce, quella che ci dichiara dal
profondo la nostra unicità, diventa sempre più fievole e silenziosa. Non è mai
troppo tardi, però, per darle ascolto, basta ritirarsi un attimo dal frastuono
del mondo, dal caos delle anime perse e prestare attenzione al silenzio. Di notte
è più facile, quando la vita dorme e la sensibilità ai sussurri interiori diventa
più acuta. Il sonno, con i sogni, ci porta degli insegnamenti notevoli, basta lasciare che il seme sedimenti dentro di noi e cresca lentamente. Sotto voce qualcuno ci parla, è quel seme che chiede spazio per manifestarsi e, allora, potrà
vedere la luce e alimentarsi con essa. È solo così che il talento cresce e porta
con sé una sconfinata pace. Io ho scoperto il mio talento solo da poche stagioni,
quando ti ho messa al mondo e ti ho donato la vita e la libertà. Ti ho amata da
sempre e mai impedirò che tu possa vivere la tua vita seguendo il tuo cuore e
la tua volontà. Le ali che stanno crescendo, e che deciderai se utilizzare o meno,
potrebbero portarti lontana da me, potresti decidere di andare a vivere in un’altra savana, chissà dove. Io perderei la tua presenza, perderei la mia piccola e
tutta la luce che mi dai. Ma non perderei mai la tua anima e il tuo amore. La
luna ci terrà sempre unite e farà da messaggera, nella notte, dei nostri sentimenti e delle nostre esperienze. Non potrei mai legarti a me e impedirti di realizzare il tuo sogno. Il mio talento è questo, averti donata al mondo e averti
preparata alla libertà.”
Gli incontri notturni continuavano ed erano diventati ormai degli appuntamenti
fissi. Al cospetto della luna, archetipo del principio femminile per eccellenza,
le conversazioni si coloravano regolarmente di sfumature profetiche. Si andava
a scavare nel profondo delle rispettive anime per poi spaziare in sconfinati interrogativi che solo un universo così ampio può accogliere. Erano momenti,
quelli, in cui mamma e figlia potevano conoscersi intensamente e scambiarsi
pensieri e sentimenti. Piuma acquisiva saggezza dalla mamma e Nimyr era costantemente invitata a trovare, nell’infinita conoscenza, risposte che mai
avrebbe cercato altrimenti.
Era uno scambio affascinante e coinvolgente, che dischiudeva continuamente
nuovi scorci sull’esistenza. Le stelle, come tanti minuscoli occhi brillanti nella
notte, sembravano osservarle con amore e gratitudine… era incantevole assistere a due anime così curiose.
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Capitolo 6
L’amore è libertà
“Mamma, che cos’è l’amore?”
“Tesoro mio, sebbene la sorgente dell’amore sia universale e incondizionata, esistono molti modi di esprimerlo e concepirlo. L’amore è tutto e
spesso, per amore si fa di tutto. L’amore è ciò che rende bello l’universo,
perché qualsiasi realtà osservata attraverso i suoi occhi è splendida.
L’amore è libertà, per sé stessi e per gli altri. L’amore non ha condizioni e
costrizioni. Non ha giudizi. L’amore è volersi bene sempre e rendersi felici,
senza aspettare e pretendere che lo faccia qualcun altro al nostro posto.
L’amore è ovunque, in un fiore che sboccia e manifesta al mondo il suo esistere, in un uccello in volo che canta la sua libertà; in un albero che, con la
sua possenza, si radica a madre terra ed emerge con la sua maestosità per
spiccare la sua cresta verso il cielo e giocare con le nuvole. L’amore è nell’acqua di un torrente che scorre e pazientemente plasma le pietre, segue il
flusso e, con grande fiducia nella natura, attraversa il mondo. L’amore è
nelle stagioni che credono nella loro consuetudine e nella loro importanza.
Sebbene il periodo della siccità porti con se morte e desolazione si sa che
senza di esso non avverrebbe la trasformazione e, la rinascita alla fine del
suo ciclo, è un momento di gioia e di esplosione di vita. La vita non esisterebbe senza la morte e l’amore consiste anche nell’accettare questi due poli
opposti come equilibranti e complementari. La notte porta con sé il silenzio,
l’introspezione, la malinconia e la magia. È una pausa rigenerante dopo
una giornata di sole attiva e brillante, ricca di energia e gioia di vivere.
Come vedi, mia cara, l’amore è ovunque e dimora anche nelle realtà apparentemente dolorose. È solo attraverso l’amore che è possibile trasformarle
o accettarle. Ma, soprattutto, l’amore è libertà. Se si ama veramente si accetta la diversità dell’altro e non lo si vuole e non lo si deve plasmare a
quello che vogliamo. Il bisogno di trasformare un’anima per adattarla alle
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nostre aspettative è ben lontana dall’amore. L’amore è privo di condizioni.
Le leggi del nostro popolo felino non mi appartengono, ho sempre vissuto
ai margini del branco. Io di notte contemplo le stelle ascoltando il dolce
fruscio delle acque che bagnano la sabbia. I nostri fratelli felini di notte
vanno a caccia. Seguono l’istinto che li porta a cercare sempre una nuova
preda. È per questo mio bisogno di appartarmi con il firmamento per dialogare con la notte che ho incontrato tuo padre, un magnifico uccello che
ha l’arcobaleno nella sua livrea. Lui è diverso. Anche lui ascolta il silenzio,
contempla l’oscurità e risiede nell’istante. Quando stavamo insieme non
c’era un obiettivo da raggiungere, era semplicemente essere ed appartenersi
un po’. Io sono una pantera e gli raccontavo della vita a quattro zampe
mentre lui è un volatile che vive accompagnato dai venti e da essi si lascia
guidare. La mia casa è qui, nella savana, tra gli alberi e la vegetazione, la
sua è uno spazio infinito. La mia quotidianità si svolge attraverso ritmi precisi dettati dalle giornate, dai mesi e dalle stagioni che si rincorrono e si
ripetono costantemente come una ruota perpetua. Per Quetzal non esistono
regole, la ruota diventa una spirale che continua a rinnovare se stessa. Le
stagioni lui le conquista, non le subisce. Quando un territorio per lui diventa
ostile, migra e cerca una meta che gli offrirà un ambiente più consono. Lui
è così e non avrei mai voluto cambiarlo. In nessun caso l’avrei obbligato a
restare qui con me. L’ho amato per questo suo spirito libero e lo adoro ancor
di più perché lui segue la sua natura. Un giorno tornerà, per qualche tempo,
e trascorreremo ancora dei momenti indimenticabili, che aggiungerò agli
altri, nell’intimità della mia anima. Mi descriverà i viaggi che ha compiuto,
conoscerò il mondo attraverso i suoi racconti ed io, per un istante, crederò
di volare. Ma una pantera non vola e così tornerò beatamente con le zampe
a terra, su questo suolo che conosco e sento mio, ma con l’anima leggera
di chi sa amare. Perché l’amore sa rendere speciali anche questi alberi, immobili nel tempo e presenti da centinaia d’anni e questo cielo, spettatore
costante di tutte le esistenze.”
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Capitolo 7
Un insolito incontro
Le giornate trascorrevano tranquille e ordinate. Piuma continuava le sue escursioni
alla ricerca di nuovi incontri nella foresta e, il fascino per lo svolazzare allegro e
volubile delle farfalle, era ancora sempre vivo in lei. Dopo lunghe e curiose passeggiate si adagiava sfinita ai piedi di un tronco e lasciava che i pensieri lasciassero
spazio libero ai sogni. I tiepidi pomeriggi sembravano essere un contesto perfetto
per accoglierla e coccolarla durante i tranquilli pisolini. Le visioni oniriche la rappresentavano spesso alle prese con voli nel cielo aperto. Era tutto più bello visto
da lassù. Le prospettive cambiavano, le pantere erano così piccole e la sensazione
di lievità era straordinaria. Era così facile volare… poi però, dopo l’intervallo fantastico, si risvegliava nuovamente sul polveroso pavimento alle radici dell’albero
centenario. Aveva le ali, ma per il momento erano ancora troppo minute per riuscire a sostenerla nel vuoto… doveva aspettare ancora qualche tempo. Sicché,
per un po’ di tempo mise da parte questo grande desiderio e cercò di introdursi
all’interno del gruppo di pantere, sue coetanee. Dopo i giochi dei primi mesi di
vita non aveva più avuto molti contatti con loro, si era, via via, allontanata dalle
attività abituali delle giovani feline in quanto non riusciva a trovarne piacere. Ora
però era curiosa di capire cosa fosse usuale fare e cosa si fosse, forse, persa durante
questi periodi di solitudine. Capì, presto, che non c’era molto da sapere, tutte le
giovani pantere trascorrevano le giornate a cicalare e spettegolare, ad osservare i
giovani maschi ormai quasi adulti e in pieno vigore fisico, dando loro punteggi e
giudizi di forma. Era ormai quasi determinato chi sarebbe stato il compagno di
quale pantera qualora il periodo degli amori fosse arrivato. Decisero, comunque,
di dare luogo a delle sfide alle quali avrebbero dovuto partecipare tutte le giovani
e così anche Piuma dovette aderire. Visto che i maschi interessanti, quelli più affascinanti e possenti, erano pochi, mentre invece le giovani pantere belle e sensuali
e pronte all’accoppiamento erano molte, la lotta era veramente sentita. Tranne
che per Piuma. A lei non interessava, per il momento, creare una famiglia. Aveva
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ancora molte avventure da intraprendere e voleva andare a conoscere il mondo!
Alle sfide per l’assegnazione dei maschi preferiti, non partecipò, quindi, con
grande impegno cercando di arrivare ultima per cedere così il suo posto ad una
futura mamma più entusiasta. I giochi si svolsero in un alternarsi di sfilate di bellezza e di portamento, in manifestazioni di agilità e destrezza nella caccia e in
sessioni di mimetismo nella vegetazione. Era una sorta di iniziazione all’età fertile
e riproduttiva, solo superando brillantemente qualunque fase dei giochi una pantera poteva considerarsi desiderabile e pronta alla maternità. I maschi facevano
da pubblico e da giuria e si schieravano rumorosamente, di volta in volta, con la
più bella sulla passerella al centro dello spettacolo. Era uno spasso per tutti, c’era
da divertirsi sia nello sfilare, che nell’osservare e commentare, perché oltre alla
bellezza era importante il fascino che ognuna riusciva a trasmettere. Doveva esprimere grazia ed eleganza ma anche simpatia ed attrattiva per riuscire a conquistare
il suo maschio prescelto. Tra burle, giochi e giri di zampe si era creata un’atmosfera talmente spassosa da aver coinvolto anche Piuma che, come gli altri, si rotolava nella polvere e scherzava tramando finti agguati a ridosso delle larghe
foglie. Intanto le coppie si formavano, splendide e aggraziate femmine seguite
da prestanti e possenti maschi, fieri l’uno dell’altra agli albori della loro unione.
Insieme andavano ad appartarsi dietro piante maestose, che ne proteggevano la
loro intimità, per poter finalmente iniziare a conoscersi da vicino con scambi di
carezze e gesti affettuosi. Entrambi iniziavano la danza del corteggiamento in un
susseguirsi di giravolte seguendo perimetri precisi, con scambi di sguardi e movenze sinuose. L’olfatto era importante in questa fase iniziale, il fiuto era all’erta
nel captare ogni singolo odore che raccontasse la segreta storia dell’amato. Piuma
si fece travolgere dall’inebriante festosità di quei momenti ed era felice di vedere
le sue compagne di giochi appartarsi orgogliose con le loro conquiste. Si respirava
un’atmosfera veramente magica, un’alchimia di amore e gioia, di passione e desiderio, di festosità e beatitudine. La stagione degli amori era sbocciata.
Nonostante Piuma non avesse nessuna intenzione di trovare un compagno, questo
impeto di emozioni travolse anche lei. Durante la ‘celebrazione dell’inizio’, così
era stata chiamata la giornata appena svoltasi per la scelta delle coppie, anche lei
aveva conosciuto un maschio di pantera molto intrigante. Piuma era rimasta per
gran parte del tempo in disparte, ma Timbal l’aveva subito riconosciuta. Era cresciuta dalla prima volta che si erano visti, quando erano solo due cuccioli in cerca
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di giochi e divertimenti. Ora era una giovane quasi adulta ed era ancora più bella
di quanto riuscisse a ricordare. Quel manto variopinto si era ancor più definito ed
ora sembrava esser fatto di una seta lucida e morbida. Rimase incantato. Si chiedeva come potesse, una pantera così avvenente e splendida, restare impassibile
di fronte alla scelta di un amante. Poteva avere qualunque maschio volesse, nessuno avrebbe mai potuto resistere all’incanto, eppure sembrava non interessarle.
Sembrava non essere consapevole di tanta grazia e questo lo attraeva ancora di
più. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei ed esprimerle il suo stupore per così tanta
meraviglia ma le regole del gioco erano chiare, solo le femmine potevano scegliere il loro compagno. Così aspettò che la competizione finisse e che finalmente
si diede inizio alla festa. Con eccezionale incredulità notò che Piuma era ancora
sola e soltanto ora cominciava a divertirsi. Non perse tempo e le si avvicinò, con
molta prudenza ed anche un po’ di timore per tanta bellezza. Anche lei lo riconobbe, era il suo compagno di giochi preferito, quello più dolce ed aggraziato,
che anche nelle lotte più grintose non sarebbe mai riuscito a torcerle un baffo.
Aveva una delicatezza innata, che, si accorse, non aveva perso nel tempo. Si divertirono molto quel pomeriggio e continuarono a frequentarsi anche nei giorni
successivi.
Timbal aveva un fisico asciutto, quasi aggraziato e non era quindi considerato un
esemplare maschio di presenza e prestanza, dalle altre pantere. Per Piuma era
però estremamente affascinante, non le interessavano i felini robusti e narcisi,
l’attrazione non poteva basarsi unicamente sull’aspetto fisico. Doveva esserci
complicità ed intesa, e potevano nascere soltanto dall’empatia. Un rapporto aveva
la necessità di arricchirla nei sentimenti e nelle emozioni, non soltanto nel corpo
fisico e nell’apparenza. Timbal aveva queste qualità, quella sua timidezza nell’esprimersi era ampiamente ricompensata dalle emozioni che riusciva a trasmetterle. Si trovavano in perfetto accordo nella scelta dei sentieri da visitare in mezzo
alla foresta. Entrambi si lasciavano affascinare dalle stranezze della natura ed, in
ogni passeggiata, anche se negli stessi luoghi, percepivano e notavano sempre
nuovi dettagli. Quando penetravano nella fitta vegetazione, con il loro portamento
aggraziato e privo d’istinti predatori, non minacciavano la vita delle creature sottili,
che sembrava nemmeno li notassero. Così poterono instaurare veri e propri dialoghi con gli esseri impalpabili, e a loro volta gli alberi iniziarono a raccontare le
storie segrete della natura.
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Capitolo 8
La conoscenza di Madre Terra
“Miei cari amici, noi siamo qui da centinai d’anni, prima un seme portato dal
vento, poi il germogliare fragile nel sotto suolo e poi una spinta verso l’alto ci ha
portati a radicarci fieramente in questo luogo così magico e fantastico. Attraverso
le mie radici io mi nutro e attingo alla conoscenza della Madre Terra, non avete
idea di quanta energia ella possegga al suo interno. Più le radici entrano in profondità e più il mio fusto si può levare in alto, verso Padre Cielo che accarezza le
mie fronde e con il suo soffio rende meno immobile la mia presenza qui. Vi voglio
parlare della pazienza, e quanta ce ne vuole per restare fermi in un luogo per
così tanti anni. Ma il tempo ha il valore che gli si vuole attribuire e per noi è scandito dal giorno e dalla notte, dalle stagioni che si inseguono ciclicamente e dal
nostro crescere incessantemente a testimonianza del suo esistere. Siamo il punto
di riferimento per le creature che viaggiano attraverso l’aria e siamo la casa di
chi vive sulla terra. Proprio perché risiedo e mi nutro della terra ma spazio nei
cieli e trasformo l’aria in nutrimento per il vostro respiro, conosco molto della
vita. Comunico con le creature alate che mi raccontano tutto dei loro viaggi mentre sostano comodamente sulle mie cime. Conosco l’energia presente al centro
del nostro pianeta in quanto ne attingo per poi distribuirla a chiunque mi si avvicini e la voglia condividere con me. Nel mio tronco sono scritti tutti gli anni che
ho trascorso su questa terra e ne descrivono gli accadimenti come in un libro illustrato. Posso raccontarvi del sole, della luna, dei fiori e degli insetti e di ogni
loro segreto. Ma più di ogni cosa voglio dirvi di rispettare tutto della natura,
anche quello che vi sembra più scontato. Ogni esistenza ha un’importanza assoluta, anche la più piccola. Voi fate parte del gruppo dei predatori, trascorrete il
vostro tempo a cacciare altri esseri viventi per cibarvi, riprodurvi e perpetuare
le vostre generazioni ma fate attenzione affinché ci sia sempre un rispetto in quello
che fate. Non fate diventare la caccia un divertimento, non approfittate della vostra forza e della vostra astuzia per prendere più di quanto vi basti al sostenta-
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mento. Non deve diventare un gioco o una sfida a chi ha più trofei, dev’essere
unicamente il vostro strumento per la sopravvivenza. Non sterminate tutto quello
che si avvicina al vostro territorio, condividetelo e sarà più ricco. Ora ritorno al
mio silenzio, troppe parole non servono e ora avrete modo di pensare e riflettere
molto su ciò che vi ho espresso. Andate in pace miei cari cuori di felino.”
L’albero sembrò quasi spegnersi e rilassarsi nuovamente tra il fruscìo del vento e
i tiepidi raggi di un sole che stava dando il suo saluto alla sera. Erano trascorse
molte ore, il tempo pareva essersi fermato, mentre invece correva ancor più del
solito. Che atmosfera magica si era creata, oltre all’alterazione del moto del tempo
anche l’aria sembrava essersi addensata, i colori erano estremamente vivaci e la
vegetazione e tutto quanto stesse loro intorno aveva un contorno insolitamente
luminoso che li rendeva ancora più brillanti. Erano in un luogo che avevano visitato migliaia di volte nella loro vita eppure ora sembrava tanto straordinario e
fantastico. Questa sensazione s’interruppe con il calpestio del terreno e le voci
dei genitori dei due giovani, che li cercavano preoccupati per la tarda ora. Erano
pur sempre ancora i loro cuccioli, anche se quasi adulti.
Quella sera Piuma si raccolse con la mamma nel loro spazio sacro e le raccontò
l’accaduto e la magnificenza di quell’esperienza nuova e sorprendente. Con le
sue parole esprimeva ancora lo stupore e la meraviglia che l’avevano travolta quel
pomeriggio. Il suo racconto era talmente vivo e ricco di dettagli che sembrava
quasi lo stesse dipingendo nel cielo affinché anche Nimyr potesse non solo ascoltarne le parole ma anche assaggiarne i sensi. Piuma era contenta di aver potuto
condividere questa esperienza tanto magica ed unica con Timbal perché aveva
trasformato maggiormente la loro intimità, l’aveva resa ancora più profonda.
Nimyr era felice che la figlia avesse trovato un amico così prezioso, con il quale
potesse condividere delle esperienze tanto sorprendenti. Stava nascendo un legame molto intenso e intimo tra i due giovani, si percepiva dall’espressione adorante di Piuma nel raccontare di Timbal, ed era convinta che prima o poi lo
avrebbe reso partecipe anche del suo grande segreto, le ali. Quella notte mamma
e figlia si addormentarono ancora accucciate l’una nell’altra, come non accadeva
da tempo ormai, nel loro spazio sacro cullate dal sussurrìo delle onde del lago,
ritmate dalla leggera brezza che soffiava lievemente. “Buona notte amore mio,
che le stelle possano accompagnarti in un sonno dolce e tranquillo.” Sussurrò
Nimyr prima di abbandonarsi a sua volta al sonno.
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Capitolo 9
La normalità
L’indomani Piuma si svegliò molto presto, baciata dalle prime luci del
giorno. Si meravigliò dei colori vivaci che l’alba stava regalando. Non si
era mai soffermata, prima, a guardarli e forse non le era mai capitato di
svegliarsi così presto dal sonno e con così tanta energia in corpo. Lasciò
Nimyr al suo profondo sonno e si avvicinò baldanzosa alle acque del fresco
lago. L’atmosfera, al risveglio del nuovo giorno, è carica di fermento e di
gioia di vivere. Sembra che tutte le creature della natura, anche quelle invisibili, si preparino con grande passione al nuovo giorno, è una festa da
celebrare quotidianamente. Piuma percepiva questo brulicare delle energie
e lo respirava andando a svegliare con estrema allegria tutte le cellule del
suo corpo. Non era una mattina come tante altre, era la mattina, perché ogni
giorno ne ha una diversa! La magia dell’albero era ancora in lei. Non
l’aveva lasciata, non l’aveva persa. Solo ora iniziava a rendersi conto del
grande dono che aveva ricevuto. Anche l’acqua sembrava più trasparente
che mai e quasi brillava al riflesso del timido sole che iniziava ad illuminare
tutto. Ma non era un riflesso, c’era qualcosa di strano e incantevole lì sotto.
Con molta cautela e quasi fastidio immerse la punta di una zampa nell’acqua, era fredda e non amava bagnarsi, ma la curiosità era troppo forte. Vincendo l’antipatia per l’umido liquido immerse anche la seconda zampa e
piano piano si avvicinò a quelle strane cose che illuminavano tutto il resto
dell’acqua. Erano dei cristalli, turchesi, appoggiati sul fondo della riva.
Avevano una luce incredibile e a guardarli bene sembravano lavorati a
forma di goccia, non potevano essere così naturalmente, qualcuno doveva
averli depositati il quel luogo per una ragione ben precisa, ma che Piuma
ignorava completamente. Restò attratta dal fascino che queste pietre preziose emanavano e perse per un po’ la cognizione del tempo. Finché, sorto
ormai completamente il sole, scomparve a poco a poco la loro luce, la-
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sciando il posto al normale colore del lago. In quel momento arrivò Timbal,
anch’egli in piedi da qualche ora ormai. Si scambiarono le rispettive sensazioni riguardo a quanto accaduto il giorno prima, entrambi ancora molto
eccitati, e trascorsero la giornata ad ammirare con occhi diversi tutto quanto
stava loro attorno. Il sentimento che li univa diventava sempre più forte, si
trasformava da semplice amicizia in grande complicità e, via via, in qualcosa che era difficile definire. Avevano sempre più voglia di stare insieme,
condividevano tutto e lasciavano che il resto del mondo restasse al di fuori
della loro magica esistenza. A tutti i fratelli felini era ormai chiaro che stesse
nascendo un grande amore… tranne che a loro, non interessava attribuire
un’etichetta a quanto stessero vivendo, era bello così. Piuma iniziava però
a cambiare idea sul senso della vita. Il discorso sull’unicità e i talenti personali che la madre le aveva fatto in un recente passato aveva lasciato il
posto ad una vita fatta di quotidianità. Si stava persino dimenticando delle
sue ali. La loro crescita si era fermata e si nascondevano tra i mille colori
del suo manto. Si sentiva gradualmente sempre più pantera e non le interessava molto andare ad indagare ulteriormente sul significato delle sue ali.
Ora era lì che voleva stare, con il suo amato, a scoprire tutte queste sensazioni ed emozioni. Era tutto nuovo e affascinante da farle girare la testa.
Timbal colmava di gentilezze Piuma, la coccolava, la metteva al centro di
tutte le sue attenzioni. Era talmente dolce e sensibile da capire ogni suo
stato d’animo ancora prima che lei lo esternasse ed era già pronto ad intervenire, con qualsiasi accorgimento, per riportarle la serenità, qualora la perdesse per un attimo. La deliziosa panterina era beata e non riusciva ad
immaginarsi la sua vita lontana da lui. Erano una cosa unica, ognuno viveva
per l’altro, le decisioni le prendevano assieme, le giornate le trascorrevano
insieme, era come se le loro anime si fossero unite. Ognuno dei due rinunciava sempre più alla sua unicità per uniformarsi all’omogeneità della coppia. Iniziarono a frequentare un’altra coppia di felini, Uma e Tibi che erano
ormai vicini alla nascita del loro primo cucciolo. Le due coppie erano molto
affiatate e così anche Piuma iniziava a pensare alla maternità. Credeva di
avere trovato l’equilibrio con Timbal, non avrebbe visitato il mondo, però
avrebbe avuto accanto a lei un’anima dolce e sensibile ed era convinta che
sarebbe stato difficile trovare un altro compagno di vita tanto attento alle
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sue esigenze. Piano piano i loro discorsi filosofici, le loro dissertazioni sul
senso del mondo e della vita lasciarono spazio alla consuetudine e ai discorsi più pratici, iniziarono a pensare alla famiglia, inevitabile passo successivo per dare un senso più profondo alla giovane coppia. Si ritrovarono
a fare tutto insieme, ad esistere l’uno per l’altra ma senza avere più granché
da dirsi. Probabilmente era normale che fosse così. Non si poteva vivere
tutta la vita con il naso all’insù a fare proiezioni di cosa potesse esistere aldilà di quello che si vede. Ormai stava diventando grande e la sua vita da
pantera, in fondo, non le dispiaceva. Si sentiva sempre meno diversa dalle
altre e questo un po’ la rassicurava.
e la storia continua e si evolve tra
eventi imprevedibili, viaggi e nuove
conoscenze, per altre 215 pagine...
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